Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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ABOLIZIONE DEI CONCORSI TRUCCATI E LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI
(pagine) GIANGRANDE LIBRI
WEB TV: TELE WEB ITALIA
NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA
ANNO 2019
LO SPETTACOLO E LO SPORT
PRIMA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
ITALIA ALLO SPECCHIO IL DNA DEGLI ITALIANI
L’APOTEOSI
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2019, consequenziale a quello del 2018. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
INDICE PRIMA PARTE
LA POLITICA ED IL GOVERNO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
IL PARLAMENTO EUROPEO HA 40 ANNI.
L'EURO HA 20 ANNI. CERCANDO L’ITALEXIT.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
INDICE PRIMA PARTE
LA POLITICA E L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
INDICE PRIMA PARTE
LA POLITICA E L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
INDICE PRIMA PARTE
LA POLITICA E GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
INDICE PRIMA PARTE
LA POLITICA ED I PARTITI
SOLITI 5 STELLE… CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
INDICE SECONDA PARTE
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
INDICE TERZA PARTE
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN ITALIA.
SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE MAFIE.
INDICE QUARTA PARTE
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
INDICE QUARTA PARTE
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
INDICE QUINTA PARTE
LA SOCIETA’
PAURE ANTICHE: CADERE IN UN POZZO E CHI CI E' GIA' CADUTO.
STORIA DEI BOTTI DI CAPODANNO.
GLI ANNIVERSARI DEL 2019.
I MORTI FAMOSI.
A CHI CREDERE? LE PARTI UTILI/INUTILI DEL CORPO UMANO.
INDICE SESTA PARTE
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
INDICE SESTA PARTE
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA BARI.
SOLITA FOGGIA.
SOLITA TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
INDICE SETTIMA PARTE
CHI COMANDA IL MONDO:
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
INDICE SETTIMA PARTE
CHI COMANDA IL MONDO:
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
QUARTA PARTE
LO SPETTACOLO E LO SPORT
PRIMA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Scandali Stellari.
Demi Moore racconta: "Violentata a 15 anni".
Charlize Theron.
Brad Pitt e Angelina Jolie.
I Ritrovi delle Star.
Lorenzo Riva il super collezionista di Hollywood.
Benedetta Paravia.
Adelaide Manselli, ma tutti la conoscono con il nome di Anna Pannocchia.
Riconosciuti Figli d'arte. Camilli e gli altri.
Il maestro Riccardo Muti.
Plácido Domingo: l'highlander dell'opera.
Vittorio Grigolo: tenore rock.
Ezio Bosso ed “I Sani Cronici”.
Roberto Bolle ed i Ballerini.
L'inno più dissacrante dell'Italia cialtrona.
Canzoni stralunate.
Da Prince a Zucchero, le accuse di plagio più clamorose nella musica italiana.
Zucchero. Questa Italia non mi piace.
Nel nome di Mariele Ventre: gli eterni bambini dello Zecchino d’Oro.
I Tiromancino ed i Zampaglione.
Queste vuote teste di "Rap".
Chi decide cosa ascoltiamo?
Disco rotto. Meglio Live.
Ecco come funziona l'organizzazione dei concerti live in Italia.
Vercelli: sigilli a mille giostre in Italia autorizzate senza controlli in cambio di tangenti.
La storia non detta del Carnevale di Rio.
La Verità in tv è femmina. Roberta Petrelluzzi; Franca Leosini; Federica Sciarelli.
I 30 anni di “Un giorno in pretura”.
“Tutta la verità” sui casi controversi.
Blob Job di Marco Giusti.
La Claque non è Bue.
Se nei programmi passa quello che il pubblico vuole vedere.
La televisione si nutre del passato.
Televendita dell’arte.
Gli addetti stampa dello spettacolo: Enrico Lucherini.
Racconta Adriano Aragozzini.
Marracash.
Rino Barillari.
Giorgio Lotti.
Marcellino Radogna
Giovanni Ciacci.
Beppe Convertini.
Vieni avanti, Savoia: Emanuele Filiberto.
Gli influencer dello spettacolo & Company. Kim Kardashian, Chiara Biasi, Chiara Ferragni e Fedez, Giulia De Lellis, Greta Menchi, Valentina Pivati, Elisa Maino.
Maurizio Seymandi ed il telegattone.
I figli delle stelle.
Il bimbo di Benigni: Giorgio Cantarini.
Liam e Noel Gallagher. I fratelli coltelli degli Oasis.
Albertino.
Thegiornalisti.
I Cugini di Campagna.
Stefano De Martino.
Rocco Papaleo.
Rosanna Lambertucci.
Coez.
I Mogol.
Edoardo Bennato.
La vita normale del figlio di Bruce Springsteen.
Renato Zero.
Lino Capolicchio.
Non è la D'Urso.
Fuori la Ciccia. Vanessa Incontrada.
Andrea Delogu.
Michele Cucuzza.
Luca Sardella.
Amadeus ricorda gli anni bui.
Ilaria D’Amico.
Alessia Marcuzzi, un impensabile aneddoto.
Isola dei Famosi 2019: Riccardo Fogli e la verità sul tradimento.
Antonio Zequila: Er Mutanda.
Miriam Leone.
Dj Ringo.
Luca Argentero.
Camila Raznovich.
Selvaggia Lucarelli.
Barbara Chiappini.
Alba Parietti: “Alla camomilla dei buoni preferisco l’adrenalina dei cattivi”.
Lorella Cuccarini e Heather Parisi. Nemiche amatissime.
Viola Valentino.
Carolyn Smith.
Paola Ferrari.
Maurizio Costanzo e Maria De Filippi.
Maurizio Costanzo. Uno di Noi.
Pippo Baudo: «Non rimpiango niente (anzi, due cose)».
Smaila & Company. Le avventure dei Gatti di Vicolo Miracoli.
Enrico Vanzina.
I Montesano.
Lando Buzzanca.
Andrea Giordana.
Carlo Verdone.
Francesca Manzini.
La Super Simo.
Antonella Clerici, pop e imperfetta.
Fabio Volo.
Marisa Berenson.
Helmut Bergher: il diavolo.
Elisa Isoardi.
Le Parodi e la cucina.
Mara Maionchi: “la starlette”.
Levante.
Il Watusso Edoardo Vianello.
Fabio Rovazzi contro i superficiali.
Tiziano Ferro e l'amore.
Ezio Greggio vs Vittorio Feltri.
Massimo Boldi.
Enrico Brignano.
Stefano Accorsi.
Kasia Smutniak.
Francesca Barra.
Valeria Golino e le quote rosa.
Violante Placido.
Ornella Muti.
Silvio Berlusconi, la confessione di Carlo Freccero: "Perché devo tutto a lui".
Lucci tra Lele Mora e Emilio Fede.
Enrica Bonaccorti: "Perché mi hanno fatta fuori dalla tv”.
Gemma Galgani. Tina Cipollari. "Quanto prende al mese per fare la cafona".
L’irruenza di Magalli.
Caccia alla Volpe.
Nina Zilli.
Antonella Mosetti.
Art Attack Giovanni Muciaccia.
Antonio Lubrano: il difensore civico.
Manuela Blanchard: Manuela di Bim bum bam.
Simone Annicchiarico, l'astro nascente della tv scomparso.
Banfi e capelli.
Raffaella Carrà: "Se ho fatto delle cazzate è perché le avevo scelte io".
Marco Columbro: il templare.
Parla Carmen Russo ed Enzo Paolo Turchi.
Bertolino e il calcio per i bimbi delle favelas con la maglia dell’Inter.
Con Paolo Bonolis: addio “Libertà”.
Così diventai Carlo Conti.
Giorgio Panariello.
Parla Nek.
Ed Sheeran l'artista più ascoltato al mondo.
Alberto Camerini.
Marco Masini e la sfortuna.
L’ipocrisia su Mia Martini.
Loredana Bertè.
Grillo e Celentano. I Santoni della Tv. Ne parlano Michelle Hunziker, Antonio Ricci e Teo Teocoli.
Eros Ramazzotti.
Fiorello e il fastidio sui presunti compensi.
Rosalino Cellamare: detto Ron.
Parla il Pupo.
Sono Lory, non sono una santa.
Sabrina Paravicini: insultata perché malata.
Claudia Pandolfi.
Sara Tommasi.
Piera Degli Esposti.
Justine Mattera ed i colpi di culo…
Valentina Ruggeri: “Così George Clooney mi ha scelto..”
Dov’è la Vittoria (Risi)?
Le Donatella.
Viky Moore.
Sonia Eyes.
Franco Trentalance.
Davide Iovinella. Il calciatore porno.
Siffredi Family.
Amandha Fox a Pulsano.
Moana Conti.
Max Felicitas.
Valentine Demy.
LadyBlue – Angelica.
Veronica Rossi.
Sabrina Sabrok. Porno Satana.
Bridget the Midget - Cheryl Murphy: Porno sangue.
Malena. Filomena Mastromarino.
Valentina Nappi.
Carolina Abril.
Natalie Oliveros. Nome d'arte, Savanna Samson. Dal porno al Brunello.
Eva Henger.
Morena Capoccia.
Rossana Doll.
Omar Pedrini.
Ottavia Piccolo.
Miriana Trevisan.
Roberto Brunetti, “Er Patata”.
Tina Turner compie 80 anni.
Parla Stefania Casini.
Martina Smeraldi.
Milly D’Abbraccio.
Priscilla Salerno.
Giuseppe Povia.
Alanis Morissette.
Natalie Imbruglia.
Giordana Angi.
Piero Pelù.
Parla Giorgia.
Parla Luisa Corna.
Giorgio Mastrota.
Natalia Estrada senza rimpianti.
Parla Enrico Beruschi.
Parla Anna Maria Barbera.
Parla la cornuta Simona Izzo.
Parla il truffato Corrado Guzzanti.
Elena Santarelli e la guerra contro il tumore del figlio.
Si parla di Ambra Angiolini.
Francesco Renga.
Pamela Petrarolo.
Caterina Balivo.
Mara Venier.
Stella Manente.
Che allegria, c'è Diaco.
Chi è Alessio Orsingher marito di Pierluigi Diaco.
Aldo Baglio confessa.
Franco Battiato: il ritorno del maestro.
Memo Remigi.
Quelli di Propaganda Live.
Milva ne fa 80.
Ornella Vanoni: ragazza irresistibile.
Peppino di Capri, 80 anni e non sentirli.
Gli ABBA: i giganti del Pop.
Rosalina Neri.
Giovanna Ralli.
Cucinotta: “51 anni di magia grazie a Massimo Troisi”.
Martina Colombari.
Paola Turci.
Sabrina Salerno.
Dramma per Valentina Persia.
Si parla di Paola Barale.
Raz Degan.
Alena Seredova.
Eleonora Pedron.
La velina Mikaela Neaze Silva.
Lorena Bianchetti.
Bianca Guaccero.
Parla Rita Dalla Chiesa.
Ilary Blasi. Lady Totti.
Sylvie Lubamba riparte dalla moda.
Le Donatella tornano alla musica.
Ligabue tra Palco e realtà.
Le corna di Clizia Incorvaia a Francesco Sarcina.
Pippo Franco.
Christian De Sica.
Antonio Sorgentone.
Taylor Mega.
Giorgia Venturini.
Sara Manfuso.
Hoara Borselli.
Gigi Marzullo.
Vittoria Hyde: front woman dei Vittoria and the Hyde Park.
Alfonso Signorini.
Edwige Fenech.
Tony Sperandeo.
Gli Iglesias.
Michelle Pfeiffer.
Jennifer Aniston.
Benji & Fede.
Romina Mondello.
Daria Bignardi.
Federico Paciotti.
Giorgio Poi.
Michele Bravi e quell’incidente mortale.
Domenico Diele.
Sabrina Ferilli.
Mariana Rodriguez.
Giusy Ferreri.
Elodie: "Sexy come Rihanna? Magari..."
Francesco Gabbani.
Ermal Meta: «Così ho scoperto l’Italia».
Magari Mika.
Magari Moro.
Meglio Mora.
Fabio Concato.
Niccolò Fabi.
SECONDA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
1999-2009-2019. Pamela Prati: ogni dieci anni annuncia un matrimonio.
Carlo Taormina: “Se sono un grande avvocato…lo devo a mia moglie!”.
Il Matrimonio di Eva Grimaldi.
Ana Bettz, la cantante imprenditrice.
Gabriel Garko.
L’amore saffico delle Spice Girls.
I Porconi del Gangnam.
Corinne Clery.
Catherine Spaak. Quella sex symbol rivoluzionaria ed eterna.
Il Personaggio Platinette.
Guillermo Mariotto: “una gran mignotta”.
Malgioglio intervista Cristiano.
Comanda Vladimir Luxuria.
Asia Comanda, Morgan subisce.
Gianluca Grignani.
Benji e Fede bullizzati.
Diana Del Bufalo.
J-Ax insulta Matteo Salvini.
Fermato per furto il cantante Marco Carta.
Gerry Scotti.
Caduta Libera, il campione Nicolò Scalfi.
Caduta Libera. Il Campione Christian Fregoni.
Caduta Libera: battuto il campione Gabriele.
Giuseppe Cruciani: “Le mie passioni? La radio e le donne”.
Abramo Orlandini il maggiordomo di Vittorio Sgarbi.
Pio e Amedeo. I filosofi trash della tv.
Simona Tagli.
Ramona Badescu.
Mauro Marin.
La Gatta morta Marina La Rosa.
Al Gf la figlia d’arte Serena Rutelli.
Martina Nasoni, vincitrice del GF 2019
I guai di Gianni Nazzaro.
Gigi D’Alessio.
Gérard Depardieu.
Franca Valeri: non mi annoio.
Parla Lina Wertmüller.
Giancarlo Giannini.
Franco Zeffirelli teme la morte.
Guai, amori e Oscar di Vittorio Cecchi Gori.
Luca Barbareschi e "La mafia dei froci".
Lucrezia Lante della Rovere.
Il J'Accuse di Roman Polanski parla molto di sé e della sua "persecuzione".
Umberto Orsini si racconta.
Pierfrancesco Favino e le donne.
Nicolas Vaporidis.
Giulio Scarpati, il medico in famiglia.
Pupi Avati.
Ferzan Ozpetek.
Maurizio Ferrini.
Ficarra e Picone.
Lizzo.
Mary Rider.
Rebecca Volpetti.
Gabriele Paolini.
Alex Britti.
Juliette Binoche.
Marta Flavi.
Le Rodriguez.
Mario Lavezzi.
Saverio Raimondo.
Gianna Nannini.
Creedence Clearwater Revival.
Red Hot Chili Peppers.
Andrea Scanzi.
Arturo Brachetti.
Roberto D’Agostino.
Mandy Jean Prince in arte Prince.
Luana Borgia.
Angela Gritti.
Francesca Conti Cortecchia.
Costantino Vitagliano.
Giuliano Fildigrano in arte Julius.
Maria Giovanna Ferrante diventata Mary Rider.
Viviana Bazzani.
La confessione di Ivana Spagna.
Monica Bellucci: «Non mi spaventa il corpo che cambia».
Giovanni Allevi.
Ronn Moss: il Ridge di “Beautiful”.
Keanu Reeves. Quello che non sapevate di lui.
Renzo Arbore.
Marisa Laurito ed i falli.
Sandra Milo ed il Fisco.
Claudia Gerini: ho detto tanti no.
Stefani Sandrelli apre il cuore.
Max Pezzali e gli 8-8-3.
Enrico Ruggeri.
Cesare Cremonini.
I Morandi.
Francesco Facchinetti: “Io, Jim Carrey e quel folle weekend…”.
Daniele Bossari.
Cristina Chiabotto.
Parla Gino Paoli.
Shel Shapiro.
Francis Ford Coppola: l’ultimo Re di Hollywood.
Essere Martin Scorsese.
Clint Eastwood.
Giorgio Tirabassi.
Quentin Tarantino.
Oliver Stone.
Parla Carla Signoris.
Parla Vasco.
Achille Lauro come l' armatore.
Salmo e i concerti sulla nave.
I Linea 77.
Una vita da Madonna.
Miles Davis.
Michael Stipe ed i Rem.
Elton John.
Lodovica Comello.
I Ricchi e Poveri.
Giorgio Moroder: Viva gli anni Ottanta!
Tatti Sanguineti. Patate, patacche e "fake".
Fonzie e la sua vita da dislessico.
Robert De Niro e la famiglia arcobaleno.
Al Pacino.
Jack Nicholson, il ghigno folle dell'antieroe di Hollywood.
Il segreto della longevità: Kirk e Anne Douglas.
Sofia Loren.
Gina Lollobrigida.
Claudia Cardinale.
Sharon Stone.
Olivia Newton-John: la guerriera.
Il 2 volte premio Oscar Jodie Foster.
Diane Keaton ed il suo funerale.
Buon compleanno Meryl Streep: l'attrice compie 70 anni.
Britney Spears, dramma senza fine.
Anna Mazzamauro.
Milena Vukotic: «Ero per tutti la Pina di Fantozzi.
Ilona Staller ed i suoi cimeli.
Barbara Bouchet.
Ludovica Frasca.
Angela Cavagna.
Paola Caruso: ci è o ci fa.
Debora Caprioglio.
Serena Grandi.
I Pentimenti di Claudia Koll.
Anna Falchi.
Tinto Brass, una grappa, un sigaro e i trastulli della provincia italiana.
Chi guida la Lamborghini?
Frankie Hi NRG.
Arisa
Annalisa
Emma Marrone.
Alessandra Amoroso.
I Boomdabash.
Antonella Ruggiero e la sua voce.
Marcella è Bella.
Rita Pavone.
Donatella Rettore.
Caterina Caselli: «Ho battuto il cancro, e sono tornata».
Gerardina Trovato.
Lo Stato Sociale.
Sara Wilma Milani.
I 50 anni di Jennifer Lopez.
Paolo Conte.
Lucio Dalla Genio senza tempo.
Bob Dylan: perché è il cantautore più influente del rock.
Nunzia De Girolamo: “Finalmente è esplosa la mia femminilità”.
Nathalie Caldonazzo.
Dilettatevi con Diletta.
Il produttore Valsecchi: «Con Zalone pescai il jolly. Ma che paura il messaggio di Riina».
Aida Yespica.
Loretta Goggi.
Danika Mori.
Alessandro Haber.
Tutto su Pedro Almodovar.
Antonio Banderas.
Brigitte Bardot: la prima vera animalista.
Delon, vittima di una cultura del linciaggio.
Il professor Jovanotti.
Pilar Fogliati.
Philippe Daverio.
Alberto Angela.
Giacobbo, misteri in tv e ossa rotte.
Federico Fazzuoli, storico conduttore di “Linea Verde”.
Daniela Martani.
Laura Chiatti.
Bella Hadid.
Patrizia De Black.
Massimo Giletti.
Claudio Cecchetto.
Maria Teresa Ruta.
Vinicio Capossela.
Marco Ferradini ed il suo Teorema.
Maddalena Corvaglia.
Lucia Sinigagliesi: la donna del del Guinness World Records.
Serena Enardu.
Gianluca Vacchi.
Alberto Dandolo.
Robbie Williams.
Bill Murray, l’outsider.
John Travolta.
Takagi & Ketra.
James Senese.
Paolo Brosio.
Giulia Calcaterra.
Guido Bagatta.
Claudio Lippi.
Trio Medusa.
Isabella Ferrari.
Giangiacomo Schiavi. Il regista che ha fondato la TV.
Milly Carlucci.
Lucia Bosé.
Mina.
Patty Pravo.
Serena Autieri.
I Bastards Sons of Dioniso.
Paolo Vallesi.
Stefano Zandri, in arte Den Harrow.
Ndg (acronimo del suo vero nome, Nicolò Di Girolamo).
Eleonora Giorgi.
Aiello.
William Shatner.
Gregoraci e Briatore.
Andrea Roncato.
Flavio Insinna: "Grazie a Fabrizio Frizzi sono un conduttore".
Stefania Nobile e Wanna Marchi.
Achille Bonito Oliva.
Da Vasco a Loren, storie (famose) dal carcere: quando attori e cantanti finiscono dietro le sbarre.
Amanda Lear: 80 anni d’arte tra Disco music, pittura e teatro.
Silvio Orlando.
Nina Moric.
Richard Gere.
Irina Shayk.
Paola Senatore.
Antonio Albanese Cetto La Qualunque.
I Ghini.
Alessandro Gassmann.
Silvio e Gabriele Muccino, fratelli-coltelli.
Mauro Pagani racconta Guccini.
Gianni Fantoni.
Emily Ratajkowski: "È difficile essere sexy".
Valentina Dallari.
Marco Mengoni.
I Negramaro.
Francesco Incandela.
Giulia Accardi, la modella curvy.
I Ristoratori Vip. Abbasso i cuochi d'artificio. Chef Rubio & compagni...
Oliviero Toscani.
Raoul Bova.
Malika Ayane.
Ricky Gianco.
Raf e D’Art.
Francesco Nuti.
Anna Galiena.
Claudio De Tommasi, vj storico.
Beatrice Venezi.
Susanna Torretta e il giallo della morte della contessa Vacca Agusta.
TERZA PARTE
SOLITO SANREMO. (Ho scritto un saggio dedicato)
La cupola dei conflitti d’interesse ignorati.
Claudio Bisio il comunista.
Al Bano nella lista nera di Kiev.
Toto Cutugno viene bandito in Ucraina.
Sanremo 2019: i cantanti che hanno vinto più volte il festival.
Michele Torpedine: il talent scout.
Festival di Sanremo: le 25 canzoni più belle di sempre.
Presentatori Sanremo: tutti i “condottieri” del Festival della Canzone Italiana.
Sanremo: tutte le vallette che hanno partecipato al Festival.
Aneddoti, curiosità e drammi, amori e scandali a Sanremo.
Johnny Dorelli: «Modugno arrivò secondo e mi prese a schiaffi al Festival.
I 12 big che non hanno mai partecipato al Festival di Sanremo.
La biellese Gilda, vinse un Festival (minore).
Guida minima ai conflitti d’interesse di Baglioni.
Mahmood. Il vincitore politicamente corretto.
Simone Cristicchi e la sua “Abbi cura di me”.
Sanremo, 30 fatti poco noti della serata finale.
Sanremo, il Festival dalla A alla Z.
Troppi compagnucci? Per la Rai si vive di "contiguità amicale".
Litigi e battute, Sanremo specchio d'Italia.
"Aiutini", code, bufale: tutto ciò che non vedete in tv.
Sanremo 2019, settant’anni di canzoni, non sempre lo specchio del Paese.
Sanremo solo a Sinistra.
Sanremo, Iva Zanicchi: "Ospite? Devi essere di sinistra".
Sandro Giacobbe: “Sanremo non ha voluto la mia canzone per Genova”.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Gli italiani e lo sport? Ne parlano tanto... ma ne fanno poco.
Milano-Cortina, le olimpiadi ed il Movimento 5 cerchi.
Coni, i conti che non tornano.
Il Podista Fantozzi.
Great e quel record nazionale negato perché non ha cittadinanza.
Osvaldo ballerino, seconda vita: nel calcio ero solo un numero.
Berruti: «I miei inaspettati 80 anni Sono bi-bastone, non più bi-turbo».
Mi ritiro…e poi?
L'addio al campo. Paolo Silvio Mazzoleni.
Antonio Cassano.
Balotelli e le balotellate.
Roma. Edin Dzeko, Capitan passato e Capitan futuro.
Miralem Pjanic.
Messi è meglio di Cristiano Ronaldo.
Cristiano Ronaldo: il comunista.
Ronaldo (il Fenomeno).
Maradona nella casa del sonno.
Dino Zoff.
Albertosi. Nome ordinario, Enrico. Nome straordinario, Ricky.
Buffon: "Qui per aiutare dalla panca".
Gigi Riva.
Tardelli, dall’urlo al Mondiale: «Ho 65 anni, mi sento un ragazzino».
Non sa chi è Paolo Rossi?
Gianluca Pagliuca.
Claudio Marchisio saluta il mondo del calcio.
Samuel Eto'o lascia.
Genio e Sregolatezza: Paul Gascoigne.
Eric Cantona.
Zlatan Ibrahimovic: La Furia.
Maldini Family.
Fiorentina, ecco Ribery.
Gabriel Batistuta.
Icardi e le regole del Mobbing.
Sandro Mazzola.
Gianni Rivera.
Calcio Dotto (Emanuele).
Sandro Piccinini.
Che brutto il calcio moderno, ha tolto l’anima al pallone.
"Così ho fatto entrare Italia-Germania nel mito".
San Siro: la storia di un tempio del calcio (1926-2019).
Sla, ecco perché uccide i calciatori.
Davide Astori, la scoperta agghiacciante: tra il 1980 e il 2015 190 giovani atleti morti come lui.
Sport e demenza.
Beppe Marotta vs Fabio Paratici.
Pallonari. Figli di…
Il Calciomercato. Il Romanzo dell’Estate.
Calcio e business: ecco le plusvalenze delle squadre di Serie A.
Prestiti e panchine: così il calcio italiano brucia i suoi giovani talenti.
Calcio, quanto ci costa la sicurezza negli stadi.
Ladri di Sport e pure di Calcio.
Platini. Quei sospetti di corruzione sull’assegnazione al Qatar dei mondiali.
Quelli che…sono in fuorigioco.
Zdenek Zeman.
Non solo Allegri e Mihajlovic, guarda le sexy figlie dei mister.
Il Guerriero Mihajlovic.
Morta la bimba di Luis Enrique.
Silvio Baldini: l’anarchico.
Stiamo Allegri.
Giovanni Galeone.
Maurizio Sarri. Da bancario a banchiere.
Il Giramondo Stramaccioni.
Arrigo Sacchi: «Vendevo scarpe».
Antonio Conte e la stella in panchina.
Calcio: Ritiri ed Ammutinamenti.
Ancelotti 60.
Trapattoni ne fa 80.
Quando gli allenatori "marcano visita".
Quei grandi allenatori che a volte ritornano.
Calcio, da Simeone a Mazzone: quando l'esultanza degli allenatori è una provocazione.
Thohir lascia l'Inter con un capolavoro.
Palermo calcio, Zamparini ai domiciliari.
Razzismo: così il calcio italiano si sta ribellando.
Questo calcio "sessista" e la saggezza della Morace.
Violenza di genere: due pesi e due misure.
Il Calcio e l’ideologia.
Il marcio nascosto di Calciopoli.
Bruno Pizzul.
Ma Baggio è Baggio.
Il Calcetto è per vecchietti.
Roberto Mancini. Il Ct della Nazionale dei Record.
Gli Immortali del Calcio.
Francesca Schiavone ed il cancro.
Le Ombre sull'alpinismo.
Tania Cagnotto.
Valentino Rossi, i primi 40 anni del Dottore di Tavullia.
Formula Uno, Hamilton 6 volte campione del mondo.
La vita spericolata di Raikkonen.
Schumacher family.
Damiano Caruso e la mafia.
Vincenzo Nibali.
Mario Cipollini.
Saronni vs Moser.
La Maledizione del Tour.
Il Doping. Tutti dopati. Armostrog: anche senza si vince lo stesso.
L’affaire Marco Pantani.
Schwazer, una perizia dei Ris per provare la sua innocenza.
Marcello Fiasconaro il re degli 800.
Potenza della Fede.
Benedetta Pilato: non ho l’età.
Magnini si ribella dopo la squalifica.
Le memorie di Adriano Panatta.
Nicola Pietrangeli ed il funerale al Foro Italico.
Dino Meneghin.
Messner, il Re degli Ottomila a quota 75.
Messner…e gli altri.
La discesista Sofia Goggia.
Manfred Moelgg, le 300 gare del veterano dello sci.
Lorenzo Bernardi: Mister Secolo della pallavolo.
Chiude la palestra di Oliva. Salvava i bimbi dalla strada.
Ai Giochi 2020 la boxe data in appalto. La crisi nerissima dell’ex nobile arte.
Frankie Dettori.
Varenne va in pensione.
Gli Scacchi. Garry Kasparov.
I 70 anni del bigliardino.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
PRIMA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
· Scandali Stellari.
HOLLYWOOD FETISH! Da “Daily Mail” il 25 agosto 2019. Jenny Norback, nome d’arte Mistress Scarlett, è la dominatrice che soddisfa le fantasie sessuali di molte celebrità di Hollywood. Nel libro "The Scarlett letters", in uscita ad aprile, racconta di come attori, musicisti, sceneggiatori e registi la pagassero per essere frustati, picchiati e legati. Incontrava le star a feste fetish private ed esclusive, oppure la andavano a trovare nel suo "dungeon", ma ai nomi preferisce i soprannomi. Allude ad un attore strafamoso per il cui bacio uomini e donne farebbero carte false, che ama piuttosto essere sottomesso. La pagò profumatamente per tirare corde attaccate al piercing di una parte molto privata. Un altro è lo sceneggiatore che a letto si comporta come il personaggio più noto che abbia creato per il grande schermo. Spiega Jenny: «Aveva queste richieste superelaborate, scene dettagliate che voleva realizzare. Era divertente, insolita una simile immaginazione. Veniva con i costumi impeccabili ed era come una intera produzione». Secondo lei, a Los Angeles il fetish è così diffuso perché le celebrità sono contornate da "yes men", gente che dice loro sempre sì, e quindi vogliono provare ad essere dominate, spesso in modo violento.
Tim Teeman per “Daily Beast” il 21 ottobre 2019. Nel dicembre 2011, circa sette mesi prima di morire, l’86enne Gore Vidal disse all’amico Scotty Bowers: «Pensi che potresti portarmi Bob?». Ovvero Bob Atkinson, uno dei suoi gigolò preferiti, incontrato nel 1948. «A Gore piaceva Bob perché era stato in Marina e aveva un cazzo grosso come il braccio di un bimbo», spiega Bowers, che ha scritto il racconto della sua vita da pappone per i ricchi e famosi di Hollywood nel libro "Full Service: My Adventures in Hollywood and the Secret Sex Lives of the Stars". Su di lui Matt Tyrnauer ha fatto il documentario "Scotty and the Secret History of Hollywood", presentato sabato 11 novembre al New York Doc Festival. Libro e film sono ricchi di gossip (il 94enne ha fatto e organizzato molto sesso), spiegano come le vite sessuali delle celebrità siano state protette dai loro sudi e dagli stessi media. Bowers, benzinaio dell’Hollywood Blvd., faceva incontrare l’élite gay (e qualche etero arrapato). Fece sesso con Walter Pidgeon, Cole Porter (“Poteva fare pompini a 20 ragazzi, uno dietro l’altro, e ingoiava sempre), George Cukor (“succhiava cazzi con efficienza fredda e veloce”), Cary Grant e Randolph Scott (“Noi tre insieme facemmo molte marachelle sessuali”). Fece cose a tre anche con Edoardo VIII, Duca di Windsor (“Mi spompinava da professionista”) e Wallis Simpson (“di sicuro lei preferiva il sesso omosessuale”). Scrive Bowers: “Spencer Tracy mi prese il pene e iniziò a mordermi il prepuzio”, mentre Vivien Leigh “aveva un orgasmo dietro l’altro con lui, ognuno più rumoroso del precedente”. Con Noel Coward il sesso non era penetrativo ma strettamente orale, con Edith Piaf Bowers fece l’amore a lungo e lentamente, finché lei non si appisolò. Come Vidal, il suo amico faceva sesso con uomini e donne. A Charles Laughton piaceva mangiare escrementi di giovanotti nei suoi sandwich, Tyrone Power invece godeva a farsi urinare addosso. Montgomery Clift era schifiltoso e si lamentava se gli arrivava un pene di un millimetro più lungo. Qualcuno dubita della veridicità dei racconti di Bowers, ma molti lo ritengono onesto, attendibile, non in cerca di fama personale. Lo stesso Vidal ammise che il suo amico conosce tutti e non mente mai. Quindi nemmeno quando dice di aver fatto sesso con Vidal e con star come Rock Hudson, Tyrone Power, e Charles Laughton. Si incontrarono dopo la seconda guerra mondiale. La prima volta andarono in giro in Chevrolet per un’ora e mezza a guardare la "merce" (giovani gigolò hot): «Ovunque ti girassi, ce n’era qualcuno» dice Bowers. Per 20 dollari fissava appuntamenti fra clienti e gigolò. La prima sera lo fece uscire con uno studente americano. Gli piacque e tornò da lui, che gli presentò Bob Atkinson: «Gore aveva un cazzo di taglia media, circa 7 centimetri, sembrava circonciso ma non lo era. Gli piaceva più penetrare che essere penetrato, ma con Bob si faceva penetrare. Non faceva sesso con tutti gli uomini che gli presentavo, a volte gli piaceva solo parlare con loro». Le poche volte che Bowers fece sesso con Vidal fu “piacevole, non amore folle”. Vidal "non era timido, ma piuttosto aggressivo e insistente. Sessualmente faceva tutto. Succhiava il cazzo, si faceva succhiare, ma preferiva scopare. Noi due abbiamo scopato, giocavamo con i rispettivi cazzi. Ti prendeva il cazzo e boom, consumava velocemente". Prosegue nel racconto: «Gore mi chiese il favore di farlo incontrare con il mio amico Tyrone Power, in cambio accettò di unire al sesso Charles Laughton. Non era il suo tipo, Charles era un vecchio porco, ma volevano conoscersi. Lo stesso fu con Tyrone Power». Bowers ricorda che a una festa Jacqueline Kennedy si infilò in stanza con un uomo: «Si parla sempre di JFK che scopava a destra e a sinistra, ma anche lei era una regolare sgualdrinella. Veniva qui per vedersi con William Holden. Grace Kelly faceva lo stesso. Quando io mi organizzai con il duca e la duchessa di Windsor, organizzai per loro un incontro al "Beverly Hills hotel". Lei era il capo, lui era timido. Fu lei a dirgli come ci si comportava con i ragazzi: «Succhiagli il cazzo, fai questo, fai quello». L’incontro fra Vidal e Power andò così: «Gore mise il cazzo fra le gambe di Tyrone e lo scopò. Poi si spompinarono. Charles e Gore se lo succhiarono e ovviamente a Tyrone piaceva farsi pisciare addosso, perciò lo facemmo. Gore non se lo fece ripetere due volte». Bowers presentò Vidal a Rock Hudson: “Scopammo in tre prima nel periodo in cui stava diventando un attore famoso. Gore ci fece pressoché tutto. Iniziarono con una pomiciata, poi penetrò Rock. Rock aveva un bagno turco e ci infilammo lì. Gore gli strofinava e gli succhiava l’uccello. Pomiciavamo, succhiavamo, scopavamo. Lo facemmo a tre una dozzina di volte e sono certo che loro due lo abbiano fatto anche per conto proprio. E sono sicuro che Gore glielo mise nel culo». (Richard Harrison, ex modello e attore che frequentava la palestra di Rock Hudson, rammenta: «Si sedeva in sauna e il suo cazzo era così grosso che arrivava al gradino di sotto. Tutti i ragazzi se ne lamentavano, ma lui non lo usava, gli piaceva prenderlo). Vidal chiese a Bowers di presentargli James Dean: «Gli dissi che Jimmy aveva un cazzetto ma glielo presentai lo stesso. Gore ci uscì pensando di volerci fare sesso, ma invece lo mandò al diavolo. Gli presentai dozzine di persone, anche in Italia. Erano dei tipi che ricordavano uno studente americano pulito. Niente capelli lunghi o troppi muscoli. Erano scelti in base all’immagine dell’amore adolescenziale di Vidal, ovvero Jimmie Trimble (morto a Iwo Jima). Lo menzionava spesso. Ne era infatuato, fu uno dei suoi primi amori. Vidal aveva un sano appetito sessuale ma il ragazzo doveva piacergli. Veniva da me e mi indicava: ‘Ecco, mi piace quel tipo’. Non sempre erano più giovani. I suoi assistenti erano belli, ma non so se ci abbia fatto sesso. Di certo, lui infilava la mano a toccarti il cazzo, era quel tipo lì. Tutti lo sapevano. Non so se fece sesso con Paul Newman. Non è una cosa impossibile. Diceva che Paul lo aveva fatto con gli uomini». A Gore non piaceva essere descritto come gay, perché al tempo significava essere effeminato, camp, freak, fuori dalla società: «Diceva sempre. "Faccio sesso con gli uomini ma non sono gay". Dal suo aspetto non avresti detto che era gay. Non si comportava come tale. Negli anni ’80, quando cominciò l’AIDS, era preoccupato dei nuovi incontri. Ma al principio pensò che avrebbe escluso gli uomini che sembravano malati e dato una possibilità a quelli dall’aspetto sano». L’HIV cambiò i suoi comportamenti sessuali? «Ha incontrato qualcuno, per farsi una sega, senza toccare. Non l’ho mai visto usare un preservativo, ma potrebbe averlo fatto. Era comunque un attivo, non un passivo, perciò correva meno rischi. Una volta volle guardarmi mentre scopavo con una donna che gli piaceva. Si masturbò guardandoci. Avevo anche un bel ragazzo gay, che Gore volle scoparsi». Bowers poi conobbe Howard Austen, il compagno con il quale Vidal restò per 52 anni: «Howard usciva a rimorchiare e condivideva con Vidal. Non pescava solo dalla strada, c’erano anche altri giovanotti disponibili. Howard in generale rimorchiava più di Gore. Erano una bella coppia, ti facevano sentire a casa. Era una relazione alla pari, andavano d’accordo come due soci, onesti. Facevano tutto in modo grazioso, mai pacchiano». Vidal non espresse mai gradimento per i minorenni: «Che diamine, no! I ragazzi che gli procuravo all’inizio erano della sua stessa età. Quando invecchiò, avevano tra i 20 e i 30 anni. In Italia lui e Howard rimorchiavano ventenni. Quando Howard morì, nel 2003, Gore metteva i suoi cd e piangeva a dirotto. Lo amava molto». Vidal continuò ancora frequentare gigolò: «Non nel suo ultimo anno. Stava sulla sedia a rotelle e non si muoveva bene, ma voleva guardare. A casa sua c’erano bellocci trentenni, ma non succedeva niente. Pensava di voler andare a letto con qualcuno, invece desiderava solo compagnia». Bowers non fu l’unico pappone al quale Vidal si rivolse negli ultimi anni. Usò per anni anche i servizi di Dave Damon: «Era simpatico, uno dei più grandi rimorchiatori al mondo. Eravamo diversi: io chiamavo solo gente che conoscevo personalmente, lui non aveva idea di chi ti portasse a casa». L’ultima apparizione pubblica di Vidal fu alla presentazione del libro di Bowers, nel 2012 allo Chateau Marmont, poi ci fu il declino fisico: «Era tremendo vederlo ridotto così, alla fine. Era un uomo meraviglioso, dolce, arrabbiato per come veniva gestito il nostro paese». Bowers tiene in vita la tradizione del non mettere nessuna etichetta quando si tratta di sesso: «L’ultima volta che ho fatto sesso con un tizio è stato una settimana fa, con un 95enne. Ma ancora mi capitano anche più giovani». E a sua moglie Lois sta bene così.
DAGONEWS il 5 novembre 2019. Il capitano della barca sulla quale è stata vista per l'ultima volta l'attrice Natalie Wood prima di annegare in circostanze misteriose ha rilasciato un’intervista a quasi 40 anni dalla sua morte. In un'intervista esclusiva con il dottor Oz, Dennis Davern ha descritto la stanza in cui Wood e il marito Robert Wagner avevano avuto una rissa esplosiva prima che lei morisse, e come l'attore Christopher Walken sia scoppiato a piangere dopo aver appreso della sua scomparsa. «Sembrava che una tempesta avesse attraversato quella stanza. C’era un casino. Ho trovato uno dei suoi orecchini, era stato gettato in un angolo – ha detto Davern - Non so se le era stato strappato dall'orecchio o cosa, ma c'era un orecchino in un angolo. I cuscini erano dappertutto. La stanza era un disastro. C'era stata una battaglia lì dentro». Il corpo di Wood, 43 anni, fu trovato al largo della costa dell'isola di Catalina, nel sud della California, dopo essere scomparsa dallo yacht della coppia, lo Splendor, nel novembre 1981. Il caso affascinò il pubblico dopo che emersero una serie di dettagli contrastanti sulle circostanze che portarono alla morte. All'epoca, Wood stava girando il film di fantascienza “Brainstorm” ed era stata in gita sullo yacht nel fine settimana con Wagner, Davern e il co-protagonista Christopher Walken. Davern ha rivelato il momento in cui l'attore è scoppiato in lacrime quando ha saputo che era scomparsa: «Non ha detto una parola, ha solo pianto. Era devastato». La causa della morte di Wood, inizialmente archiviata come annegamento accidentale, è stata successivamente cambiata in "annegamento collegato ad altri fattori indeterminati", dopo che il dipartimento dello sceriffo di Los Angeles ha riaperto le indagini. Davern ha presentato nuove prove nel 2011 dopo aver detto agli investigatori che Wood aveva remato in un gommone, anche se era noto per essere terrorizzata dall'acqua scura. Ha affermato anche di aver visto Wagner discutere sul ponte con Wood e che l'uomo lo aveva costretto a stare in silenzio.
Il figlio dell'attore che ha interpretato Tarzan uccide la madre a coltellate. Il figlio dell'attore che ha interpretato Tarzan in tv negli anni '60, ha ucciso la madre a coltellate e l'omicidio ha sconvolto il cuore della California. Carlo Lanna, Giovedì 17/10/2019, su Il Giornale. Un brutale omicidio è avvenuto in California. La vittima è Valerie Lundeen Ely, 62 anni, moglie di Ron Ely, attore che negli anni ’60 ha portato in tv il mito di Tarzan. Come riporta Il Corriere, la donna sarebbe stata uccisa dal figlio trentenne della coppia e, fino ad ora, il movente dell’omicidio ancora non è stato rivelato alla stampa. Dopo una chiamata al 911, la polizia ha trovato il corpo della donna senza vita con ferite multiple sul corpo. Una volta che gli agenti hanno parlato con Ron Ely, il trentenne Cameron è stato identificato come killer. Il figlio della coppia, qualche minuto dopo, è stato trovato fuori l’abitazione di Hope Ranch, sobborgo di lusso sito in Santa Barbara. Il trentenne, secondo le autorità, avrebbe rappresentato una minaccia e, quattro di loro, avrebbe aperto il fuoco finendo per uccidere il giovane. Le dinamiche comunque sono ancora al vaglio degli inquirenti. Un grave lutto per la vita di Ron Ely. L’attore è conosciuto principalmente per aver preso parte, dal 1966 al 1968 alla serie tv ispirata alla vita di Tarzan, in onda in America sul canale della NBC e che ha riscosso anche un notevole successo. Successivamente ha preso parte a diversi film d’azione fino a quando non ha condotto negli anni ’80 un quiz musicale. Nel 2014 è la sua ultima apparizione in tv.
La moglie dell’attore che interpretò Tarzan uccisa a coltellate dal figlio. Pubblicato giovedì, 17 ottobre 2019 da Corriere.it. La moglie dell’attore americano Ron Ely, celebre per aver interpretato Tarzan, alla metà degli anni’60 in un popolare sceneggiato tv, è stata pugnalata a morte nella loro casa in California dal loro figlio trentenne, che è stato poi colpito e ucciso a colpi di pistola dai vicesceriffo locali. Rispondendo a una chiamata fatta al 911, le autorità hanno trovato Valerie Lundeen Ely, 62 anni, morta con ferite multiple da arma da taglio. Gli agenti hanno parlato con Ron e hanno identificato suo figlio, il 30enne Cameron, come sospettato, e lo hanno trovato fuori dalla loro abitazione di Hope Ranch, un sobborgo di case di lusso vicino Santa Barbara in California. Le autorità affermano che il giovane ha rappresentato una minaccia per gli agenti e quattro di loro hanno aperto il fuoco uccidendolo. Ron Ely, 81 anni, è conosciuto in particolare per aver interpretato Tarzan nell’omonima serie della Nbc degli anni 1966-1968, ma è stato anche il protagonista del film d’azione "Doc Savage, l’uomo di bronzo" del 1975 e per aver condotto un quiz musicale sulle tv americane « Face the Music» negli anni’80. La sua ultima apparizione risale al 2014 nel film tv Expecting Amish.
Da tgcom24.mediaset.it il 17 ottobre 2019. Vero e proprio dramma familiare per l'attore americano Ron Ely, celebre per aver interpretato Tarzan nell'omonima serie della Nbc degli anni 60: la moglie è stata pugnalata a morte nella loro casa in California dal loro figlio trentenne, che successivamente è stato ucciso a colpi di pistola dai vicesceriffo locali, intervenuti sul luogo del delitto. La ricostruzione dei fatti parte da una richiesta di aiuto fatta al 911. Le autorità hanno trovato Valerie Lundeen Ely, 62 anni, morta con ferite multiple da arma da taglio. Gli agenti hanno parlato con l'attore e hanno identificato suo figlio, il 30enne Cameron, come sospettato, e lo hanno trovato fuori dalla loro abitazione di Hope Ranch, sobborgo di case di lusso vicino Santa Barbara in California. Ron Ely ha indicato il figlio come l'autore dell'omicidio. Secondo le autorità il giovane avrebbe rappresentato una minaccia per gli agenti e quattro di loro hanno aperto il fuoco, uccidendolo.
LA CARRIERA DI RON - L'interpretazione che ha dato maggiore popolarità a Ron Ely è sicuramente quella di Tarzan nella serie TV in onda su NBC dal 1966 al 1968. In seguito l'attore ha recitato anche in altre serie come "The Aquanatus", "L'uomo del mare", interpretando un Superman "alternativo" in "Superboy" fino ad apparizione a cavallo tra fine Novanta e Duemila in "Renegade" e "Sheena.
«Ho smascherato un predatore sessuale. Le accuse di Asia reggono». Pubblicato mercoledì, 16 ottobre 2019 da Corriere.it In «Predatori» Ronan Farrow racconta l'inchiesta che scatenò il #metoo: i ricatti ... «Sto andando a fare un'intervista» dissi a mia sorella Dylan. Frugai tra i contatti del telefono e rimasi per un attimo indeciso se chiamare un numero che non sentivo da tempo. «Sto andando a fare un’intervista» dissi a mia sorella Dylan.«A un’attrice famosa. Accusa una persona molto potente di un reato piuttosto grave». (…) Al telefono, quel giorno di febbraio, rimase un attimo in silenzio. «E mi chiedi un consiglio?» disse infine. Le sue accuse e le domande che erano rimaste in sospeso tra noi in merito al mio aver fatto abbastanza, e averlo fatto in tempo, per sostenerla, avevano messo una distanza tra noi che nelle foto della nostra infanzia non c’era. «Sì, ti chiedo un consiglio» dissi. Sospirò. «Be’, questa è la parte peggiore. La massa di pensieri. L’attesa che la storia esca. Ma una volta uscita è tutto molto più facile. Dovresti dirle soltanto di tenere duro. È come strappare via un cerotto». «Se riesci a incastrarlo» aggiunse Dylan «non fartelo scappare, d’accordo?» Nel frattempo, anche Weinstein stava dandosi da fare per conto suo. Mentre settembre lasciava il posto a ottobre, si rivolse alla figura chiave delle sue rivendicazioni su un possibile conflitto d’interesse. Chiese a una delle assistenti di fare la telefonata. Su un set cinematografico di Central Park, un’altra assistente allungò il telefono a Woody Allen. A Weinstein serviva un manuale d’istruzioni strategico, per respingere le accuse di molestie sessuali e per sapere come comportarsi con me. «Come hai affrontato la faccenda?» chiese Weinstein a un certo punto. Chiese ad Allen di intercedere in qualche modo. Allen scartò immediatamente la proposta, ma ribatté che la sua esperienza poteva tornargli utile. Quella settimana, le ricevute della carta di credito di Weinstein registrarono l’acquisto di un libro di interviste scritto da uno degli ammiratori incalliti di Allen, che documentava tutti gli argomenti schierati in campo da lui e dal suo esercito di investigatori privati e addetti stampa per infangare la credibilità di mia sorella, del pubblico ministero e di un giudice che aveva ipotizzato che la ragazza stesse dicendo la verità. «Gesù, mi spiace davvero tanto» disse Allen a Weinstein al telefono. «Buona fortuna». Quando i revisori cominciarono a chiamare le fonti a tappeto, Weinstein raddoppiò le minacce. Il primo lunedì di ottobre mandò al «New Yorker» la prima lettera dei suoi avvocati. (…) La lettera risentiva chiaramente della recente conversazione di Weinstein con Woody Allen. Harder (uno degli avvocati di Weinstein, ndr) dedicava diverse pagine all’argomentazione secondo cui l’aggressione sessuale ai danni di mia sorella mi rendeva inadatto a occuparmi di Weinstein. «Il signor Farrow ha diritto alla sua rabbia privata» scrisse Harder. «Ma nessun editore dovrebbe permettere che questi sentimenti personali creino e diano sostanza a un’inchiesta infondata e diffamatoria nata dalla sua animosità personale». A qualche isolato di distanza, mi sedetti a una scrivania libera del «New Yorker» e chiamai la Weinstein Company per avere un commento. Il receptionist con cui parlai mi disse in tono nervoso che avrebbe controllato se Weinstein era disponibile. Poi udii la familiare voce roca baritonale. «Wow!» disse con entusiasmo beffardo. «A cosa devo l’onore?» Il fiume di inchiostro scritto su di lui prima e dopo di rado si soffermava su questo aspetto: era piuttosto divertente. Ma era facile non accorgersene quando passava fulmineamente alla rabbia (…). «Non sei riuscito a salvare una persona a cui volevi bene e adesso pensi di poter salvare tutti». Lo disse sul serio. Veniva da credere che stesse brandendo un detonatore contro Aquaman. La prima volta che vidi mia sorella Dylan dopo l’uscita degli articoli, lei saltò in piedi e mi abbracciò. (…) Ripassai mentalmente immagini di Dylan e me (...) Ricordai mentre posizionavamo quei mitici re e draghi di peltro, e il risuonare di una voce adulta che la chiamava. L’espressione spaventata, terrorizzata. La sua richiesta: se mi succede qualcosa di brutto, verrai ad aiutarmi? E io che glielo promettevo. In campagna, con la figlia che ci sgambettava intorno, mi disse che era orgogliosa dell’inchiesta. Era grata. Sapeva che era stata dura. E qui le mancò la voce. «Nessuna storia per te» dissi. Ogni volta che aveva raccontato la sua storia, da bambina e anche in seguito, aveva sempre avuto la sensazione che le persone si voltassero dall’altra parte. «Giusto» rispose lei. Per ogni storia raccontata, ce n’erano innumerevoli altre, come la sua, che non lo erano state. Asia Argento incarnava, più di ogni altra fonte, un groviglio di contraddizioni. Dopo aver partecipato alla mia inchiesta, raggiunse un accordo economico con un attore, Jimmy Bennett, il quale sosteneva che Asia aveva fatto sesso con lui quando aveva diciassette anni. (...) la stampa sottolineò la contraddizione stridente fra l’uso di un accordo di riservatezza da parte dell’attrice e le sue accuse di essere vittima di uno che li impiegava d’abitudine. Quest’ultima vicenda non ha alcun riflesso su una verità incontrovertibile: la storia di Asia Argento su Harvey Weinstein reggeva, corroborata da resoconti di testimoni oculari e di persone cui era stata riferita all’epoca. I perpetratori di abusi sessuali possono anche essere dei sopravvissuti. Ma questa idea ha poco credito in un ambiente dove ci si aspetta che le vittime siano dei santi, o altrimenti vengono liquidate come peccatori (…). Nel corso delle telefonate di quell’autunno, Asia sembrava consapevole che la sua reputazione era troppo compromessa, che l’ambiente in Italia era troppo feroce perché lei potesse sopravvivere al processo. (...) Mentre l’attrice si dibatteva nell’indecisione, il suo compagno, lo chef Anthony Bourdain, intercedette più volte. Le disse di andare avanti, che ne valeva la pena, che avrebbe fatto la differenza. Argento decise di parlare pubblicamente. Quella sera, mentre uscivo dal lavoro, Remnick mi chiamò per dirmi di essere stato contattato dal compagno di Asia Argento, Anthony Bourdain. In passato Bourdain aveva appoggiato l’intenzione di Asia di parlare, ma avvertii lo stesso un tuffo al cuore: spessissimo le donne che avevano deciso di tirarsi indietro lo avevano fatto per intervento di un marito, un fidanzato, un padre. Essere contattati da figure significative di rado era foriero di buone notizie. Ma tutte le regole hanno delle eccezioni: Bourdain aveva detto a Remnick che il comportamento predatorio di Weinstein era nauseante, che «tutti» lo avevano saputo per troppo tempo. «Non sono religioso» aveva scritto. «Ma prego che abbiate la forza per pubblicare questa storia».
Silvia Nucini per ''Vanity Fair'' il 22 ottobre 2019. Domenica pomeriggio. Devo mettermi in contatto con un numero a New York, ma per due volte mi comunicano variazioni del numero stesso. L’ultima prevede che io chiami un server italiano, digiti un codice segreto attivo solo per 45 minuti, rimanga un po’ in attesa ascoltando una musica da ascensore e poi venga collegata con il mio interlocutore, Ronan Farrow. Trentun anni nascosti sotto una faccia che definire angelica è una semplificazione, Farrow è figlio dell’attrice Mia Farrow e del regista Woody Allen (ma per le illazioni vedi box a pag. 76) e soffre da sempre della sindrome «il più giovane della stanza». Nella sua, di stanza, racconta la mamma Mia, si chiudeva a leggere La metamorfosi di Kafka. «Era alle elementari», specifica. Lo iscrivono al college a 11 anni, a 15 si laurea in filosofia. A 22 anni prende un dottorato in legge a Yale e lavora prima con Obama e poi con il segretario di Stato Hillary Clinton. A 25 ha voglia di riprendere gli studi, vince la borsa di studio Rhodes e va a Oxford dove fa un dottorato in filosofia. Intanto compare nella lista dei meglio vestiti al mondo di Vanity Fair America. Mentre è a Oxford pensa che non gli dispiacerebbe fare il giornalista. Torna in America, comincia a lavorare e, quattro anni dopo, vince – insieme alle colleghe del New York Times che hanno indagato sullo stesso scandalo – un Pulitzer grazie all’inchiesta, pubblicata sul New Yorker, in cui svela la storia di molestie e abusi sessuali a carico del potentissimo produttore di Hollywood Harvey Weinstein – faccia da orco, modi arroganti – accusato da un’ottantina di donne tra cui l’attrice e regista Asia Argento. A meno di due anni dall’uscita di quell’articolo – seguito da molti altri approfondimenti su nuovi filoni della storia – Farrow pubblica Predatori, una monumentale inchiesta nell’inchiesta in cui il giornalista racconta i retroscena della sua attività investigativa e della complicata rete di pressioni, connivenze, ricatti e spionaggio messa in moto da Harvey Weinstein per intimidire le vittime delle sue aggressioni e ostacolare il lavoro investigativo del giornalista. Nel libro, sottoposto al rigoroso fact checking (si racconta di una telefonata di controllo con la Nbc durata 10 ore), si fanno tutti i nomi e i cognomi e c’è chi, come il pluricitato Dylan Howard, vicepresidente del gruppo Ami che controlla numerosi media americani, come il National Enquirer, ha cercato di bloccarne la pubblicazione, minacciando di fare causa alle librerie che lo hanno ordinato. È soprattutto per tutelarsi da ogni rischio di censura preventiva, e per proteggere alcune testimonianze inedite, che sto chiamando New York componendo il prefisso di Roma.
La voce allegra, ma stanca, che mi risponde all’altro capo di questa triangolazione telefonica è la fotografia perfetta dello stato d’animo di Farrow.
«Sono esausto, ma orgoglioso. Questo libro è un atto d’amore e di coraggio da parte delle donne che mi hanno parlato senza risparmiarsi». Tra queste c’è anche sua sorella Dylan, che da tempo accusa il loro padre, Woody Allen, di averla molestata quando aveva sette anni. Farrow, che non ha rapporti con il regista, racconta che quando Harvey Weinstein viene a sapere che il giornalista sta indagando su di lui, chiama Allen per chiedergli una mano. «Gesù, mi dispiace tanto. Buona fortuna», risponde il regista. E sembra di vederlo pronunciare questa frase che assomiglia alla battuta di un suo film.
Predatori, in inglese, si intitola Catch and Kill che è il metodo che utilizza una certa stampa per insabbiare gli scandali, tenendo le notizie nel cassetto per proteggere i colpevoli. Crede che aver smascherato questo meccanismo cambierà il modo in cui i media gestiscono certe notizie?
«Il metodo “Catch and Kill” è metafora di un meccanismo più ampio in cui sistemi giuridici, politici e di informazione cospirano per mettere a tacere la verità e intimidire chi la cerca. Prima di pubblicarle, non so mai che effetti sortiranno le mie inchieste, ma credo che le cose che racconto in questo libro siano inoppugnabili e creino un precedente dal quale in poi dovremmo sempre chiederci, quando abbiamo a che fare con certi mondi, se chi ha il potere non stia dirottando il sistema e manipolando l’opinione pubblica».
Harvey Weinstein aveva creato, per proteggersi, una rete di spionaggio di cui lei stesso è stato vittima. Nel libro racconta di aver cambiato temporaneamente casa durante l’inchiesta. Ha temuto davvero per la sua vita?
«Sono stato sempre molto consapevole che il rischio che correvo era relativo: vivo in un Paese in cui i giornalisti sono protetti dal Primo Emendamento. E so bene che, se facessi inchieste sul potere in Pakistan o in Russia, correrei rischi molto più seri. Ma le complicate strategie – con coinvolgimento della società di intelligence privata israeliana Black Cube – che sono state messe in atto nei miei confronti sono la dimostrazione di quanto la libertà di stampa sia fragile anche nei Paesi democratici. Non penso che i giornalisti americani dovrebbero essere sorvegliati, intimiditi e minacciati. E invece succede. Abbiamo bisogno di editori e direttori coraggiosi, come quelli del New Yorker che hanno salvato e pubblicato la mia inchiesta. Cosa che invece la Nbc, l’emittente televisiva per la quale lavoravo durante la mia indagine, non ha fatto. Bloccando, con la scusa che non fosse completo, la messa in onda del servizio».
Nel libro non cita mai il movimento #MeToo . Perché?
«Ho detto spesso che ammiro le attiviste che stanno cercando di attuare un cambiamento della società e considero Tarana Burke, la donna che ha coniato il termine #MeToo , un’eroina. Tutto questo esiste ed è il fondale delle mie storie, del tributo al coraggio delle mie fonti. Penso, come recita la vecchia regola del giornalismo, che sia sempre meglio “show, don’t tell”, mostrare piuttosto che raccontare. Mi sembra più utile, per esempio, parlare di mia sorella Dylan che prende coraggio e dà la sua prima intervista televisiva, piuttosto che dedicare un capitolo al movimento».
Parlando di Dylan, lei ammette, come fratello, di non aver fatto abbastanza.
«Per me era importante che potessi scrivere liberamente delle accuse di mia sorella e anche che potessi ammettere che sono una di quelle persone che vivono accanto a una vittima e le dicono di lasciare perdere, e tacere. Per molti anni ho ritenuto ciò che era accaduto un disturbo, qualcosa che la stava distraendo dal farsi una vita e una carriera, e che la stava lentamente distruggendo. Ma quando finalmente l’ho ascoltata davvero, e ho capito quanto fossero convincenti le sue affermazioni, mi sono reso conto che il suo rifiuto di tacere era un grande gesto di coraggio. E che io avevo sempre sbagliato».
La sua inchiesta su Weinstein e anche questo libro, i cui disegni all’inizio di ogni capitolo sono di Dylan, costituiscono per lei una qualche forma di risarcimento nei confronti di sua sorella?
«Questa vicenda è qualcosa che va oltre lei e oltre me, e riguarda lo schema, che ho ritrovato praticamente in ogni storia che ho raccolto, in cui c’è una donna che vuole parlare e un fratello, un padre, un compagno che le dice di tacere. Spero che quello che è accaduto a me possa essere d’esempio per altre persone».
Harvey Weinstein, in una lettera inviata ai suoi capi alla Nbc, affermava che lei non fosse la persona giusta a cui lasciar fare questo genere di inchieste, a causa della sua storia famigliare. Non pensa, invece, che sia vero il contrario, che lei è stata la persona giusta proprio per la sua storia famigliare?
«Tutti i giornalisti che negli anni hanno cominciato a girare intorno a questa inchiesta, senza poi riuscire a portarla a termine, si sono molto appassionati e sono diventati sensibili al tema. Se qualcuno si appassiona e si ossessiona, mi sembra solo il segno che è un bravo giornalista. Non credo proprio di aver avuto un conflitto di interessi nel trattare questa storia, semplicemente, come ogni giornalista che mette il dito dove qualcuno non vorrebbe, sono diventato oggetto di attacchi personali. È brutale e scorretto, ma fa parte dei rischi del mestiere. A guardarle in retrospettiva, quelle illazioni non sono altro che i tentativi di un uomo disperato pronto a tutto pur di farmi tacere: purtroppo ha trovato chi lo ascoltava alla Nbc. Il sistema dei predatori si sosteneva».
Nel libro, tra le altre, c’è la dolorosissima testimonianza di Brooke Nevils, sua ex collega alla Nbc la cui denuncia, finora rimasta senza nome, portò al licenziamento di Matt Lauer, star del programma televisivo Today , che abusò di lei ripetutamente e violentemente.
«Il suo è un caso emblematico di come certi fatti non vengano poi negati da chi li ha commessi, ma gli venga attribuito un senso diverso. Lauer disse di avere avuto con lei una relazione. Ma la donna ha argomentazioni convincenti, basate su elementi concreti, per affermare che quello che è accaduto non è stato affatto consensuale. Quindi gravissimo».
La storia è piena di artisti e personaggi famosi, che non abbiamo mai smesso di ricordare e omaggiare, nonostante in privato fossero esseri umani deplorevoli. È giusto separare il valore artistico e politico delle persone dalla loro vita privata? E perché, invece, in questa vicenda alcune persone sono state ostracizzate e condannate all’oblio?
«Penso ci siano forme di potere e privilegio che alleggeriscono alcuni dalle loro responsabilità: i soldi, il successo nelle arti o in campo scientifico. Si trova sempre una buona scusa quando il sistema si corrompe, così i criminali possono agire indisturbati, fare del male ad altre persone, quando è evidente che andrebbero, invece, fermati. È un problema culturale generale, non solo del mondo artistico: si chiude un occhio di fronte ai potenti. Io non credo, come giornalista e come avvocato, che dovremmo mai proteggere dalle loro responsabilità le persone, anche se sono dei grandi talenti. La legge deve essere ugualmente dura verso chi ha potere e chi non ce l’ha, verso chi eccelle in qualcosa, come verso chi non sa fare nulla»
Dopo l’esplosione del #MeToo si è fatto un gran parlare, in Italia e in Europa, di come la linea di demarcazione tra seduzione e molestia sia stata confusa dall’atteggiamento radicale della corrente americana del movimento. Che cosa ne pensa?
«Le mie inchieste parlano di accuse serie e circostanziate di abusi sessuali».
Una molestia è tale ovunque o cambia a seconda del contesto culturale in cui avviene?
«Sono un avvocato, tendo a usare le parole secondo il loro senso da un punto di vista legale. Se vuole sapere se i contesti culturali modificano, nel tempo, il senso alle cose, la risposta è: certamente».
Gli atteggiamenti predatori sono sempre esistiti o Weinstein e gli altri sono figli della nostra cultura?
«Sono sempre esistiti e le donne hanno anche sempre parlato. La differenza, ora, è che vengono ascoltate».
Aver scoperchiato questo verminaio ha cambiato il suo modo di guardare alle cose?
«Non avrei mai scritto Predatori se pensassi che è una storia senza speranza. Questa speranza me la danno persone come Sleeper, la fonte segreta – posso solo dire che è una donna e che per me è diventata un’eroina del #MeToo – che mi ha aiutato, dall’interno, a scoprire le attività di spionaggio di Black Cube o come Igor Ostrovskiy, investigatore privato (la sua bio di twitter recita “investigatore con una coscienza”, ndr) incaricato di pedinarmi che, a un certo punto, ha capito che cosa stava facendo e mi ha contattato per dirmi che era emigrato in America ispirato da certi valori che stava infrangendo. Questa non è solo una storia che parla di come si possa occultare la verità, ma di come, ogni volta che è avvenuto qualcosa di sbagliato, ci sia stato un testimone disposto a denunciare. Il libro contiene una proposta di matrimonio al suo compagno Jon Lovett. Ho voluto far vedere che cosa significa lavorare a inchieste così impegnative, e non potevo nascondere quanto il lavoro avesse messo a repentaglio la mia relazione. Io, come tutti quelli che svolgono professioni complicate, ho bisogno del sostegno di chi mi sta intorno, e Jon è stato la mia forza. Quindi sì, gli ho chiesto di sposarmi. Lo ha scoperto leggendo le bozze del libro. Fortunatamente mi ha detto di sì».
QUALCOSA E’ CAMBIATO (E IL #METOO HA ROTTO IL MENGA). Valerio Cappelli per il “Corriere della sera” il 14 agosto 2019. In una rete di accuse di molestie è finito il pesce più grosso della scena musicale. Placido Domingo, il più celebre tenore al mondo, è accusato da 51 tra cantanti, ballerine, musiciste, impiegate dei teatri: alcune denunciano pressioni sessuali per avere ingaggi, e un diniego - riporta l'Associated Press , che ha condotto l' inchiesta - le danneggiava professionalmente. Negli Stati Uniti la risposta è stata immediata: Domingo è sovrintendente della Los Angeles Opera, che in un comunicato ha subito promesso di «assumere consiglieri esterni» per indagare. E l' Orchestra di Filadelfia ha già disdetto la sua partecipazione alla serata d' apertura a settembre. Il Festival di Salisburgo, invece, dove Domingo canterà il 25 agosto nella Luisa Miller , si è schierato con lui. La presidente Helga Rabl-Stadler: «Lo conosco da 25 anni e oltre che dalla sua competenza sono rimasta impressionata fin dall' inizio dal modo in cui si rivolge agli impiegati del Festival, che conosce per nome». Fa una citazione in latino, in dubio pro reo , «nel dubbio, a favore dell' imputato». E poi: «È irresponsabile arrivare ora a sentenze. Canterà da noi come previsto». Tutte le voci contro il tenore per ora sono anonime, tranne il mezzosoprano Patricia Wulf, che aveva cantato all' Opera di Washington con lui. «Mi addolora sentire di avere irritato o messo a disagio chiunque», ha detto Domingo. «Credo che le mie interazioni e amicizie siano sempre state consensuali. Chi mi conosce sa che non sono il tipo che intenzionalmente offende, fa del male o mette in imbarazzo. Ma mi rendo conto che i ruoli e gli standard, oggi, sono differenti dal passato». Le accuse vanno dalla fine degli anni 80 al 2000. Una donna ha detto che Domingo ha allungato la mano sotto la sua gonna, altre tre sarebbero state forzate a baciarlo in camerino, negli hotel o in altre occasioni. «Una mano sul ginocchio a un pranzo di lavoro è strana», ha detto una. Domingo si sarebbe fatto avanti con drink e cene. In molte erano state preavvertite da colleghe: «Non restate da sole con lui in ascensore». Secondo una voce, il cantante avrebbe messo 10 dollari sulla credenza dopo un rapporto in un hotel: «Non voglio che ti senta una prostituta, ma non voglio nemmeno che paghi tu il parcheggio dell' auto». Domingo, 78 anni, ha affermato che «accuse anonime così lontane nel tempo sono preoccupanti e imprecise». L' anonimato, secondo tante donne coinvolte, è «per paura di rappresaglie o umiliazioni pubbliche: lavoriamo ancora nel mondo della musica».
“IL #METOO? OGNI CACCIA ALLA STREGA PRIMA O POI FINISCE”. Riccardo Staglianò per “il Venerdì - la Repubblica” il 16 agosto 2019. Credevano fosse amore e invece era un fine settimana a New York. E pioveva. Questa è la versione Twitter della trama dell' ultimo, travagliato film di Woody Allen. C' è un romantico Gatsby che a vent' anni veste le stesse giacche di tweed dell' ottantatreenne regista, suona al piano Everything Happens to Me scritta nel 1940 da Matt Dennis e, invece di optare per una stanza su Airbnb, prende una suite a un simil-Plaza con vista su Central Park. C'è la sua fidanzata Ashleigh, sirenetta dell' Arizona in trasferta, che fatalmente si invaghisce prima del regista anzianotto che deve intervistare, poi di un attore che la invita a cena puntando al dopocena. I dolori del giovane Gatsby crescono nell' attesa. Fin quando non incontra Selena Gomez ex-star Disney che ha 28 anni ma ne dimostra 16 scarsi, e su Un giorno di pioggia a New York torna il sereno. La quarantanovesima pellicola del cineasta più genialmente nevrotico di sempre è da un anno ferma al palo perché Amazon non vuole più distribuirla in ragione del ricicciamento di polverose accuse di molestie contro l' autore (già demolite da un giudice) da parte di Dylan, figlia adottiva di Mia Farrow e dello stesso Allen. Fortunatamente il film uscirà il 10 ottobre in Italia via Lucky Red, e in Germania e Spagna. Sapendo quanto sia diventato parossistico il clima sulle improprietà sessuali a Hollywood e quanti riverberi autobiografici certi spunti di finzione potranno avere, sorprende che il regista abbia replicato lo schema nabokoviano. Evidentemente per Allen l' idea platonica dell' amore non sopravvive alla maggiore età. Ma una cosa è il codice penale, che lo scagiona, altra è la polizia morale che lasciamo ai sogni più scatenati del Family Day di Verona. Mi sembra più utile, per farsi un' idea del tipo di dialettica interna alla coppia che probabilmente ci farebbe digrignare i denti se riguardasse un nostro caro amico, leggersi il colloquio che l' anno scorso Babi Christina Engelhardt ha avuto con Hollywood Reporter. Nel '76 era una modella sedicenne dalla bellezza contundente. Ebbe per otto anni una storia con Allen, allora quarantunenne. È lei la vera Tracy di Manhattan. Dice: «È stata una storia d' amore che mi ha reso ciò che sono adesso. Non ho alcun rimorso». #MeToo e Amazon, da accordi preliminari con la produzione che l' ha resa possibile, sono le due parole tabù della conversazione che segue. Allen si trova a Milano per la regia teatrale del Gianni Schicchi di Puccini. Alle due in punto, davanti alla porta del camerino alla Scala che scopriremo essere grande come un mini-appartamento liberamente ispirato a Versailles, si accalcano quattro addetti. Nessuno osa bussare, se non quando arriva la sua publicist personale. L' uomo che ci accoglie, con una camicia button down kaki su un paio di pantaloni di cotone kaki e un paio di scarpe stringate color ciliegia, è l' icona più celebre dell' umorismo ebraico newyorchese, con i soliti occhiali e solo la voce leggermente meno squillante di un tempo. A un certo punto il fratello confida a Gatsby che non intende più sposare la compagna perché trova la sua risata insopportabile. Lo sconsolato commento è: «Ci sono così tante cose che possono rovinare un rapporto».
Vero, ma esiste una via di salvezza?
«È una delle cose tristi della vita. Le relazioni tra uomini e donne hanno un' accordatura molto fine e delicata. Se nel suo organismo manca anche un piccolo elemento, tipo lo zinco o il ferro, può avere anche tutti gli altri ma quella singola mancanza alla fine la può uccidere. Lo stesso avviene nelle relazioni. Devi avere tutto, altrimenti falliscono. O continuano tra troppi conflitti».
Restando nella metafora, magari può aiutare qualche integratore?
«Certo, c' è chi prova con la terapia di coppia, chi con lo yoga, a volte funziona ma non troppo spesso. Le cose che ti fanno star bene, avere una barca o guardare il baseball o fare una passeggiata in montagna, sono quelle che aspetti con trepidazione. Se invece stare insieme diventa un lavoro - molta gente dice della propria relazione "bisogna lavorarci" -, un' incombenza, allora non è più divertente. Le relazioni dipendono moltissimo dalla fortuna».
Che tipo di relazioni aveva all'età di Gatsby e Ashleigh?
«Io mi sono sposato per la prima volta a vent' anni. Era una ragazza molto carina ed è stata una svolta importante perché il matrimonio ci ha costretto a uscire dalla casa dei genitori, trasferirci a Manhattan e cominciare a lavorare e guadagnare. Siamo stati sposati per qualche anno e poi ci siamo allontanati, naturalmente. Ma siamo ancora amici adesso che lei ha ottant' anni».
Cosa ha imparato da allora?
«Mah, che è essenzialmente fortuna. Poi, ovvio, devi imparare come si litiga e fare un passo indietro affinché le abitudini seccanti dell' altra persona non ti feriscano troppo. Imparare la tolleranza. Ma il grosso lo fa la fortuna dell' incontro».
Pollard, il regista del film, è così deluso dei suoi ultimi lavori che pensa di smettere. Ho letto che lei era talmente insoddisfatto di Manhattan, il capolavoro di cui ora si festeggia il quarantennale, che non voleva che United Artists lo distribuisse. Com' è possibile?
«Non c' è alcuna correlazione tra gusti del pubblico e dell' autore. Quando finisco un film il più delle volte lo trovo deludente rispetto a come l'avevo scritto. Vedo un sacco di errori. Nel caso di Manhattan mi sembrava eccessivamente predicatorio, didascalico, avevo spiegato e detto troppo. Il messaggio del film non si deve mai trovare in bocca a un personaggio. Altre volte invece faccio un film, come Hollywood Ending, che a me piaceva molto e non è piaciuto quasi a nessuno. Raramente, come in Match Point, trovo invece che è venuto esattamente come doveva venire. La verità è che quando scrivi è tutto perfetto ma poi, come dice il mio amico Marshall Brickman, "ogni giorno sul set arriva un camion pieno di nuovi compromessi". Vorresti 200 comparse ma hai i soldi solo per 50 e così via».
Gatsby, seppur molto giovane, va dallo psicoanalista. Pensa ancora che salvi la vita?
«Io ci sono sempre andato. Per me funziona, certo meno di quanto uno desidererebbe, ma aiuta. Credo che se ognuno si fermasse per un' ora al giorno per parlare dei suoi sentimenti più profondi senza inibizioni a un professionista che ascolta, anche senza dire niente, col tempo comincerebbe a capire delle cose sul suo conto. C' è gente che non si ferma mai a pensare a se stessa».
A un certo punto fa dire a un personaggio che tutti i giornali sono tabloid, affamati di gossip: lo crede anche lei?
«No, sono un grande fan dei giornali. Ho fatto un film che si intitola Scoop e volevo fare prima il giornalista sportivo, poi mi ha affascinato la cronaca nera. Ho sempre avuto un'idea epica del giornalismo, col cronista che scopre qualcosa che alla fine salva il tipo dalla sedia elettrica. Penso che sia uno dei pochi mestieri al tempo stesso drammatici ed eccitanti».
La battuta più amara del film è «Il tempo vola. E vola in economy». Come si attrezza per la traversata?
«Purtroppo è la verità. Passa alla svelta per tutti, poveri o ricchi, ed è un viaggio assai scomodo. Ciò però non ha cambiato la mia routine. Sul lavoro sono stato molto fortunato ma esistenzialmente sono nella stessa barca di tutti, gli sfortunati e quelli con molto più successo di me. Come ho mostrato una volta in un film (Stardust Memories) siamo passeggeri di treni diversi ma tutti con la stessa destinazione finale».
Ha qualche trucco per non pensarci?
«Certo, dal momento che non c' è niente che puoi fare, almeno bisogna provare a non pensarci. Distrarsi. Qualcuno lo fa guardando il calcio, o aiutando gli altri, o drogandosi ma alla fine proviamo tutti a nasconderci da una realtà molto spiacevole, per evitare che ci paralizzi».
Ai tempi di Manhattan stilò una lista di «ragioni per cui valeva la pena vivere». L'ha aggiornata da allora?
«All' epoca una spettatrice mi mandò una lettera per rimproverarmi di non aver incluso i figli. Ma io non ne avevo ancora. Adesso non farei mai l' errore di non citare le mie due figlie Manzie e Bechet».
Di quella lista non esiste più il ristorante Elaine's. Perché era così speciale?
«Ci ho cenato tutte le sere per dieci anni, allo stesso tavolo. Fuori poteva esserci una tormenta di neve, magari era mezzanotte ma dentro incontravi il sindaco di New York, i campioni del basketball, Antonioni, Fellini o Simone de Beauvoir. Era incredibile! Un posto unico, al contempo tranquillo e rilassato. Non ci sarà mai più niente del genere».
Le abitudini sono il suo forte. A partire dal font Windsor EF Elongated dei titoli dei film.
«Certo! Quando ho cominciato tutti spendevano un sacco di soldi per i titoli mentre io volevo spenderne solo per il film. Quindi ho trovato quel carattere, che bastava per tutto ciò che volevo dire. Coi soldi che risparmiavo ci potevo prendere 10 comparse o due giorni di riprese in più».
Registi preferiti? Persone che la fanno ridere?
«Scorsese, sempre amato, o Francis Ford Coppola, ma anche Paul T. Anderson. Sono i primi che mi vengono in mente. Quanto al ridere, buona domanda: lo scrittore S.J. Perelman mi fa ridere sonoramente: non devo impegnarmi, l' onere del divertimento è tutto su di lui. Rido anche con vecchi film, con W.C. Fields o Groucho Marx. Poi guardo il comico Mort Sahl, è un genio che potrei stare a guardare tutto il giorno, ma non mi fa ridere a bocca aperta come gli altri citati. Non conosco i comici contemporanei perché non vado più nei locali. In tv, quando torno da cena alle 10 o alle 11, vedo giusto un po' di baseball o i tg. E non guardo le serie. So che sono buone, perché gente che rispetto mi dice "questa è magnifica", ma il mio stile di vita non mi mette in contatto con loro».
In che modo il pubblico europeo è diverso da quello americano?
«Il vostro è più sofisticato. Quando noi guardavamo stupidaggini con Doris Day voi avevate già a che fare con Fellini. Eravate più adulti. Noi abbiamo sempre un piede nell' escapismo mentre voi fate film più duri, conflittuali. Però, nonostante le dicerie, i miei film che vanno bene in America tendono ad andar bene anche in Europa».
Qualche tempo fa Philip Roth, con mossa piuttosto rara, annunciò che avrebbe smesso di scrivere perché sentiva di aver dato il meglio. Mai sfiorato da tentazioni simili?
«No, Roth era una persona molto più profonda, intelligente e colta di me. Io farò film sin quando qualcuno mi pagherà per farli».
E quando non lavora cosa fa?
«Niente, perché lavoro sempre. Ma diciamo che mi sveglio presto, faccio un po' di tapis roulant, mi metto a scrivere a macchina (non ho un computer), pranzo con mia moglie, lavoro un altro po', mi alleno al clarinetto e andiamo a cena fuori. È una vita tranquilla dove non succede niente ma che a me va benissimo. Monotona e bella. Scrivo sette giorni alla settimana. Sul letto. Mi diverte come altri si divertono a pescare. L' anno prossimo uscirà una mia autobiografia (il #MeToo aveva osteggiato anche quella). È tanto che non scrivo per il New Yorker perché ormai non c' è più spazio: metà della pagina è presa dalle illustrazioni! E non ci sono altri posti dove pubblicare scrittura comica. Oggi c' è molta più politica».
A proposito, com' è per lei vivere nell' America trumpiana?
«Che posso dire? Significa Trump 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana. Io l'ho diretto in Celebrity, ma sono stremato dal vederlo dappertutto. Mai vista una copertura analoga. È come uno tsunami di pubblicità. Vorrei anche altre notizie, i risultati di baseball, le critiche teatrali. Sul suo conto non c' è niente da dire che non sia già stato detto migliaia di volte».
So che non vuole parlarne, ma non coglie una discreta ironia nel fatto che l'aver fatto alle donne le cose che Trump ha detto di aver fatto non gli abbiamo impedito di diventare presidente mentre lei è vittima da anni di una campagna di riprovazione intensissima?
«Colgo un milione di ironie! Che posso dire? Ha a che fare con i meccanismi di ciò che diventa notizia, che fa comprare i giornali o accendere la tv. E se sei un personaggio pubblico devi abituarti. E comunque sono cose che vanno e vengono. Ho sempre pensato che l' unica risposta sia alzarsi presto e sgobbare senza sosta. Me lo ricordo da quando ho iniziato: non leggere le recensioni, non credere quando scrivono che sei un genio o un idiota. Non pensare ai soldi ma solo a lavorare bene. Così avrai abbastanza per campare, con un pubblico, magari piccolo, e tutto il resto andrà a posto da solo. È il modo in cui ho vissuto la mia vita. Sveglia presto, dopo quello stupidissimo tapis roulant - lo odio! -, e mettersi sotto a scrivere. Non vado alle prime dei miei film, non vado alle feste, vivo una vita tranquilla di solo lavoro».
Ma crede che, alla fine, la caccia alle streghe finirà?
«Tutte le cacce alle streghe finiscono prima o poi. Per definizione non sono una buona cosa. Tendono a esaurirsi col tempo, si smorzano fino a spegnersi».
“LA CACCIA ALLE STREGHE FINISCE PRIMA O POI”. Gloria Satta per “il Messaggero” il 25 agosto 2019. Parola d'ordine: resistere, resistere, resistere. «Spero di girare film il più a lungo possibile. E finché c'è qualcuno pronto a finanziarmi, vado avanti», sussurra Woody Allen, sorriso triste, solito maglione di shetland, modi da gentiluomo d'altri tempi. «Come mi sento? Più ansioso e vulnerabile che mai. Ma a 83 anni non mi lascio sorprendere da niente». Facile capire a cosa il regista si riferisce, anche se per suo espresso desiderio restano fuori dalla suite dell'elegante Hotel Le Bristol di Parigi, proprio le tempeste recenti che hanno investito la sua vita: le nuove accuse di abusi da parte di Dylan, la figlia adottata con Mia Farrow (e smontate già vent'anni fa dalla magistratura), l'ostracismo degli editori americani decisi a non pubblicare le sue memorie, il rifiuto di Amazon di distribuire negli Usa il nuovo film Un giorno di pioggia a New York, il 50mo (il regista ha fatto causa per 68 milioni di dollari), la condanna del protagonista Timothée Chalamet e del movimento #MeToo. Convinto che «la caccia alle streghe finirà», come ha detto di recente, Woody oggi parla della commedia romantica Un giorno di pioggia a New York, nelle sale italiane il 10 ottobre distribuita da Lucky Red. Al centro della storia due giovanissimi fidanzati (Gatsby interpretato da Chalamet, 23, e Ashleigh portata sullo schermo da Elle Fanning, 21) che, nel corso di un week end a Manhattan, faranno incontri inaspettati, vivranno avventure impreviste e impareranno a crescere. Al cast si aggiungono Selena Gomez, Jude Law, Liv Schreiber, Rebecca Hall, Diego Luna. I fan del regista ritroveranno dialoghi scoppiettanti, scorci struggenti della città, vecchie giacche spigate di Ralph Lauren, cene eleganti nell'Upper East Side, musei, puttane bellissime e sagaci, musica degli Anni 40.
Prima di tutto, è contento di essere a Parigi?
«Sì, anche se sono stanchissimo: ho appena finito di girare in Spagna, a San Sebastian, un film provvisoriamente intitolato Rifkin's Festival. Il lavoro è la mia vita».
In Un giorno di pioggia a New York Schreiber fa un regista che rinnega il proprio film. Capita anche a lei?
«Spesso. Finché scrivo e scelgo gli attori mi sento fortissimo, ma quando vedo il lavoro fatto rimango deluso. La realtà è diversa da come la immagini».
Gatsby, nel film, è molto romantico: le somiglia?
«Sì. Anche se gli altri mi percepiscono come un uomo spiritoso e divertente, io ho sempre avuto un'anima sentimentale. Non compaio più nei miei film perché sono troppo vecchio per interpretare un ruolo romantico».
Come mai ha scelto Chalamet che, dopo le accuse di Dylan, ha dichiarato di essersi pentito di aver lavorato con lei e devoluto il suo compenso alle organizzazioni anti-molestie?
«Timothée mi è stato segnalato dallo scenografo Santo Loquasto che l'aveva visto in teatro. L'ho incontrato, mi è piaciuto e l'ho scritturato. Non me ne pento, è stato bravissimo soprattutto nel recepire tutto quello che di mio aveva il suo personaggio».
Come sono i ventenni di oggi rispetto all'epoca in cui lei aveva la stessa età?
«Sono molto più intelligenti e sofisticati. Sanno tutto di sesso, droga, politica. Io ero molto più terra-terra».
Ha mai giocato a poker, come Gatsby?
«Certo. Nel 1967, quando girai in Gran Bretagna un film orrendo, Casinò Royale, giocavo a carte tutte le sere per arrotondare. E mentre gli altri si divertivano, io ero serissimo: da un full o un poker dipendeva la mia sopravvivenza».
Dica la verità, si sente più europeo che americano?
«Mi sento molto fortunato perché da ben 50 anni, dai tempi di Prendi i soldi e scappa, l'Europa accoglie i miei film a braccia aperte. Non ho mai capito perché, forse migliorano quando vengono tradotti».
È anche più facile, per lei, trovare i finanziamenti nel Vecchio Continente?
«Io prendo i soldi dove li trovo. Negli Stati Uniti i produttori pretendono di mettere bocca nel mio lavoro. In Europa, invece, mi lasciano totalmente libero».
Com'è, dal suo punto di vista, l'America di Donald Trump?
«Frenetica. Sono un democratico e alle presidenziali ho appoggiato Hillary Clinton, convinto che Trump non potesse vincere. Mi sono sbagliato e ora aspetto le prossime elezioni per assistere alla rivincita dei democratici».
Che ricordo ha del presidente quando, nel 1998, ha fatto l'attore nel suo film Celebrity?
«Trump è stato bravissimo. Sul set era curioso, faceva tutto quello che gli chiedevo e sapeva a memoria le battute. Oggi, come presidente, è tutta un'altra cosa!».
Ha mai subito una censura, si è imposto a volte dei limiti?
«I miei film non sono mai stati censurati in nessuna parte del mondo. Mi è capitato di rado di cancellare una battuta perché temevo che potesse offendere qualcuno».
Vale ancora la mitica lista delle 10 cose per cui vale vivere, da lei letta nel suo film Manhattan?
«Oggi che sono padre di due figlie (Manzie e Bechett, adottate con Soon-yi, ndr), aggiungerei la paternità. Tutta la mia vita ruota ormai torno alle ragazze e a mia moglie, dalla scelta dei film da vedere ai ristoranti».
Pensa che lo streaming finirà per uccidere le sale?
«Quello che sta succedendo mi rende molto triste. Sono cresciuto convinto che andare al cinema fosse uno dei grandi piaceri della vita: il sabato sera con la ragazza, la domenica pomeriggio con la famiglia. Non ha eguali il fascino della sala buia in cui dei personaggi carismatici parlano dal grande schermo. Non è la stessa cosa guardarli sul computer come fanno le mie figlie. Per me, la lenta erosione della sala è un fatto terribile».
Dove vede il suo futuro?
«Là dove la gente avrà ancora voglia di vedere i miei film. Non ho mai sbancato i botteghini, ma posso contare su un pubblico affezionato in tutto il mondo. Anche in America».
“HO FATTO TUTTO QUELLO CHE IL #METOO VUOLE”. Monica Monnis per Elle.com il 17 settembre 2019. Woody Allen non ha bisogno di Scarlett Johannson. Certo, la tenace difesa della sua pupilla dalle pagine di Hollywood Reporter non può che avergli fatto piacere, ma il suo arco ha delle frecce ancora più affilate, che ha provveduto a scagliare in un'intervista con la testata francese Le Point, rilasciata in occasione della proiezione del film Un giorno di pioggia a New York che venerdì ha aperto il sipario sul Deauville Film Festival. Il regista 83enne, come riporta Le Figaro, ha dichiarato con la sua consueta tranquillità serafica di essere da sempre dalla parte delle donne, ma non solo. Woody Allen si considera un portavoce del #metoo e un esponente di primo piano nella battaglia rosa del gender pay gap. "Adoro Woody. Gli credo e lavorerei con lui in qualsiasi momento", ha detto Scarlett giusto una manciata di giorni fa attirando su di sé le ire di Dylan Farrow, figlia adottiva di Allen e sua principale (e unica) accusatrice, che in passato lo ha denunciato per abusi sessuali per poi reiterare l'addebito proprio nell'ondata post Weinstein nel corso della caccia agli orchi di Hollywood (“Scarlett ha una lunga strada da percorrere per comprendere il problema che sostiene di supportare", ha scritto sui social). Anche Javier Bardem, Anjelica Huston, Catherine Deneuve e Prince Brosnan si sono schierati con il regista di Manhattan mentre Amazon gli girava le spalle mettendo in stand by la distribuzione USA del suo ultimo film (Un giorno di pioggia a New York che in Italia uscirà nelle sale il prossimo 10 ottobre) così come alcuni dei suoi protagonisti vedi Michael Caine, Timothée Chalamet, Greta Gerwig e Colin Firth. "Non mi sento nella lista nera. Continuo a fare film, mentre le altre persone di quella black list non possono lavorare: sono in prigione o si suicidano", ha detto Allen riferendosi inequivocabilmente a Weinstein e Epstein. “Nel corso della mia carriera ho lavorato con centinaia di attrici e nessuna di loro, neanche una volta, ha mai avuto modo di lamentarsi né di me né della mia etica professionale. Ho diretto donne al massimo della loro popolarità per anni e le abbiamo sempre pagate la stessa cifra dei loro colleghi uomini. In pratica ho fatto tutto ciò che il MeToo spera di realizzare", ha poi specificato, schierandosi dalla parte del movimento femminista che dalla sua nascita, l'ha di fatto inserito nella lista dei “carnefici”. Dritto per la sua strada e sicuro del suo comportamento ineccepibile sul set (nemmeno una delle attrici che ha lavorato con lui ha mai sostenuto il contrario, va detto), Mr Allen non è per niente interessato a quello che pensano di lui sulle Hollywood Hills: "Non me ne può fregare di meno. Io non ho mai lavorato a Hollywood, ho sempre lavorato a New York. Se anche più nessuno avesse finanziato i miei film, i miei spettacoli teatrali o pubblicato i miei libri, io mi sarei comunque alzato e avrei continuato a scrivere perché è quello che faccio. Quindi io lavorerò sempre, quello che succede a livello commerciale alle mie opere è un'altra questione. Io non ho neanche mai pensato di ritirarmi". Thanks Scarlett, ma Woody sembra non aver bisogno di nessuna "buona parola".
Candida Morvillo per il “Corriere della Sera” il 15 dicembre 2019. Ventidue anni di matrimonio, due figli, una vita in simbiosi fra Italia, Londra e Los Angeles: il loro sembrava un amore inossidabile. Lui, l' inglese premio Oscar Colin Firth, quando gli hanno intestato una stella sulla Walk of Fame, l' aveva dedicata alla moglie: «Guardo la stella, ma vedo lei, che ha sempre camminato con me». Lei, l'italiana Livia Giuggioli, quando la intervistavano sulla Eco-Age fondata per supportare le aziende sulla via della sostenibilità, diceva «mio marito è la mente, io solo quella che mette a terra le cose». Sembrava che niente potesse scalfirli, a maggior ragione quando l' anno scorso avevano affrontato uniti la bufera mediatica di un tradimento con le recriminazioni a mezzo stampa del presunto amante di lei. Ieri, però, una nota congiunta dei loro avvocati ha annunciato: «Si sono separati. Mantengono una stretta amicizia e rimangono uniti dall' amore per i figli. Chiedono gentilmente che sia rispettata la loro privacy». Colin e Livia si erano conosciuti nel 1996 in Colombia, sul set della miniserie Nostromo . Il nostromo era Claudio Amendola: il trentacinquenne Colin Firth non era ancora così famoso, la Darcy-mania dovuta a Orgoglio e Pregiudizio sarebbe scoppiata da lì a un attimo. Livia aveva 26 anni ed era una studentessa romana giunta lì per un' esperienza da assistente di produzione. Colin, che girava scene a cavallo assai pericolose e aveva appena rischiato di rompersi il collo, racconterà: «Stavo passando momenti miserabili e avevo davanti altri quattro mesi di riprese e lei è apparsa. È stato amore a prima vista, ho immediatamente sentito che era straordinaria. Era una bellezza italiana e la donna più intelligente del pianeta». Narra la biografia scritta da Alison Moloney che lui la vide stringere la mano a tutti e a tutti rivolgersi nella loro lingua e che le chiese subito un appuntamento e, che a fine riprese, erano una cosa sola. Si sposano in niente, il 21 giugno 1997, a Città della Pieve, dove mettono su casa. La Darcy-mania è all' apice e i giornali descrivono Livia come invidiatissima. «Poverina», dirà lui all' Observer , «mi aveva incontrato prima e non mi aveva mai sentito nominare». A costruire la favola contribuisce la mamma della sposa, descrivendo il genero come un lord inglese: «Usa a mia figlia molto rispetto. A Roma, la riportava a casa sempre prima delle 23 e lui dormiva in albergo». Colin, che era reduce da una storia con l' attrice Meg Tilly, dalla quale aveva avuto Will, oggi 29enne, raccontava di aver sempre creduto a un' idea romantica del mestiere d' attore, impossibilitato a innamorarsi per non perdere la creatività: «Idea che Livia ha spazzato via». Così, mentre lei prende un dottorato, lui impara l' italiano e intanto la sua carriera decolla. Arrivano Il diario di Bridget Jones , La ragazza con l' orecchino di perla e I l discorso del Re , Oscar miglior attore 2011. Cresce lui e cresce lei, che nonostante due figli, nati nel 2001 e nel 2003, fa la produttrice, diventa un' attivista per i diritti delle donne e costruisce sulla causa ambientalista una società di consulenza di successo. Colin e Livia, sui red carpet, alle serate benefiche o a Buckingham Palace, sono sempre belli, eleganti ed etici. Tutto molto splendente, finché il 6 marzo 2018 spunta sui giornali una storiaccia d' infedeltà. Si scopre che l' anno prima i Firth hanno denunciato il corrispondente dal Brasile dell' Ansa, Marco Brancaccia. Il giornalista sostiene d' aver avuto con Livia una relazione durata due anni e confessa di aver scritto all' attore per rivelargli di essere stato con la moglie. Presto, lei deve ammettere d' aver frequentato quell' uomo, anche se per poco, fra il 2015 e il 2016, in un periodo in cui lei e il marito si erano separati in segreto. Brancaccia minaccia altre rivelazioni, ma non ci saranno né le rivelazioni né il processo: un accordo extragiudiziale sottrae la vicenda all' ulteriore morbosità. I Firth fanno sapere che è tutto a posto, stanno ancora insieme. Passano poi 17 mesi, e ora si scopre che, forse, di quella tempesta non restava solo l' eroico esempio di aplomb inglese dimostrato da Colin davanti all' email rivelatrice del rivale. Pare che gli avesse risposto: «Lei vuole farmi soffrire, ma a me spiace che soffra anche lei». La suocera aveva ragione: Colin era un gentleman. Difficile che ora si smentisca con dichiarazioni di segno diverso.
Coppie che scoppiano e che resistono: il matrimonio ad Hollywood. Angela Parolin il 30/05/2016 su marieclaire.com. DOPO LA NOTIZIA CHE IL MATRIMONIO TRA JOHNNY DEPP E AMBER HEARD È FINITO, QUALI SONO I MATRIMONI PIÙ BREVI E LUNGHI DI HOLLYWOOD? Non è un bel momento quello per Johnny Depp, dopo esser stato preso di mira dai social l’anno scorso per la trascuratezza con cui si è presentato al Festival di Venezia dell’anno scorso, torna a far parlar di sé. Recente la notizia che il Capitan Sparrow stia divorziando dalla giovane Amber Heard e come allegato alla notizia ci sarebbe un’ordinanza restrittiva per Depp nei confronti dell’ex moglie per violenze domestiche. Sono solo 15 i mesi di matrimonio fra i due, ma tra i divi di Hollywood c’è anche chi è durato molto meno, ma per fortuna ci sono anche coppie che durano dagli anni ’70. E che non si dica che sono le nuove generazioni quelle che non credono nel matrimonio e che non si impegnano a mantenere il rapporto con il proprio partner, è di Rodolfo Valentino e Jean Acker il record del matrimonio più breve della storia, appena sei ore, nemmeno il tempo di digerire il pranzo del ricevimento. Li segue un’altra coppia di attori storici: Ernest Borgnine e Ethel Merman sono stati sposati per 32 giorni. È anche vero, però, che tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000 le celebrità iniziarono a sposarsi e divorziare talmente velocemente da fare la fortuna per le riviste di gossip. Tra questi è il caso di Rick Salomon che nel suo curriculum presenta ben due matrimoni della durata di una stagionatura di una forma di parmigiano: nel 1998 con la sorella Halliwell Shannen Doherty, nove mesi, e nel 2007 con l’ex bagnina di Baywatch Pamela Anderson, 2 mesi; ma entrambe le signore Salomon, avevano alle spalle altri matrimoni brevi. Infatti, nel 1993 il matrimonio tra la Doherty e Ashley Amilton dura 5 mesi, mentre la Anderson, dopo una cerimonia su di uno yacht, rimane sposata con Kid Rock per 3 mesi e 23 giorni. Ma ad Hollywood ci sono anche matrimoni che durano dagli anni ’70, come quello tra la grande Meryl Streep e lo scultore Don Guimme, il loro “I do” risale ben al 1978, e festeggiano 36 anni di matrimonio Dustin Hoffman e Lisa Gottsegen. Tra la generazione più giovani spiccano i matrimoni di Tom Hankscon Rita Wilson e di Hugh Jackman con Debora-Lee Furness. Tom Hanks, dopo aver incontrato la collega sul set di Un ponte di guai, divorzia dalla prima moglie e si sposa nel 1988 con la Wilson, mentre il nostro Wolverine incontra la propria futura moglie, di ben 13 anni più grande, su un set di un film australiano e, dopo essersi messo in ginocchio durante un picnic, nel 1996 diventano marito e moglie. Concludiamo con il matrimonio dello scanzonato Will Smith che dal 1996 è sposato con Jada Pinkett e del Footloose Kevin Bacon che festeggia 28 anni di matrimonio con Kyra Sedgwick, incontrata sul set di Lemon Sky. Ogni tanto, non solo sullo schermo, l’amore vince nell’universo complicato di Hollywood.
QUEST'AMERICA di Anna Guaita Martedì 22 Luglio 2014 su Il Messaggero. Quando la coppia non scoppia. Qualche giorno fa ho promesso a un mio lettore di trattare un argomento positivo. In un commento, il lettore Peaeye scriveva: «I media in generale tendono a riportare cio' che e' negativo ed aberrante molto, molto di piu' del positivo e normale. Prenda Hollywood, per esempio. Ci sono moltissimi attori che non fanno le corna al coniuge e non usano droga. Ma di che cosa parlano quasi sempre giornali e notiziari TV e Internet se non dei divorzi, dell'alcolismo, delle droghe, degli eccessi e dei reati dei famosi?» Io gli ho risposto che è vero, che i media tendono ad attenersi al cinico detto «if it bleeds, it leads» (se è un fatto di sangue, va in prima pagina). Però devo ammettere che anche io soffro del fatto che le buone notizie non “fanno notizia”. E’ vero che internet ha aperto la porta a un’infinità di video teneri e buonisti che hanno milioni e milioni di hits, ma le storie di sangue-omicidi-corna-tradimenti inevitabilmente attirano più click, mentre se ci mettiamo a sfogliare le riviste pettegoliere troveremo una marea di storie di attori e cantanti che si tradiscono, e nessuno o quasi nessun commento su coppie solide e felici come Tom Hanks e Rita Wilson, Michelle Pfeiffer e Michael Kelley, Warren Beatty e Annette Bening, Hugh Jackman e Deborra Furness. Potrei andare avanti: sapete che Denzel Washington e Pauletta Pearson sono sposati da 32 anni, hanno 4 figli, e lui ha candidamente ammesso che si era innamorato lui per primo e che lei aveva rifiutato ben tre richieste di matrimonio prima di cedere? Che Jeff Bridges e Susan Geston sono marito e moglie da 33 anni e che lui non si vergogna di dire pubblicamente che nel 1977 si era innamorato nell’arco di una settimana, ed era così cotto che si ridusse a inseguire quella giovane fotografa per mezza America, e che da allora durante tutti questi anni insieme e la nascita di tre figli il segreto della loro felicità è che tutti e due hanno un forte senso dell’umorismo, amano molto flirtare, preservare la loro intimità e fare spesso l’amore? E Dustin Hoffman e Lisa Gottsegen sono sposati da 34 anni, hanno 4 figli, 2 nipoti, e hanno una loro ricetta per tenere vivo l’amore: «Essere onesti l’uno con l’altro – dice Dustin -: vi assicuro che è un modo per continuare a volersi bene». Di coppie non scoppiate Hollywood è piena, anche fra i 40-50enni. Pensate a Ben Affleck e Jennifer Garner, a Sarah Jessica Parker e Matthew Broderick, a Kyra Sedgwick e Kevin Bacon. Sono raramente sotto i riflettori dei pettegolezzi, e condividono una simile ricetta: «Facciamo del tutto per passare tempo da soli – rivela Jennifer - anche dedicandoci a piccole cose di poca importanza». Ma no, le coppie felici sono uno dei segreti meglio protetti di Hollywood. Scommetto che nessuno di voi sa che Meryl Streep è sposata da 36 anni allo scultore Don Gummer, che hanno 4 figli e vivono vite assolutamente normali, come me e voi, e la sera discutono su chi dovrebbe mettere i piatti nella lavastoviglie. L’attrice che ha vinto tre Oscar, otto Glden Globes, due Emmys e non so più che altro, dice con semplicità : «Se non avessi Don al mio fianco, sarei emotivamente morta. Non so cosa farei se non avessi mio marito». Tutti ricorderanno che a lungo la coppia più esemplare e solida del mondo del cinema fu quella di Paul Newman e Joanne Woodward. Per 50 anni, paparazzi e cronache rosa tentarono di attribuire a questi due attori bellissimi e “roventi” relazioni extraconiugali. Si dice che un giorno Paul abbia reagito irritato: «Perché dovremmo cercare un hamburger fuori, quando a casa ci aspetta una bistecca?» Pare che in realtà sia una frase apocrifa, oltreché alquanto volgaruccia. Quel che è vero è che nel 2005, tre anni prima che il cancro lo stroncasse, Paul Newman ha effettivamente raccontato il segreto del loro lungo e felice matrimonio in una intervista a un mensile: «Perché fare del male al proprio compagno? Nessuno è obbligato a restare sposato se non lo vuole – ha detto -. La porta non è chiusa a chiave. Noi siamo sempre rimasti insieme per il fatto che ci vogliamo bene, che ci piace essere sposati e che pur essendo persone molto diverse, siamo pazienti l’uno verso l’altro e non ci soffochiamo a vicenda». Ecco, caro Peaeye, le consegno una bella notizia: anche Hollywood è piena di persone leali, fedeli ai compagni, persone che non sniffano coca, che non si ubriacano e che crescono con affetto e devozione figli sani e belli. Mi farebbe piacere che qualcuno ci raccontasse lo stesso di attori e celebrità italiane. Non saremo mica tanto diversi, no?
Maria Teresa Moschillo per Mondo Fox l'8 maggio 2017. Stanno insieme dal 1983, ma non hanno mai pensato neppure per un attimo di sposarsi. Goldie Hawn e Kurt Russell sono una delle coppie più invidiate e longeve di Hollywood. A suggellare la loro unione in modo ufficiale - ormai escluso il fatidico "Sì, lo voglio"! - ci hanno pensato le due stelle che da ieri ornano la celebre Walk of Fame con i loro nomi. Sono l'una accanto all'altra e lo saranno per sempre. Come riportato da Variety, la coppia è stata premiata con l'assegnazione delle tanto sospirate stelle lungo l'iconica passeggiata hollywoodiana. Con loro c'erano Kate Hudson - figlia avuta da Goldie Hawn con il precedente marito Bill Hudson (e che non sta con Brad Pitt!) - i suoi fratelli Oliver Hudson e Wyatt - l'unico figlio che l'attrice ha avuto da Russell - e alcuni cari amici, tra cui Quentin Tarantino e Reese Whiterspoon.
Reese ha tenuto un toccante discorso durante la cerimonia di consegna delle stelle e ha faticato a trattenere le lacrime! La prima volta che mi sono innamorata di una star del cinema si è trattato di Goldie Hawn. Oh mio Dio, mi viene da piangere! Non riesco ancora a credere che lei mi abbia chiesto di essere qui oggi. Sono la sua più grande fan, è il mio idolo. Lei ha fatto in modo che le donne facessero finalmente cose diverse nei film, ha ispirato tutte noi. Grazie per averci fatto sorridere.
La Whiterspoon ha ribadito la sua emozione con un affettuoso post condiviso su Instagram. L'atmosfera della cerimonia è stata estremamente gioiosa - lacrime di Reese a parte! - e Goldie e Kurt si sono prestati volentieri ai flash dei fotografi, tra tenerezze e baci. I due sono apparsi come sempre uniti e complici, molto affiatati e visibilmente emozionati. Come riportato da People, Goldie non ha potuto fare a meno di commentare con la sua consueta ironia.
Non avevamo mai avuto una cerimonia così prima d'ora. Alla fine è come se ci fossimo sposati! E ancora: Questo significa molto per me e mi fa riflettere. Quando sono venuta qui per la prima volta ero una ballerina e ho portato le mie scarpette da ballo in cerca di un agente. Non ho trovato un agente, ma ho trovato un favoloso dentista. Questa stella fa parte di tanti "sì". Non avevo idea di cosa significasse essere una stella quando le persone non sapevano neppure chi fossi. Nella vita ho detto sì a Kurt Russell. Ho detto sì a Bill Hudson e senza di lui non avrei avuto Katie e Oliver. Vorrei che mia madre e mio padre potessero vedermi!
Ovviamente, anche Kurt Russell ha detto la sua. Grazie ai miei figli Boston, Oliver, Kate e Wyatt. Qualsiasi padre si sentirebbe benedetto ad avervi ricevuto in dono. Goldie, a te devo tutta la mia meravigliosa vita. Ti amo, Goldie. Tutte le stelle del cielo o di questo viale non valgono quanto te. Non c'è nessun altro che che potrei desiderare più di Goldie Hawn. Questo riconoscimento è arrivato in un momento d'oro per la carriera dei due attori. Goldie tornerà presto al cinema con la commedia Snatched, mentre Kurt Russell è attualmente sugli schermi con Guardiani della Galassia Vol. 2.
"La nostra relazione è come una montagna da scalare". Orlando Bloom è innamoratissimo della sua Katy Perry. Orlando Bloom in una recente intervista dichiara tutto il suo amore verso Katy Perry, intanto i due pensano con ponderazione al matrimonio. Carlo Lanna, Venerdì 23/08/2019, su Il giornale. Nel corso di quest’anno si dovrebbe celebrare uno dei matrimoni vip più attesi. L’attore Orlando Bloom e la cantante Katy Perry presto o tardi convoleranno a nozze e, dopo un periodo di crisi, i due ora sono più innamorati che mai. Schivi dai paparazzi, sono stati fotografati insieme qualche giorno fa per la premiere di "Carnival Row", la serie Amazon di cui Bloom è protagonista. Proprio in questa occasione l’attore è stato intervistato da Yahoo, e incalzato sulla sua relazione con Katy Perry, ha confessato tutto l’amore che prova per la cantante di “I Kissed a Girl”. "Siamo molto abitudinari in tutto quello che facciamo. A casa abbiamo una lavagna su cui ci scambiamo frasi d’amore – rivela l’artista -. Il segreto della nostra unione? La continua voglia di cambiamento, crescita ed evoluzione". Un amore che fino a qualche tempo fa è rimasto celato e di cui ora Orlando Bloom non può far a meno di professare. "Katy è una donna straordinaria. Anche se prima di conoscere lei sono stato già sposato e divorziato, non ho alcuna intenzione di ripetere gli errori del passato –confessa -. Entrambi siamo consapevoli di cosa significa il matrimonio." E poi aggiunge. "La nostra storia è come una montagna da scalare. Lei ama le cose semplici e io apprezzo Katy proprio per questo". In attesa di conoscere la data del loro matrimonio, sembra che l’unione fra i due è impossibile da scalfire. Neanche le recenti accuse di molestie ai danni della Perry hanno smosso il cuore di Orlando Bloom.
Coppie famose che si sono lasciate… ma insieme stavano benissimo. Johnny Depp e Kate Moss? Gwyneth Paltrow e Chris Martin? Coppie scoppiate che rimpiangiamo. Perché? Manuela Ravasio il 31/07/2015. Le coppie dell'estate 2015. C'eravamo tanto amati: eppure ora meglio non incontrarsi in giro potrebbero dirsi, stando ai rumors. Megan Fox e Brian Austin Green si sono detti addio dopo 11 anni insieme, Will Smith e Jada Pinkett sono sull'orlo del divorzio: altro addio hollywoodiano in questa estate 2015? Ma che succede all'ex Principe di Bel Air che è riuscito a fare di una famiglia una spa di talenti (vedi Willow Smith nuovo volto di Marc Jacobs)? Succede che dalla semplice ironia dell'essersi trovato tra i Google Alert per un presunto divorzio dalla moglie e averne riso assai (così ha confessato Smith) si passa ai rumors sempre più insistenti che dichiarano: dopo 17 anni la coppia starebbe divorziando. E anche in pompa magna (vedi 240 milioni di dollari da spartire). Will continua, però, a dichiarare via social «So, in the interest of redundant, repetitious, over & over-again-ness... Jada and I are... NOT GETTING A DIVORCE!!!!!!!!!!!!!». Prima di loro: Charlize Theron e Sean Penn, freschi di rottura dopo il Festival di Cannes. Perché più del voyeurismo delle cabine nei bagni mediterranei tira il voyeurismo dei tempi andati? Ovvero la nostalgia per coppie famose che insieme non stanno più ma che rimpiangiamo ancora quando arriva l'ora del becero (e amato) gossip? Perché Jennifer Aniston rimane sempre e comunque la preferita ad Angelina Jolie - nonostante la Jolie provi a mettere bandiere di pace in tutto il pianeta? Il caso, ultimo e ancora caldo, è dato dalla coppia Johnny Depp e neo moglie Amber Rose. Di Depp si parla perché non di soli Pirati dei Carabi vive Depp e al botteghino su altri film sta facendo cilecca, della coppia Depp-Rose si (s)parla perché ci sono troppe ex con cui il neo cinquantenne volto di Dior stava meglio. Ma non solo Depp-Rose anche il tormentone Paltrow-Martin-Lawrence continua a mantenere caldi gli animi: Jennifer Lawrence e Chris Martin starebbero di nuovo insieme ma senza averlo comunicato al mondo intero, eppure con la ex moglie Gwyneth Paltrow il cantate dei Coldplay continua a farci vacanze e incontri felici (dicono per il bene dei figli). Ma il punto rimane: come è possibile che Gwyneth Paltrow fosse antipaticissima prima - quando era compagna di Martin - ma ora risulta simpaticissima con il cuore semi-rotto per la fine del matrimonio? E ancora: se Hollywood ci ha insegnato che le coppie che non scoppiano alla fine esplodono (vedi Tim Robbins e Susan Sarandon, Melanie Griffith e Antonio Banderas) perché ci ostiniamo a credere che lontano da Los Angeles le cose vadano meglio, specie a coppie idilliache per outfit e lifestyle? I cinque anni di amore tra Alexa Chung e Alex Turner erano la notizia più felice che l'Inghilterra avesse avuto (altro che polpettone Kate-William), eppure sono esplosi in sordina anche loro…e che dire di quando Monica Bellucci ha dichiarato amore eterno e aperto a Vincent Cassel ma ognuno a casa sua (e magari con altri in camera da letto)? Anche la Los Angeles più cool formata dall'ex di Sofia Coppola Spike Jonze e Karen O ha resistito dopo meravigliosi mesi di amore e matrimoni artistici: ma poi arrivederci. E che dire delle coppie "rimaniamo amici": per quanto Jessica Biel e Justin Timberlake siano adorabili in versione genitoriale chi non ha sognato il ritorno di fiamma con Cameron Diaz quando tra i due neo-genitori non tirava una bell'aria? Del resto Cameron Diaz neo sposa con Benji Madden non era la cougar numero uno (in tempi in cui neppure Cougar Town con Courteny Cox andava in onda)? C'eravamo tanto innamorati - di loro.
Alexa Chung e Alex Turner. Lei è la it-girl del Regno Unito, lui l'enfant prodige che spacca il cuore con gli Artic Monkeys: sono la coppia perfetta dal 2007 al 2011. Poi si lasciano e da qualche mese Alexa sta con Alexander Skasgard attore di True Blood.
Chris Martin e Gwyneth Paltrow. Sposati dal 2003 hanno avuto due figli, Apple Blythe Alison e Moses Bruce Anthony. Si separano nel marzo 2014. Lui ora flirta con Jennifer Lawrence.
Diane Keaton e Woody Allen. Si conoscono nel 1968, girano insieme sette film, vince l'Oscar con il film che Woody scrive su loro, Annie Hall. Diane lo lascia per Warren Beatty nel 1978.
Gli Scoppiati. Tutte le coppie che si sono amate e abbiamo amato.
Jennifer Aniston e Brad Pitt. Nel 1997 conosce Brad Pitt, lei è la stella Friends, lui l'uomo d'America. Si sposano nel 2000 nel 2005 si separano: perché lui ha già perso la testa per Angelina Jolie. Dopo il cuore a pezzi Jennifer si fidanza nel 2011 con Justin Theroux.
Johnny Depp e Kate Moss. Kate Moss conosce Johnny Depp quando lui è appena uscito dalla relazione con Winona. Boom: coppia mediatica ritratta da Ron Galella ovunque.
Karen O e Spike Jonze. Spike Jonze ex marito della Coppola ha una relazione con Karen O a partire dal 2005, insieme i due lavorano su Nel paese delle creature selvagge e Her si lasciano nel 2011 e Karen sposa Barney Clay.
Liz Hurley e Hugh Grant. Hugh Grant per 13 anni è il brit man a fianco di Liz Hurley vestita di spacchi by Versace. Lo scandalo scoppia quando nel 1995 è fotografato con una prostituta. Si lasciano 5 anni dopo.
Madonna e Guy Ritchie. Fine 1998 dopo Sean Penn e Carlos Leon arriva il regista inglese. Hanno un figlio, Rocco, si sposano in un castello in Scozia nel 2000, adottano David Banda nel 2005. Divorziano nel 2008.
Megan Fox e Brian Austin Green.
Melanie Griffith e Antonio Banderas. Nessuna ci credeva ma dopo 18 anni la coppia bollente Melanie Griffith e Antonio Banderas si lasciano nel 2014: insieme hanno una figlia, Stella.
Monica Bellucci e Vincent Cassel. Italia-Francia: si sposano si amano, si lasciano. E tutti parlano di flirt di Monica con un magnate a zero.
Salma Hayek e Edward Norton. Si conoscono nel 1999 e rimangono fidanzati fino al 2003: lei poi si innamora di Francois-Henri Pinault da cui ha avuto una figlia nel 2007. Edward ci prova con Drew Barryomore ma sposa Shauna Robertson nel 2013.
Vanessa Paradis e Johnny Depp. Si conoscono nel 1998, hanno due figli, Lily Rose Melody e John Jack Christopher: vivono in un castello in Francia. Divorziano dopo 14 anni, nel 2012. Lui sposa nel 2015 Amber Heard.
Will Smith e Jada Pinkett. dopo 17 anni la coppia starebbe divorziando. E anche in pompa magna (vedi 240 milioni di dollari da spartire).
Cameron Diaz e Justin Timberlake. Ora sono entrambi felici e sposati ma dal 2003 al 2006 sono la coppia d'oro tutta basket e party.
Demi Moore e bruce Willis. Prima di finire in depressione per la rottura con Asthon Kutcher Demi ha avuto una lunga e felice relazione matrimoniale con Bruce Wills, suo marito dal 1987 al 2000 da cui ha avuto tre figlie.
Johnny Depp e Winona Ryder. Dal 1989 al 1993 sono la coppia grunge per eccellenza: recitano insieme in Edward Mani di Forbici e lui porta fiero il tatuaggio Winona Forever. Poi si lasciano e arriva Kate Moss…Per Winona no more love.
Robin Wright e Sean Penn. Sean Penn dopo Madonna ama solo Robin Wright, da cui ha due figli, Dylan Frances e Hopper Jack: divorziano nel 2010. Penn si fidanza con Charlize Theron nel 2013 ma la coppia sembra essere già scoppiata.
Susan Sarandon e Tim Robbins. La coppia più solida di Hollywood dura dal 1988 al 2009, lei è più grande di lui di 12 anni, insieme hanno due figli Jack Henry e Miles. La Sarandon, oggi 69enne è fidanzata con un broker di 30 anni più piccolo, Jonathan Bricklin.
Uma Thurman e Ethan Hawke. Si sposano il 1 maggio del 1998, hanno due figli, Maya Ray e Levon Roan, divorziano nel 2005 e tre anni dopo Ethan sposa la loro baby sitter Ryan.
Scandali di Hollywood: i 10 casi che hanno scosso il mondo delle star. Thewebcoffee il 12 Settembre 2018. Hollywood Babilonia: i dieci scandali che hanno scosso il mondo delle star. Si sa, le star di Hollywood sono sempre sotto i riflettori, ed essere famosi e popolari è qualcosa che non tutti riescono a gestire facilmente. Non esiste privacy. Tra tutti gli scandali, alcuni possono rovinare la carriera dei nostri beniamini, di qualcuno ne avrete sicuramente sentito tanto parlare. Ecco quindi dieci scandali che hanno scosso le fondamenta di Hollywood!
Chris Brown e le percosse a Rihanna. Bene, dobbiamo ammettere che Chris Brown è un buon cantante e un bravo ballerino, ma ha scaricato la sua promettente carriera nel bagno, dopo aver picchiato la sua ex ragazza, Rihanna. Per questo motivo il cantante era stato arrestato però, dopo aver pagato una cauzione di 50.000 dollari, venne subito rilasciato. Secondo quanto riferito dal The News Of The World, Rihanna aveva perdonato il violento Brown, ma ha cambiato idea dopo aver discusso con la sua famiglia e con gli amici vicini.
Sandra Bullock, Jesse James e la dipendenza da sesso. Tre giorni dopo che Sandra Bullock si era aggiudicata il suo primo Oscar nel 2010, si è scoperto che il marito Jesse James era colpevole di tradimento, nei confronti della moglie, con diverse donne, da lungo tempo. James è diventato – per sua stessa ammissione – “l’uomo più odiato del mondo”. In seguito allo scandalo, Jesse James si è fatto curare in rehab per dipendenza dal sesso, mentre la Bullock ha subito chiesto il divorzio. Ciò, però, non l’ha fermata, e ha deciso di continuare il processo di adozione di suo figlio Louis, da sola. Anni più tardi, James ha affermato di non avere "rimpianti“.
Britney Spears fuori controllo si rasa la testa. Dopo l’ennesima serata di follia, Britney Spears si ritrova senza capelli. Sempre sotto i riflettori, nel bene o nel male, l’importante è che se ne parli. Dopo essere stata brevemente ricoverata in un centro di disintossicazione, la cantante è entrata dal suo parrucchiere di Los Angeles, ha preso un rasoio elettrico e si è rasata a zero, da sola, sotto gli occhi di decine di testimoni stupiti. I familiari hanno dichiarato pubblicamente che la donna in quel periodo “stava mandando a rotoli la sua vita”.
“E’ entrata e ha detto che voleva rasarsi la testa e quando abbiamo rifiutato di farlo, ha afferrato il rasoio elettrico e fatto tutto da sola”, ha raccontato il parrucchiere. Inutile dire che le foto della cantante calva sono presto diventate virali.
Brad Pitt e Jennifer Aniston divorziano. Brad Pitt e Jennifer Aniston una volta erano conosciuti come la coppia di potere di Hollywood, prima che Angelina Jolie entrasse in scena. Aniston e Pitt erano sposati da cinque anni e stavano insieme da sette. La coppia si separò nel 2005. Brad e Angelina si sono innamorati sul set di ‘Mr. & Mrs. Smith‘ e sono stati insieme da allora, prima di dividersi nel 2016.
Woody Allen sposa la figliastra. Woody Allen ha letteralmente scioccato il mondo nel 1992. Allen aveva una relazione con Mia Farrow sin dal 1980, ed insieme avevano dei figli adottivi. Nel 1992 Farrow scoprì alcune foto compromettenti di Woody con una delle figliastre di 20 anni e si scatenò l’inferno. Allen lasciò Mia e si sposò con Soon-Yi Previn il 22 dicembre del 1997. Sono coppia da allora.
Scandalo a luci rosse per Ben Afflleck. Ben Affleck è sicuramente il protagonista di uno degli scandali più recenti: finito nell’occhio del mirino mediatico, l’attore ed ex marito di Jennifer Garner, è stato accusato di aver molestato un’attrice e poi una conduttrice tv durante una trasmissione. L’attrice è Hilarie Burton, e sull’onda emotiva scatenata dal caso Weinstein, ha dichiarato di aver subito molestie dall’attore. Era il 2003 e la ragazza, allora 21enne, conduceva un programma su Mtv. È stato lì che Affleck, ospite, le si è avvicinato e le ha toccato il seno sinistro. <<Ci risi su per non piangere. Ero una ragazzina e non lo dimentico>>, ha twittato la Burton. E poche ore dopo l’attore si è scusato pubblicamente, anche lui rigorosamente con un tweet. Ed è una doppia denuncia, quella piovuta in casa Affleck per molestie sessuali, che penderebbe anche sul capo del fratello Casey Affleck, mossa da due donne che hanno collaborato alla realizzazione di Io sono qui, documentario dedicato a River Phoenix. Un’accusa infamante, tanto che quando vinse l’Oscar nessuno lo applaudì.
Ira in India per un bacio di Richard Gere. Un bacio in pubblico di Richard Gere dà scandalo in India. L’attore, testimonial di una campagna anti-AIDS, ha scatenato la rivolta dei nazionalisti hindu, scesi in piazza a Mumbai, Varanasi e Meerut per gridare la loro rabbia. «Uccidiamo l’infedele che ha infangato la nostra cultura», avevano inneggiato in piazza gli estremisti hindu, contro l’attrice Shilpa Shetty, 31 anni, addirittura oggetto di minacce di morte dopo il bacio con il famoso attore americano, 57 anni, di fede buddista.
La morte di Brandon Lee. Senza ombra di dubbio, però, tra le scomparse più misteriose, svolte nelle più oscure circostanze, figura la morte di Brandon Lee. Trasfigurato nel protagonista Eric Draven, Brandon sarebbe dovuto entrare in un appartamento ricreato sul set de Il Corvo. Con in mano le buste della spesa. doveva essere aggredito, stando alla sceneggiatura del film, da alcuni malfattori. L’attore Michael Massee, interpretando il personaggio di Funboy, avrebbe dovuto sparare al giovane attore di origini asiatiche. Si sarebbe dovuto trattare di una semplice ripresa. Eppure, negli studi di Los Angeles a otto giorni dalla fine delle riprese per Il Corvo, la scena divenne mortale. Era il 31 marzo 1993.
Le spose bambine di Charlie Chaplin. Chaplin era il più amato di tutte le stelle del cinema muto. Ma aveva anche una predilezione per donne molto giovani. La sua prima moglie, Mildred Harris, aveva solo 17 anni (e Chaplin 29), quando si sono sposati nel 1918 per una gravidanza: hanno divorziato nel 1921. Chaplin ha poi sposato la sedicenne Lita Grey nel Messico, a causa di una gravidanza. La sua terza moglie, Paulette Goddard, aveva 21 anni quando hanno iniziato a frequentarsi, ma la sua quarta e ultima moglie, Oona O’Neill (nella foto), aveva 18 anni (al lui 54) quando si sposarono, il 16 giugno del 1943 e rimasero insieme fino alla morte di lui, il 25 dicembre del 1977.
Bill Cosby. Nell’immaginario collettivo è soprattutto il protagonista della serie televisiva «I Robinson», il moraleggiante papà che tutti, negli anni Ottanta, sognavamo di avere. Tu combini un disastro, lui ti aiuta a uscirne senza fartela pesare troppo, ma comunque spiegandoti com’è che si deve stare al mondo. Pensate un po’ all’impatto che ebbero le accuse di stupro, piovutegli addosso a partire dal 2004. Triste ma vero: il Dottor Robinson esisteva soltanto sul piccolo schermo.
Non solo Harvey Weinstein & Co: I 50 scandali che avevano già sconvolto Hollywood. Antonella Catena il 17 ottobre 2017 su Amica. Non solo Harvey Weinstein (e Kevin Spacey, Dustin Hoffman & Co)… La storia di Hollywood è fatta di scandali sessuali che hanno coinvolto divi, registi, produttori tutti potentissimi. Scandali fisici come quello dell’ex boss della Miramax (1.0 potremmo definirli: tradizionali) e virtuali, con al centro sex tape e/o foto “private” rubati, hackerati e pubblicati sul web (2.0, quindi). Eccovi la lista degli scandali (reali e virtuali) che hanno fatto la storia di Hollywood. Jennifer Lopez: nel 2011 è al centro dello scandalo del sex tape girato durante la luna di miele del 1997, protagonisti tra le lenzuola lei e il primo marito Ojani Noa. Fu lui stesso a farlo circolare, cercando di venderlo al miglior offerente? Così si disse all’epoca. JLO portò l’ex marito in tribunale, e il giudice decretò che il video non poteva essere pubblicato. Da allora il sex tape è in un deposito della polizia, di Los Angeles ma periodicamente il socio di Noa minaccia di impugnare la prima sentenza…
Hugh Grant: la prostituta Divine Brown poteva essergli fatale. Nel 1995, l’anno dopo “Quattro matrimoni e un funerale”, lo beccarono a Los Angeles, in atteggiamenti inequivocabili per cui aveva pagato 50 dollari (la tariffa di DB). Invece ce l’ha fatta a ritornare la star che era (anzi, di più). La fidanzata allora in carica Liz Hurley, dopo avergli imposto il test dell’HIV, gli è rimasta amica.
Jennifer Lawrence: mai rubare foto private all’attrice più ricca del reame hollywoodiano, soprattutto se è una tosta come JLaw. L’ha imparato a sue spese l’hacker che un paio di anni fa (quando lei era l’attrice più pagata) ha rubato dallo smartphone dell’attrice circa 60 foto “private”. Perez Hilton le pubblicò sul suo sito, ma le rimosse subito, per paura di ritorsioni da parte della potentissima JLaw. All’hacker/ladro andò meglio con il furto delle foto nude di Ariana Grande e Kate Upton.
Bill Cosby: prima che scoppiasse lo scandalo Harvey Weinstein, con 60 donne molestate dagli Anni 70 (colleghe, collaboratrici, aspiranti attrici, una Miss America), era lui il “mostro”. Lo scandalo scoppiò nel 2014: nel giugno 2017, l’attore è apparso in tribunale ma il processo è stato annullato e dovrebbe essere riaperto nei prossimi mesi (i giurati non hanno trovato un accordo, ma le accuse restano). In mezzo, la cover del “New York” con le fotografie di tutte le sue vittime e la difesa della figlia di lui (”Sono accuse razziste, dietro a queste donne c’è la paura che mio padre ha sempre fatto all’establishment”). Altro che Dottor Robinson…
Miley Cyrus in realtà voleva fare un regalo al boy friend Liam Hemsworth. Così chiese all’amico fotografo Vijat Mohindra di scattarle qualche immagine “privata”. L’amico obbedì, ma poi mise tutto sul suo sito. La cantante all’epoca aveva solo 18 anni appena compiuti
Rihanna fu al centro dello scandalo nel 2009, quando sue foto nude (“Private”, disse) apparvero online. BadRiRi mise subito tutti ko, facendo calare il silenzio assoluto.
Woody Allen: lui la sua amante monorenne/figlia adottiva della moglie allora in carica l’ha sposata. Tutto cominciò quando Mia Farrow trovò le foto nude della giovanissima figlia Soon Yi nei cassetti dell’allora marito. Aggiungete l’accusa di violenza della figlia adottiva Dylan Farrow.
Michael Jackson: la rivista online Radar ha scritto che nel ranch di Neverland, dopo la sua morte, furono ritrovati “documenti che mostrano che era un manipolatore, un perverso che usava droga e sesso folle, sangue e immagini sessualmente esplicite per piegare i bambini alla sua volontà. C’erano immagini disgustose e assolutamente scioccanti di torture sui bambini, bambini e adulti nudi e sesso femminile sadomaso”…
Marilyn Monroe: da un divano di produttore all’altro, per diventare una super star (e morirne). Leggete “Blonde” di Joyce Carol Oates (Bompiani) e capirete cosa significa subire il casting couch (divano del produttore, appunto).
Harry Cohn: il produttore che inventò la leggenda del casting couch da cui sono passate, oltre alla Monroe, giovani aspiranti attrici, attricette e super star della Hollywood degli Anni d’oro come Lana Turner, Gloria Swanson, Joan Crawford, Ava Gardner… Si dice che fu lui il primo a cominciare la “tradizione” alla Columbia, dove aveva un “private room” comunicante col suo ufficio. Darryl F. Zanuck (boss della Warner Bros e poi della 20th Century Fox), “riceveva” tutti i giorni dalle 16 alle 16.30. Judy Garland, nelle sue memorie, ha scritto di essere stata molestata a 16 anni da Louis B. Mayer, mogul della MGM…
Scarlett Johansson nel 2011 era sposata con Ryan Reynolds. Durò pochissimo ma lui fece in tempo a fotografare l’intimità della consorte: scatti “per uso personale”, che però qualcuno rubò, mise sul web e regalò al mondo. Il matrimonio finì poco dopo. Ryan non ne ha mai parlato. Scarlett invece ha detto: “Non me ne pento: erano foto private e io faccio ciò che voglio col mio corpo. È chi le ha rubate che è malato”.
Roman Polanski: non solo il caso di violenza alla tredicenne Samantha Geimer nel 1977 (a casa di jack Nicholson), per cui, per scappare al secondo mandato d’arresto, scappò dagli States e ancora non può tornarci. Altre tre donne lo accusano di violenza carnale: di cui l’ultima, una svizzera, è uscita allo scoperto a cavallo dello scoppio del caso Weinstein.
Christina Hendricks, la segretaria red hair più famosa della tv (complici anche i vestiti/scollature Anni 60 di Mad Men) è stata al centro dello scandalo hot delle foto in topless rubate e messe on line nel 2012. Riuscì a farle ritirare, dichiarando anche che non era lei ma un’altra donna: nessuno le credette, però. Le sue misure non sono certo comuni.
Paris Hilton nel 2005 finì on line con dozzine di foto nude, alcune di lei in compagnia di un’altra donna. In realtà lo scandalo rientrò subito, tanto PH era inflazionata (la chiamavano prezzemolina): si parlò molto di più di quanto i suoi amici celeb fossero terrorizzati dal fatto che, oltre alle foto, le avessero anche rubato l’agenda con tutti i loro indirizzi.
Michael Douglas: nel rehab per sex addicted in Arizona, prima di Harvey Weinstein, ci è andato lui, auto denunciatosi malato di dipendenza sessuale già negli Anni 90. Nel 2013 la moglie Catherina Zeta Jones ha minacciato il divorzio, dopo che Michael aveva dichiarato di aver contratto il cancro per il troppo sesso orale praticato.
Kim Kardashian c’è cascata più volte (e come dubitarne): il primo scandalo fu per il video sexy con l’ex Ray J. Sono seguiti poi quello per le fotografie in cui nuda cuoceva le uova (!!!!) e infinie quello legato alle immagini “per uso personale” che il marito Kanye West avrebbe tweettato lui stesso (involontariamente?)… Aggiungete i fake della quasi sosia Amia Miley (professione porno star) che periodicamente ricompaiono nel web.
Justin Timberlake ha imparato a sue spese che con Mila Kunis i giochi possono diventare pericolosi. Nel 2011 i due avevano girato insieme Amici di letto e si erano scattati delle foto “particolari” che lei teneva sul cellulare. In una lui era sdraiato nudo sul letto, in un’altra aveva un paio di shorts rosa in testa e nella terza mostrava in primo piano i suoi genitali. Quando qualcuno rubò il cell dell’attrice e fece circolare le foto, Mila e Justin negarono tutto quello che il sito TMZ aveva scritto a proposito.
John Travolta e il caso del massaggiatore, a quanto pare palpeggiato un po’ troppo dall’attore. Il sexsual harasssment non conosce discriminazione sessuale, a quanto pare. Quando uscì la notizia, un non certo fedelissimo assistente dell’attore rivelò al mondo che JT era gay e aveva avuto una relazione di 6 anni con un uomo…
Arnold Schwarzenegger: sposato a una Kennedy (Maria Shriver, per la cronaca), governatore della California. Il tempo di non esserlo più e, nel 2011, si scoprì della sua passione per il sesso fuori dal matrimonio e del figlio avuto dalla ex domestica. La moglie lo lasciò dopo 25 anni di matrimonio.
Kristin Davis, la Charlotte di Sex and the City, ha imparato a sue spese che gli ex sono altamente pericolsi, soprattutto quando loro non sono più nessuno e tu sei diventata invece una star tv. Nel 2008 alcune foto dell’attrice nuda girarono sul web: a scattarle, nel 1992, l’ex Eric Stapelman. Attraverso i suoi avvocati, l’attrice fece ritirare le foto pubblicate sul sito TMZ, dopo aver comunque dichiarato che erano fake, false.
Tiger Woods: carriera e vita finita dopo lo scandalo sessuale del 2009. Prima il multiplo tradimento, poi la dichiarazione di sex addiction. Recidivo.
David Letterman: i tradimenti confessati in diretta, nel suo show. Nel 2009 comincia una relazione con una sua assistente e subisce il ricatto di un produttore dello show che vuole 2 milioni di dollari in cambio del silenzio. David Letterman invece lo denunciò, confessando anche il proprio tardimento, in diretta tv: non perse né la moglié nè il posto alla CBS.
Jessica Alba nel 2010, mentre era incinta della prima figlia Honor (ora aspetta la terza) fu vittima di un hacker che rubò e pubblicò foto di lei topless. La stessa cosa toccò anche a Christina Aguilera (che non era incinta).
Vanessa Williams: nel 1984 la prima Miss America black perse il titolo (e oltre 2 milioni di dollari in contratti pubblicitari) per essere apparsa nuda su Penthouse. Nuda e con un’altra donna.
Vanessa Hudgens: nel 2007, a 18 anni, per i fan era ancora la star disneyana di High School Musical. Pensate lo shock (o il contrario?) quando sul web apparvero foto di lei in look e pose non propriamente disneyane… Foto vere, scattate con la sua approvazione, di cui VH periodicamente continua a dirsi pentita (“È stato il momento peggiore della mia vita”).
Ben Affleck si è scagliato definendosi “scioccato” contro Harvey Weinstein, ma subito dopo uno stuolo di attrici ha raccontato delle sue avances/ dichiarazioni non proprio da gentiluomo.
Taylor Swift ha rischiato due volte. Dopo la rottura con Harry Styles qualcuno minacciò di regalarci immagini hot della coppia. Ma non successe nulla. Forse per paura del precedente: ovvero quando gli avvocati della cantante americana erano intervenuti a gamba tesa contro il sito Celeb Jihad che aveva pubblicato sue foto in topless. Erano falsi, dissero. Ma pretesero il ritiro immediato dal web.
Rob Lowe: nel 1989, a 22 anni, il bellissimo RB rischiò la carriera appena cominciata quando un video sexy di lui con una ragazza fece il giro del pianeta. Soprattutto perché lei era visibilmente minorenne. Lui si difese non negando i fatti, ma dicendo che era convinto che la ragazza avesse 21 anni. A tutt’oggi giudica le reazioni “esagerate”.
Colin Farrell nel 2006 ha scoperto a proprie spese il lato negativo dell’avere una relazione (“Soprattutto sessuale”) con una playmate. Nel suo caso, è stata Nicole Narain, una volta lasciata da lui e anche in crollo professionale, a vendicarsi mettendo in rete le prove visive delle loro acrobazie sessuali. Non solo tra le lenzuola. Colin poi è riuscito a far bloccare il video, ma troppo tardi: chi era riuscito a vederlo, non l’ha mai dimenticato.
Eric Dane, la star di Grey’s Anatomy, e la moglie Rebecca Gayheart nel 2009 sono stati i protagonisti di un triangolo molto hot con Kari Ann Peniche, tutto filmato e fatto circolare nonostante, come dissero i due, si trattasse “di un semplice divertimento privato”.
Charlie Sheen: oltre alla droga e all’Aids, l’addiction mai curata per i festini porno, per cui avrebbe pagato giovani attori/attrici dai 25.000 ai 35.000 dollari. La moglie (una delle 5) Denise Richards l’ha lasciato quando qualcuno ha parlato…
Charles Chaplin: ha sposato 17enni (Mildred Harris, la prima moglie), 16enni (Lita Grey) e 18enni (Oona O’Neill). Sullo schermo era Charlot, nella vita adorava le lolite.
Casey Affleck: un Oscar (nel 2017, come Miglior attore protagonista per Manchester by the Sea) e l’accusa accusa di molestie sessuali plurime ai danni di due donne, nel 2010. In entrambi i casi fu raggiunto un accordo, senza che l’attore fosse portato in tribunale. Comunque la moglie Summer Phoenix l’ha lasciato.
La star di Jersey Shore Nicole Polizzi in arte Snooki è recidiva. Per due volte è capitato che finissero on line sue foto nude e che dovessero intervenire i rappresentanti legali: “Si tratta di foto vecchie che qualcuno si diverte periodicamente a far ricircolare”. Aspettiamo il terzo round.
Blake Lively nel 2011 mostrò scollatura e altri dettagli del suo corpo al mondo, in una serie di foto che poi però furono dichiarate fake nonostante i tatuaggi identici, negli stessi identici punti…
Brad Pitt è finito su Playmate per delle foto di nudo apparse nel 1995, scattate a St Barts, mentre era in vacanza con l’allora fidanzata Gwyneth Paltrow: foto subito ritirate dal giornale, per un’immediata minaccia legale e finanziaria firmata dai legali della star. Più o meno nello stesso periodo, Gwynnie subì le molestie di Harvey Weinstein, ne parlò con Brad che disse al produttore di lasciare in pace la sua fidanzata. Ma non lo denunciò e, come tutta la Hollywood che conosceva benissimo le abitudini del produttore, se ne stette zitto. Per omertà? Paura?
Kanye West nel 2010 ha fatto tutto da solo. Esattamente come Anthony Weiner, il politico nonché marito (poi abbandonato) dell’assistente di Hillary Clinton… Nel senso che KW prima si è fotografato nudo, poi ha messo on line le foto col suo “dick” in bella vista: “Regali per donne che mi amano”, disse. E lo mise anche in una canzone: cercate Runway, ogni riferimento è più che chiaro.
Sex harassment. Hollywood style, oltre 50 anni fa: Tippi Hedren ha dichiarato che Alfred Hitchcok prima minacciò di bloccarle la carriera e poi lo fece, quando lei rispedì al mittente le sue pretese variamente erotiche. Chissà se Melanie Griffith (la figlia di TH) e Dakota Johnson (la nipote) tra qualche anno faranno le stesse rivelazioni… Speriamo di no.
Bryan Singer: il regista di X-Men e I soliti sospetti è stato accusato di stupro dall’attore Michael Egan, all’epoca minorenne: caso archiviato.
Maureen O’Hara: ufficialmente era la compagna cinematografica ideale di John Wayne, una rossa di carattere che solo il cowboy N 1 riusciva a dominare. Nella realtà, finì in tribunale, a Los Angeles, dopo che la rivista scandalista Confidencial aveva scritto che la polizia l’aveva beccata a fare “il gioco delle scatole cinesi” (oggi lo definiamo altrimenti) sui sedili del Grauman’s Chinese Theatre, con un misterioso e aitante sudamericano. Era il 1957.
Lady Gaga ha fatto tutto da sola, postando di sua spontanea volontà delle foto nude sul suo sito LittleMonsters.com: una risposta a quelle pubblicate senza la sua approvazione poco prima?
Eddie Murphy era l’attore, non solo comico, più pagato di Hollywood quando fu beccato in macchina con un trans.
La fidanzatina d’America e il sex addicted. La coppia Sandra Bullock/Jesse James scoppiò quando qualcuno fece circolare foto di lui con altre donne: foto inequivocabili. Lo scandalo ha fatto malissimo a lui che dal nulla aveva conquistato Hollywood come principe consorte.
Pee Wee Herman: Paul Reubens (nome vero) era l’idolo dei bambini che a quanto pare lui contraccambiava con troppo amore… Nel 2002 è stato arrestato per possesso di materiale pedo-pornografico: una decina di anni prima era finito al centro di uno scandalo per essere stato scoperto a masturbarsi in un cinema porno di Hollywood.
Lana Turner: lei era stata una bellissima (famosa per i golfini attillatissimi); lui, l’amante Johnny Stompanato, era un gangster. Fu trovato morto, nella villa della diva, nel 1958: a sparargli, la figlia di lei adolescente, Cheryl, che aveva sentito i due litigare e non voleva che lui picchiasse ancora la madre. I giudici credettero a questa versione, ma il gossip ha sempre parlato della dipendenza sessuale della Turner e del fatto che probabilmente Stompanato aveva cominciato a rivolgere le sue attenzioni anche alla figlia. Ma i fan credettero alla versione ufficiale e fecero tornare Lana Turner in testa al box office: da quel momento fu di nuovo una star (anche in tv, con I peccatori di Peyton Place)…
Minka Kelly negli States è famosa per lo show tv Friday Night Lights. E per un filmato di 30 minuti che il sito TMZ ha esaltato come una delle migliori performance erotiche di sempre. “Peccato” che nessuno l’abbia visto mai, visto che è stato subito ritirato. Comunque anche lei ha detto di aver subito molestie da parte di Harvey Weinstein.
Natalie Wood era stata un’attrice bambina, poi aveva conquistato l’America con Gioventù bruciata con James Dean e Sal Mineo (entrambi al centro di voci di giochini sessuali, anche omo. Il secondo finì per morirne). Tra un ciak e l’altro, però lei si incontrava con Nicholas Ray, regista del film che aveva 30 anni più di lei, era sposato e fu anche accusato di violenze a minorenne: Natalie aveva infatti 16 anni, all’epoca. Anni dopo, quando le voci circolarono, disse di essere stata consenziente.
Nicholas Ray, l’uomo (sposato e adulto) che fece sesso con la minorenne Natalie Wood. Caso simile a quello di Kristen Stewart e Rupert Sanders, il regista (sposato e adulto) di Biancaneve e il cacciatore. Kristen non era minorenne, però. E subito dopo fece coming out, dichiarandosi lesbica.
Errol Flynn: la passione per le ninfette e il processo per violenza carnale a due minorenni, nel 1942.
Marion Davies, la prima amante che conquistare Hollywood grazie alle minacce del potentissimo William R. Hearts (guardate Quarto potere d Orson Welles per saperne di più). La sfida era tra lei e Gloria Swanson che l’amante se lo era scelto anche lei doc: John Kennedy, padre del presidente assassinato a Dallas nel 1963.
Roscoe “Fatty” Arbuckle: era il comico N 1 al box office, quando nel 1921fu accusato di aver violentato fino alla morte (con una bottiglia…) l’aspirante attrice Virgina Rappe. Il tribunale alla fine di un processo mediatico epocale lo giudicò innocente (e forse era vero), ma lui orami era un morto che cammina… Carriera e soprattutto vita, finita.
Nicola Bambini per vanityfair.it il 16 ottobre 2019. «Ha minacciato di uccidermi e poi si è infilato al pistola in bocca, sparando però un colpo contro il soffitto, proprio mentre nostra figlia dormiva». Fuoco e fiamme tra Jeremy Renner e Sonni Pacheco: la battaglia legale tra l’attore americano e la modella canadese, separati dal dicembre del 2014 dopo neppure un anno di matrimonio, si accende per questioni legate all’affidamento della piccola Ava. Secondo quanto riportato dal portale TMZ, lei ha accusato l’ex marito di aver abusato di alcol e stupefacenti, per poi minacciarla di morte. In una lite sarebbe persino spuntata un’arma, che però Jeremy avrebbe puntato contro se stesso. Inoltre, stando ai nuovi documenti legali, la star di «The Avengers» avrebbe pure lasciato della cocaina sopra un mobile di casa, facilmente raggiungibile dalla figlia. La secca sentita da parte dello staff di Renner non si è fatta attendere: «Il benessere di Ava è sempre stato e continua ad essere il focus principale della vita di Jeremy. Starà alla corte prendere una decisione per quanto riguarda l’affidamento della bambina», continua il comunicato, «ma è importante sottolineare come la le dichiarazioni di Sonni siano state fatte con uno scopo ben preciso in mente». L’attore californiano, due volte candidato all’Oscar, ci ha inoltre tenuto a precisare che per smentire le affermazioni di Sonni riguardo presunte dipendenze, si è sottoposto per tre mesi consecutivi a test casuali e tutti hanno dato esito negativo: «Non sono io ad avere problemi di droga», è stata la replica di Renner, che ha persino assunto uno psicologo che monitorasse gli incontri con la figlia. Tra l’altro, sempre secondo TMZ, pare che pure Jeremy abbia chiesto al tribunale di limitare il tempo che Ava passa con la madre, fin quando lei non avrà risolto i suoi problemi. I fan di Occhio di Falco sostengono il proprio beniamino e considerano le accuse della donna una sorta di vendetta per la relazione finita male, altri invece si schierano a fianco della modella canadese e chiedono una sanzione severa. Un caos in cui – come spesso accade in queste situazione – la principale vittima rischia di diventare la figlia.
Da ilsussidiario.net il 16 ottobre 2019. Il legale dell’attore ha evidenziato che il suo assistito è «pulito» e che si è sottoposto a dei test per provarlo: in base alla sua ricostruzione, Sonni Pacheco starebbe tentando di vendicarsi per la fine del matrimonio. L’ex moglie di Jeremy Renner ha parlato anche di abuso di droghe: il 48enne avrebbe lasciato della cocaina su un bancone nel bagno di casa nei giorni in cui aveva la custodia della figlia Ava. E il Daily Mail muove pesanti accuse nei confronti di Renner: tre donne avrebbero raccontato di aver avuto dei rapporti sessuali e di aver preso cocaina mentre la figlia Ava era in casa con loro. Il tabloid britannico spiega che l’ex fidanzata Carmen Orford ha dichiarato in Tribunale di aver visto Renner lasciare delle sostanze stupefacenti alla portata della piccola. Naomi Moore, ex tata, ha affermato che l’attore si ubriacherebbe ogni notte e organizzerebbe regolarmente feste rumorose, sempre nei periodi in cui ha la custodia di Ava.
ONDA SU HENRY FONDA. Cesare Lanza per “la verità” il 15 agosto 2019. Il 12 agosto di 37 anni fa moriva Henry Fonda. Un protagonista del mondo del cinema, una figura controversa e descritta, anche dai figli, con parole contraddittorie. Era un uomo molto riservato, poco incline a parlare di sé e della sua via privata. Di certo, si sa che ha avuto una vita sentimentale molto intensa: matrimoni ufficiali, amanti segrete e relazioni extraconiugali. È considerato tra gli attori di Hollywood più seduttivi e chiacchierati, nel mirino dei gossip dell' epoca. Andiamo per ordine: cinque matrimoni con vari divorzi, inizialmente con Margaret Sullavan (nome d' arte di Margaret Brooke Sullavan Hancock, Norfolk, 16 maggio 1909 - New Haven, 1º gennaio 1960), un' attrice cinematografica e teatrale statunitense, dalla quale si divise dopo soli due anni. A seguire le nozze con l' aristocratica Frances Ford Seymour Brokaw, deceduta nel 1950: una donna che era stata violentata quando aveva otto anni, con conseguenze psicologiche mai rimarginate, fino al suicidio quando aveva solo 42 anni. Da lei ha avuto i due figli, noti attori, Jane e Peter. In seguito ha sposato la produttrice teatrale e attrice Susan Blanchard (una figlia adottata, Amy). La quarta fu la contessa italiana Leonarda Afdera Franchetti, infine la documentarista televisiva Shirlee Mae Adams. Più intrigante, con molte smentite e indirette ammissioni, la sequenza delle sue amanti famose: Barbara Stanwyck, Gene Tierney, Patricia Farr, Tallulah Bankhead, Dorothy McGuire, Shirley Ross, Joan Crawford. Un episodio sgradevole e poco chiaro riguarda le botte alla quarta moglie, secondo il racconto, non si sa quanto affidabile, ricavato da un' intervista ad Afdera Franchetti, dalla quale era separato da tempo. Afdera, una vulcanica baronessa, «protagonista dei più grandi balli novecenteschi», e di molti clamorosi amori: è stata immortalata da Oriana Fallaci tra i suoi «antipatici» e trasformata nella protagonista del romanzo Penelope alla Guerra. («Un buon libro, contenente un sacco di palle», ha detto la baronessa). Afdera ha sposato, e lasciato, Henry Fonda. La sua storia è molto interessante: miliardaria, figlia di un mercante ed esploratore ebreo, che diede a tutti i suoi figli nomi africani (Afdera significa vulcano di Etiopia). Amica di Marylin Monroe, Gary Cooper, Luchino Visconti, Stanley Kubrick e Billy Wilder, e di Ernest Hemingway. Insomma, all' epoca, una vera regina del jet set. Quattro giorni in carcere, a Rebibbia, per aver portato tre sigarette di marjiuana al pittore Mario Schifano, suo grande amico. E Fonda, come l'aveva conosciuto? «A Roma, era il 1956, passeggiavo in via del Babuino con Audrey Hepburn ed entrammo in una galleria dove avevamo visto due strani dipinti, alcune monache che giocano a tennis. Dissero che un americano li aveva prenotati, ma io pagai cash e li presi. Qualche giorno dopo, a un party a casa mia, arrivò Fonda che stava girando Guerra e Pace con Audrey. Si stupì di trovare a casa mia i quadri che aveva prenotato. Nacque un bel rapporto, segreto all' inizio. Eravamo andati, una volta, un gruppo di amici, a fare una gita a Pamplona e lì incontrammo Ernest Hemingway che era molto amico di mio fratello Nanuk e glielo andò subito a riferire... Ed Henry, appena tornati a Venezia mi riempì di botte. Avevo 25 anni, Fonda 48. Pensò solo che era troppo vecchio... E mi menò». Un' altra storia controversa: Henry Fonda non ha mai amato i figli. Se ne è parlato tanto, c' è una terribile e recente testimonianza nel libro di un suo figlio. Ma si stenta a crederlo... Con questa inattesa «rivelazione» un altro degli ultimi miti americani, rimasto quasi immune da scandali e pettegolezzi, finisce nell' elenco delle star oscurate da vizi più o meno gravi. A rivelare i segreti della vita privata di uno dei più amati attori per famiglie è Peter Fonda, figlio minore di Henry e ammirato protagonista di Easy Rider. In un libro uscito negli Stati Uniti: si intitola Don' t tell Dad (Non dire Papà) e si sofferma sullo scarso affetto che Henry aveva per i figli. In particolare, Peter ricorda di quando sua sorella maggiore Jane si ferì da bambina alla schiena mentre nuotava. Tornando in casa, Jane iniziò a lamentarsi per il dolore, ma la reazione del padre fu freddissima: «Continuò ad occuparsi dei propri affari», ricorda Peter, «e poi, stufo di ascoltare il pianto di Jane, uscì di casa seccato». Il libro è pieno di veleno... Peter racconta anche di essere stato totalmente devastato, all'età di dieci anni, quando, rimasto orfano della madre, venne a sapere che suo padre aveva una relazione con un' altra donna. La notizia sarebbe arrivata al piccolo Peter in modo talmente brutale che, per il dolore, il bambino cercò di spararsi un colpo di pistola allo stomaco. Nella biografia, Peter Fonda parla anche dei suoi problemi con la droga, legando anche questi alla carenza di affetto con il padre. Alla fine c' è comunque un ricordo tenero di Peter per il padre: poco prima di morire, Henry lo chiamò e gli sussurrò: «Ti amo molto, ragazzo, voglio che tu lo sappia». Henry Fonda, come attore, sembrava nato per il genere western. Ci sono un ventina di titoli nel suo curriculum: Alba fatale, Sfida infernale, Il Massacro di Fort Apache di John Ford, C' era una volta il West di Sergio Leone, Il mio Nome è Nessuno. Diede il suo volto a Lincoln, Roosevelt, Nimitz, MacArthur, Wyatt Earp, ma anche a Tom Joad, Mr. Davis, giurato n°8 di La Parola ai Giurati, a Manny Balestrero di Il Ladro. Di sé stesso e della sua vita di attore Henry ha detto: «Diventare un attore può essere imbarazzante perché devi piangere o apparire nudo di fronte a tutti. La recitazione può essere anche considerata una sorta di confessione virtuale sulla tua infanzia disturbata o sulle tue crepe emotive». In contraddizione con quanto scritto dal fratello Peter nel suo libro acidissimo, ecco invece la versione della figlia Jane: «Mio padre è stato un grande uomo prima che un attore. Antirazzista e coraggioso, amava scrivere e leggere, mai si è sentito una star». E a proposito delle riprese del film Sul Lago dorato, in cui recitarono insieme: «A mio padre, che amava la perfezione, non piaceva niente che non fosse stato provato: la mia scena era quella in cui vado a parlargli per dirgli: "Voglio essere tua amica", anche perché non eravamo stati mai tanto vicini. Quindi c'era un primo piano suo e io ho aspettato fino all' ultimo momento, prima di fare una cosa non programmata, ciò che mio padre non amava affatto, quando gli ho detto: "Voglio essere tua amica", gli ho toccato la mano e a lui sono venute le lacrime al volto». Anche Peter, al di là del libro, lo ha ricordato - in altre occasioni - con tenerezza: «Mio padre Henry non parlava mai, ma ha insegnato tutto a me e Jane, con il suo esempio. Quando il suo Paese ha avuto bisogno di lui, ha rischiato la vita. Non approvava la guerra, ma lui ha lasciato una vita bella e comoda, perché lo riteneva giusto. E anche in famiglia, pur con tutti i suoi difetti, le difficoltà generazionali e di comunicazione, ci ha insegnato valori come l' onestà, la sincerità, l' impegno civile, la giustizia. Il male e il bene spesso nascono in famiglia».
Il suo nome completo era Henry Jaynes Fonda (Grand Island, 16 maggio 1905 - Los Angeles, 12 agosto 1982). Nacque nel Nebraska dal pubblicitario William Brace Fonda e da Herberta Krueger Jaynes. La famiglia Fonda, da parte paterna, era di origine olandese, pur avendo come capostipite un italiano immigrato da Genova nei Paesi Bassi, in un' epoca non ben determinata del XV secolo. Nel 1642 alcuni membri della famiglia emigrarono in America e furono fra i primi colonizzatori olandesi che si trasferirono nell' attuale Stato di New York, dove fondarono la città che da loro prese il nome di Fonda. La bisnonna, Harriet McNeill, era un'immigrata irlandese. La sua identità di attore è stata quasi sempre l'americano democratico e non violento, ha confermato anche sullo schermo i suoi ideali libertari e pacifisti. Spesso, con iniziative personali, si è battuto in campagne politiche a favore di candidati del Democratic party. Dopo aver studiato teatro e recitazione, si laureò in giornalismo all' Università del Minnesota. Debuttò a Broadway con grande successo e, subito ingaggiato dal produttore Darryl Zanuck, firmò un contratto quinquennale con la Fox ed esordì nei primi Technicolor dell' epoca. È stato il solo attore americano presente in tre film sulla seconda guerra mondiale: Il Giorno più lungo, La Battaglia dei Giganti e Midway. Inoltre è apparso in Mussolini: ultimo Atto (1974), un film più storico che bellico. Sul Lago dorato (1981) è stato il suo ultimo film, l' unico Oscar vinto. Malgrado uno curriculum intenso e progressivo, si è fermato nel cinema dal 1948 al 1955, per ritornare al teatro, ma con risultati altalenanti. È considerato il patriarca di una stirpe di celebri attori, oltre ai suoi figli Jane Fonda e Peter Fonda, anche i suoi nipoti Bridget Fonda e Troy Garity. Nonostante l'importanza (sul set per oltre 45 anni) e il valore riconosciuto delle sue interpretazioni cinematografiche, Fonda ha atteso fino al 1981 per un Oscar alla carriera e l' anno successivo per l'Oscar come miglior attore protagonista (singolare curiosità), nel ruolo del professore in pensione, dell' amaro Sul Lago dorato con Katharine Hepburn. C' è poco da stupirsi tuttavia. Disprezzava apertamente l'ambiente del cinema in generale e quello di Hollywood in particolare: il suo unico, vero grande amico era James Stewart, che gli è stato vicino fino al giorno della sua morte, a 77 anni, per infarto.
Jane Fonda è felice di essere arrestata per la seconda volta in una settimana. Pubblicato sabato, 19 ottobre 2019 su Corriere.it da Paola Caruso. L’attrice, 81 anni, fermata per la seconda volta in una settimana per le sue proteste sul clima: «Greta mi ispira, ogni venerdì in piazza. Sorrisi e pollici in su davanti ai fotografi. Jane Fonda, 81 anni, è felice di essere arrestata per la seconda volta nell’arco di una settimana a Washington D.C. per aver organizzato una manifestazione illegale, ma pacifica, contro il cambiamento climatico davanti al Campidoglio (l’arresto precedente risale al 12 ottobre). L’attrice premio Oscar è decisa a portare avanti la sua battaglia ecologica e ha intenzione di farsi arrestare «ogni venerdì», tant’è che si è presa una pausa dal set della serie «Grace and Frankie» e si è momentaneamente trasferita nella Capitale. La star dice di essere stata ispirata da Greta Thunberg e di voler usare la sua popolarità hollywoodiana per sensibilizzare gli americani sui temi ambientali. Non è la prima volta che lotta per un ideale: tutti la ricordano agguerrita quando in gioventù protestava contro la guerra del Vietnam, guadagnandosi il soprannome di «Hanoi Jane». Ora è la nuova eroina green a stelle e strisce. «Jane, Jane», hanno urlato i manifestanti mentre gli agenti la portavano via senza strattoni, insieme ad altre 17 persone arrestate, tra i quali anche l’attore Sam Waterston, 78 anni, coprotagonista con lei della serie «Grace and Frankie», che forse molti ricordano per il suo ruolo tv in «Law & Order» . Nessun disordine si è verificato durante la manifestazione, neanche durante gli arresti. Jane, ammanettata con le fascette, ha detto di essere contenta che questa volta le abbiano legato le mani sul davanti, perché il 12 ottobre, con le mani legate sulla schiena ha fatto fatica a salire sul furgone della polizia senza poter usare le mani per aggrapparsi a qualcosa. «Sono vecchia», ha ammesso, ma «ho ancora tanto da dire». Qualcuno nella folla le ha urlato: «Cosa vorresti dire al presidente Trump?». Ridendo, la sua risposta è stata secca: «Non sprecherei fiato». Appuntamento a venerdì prossimo per una nuova manifestazione.
Jane Fonda compie 82 anni e viene arrestata per la quinta volta. Gli attivisti le cantano «Happy birthday». Pubblicato venerdì, 20 dicembre 2019 da Corriere.it. Jane Fonda lo aveva annunciato: «Passerò il mio compleanno in carcere». E così è stato. L’attrice che il 21 dicembre compie 82 anni, è stata arrestata venerdì 20 dicembre a Washington, per la quinta volta durante la protesta contro i cambiamenti climatici davanti al Campidoglio. Per lei finire in manette è quasi un’abitudine. D’altra parte, lo aveva messo in conto quando qualche mese fa si è trasferita nella Capitale degli Stati Uniti per diventare un’attivista per l’ambiente (con tanto di manifestazione in piazza ogni venerdì del mese), mollando tutti gli impegni sul set, per seguire le orme di Greta Thunber dalla quale prende ispirazione, per sua stessa ammissione, attraverso il gruppo green «Fire Drill Fridays» creato da lei. Con il suo solito cappottino rosso, la star due volte premio Oscar, sorride e saluta mentre gli agenti la portano via e gli altri manifestanti le cantano «Happy birthday». Le sue mani sono legate da fascette che per fortuna, come da suo desiderio, le bloccano i polsi davanti al corpo e non dietro la schiena come sarebbe corretto. Una cortesia, quella delle mani legate davanti, che gli agenti hanno nei suoi confronti dal secondo arresto, avvenuto a metà ottobre, quando ha dichiarato che con le mani dietro la schiena non riusciva a salire sul furgone della polizia. Insieme alla diva sono stati arrestati anche il direttore di Greenpeace’s Oceans Campaign negli Stati Uniti, John Hocevar, e l’attivista Heather Booth. Prima di finire in manette, l’attrice si è rivolta ai manifestanti da un podio abbellito da un cartello con il messaggio «Buon 82esimo compleanno, Jane» per chiedere un intervento sulle emissioni di gas serra e da dove ha sottolineato il legame tra la crisi climatica e la salute umana. «Il cambiamento climatico è un problema di salute pubblica», ha detto Fonda, che ha spiegato che l’aumento delle malattie respiratorie, come l’asma, e altri mali è legato alla crescita dell’inquinamento. E non saranno le 82 primavere a fermare la sua battaglia ecologica: presto la rivedremo in piazza, come ha promesso.
MARILYN NON SI SUICIDO MA FU UCCISA DALLO PSICHIATRA. Leonardo Coen e Leo Sisti per "il Venerdì di Repubblica" - articolo del 9 maggio 2012
SECRET. OGGETTO: Marilyn Monroe. Internal Security.
DATA: 19 agosto 1955.
NUMERO DI PROTOCOLLO: 40018.
MITTENTE: John Edgar Hoover, Director Federal Bureau of Investigation. DESTINATARIO: Dennis A. Flinn, Director Office of Security (SY), Dipartimento di Stato, 515 22nd Street N. W., Washington, D.C. Venti righe. Molte cancellate per coprire i nomi dei collaboratori Fbi. Scrive Hoover: «Un informatore, attendibile in passato, il 12 agosto ci segnala che... (censura)... della Reuters News Agency ha contattato l'ambasciata sovietica di Washington. In risposta ad una richiesta da... (censura)... avvertì che l'ambasciata sovietica ha ricevuto una lettera dal manager di Marilyn Monroe contenente la domanda di un visto per visitare l'Unione Sovietica. Secondo... (censura)... la questione è ora sottoposta ad esame... (censura)... avvertì inoltre che... (censura)... ha parlato di questa materia con l'addetto culturale dell'ambasciata sovietica. L'informatore ha anche aggiunto che il 12 aprile del 1955 un reporter del New York Post ha contattato l'ambasciata sovietica di Washington e ha fatto delle richieste riguardanti la domanda di Marilyn Monroe per il visto... (censura) ... informò il reporter che la lettera che richiedeva il visto era firmata dal suo manager ed è arrivata il 12 agosto del 1955 ed è stata presa in considerazione. Tutti questi dati sono stati forniti per sua informazione con la richiesta che non siano ulteriormente diffusi per proteggere l'identità dell'informatore in questo caso». Come mai il temutissimo e potente boss dell'Fbi si pigliava la briga di scrivere personalmente al Dipartimento di Stato segnalando che l'attrice più famosa e popolare d'America aveva chiesto un visto per l'Urss? Bisogna entrare nel clima di quegli anni, agli sgoccioli del maccartismo, e in piena Guerra fredda. Hoover è al vertice del Bureau dal 1924 (ci resterà sino al 1972): di lui si parla molto oggi, grazie al film J. Edgar di Clint Eastwood. Leonardo DiCaprio interpreta Hoover: un uomo che incarnava l'ipocrisia della cultura puritana, quell'America ossessionata dai «rossi, dai neri e dai pederasti ». Un uomo con molte fobie. Quella degli stranieri, per esempio. Non era mai stato all'estero, salvo una scappata in Messico. Il suo rapporto con la sessualità era controverso, e nel film di Eastwood si palesa una possibile relazione omosessuale con Clyde Tolson, il suo vice, al quale lascerà l'eredità e che verrà seppellito accanto a lui. Per J. Edgar, Marilyn è l'oggetto del peccato. Una sgualdrina. Peggio: una che frequentava i «nemici» degli Stati Uniti. Come Arthur Miller. Il grande drammaturgo in odore di comunismo che Marilyn aveva incontrato nel 1951 e che nel 1956 sarebbe diventato il suo terzo marito. Come incastrare questa coppia malefica? L'Fbi sguinzaglia i suoi segugi. Cerchi Marilyn e trovi i fratelli Kennedy, John e Bob, il presidente e il ministro della Giustizia, entrambi amanti della donna che faceva sospirare il mondo intero. Pure Ted, il fratello minore. E poi: Frank Sinatra, Peter Lawford, attore e cognato dei Kennedy, Sammy Davis jr., Lee Strasberg, il regista che aveva fondato l'Actor's Studio a New York. Una Hollywood sulfurea, con i suoi agganci mafiosi (Sam Giancana finanzia i film di The Voice). Sono oltre 2700 i documenti Fbi che riguardano direttamente e indirettamente Marilyn Monroe, e l'ultimo è anche il più scabroso. Riguarda una nota vicenda: quella di un filmino porno girato in 16 mm che dura pochi minuti. L'anno scorso venne messo all'asta a Buenos Aires e fecero scalpore su internet le brevissime scene in cui si vede una ragazza molto somigliante alla giovane Marilyn - al tempo in cui ancora si chiamava Norma Jean Baker - che ha un rapporto orale con uno sconosciuto partner. L'Fbi lo aveva bollato Unnatural acts nel rapporto del febbraio 1965 (memorandum protocollato 145-3217-1). Anzi, gli spioni federali avevano poi caricato la dose: Perverted act. Povera Marilyn: nemmeno da morta la lasciano in pace. Il suo corpo senza vita era stato trovato il 5 agosto del 1962. Ma il suo nome rimbalza da un dossier all'altro per anni e anni ancora. La vicenda del filmino è grottesca: Joe Di Maggio, il grande campione di baseball, suo secondo marito ma forse anche l'unico che l'abbia amata veramente, fece di tutto per recuperare la pellicola compromettente, messa in vendita da un misterioso ricattatore. Offre 25 mila dollari, una somma cospicua all'epoca. L'Fbi registra l'indiscrezione, ma non agisce come dovrebbe per smascherare il ricattatore. L'informatore che ha rivelato l'inghippo era presente alle trattative, in un locale di New York, dove era stata esibita la «pizza» del filmato. Invece di indagare, l'Fbi raccomanda di «evitare ogni fuga di notizie perché potrebbe essere compromesso il nome della fonte». E invita a non «discutere della faccenda fuori dagli uffici dell'Fbi». Sono tre righe in carattere maiuscolo e sottolineate perentoriamente. Un ordine. In verità, i guai di Marilyn erano stati causati involontariamente da Arthur Miller che frequentava - pubblicamente - fin dagli anni Quaranta personaggi che i servizi di sicurezza Usa tenevano d'occhio notte e giorno. Per estensione, dunque, anche la Monroe diventa una «di sinistra », come lo era notoriamente Miller. I file che lo riguardano erano qualificati internal security. E lo stesso destino è applicato a Marilyn. Ogni contatto dell'attrice è vivisezionato, persino quando va in Inghilterra in viaggio di nozze. La storia con Miller finisce, ma ormai lei resta invischiata nei meccanismi - questi sì, perversi - del Grande Occhio di Hoover. Che la segue ovunque. Pochi mesi prima di morire, il 19 febbraio del 1962, le capita di andare in Messico, da Miami. Organizza tutto Frank Sinatra, che si appoggia all'ex presidente messicano Miguel Alemán Valdés. Gli spioni non solo registrano l'episodio ma si allarmano perché lei ha viaggiato con alcuni membri dell'American Communist Group in Mexico (Acgm): lo certifica il rapporto 105-40018-2. La prova che la cittadina 40018 è una sovversiva. Anche leggendo i fascicoli segreti Fbi, la tentazione è quella di ricostruire la storia di Marilyn Monroe cominciando dalla fine, ossia dalla morte che nell'immaginario collettivo resta uno dei grandi misteri americani, come l'assassinio di John Kennedy, che verrà ucciso un anno dopo. Un filo doppio, anzi triplo, lega Marilyn ai Kennedy. Tutti ricordano l'attrice sbronza mentre canta happy birthday al compleanno di John del giugno 1962. Pochi, invece, conoscono il contenuto della lunga, dettagliata ed inquietante nota informativa numero 61-9454-28, inviata da uno special agent e registrata il 19 ottobre 1962. Eccone alcuni stralci: «Robert Kennedy era profondamente coinvolto dal punto di vista emotivo con Marilyn Monroe. Le aveva promesso ripetutamente di divorziare dalla moglie per sposarla. Alla fine, Marilyn si rese conto che Bobby non aveva alcuna intenzione di sposarla e, in quel periodo, la 20th Century Fox aveva deciso di cancellare il suo contratto. Era diventata inaffidabile, arrivava tardi sul set, ecc. ecc. Inoltre lo studio aveva difficoltà finanziarie a causa delle grosse spese nel film Cleopatra (...). Marilyn telefonò a Robert Kennedy dalla sua casa di Brentwood, California, a tu per tu al Dipartimento di Giustizia di Washington, e gli riferì la cattiva notizia. Robert Kennedy le disse di non preoccuparsi per il contratto (...) si sarebbe occupato di ogni cosa. Quando nulla avvenne, lei lo chiamò ancora da casa al Dipartimento di Giustizia, a tu per tu, e in quest'occasione i due ebbero uno scambio di parole spiacevole. Si dice (testualmente: reported) che lei abbia minacciato di rendere pubblica la loro storia». Perché l'investigatore racconta questo episodio? Perché c'era sempre stato il dubbio che Marilyn Monroe fosse stata lasciata morire, invece di salvarla. Almeno, questo è il dubbio che traspare leggendo il seguito della nota: «Il giorno in cui Marilyn morì, Robert Kennedy era in città, registrato presso il Beverly Hills hotel. Per coincidenza l'albergo si trova dall'altra parte della strada in cui, anni prima, suo padre Joseph Kennedy aveva vissuto per un certo periodo con Gloria Swanson. Fatto sta che, lo stesso giorno, Bob lascia l'albergo e si reca da Los Angeles a San Francisco con un volo Western Airlines e alloggia al St. Francis Hotel, il cui proprietario era un suo amico. Robert Kennedy, da un altro albergo, il St. Charles Hotel, sempre di San Francisco, chiama Peter Lawford, per sapere se Marilyn è già morta. Peter Lawford aveva composto il numero di Marilyn e controllato ancora dopo per essere certo che non rispondesse». Più sotto, si accenna a una relazione lesbica di Marilyn con ... (censura)... «durante un rapporto sessuale con Marilyn. In alcune occasioni, John F. Kennedy partecipava ai festini (sex parties) con...(censura)... attrici». Si riferisce pure che uno di questi party era stato filmato da un detective privato di Los Angeles. Sic transit gloria mundi.
DAGONEWS il 14 settembre 2019. Judy Garland era così ossessionata dal sesso negli ultimi anni della sua vita che cercò di allungare le mani sotto la gonna della sua giovane assistente in una limousine. L'attrice, sulla quale è stato girato un nuovo film biografico interpretato da Renee Zellweger, era al suo quinto matrimonio e prendeva droghe quando è stata trovata morta per overdose da barbiturici a Londra nel 1969. Aveva solo 47 anni. La sua assistente personale, Stevie Phillips, racconta alcuni aneddoti devastanti della sua vita come quella volta in cui l’ha minacciata con un coltello o si è tagliata il polso mentre la guardava. Inoltre durante una delle loro numerose corse in auto Garland iniziò a tentare di insinuarsi sotto i suoi vestiti: «La sua mano ha iniziato un viaggio dal mio ginocchio, dove l'aveva messa quando la macchina si è mossa, fino al mio cavallo. La sua mossa non è stata involontaria. Judy non faceva nulla inavvertitamente. L'idea di essere intima con Judy mi disgustava. Volevo rifiutarla. E non era solo perché era una donna, anche se una relazione con un'altra donna non mi interessava. Era perché non mi piaceva». Ma era paralizzata dalla paura e continuava a chiedersi se avrebbe potuto perdere il lavoro se avesse offeso Judy. Alla fine, però, ha preso coraggio, ha afferrato la sua mano e l’ha appoggiata sul suo grembo con un sorriso. L'aggressività sessuale di Garland viene raccontata da una rissa del 1963 al Savoy, dove attaccò la moglie di uno dei suoi amanti. Phillips ha raccontato che le due «cercavano di uccidersi, scalciando, strappandosi vestiti e capelli. Entrambe sanguinavano. Avevano gli abiti strappati. Erano quasi nude nel corridoio del quinto piano». In un altro hotel, Garland, totalmente drogata, uscì in lingerie sul balcone per cantare un pezzo del Mago di Oz a una folla di uomini: lei piangeva, ma da sotto gli uomini fischiavano e urlavano alla stella seminuda. In un’altra occasione puntò il coltello alla Phillips accusandola di aver rubato i sonniferi: in realtà era stato il medico a prenderseli. Phillips ha sempre creduto che avrebbe dovuto essere ricoverata in ospedale, ma che molte persone facevano soldi grazie a lei. L’assistente ha anche ricordato una serata al Ritz-Carlton di Boston nel 1963, durante un tour di concerti quando Garland improvvisamente si tagliò il polso durante la loro conversazione. «Il momento è stato reso ancora più orribile dal fatto che quando ha fatto il taglio, mi stava guardando e sorrideva - ha scritto Phillips - Molti dei suoi tentativi di suicidio erano per attirare l'attenzione di chiunque fosse il suo amante del momento». E in quell'occasione, David Begelman, un talent scout con cui Garland aveva una relazione, si precipitò rapidamente nella stanza per aiutare il cantante. Dopo alcuni punti al polso, Garland si è esibita più tardi quella notte. Aveva firmato con MGM a soli 13 anni e si dice che il co-fondatore dello storica compagnia privata di cineproduzione Louis B. Mayer l'abbia messa in ridicolo perché in sovrappeso in giovane età. Si pensa anche che la compagnia la tenesse in piedi grazie a un cocktail di farmaci. Anfetamine per mantenerla energica, barbiturici per aiutarla a dormire di notte. I boss della compagnia sono anche accusati di aver molestato Garland dall'età di 16 anni. Da quel momento le sue relazioni sentimentali sono state distruttive: si è sposata per la prima volta a 19 anni e ha accusato almeno due dei suoi cinque coniugi di averla picchiata. Ha avuto tre figli, ha avuto almeno due aborti dopo essere stata messa sotto pressione da suo marito, sua madre o dalla MGM.
· Demi Moore racconta: "Violentata a 15 anni".
Demi Moore racconta: "Violentata a 15 anni". L'attrice sta per pubblicare la sua autobiografia in cui si apre su molti temi: figli, mariti e la sua difficile infanzia. E racconta di quella bambina non nata. La Repubblica il 13 settembre 2019. Violentata a 15 anni. A raccontarsi a 360 gradi al New York Times è l'attrice Demi Moore, la cui autobiografia Inside Out è in uscita il 24 settembre. "Questo libro è una storia di sopravvivenza, successo e resa, così come di resilienza", spiega il comunicato che accompagna il libro. "È il ritratto onesto e straziante di una donna dalla vita ordinaria e iconica allo stesso tempo". L'attrice ha raccontato di aver subito violenza in adolescenza e di essersi trasferita dalla casa di sua madre per vivere con un chitarrista quando ha compiuto 16 anni. Due anni dopo Demi Moore ha sposato il musicista rock Freddy Moore, un'unione che la star del cinema ammette di aver rapidamente sabotato con la sua infedeltà. L'attrice è poi stata sposata altre due volte, la prima con Bruce Willis (dal 1987 al 2000) con cui ha avuto tre figlie e Ashton Kutcher, di quindici anni più giovane. Nell'autobiografia a cuore aperto, l'attrice racconta che all'epoca del matrimonio con Kutcher aveva perso un bambino e che si sente responsabile di questo aborto perché all'epoca aveva ricominciato a bere. "Come donna, madre e moglie, ci sono alcuni valori che ritengo sacri, ed è con questo spirito che ho scelto di andare avanti con la mia vita", ha detto parlando del tema dell'aborto. Ha perso la bambina quando era incinta di sei mesi e ha rivelato che che lei e Ashton intendevano chiamare la piccola Chaplin Ray. Poco dopo il suo aborto l'attrice ha iniziato a bere di nuovo, dopo aver rinunciato a alcol e droghe per 20 anni. Si incolpò per la perdita della figlia. Demi e Ashton in seguito hanno cercato di avere un bambino dopo il loro matrimonio del 2005, ma per Moore l'alcool divenne un problema fuori controllo e iniziò ad abusare di un farmaco oppiaceo, il Vicodin, prima che nel rapporto con Ashton arrivassero i tradimenti di lui. Ora Demi ha una relazione con stilista serba Masha Mandzuka. L'attrice è anche protagonista di una copertina di Harper's Bazar che ha fatto parlare perché vede Demi Moore, che oggi ha 56 anni, nuda sulla famosa rivista, un "remake" di cover a molti anni di distanza, l'attrice infatti era apparsa incinta e senza veli a 28 anni.
DAGONEWS il 23 settembre 2019. Demi Moore a cuore aperto ha descritto di essere stata violentata a 15 anni da un uomo che ha pagato la madre alcolizzata 500 dollari per poter abusare di lei. Moore, ora 56enne, ha parlato con Diane Sawyer di alcuni dettagli strazianti del suo nuovo libro, Inside Out, durante la trasmissione “Good Morning America”. Uno degli aneddoti più scioccanti che ha condiviso risale all’adolescenza quando sua madre Virginia King iniziò a portarla nei bar in modo che insieme attirassero l'attenzione degli uomini. Moore ha ricordato come, dopo una gita, è tornata a casa e ha trovato un uomo più anziano che aveva una chiave della loro abitazione. «Dopo averla violentata mi disse: "Come ci si sente a essere fottute per 500 dollari?". È stato uno stupro e un tradimento devastante». Alla domanda di Sawyer se pensava di essere stata venduta da sua madre, lei ha risposto: «Dal profondo del mio cuore, penso di no. Non credo che sia stata una transazione, ma lei gli ha comunque dato l'accesso e mi ha messo in pericolo». Moore è nata nel New Mexico, ma suo padre biologico ha lasciato sua madre prima che lei nascesse. È stata cresciuta da sua madre e dal secondo marito di sua madre, Dan Guynes, che pensava fosse il suo vero padre fino all'età di 13 anni quando ha scoperto la verità dal suo certificato di nascita. Sia lui che sua madre erano alcolizzati e sua madre ha tentato il suicidio molte volte. Nel suo libro, Moore ricorda di aver cercato di salvare la vita di sua madre almeno una volta «Ricordo di aver usato le mie dita, quelle piccole da bambina, per far uscire le pillole dalla sua bocca» ha scritto nel libro. Durante l’adolescenza, sua madre e Guynes si lasciarono e loro due si trasferirono a Hollywood, dove è avvenuto lo stupro e dove poco dopo, a 16 anni, iniziò la sua carriera da attrice. Oltre a riflettere sulla sua infanzia, ha ricordato i problemi che ha avuto nella sua vita adulta, incluso il crollo del 2012 a una festa durante la quale aveva assunto un cocktail di droghe. «Immagino che la domanda sia stata come sono arrivata a quel punto. Semplicemente mi ero persa. Se dovessi guardare indietro, direi che mi sono accecata e mi sono perso».
Da Mtv.it il 24 settembre 2019. Demi Moore sta per pubblicare un libro autobiografico che si intitola "Inside Out" e, secondo alcuni tabloid americani che l'hanno potuto sfogliare in anteprima, come Radar, ci sono diversi dettagli sulla sua relazione con Ashton Kutcher che ancora non conoscevamo. Il primo è una rivelazione piccante: la star ha raccontato di aver acconsentito a fare sesso a tre con l'ex e con un'altra donna, cosa che oggi, se tornasse indietro, non rifarebbe: "È stato un errore". Demi, che è più grande di Ashton di 16 anni, ha aggiunto: "Volevo solo mostrargli quanto io possa essere fantastica e divertente". L'attore avrebbe poi usato la cosa a tre come scusa per un suo tradimento: nel 2010, mentre Demi Moore stava girando "Another Happy Day" a New York, erano usciti alcuni gossip secondo cui lui aveva portato a casa loro un'altra ragazza conosciuta mentre stava giocando a bowling con la figlia della moglie e di Bruce Willis, Rumer. La 56enne ha spiegato di avere visto quei titoli e di aver cercato un confronto con Ashton Kutcher: "Siccome avevamo portato una terza parte nella nostra relazione, mi ha risposto Ashton, questo aveva confuso i confini e per qualche ragione giustificava quello che aveva fatto. Cercava di scaricare la sua colpa". Poco prima della separazione nel 2011, lui l'avrebbe tradita di nuovo, durante l'addio al celibato del collega Danny Masterson. Demi Moore ha detto di averlo scoperto attraverso Google alert: "Sentivo la nausea nel mio stomaco - ha scritto - Sapevo che quella ragazza non stava mentendo". Un altro drammatico momento che ha portato alla fine del loro matrimonio è stato svelato dal New York Times: Demi Moore e Ashton Kutcher stavano per diventare genitori ma al sesto mese di gravidanza persero la bambina che stavano aspettando. I due attori sono stati sposati dal 2005 al 2011, quando lui aveva fatto le valigie e aveva lasciato la loro casa. Nel 2013 era arrivato il divorzio ufficiale.
La madre fragile, lo stupro, l’alcol: Demi Moore e il suo libro shock. Pubblicato giovedì, 26 settembre 2019 da Corriere.it. «Mia madre non è cresciuta, è stata forgiata», ha detto Tallulah Willis, la figlia 25enne di Demi Moore al giornalista del New York Times salito sulle colline di Beverly Hills per intervistare l’attrice 56enne in occasione dell’uscita del suo libro, «Inside Out», pubblicato da Harper negli Stati Uniti. L’autobiografia-scandalo, che sta raccontando al mondo la verità della vita della star d’acciaio, venerata come una divinità, chiacchierata per gli amori-bambini (da Ashton Kutcher, 16 anni più giovane, a Harry Morton, vent’anni meno di lei) e le passioni complicate; ma anche paladina anzitempo dell’equità retributiva nel mondo dorato di Hollywood; protagonista di pellicole fuori dagli schemi (come il film «Proposta indecente», con Robert Redford) e di film di successo, da «Ghost-Fantasma» a «Codice d’onore», «Soldato Jane» (di cui fu anche produttrice). Adesso ha deciso di raccontare il lato buio della sua vita, dall’inizio. Di mettere nero su bianco quell’abisso tra il glamour «out» e i dettagli intimi e difficili, il «dentro» più amaro. A cominciare dalla sua infanzia raminga, con continui spostamenti tra New Mexico, Pennsylvania e Ohio; e con entrambi i genitori alcolizzati. «A 12 anni mia madre tentò per la prima volta di suicidarsi - si legge nel libro -. Ricordo di aver usato le mie dita, le dita piccole di una bambina, per togliere dalla bocca le pillole che mia madre aveva ingerito». I ripetuti tentativi di suicidio furono per Moore la fine della sua infanzia. Seguirono una rivelazione scioccante dopo l’altra. La prima, che l’uomo che lei chiamava papà e amava come tale non era in realtà il padre biologico. Dopo il divorzio dei genitori la Moore andò a vivere con la madre. In quegli anni accade un altro episodio sconvolgente: poco più che bambina, è vittima di uno stupro. Nel libro scrive che quando aveva 15 anni la madre tornò a casa con un uomo più grande. Lui la violentò e poi le chiese come si sentiva ad essere stata venduta dalla madre per soli 500 dollari. «Nel profondo del cuore no, non credo che si sia trattato di una semplice transazione - scrive a proposito del fatto se fu venduta o meno dalla madre -. Tuttavia gli diede accesso a me e mi fece del male». In seguito abbandonò la scuola e la madre e si trovò a vivere con un chitarrista. Due anni dopo sposò il musicista rock Freddy Moore, ma l’unione non durò molto. Nel libro ripercorre i matrimoni (Bruce Willis, dal 1987 al 2000; Ashton Kutcher dal 2005 al 2013), il rapporto con le tre figlie, nate dal matrimonio Bruce Willis (Rumer, 31, Scout, 28 e Tallulah Belle, 25), e quello con il successo. A 19 anni, senza alcuna esperienza nel campo della recitazione, ebbe una parte nella soap opera «General Hospital» ma poi cominciò anche con l’alcol e la droga, alternando percorsi difficili di riabilitazione. Negli anni ‘90 inizia l’ascesa verso il successo, che la porta a diventare l’attrice più pagata di Hollywood, tanto da vedersi affibbiare il nomignolo di «Gimme Moore», che gioca sull’assonanza con la frase «dammi di più». Ma adesso desidera che il pubblico la veda finalmente come lei vede se stessa, senza barriere o trucchi. Vulnerabile, vera. «Non come su una copertina, non come un personaggio», ha dichiarato in più di un’intervista, nel tour per promuovere il libro. Un processo per riscoprirsi, per ritrovarsi, al di là del successo. Un percorso di guarigione, doloroso e pieno di demoni e fantasmi. Come quello del patrigno, Danny Guynes, che morì suicida nel 1980. Pochi anni dopo Demi entrò in un percorso di «rehab» per disintossicarsi da alcol e droghe. Nel libro Moore racconta anche del suo matrimonio con Kutcher e di quanto devastante fu per lei scoprire del suo tradimento. Kutcher lo ammise, ma si sentì anche giustificato a farlo perché la coppia aveva avuto un menage à trois. Durante il matrimonio con Kutcher, Moore rimase anche incinta. Aveva 42 anni e perse il bambino al sesto mese di gravidanza. La Moore sostiene che Ashton non le diede il supporto necessario e di essere così ricaduta nell’alcolismo. Nel 2012, dopo mesi di feste, alcol e una drastica perdita di peso, venne ricoverata in ospedale, prima di ricominciare con la riabilitazione: «All’inizio della mia carriera ho intrapreso un percorso di vera autodistruzione». «Nonostante i successi avuti», ammette: «Se porti dentro di te un pozzo di vergogna e un trauma irrisolto, nessuna somma di denaro, nessuna celebrità, può riempirla». Al suo fianco oggi ci sono le figlie, che la capiscono. «Cresciamo pensando che i nostri genitori siano degli dei dell’Olimpo. Ovviamente, diventando adulte, iniziamo a renderci conto di quanto i nostri genitori siano solo persone», ha detto la figlia Scout. «E va bene così».
Le confessioni di Demi Moore: intimità a tre con il marito Ashton Kutcher. Pubblicato venerdì, 27 settembre 2019 da Corriere.it. L’ultima rivelazione è quella di essere stata venduta dalla madre per 500 dollari e di conseguenza violentata, a 15 anni, da un uomo entrato tranquillamente in casa con le chiavi. Ma c’è anche la confessione d’aver fatto sesso a tre per accontentare il giovane marito: «Ho detto sì per farmi accettare e per paura di perderlo». E c’è il racconto del momento drammatico in cui lei, dodicenne, salva la mamma dal suicidio: «Ricordo di aver usato le mie dita, le dita piccole di una bambina, per toglierle dalla bocca le pillole che aveva ingerito». C’è il momento in cui, sedicenne, scopre che suo padre non era suo padre. C’è l’adolescenza in cerca di fortuna fra abuso di alcol e cocaina. L’autobiografia di Demi Moore, Inside Out, edita da HarperCollins, è finalmente uscita negli Stati Uniti ed è un sollievo, poiché lo stillicidio di anticipazioni seguitava dal 12 settembre, cominciato con un’intervista sul New York Times e una copertina di Harper’s Bazaar, sulla quale Demi posa nuda a 56 anni. Nuda l’avevamo già vista anche con il pancione, anno 1991, su una cover di Vanity Fair Usa che inaugurò un genere assai emulato. La volontà di fare notizia e, in definitiva, di essere amata, c’era già allora. A Demi non bastava essere la star di Ghost, film che nel ’90 era stato campione di incassi nel mondo, lei voleva stupire, imporre tendenze, aprire strade. È stata la prima diva a reclamare parità di cachet fra attori e attrici e la prima a incassare 12,5 milioni di euro per un film (Striptease). E pazienza se all’aumento salariale corrispondeva un’impennata del tasso erotico, già cominciata con Proposta indecente e Rivelazioni. Demi è stata la prima celebrità a sposare un toyboy, Ashton Kutcher, 15 anni meno di lei. La prima a pentirsene e, poi, la prima a fidanzarsi con un ex della figlia. Era il 2012, lei aveva 50 anni, il ragazzo, Harry Morton, 31, però non tutte le strade mai battute portano in bei posti. Rumer, avuta da Bruce Willis, secondo di tre mariti, smise di parlarle. Non era l’unico motivo, scopriamo adesso. Rumer si era allontanata già quando la madre aveva avuto un collasso per aver fumato cannabis e inalato ossido di azoto. Le sorelle Scout e Tallulah si erano defilate prima ancora, tutte stufe dell’altalena di depressione, alcolismo, droghe e periodi di rehab in cui la mamma si dibatteva, specie da quando aveva perso la bimba che aspettava da Ashton. Era al sesto mese di gravidanza, rivela adesso, voleva chiamarla Chaplin Ray, e dopo aveva ripreso a bere, incolpandosi dell’aborto. Poi, era diventata dipendente dagli psicofarmaci, quindi aveva scoperto che Ashton l’aveva tradita due volte. Lui (attualmente sposato con l’attrice Mila Kunis) ha risposto su Twitter in modo singolare: «Avevo scritto un tweet molto crudele, poi ho guardato mio figlio, mia figlia, mia moglie e l’ho cancellato». Segue un secondo tweet, corredato di numero di cellulare: «Per sapere la verità scrivetemi». Inutile farlo. Il numero, in realtà, dà accesso a un social di sua proprietà: Ashton se n’è approfittato per fare pubblicità al suo nuovo business. Nella ridda di rivelazioni, le reazioni sono imprevedibili e anche ridicole. C’è Demi che confessa di sentirsi in colpa per aver ferito i sentimenti dell’attore Jon Cryer, col quale ebbe un flirt quando lui aveva 19 anni e lei 21, e dice: «Sono stata insensibile perché con me lui aveva perso la verginità». E Cryer cinguetta via social «tranquilla, hai poco da starci male, avevo già perso la virginità al liceo». Il risultato è che, se Demi ha scritto un’autobiografia per essere amata per quel che è, rischia semmai di essere compatita. Negli ultimi anni, racconta, ha affrontato un percorso di riabilitazione post traumatica e di disintossicazione dalle dipendenze e ha recuperato il rapporto con le figlie. Però nell’eccesso di anticipazioni drammatiche e lacrimevoli, la serenità tanto faticosamente conquistata non fa notizia.
Demi Moore, «Kutcher mi ha tradita due volte, per lui ho fatto sesso a tre». Pubblicato domenica, 22 settembre 2019 da Corriere.it. Non è ancora in distribuzione (uscirà martedì 24 settembre), ma l’esplosiva autobiografia di Demi Moore, «Inside Out», continua a far parlare per le scioccanti rivelazioni della sua autrice. Che torna a parlare della sua storia d’amore con Ashton Kutcher (con cui è stata sposata dal 2005 al 2011), incontrato a una festa di amici comuni nel 2003 e di cui, racconta la diva, si è innamorata nonostante fosse di 15 anni più giovane di lei. All’inizio, scrive Moore, la loro relazione era perfetta. Secondo quanto rivela «RadarOnline», i problemi sono cominciati dopo che Moore ha abortito spontaneamente al sesto mese di gravidanza, e diversi successivi tentativi di fecondazione in vitro falliti. Nel libro l’attrice racconta che l’ex marito l’ha tradita due volte, con Brittney Jones e Sara Leal, e che per rendere più «pepata» la loro relazione le avrebbe proposto un ménage à trois con un’altra donna. Il rapporto a tre risalirebbe al 2005, pochi mesi prima del loro matrimonio, in un periodo in cui l’ex soldato Jane stava provando ad avere un bambino: Moore spiega di aver accettato di fare sesso a tre solo per essere accettata da Kutcher come moglie. «Volevo mostrargli quanto poteva essere fantastico e divertente», ha rivelato, ammettendo poi però che quell’incontro «è stato un errore». Poi il capitolo dei tradimenti, che sarebbero arrivati negli anni successivi. Secondo quanto riporta il «Daily Mail», nel 2010 Demi Moore era a New York City sul set del film «Another Happy Day» quando lesse per caso su una rivista di gossip che Kutcher aveva dormito con Brittney Jones, all’epoca 21enne. Nonostante i problemi di coppia, nel 2011 Demi era ancora intenzionata a tenere in piedi il suo matrimonio. Suo marito, forse, un po’ meno. Demi racconta di aver saputo da un alert di Google che Kutcher aveva passato una notte selvaggia nella sua suite dell’Hotel Hard Rock di San Diego con Sara Leal, una texana 22enne conosciuta alla festa di addio al celibato dell’amico Danny Masterson, proprio nel giorno del loro sesto anniversario. La ragazza raccontò ai giornali che a rimorchiarla era stato proprio l’attore; aggiungendo che, pochi minuti dopo il loro incontro, lei, Kutcher e un’altra giovanissima ragazza si erano ritrovati a mollo in una fantastica vasca idromassaggio sul balcone della suite. «Mi sono sentita male. Sapevo che era vero», confida l’attrice nel suo libro. Inevitabile la decisione di separarsi, alla fine del 2011. Demi e Kutcher hanno divorziato ufficialmente due anni dopo, nel 2013. L’attore di «Jobs» oggi è sposato con Mila Kunis, da cui ha avuto due figli. «Questa è la verità di Demi», sarebbe stato il suo commento secondo quanto riferisce «UsWeekly». Demi, invece, da allora non ha frequentato ufficialmente nessun uomo.
Da Huffingtonpost il 21 settembre 2019. L’avrebbe tradita due volte e in più gli avrebbe chiesto di avere un rapporto a tre. Demi Moore racconta nella sua autobiografia, Inside Out, i segreti della sua relazione con Ashton Kutcher. Secondo quanto rivelato da RadarOnline, nel libro l’attrice racconta che l’ex marito ha avuto dei rapporti con Brittney Jones e Sara Leal e che per rendere più “intrigante” la loro relazione le ha chiesto di partecipare a un incontro tra lui e un’altra donna. Il rapporto a tre si sarebbe verificato a pochi anni dal matrimonio, avvenuto nel 2005. Probabilmente nel periodo in cui Moore stava provando ad avere un bambino. In Inside Out l’attrice afferma di aver detto di sì solo per essere accettata come moglie: “Volevo mostrargli quanto poteva essere fantastico e divertente”. I tradimenti sarebbero arrivati negli anni successivi. Secondo quanto riporta il Daily Mail, Moore era a New York City nel 2010 quando sulla rivista “Star” ha letto che Kutcher aveva dormito con Brittney Jones. I due si sarebbero incontrati durante una festa. “Era paranoico e non voleva scrivere nulla che lo mettesse nei guai. Gli ho chiesto se volesse incontrarmi e mi ha detto di si”, ha rivelato la Jones. All’epoca Kutcher aveva negato qualsiasi accusa. Moore nel libro, invece, racconta di averne parlato direttamente con l’ex marito che ha ammesso di averla tradita e ha cercato una giustificazione. “Ashton ha detto che avere un rapporto a tre ha rotto gli argini e, in una certa misura, questo ha giustificato ciò che ha fatto dopo”, ha scritto Moore, secondo RadarOnline. Sono rimasti insieme, comunque. Il secondo tradimento raccontato da Moore è avvenuto con l’allora 22enne Sara Leal a una festa di addio al celibato. “Mi sono sentita male. Sapevo che era vero”, ha scritto l’attrice nel suo libro. Ashton e Demi si sono separati alla fine del 2011 e hanno divorziato ufficialmente due anni dopo nel 2013. L’attore di “What Stays In Vegas” è ora sposato con Mila Kunis con cui ha due figli. Secondo UsWeekly, ha commentato così il libro di Moore: “Questa è la verità di Demi”.
Clarissa Valia per Tpi.it il 25 settembre 2019. Ashton Kutcher ha deciso di rispondere alle dichiarazioni scioccanti della ex moglie Demi Moore contenute nel libro Inside Out uscito ieri, 24 settembre. Nella sua autobiografia l’attrice racconta, tra le altre cose, dei tradimenti subiti dall’ex marito Kutcher.“Ashton Kutcher mi ha tradito due volte. Ho detto sì a un rapporto a tre per essere accettata” scrive nel libro Demi Moore, dove ha anche raccontato l’inizio della loro storia e l’aborto: “Avevamo appena iniziato a uscire insieme, era il 2003, io avevo 42 anni e lui 15 di meno, sono rimasta incinta poco dopo, di una bambina, a cui avremmo voluto dare il nome di Chaplin Ray, ma al sesto mese di gravidanza ho avuto un aborto spontaneo”. L’attore, 41 anni, ha esortato i fan su Twitter a “mandargli un sms per scoprire la verità”. E, parlando di Demi Moore ha dichiarato: “Ho resistito a pubblicare un tweet cattivo per il bene della sua famiglia – la moglie Mila Kunis e il loro figli Wyatt, 4 anni, e Dimitri, 2. “Stavo per premere il pulsante invia su un tweet davvero duro. Poi ho visto mio figlio, mia figlia e mia moglie e l’ho cancellato” ha scritto l’attore su Twitter. Altri utenti hanno invece risposto al tweet in cui l’attore pubblicava il numero di telefono e hanno inviato un sms per “scoprire la verità”. La risposta proviene da un sistema automatico collegato a una piattaforma di messaggistica chiamata Community. Il testo di risposta è stato condiviso sul social da diversi utenti: “Qui Ashton. Questo è un testo automatico per farti sapere che ho ricevuto il tuo messaggio”. Ashton Kutcher e Demi Moore si sono separati alla fine del 2011 e hanno divorziato ufficialmente nel 2013. Lui ora è sposato con Mila Kunis con cui ha due figli. Demi Moore oggi è fidanzata con la stilista serba Masha Mandzuka.
Dagonota: Ashton ha usato l'attenzione mediatica sulle sue avventure sessuali per rilanciare una start-up (oggi è un venture capitalist di grande fiuto e indiscusso talento). Su Wired si racconta la storia di questa Community, una specie di social network che avrebbe messo in contatto gente comune e star di Hollywood, anche via sms. Ma il sistema è andato in tilt dopo pochi minuti.
DAGONEWS il 26 settembre 2019. Continua l’intemerata di Demi Moore nei confronti dell’ex marito Ashton Kutcher che continua a essere tirato in ballo per sponsorizzare la biografia dell’attrice “Inside Out”. Dopo aver rivelato i tradimenti del marito e il fatto di essere stata costretta a fare sesso a tre, adesso Kutcher finisce sotto accusa per una serie di scatti sui quali Demi punta il dito. «Mi ha fatto vergognare» ha detto ricordando un’immagine di lei in mutande da lui prontamente pubblicata sui social. L'attrice ha inoltre accusato Kutcher di averla incoraggiata a bere, facendola ripiombare nel tunnel dell’alcolismo dalla quale era riuscita a uscire venti anni prima. Moore ha raccontato che voleva essere una "ragazza divertente e normale" che era in grado di "bere un bicchiere di vino a cena o fare un giro di tequila a una festa" perché pensava che fosse quello che voleva Kutcher: «Quando ho alzato il gomito, però, mi ha mostrato una foto che mi aveva fatto: avevo la testa appoggiata sul water. All'epoca sembrava uno scherzo. Ma era davvero solo mortificante». Sulla foto in mutande del 2009, invece, Kutcher aveva replicato: «Era un bikini, non biancheria intima. Mi stava stirando i pantaloni. Sembra strano, ma eravamo vicino a una spiaggia e lei indossava un bikini, mi stirava i pantaloni! E comunque prima di pubblicare quella foto le ho chiesto se potevo farlo». Nonostante non perda occasione per infangare la loro storia, Moore ha scritto nel libro: «Sono grata ad Ashton, che ci crediate o no. Qualsiasi dolore abbiamo attraversato insieme ha permesso a entrambi di crescere e diventare le persone che siamo oggi».
Da ilmessaggero.it il 3 novembre 2019. La figlia di Demi Moore, Tallulah Willis, ha parlato per la prima volta dei problemi di dipendenza dall'alcol della madre. L'attrice ha avuto diversi problemi legati all'abuso di alcolici e ovviamente questi suoi eccessi sono stati notati dalle sue figlie che hanno vissuto male la condizione della mamma. L'attrice in un primo momento sembrava essere guarita, qualche anno fa ha avuto invece una brutta ricaduta: «Era come se il sole tramontasse e come fosse arrivato un mostro», ha raccontato la giovane in un programma televisivo statunitense, come riporta la stampa locale, «Ricordo che ero molto ansiosa quando sentivo che i suoi occhi si chiudevano mentre parlava con me, capivo che era ubriaca». Tallulah spiega che la dipendenza della mamma l'ha portata a sentirsi poco amata da Demi e aggiunge che se fosse stata sobria probabilmente sarebbe stata anche più affettuosa con le sue figlie. Demi Moore ha parlato più volte dei suoi problemi di dipendenza, della riabilitazione e della ricaduta, ma sentire quello che si è vissuto in casa dalle figlie è qualcosa che non era mai accaduto.
Antonella Catena per amica.it il 3 novembre 2019. Ci sono cose che delle figlie non vogliono rivivere. Che è meglio che non rivivano. Ci sono cose che una madre aspetta a rendere pubbliche. Aspetta che le figlie siano abbastanza grandi. perché sa che significa riportarle laggiù…Rumer Willis, Scout e Tallulah Willis oggi sono delle little women. Delle giovani donne. La prima è nel cast di C’era una volta… a Hollywood di Quentin Tarantino.
Demi Moore: chi sono le sue tre figlie? Sono le figlie di Demi Moore e Bruce Willis. La coppia d’oro della Hollywood degli action hero (lui, papà) e della prima diva a essere pagata quasi come un uomo (lei, mamma). Per la cronaca: 12.500.000 per Striptease. Anno 1996. Oggi Demi Moore è la scrittrice numero uno d’America. La sua aubiografia/memoir/confessione è stata in testa alla lista dei best-seller del New York Times. Si intitola Inside Out. Racconta molte cose. Tante che le sue figlie, ha detto Demi, possono affrontare solo ora. Che sono cresciute. Inside Out sta continuando a scioccare gli USA. Demi continua a promuoverlo. L’ha hatto al podcast di Krista Smith, giornalista hollywoodiana potenstissima. E a Red Table Talk, lo show su Facebook in cui Jada Pinkett Smith, sua madre e sua figlia Willow ospitano celebrity in vena di chiacchierate tra donne a cuore aperto. Guardatele e ascoltatele qui e qui sotto.
Demi Moore e i fantasmi del passato. «Non ho mai voluto nascondere nulla alle mie figlie. È solo che ci sono cose da cui, quando sono piccole, vuoi tenerle lontane. Anche se famno parte della tua vita». Ha detto così, la 56enne Demi Moore. Ecco perchè Inside Out è stato scritto/pubblicato solo ora. A confessione si aggiungono confessioni, però. Se la madre dice ciò, le figlie raccontano quello che all’epoca vedevano. Sapevano. Provavano. A un certo punto, nel periodo peggiore, Rumer dovette chiamare il 911. La madre stette male di fronte a lei, per un mix di droghe leggere e nitro: «Si spaventò. Pensò che potessi morire davanti a lei, vedendomi sul pavimento». Per tre anni, Demi e le figlie non si sono più parlate. Nel libro, Demi confessa la dipendenza dall’alcol e il fatto che a vent’anni faceva uso di cocaina. Poi il rehab, negli Anni 80. Più o meno quando incontrò Bruce Willis. Sono stati sposati dal 1987 al 2000. Rumer è nata nel 1988. Scout nel 1991. Tallulah nel 1994. C’è una foto, su un red carpet, in cui madre e figlie sono vestite uguali. Hanno tutte i capelli corti. Demi per esigenze di copione (in Soldato Jane faceva la marine), le figlie e Bruce per complicità famigliare. Nel suo libro, Demi dice di essere stata sobria e pulita per quasi 20 anni. E di esserci ricaduta, nelle sue addiction, durante il matrimonio con Ashton Kutcher (2005-2011). Di essere stata male, soprattutto, subito dopo la fine della loro unione, nel 2012.
Mamma era un mostro. Rumer, Scout e Tallulah c’erano e vedevano tutto. Demi ci dice che ha aspettato a rimetterle di fronte a quei fantasmi… L’ha fatto adesso che sono cresciute. Raccontandoci tutta la sua storia. La loro storia. Con Rumer e Tallulah, è andata da Jada Pinkett Smith. E insieme sono tornate indietro nel tempo, ricordando i momenti più brutti delle dipendenze. Tallulah, la più piccola: «Era come un mostro che arrivava. Sentivo aumentare l’ansia dentro di me quando iniziavo a vedere i suoi occhi che si chiudevano piano, mentre parlava». Rumer: «Era strano. Mi arrabbiavo… Mi ritrovavo a parlarle come fosse una bambina. In quei momenti non era più la mamma con cui eravamo cresciute». Della volta che chiamò il 911 ricorda: «Ero lì, con gli uomini del 911. pensavo che mamma poteva morire. Che avrei dovuto dir alle mie sorelle che non l’avrebbero rivista mai più. Che non avrei mai dimenticato l’immagine di lei che stava male». Oggi dicono che Inside Out è la sua visione della storia. Il punto di vista è quello di mamma. È lei l’io che narra. Dicono anche che si è presa tutte le responsabilità delle sue scelte e delle sue azioni. Buone o cattive che fossero. Alla fine, dice Rumer, «mamma si è data la possibiltà di raccontare anche i suoi momenti peggiori. Non di nasconderli. Con la sua storia ci dice che possiamo attraversare anche momenti terribili e uscirne. Che siamo tutti dei sopravvissuti». E sì, Demi. Le tue figlie sono cresciute… E tornando a quella foto di tanto tempo fa, oggi hanno i capelli lunghi come i tuoi…
· Charlize Theron.
Charlize Theron giovanissima con Barbara d’Urso: gli esordi italiani dell’attrice. Pubblicato mercoledì, 02 ottobre 2019 da Corriere.it. Sono due donne famose, a loro modo, nel rispettivo mondo lavorativo. Una è un'attrice famosissima e di livello mondiale e l'altra è la conduttrice più amata del piccolo schermo italiano. Non hanno solo la popolarità in comune, anzi: Barbara d'Urso stupisce tutti pubblicando una foto sul suo profilo Twitter. La d'Urso compare accanto a una giovanissima Charlize Theron, già bellissima e nei tratti molti simili a oggi. Il primo lavoro come modella per la Theron è stato proprio in Italia, precisamente nel 1991 quando, a 16 anni, ha partecipato al concorso internazionale New Model Today per modelle emergenti a Positano. Classificandosi ovviamente al primo posto. A condurre quella serata era proprio Barbara d'Urso, accompagnata da Carlo Massarini.
Charlize Theron: «Mia madre ha ucciso mio padre con un colpo di pistola». Pubblicato martedì, 17 dicembre 2019 da Corriere.it. Charlize Theron non ha paura di parlare dell'infanzia difficile. In occasione della promozione del suo ultimo film «Bombshell» l'attrice premio Oscar, 44 anni, ha raccontato una vicenda traumatica del suo passato: sua madre Gerda ha ucciso suo padre Charles con un colpo di pistola quando lei aveva 15 anni. Il padre era un alcolizzato e spesso in casa si dimostrava violento. «Non sai mai come reagisce una persona con una dipendenza». E così una sera tornado a casa ubriaco e con una pistola in mano, madre e figlia si sono spaventate. «Eravamo nella mia camera da letto — ha spiegato la star — quando lui è arrivato con una pistola. Abbiamo cercato di bloccare la porta per non farlo entrare, mettendoci davanti, ma lui si è allontanato e ha sparato tre colpi alla porta. È stata una fortuna che non ci abbia ferite. A quel punto mia madre ha impugnato un'altra pistola che avevamo in casa e lo ha ucciso, ponendo fine alla minaccia». Si tratta di legittima difesa, insomma, tant'è che la madre non è stata incriminata, ma la vicenda ha lasciato una ferita nell'infanzia di Charlize. «Non mi vergogno a parlarne — precisa l'attrice —.Penso che più parliamo di queste cose, più capiamo di non essere soli...». Aggiungendo dettagli sul padre del quale ovviamente non ha un bel ricordo. «Era un uomo malato, io l'ho sempre visto in quelle condizioni». Vivere con un'alcolizzato com'era? «Una situazione senza speranza». Un altro momento negativo della sua vita, confessato durante un'intervista, è stato quando è stata molestata da un famoso produttore di Hollywood al primo provino. Al tempo aveva 19 anni. Un sabato sera lei aveva appuntamento con lui nella sua camera dl'albergo e il produttore in pigiama ha allungato le mani. «È strano, tante ragazze parlano di storie simili, ma quando ti succedono, sei solo stordita, non sai cosa fare».
Da it.notizie.yahoo.com il 19 dicembre 2019. Charlize Theron ha deciso di mettere le cose in chiaro, invitando i media ad usare i pronomi femminili quando si parla della figlia transgender Jackson, adottata quando era ancora molto piccola, nel 2012, in Sudafrica. Madre della piccola Jackson, una ragazzina transgender di 7 anni, Charlize Theron ha chiesto ai media di usare i pronomi giusti, ovvero femminili, ogni qualvolta si riferiscono alla figlia. A tal proposito, nel corso di una recente intervista l’attrice ha dichiarato: “Per me che sono sua madre è importante far sapere al mondo che mi farebbe piacere se si usassero i pronomi corretti, nel riferirsi a lei”. Per poi aggiungere: “A volte è capitato anche a me di usare i pronomi sbagliati, parlando di lei in un’intervista. È una cosa che davvero la ferisce. Non voglio essere quel tipo di mamma”. Come dichiarato da Charlize Theron in un’intervista rilasciata al Daily Mail, infatti, Jackson si identifica come una ragazza e l’attrice, in qualità di genitrice, farà sempre di tutto affinché i propri figli possono essere liberamente ciò che vogliono. A tal proposito ha affermato: “Anche io pensavo che fosse un maschio, fino a quando a tre anni non mi ha guardato negli occhi e mi ha detto “Non sono un maschio!””. D’altronde, come da lei stesso sottolineato, il suo compito è quello “di amare i miei figli e fare in modo che abbiano tutto ciò di cui hanno bisogno per essere ciò che vogliono. E farò tutto ciò che è in mio potere perché i miei ragazzi abbiano questo diritto”.
· Brad Pitt e Angelina Jolie.
Anticipazione Stampa da “Oggi” il 2 ottobre 2019. In un’intervista al settimanale OGGI, Brad Pitt racconta come la sua esperienza di vita abbia influito nella scelta di fare il film «Ad Astra»: «Certamente ha influito, dovevo comprendere molte cose: la rottura di una famiglia penso sia una delle situazioni più difficili. Volevo riflettere sulle mie colpe, su come fare meglio, perché non volevo andare avanti così...». E facendo il paragone con il protagonista del film, Roy, che sta solo con la sua mente, sull’orlo della follia, dice: «Io parlo con me stesso forse troppo. Quella chiacchiera mentale che dura tutto il giorno e sembra continuare nel sonno. E ti svegli e continua ancora. Bisogna stare allerta: la mente non si ferma mai e ti fa perdere di vista le cose alle quali lavori, che segui o che ami. Controllare la propria mente è una delle sfide più difficili».
Brad Pitt ha passato 18 mesi negli Alcolisti Anonimi dopo il divorzio da Angelina Jolie. Pubblicato giovedì, 05 settembre 2019 da Corriere.it. La trasformazione di Brad Pitt «in un uomo migliore» era stata rivelata dallo stesso attore in una lunga intervista a GQ nel 2017, dove aveva parlato, fra le altre cose, anche della sua ritrovata sobrietà, dopo il tumultuoso divorzio da Angelina Jolie, annunciato (a sorpresa) a settembre di un anno prima. E di recente il protagonista di «Once Upon A Time In Hollywood» è tornato ad affrontare i demoni di quel doloroso periodo della sua vita sul New York Times. «Ognuno di noi porta con sé nella vita dolore, sofferenza e perdita e anche se passiamo la maggior parte del tempo a nasconderle, loro sono lì, sono dentro di te». E rifugiarsi nell'alcool e nelle droghe, come Pitt aveva fatto per anni, ha solo aggravato il problema. «Avevo spinto le cose troppo oltre - ha infatti ammesso la 55enne star - così ho rimosso ogni cosa legata al bere e sono entrato negli Alcolisti Anonimi per il successivo anno e mezzo. Avevo tutti questi uomini seduti in circolo, che erano aperti e onesti in un modo che non avevo mai sentito e in quello spazio sicuro non giudicavano e, quindi, non ti giudicavi. Alla fine è stato davvero liberatorio poter esprimere i lati più brutti di te stesso e in questo ho trovato un grande valore». La bottiglia non è però stata l'unico vizio contro cui Pitt ha lottato in passato. «Negli anni Novanta avevo tutte le attenzioni su di me - ha detto ancora l'attore - e così mi sono trasformato in una sorta di eremita e mi facevo di marijuana fino a perdermi nell'oblio». Oggi però l'attore ha smesso di preoccuparsi così tanto di soddisfare le aspettative altrui, trasformandosi in «quell'uomo migliore» che si proponeva di essere due anni fa e questo grazie anche alla decisione di diradare le apparizioni sul grande schermo, per dedicarsi ad altro. «Ho passato troppo tempo della mia vita a lottare contro i pensieri negativi e a sentirmi legato a essi o ingabbiato da essi e questa cosa è semplicemente ridicola - ha spiegato la star di «Ad Astra» -. D'ora in avanti fra un film e l'altro ci saranno delle pause molto più lunghe, ma solo perché adesso ci sono molte altre cose che voglio fare. Quando ti senti come se avessi stretto qualcosa fra le braccia per troppo a lungo, allora significa che è tempo di andare ad abbracciare qualcosa d'altro».
E SE VI DICESSIMO CHE I BRANGELINA NON DOVEVANO ESISTERE? Carlo Lanna per Il Giornale il 3 ottobre 2019. Oltre al chiacchieratissimo divorzio fra Angelina Jolie e Brad Pitt che, per mesi, ha popolato le prime pagine dei settimanali di gossip, ora dai magazine americani, come scrive Us Weekly, spunta un’indiscrezione bomba che potrebbe alzare un altro polverone sulla coppia più amata dal cinema. Secondo una fonte anonima e vicina alla stessa Angelina Jolie, pare che l’attrice abbia avuto diverse pressioni per celebrare il matrimonio con Brad Pitt. La Jolie dal quel che sembra, non era poi così tanto convinta di legarsi a una star del calibro di Brad Pitt. Il motivo? È sconosciuto. La dichiarazione della gola profonda pare comunque sia priva di fondamento dato che, nel corso del tempo in cui la Jolie è stata sposata con l’attore di Ad Astra, più volte ha affermato di essere profondamente felice di vivere assieme a Brad Pitt. I due hanno condiviso un amore profondo, e hanno messo su una famiglia perfetta e invidiata da tutti. Queste rivelazioni sembrano essere legate alla voglia, da parte di Angelina Jolie, di voltare pagina una volta per tutte e di scrivere la parola fine alle pratiche del divorzio. "Angelina è molto grata a Brad Pitt per la vita gli ha regalato, nonostante tutto – afferma poi la gola profonda – Ora pensano solo ai figli e alle loro priorità." I due si sono legati sentimentalmente sul set di Mr. & Mr Smith nel lontano 2005. A quel tempo Brad Pitt era sposato con Jennifer Aniston.
Sandra Rondini per ilgiornale.it" il 14 Novembre 2019. “Angelina prova molto risentimento verso Brad. Lo ritiene responsabile per averle impedito di vivere, per averle rovinato la vita e i sui sogni e quella che aveva immaginato per i loro figli”. Parola di un insider di Us Weekly che aggiunge un’altra tessera al puzzle infinito del divorzio tra le due star di Hollywood, trasformatosi in una lunga e estenuante guerra di nervi e non solo per questioni finanziarie. Prima che la separazione mettesse la parola ‘fine’ alla favola dei “Brangelina, sempre in giro per il mondo con la loro tribù di sei figli”, la Jolie, come racconta l’insider del magazine, sognava una vita unica e originale per la sua famiglia. “Aveva in mente di girare sempre il mondo, di vivere come una nomade insieme ai suoi figli che voleva imparassero tante lingue e si sentissero cittadini del mondo. A porre un freno a questi sogni è sempre stato Pitt che voleva per i suoi figli una vita più normale, con un posto che potessero chiamare ‘casa’, una città in cui crescere e farsi degli amici”, ha spiegato la fonte. Due visioni opposte e incompatibili, quindi, che nel corso della lunga relazione che ha unito i due attori si sarebbero scontrate a più riprese, con la Jolie che però riusciva spesso a spuntarla, trascinando tutta la famiglia nei posti più sperduti del mondo. “Brad voleva restare a casa con i bambini, mentre Angelina voleva che i figli si sentissero a casa ovunque, che parlassero un milione di lingue. Su Brad ha pesato il suo alcolismo, non è stato abbastanza forte da opporsi perché si sentiva in colpa”, ha aggiunto l’insider, sottolineando come sia la Jolie la matriarca della famiglia che “tutto ordina e dispone”. "Prima del divorzio, l'intera famiglia ha condotto un'esistenza molto nomade a causa dell'irrequietezza di Angie. Brad voleva che i bambini avessero più stabilità mentre la Jolie non faceva che ripetergli che stavano dando ai bambini un'infanzia idilliaca, regalando loro la possibilità di vedere così tanti paesi diversi, imparare tante lingue e vivere esperienze uniche, totalmente diverse da quelle monotone dei loro coetanei, ma a Brad non è mai andata giù questa cosa, la trovava destabilizzante per i figli. Per lui avere radici è importante per la propria identità”, ha concluso l’insider, spiegando così perché oggi Pitt si ostini a risiedere a Los Angeles, obbligando anche l’ex moglie e i figli minorenni a vivere nella stessa città. Secondo l’accordo di custodia per i figli questo è il prezzo che la ‘nomade’ Angelina Jolie deve pagare per altri sette anni, quando tutti i figli saranno maggiorenni e lei potrà finalmente andare a vivere dove vuole. “Ma fino ad allora – ha concluso la fonte - il fatto di risiedere in una città che detesta sta esacerbando ancora di più l’astio che la Jolie prova verso Pitt, colpevole di aver reso banale la vita sua e dei loro figli”.
ANGELINA SOLO DI NOME. Sandra Rondini per Il Giornale.it il 15 settembre 2019. Secondo quanto riportato dal tabloid americano “Page Six”, Angelina Jolie starebbe usando il figlio Maddox contro l’ex marito Brad Pitt. È quanto sostiene un insider della coppia che ha rivelato al magazine che la recente intervista rilasciata da Maddox su suo padre sarebbe la prova che l’attrice sta usando il figlio perché non è soddisfatta dall’accordo di divorzio e vorrebbe ridiscutere alcuni termini. Maddox ha un pessimo rapporto con il suo padre adottivo dal giorno in cui l’attore lo colpì perché si era messo in mezzo in un litigio tra lui e la Jolie, difendendo sua madre cui è molto legato. Il diverbio culminato con Brad Pitt che diede un pugno a Maddox mentre tutta la famiglia si trovava in volo su un jet privato nel 2016 sarebbe la causa della rottura definitiva tra i due nonostante gli innumerevoli tentativi da parte di Pitt di farsi perdonare. Il fatto che per la prima volta Maddox non sia sfuggito ai reporter e anzi si sia fermato apposta per farsi intervistare, rispondendo però solo a domande su suo padre di cui non ha mai parlato prima in pubblico e con cui non parla nemmeno in privato, è considerato sospetto da diversi addetti ai lavori. Su Brad Pitt Maddox ha risposto molto vagamente alle domande dei giornalisti che gli chiedevano quale fosse lo stato attuale dei suoi rapporti con lui: “Che posso dirvi? Accadrà quel che deve accadere”. Quanto, poi, alla possibilità di una visita paterna nel campus universitario dove da quest’anno studia Biochimica, ha risposto sempre in modo vago e ripetendo, ancora, sibillinamente: “Non ne so nulla...Accadrà quel che deve accadere”. Ma cos'è che deve "accadere" si stanno chiedendo in tanti, interrogandosi su cosa intendesse davvero dire il ragazzo con quelle parole. Maddox, che è una matricola della "Yonsei University di Seoul", in Corea del Sud, “è parso stranamente disponibile e sembrava preparato per l'intervista, come se la Jolie gli avesse messo in bocca le parole da dire perché arrivasse chiara al padre la minaccia che se non accetta una nuova negoziazione Maddox non vorrà vederlo mai più", ha detto un insider a “Page Six”. Questa doveva essere per Brad Pitt l’estate da trascorrere con i suoi figli, finalmente tutti insieme e senza la presenza di un’assistente sociale a mediare i loro colloqui. Perché dal divorzio nel 2016 Pitt ha potuto vedere i suoi 6 figli, tre naturali (Shiloh e i gemelli Knox e Vivienne) e i tre adottati con la Jolie (Pax, Zahara e Maddox - ma quest'ultimo quasi mai presente ai colloqui col padre) solo in presenza di terzi e mai da solo. Era poi stata la Jolie in persona a chiedergli lo scorso luglio di occuparsi dei figli a tempo pieno quest’estate mentre lei era impegnata sul set del nuovo film della Marvel, “Eternals”. E all'attore non era parso vero. Ma, a quanto pare, la tregua con l'ex moglie è durata poco. “Fa tutto lei, tira la corda come vuole, ricattando Brad con l’arma dei figli e l’intervista rilasciata da Maddox è la prova di questa strategia”, ha concluso l'insider di "Page Six". Il magazine ha cercato di contattare i due attori per un commento in merito, senza però ottenere risposta.
Angelina Jolie posa nuda a 44 anni, con le sue "cicatrici visibili e invisibili". La Repubblica il 7 novembre 2019. Non è più il corpo della ventenne ribelle e un po' punk, ma quello maturo, fiero e sensuale di una donna che, a 44 anni, ha vissuto battaglie fisiche (due mastectomie e un'ovariectomia preventive) ed emotive, primo fra tutti il divorzio complicato da Brad Pitt. Angelina Jolie si mette a nudo sulla copertina di Harper's Bazaar. Coperta solo da un velo trasparente, che esalta ancora di più le sue forme, l'attrice si rivela per quello che è, fuori e dentro. Nell'ultimo numero del 2019, la celebre rivista di moda le dedica un ampio spazio per raccontarsi e raccontare dei suoi sei figli, del suo ex marito, dell'impegno decennale per i diritti delle donne e l'istruzione femminile, del desiderio di lasciare gli Stati Uniti per trasferirsi forse in Africa. Ma c'è qualcosa che Angelina Jolie ha conservato della ventenne amante delle calze a rete e dei pantaloni in pelle, ed è lo spirito libero e anticonformista. Che oggi, a 44 anni, le fa dire a tutti: "Ricordate di essere voi stessi, indipendentemente da ciò che può compromettere la vostra capacità di essere liberi" (a cura di Marisa Labanca)
Da tgcom24.mediaset.it il 6 novembre 2019. Angelina Jolie si mette a nudo, per una serie di scatti sensuali per il fotografo Sølve Sundsbø e in un'intervista nel numero di dicembre di Harper's Bazaar. L'attrice parla soprattutto dei figli, degli ultimi difficili anni dopo la separazione da Brad Pitt e del suo impegno sociale: "Voglio che i miei figli crescano nel mondo. Mi piacerebbe vivere all'estero e lo farò non appena avranno 18 anni. Adesso devo restare dove il loro padre sceglie di vivere...". Coperta solo da un velo trasparente bianco la star di "Malficent" è più bella e sensuale che mai e sembra rinata: "Il mio corpo ha attraversato molto negli ultimi dieci anni, in particolare negli ultimi quattro e ho cicatrici sia visibili che invisibili da mostrare", ha detto: "Quelle invisibili sono le più difficili da guarire. La vita a volte fa molti giri. A volte ti fai male e vedi quelli che ami soffrire... Adesso però sento il sangue tornare nel mio corpo". I quattro anni di cui Angelina parla sono quelli trascorsi dalla separazione da Brad Pitt ad oggi. Anni durante i quali l'attrice racconta di essersi concentrata sulla sua carriera e sui suoi figli e di non aver potuto "ascoltare" il suo spirito "libero e selvaggio". "La parte di noi che è libera, selvaggia, aperta, curiosa può essere chiusa dalla vita. Dal dolore o dal male", ha raccontato: "I miei figli conoscono il mio vero io e mi hanno aiutato a ritrovarlo e ad abbracciarlo. Hanno vissuto molto. Imparo dalle loro forze. Come genitori, incoraggiamo i nostri figli ad abbracciare tutto ciò che sono... Non possiamo impedire loro di provare dolore, angoscia, dolore fisico e perdita. Ma possiamo insegnare loro a vivere meglio attraverso tali sofferenze". Adesso l'attrice sembra sentirsi pronta a dare nuovamente espressione al suo animo e mentre continua la sua lotta per la libertà e l'uguaglianza di genere nel mondo condivide le sue speranze per il nuovo anno: "Il mio sogno per tutti nel 2020 è di ricordare chi sono e di essere chi sono indipendentemente da ciò che potrebbe compromettere la loro capacità di essere liberi" e ha concluso: "Se senti di non vivere pienamente la tua vita, prova a identificare cosa o chi ti impedisce di respirare. Identifica e combatti tutto ciò che ti opprime. Ha molte forme e sarà un lotta diversa per ognuno".
Brad Pitt: «Io miracolato, ho vinto alla lotteria: ma non chiamatemi Sex Symbol». Pubblicato giovedì, 29 agosto 2019 da Valerio Cappelli su Corriere.it. Prima che rivenga inghiottito dalle sue guardie del corpo, Brad Pitt finalmente libero sembra uno studente fuori quota, l’aria sbarazzina easy going, pronto a dividere una birra. Con la sua immutata bellezza assassina, porta i basettoni lunghi e un numero imprecisato di bracciali, collanine, anelli. Dopo il divorzio da Angelina Jolie, e il crollo dell’immagine della famiglia perfetta, quanti erano pronti a scommettere che la fama di Brad Pitt sarebbe aumentata? In Ad Astra del regista «intellettuale» James Gray, spunta dalle tenebre dell’abisso e si illumina d’immenso nei panni di Roy, un astronauta in cerca del padre, Tommy Lee Jones, che fa lo stesso mestiere, è disperso nello spazio e persegue un progetto catastrofico per la Terra.
Thriller fantascientifico più dalla parte di Solaris che di Gravity?
«Sì, è un viaggio in cui Roy scopre segreti che minacciano l’esistenza umana. Mi affascinava una storia intimista nello spazio infinito. Il padre, ritenuto morto, era un genitore che lo ha abbandonato da piccolo e la sua assenza ha fatto di Roy, che continua a idolatrarlo, una persona solitaria incapace di esprimere le sue emozioni. Sta perdendo la sua umanità, sta diventando come suo padre».
Se si parla di sfida...
«Parola abusata, ma stavolta ci sta. È stata la mia più grande sfida come attore: tirar fuori emozioni, solo, nello spazio, senza una vita affettiva. E poi sul set, in tuta, me ne stavo lì a penzolare dai fili, sospeso a dieci metri da terra».
Ma quale è stato il viaggio più avventuroso che ha fatto nella sua vita?
Quando da ragazzo ho lasciato il Missouri e sono andato a Los Angeles con 2-300 dollari in tasca, senza conoscere nessuno, senza la minima idea di quello che avrei fatto. Sono un miracolato che ha vinto la Lotteria, e resto un istintivo».
E se non le piace una domanda cosa fa?
«Non nascondo il fastidio. Per esempio, quando mi dicono che sono ancora un sex symbol, scuoto la testa e svicolo».
Come ha lavorato sulla solitudine dell’astronauta?
«Per quanto cerchiamo di nasconderle, ci portiamo dentro dolori e ferite dell’infanzia».
Ha pescato nel dolore per il divorzio?
«Beh, il mio astronauta è un eroe fragile. Un attore deve usare quei sentimenti, deve essere onesto, vulnerabile, aperto, non cercare di essere simpatico o antipatico».
Il regista dice che ha una grande compassione.
«Siamo troppo abituati a creare barriere, a negare il dolore, la vergogna. Siamo partiti da una domanda: c’è la possibilità di un rapporto migliore con le persone che amiamo e con noi stessi?»
Gray dice anche che lei lo chiamava alle due di notte…
«Davvero? Ma era lui che mi chiamava! Siamo amici dagli Anni 90, era da tanto che volevamo lavorare insieme. Certo essendo anche produttore avevo qualche preoccupazione in più. Ci sono rimandi, citazioni di cinema e romanzi…da Cuore di tenebra di Conrad a Moby Dicke Apocalypse Now. In questa storia, immensa e delicata ed è nell’equilibrio di questi due elementi che ci siamo concentrati, puoi trovare archetipi. Credo nella forza del mito. Ma gli eroi di James hanno una visione personale. Quanti film di fantascienza toccano davvero la nostra anima? Io non sono un tipo daGuerre Stellari».
È anche un film sulla memoria. Lei è un cinefilo come il suo amico Quentin Tarantino?
«No, da giovane andavo al Drive In, ora se guardo un film in tv mi sintonizzo su una commedia, le tragedie non ce la faccio. Ma sono cresciuto con i film degli Anni 70, grande periodo dove non trovi buoni o cattivi ma un’umanità complessa. E credo che qui possiamo ritrovarla».
Pensa che potrà ambire al suo primo Oscar?
«Intanto aspettiamo che esca e vediamo le reazioni del pubblico. Ogni anno gente di talento prende la statuetta e altre di eguale talento non la prendono. Hanno vinto tanti miei amici. Sono contento lo stesso».Così parlò Brad Pitt, stella di Hollywood tra le stelle dell’universo.
· I Ritrovi delle Star.
Da "tg24.sky.it" il 4 ottobre 2019. Si chiama “Lowell Cafe” e si trova a West Hollywood, in California. Il locale, primo nel suo genere negli Stati Uniti, ha aperto l’1 ottobre e già registra code all’ingresso. Serve cibo, caffè, spinelli legali, infusi e dolci con marijuana e altri prodotti. A Los Angeles ha aperto il primo Cannabis cafe degli Stati Uniti. Il locale si trova a West Hollywood, in California, e si chiama “Lowell Cafe”. Nel cafe vengono serviti - in modo legale - cibo e bevande "tradizionali", ma anche infusi e alimenti fatti con la cannabis. “Mangia, bevi e fuma” è il motto del locale. Il primo Cannabis cafe degli Usa ha aperto l’1 ottobre e già registra code all'ingresso. La California ha legalizzato la cannabis per uso ricreativo nel novembre del 2016. Poi, dal primo gennaio 2018, nello Stato è diventato legale vendere marijuana a scopo ricreativo. La cannabis, in realtà, si può consumare solo in luoghi e feste privati. O, come nel caso del “Lowell Cafe”, in locali che hanno ottenuto un permesso particolare. Per ora, il “Lowell Cafe” è il primo nel suo genere negli Stati Uniti. Il locale ha oltre 200 coperti, con sale sia all’interno sia all’esterno. Nel locale non si vende alcol, perché in California è vietata la vendita e il consumo di prodotti alcolici insieme alla cannabis. Il locale vende anche spinelli legali e altri prodotti contenenti cannabis. Al “Lowell Cafe” si può consumare legalmente cannabis, insieme a dolcetti e pietanze varie. Il locale ha un sistema di areazione d’avanguardia, per evitare lo spargimento di fumi e odori particolari dentro e soprattutto fuori.
DAGONEWS il 3 ottobre 2019. Era lo Studio 54 della cucina raffinata e il Circo Massimo della celebrità; nell'infinita festa che era New York negli anni '80, il “Quilted Giraffe” era il posto dove vedere ed essere visti. L'elegante sala da pranzo argentata è diventata il punto di connessione tra le star del cinema e artisti, leggende del rock, magnati e potenti politici. Il “Quilted Giraffe” non era solo cucina: tra il 1975 e il 1992, fu il ristorante più costoso d'America e il luogo dove gli ospiti potevano acquistare sigari cubani illegali ed essere portati a casa in Rolls Royce. Farsi di cocaina ovunque e fare sesso nei bagni. A gestirlo c’erano Barry Wine e la moglie Susan, diventati il volto di quel parco giochi per chi poteva permettersi una cena che in quegli anni costava mediamente per tavolo 442 dollari. Tra gli ospiti Jackie O era fissa, Madonna era così in confidenza che entrava in cucina insieme a Warren Beatty mentre Trump teneva banco al suo tavolo preferito: rigorosamente quello vicino al bagno così da poter vedere chi andava in bagno e sapere a chi non stringere la mano. Ai tavoli del “Quilted Giraffe” si sedavano regolarmente Woody Allen, Mick Jagger, Gwyneth Paltrow, Diane Sawyer, Yoko Ono, Bernie Madoff e un gruppo di potenti uomini di Wall Street che si definivano "Lucky Sperm Club". Ma anche Henry Kissinger, Bunny Mellon e Adnan Khashoggi. Anche l’iconico piatto non poteva che rispecchiare gli anni folli: il celebre antipasto “the begger's purse” era caviale, creme fraiche condito con foglia d'oro e servito su una serie di steli. Chi lo ordinava da tradizione doveva ammanettarsi e gustarsi il piatto solo con la bocca. In quegli anni “Quilted Giraffe” incarnava perfettamente l'era in cui era nato, un tempo in cui New York City era una mecca edonistica di eccesso, potere, sesso, droga e denaro. Un ex dipendente ha raccontato: «Giravano così tanti soldi. Erano gli anni '80! La gente si faceva di coca dappertutto. Una volta una coppia iniziò a fare sesso nell’atrio. Mi ricordo che ci fermammo tutti per guardarli». La Sony acquistò l'edificio AT&T in Madison Avenue che ospitava il ristorante al piano terra nel 1991. Dopo 18 anni i Wine, stanchi del faticoso impegno quotidiano, vendettero il contratto di locazione a Sony per un importo a sette cifre. Hanno ufficialmente chiuso i battenti la vigilia di capodanno nel 1992. Barry Wine ora passa la maggior parte del tempo a lavorare nel suo attico a Chelsea dipingendo e disegnando gioielli. I ricordi del ristorante sono sparpagliati in tutta casa: tazze, menu e ritagli di giornale. Quando gli è stato chiesto se avrebbe mai preso in considerazione l'idea di aprire un altro ristorante, ha detto: «No», e ha aggiunto: «Mi sento di aver realizzato molte cose che non erano state fatte prima».
· Lorenzo Riva il super collezionista di Hollywood.
Dal vestito bianco di Marylin Moroe alla F1 di Prost, Lorenzo Riva il super collezionista di Hollywood. Pubblicato giovedì, 03 ottobre 2019 da R. Burattino su Corriere.it. Se la sua vita fosse un film sarebbe «C’era una volta… a Hollywood». L’amore per il cinema, la passione per le star e la voglia di vivere seguendo il modello del self made man americano hanno segnato il destino di Lorenzo Riva. Milanese, 32 anni, fondatore della LR Wonder Company, azienda di cosmetici di lusso e uno dei più ricercati collezionisti di memorabilia del grande schermo, esposti come in un museo tra le sedi di via Sant’Andrea e Buccinasco. «L’abito bianco usato da Marilyn Monroe nel film “Gli uomini preferiscono le bionde”, un paio di ballerine di Audrey Hepburn, il cappello nero di Michael Jackson con la sua firma, il guanto di Freddy Krueger in “Nightmare”. Ma anche il vero Oscar alla carriera dell’attrice Margaret Schell del 1985, le gigantografie di Hulk e Superman o 110 autografi originali, da Liz Taylor a Steve McQueen fino a John Wayne». Lorenzo viaggia in tutto il mondo per lavoro o per comprare questi ricordi («oggetti storici che ispirano la mia creatività»), partecipa alle aste internazionali o frequenta circoli di collezionisti. Un altro grande entusiasmo sono i motori. «Ho acquistato la F1 del 1999 di Alain Prost, le tute di Ayrton Senna e il suo primo kart, ho pure tanti caschi di piloti, tra cui quello di Michael Schumacher”. Ecclettico e inarrestabile. Gwyneth Paltrow, Julia Roberts, Michelle Pfeiffer e Nicol Kidman sono sue fan ma anche fonti d’ispirazione per creare i prodotti al veleno di vipera, alla bava di lumaca, alla placenta vegetale, all’oro 24 carati o al caviale. “Ho studiato al liceo classico – racconta —, poi mi sono iscritto a Economia alla Cattolica, ho dato soltanto un esame (voto: 29). I miei genitori volevano che mi laureassi, invece, io andavo in giro per Milano in cerca di ispirazione. Idealmente mi piaceva la moda ma non ero competente». La sua attività è nata nel 2012 in un piccolo laboratorio di Affori: «Ho conosciuto un chimico, Domenico Guarino, è stato lui a iniziarmi alla cosmetica, un campo in cui le potenzialità sono maggiori e il valore cresce con il tempo. Dopo quasi 11 mesi ho proseguito da solo: il primo anno ho fatturato 30 mila euro, il secondo 400 mila e nel 2019 3 milioni di euro». Il mio modello di business? «Evoca quello degli Usa — risponde — dare un’anima al proprio prodotto. Mi piace l’idea di vendere un sogno, dare vita a qualcosa di magico e apparentemente inarrivabile e renderlo alla portata di tutti. Nella creazione ho voluto trasmettere la stessa emozione che provo io quando trovo l’oggetto del desiderio, è come se la donna scegliendo i miei cosmetici si facesse accompagnare per mano in un mondo di meraviglie hollywoodiane». L’intera produzione è italiana e dietro ci sono qualità e ricerca. «Quando ho saputo che la principessa Kate Middleton andava matta per i cosmetici a base di veleno d’ape, ho trovato il modo di utilizzare questo principio attivo tanto ambito mettendolo a disposizione di tutti». Oltre 200 personaggi della moda, dello spettacolo, della musica e dello sport seguono il lavoro di Lorenzo Riva. Tra i vip di casa nostra, lo stilista Stefano Gabbana che non può fare a meno di un «magico» integratore che fornisce all’organismo i nutrienti indispensabili per migliorare l’idratazione della pelle, il tono e contrastare l’ossidazione cutanea. Il mantra. “Per avere successo nella vita e negli affari non è sufficiente avere un ispiratore, un mentore, occorre l’intuito, la genialità e anche un pizzico di fortuna”. Proprio come in «The Founder» del regista John Lee Hancock, con Michael Keaton: una buona idea conta, ma non basta per il successo. Per fare il vero salto di qualità servono visione, lavoro e caparbietà.
· Benedetta Paravia.
Azzurra Barbuto per “Libero Quotidiano” il 3 ottobre 2019. Quando nel 2002, fresca di laurea in giurisprudenza, Benedetta Paravia arrivò in Arabia Saudita per una vacanza di quattordici giorni, a Dubai vivevano appena un centinaio o due di italiani, oggi essi sono circa 20 mila. «Sono comunque esigui rispetto a indiani, filippini, americani e inglesi», specifica la salernitana, la quale si innamorò di quei luoghi da "Le mille e una notte" proprio durante questo primo viaggio, tanto da decidere di prolungare il soggiorno di tre mesi e poi di trasferirsi in pianta stabile laggiù, dove dimora tuttora. «È stato amore a prima vista, appena scesa dall' aereo ho sentito un' energia speciale e sono stata stregata dall' odore del deserto», ricorda Paravia, che negli Emirati è «produttrice di contenuti per il mondo arabo», ossia di documentari che vengono trasmessi sulle tv locali, e conduce a capo scoperto il programma "Hi Dubai" con un team da lei selezionato e composto soprattutto di giovani donne. «La mia missione è fare sapere al mondo intero che l' Islam è pacifista e che gli arabi non sono terroristi, né maschilisti, bensì generosi, aperti, cortesi nonché molto simili alla gente del Mezzogiorno: fanno a gara per pagare il conto, ti accompagnano fino al portone, ti accolgono a qualsiasi ora», puntualizza Benedetta. «La loro ospitalità è proverbiale proprio come quella di calabresi e napoletani. Se sei ospite a casa loro, quasi ti imboccano, ti riempiono di cibo e di premure». Paravia dal 2003 è una sorta di ambasciatrice non governativa della nostra penisola nonché un ponte tra il Belpaese e gli Emirati Arabi. Infatti è stata lei ad abbattere quell' argine culturale che impediva alle emiratine di venire a scoprire lo stivale, convincendo le famiglie a consentire alle universitarie diciasettenni e diciottenni di raggiungere l' Europa per seguire corsi mirati, affidandole proprio a Benedetta, che in brevissimo tempo ha conquistato la fiducia del popolo arabo. Così da sedici anni, in collaborazione con la Fondazione Antonio Genovesi Salerno, creata dal padre di Benedetta dopo il terremoto dell' Irpinia per agevolare la ripresa del Sud, l' italiana accompagna sul nostro territorio fanciulle provenienti dagli Emirati al fine di fare conoscere loro altre realtà e le nostre tradizioni. Durante questi viaggi di studio le giovani non visitano soltanto i musei, ma pure le istituzioni, incontrando ministri. «Io ho cambiato Dubai e la cultura di quel luogo», dichiara Benedetta. Ella ha favorito inoltre l' apparizione delle ragazze arabe in tv e suoi giornali, addirittura senza il velo. «Nel 2002, a Dubai, fui scelta come testimonial di Cartier subito dopo Monica Bellucci, poiché incarnavo un tipo di bellezza molto simile a quella araba. In quel periodo, infatti, le emiratine non potevano fare le modelle, esporsi. Così decisi che mi sarei impegnata per fare in modo che anch' esse fossero libere di mostrare la propria avvenenza. E ce l' ho fatta. Le donne arabe mi adorano», afferma con orgoglio Benedetta. Ma come è riuscita questa bella connazionale, da perfetta sconosciuta quale era allorché arrivò in quel lontano Paese, ad introdursi nella società fino a diventare un punto di riferimento? «La gavetta a Dubai è più dura che in Italia. Sebbene gli arabi amino vestire e mangiare italiano ed esplorare le nostre città d' arte, vige una sorta di pregiudizio degli emiratini nei confronti degli abitanti della penisola, i quali sono considerati poco affidabili negli affari poiché spesso tali si sono dimostrati», dice Benedetta, la quale, durante la sua prima vacanza da quelle parti, rischiò persino l' arresto. «Uno dei figli del re provò a baciarmi ed io gli diedi uno spintone che lo fece cadere per terra. Il mio fidanzato di allora era certo che ci avrebbero sbattuti in gattabuia, invece, dopo una settimana, ricevetti la telefonata di questo sceicco il quale voleva farmi sapere che non aveva mai conosciuto una ragazza onesta come me. Diventammo amici e tuttora sia lui che sua moglie sono come fratelli per me», racconta Paravia. Se solo avesse voluto, la salernitana adesso sarebbe stata principessa, in questi lustri ha ricevuto decine e decine di proposte di matrimonio, tuttavia «ha scelto di essere coerente e seguire sempre il cuore». LUOGHI COMUNI Non la pensano allo stesso modo le connazionali che si recano a Dubai in cerca di fortuna. «Negli Emirati giungono di frequente italiane tra i diciotto e i cinquant' anni con scopi poco virtuosi. Mi capita di vedere queste signore mature fasciate in abiti molto scollati, sperano di fare colpo e arricchirsi». Altro che velo e tuniche, a Dubai «le donne arabe e straniere possono fare ciò che vogliono ed uscire persino seminude», sottolinea Benedetta. Nei pressi delle moschee così come all' ingresso dei centri commerciali sono affissi cartelli che invitano all' adozione di un abbigliamento appropriato, eppure Paravia assicura che pochi osservano codeste regole. Gli Emirati stanno attraversando una rivoluzionaria fase storica, denominata dal re e vicepresidente di Dubai, il settantenne Mohammed bin al Maktoum il quale ha inaugurato questo corso all' inizio del millennio, "rinascimento globale arabo", che riguarda in particolare il gentil sesso. Pure l' erede al trono dell' Arabia Saudita, il trentatreenne Mohammed bin Salman al Saud, sta contribuendo a questa svolta. «Gli Emirati detengono un importante primato: hanno il ministro donna più giovane al mondo, nominata appena ventenne. Da circa un anno in Arabia Saudita le signore possono guidare, inoltre ora il Paese accoglie sia i turisti, i quali prima non potevano accedere, sia gli investitori esteri di genere femminile senza che siano necessari un tutor e uno sponsor». A proposito del settantenne re di Dubai, qualche mese fa scandalizzò il pianeta la notizia della fuga, con un bottino di 58 milioni di dollari e figli al seguito, di sua moglie, 45 anni, la quale ha chiesto asilo politico in Inghilterra sostenendo di essere vittima di soprusi. Paravia, che conosce bene entrambi, dubita che la consorte di Mohammed abbia subito restrizioni della sua libertà. «Non usava il velo ed il re, che è un uomo gentile e moderno, l' ha sposata anche per questo». «Dubai non è solo la mia residenza, è altresì la mia casa, sebbene nel mio cuore il posto d' onore sia occupato dalla mia famiglia e dalla mia patria», conclude Benedetta.
· Adelaide Manselli, ma tutti la conoscono con il nome di Anna Pannocchia.
Giulio Pasqui per Il Fatto Quotidiano il 4 ottobre 2019. Si chiama Adelaide Manselli, ma tutti la conoscono con il nome di Anna Pannocchia. Grazie a Maccio Capatonda, sin dagli anni Duemila, ha avuto diversi ruoli in televisione (dagli indimenticabili Mai Dire al DopoFestival di Sanremo del 2008), al cinema e pure in radio, tanto da diventare un personaggio simpatico e apprezzato da tutti. E poi? Di lei si erano perse le tracce. “Soltanto nell’ultimo anno ho avuto quattro esaurimenti nervosi”, racconta a ilfattoquotidiano.it. “Questa situazione mi ha portato a perdere il mio lavoro. Infatti, oltre a lavorare assieme a Maccio, avevo un posto fisso da commessa in un negozio di lusso a Milano. Avendo chiesto troppi giorni di malattia nell’ultimo anno, mi hanno dovuta licenziare per giusta causa”. In più, secondo quanto racconta Adelaide/Anna, anche il suo “padrino” è scomparso nel nulla: “I film con Maccio erano un lavoretto in più per arrotondare: non rappresentavano un’entrata così importante, semmai erano un impegno gratificante. La gente mi riconosceva per strada, e io con Maccio avevo stretto anche una bella amicizia. Ma all’improvviso anche lui è sparito e non si è fatto più sentire, senza spiegazioni. Questa cosa mi ha fatto soffrire, non posso negarlo”. “Il mondo dello spettacolo le ha chiuso le porte?”, chiediamo. “Non so cosa sia successo. D’accordo, Maccio non mi ha più chiamata, ma io ci sono rimasta talmente male che non sono andata a bussare alla porta di nessuno. Anche perché in tutti questi anni mi trovavo così bene con lui che non ho mai cercato nessun altro regista”. La 45enne milanese spiega quindi cos’è successo nella sua vita negli ultimi mesi: “Ora mi sento un po’ meglio: sto facendo un percorso di cure, ma mi manca lavorare. Non fare niente tutto il giorno crea un circolo vizioso che ti porta alla depressione. Mi diletto a fare dipinti, fare gioiellini e scrivere poesie, ma non basta. I risparmi economici sono quelli che sono e voglio tornare in pista. E se Maccio volesse rifarsi vivo, per me sarebbe un gran bel regalo”.
· Riconosciuti Figli d'arte. Camilli e gli altri.
Riconosciuti Figli d'arte. Camilli e gli altri. NEL NOME DEL PADRE (E DEL SUO COGNOME). Rimarranno indimenticabili i duetti virtuali di Manuela Villa con suo padre Claudio durante le soirée televisive di Paolo Limiti in quel programma simbolo degli anni '90 che era il Paolo Limiti Show, acmé di una succosa cultura popolare ormai scomparsa e non viziata dal monstrum ingombrante e fascinoso del trash. Padre e figlia, lui in un filmato d' epoca in bianco e nero e lei vestita in grande toletta, cantavano a momenti alternati Un amore così grande. Se rinverdiamo oggi quella pantomima della paternità (così il conduttore aiutava Manuela nella sua battaglia), è perché in questi giorni è stata diffusa la notizia del riconoscimento di Fabio Camilli come il figlio naturale di Domenico Modugno (post mortem), certo più per la celebrità mai spenta del cantante di Polignano, che per la notorietà del figlio. Ma a ben avvoltolare i ricordi, una storiografia volontaria della casistica è possibile. Il confine del riconoscimento genitoriale per i figli da parte dei padri non è obolo contemporaneo ma risale, come il mondo, alla notte dei tempi. Nell' antica Roma, per esempio, non bastava venire al mondo in una famiglia romana per avere la certezza di venirvi allevati: appena uscito dal grembo materno, il neonato veniva posto dalla levatrice sul suolo di casa davanti al pater familias. Se era maschio, figlio della moglie legittima e sano (cioè non deforme, in tal caso poteva anche essere soffocato), il padre lo sollevava da terra; questo gesto, che ha un che di teatrale - di cui la ritualistica famigliare tanto romana quanto greca è piena - significava riconoscerlo e al contempo stabilire dei diritti su di lui, in pratica fino alla sua maggiore età gli apparteneva. Se decideva di non tenerlo, esso veniva esposto (da qui, probabilmente è derivato fino a oggi il cognome "Esposito") sulla porta di casa: non gli apparteneva. E si fece spazio, proprio in quell'epoca, il brocardo "mater semper certa est", che assimila la donna che ha partorito con la madre del minore, su cui si fonda ancora oggi il principio codicistico italiano, che pure ha superato la differenza tra figli legittimi e illegittimi (però solo negli anni '70). Senza scomodare, però, Ottaviano che nel 39 a.C. ripudia la moglie Scribonia per avergli dato una figlia femmina, Giulia , che non riconosce, o Picasso che - crudele con le mogli e compagne - diede invece il proprio cognome a ogni nato dalle sue molte relazioni, o ancora Guy Erminio , che solo alla morte del padre e per testamento (si legga pentimento) scoprì d' esser figlio del pittore Giovanni Boldini , il caso di Camilli è solo l' ultimo in ordine di tempo. Prima di lui, Pippo Baudo riconobbe il figlio Alessandro (nato nel 1972 dalla relazione con Mirella Adinolfi) soltanto nel '96; Vasco Rossi nel 2003 il figlio Lorenzo , che poi ha presentato al pubblico tramite i giornali con una boutade: "Scusate il ritardo, questo è Lorenzo"; il calciatore Paulo Roberto Falcao ha lungamente negato di essere il padre di Giuseppe (1981) anche in tribunale, che però nel '99 sentenziò a suo sfavore. E ancora il caso di Maradona (padre assai prolifico) che nel suo periodo napoletano ha avuto una relazione con Cristiana Sinagra da cui è nato nel 1986 Diego Maradona Jr. , che il campione ha riconosciuto solo nel '93 e dopo lotte legali e mediatiche; come quelle che hanno costretto/convinto l' attore americano Jude Law a prendersi le responsabilità sulla figlia Sophie . Molti anni trascorrono anche affinché Cristiana (nata nel '76) possa utilizzare il cognome Calone ( Massimo Ranieri ). Strano a dirsi, più pacato è Vittorio Sgarbi che dei suoi tre figli (un maschio e due femmine), tutti riconosciuti pacificamente, si proclama "genitore" (che dunque ha generato) e non "padre" (che ha cresciuto). Certo, quanto la questione confini con l' amore filiale e il desiderio di pronunciare la parola tanto primordiale come ovvia "papà" e quanto, invece, abbia a che fare con il torbido denaro, con l' eredità e il tornaconto, è un interrogativo che non può avere una risposta (o una sola risposta). Tuttavia, a noi basta ricordare cosa Honoré de Balzac scrive in Fisiologia del matrimonio: "Nell' amore di una moglie per un marito, e dei figli per il loro padre, il denaro non dovrebbe entrare".
· Il maestro Riccardo Muti.
"Vorrei dedicare i miei ultimi anni a insegnare musica". Il maestro Riccardo Muti compie 78 anni e si racconta: "I Wiener mi vedono come un padre". Piera Anna Franini, Martedì 30/07/2019, su Il Giornale. Incontriamo il direttore d'orchestra Riccardo Muti (Napoli, 28 luglio 1941) il giorno del suo 78esimo compleanno. Un brindisi con i suoi ragazzi dell'Orchestra Cherubini e dell'Italian Opera Academy, poi ritorna al lavoro. Pezzo dopo pezzo sta costruendo le Nozze di Figaro di Mozart che dirigerà - in forma di concerto - il 31 luglio a Ravenna e il 3 agosto al teatro Galli di Rimini. Il 2 agosto lascia il podio ai cinque direttori che hanno partecipato alla masterclass, tre orientali, un austriaco e l'italo-tedesco Nicolò Umberto Foron, un prodigio di 21 anni. L'Academy è un progetto formativo sostenuto da privati, dalla Fondazione Gardini a Barilla, e costituisce uno dei più generosi lasciti di Muti: pezzi di vita spesa fra podi di valore e studio severo sono la sostanza di lezioni quotidiane, da mattina a sera, pensate per «insegnare ai giovani direttori che la nostra musica non è seconda nessuna. Deve essere trattata con il rispetto che si dedica agli autori d'Oltralpe» ricorda quest'italiano di casa nel mondo, alla testa della Chicago Symphony dopo 20 anni alla Scala, dieci a Londra, 12 a Philadelphia e altrettanti a Firenze. Domina il mezzo secolo con i Wiener Philharmoniker. L'ultimo appuntamento italiano del 2019 sarà il concerto di Natale in Senato alla testa della Cherubini.
«D'ora in poi voglio vivere di sfumature e delicatezze» disse il Suo maestro allo scoccare dei 70 anni. Lei cosa si propone?
«A un certo punto della vita si ha solo bisogno di dolcezza, soprattutto in un mondo così tremendo, tragico, bellicoso dove tutti sono arrabbiati. Una dolcezza che forse si può trovare con gli amici e le persone giuste, immersi in un paesaggio meraviglioso e circondati da una cultura che riempie lo spirito. Durante la vita si combatte, si conquista, si cercano affermazione e gloria rendendosi poi conto che sono effimere. Ti accorgi che hai lavorato sempre di corsa. Così vuoi ritrovare te stesso, tornare alla prima giovinezza, a un cielo azzurro, senza nuvole».
Come si vede nei prossimi anni?
«Sento il bisogno di affondare i pensieri nelle mie radici di uomo del Sud, in quella Terra benedetta e maledetta allo stesso tempo. Il cerchio della vita si sta chiudendo, sono in una situazione in cui tutto scaturisce da questo stato d'animo, e così intendo compiere gli ultimi anni della mia vita».
A proposito di ritorni. Dominique Meyer, futuro sovrintendete della Scala, ha già espresso il desiderio di riaverla almeno per qualche appuntamento.
«Ho stima di Meyer, farà un ottimo lavoro. Il problema è che non conosco più l'orchestra della Scala, non so come suoni oggi. Tornando dovrei fare un certo tipo di lavoro per riportarla al mio concetto di suono, fraseggio, disciplina artistica e coesione. Ora non so più a che livello sia e non ho voglia di rimboccarmi le maniche. Le orchestre con cui lavoro sono poche».
Tra esse la Filarmonica di Vienna che ha voluto Lei per celebrare l'anniversario della morte di Karajan al Festival di Salisburgo.
«I Wiener mi vedono come una specie di padre musicale, depositario di un modo di concepire il suono, il fraseggio, il fare musica. Li dirigo da 49 anni senza mai saltare un anno, ho visto più di tre generazioni di Filarmonici».
Sabato, a Rimini incontrerà Sergio Mattarella. C'è qualcosa che Le preme dire al capo dello Stato?
«Vorrei che i proclami fatti da decenni venissero ascoltati. Nelle scuole deve essere ripristinato l'insegnamento della cultura musicale. L'Italia vanta la storia della musica più importante del mondo, abbiamo inventato l'opera, gli strumenti, il rigo musicale Dobbiamo essere degni del nostro passato. Con poche eccezioni, i ministri della Cultura sono incolti, sprovveduti di tutto questo. Mi sento una voce che grida nel deserto, ma continuo a far battaglie: non per me, io ho avuto la fortuna di formarmi alla severa scuola italiana, lo dico per generazioni a venire. Io parlo come musicista, ma è un discorso generale: dobbiamo far sentire che siamo Italiani, e questo non ha niente a che fare con nazionalismi e sovranismi, è la consapevolezza di appartenere a un grande Paese. Poi da anni sto cercando di portare la salma del compositore Cherubini a Firenze, ora è necessario l'intervento di una grande autorità italiana».
· Plácido Domingo: l'highlander dell'opera.
Da ansa.it il 13 novembre 2019. Il tenore Andrea Bocelli difende fermamente la leggenda dell'opera Placido Domingo, definendo "assurdo" che teatri abbiano annullato le esibizioni della star per accuse di molestie sessuali prima che siano completamente investigate. "Sono ancora sconvolto da quello che è successo a questo incredibile artista", ha detto Bocelli. "Non capisco: domani una signora può semplicemente venire e dire 'Bocelli mi ha molestato 10 anni fà e da quel giorno in poi nessuno vuole più cantare con me e i teatri d'opera non mi chiamano più; è assurdo". Secondo Bocelli inoltre, le persone dovrebbero distinguere tra "la moralità delle figure pubbliche e la loro arte e abilità".
Alberto Mattioli per “la Stampa” il 28 luglio 2019. È già nella storia. Anzi, nella leggenda. Come lui, nessuno mai. A 78 anni, è l' highlander dell' opera, l' uomo di tutti i record: prima tenore, poi baritono, direttore d' orchestra e artistico, talent scout, più di 4 mila recite cantate e 500 dirette, oltre 150 titoli in repertorio (nel Rigoletto, ha cantato tre parti: Borsa, il Duca e il protagonista, ennesimo record), più di cento incisioni di opere complete, 12 Grammy e un motto: «If I rest, I rust», se mi fermo arrugginisco. E infatti eccolo a Verona, Plácido Domingo, questo bulimico del palcoscenico, per celebrare i 50 anni del suo debutto all' Arena. Festeggiamento uno e trino: ieri sera ha diretto Aida, giovedì canterà papà Germont in Traviata e domenica in un gala spezzatino in cui sarà Nabucco, Simon Boccanegra e Macbeth.
Lei fa tutto. Ma cosa le piace di più fare?
«Io sono soprattutto felice di essere un musicista».
Le manca qualcosa?
«Soltanto dei personaggi nuovi. Sono curioso e per questo continuo ad allargare il repertorio. Nella prossima stagione, Sharpless della Butterfly al Met e Nottingham del Roberto Devereux a Los Angeles. Poi toccherà a Monforte nei Vespri siciliani e al Belisario di Donizetti».
Ma il tempo per studiare dove lo trova?
«Di notte. Vado a letto alle tre. Un' ottima cosa, a patto di potermi svegliare a mezzogiorno».
L'unico lavoro che non ha mai fatto è il regista. Perché?
«Perché in famiglia ce n' è già una, mia moglie Marta. E poi perché penso che di tutti i mestieri dell' opera sia il più difficile. Inizi a lavorare allo spettacolo un anno prima, devi studiare, documentarti, avere tutto chiaro prima ancora che iniziano le prove. Non penso di averne il talento. Anche perché una volta che ho visto una produzione mi vengono mille idee. Prima, è più difficile».
Quando si è reso conto di essere diventato Placido Domingo?
«Sono sempre stato fortunato. Nel 1962 mi sono sposato con Marta e subito dopo ho avuto un contratto in Israele. In due anni e mezzo ho cantato 280 recite. Potevo uscirne distrutto o artista completo. Beh, diventai un artista completo. Poi andai alla New York City Opera a cantare Don Rodrigo di Ginastera, una parte tremenda. Avevo 25 anni, fu un trionfo. È iniziato tutto lì».
La voce più impressionante che abbia mai sentito?
«Qui a Verona debuttai cantando Turandot con la Nilsson e Don Carlo con la Caballé, più di così... Ma ho duettato con tutte le grandi primedonne, la Price, la Sutherland, la Freni, la Tebaldi. Con un rimpianto solo».
La Callas?
«Esatto. Mai cantato con lei. Peccato».
Chi le manca, oggi, nel mondo dell' opera?
«Ho perso tanti colleghi... Però se devo citarne due, scelgo due grandi direttori: Carlos Kleiber e Giuseppe Sinopoli».
Come ricorda il suo debutto all' Arena, cinquant' anni fa?
«Come una grandissima emozione. Quegli spalti pieni di pubblico sono magici. Era il 1969 e facevamo Turandot. Il coro invocava la luna pallida (canta, ndr) proprio mentre Armstrong ci stava arrivando. La luna non era più vergine. Magia, appunto».
Com' è cambiato da allora il mondo dell' opera?
«Più che cambiato, è cresciuto. Oggi l' opera si fa in Paesi dove mai avremmo immaginato che arrivasse. In Cina, in Corea, in Giappone c' è un pubblico incredibile, appassionatissimo. Le opportunità sono maggiori per tutti».
E le voci?
«Non so se fossero migliori quando ho iniziato io, però sono sicuro che le grandi voci ci sono sempre state e ci saranno sempre. Il mio concorso Operalia l'ha appena vinto un giovane tenore che si chiama Xabier Anduaga e che ha tutto per diventare un fuoriclasse. E poi oggi i cantanti sono più preparati e stanno meglio in scena. Anche perché sono cambiati anche gli spettacoli, per la verità non sempre in meglio».
Ma un nuovo Domingo oggi c' è?
«Forse di tenori non ce ne sono tanti come prima, ma quattro o cinque di gran livello, sì. Vuole i nomi?»
Certo.
«Beczala, Sartori, Kaufmann, Meli».
Sono quattro.
«Aggiungiamo Michael Fabiano».
E della sua Aida, Tamara Wilson, che non vuole truccarsi da nera che dice?
«Che è un tema delicato. Otello è moro, Butterfly giapponese, Calaf tartaro, e da lì non si scappa. Mettiamola così: un soprano bianco deve truccarsi per fare Aida, mentre un tenore nero ha tutto il diritto di restare com' è se canta Manrico».
L' Italia è ancora il Paese dell' opera?
«L' opera oggi è un fenomeno globale. Ma il pubblico italiano è ancora il più esigente. Soprattutto alla Scala e soprattutto per Verdi. Esperto, competente, non sempre giusto».
Il famoso «Questa è una banda!» urlato a Kleiber al vostro «Otello»...
«Prima dell' attacco del terzo atto, un momento difficile (lo canta, poi ride, ndr). Non sa il seguito, però. Carlos alla fine mi disse: è stata una grande soddisfazione, grazie a quel grido il pubblico non si è accorto che lì le viole non erano tanto insieme...».
Quando parla della Scala le si illuminano gli occhi.
«È un teatro particolare. I grandi cantanti e prima ancora i compositori, i creatori, che sono passati di lì il senti, sono nell' aria, intorno a te».
Risponda d' impulso: dovesse scegliere la serata della vita, una sola, quale sarebbe?
«L' ho già citata: 7 dicembre 1976, prima della Scala con Otello, Kleiber, Zeffirelli, Freni, Cappuccilli. E la prima diretta televisiva di un' opera, Verdi che entra nelle case di tutti. Magnifico».
La domanda è sgradevole ma obbligata: non pensa mai di ritirarsi?
«Ogni tanto penso di lasciare il palcoscenico. Non per una fatica fisica, ma mentale. Le opere del mio nuovo repertorio baritonale devo ristudiarle ogni volta che le canto. E allora mi viene l' idea di fare meno recite e più concerti. Sicuramente voglio dirigere di più. Ma i miei genitori erano cantanti e io in teatro ci sono nato. È la mia casa, la mia vita».
Placido Domingo, la leggenda dell’opera accusato di molestie. Pubblicato martedì, 13 agosto 2019 da Corriere.it. Placido Domingo, la leggenda dell’opera, è stato accusato da numerose donne — che hanno riferito tutto all’agenzia di stampa americana Associated Press (Ap) — di averle forzate ad avere rapporti sessuali con lui promettendo in cambi ingaggi o anche, in alcuni casi, maltrattandole se rifiutavano le sue avance. Accuse pesantissime, supportate anche dalle dichiarazioni di circa 30 altre persone del mondo dell’opera hanno confermato di aver assistito a comportamenti inappropriati a sfondo sessuale da parte di Domingo. Il tenore spagnolo ha definito le accuse «profondamente preoccupanti e poste in modo inesatto», aggiungendo: «Ho sempre creduto che tutte le mie interazioni e relazioni siano state sempre ben accette e consensuali».
Placido Domingo accusato di molestie sessuali, cancellati due concerti. Il tenore spagnolo smentisce: solo relazioni consensuali. La Repubblica il 13 agosto 2019. Placido Domingo è stato accusato di molestie sessuali: l'Associated Press (Ap) riporta che diverse donne sostengono che il tenore ha cercato di costringerle ad avere rapporti sessuali con lui promettendo ingaggi e in alcuni casi maltrattandole se rifiutavano le sue avance. Circa 30 persone del mondo della lirica hanno affermato di aver assistito a comportamenti sessuali inappropriati da parte del tenore. Le presunte vittime hanno fornito la loro versione direttamente all'Ap, con rivelazioni che potrebbero causare un terremoto nel mondo dell'opera di proporzioni simili a quello causato a Hollywood dalle accuse al potente produttore Harvey Weinstein. E arrivano le prime conseguenze . A cancellare alcune prossime performance dell'artista sono state la San Francisco Opera, che aveva in programma un suo concerto il 6 ottobre, e la Philadelphia Orchestra che ha ritirato l'invito a Domingo che avrebbe dovuto dare il via alla stagione operistica il prossimo mese. Intanto la Los Angeles Opera, di cui Domingo è direttore generale dal 2003, ha fatto sapere che ingaggerà un consulente privato per indagare sulle accuse al tenore.
Il tenore: "Rapporti consensuali". Domingo, 78 anni, non ha risposto alle domande dell'agenzia americana, ma ha rilasciato una dichiarazione: "Le accuse di questi individui senza nome risalenti a trent'anni fa sono profondamente preoccupanti e, come presentate, inaccurate. Tuttavia, è doloroso sapere che potrei aver turbato qualcuno o averlo fatto sentire a disagio, non importa quanto tempo fa e nonostante le mie migliori intenzioni. Ho creduto che tutte le mie interazioni e relazioni fossero sempre state accolte e consensuali. Le persone che mi conoscono o che hanno lavorato con me sanno che non sono qualcuno che danneggi, offenda o imbarazzi intenzionalmente qualcun altro". Poi il tenore ha fatto una riflessione sulla campagna nata dopo le accuse a Weinstein: "Tuttavia, riconosco che le regole e gli standard in base ai quali siamo - e su cui dovremmo essere - misurati oggi sono molto diversi rispetto al passato. Ma sono benedetto e ho il privilegio di avere avuto più di 50 anni di carriera nell'opera, e resterò ai massimi livelli". Parole suffragate dal successo che continua ad avere il tenore che continua ad aggiungere nuovi ruoli ai 150 che ha interpretato in oltre 4mila spettacoli, più di qualsiasi cantante d'opera della storia.
Le accuse. Secondo quanto riportato dall'Ap, per decenni Domingo avrebbe cercato di spingere le donne a rapporti sessuali usando il suo potere nell'universo dell'opera, a volte anche ostacolando le loro carriere se veniva respinto. Le accuse arrivano da otto cantanti e una ballerina, che hanno detto all'Associated Press di essere state molestate sessualmente in incontri che si sono svolti a partire dalla fine degli anni '80. Un'accusatrice ha riferito che Domingo le ha infilato una mano lungo la gonna e altre tre hanno raccontato di aver ricevuto baci forzati sulle labbra. Oltre alle nove accusatrici, una mezza dozzina di altre donne hanno detto di essersi sentite a disagio a causa di pesanti avance del cantante. Sette delle nove accusatrici hanno dichiarato di ritenere che le loro carriere siano state influenzate negativamente dopo aver respinto Domingo. Solo una delle nove donne ha permesso di usare il suo nome: Patricia Wulf, mezzosoprano che cantava con Domingo alla Washington Opera. Le altre hanno chiesto l'anonimato, temendo rappresaglie.
Paolo Isotta per “il Fatto quotidiano” il 17 agosto 2019. L'ultimo a essere pizzicato è Placido Domingo. Ottimo tenore, decenni fa; i miei sparuti lettori ben sanno quanto lo disistimi da quando, non rassegnandosi a por fine a un'onorevole carriera, ha tentato ridicolmente di trasformarsi in baritono e direttore d'orchestra. Il mio giudizio ha aumentato, se possibile, l'acerrima avversione che verso di me nutrono quei cretini che, alla francese, vengono chiamati "melomani": errore giusto, perché i "musicofili" non sono "pazzi" (dalla radice "mane") e possono persino essere persone intelligenti. Ma Domingo - ecco il punto - è stato espulso dal mondo musicale perché accusato di "molestie sessuali": come sempre, risalenti a decenni fa. Ciò non rileva sul fatto artistico. Siamo nel 1984 di Orwell? Uno dei più grandi direttori d'orchestra viventi, James Levine, sebbene paralizzato e costretto alla sedia a rotelle per il morbo di Parkinson onde è affetto, è stato ignominiosamente considerato un mostro indegno esercitare l'arte perché un tale, trent'anni fa ragazzo, gli ha imputato una relazione sessuale nata dal metus reverentialis dal grande Maestro esercitata nei suoi confronti. Questa è stata la più infame di tutte, considerato lo stato in cui il sommo musicista versa: lui, che ha fatto grande il Metropolitan, temo addirittura non ne abbia per molto. E, più indegna di tutto, il suo successore, omosessuale dichiarato, s'è "indignato" accusando il predecessore e affermando che gli omosessuali debbono essere "perbene" e "sposati." Una caricatura dell'impiegatuccio. I rapporti sessuali sul luogo di lavoro m'ispirano disgusto. C'è sempre un potere, più o meno osteso, esercitato dalla parte agente o incitante (chiamiamola così perché a definirla attiva, riderebbero miliardi di persone). Ma c'è un sottile potere avvolgente, fatto d'ingenuità, di invocati debolezza, timidezza, stato di necessità, coniugi dichiarati brutali o indifferenti, dall' altro lato. L' insidia della "parte debole" non è meno pericolosa. Oggi il fatto vale per: uomo su donna, donna su uomo, uomo su uomo, donna su donna, transgender su transgender. Sono finiti i tempi della segretaria insidiata dal capufficio. Sono finiti sui media: nella vita, il primario sulla dottoressa, il professore sull' aspirante "associat(o)a", e così, sono sempre più frequenti e ripugnanti. E vale sempre più la "promessa lunga coll' attender corto" della "sistemazione" in carriera. Infine, c' è l' attrazione reciproca, nata dal desiderio di un mutuo piacere. A prescindere dall'età e da quel sentimento che chiamano amore - se c'è. Chi la condanna è un ipocrita. Il mondo rigurgita di situazioni alla Alberto Sordi. Tempo fa ho tentato invano di difendere la libertà erotica di un'insegnante che s'era innamorata di un ragazzo di quattordici anni e consumava. È l' altra faccia della mentalità calvinista oggi prevalente; laddove nei seminarî gli aspiranti sacerdoti, quasi tutti ricchioni, sono assai più accorti nelle loro relazioni pur se sempre più palesi. Ripeto: le vittime sono oggi gli uomini famosi: calciatori, cuochi, cantanti, sarti, attori, e persino direttori d'orchestra. Levine, Kuhn, Harnoncourt, Dutoit, Gatti, e tanti altri, quale che sia il loro valore e la fondatezza dell' imputazione, la pagano amaramente. Un grande direttore, affetto da moglie che per gelosia si spinse a simulato suicidio, nei lunghi anni nei quali fu a capo alcuni dei più imporranti teatri lirici del mondo, ebbe relazioni con segretarie, addette stampa, cantanti, donne delle pulizie, "maschere" (donne, intendo: si vocifera, ma è certo una fandonia, che da una di costoro abbia avuto una felice, o infelice, paternità). Tutti tacquero, tacevano, tacciono, taceranno. Eppure la posizione professionale del grande Maestro non è così prestigiosa come vent'anni fa: in altre parole, non fa paura a nessuno. Egli, peraltro, non essendo napoletano, di San Gennaro non è adepto, e il suo patrono è di serie C. Ormai toccherà a lui.
Molestie, altre nove donne accusano Placido Domingo. Pubblicato giovedì, 05 settembre 2019 da Maria Volpe su Corriere.it. Un’altra grande star sotto i riflettori. E non per motivi artistici. Questa volta è il turno del grande tenore Placido Domingo. Altre 11 donne lo accusano di molestie: le testimonianze sono state raccolte, anche in questo caso, dall’agenzia di stampa americana Associated Press (Ap). Le donne hanno raccontato come il cantante lirico e direttore d’orchestra le avrebbe insidiate e molestate con comportamenti inappropriati. Una donna ha riferito che nel 1999, l’attuale direttore generale dell’Opera di Los Angeles le avrebbe afferrato con forza il seno sotto la vestaglia in camerino, mentre altre hanno raccontato di contatti indesiderati o tentativi di baciarle. Diversi lavoratori del backstage del Teatro hanno riferito all’Ap come si siano sforzati di proteggere le giovani da Domingo mentre gli amministratori guardavano dall’altra parte, fino alla stagione 2016-2017 dell’Opera di Los Angeles. In un comunicato, il portavoce del cantante ha definito le accuse «piene di inconsistenze», ma non ha fornito dettagli. Il caso-Domingo è al secondo round. Lo scorso 14 agosto alcuni tra i principali teatri del mondo - Philadelphia Orchestra Association, San Francisco Opera , (Metropolitan Opera di New York ha annunciato che attenderà l’esito delle indagini) - hanno sospeso i concerti in cartellone con la presenza del noto cantante. Allora infatti nove donne, di cui solo una si è identificata, accusarono il 78enne di aver usato la sua posizione di potere per spingerle ad avere relazioni sessuali con lui. Otto cantanti e una ballerina hanno raccontato all’agenzia di stampa Associated Press di presunte molestie e incontri che si sono svolti nel corso di trent’anni, a partire dalla fine degli anni 80. Molte di loro hanno dichiarato che la loro carriera non è decollata proprio perchè hanno respinto Domingo. Queste testimonianze parlano di molestie, mentre altre donne hanno riferito all’Ap di essersi sentite a disagio per le pesanti avance del cantante. Solo una delle nove donne ha permesso di usare il suo nome: Patricia Wulf, mezzosoprano che cantava con Domingo alla Washington Opera. Le altre hanno chiesto l’anonimato. Anche in quel caso Domingo non rispose alle domande dell’agenzia americana, ma rilasciò una dichiarazione: «Le accuse di questi individui senza nome risalenti a trent’anni fa sono profondamente preoccupanti e, come presentate, inaccurate. Tuttavia, è doloroso sapere che potrei aver turbato qualcuno o averlo fatto sentire a disagio, non importa quanto tempo fa e nonostante le mie migliori intenzioni. Ho creduto che tutte le mie interazioni e relazioni fossero sempre state accolte e consensuali. Le persone che mi conoscono o che hanno lavorato con me sanno che non sono qualcuno che danneggi, offenda o imbarazzi intenzionalmente qualcun altro». Quel che è vero è che oggi la sensibilità sul tema molestie — per fortuna — sta cambiando e comportamenti considerati normali o “leggeri” 20/30 anni fa, oggi sono inammissibili. In particolare dopo la nascita del Movimento mee too. E forse per questo, Domingo ha fatto una riflessione in questo senso: «Riconosco che le regole e gli standard in base ai quali siamo - e su cui dovremmo essere - misurati oggi sono molto diversi rispetto al passato. Ma sono benedetto e ho il privilegio di avere avuto più di 50 anni di carriera nell’opera, e resterò ai massimi livelli». Nei giorni scorsi, Yuri Bashmet, tra i musicisti russi più famosi nel mondo, e amico di Domingo, in un’intervista a Il Giornale ha detto: «Il modo di considerare i rapporti oggi è molto diverso rispetto anche a soli 20 o 30 anni fa. Non so come si siano svolti i fatti, quando penso a Placido Domingo, che è un amico e un uomo di grande fascino e bellezza, oltre che uno dei più grandi artisti, mi viene da pensare che abbia subito un numero spropositato di avances più o meno lecite considerando gli standard attuali».
Molestie, Plácido Domingo rinuncia ad esibirsi a New York. Pubblicato martedì, 24 settembre 2019 da Corriere.it. Plácido Domingo ha rinunciato ad esibirsi nuovamente al Metropolitan Opera di New York. Lo hanno annunciato sia il teatro che il tenore, accusato di molestie sessuali da parte di diverse donne. Il cantante 78enne, salito per la prima volta sul palco della Grande Mela più di mezzo secolo fa, era atteso da mercoledì sera al Met dove avrebbe dovuto portare in scena il Macbeth di Giuseppe Verdi. Il tenore ha deciso di ritirarsi anche da tutte le future perfomance alla Met Opera. Aveva partecipato alle prove per il Macbeth lunedì, ma poi il teatro ha annunciato che la star si è detta d’accordo sulla necessità di fare un passo indietro. Il ritiro di Domingo, si legge sul New York Times, è arrivato dopo che molti tra gli addetti avevano espresso perplessità sulla sua presenza. Altre istituzioni musicali, come la Philadelphia Orchestra e la San Francisco Opera, hanno già annullato date che prevedevamo la sua presenza in calendario. «Ho debuttato al Metropolitan Opera all’età di 27 anni e ho cantato in questo magnifico teatro per 51, gloriosi, anni di fila — ha detto Domingo — . Pur contestando fermamente le recenti accuse mosse su di me e aver manifestato preoccupazione per un clima in cui le persone sono condannate senza il dovuto processo, a seguito di riflessione, credo che la mia apparizione nel Macbeth distolga dal duro lavoro dei i miei colleghi sul palco e dietro le quinte. Perciò ho chiesto di ritirarmi e ringrazio la direzione del Met per aver accolto con gentilezza la mia richiesta. Sono felice che, all’età di 78 anni, sia stato in grado di cantare il meraviglioso ruolo del protagonista nella prova generale del Macbeth, che considero la mia ultima esibizione sul palco del Met». Nella sua dichiarazione, il Met ha affermato che Domingo aveva «accettato di ritirarsi da tutte le future esibizioni al Met, con effetto immediato». Zeljko Lucic sostituirà Domingo per le tre esibizioni del Macbeth.
Molestie, Placido Domingo si dimette dalla direzione della Los Angeles Opera. Pubblicato mercoledì, 02 ottobre 2019 da Corriere.it. In seguito alle accuse di molestie sessuali, il tenore Placido Domingo ha rassegnato le dimissioni dalla direzione della Los Angeles Opera. «Le recenti accuse nei media hanno creato un’atmosfera che mi impedisce di essere utile a questa compagnia che amo così tanto», ha dichiarato il cantante 78enne in una nota diffusa oggi. «Anche se continuerò a cercare di ripristinare la mia reputazione, ho deciso che per la Los Angeles Opera era meglio lasciare la mia posizione di direttore generale e rinunciare per il momento agli spettacoli programmati». Placido Domingo, che respinge le accuse contro di lui, ha affermato di aver preso «con tutto il cuore» la decisione di abbandonare il vertice della rinomata istituzione musicale, che lui guida dal 2003. Il tenore aveva già rinunciato la scorsa settimana ad esibirsi alla Metropolitan Opera di New York, dove era atteso in una nuova produzione del «Macbeth» di Verdi. Ad agosto una prima inchiesta di Associated Press aveva portato alla luce le testimonianze di numerose donne che sostengono di avere subito — tra gli Anni 80 e il 2000 — molestie di diversa natura da parte del tenore. Un mese dopo, si sono aggiunte altre nove donne.
Dal “Corriere della sera” il 4 ottobre 2019. Andrea Bocelli difende Placido Domingo dalle accuse di molestie sessuali. Il quotidiano britannico Telegraph ricorda che Domingo è stato denunciato da diverse donne, mentre Bocelli, in un' intervista al Gazzettino rimbalzata all' estero, avrebbe definito le recenti accuse a cantanti e direttori d' orchestra «vergognose e paradossali», aggiungendo di non voler entrare nel merito della questione Domingo «ma da laureato in legge so che ci vogliono prove e una condanna definitiva. In questo caso ci sono solo pregiudizi che hanno portato a una situazione inqualificabile. Non sono un giudice ma conosco Domingo e non credo proprio abbia bisogno di molestare qualcuno». Lo scorso mese, il Metropolitan di New York aveva annunciato la rinuncia del tenore a una serie di appuntamenti programmati. L'improvviso forfait sarebbe stato causato proprio dalla vicenda delle molestie. Ad attendere Domingo c' era il ruolo da protagonista nel Macbeth ma lui stesso ha dichiarato di non essere in grado di lavorare, intendendo difendersi dalle pesanti accuse che respinge con forza. Le testimonianze delle presunte vittime sono state raccolte dall' agenzia di stampa americana Associated Press , a cui le donne hanno raccontato come il cantante lirico le avrebbe insidiate e molestate con comportamenti inappropriati. Il portavoce del cantante ha definito le accuse «piene di inconsistenze».
Plácido Domingo: «Le accuse di molestie? Non uscivo più di casa». Pubblicato lunedì, 02 dicembre 2019 da Corriere.it. La vita di Plácido Domingo è cambiata il 13 agosto. Leggenda vivente dell’opera — tenore, direttore d’orchestra, baritono —, l’artista spagnolo aveva da poco festeggiato le sue «nozze d’oro» con l’Arena di Verona. Era tornato a Caracalla per la «Noche Espanola». Un’altra estate di successi e folle adoranti. «Poi arriva questo fulmine — racconta Domingo —, esce il primo articolo nel quale mi si accusa pesantemente di molestie sessuali e di abuso di potere. In un attimo la notizia diventa mondiale, enorme, non mi dà tregua. È giusto che, in quanto personaggio pubblico, io sia sotto i riflettori dell’opinione pubblica. Ma sono state dette cose molto offensive per me come essere umano. In poche ore, senza essere stato interpellato, sono stati cancellati i miei impegni a Filadelfia e San Francisco. In pochi giorni mezzo secolo di carriera è stato spazzato via come da un soffio». È la prima intervista di Plácido Domingo da quando nove donne lo hanno accusato di essere state molestate sessualmente, in un arco di tempo iniziato alla fine Anni Ottanta. Accuse precise, alcune molto dettagliate di otto cantanti e una ballerina, tutte agli esordi all’epoca dei fatti. Una delle accusatrici sostiene che Domingo le infilò una mano sotto la gonna, tre che furono da lui forzate in un «wet kiss», un bacio con la lingua rispettivamente in uno spogliatoio, una stanza d’albergo e una colazione di lavoro. Due hanno ammesso di aver ceduto alle sue avances, per paura di dire no a un uomo così potente. Le altre sette hanno dichiarato che le loro carriere artistiche sono state influenzate negativamente dai loro rifiuti a Domingo, con il quale non sono mai più state invitate a esibirsi. Nessuna è stata in grado di fornire una documentazione, tipo messaggi telefonici, che provasse le accuse. Un’inchiesta interna è ancora in corso all’Opera di Los Angeles, da dove Domingo si è dimesso dal ruolo di direttore generale che ricopriva dal 2003. Finora l’unica dichiarazione ufficiale del cantante e direttore d’orchestra è quella rilasciata al momento della rivelazione dell’Associated Press e che riportiamo per intero: «Le accuse di queste persone, che risalgono anche a trent’anni fa, sono inquietanti e, nella loro formulazione, inaccurate. È doloroso sentire che io abbia sconvolto o abbia messo qualcuno a disagio, non ha importanza quanto tempo fa e a dispetto delle mie migliori intenzioni. Credo che tutte le mie interazioni e relazioni siano state sempre benvenute e consensuali. Le persone che mi conoscono sanno che non sono il tipo che intenzionalmente farebbe male, offenderebbe o metterebbe in imbarazzo alcuno. Comunque, riconosco che le regole e gli standard con cui siamo misurati oggi sono molto differenti da quelli del passato». Domingo mi riceve nella sua stanza d’albergo ad Amburgo, poche ore prima del gala a lui dedicato alla Elbphilharmonie. Ha 78 anni, la barba candida, il volto velato di malinconia, ma è in una forma quasi giovanile. Indossa un blazer blu sui jeans e una camicia a righe. Il 15 dicembre sarà alla Scala, per una serata verdiana in occasione dei 50 anni del suo esordio al teatro milanese. «Avevo 28 anni, debuttavo alla Scala con il maestro Antonino Votto nell’“Ernani”. Avevo esordito l’anno prima al Metropolitan. Non potevo crederci che tutto questo stesse succedendo a me prima ancora dei trent’anni. Mi ricordo la prima prova. Quando Ernani entra quasi all’inizio, canta un’aria e una cabaletta. Sentivo i tenori del coro, mi sentivo piccolo. Dopo che ebbi cantato, Votto mi disse. “Ragazzo la sento stanco”. Io gli risposi: “Maestro, deve capire che sono molto emozionato, con lei, con questa orchestra, in questo teatro”. Quella cosa ruppe il ghiaccio e poi fu un bellissimo debutto. Poi sono tornato molte volte, anche per la prima a Sant’Ambrogio. Vi ho anche diretto dei concerti e spero di continuare questa collaborazione».
Ma qual è stata per lei la serata più memorabile alla Scala?
«Penso l’inaugurazione della stagione 1976-77 con l’“Otello” diretto da Carlos Kleiber. Insieme a me c’erano Mirella Freni e Piero Cappuccilli. Credo sia stata la prima volta in cui la Rai ha trasmesso in diretta l’apertura della Scala. Ricordo un’atmosfera molto tesa, fuori c’era una manifestazione degli animalisti che protestavano contro le pellicce indossate dalle signore. Uno scandalo. La recita fu straordinaria. Ma ci sono state anche altre serate memorabili, come il centenario dell’“Aida” con Claudio Abbado».
Torniamo alle accuse di questa estate. Nella sua dichiarazione lei ha detto è che «le regole e gli standard con cui siamo misurati oggi sono molto diversi da quelli del passato». Non è una parziale ammissione di colpa?
«Io sono convinto che ogni forma di molestia sessuale e di comportamento offensivo nei confronti di chiunque sia da condannare in qualsiasi luogo e in qualsiasi epoca storica».
L’hanno anche accusata di abuso di potere...
«C’è un aspetto legato all’abuso di potere che vorrei chiarire con lei. Ci sono dei teatri dove il General Director ha un ruolo più forte e prende direttamente le decisioni sui cast da scritturare. Ma non era così a Washington e a Los Angeles quando io lavoravo là. Le decisioni per scegliere il cast di un’opera sempre le prendevamo in una équipe di quattro o cinque persone insieme. Questo lavoro di gruppo sempre è una cosa che ho creduto giusta perché ci si confronta. E poi era necessario, poiché io stavo tanto tempo in viaggio, lontano proprio fisicamente dai miei teatri. Infatti non ero io che firmavo i contratti per ingaggiare gli artisti. Nessuno poteva prendere decisioni arbitrarie».
Come ha vissuto personalmente questa situazione?
«È stato davvero brutto. Passavo tante ore chiuso in casa, io sempre abituato a essere in un teatro o in viaggio o a una cena, con tante persone attorno. Ora invece piano piano sono tornato alla mia quotidianità, al mio lavoro e in mezzo ad amici e colleghi mi sento sereno. La cosa più terribile in quei momenti era la mente: ti rendi conto che non puoi spegnerla la notte e di giorno diventa difficile governarla. Così mi aiutava tanto studiare, mi concentravo nella musica, che mi dà tanta energia. E poi chi mi ha dato la forza sempre è stato l’affetto inesauribile dei miei cari».
Le accuse contro di lei hanno spaccato il mondo della musica. In tanti l’hanno difesa, altri hanno preso le distanze. La divisione è stata quasi geografica: i teatri americani hanno troncato i rapporti, non solo San Francisco e Filadelfia, ma anche Dallas e soprattutto il Metropolitan di New York dove doveva fare «Macbeth» con Anna Netrebko, una delle artiste che hanno preso le sue parti. In Europa lei ha continuato a esibirsi, è stato acclamato a Salisburgo, Zurigo, Vienna e tutti i suoi impegni sono stati confermati. Perché questa differenza tra America ed Europa?
«Ho lavorato per decine di anni negli Stati Uniti e so quanto gravi siano accuse come queste. Purtroppo esse contengono già implicitamente la sentenza. L’Europa è differente, forse la presunzione di innocenza prevale sulla tentazione di condannare immediatamente. Ma in verità io non sono accusato di nessun delitto».
Fra chi l’ha difesa c’è stato Andrea Bocelli. Le ha fatto piacere?
«Tantissimo! Mi ha commosso e stupito la sua dichiarazione molto coraggiosa. Lui stava per partire per una tournée proprio negli Stati Uniti. L’ho chiamato personalmente per ringraziarlo».
Lei è stato tenore, direttore d’orchestra, baritono, un trittico quasi unico nella musica lirica. Come hanno interagito su di lei questi ruoli e in che modo l’essere stato cantante ha influito sul suo stile direttoriale?
«La musica è stata la costante. Ho studiato pianoforte e direzione d’orchestra. Ma i miei genitori erano cantanti e mi sono trovato immerso in quel mondo, scoprendo di avere la voce giusta. Quando cantavo pensavo che un giorno mi sarebbe piaciuto dirigere. Ho cominciato dirigendo i miei genitori nella zarzuela. La mia prima opera, “Il Trovatore”, l’ho diretta qui ad Amburgo. Certo essendo cantante ed essendomi esibito con i più grandi è stata una grande fonte di ispirazione».
E qual è stato il direttore d’orchestra con cui si è trovato meglio?
ccio tre nomi: Kleiber, Levine e Barenboim. Da loro ho imparato molto. Sono coloro con i quali, in modo diverso, penso di aver fatto le cose più interessanti. Però devo anche ricordare Muti, mio coetaneo, col quale incidemmo una grande “Aida” con Montserrat Caballé».
Ora che fa il baritono, si ritrova spesso nel ruolo del cattivo. Non le dà fastidio?
«Ci sono parti di baritono grandiose, che ho sempre sentito cantate dai miei “nemici”. Ora i miei “nemici” sono i tenori. Ma vince sempre la musica».
E qual è la parte di tenore che le manca di più?
«L’Otello è l’Otello. Per me è una cosa speciale. L’ho cantato 225 volte. È un personaggio completo sul piano vocale e drammatico. Ogni volta che l’ho fatto mi dicevo che ero fortunato, perché Verdi aveva creato per me un “Otello” migliore di quello di Shakespeare».
E da baritono qual è il ruolo che preferisce?
«Quello di Macbeth, come vede sempre Verdi e Shakespeare. Poi Germont nella “Traviata”, Nabucco e Boccanegra».
Quanto riesce a parlare l’Opera ai giovani oggi? E quanto vive di nostalgia?
«Ovunque vedo ogni sera un numero crescente di giovani fra il pubblico. Penso che mai come oggi l’opera affascini generazioni diverse. Anche perché l’opera non ha mai avuto un repertorio così vasto. Oggi si riscoprono cose che in passato conoscevano solo gli specialisti, pensi al repertorio russo che Valery Gergiev porta in giro. È anche molto utile l’uso della tecnologia, come la proiezione dei libretti, il pubblico apprezza molto più gli artisti, la gente segue e discute non solo della qualità della voce, ma approfondisce il dramma. E si addormenta di meno. Siamo in un momento molto positivo».
Lei è un uomo felice?
«Si. E devo dire grazie a mia moglie, ai miei genitori, una famiglia straordinaria. E grazie al mondo della musica lirica. Sono felice di aver fatto tanto per tanta gente, nelle molte iniziative cui ho partecipato. Con “Operalia” per esempio ho creato un grande trampolino di lancio per giovani cantanti d’opera. E sono felice che tutte le volte che torno in un teatro, in ogni angolo del mondo, vengo accolto con affetto e calore».
Ma guardando indietro a questi 50 anni c’è qualcosa che farebbe diversamente?
«No. Non farei nulla di diverso. Ho sempre cercato di fare il bene. Ora c’è questa situazione problematica e per me dolorosa. Mi accusano di cose non vere. Io non ho mai abusato di una persona, né approfittato della mia posizione. La mia coscienza e la mia mente sono tranquille. Si possono commettere errori nella vita ma non ho mai offeso nessuno».
QUALCOSA E’ CAMBIATO (E IL #METOO HA ROTTO IL MENGA). Valerio Cappelli per il “Corriere della sera” il 14 agosto 2019. In una rete di accuse di molestie è finito il pesce più grosso della scena musicale. Placido Domingo, il più celebre tenore al mondo, è accusato da 51 tra cantanti, ballerine, musiciste, impiegate dei teatri: alcune denunciano pressioni sessuali per avere ingaggi, e un diniego - riporta l' Associated Press , che ha condotto l' inchiesta - le danneggiava professionalmente. Negli Stati Uniti la risposta è stata immediata: Domingo è sovrintendente della Los Angeles Opera, che in un comunicato ha subito promesso di «assumere consiglieri esterni» per indagare. E l' Orchestra di Filadelfia ha già disdetto la sua partecipazione alla serata d' apertura a settembre. Il Festival di Salisburgo, invece, dove Domingo canterà il 25 agosto nella Luisa Miller , si è schierato con lui. La presidente Helga Rabl-Stadler: «Lo conosco da 25 anni e oltre che dalla sua competenza sono rimasta impressionata fin dall' inizio dal modo in cui si rivolge agli impiegati del Festival, che conosce per nome». Fa una citazione in latino, in dubio pro reo , «nel dubbio, a favore dell' imputato». E poi: «È irresponsabile arrivare ora a sentenze. Canterà da noi come previsto». Tutte le voci contro il tenore per ora sono anonime, tranne il mezzosoprano Patricia Wulf, che aveva cantato all' Opera di Washington con lui. «Mi addolora sentire di avere irritato o messo a disagio chiunque», ha detto Domingo. «Credo che le mie interazioni e amicizie siano sempre state consensuali. Chi mi conosce sa che non sono il tipo che intenzionalmente offende, fa del male o mette in imbarazzo. Ma mi rendo conto che i ruoli e gli standard, oggi, sono differenti dal passato». Le accuse vanno dalla fine degli anni 80 al 2000. Una donna ha detto che Domingo ha allungato la mano sotto la sua gonna, altre tre sarebbero state forzate a baciarlo in camerino, negli hotel o in altre occasioni. «Una mano sul ginocchio a un pranzo di lavoro è strana», ha detto una. Domingo si sarebbe fatto avanti con drink e cene. In molte erano state preavvertite da colleghe: «Non restate da sole con lui in ascensore». Secondo una voce, il cantante avrebbe messo 10 dollari sulla credenza dopo un rapporto in un hotel: «Non voglio che ti senta una prostituta, ma non voglio nemmeno che paghi tu il parcheggio dell' auto». Domingo, 78 anni, ha affermato che «accuse anonime così lontane nel tempo sono preoccupanti e imprecise». L' anonimato, secondo tante donne coinvolte, è «per paura di rappresaglie o umiliazioni pubbliche: lavoriamo ancora nel mondo della musica».
· Vittorio Grigolo: tenore rock.
Da Libero Quotidiano il 19 agosto 2019. È uno dei tenori più famosi d'Italia, Vittorio Grigolo, sicuramente il più famoso della tv. Deve ringraziare Maria De Filippi, che l'ha accolto ad Amici come professore creandogli un nuovo, giovanissimo pubblico. Ma soprattutto se stesso, la sua determinazione, e la voglia di andare sempre controtendenza. Ad esempio, i tatuaggi: l'artista 42enne ne ha 4, "molto più discreti di quelli di Belen. Se avessi saputo che sono indelebili non li avrei fatti". Intervistato dal Quotidiano nazionale, Grigolo si spoglia completamente, e non è una figura retorica. A cominciare dal sesso: "È corsa voce che fossi gay. Anche mia moglie lo credeva, prima che ci sposassimo. No, non sono gay. Ok, se un uomo mi bacia in bocca non ci sono problemi, ma non vado oltre". Non solo. Ha confessato che in amore è disposto a provare tutto: "Manette, frusta, maschera si può". Sesso estremo? "Una battuta. Se nel rapporto a due si sta ancora insieme ma manca qualcosa, si può avere il coraggio di tirar fuori certi tabù. Perché no". Si definisce un "tenore rock", quando il "tenore pop" era Luciano Pavarotti. Non tornerà ad Amici, "però con Ricky Martin ho mantenuto i contatti. Credo che faremo qualcosa insieme. Ho anche progetti con Sting, Al Bano, Morandi. Penso a concerti in tour".
"Io, tenore rock, per maestro ho avuto Freddie Mercury". L'ex enfant prodige spiega come avvicina la lirica ai giovani. Lo farà stasera a Verona con "La traviata". Luca Pavanel, Sabato 17/08/2019, su Il Giornale. «L'opera deve andare avanti, trovare altri modi per arrivare al pubblico, conquistare i giovani. Io sono il primo tenore rock e lavoro in questa direzione». Ex enfant prodige che a soli 13 anni debuttò in Tosca nel ruolo del pastorello al fianco di Pavarotti, a 23 era già alla Scala e da star - amatissima pure al Met di New York - ha fatto La traviata in una stazione mentre partivano i treni e l'Elisir d'amore in aeroporto durante i decolli: eh sì, Vittorio Grigolo non si risparmia anche per lanciare la lirica fuori dai teatri, per diffonderla nel mondo, in tutti i modi possibili, anche sui palchi della musica leggera. Già, proprio così. Ma il ritorno a casa è d'obbligo, per questo gladiatore della voce. Che oggi (e poi il 29 agosto) riapparirà all'Arena di Verona con La traviata di Verdi; al fianco della stella americana Lisette Oropesa e con il collega Leo Nucci. Un'emozione particolare dopo l'esperienza in tv ad Amici a fianco di Maria De Filippi; un'emozione pure dopo la scomparsa del compianto amico Zeffirelli: «Non potevo mancare, Franco mi aspettava. Un giorno sono andato a salutarlo, guardava il Gesù di Nazareth e mi ha detto: Io ti lascio a lui...». Silenzio, commozione al telefono.
Che ricordi maestro Grigolo. Ma ora c'è il ritorno alla scena lirica, che impressione dopo l'esperienza in tv?
«È vero, c'è da dire però che ad Amici abbiamo portato la comunicazione avanti di vent'anni. Aver presentato l'opera in prima serata è stato un grandissimo risultato. Esperienza utile a far capire che è un linguaggio attuale, un'esperienza che rifarei centomila volte».
Non solo talent, anche le sue esibizioni tra bel canto e pop sorprendono...
«In effetti ho cantato E lucean le stelle (aria de La Tosca di Puccini, ndr) attaccandola a brani dei Queen. Ho avuto l'opportunità col chitarrista dalla band inglese, il mio caro amico Brian May, di condividere il palcoscenico già diverse volte. L'ultima è stata a giugno (allo Starmus Festival di Zurigo, ndr)».
Il suo obiettivo?
«Portare l'opera oltre, per raggiungere anche i giovani che di questi tempi sono tornati a essere rock. Quindi se vuoi arrivare a loro anche tu, devi essere così».
Non faceva così anche Pavarotti, qual è la novità?
«Luciano, in questo senso, è stato un predecessore. C'è stato come un passaggio del testimone, ma lui non era un tenore rock perché non si muoveva e non c'era interazione. Cantava lirica mentre gli altri facevano pop».
C'è stata un'evoluzione dunque...
«Sì, poi è arrivato Bocelli che ha fatto un passo dopo Luciano, proponendo pop con il pop. Adesso bisogna spingersi in avanti per essere attuali, bisogna riuscire a muovere anche il corpo. Ora ci sono io, tenore rock appunto, una definizione che ha dato Tony Renis».
Come cantante lirico diventato rock, quali i suoi miti?
«Io sono cresciuto ascoltando i Queen, ho anche una foto con Freddie Mercury al museo delle cere di Madame Tussauds a Londra. Quando all'Arena ho sentito Brian che si esibiva, ho anche lasciato le prove per andare...».
Un parere come tenore su Mercury e la sua voce...
«La sua voce era particolare per estensione, poi lui ci sapeva fare. In tante cose era veramente carismatico, sul palcoscenico era uno showman».
Ritornando alle collaborazioni, ha cantato con diverse star: quali impressioni?
«Con Sting c'è una complicità incredibile, lui addirittura mi ha fatto dei bellissimi complimenti. Come per i Queen, da piccolo sono cresciuto con la sua musica. Springsteen è un grande sul palco, ci siamo divertiti. Poi ricordo Dalla, c'era una grandissima amicizia che non smetterà mai di esserci. Lucio per me è il mare, lo ricordo tutte le sere quando vado a letto».
Prossimo progetto?
«L'incontro con alcuni di questi amici e altri, anche Bono, con cui ho parlato, in generale con chi potrà venire, per creare uno spettacolo internazionale a cui sto lavorando adesso, dove l'opera incontrerà il rock. Mi piacerebbe venissero Eminem e Ricky Martin. Un progetto che verrà realizzato nel 2021. L'idea è quella portare lo spettacolo nelle grandi città, come Mosca, Parigi, Londra e New York».
Messaggio finale per i giovani: perché è così importante incontrare l'opera, conoscerla?
«L'opera è un linguaggio che muove, crea delle vibrazioni incredibili, che vanno sperimentate. Un linguaggio che viene dal profondo dell'anima».
MOLESTIE DI UN CERTO TENORE. Simona Antonucci per “il Messaggero”il 25 settembre 2019. In scena un Faust, disilluso dalla vita, che rinnega Dio in cambio di ricchezza, potere, gloria. Dietro le quinte, un Diavolo che palpeggia le colleghe. Sarebbe successo, il 18, in Giappone, durante il tour della Royal Opera House, tra Tokyo e Yokohama, dove il teatro inglese ha proposto, a settembre, il capolavoro di Gounod, con la regia di David McVicar's, e l'Otello di Verdi, del regista Keith Warner: entrambe le opere sono state dirette dal maestro Antonio Pappano, che è appena rientrato. Una tournée trionfale oscurata dalla notizia lanciata ieri da quotidiani e siti britannici: Vittorio Grigolo, tenore italiano, 42 anni, star contesa da teatri e tv, avrebbe avuto comportamenti inappropriati nei confronti di una cantante del coro, proprio sul palcoscenico, durante le chiamate degli applausi, al termine della replica di mercoledì scorso. Una notizia che ha scosso il mondo della lirica proprio nel giorno in cui Placido Domingo, coinvolto da agosto nella bufera del #MeeToo, ha fatto un passo indietro rinunciando a cantare nel Macbeth del Metropolitan. Si chiude un sipario e se ne apre un altro, quello giapponese dove, davanti al pubblico, ancora con i panni di Faust addosso, Grigolo, che si è autodefinito, anni fa, dipendente dal sesso, avrebbe comunque continuato a molestare la donna, nonostante i musicisti che assistevano alla scena lo implorassero di smettere. «Quello che è successo è orribile», avrebbero commentato i coristi-testimoni. La Royal Opera House lo ha immediatamente sospeso, sostituito per l'ultima data a Yokohama, tamponando lo scandalo con un comunicato che parlava di malore. E contemporaneamente avviato indagini interne su che cosa sia accaduto in quella serata diabolica. Sospeso anche dal Met. Il direttore Gelb con un solo colpo e in un'unica lettera ha accettato le dimissioni di Domingo e ha comunicato che al momento anche i contratti di Grigolo sono cancellati. Per il cantante sarà stato un colpo di gong: fino a qualche ora prima che scoppiasse il caso, il 22 settembre, aveva scritto sulle sue pagine social: «Grazie Giappone per tutto il tuo supporto, è stato speciale tornare». E rivolto al cast: «Grazie al bellissimo cast, a tutti i colleghi, al coro, ballerini e orchestra». Aggiungendo gli hashtags: love, passion, desire, happy, emozioni e neverforgetwhoyouare con un bel cuore a chiudere l'esternazione. Ma dopo i tag, il diluvio. E il silenzio. «Nessun commento, sono in corso accertamenti»: Grigolo che quest'estate ha conquistato l'Arena di Verona nella Traviata di Zeffirelli e che nei mesi scorsi ha partecipato alla trasmissione Amici come coach di una squadra di giovani talenti, è costretto, almeno per il momento, a cambiare tono. Soprannominato Il Pavarottino, per aver debuttato con Pavarotti, a 13 anni, nei panni del pastorello in una Tosca al Costanzi di Roma, ora deve vedersela con altri tipi di cori, quelli indignati di #MeeToo e del passaparola tra i sovrintendenti che lo hanno scritturato nei prossimi mesi. Al teatro La Scala confermano le sue date, mantenendo lo stesso comportamento avuto nei mesi scorsi con Placido Domingo che è comunque atteso a Milano il prossimo 15 dicembre. E Grigolo sarà invece il Nemorino dell'Elisir d'amore da primo ottobre. Nessuna variazione, fino a prova contraria. Fino a quando le indagini condotte dal board della prestigiosa istituzione non porteranno a un verdetto ufficiale: «Al momento non possiamo aggiungere altro su questa storia», avrebbe dichiarato il Teatro londinese, «ma confermiamo le indagini sull'incidente». In attesa che l'incidente diventi un qualcosa di più circostanziato, circolano online le battute che il cantante rilasciò durante varie interviste e in particolare una a Vanity Fair del 2013 dove si era descritto come «Un sexual addicted, attratto dalle donne mature, donne vere. Il sesso è un bisogno fisico». Con Grigolo si apre un nuovo caso nel mondo della lirica. A Ferragosto sono stati cancellati i concerti di Domingo a Philadelphia e a San Francisco dopo accuse riguardanti presunte molestie avvenute negli anni Ottanta; il maestro Gatti venne rimosso dalla direzione del Royal Concertgebouw di Amsterdam in seguito a dichiarazioni di cantanti, riportate da un giornale, che denunciavano molestie avvenute trent'anni prima; William Preucil è stato allontanato dall'Orchestra di Cleveland, Bernard Uzar dalla Florida Opera, James Levine licenziato dal Metropolitan e Charlse Dutoit dalla Royal Philarmonic.
Il tenore (ed ex coach di Amici) Grigolo sospeso dal tour con l’accusa di molestie sessuali. Pubblicato mercoledì, 25 settembre 2019 da Corriere.it. Per ora sono solo accuse, tutte da dimostrare. Ma la Royal Opera House di Londra ha deciso di sospendere il noto tenore Vittorio Grigolo, 42 anni, detto «il Pavarottino» perché esordì a fianco di Luciano Pavarotti a soli 13 anni, nel ruolo del pastorello in Tosca al Teatro dell’Opera di Roma. A segnalare la notizia è il sito della BBC (oltre che diversi giornali inglesi). La motivazione del provvedimento sarebbe un «presunto incidente» avvenuto lo scorso 18 settembre, mentre Grigolo si trovava a Tokyo, in Giappone, per un tour della compagnia teatrale britannica. La Royal Opera House ha annunciato di aver aperto «an immediate investigation», ma intanto Grigolo è stato sospeso. Nessun dettaglio ulteriore è stato fornito dalla compagnia teatrale, anche se diverse fonti ipotizzano il palpeggiamento di una corista a sipario abbassato, durante le chiamate degli applausi, al termine di una replica del Faust di Charles-Francois Gounod, in cui Grigolo era il protagonista, andata in scena a Tokyo mercoledì scorso. Alla scena avrebbero assistito altre persone, alle cui osservazioni Grigolo avrebbe replicato in tono stizzito. A Yokohama, la tappa finale del tour asiatico della Royal Opera House di Londra, la scorsa domenica Grigolo è stato sostituito da un tenore russo, Georgy Vasiliev. Vittorio Grigolo è un artista conosciuto in tutto il mondo. Ha collaborato con diversi teatri e istituzioni. Nella passata stagione televisiva è stato per qualche tempo “coach” del programma Amici di Maria De Filippi in coppia con Ricky Martin. Nel 2015, in un’intervista a Vanity Fair, il tenore si era definito, sia pure scherzosamente, dipendente dal sesso, dichiarando: «Sono un drogato di sesso, amo le donne mature, quelle vere, il sesso è un bisogno fisico». Il caso di Vittorio Grigolo si affianca a quello, scoppiato ieri, di Placido Domingo, travolto dalle accuse di alcune donne (l’accusa è di aver chiest0 prestazioni sessuali in cambio di ingaggi negli anni ‘80) ha rinunciato a cantare nel Macbeth al Metropolitan Opera. Il direttore generale del Met Peter Gelb non solo ha accettato le dimissioni di Domingo, ma contemporaneamente ha anche cancellato i contratti di Grigolo. Al contrario il Teatro “Alla Scala” ha confermato le date di ottobre (1, 4, 7 e 10 ottobre) della rappresentazione Elisir d’amore di Gaetano Donizzetti: Grigolo sarà Nemorino.
Vittorio Grigolo sospeso dalla Royal Opera House e dal Met Opera. Il tenore impegnato in un tour in Giappone è stato sostituito nell'ultima data per un "presunto incidente": avrebbe molestato una corista. In attesa dell'esito delle indagini anche il Metropolitan Opera di New York cancella le sue esibizioni previste a febbraio. La Scala invece conferma gli spettacoli di ottobre. La Repubblica il 25 settembre 2019. La Royal Opera House di Londra ha sospeso il tenore Vittorio Grigolo per quello che viene definito un "presunto incidente". Secondo i media britannici il tenore italiano, impegnato in un tour in Giappone con la compagnia, lo scorso 18 settembre avrebbe molestato una corista. Grigolo aveva il ruolo principale nel Faust di Gounod e domenica 22 settembre a Yokohama, tappa finale del tournée, è stato sostituito dal tenore russo Georgy Vasiliev. La Royal Opera House ha motivato il cambio di protagonista dicendo che Grigolo era "indisponibile". In attesa che si chiarisca come siano andate le cose, anche il Metropolitan Opera di New York ha sospeso il tenore italiano, atteso a febbraio e marzo 2020 per sei esibizioni di Alfredo nella Traviata. La sospensione del Met arriva in contemporanea alla decisione di Plácido Domingo di annullare le sue esibizioni all'opera di New York in seguito alle accuse di molestie da parte di diverse donne. Il cantante, 78 anni, doveva andare in scena in una nuova produzione del Macbeth di Verdi. Il Teatro alla Scala invece annuncia che sono confermati gli spettacoli del tenore Vittorio Grigolo che salirà sul palco del teatro di Milano l'1, il 4, il 7 e il 10 ottobre per interpretare il ruolo di Nemorino nell'opera Elisir d'Amore.
Vittorio Grigolo, 42 anni, è un tenore conosciuto in tutto il mondo. Ha collaborato con diversi teatri e istituzioni internazionali. Nella passata stagione televisiva è stato anche coach del programma Amici di Maria De Filippi in coppia con Ricky Martin. E lo scorso 21 giugno ha affiancato Antonella Clerici nella conduzione in diretta su Rai 1 della Traviata all'Arena di Verona con la regia di Franco Zeffirelli in omaggio al maestro scomparso. Nell'ultimo anno il movimento #MeToo contro le molestie sessuali ha scosso anche il mondo della musica classica e dell'opera con gravi conseguenze per gli artisti coinvolti. L'estate scorsa è toccato a Daniele Gatti, licenziato dalla Concertgebouw Orchestra per "comportamento inappropriato". Nel marzo 2018 il Metropolitan Opera House di New York ha interrotto i rapporti con James Levine e pochi mesi prima tre cantanti d'opera hanno accusato di molestie il direttore svizzero Charles Dutoit.
Tiziana Lapelosa per “Libero quotidiano” il 26 settembre 2019. Chissà quanto avrà goduto il tenore russo Georgy Vasiliev domenica scorsa a Yokoama, Giappone. Chissà cosa avrà provato lui, eternamente secondo, costretto a stare dietro le quinte, a sperare senza dare troppo nell' occhio che a Vittorio Grigolo, protagonista assoluto del Faust di Charles-Francois Gounod, succedesse qualcosa. Un imprevisto, per esempio, qualcosa che lo tenesse lontano dalle luci e dagli applausi che Vasiliev avrà di certo solo sognato vestito da Faust mentre si guadagna la scena sul palco e gli sguardi del pubblico. Invece il suo sogno si è avverato, mentre a Grigolo è successo qualcosa di molto più di una febbre. Il «pavarottino» - il nomignolo che lo perseguita da quando a 13 anni ha debuttato accanto a Luciano Pavarotti nella Tosca - è stato accusato di molestie sessuali. Mercoledì 18 settembre, mentre il pubblico giapponese di Tokyo lo applaudiva estasiato dalla sua interpretazione e dalla potenza della sua voce, lui, tra una chiamata e l' altra per ricevere battute di mani, a sipario chiuso avrebbe palpato una cantante del coro davanti agli occhi di tutta la compagnia. Senza vergogna. Almeno così hanno riferito al Sun quanti hanno testimoniato di aver assistito all' imbarazzante scena. Anzi, gli avrebbero pure detto di smettere. Pare, però, senza successo. Grigolo - entrato nel cuore del pubblico televisivo grazie a Maria De Filippi che nella passata edizione di Amici lo aveva scelto come coach - è stato così sospeso dalla Royal Opera House di Londra, che ha portato il Faust in giro per il mondo. Il teatro inglese non è sceso nei dettagli, ma ha parlato di «indisposizione» e di un «allontanamento temporaneo» dell' artista, che non ha ancora commentato, e quindi della sostituzione con Vasiliev in attesa di indagini per capire la veridicità delle palpate. Vero o no, il sesso al 42enne italiano piace da matti e non lo ha mai nascosto. «Sono un drogato di sesso», si era lasciato sfuggire nel corso di una intervista rilasciata quattro anni fa alla patinata rivista Vanity Fair, «amo le donne mature, quelle vere, il sesso è un bisogno fisico». L' allontanamento è avvenuto mentre dall' altra parte del mondo, al Met di New York, un altro grande tenore, Placido Domingo, 78 anni, pronto ad interpretare il Macbeth di Giuseppe Verdi, ha fatto un passo indietro. Pur «esprimendo preoccupazione per un clima in cui le persone sono condannate senza un giusto processo», ha deciso di lasciare il mitico teatro in cui è stato protagonista assoluto per più di 50 anni, dopo essere stato travolto dalle accuse denunciate da una ventina di donne che hanno riferito di essere state molestate dal tenore. «La Metropolitan Opera conferma che Placido Domingo ha accettato di ritirarsi da tutte le future esibizioni al Met, con effetto immediato», lo scarno comunicato. Ed è a New York che la storia di Domingo si incrocia con quella di Grigolo: il Met, infatti, ha deciso che il 42enne italiano nel suo teatro non dovrà metterci piede. Almeno per ora. «In seguito al presunto incidente riguardante Vittorio Grigolo denunciato dalla Royal Opera House, il Met lo sospenderà ad effetto immediato da tutte le recite in attesa degli esiti dell' indagine della Roh. Il Met non ha nessun commento da aggiungere», l' altro scarno comunicato del teatro americano, che così si è tolto dagli impicci nel nome di quel politically correct che fa fare sempre "bella figura". Una strada che invece ha scelto di non percorrere la Scala di Milano, che ha confermato le esibizioni del tenore nei panni di Nemorino nell'«Elisir d' Amore» in programma l' 1, il 4, il 7 e il 10 ottobre. Come dire, fuori i secondi, tenori. riproduzione riservata A sinistra, Placido Domingo. Dopo le accuse di molestie da parte di una ventina di donne, il tenore ha deciso di ritirarsi dal Met di New York. In alto, Vittorio Grigoli, il tenore italiano allontanato dalla Royal Opera House di Londra e dal Met newyorkese perché accusato di aver palpato una corista al termine del Faust a Tokyo.
Simona Antonucci per “il Messaggero” il 27 settembre 2019. Vittorio Grigolo, sul palcoscenico giapponese, il 18 settembre palpeggiò una ballerina o un trucco di scena in gommapiuma? Fu vera molestia? O vera commedia degli equivoci? L'ardua sentenza ai telefoni del pubblico che immortalavano il successo del tour in Giappone del Faust della Royal Opera House, con il maestro Pappano. E mentre gli Sherlock Holmes del lirico londinese setacciano l'online e provano a far cantare il cast, il tenore rompe il silenzio: «Io sono sereno». E dopo essere stato sospeso sia dalla prestigiosa istituzione inglese, sia dal Met dove era atteso a febbraio prossimo, Grigolo tira fuori la voce. Non soltanto nei panni di Nemorino, alla Scala dove proseguono le prove dell'Elisir d'amore, in scena dal primo ottobre. Ma anche come persona, un uomo di 42 anni accusato di aver allungato le mani durante le ovazioni degli spettatori e di aver risposto brutalmente (andate a ...) ai coristi che lo imploravano di smettere. «Con il mio team», aggiunge il cantante che tra Naomi Campbell e la Sozzani, ha un catalogo di fidanzate da far invidia a Don Giovanni, «stiamo collaborando con la Royal Opera House dando completa disponibilità per tutti i chiarimenti del caso». La scena da Teatro dell'Assurdo sarebbe accaduta a fine replica del capolavoro di Gounod, con la regia dell'estroso David McVicar, che prevedeva tra i vari colpi di scena, la presenza di una ballerina infagottata da una pancia finta a simulare una gravidanza. Ed è proprio la ballerina in gommapiuma ad aver fatto scoppiare il caso che dall'Oriente è rimbalzato in mezzo mondo. La donna si sarebbe risentita richiamando l'attenzione dei colleghi che a loro volta avrebbero richiamato il cantante, scatenando un parapiglia infernale degno di Mefistofele. Accuse pesanti, contrastate da una difesa fondata invece sul poliuretano espanso elastico, soffice come una spugna. Sembra che i legali del cantante, impegnati a salvare reputazione, carriera e contratti a più zeri (al momento non ci sono denunce penali) sostengano la tesi che si sarebbe trattato di uno scherzo, una boutade, non gradita, in risposta a una scena clou. Durante lo spettacolo, la ballerina incinta invita Faust (Grigolo) a toccarle la pancia, ma lui, come previsto da copione, si ritrae. A fine replica, proprio durante gli applausi avrebbe, invece, accettato l'invito. Ma se anche la mano fosse stata di piuma, e il ventre di gomma, le parole rimbalzate davanti e dietro il sipario sarebbero state comunque di piombo. Ed è sul fronte sonoro che si danno battaglia accusa e difesa. Tutto ancora da indagare, circostanziare, verificare. Ma nel mondo della lirica, dove i casi di molestia, o presunta molestia, sono sempre più frequenti, ancora non è ben chiaro se fino a prova contraria si è colpevoli o innocenti. Si assiste a degli assolo dei board teatrali che dinanzi allo stesso caso mostrano pollice verso o bandiera bianca. Grigolo che è stato sospeso dalla Royal Opera House e dal Met, andrà in scena alla Scala a giorni. Proprio come Placido Domingo. Il tenore spagnolo, accusato, a Ferragosto 2019, di aver molestato cantanti e ballerine negli Anni Ottanta, ha fatto un passo indietro, lasciando il tempio americano e il Macbeth a un giorno dal debutto. Ma è atteso alla Scala a dicembre e a Verona dove sono già in vendita i biglietti per il suo attesissimo ritorno. Destini alterni e doppio binario anche per il maestro Daniele Gatti che rimosso dal Royal Concertgebouw, in seguito a dichiarazioni di cantanti, riportate da un giornale, che denunciavano molestie avvenute trent'anni prima, è stato poi assunto alla guida dell'orchestra dell'Opera di Roma. Un'altalena che fa discutere avvocati e l'online dove si rincorrono le più disparate sentenze. L'ultima, sulla pagina social di Anne Midgette, la giornalista del Washington Post che ha denunciato molti casi (tra cui Gatti), dove ci s'interroga sul perché il Met abbia aspettato le dimissioni di Domingo, «prima di fare la cosa giusta». Grigolo, invece, ai suoi 52.400 social fan, manda serenità e cari saluti: «Ringrazio di cuore tutti gli amici che mi sono vicini con tanti messaggi e tante dimostrazioni di affetto e supporto».
Il tenore Grigolo sospeso da Met e Royal Opera House: "Sereno". Il caso nascerebbe da una pancia finta. Ancora in corso le indagini per capire cosa sia successo esattamente la sera del Faust a Tokyo. La Repubblica il 27 settembre 2019. "Cari amici, innanzitutto ringrazio dal cuore tutti i fan e gli amici che mi sono vicini con tanti messaggi, dimostrazioni di affetto e supporto. Io sono sereno, con il mio team stiamo collaborando con Royal Opera House dando la nostra completa disponibilità per tutti i chiarimenti del caso". Così il tenore Vittorio Grigolo (celebre anche per essere stato coach di Amici), da Tokyo, risponde alla notizia della sospensione dal Metropolitan Opera e dalla Royal Opera House. Il provvedimento nei confronti del tenore italiano, 42 anni, è stato preso a seguito di un'indagine della Royal Opera House di Londra che ha deciso di allontanarlo temporaneamente dal palcoscenico dopo un episodio avvenuto la settimana scorsa durante un tour del teatro londinese in Giappone. Secondo le prime ricostruzioni, ancora da verificare, l'incidente avrebbe più a che fare con l'equivoco e il diverbio che con la molestia. Alla fine dello spettacolo il tenore avrebbe toccato la "pancia finta" di una ballerina che nello spettacolo interpreta una donna incinta, personaggio che nel Faust offre la pancia al protagonista di Gounod. Durante lo spettacolo Faust - Grigolo rifiuta di toccarla, mentre alla fine della rappresentazione il tenore, nell'entusiasmo degli applausi, l'avrebbe palpata come scherzo. Il gesto goliardico però non sarebbe piaciuto alla ballerina che avrebbe richiamato l'attenzione dei collegh, da lì sarebbe nato un diverbio dai toni accesi con il tenore.
Marina Cappa per “il Messaggero” il 2 ottobre 2019. E poi è arrivato il bis di Una furtiva lagrima, aria cuore del secondo atto dell'Elisir d'amore di Gaetano Donizetti. A quel punto il tenore Vittorio Grigolo, 42 anni, ha capito che laddove i londinesi della Royal Opera House lo avevano condannato («Ma senza denunce, sia chiaro», ha detto ieri sera al Messaggero dietro il palco, «per loro la mia è stata una violazione del regolamento interno, tanto che mi sono offerto di chiedere scusa e me l'hanno negato»), la Scala di Milano e il pubblico che ieri sera è accorso a vederlo e sentirlo, lo assolvevano senza dubbi. Chiedendo anche un bis, concluso da Grigolo con una mano sul cuore. L'interprete che poche settimane fa era stato accusato di molestie sessuali per aver toccato la pancia (imbottita di gommapiuma) di una corista durante la rappresentazione del Faust a Tokyo, ieri sera alla Scala interpretava Nemorino. Alla fine dello spettacolo, ha abbracciato fra gli applausi tutti i suoi compagni di lavoro, «perché sono grato per come mi hanno accolto e appoggiato fin dal mio arrivo qui all Scala». È la prima volta che Grigolo parla di ciò che gli successo. A fine spettacolo, nel camerino, non si trattiene. «Il pubblico mi ha abbracciato con un calore tale da farmi capire quanto fuori di qui si sia davvero compreso il giusto valore da dare a questa brutta vicenda. Ecco, io qui a Milano mi sono sentito coccolato. Sensazione piacevolissima, tanto più che considero la Scala la mia seconda casa». Era preoccupato che non andasse così e qualcuno polemizzasse? «Avevo un po' d'ansia perché Elisir d'amore è difficilissimo da interpretare e arrivarci con queste pressioni di sicuro non aiuta. Ma quello che è successo stasera in teatro ha cancellato tutto il male e le cattiverie diffuse senza conoscere davvero quello che era successo». Si è sentito assolto? «No perché non dovevo essere assolto da nessuna accusa. Non si può considerare molestia sessuale aver toccato una pancia di gommapiuma. Almeno non in Italia. D'altra parte, credo fermamente che prendersela con un comportamento di questo tipo significa anche sminuire chi subisce davvero abusi. Adesso, grazie a questo pubblico e alla Scala, torno nuovamente a testa alta». Nel corso della serata iIl tenore che interpreta l'innamorato Nemorino è stato a lungo applaudito dal pubblico del Piermarini (in sala anche Mara Venier, Tony Renis e Roberto Cenci) e al grido di «bravo Vittorio, bis» e «sei bravissimo» ha concesso un secondo ascolto dell'aria di Donizetti (sul podio nella buca del teatro milanese c'era il direttore Michele Gamba). Vittorio Grigolo ha «debuttato» ieri sera nell'Elisir d'amore dopo il passaggio di testimone con l'americano René Barbera (che prima di lui ha vestito i panni di Nemorino). Per lui , un trionfo.
Il tenore Vittorio Grigolo sulle molestie: "Solo un malinteso, non c’è alcuna denuncia". Redazione Tvzap il 23 novembre 2019. Il tenore spiega cosa è successo a Tokyo da dove è partita la vicenda che ha portato la Royal Opera House di Londra a sospenderlo. “Non c’è nessuna denuncia. Un malinteso non può chiudere le porte a una carriera pulita, costruita con tanto sacrificio e sudore”. Vittorio Grigolo (CHI È) chiarisce per la prima volta a Verissimo la delicata vicenda che lo ha coinvolto lo scorso 18 settembre a Tokyo quando è stato accusato di molestie. “È stato solo un grandissimo malinteso. Ero a Tokyo, alla fine della rappresentazione dell’opera del Faust. Nel momento degli applausi io coinvolgo sempre tutti e lì ho portato davanti al palco anche il corpo di ballo. Sorridendo ho schiacciato la pancia di spugna di una ballerina (che prima era stata protagonista di una scena in cui cercava di fare toccare la pancia ad un Faust spaventato) e ho sentito un corista che mi diceva ‘Che cosa stai facendo? Non lo vedi che è imbarazzata?’ E io gli ho risposto ‘Ma cosa stai dicendo?’. Tutto questo di fronte a un pubblico!”. L’ex coach di ‘Amici’, considerato il nuovo Pavarotti, racconta: “Il giorno dopo vengo chiamato dalla Royal Opera House di Londra e mi dicono che per questa mia condotta devo lasciare. Sono dovuto andare via. Hanno avviato un’inchiesta comportamentale interna, di condotta. Le motivazioni sono state quelle di aver toccato la pancia di spugna. Loro l’hanno raccontato come volevano”. Nel corso dell’intervista interviene anche l’avvocato del tenore che precisa: “C’è un video, che per ragioni di copyright non possiamo mostravi, che non lascia spazio a dubbi. Dopo averlo visionato siamo sereni e confidiamo che questa cosa si concluda velocemente”. Infine, alla domanda sul suo stato d’animo attuale Vittorio Grigolo confessa: “È una cosa che non auguro a nessuno. È un dolore che ti porti dentro! Non voglio fare né l’eroe né la vittima. Voglio solo capire il perché di tutto questo. Nella sofferenza si cresce se ci si rialza”.
Paolo Isotta per ''il Fatto Quotidiano'' il 30 settembre 2019. Stanno cadendo come birilli, i direttori d' orchestra e i cantanti accusati di molestie nell' esercizio delle loro funzioni. Poi verrà il turno dei ballerini e dei coreografi. Se costoro hanno esercitato un metus reverentialis per portarsi a letto qualche cantante, ballerina/o o affini, certo si tratta di un atto non lodevole. Sarebbe bello si estendesse (mi ripeto) a chi ha praticato questi esercizi in molti teatri importanti, con una moglie che a volte si dava a scene isteriche, svenimenti e falsi suicidî. Io non vedo, in fondo, perché un artista, che è un libero professionista, debba essere escluso dal manifestare la sua arte perché i suoi costumi erotici sono volgari o censurabili. Allora facciamo roghi sulla pubblica piazza delle poesie di Verlaine e Rimbaud, delle opere di Palazzeschi e Pasolini. Non mi pare che il teatro sia stato - mai - un mondo di educande, e accorgersene oggi è solo ridicolo. Salvo, ripeto, quando si manifestino lati odiosi. E sarebbe ancora più bello se la stessa sorveglianza si estendesse al mondo della pubblica amministrazione e a quello dell' Università: ove comportamenti di molestie si configurano anche sotto il profilo penale. Vorrei venire all' ultimo caso del quale si sta parlando, di un tenore aretino che adesso è un idolo, a quel che sembra, al Metropolitan e al Covent Garden, tale Vittorio Grigòlo. Sono andato su Youtube a vedere delle manifestazioni della sua arte. Mi pare ben plausibile che uno con quel modo di muoversi quando sotto i riflettori si dirige verso i fan (canta anche musica leggera) abbia una stravolta idea del suo ego e dei rapporti col pubblico. E ho sentito qualcuno dire che canta come Claudio Villa! Ossia: uno dei più grandi vocalisti degli ultimi decennî. A volte alla ggente bisognerebbe consentire di parlare solo di football. Impedirgli di cantare perché avrebbe messo una mano in culo a una corista mi pare una superfetazione calvinista. Ma per ben altri motivi bisognerebbe vietargli l' attività del canto, o quanto meno far sì che lui paghi un cospicuo biglietto a tutti coloro che vanno ad ascoltarlo. Bela, singhiozza, piagnucola, non rispetta il ritmo. Diciamo che del pezzo musicale classico ha un' interpretazione, più che arbitraria, caricaturale. Se fossi un direttore d' orchestra il quale accetta di dirigere una recita operistica nella quale costui partecipa, mi vergognerei per mancanza di dignità. Mi vergognerei molto più di lui. Fa i suoi interessi; lo pagano; chi se ne frega della musica. Va bene che oggi direttori d' orchestra del suo livello abbondano. Ma il direttore d' orchestra è, o dovrebbe essere, il responsabile artistico dell' opera eseguita sotto la sua bacchetta. Uscirà sempre qualcuno a dire che esagero. Facciamola corta. Invito chi mi legge ad ascoltare (c' è su Youtube) la Romanza dell' Elisir d' amore Una furtiva lacrima. Prima nel massacro di Grigòlo. Poi, in ordine crescente di perfezione, cantata da tre angeli: Beniamino Gigli, Tito Schipa, Enrico Caruso. E mi voglio rovinare. Persino Pavarotti, a confronto dell' aretino, fa un figurone.
· Ezio Bosso ed “I Sani Cronici”.
“NIENTE PIETISMI, NON MI SONO RITIRATO”. Simona Antonucci per Il Messaggero il 17 settembre 2019. «Niente pietismi, non mi sono ritirato». Il musicista Ezio Bosso, dopo le voci di una sua imminente uscita di scena, scatenate da un intervento alla Fiera del Levante («Se mi volete bene, smettete di scrivermi che vorreste vedermi al pianoforte»), ora s’indigna su Facebook: «Chiariamoci bene: ho solo risposto che non faccio più concerti da solo al pianoforte perché lo farei peggio che mai e già prima ero scarso. Cosa che avevo già annunciato 2 anni fa. Ma sono molto felice perché faccio il mio mestiere di direttore. Mi addolora che per quanto combatta contro le strumentalizzazioni, si scade sempre in quel pietismo sensazionalistico. Queste cose, sì, che mi farebbero ritirare davvero». E così, Ezio Bosso, che ha sempre ripetuto «Ogni volta che suono il pianoforte, un pianista muore», facendo ironia sulla malattia neurodegenerativa, si è ritrovato in un carosello di voci che lo descrivono come al termine della carriera. E della vita: insieme con migliaia di post sono arrivati anche messaggi di condoglianze. «Purtroppo - aggiunge il musicista che quest’estate a debuttato a Verona conquistando l’Arena con i suoi Carmina Burana - è stato dato inutile risalto in maniera sciacalla, come sempre, al pregiudizio su di me». Bosso ha un calendario di appuntamenti che lo terranno impegnato fino ad agosto 2020, tra Auditorium, dove torna dopo il tutto esaurito in Cavea nel 2018, e Arena che lo aspetta per dirigere la Nona di Beethoven. «Continuo a fare musica e meglio di prima!». L’ultimo concerto al pianoforte, uno Steinway alleggerito da cui non si separa mai, Bosso lo ha sostenuto un anno e mezzo fa: un recital intitolato Bach, Beats, Bosso. E in quell’occasione ribadì che non l’avrebbe mai più potuto fare perché «faccio molta fatica e non ho abbastanza qualità. E soprattutto perché non si vede la bellezza di altro, quello per cui lotto. Il lavoro con le orchestre, che ho sognato tutta la vita». Del resto, Bosso ha sempre ripetuto: «Dirigere è la mia natura. Dimentico i miei problemi fisici anche se rischio di farmi male. C’è chi ha imparato a vedere l’uomo e chi no. E inventa. Vorrei diventare trasparente».
Ezio Bosso: «Ho due dita che non rispondono bene e non posso più suonare». Pubblicato domenica, 15 settembre 2019 da Corriere.it. «Se mi volete bene, smettete di chiedermi di mettermi al pianoforte e suonare. Non sapete la sofferenza che mi provoca questo, perché non posso, ho due dita che non rispondono più bene e non posso dare alla musica abbastanza. E quando saprò di non riuscire più a gestire un’orchestra, smetterò anche di dirigere». Così Ezio Bosso, pianista, compositore e direttore d’orchestra ha incontrato oggi il pubblico barese nella Fiera del Levante, accolto dal presidente Michele Emiliano nel padiglione della Regione Puglia. L’artista torinese, che due giorni fa ha compiuto 48 anni, dal 2011 soffre di una patologia degenerativa. Oggi si è raccontato, con accanto il suo cane Ragout, parlando di musica, arte e talento. «Il musicista non lo si diventa solo per talento, - ha detto - a un certo punto, soprattutto chi ce l’ha il talento, lo deve dimenticare e fare spazio al lavoro quotidiano, alla disciplina». Bosso ha definito la musica «come un focolare attorno al quale sedersi, un linguaggio universale che permette a tutti di parlarsi e fare comunità a prescindere dal luogo di provenienza». Ha chiesto un applauso per l’articolo 9 della Costituzione italiana, «una figata pazzesca perché mette insieme musica, arte E paesaggio. Ma se di quelle cose non ci prendiamo cura, spariscono e ce ne accorgiamo quando le perdiamo». «La musica - ha detto - ci ricorda anche questo: prendersi cura, avere rispetto, far star bene, non confondere la quotidianità con l’eternità, i nostri piccoli poteri con l’assoluto». Rispondendo alle domande del pubblico, ha detto che «la disabilità è negli occhi di chi guarda, perché il talento è talento e le persone sono persone, con le ruote o senza» e che «con la pazienza a tutte le età si può imparare, perché se uno dedica del tempo alle cose, vengono».
Bosso a Bari: "Non posso più suonare, smettete di chiedermelo". L'artista ospite della Fiera del Levante: "Quando non riuscirò più a dirigere un'orchestra smetterò". La Repubblica il 15 settembre 2019. "Se mi volete bene, smettete di chiedermi di mettermi al pianoforte e suonare. Non sapete la sofferenza che mi provoca questo, perché non posso, ho due dita che non rispondono più bene e non posso dare alla musica abbastanza. E quando saprò di non riuscire più a gestire un'orchestra, smetterò anche di dirigere". Così Ezio Bosso, pianista, compositore e direttore d'orchestra, che ha incontrato il pubblico barese nella Fiera del Levante, accolto dal governatore pugliese Michele Emiliano nel padiglione della Regione Puglia. L'artista torinese, che due giorni fa ha compiuto 48 anni, dal 2011 soffre di una patologia degenerativa. Oggi si è raccontato, con accanto il suo cane Ragout, parlando di musica, arte e talento. "Il musicista non lo si diventa solo per talento, - ha detto - a un certo punto, soprattutto chi ce l'ha il talento, lo deve dimenticare e fare spazio al lavoro quotidiano, alla disciplina". Bosso ha definito la musica "come un focolare attorno al quale sedersi, un linguaggio universale che permette a tutti di parlarsi e fare comunità a prescindere dal luogo di provenienza". Ha chiesto un applauso per l'articolo 9 della Costituzione italiana, "una figata pazzesca perché mette insieme musica, arte E paesaggio. Ma se di quelle cose non ci prendiamo cura, spariscono e ce ne accorgiamo quando le perdiamo". "La musica - ha detto - ci ricorda anche questo: prendersi cura, avere rispetto, far star bene, non confondere la quotidianità con l'eternità, i nostri piccoli poteri con l'assoluto". Rispondendo alle domande del pubblico, ha detto che "la disabilità è negli occhi di chi guarda, perché il talento è talento e le persone sono persone, con le ruote o senza" e che "con la pazienza a tutte le età si può imparare, perché se uno dedica del tempo alle cose, vengono".
Ezio Bosso, il pianista che ha commosso l'Ariston. Andrea Silenzi su La Repubblica il 10 febbraio 2016. Torinese, affetto da una malattia neurologica degenerativa, è uno dei musicisti italiani più conosciuti al mondo: "La musica si può fare solo insieme". Il Festival lo ha accolto con un lunghissimo applauso: Ezio Bosso da anni è considerato uno dei compositori e musicisti più influenti della sua generazione. Pianista, compositore e direttore d'orchestra di fama internazionale (ma anche ex bassista degli Statuto per tre anni), affetto da una malattia neurologica degenerativa, Bosso ha incantato e commosso il pubblico dell'Ariston eseguendo il brano Following a bird. "Ricordatevi che la musica come la vita si può fare in un modo solo: insieme", ha detto durante l'intervista con Carlo Conti. "La musica è una fortuna e, come diceva il grande maestro Claudio Abbado, è la nostra vera terapia". Parlando del brano eseguito durante la serata, Bosso ha spiegato: "Mi fa riflettere sul fatto di perdersi per imparare a seguire. Perdere i pregiudizi, le paure, perdere il dolore ci avvicina". "Noi uomini tendiamo a dare per scontate le cose belle - ha poi aggiunto - la vita è fatta di dodici stanze (il suo album si intitola The 12th room, ndr): nell'ultima, che non è l'ultima, perché è quella in cui si cambia, ricordiamo la prima. Quando nasciamo non la possiamo ricordare, perché non possiamo ancora ricordare, ma lì la ricordiamo, e siamo pronti a ricominciare e quindi siamo liberi". Torinese, 44 anni, Bosso ha cominciato lo studio della musica a quattro anni con una prozia pianista. Si è formato poi a Vienna, sotto la guida di Streicher e Österreicher e Schölckner. Sia come solista, che come direttore o in formazioni da camera si è esibito nelle più importanti stagioni concertistiche internazionali. Ha vinto importanti riconoscimenti, come il Green Room Award in Australia (unico non australiano a vincerlo) o il Syracuse NY Award in America, la sua musica viene richiesta nella danza dai più importanti coreografi come Christopher Wheeldon, Edwaard Lliang o Rafael Bonchela, nel teatro da registi come James Thierrèe e nel cinema ha collaborato con registi di fama internazionale tra cui Gabriele Salvatores. Per il regista premio Oscar ha composto la colonna sonora per quartetto d'archi del film Io non ho paura ed ha lavorato sulle musiche di altri suoi film tra cui Quo vadis, baby? e Il ragazzo invisibile. Attualmente vive a Londra, dove è stato direttore stabile e artistico dell’unica orchestra d’archi di grande numero inglese: The London Strings. Nel 2014 ha debuttato con la sua Fantasia per Violino e Orchestra alla testa di London Symphony Orchestra con Sergey Krylov al violino solista. Nel 2015, Bosso è stato scelto dall’Università Alma Mater di Bologna per comporre e dirigere una composizione dedicata alla Magna Charta dell’Università che contiene il primo inno ufficiale di questa importante istituzione mondiale.
Ezio Bosso: «Alcuni colleghi usano la mia condizione per denigrarmi. I “sani cronici” sono loro». Pubblicato venerdì, 02 agosto 2019 da Giuseppina Manin su Corriere.it. Siamo abituati a vederlo passare sopra a tutto, tranne che sulla qualità musicale e su una continua richiesta di riservatezza. Siamo abituati a vederlo stringere i denti e poi sorridere. Alla fine, ogni concerto di Ezio Bosso è un trionfo, tutto si ricompone nella gioia di fare musica, il gesto direttoriale preciso, il rapporto intimo con l’orchestra. Ma poi, finiti gli applausi, tutto quello che la musica aveva cancellato torna a presentarsi in modo crudo, talora sgradevole, talora violento.
Quanto conta lo sguardo degli altri in tutto questo?
«L’imbarazzo è più degli altri che mio. C’è chi ti guarda di sottecchi e chi fa finta di niente. Qualcun altro ti parla scandendo le parole forte, come si fa con un bambino o uno straniero. Non sono sordo, ho difficoltà a parlare, gli spiego. Sono diventato un simbolo controvoglia, mi chiedono consigli, ma io non ho ricette. Mi fa paura essere considerato un testimonial di qualunque cosa che non sia studio, dedizione, musica fatta bene. È una lotta durissima, sfiancante, che mi prova duramente. Tante volte ho voglia di smettere perché capisco che questa continua guerra mi fa male, anche fisicamente, la sofferenza psicologica si trasforma in dolore fisico. Spesso penso di ritirarmi perché non ce la faccio più, ma poi, parafrasando Manganelli, le note mi sfidano e io, che di fronte a loro sono debole come è debole chi ama, cedo e mi ributto a capofitto in un nuovo progetto, in una nuova pagina musicale. Perché mi dà gioia e perché lì sono davvero io: un musicista e basta».
Che torna in scena riaffrontando ogni volta anche tutto il resto.
«Questa cosa contro cui combatto, che la gente dice di aver capito, ma poi si torna sempre lì. Anzi a volte la battaglia più dura è proprio con gli amici. A volte è meglio il pubblico d’occasione, ad esempio quando ho diretto alla Società dei Concerti a Milano sono venuti tanti abbonati storici, gente che nei decenni ha ascoltato di tutto e alla fine i commenti e le lettere che abbiamo ricevuto erano finalmente solo sulla mia qualità musicale. Ma è una gioia effimera, anche se fa bene al cuore: la disabilità non la posso nascondere, ma tutto il resto, la sofferenza, le ansie, sono cose mie, fanno parte della mia intimità. E poi, il vero male è un altro».
Cosa c’è di peggio?
«Rendermi conto di come alcuni, purtroppo anche cosiddetti colleghi, usino la mia condizione fisica per denigrarmi. La patologia vera è questa. Le disabilità più gravi non si vedono, i veri malati, o i “sani cronici”, come li chiama il mio amico Bergonzoni, sono loro».
Forse pure un po’ invidiosi... Ben pochi possono vantare il suo successo senza compromessi né di contenuti né di forma, catturare oltre un milione di spettatori dirigendo due sinfonie di Beethoven, la Quinta e la Settima.
«Un vero azzardo, non succede neanche a un concerto in sala... Ma con la Rai si era deciso di osare, Che storia è la musica doveva essere uno “speciale” e speciale è stato davvero. Tre ore e mezzo di classica in prima serata! Nessuno aveva mai rischiato tanto, in Italia e neanche in Europa. E mentre su Raitre io dirigevo la mia Europe Philharmonic Orchestra in Beethoven, su Rai 5 il meraviglioso Chailly eseguiva Dvorak, la sinfonia Dal nuovo mondo. Due grandi offerte musicali in contemporanea. Quel che si dice servizio pubblico. Per una sera la Rai è stata la migliore tv del mondo e l’Italia il Paese che sogno».
Una scommessa vinta, per la Rai un ritorno d’immagine importante. Lo chiamano “effetto Bosso”.
«L’effetto vero è la risposta del pubblico. Non solo una platea inimmaginabile ha ascoltato, molti per la prima volta, due sinfonie integrali di tale spessore, ma il giorno dopo la prima ricerca su Google era Beethoven. E su Amazon la Quinta e la Settima erano in vetta alle classifiche. Prova che non è stata solo una curiosità effimera, che si è innescato un interesse reale. La classica suscita ancora disagio, chi non la conosce teme di non capirla e allo stesso tempo non osa chiedere: me la spieghi? E invece è proprio quello che va fatto se si vuole aprire una breccia. Il problema non sono loro, è la stupidità di chi pensa di sapere quel che la gente vuole. Bisogna avere il coraggio di andare oltre i cliché. La realtà è meglio di come la immaginiamo».
A non credere che la Classica sia “per tutti” non sono solo i media, anche molti addetti ai lavori la pensano così.
«I sacerdoti del tempio, i difensori della torre d’avorio per pochi eletti. Quelli che “la musica è solo nostra tanto voi non la capite”. Quelli che la vorrebbero riservata ai “laureati in ascolto”. Mentre i grandi della musica, da Bach a Beethoven, da Mozart a Schubert, hanno lottato perché fosse appannaggio di tutti. Non solo dei ricchi e colti».
L’ascolto è una virtù dimenticata.
«Oggi tutti parlano e nessuno sta a sentire. Bisogna fare silenzio per poter ascoltare. Un silenzio attivo, che ti aiuta a percepire non solo il suono ma anche te stesso, la tua anima. È la lezione di Claudio Abbado. Anche lui capace di trasformare la malattia in rinascita, il dolore in maggiore impegno, in urgenza del fare. Con grande pudore, ne abbiamo parlato alcune volte. In suo nome sostengo l’associazione Mozart14, presieduta da sua figlia Alessandra, che promuove laboratori musicali per i bimbi in ospedale, i detenuti in carcere. Musica spalancata, per loro soprattutto».
Una vocazione didattica che lei coltiva con sempre maggior convinzione. «I bambini sono la nostra speranza, più sono piccoli più sono aperti a ogni tipo di ascolto. Sta a noi cercare di fargli fare amicizia con la musica degna di questo nome. Che non solo apre le orecchie alla bellezza ma i cuori alla gioia di stare insieme. È il bello dell’orchestra. Che è una comunità di strumentisti e anche di ascoltatori, perché la musica si completa solo insieme».
Che rapporto ha stabilito con la sua Europe Philharmonic?
«È la mia orchestra, ci vivo in scena e anche fuori. Tutti amici, musicisti dai 20 ai 60 anni che arrivano dall’Europa e anche da fuori. Quando suonano così bene per me è un’iniezione di vita, faccio un pieno di endorfine che mi devono abbattere con il fucile per farmi smettere. Il direttore è solo un amplificatore delle qualità dei suoi musicisti. Il direttore-dittatore non esiste. Nemmeno Karajan lo era».
Se la musica rompe i muri, i politici in questo periodo sembrano alzarne di nuovi
«Abbado è stato il primo a scavalcare assurde divisioni. A Berlino c’era ancora il Muro ma lui già riuniva talenti dell’Est e dell’Ovest nella sua European Community Youth Orchestra. E lo stesso fece con la Mahler Jugendorchester. Il musicista sovranista è un ossimoro, la musica scavalca i confini. Ci aiuta a ragionare, a usare la testa invece della pancia».
L’11 agosto debutterà all’Arena di Verona .
«Con i Carmina Burana di Carl Orff. Composizioni tra le più trascinanti ed evocative, amate dal grande pubblico e quindi guardate con sospetto dai soliti soloni. Ventiquattro brani ispirati a testi poetici medievali. E poi Orff mi è caro perché è stato un grande didatta, inventore di un metodo per far arrivare la musica anche ai bambini sordi. Questo in epoca nazista, quando i portatori di handicap erano imperfezioni da eliminare».
Nei nuovi palinsesti Rai si annuncia una seconda puntata di Che storia è la musica. «Vero, anche se date e contenuti sono ancora da definire. Dopo Beethoven mi piacerebbe una incursione in Ciaikovskij, altro autore che amo moltissimo e vorrei far amare a tutti. O invece potrebbe essere un evento nel periodo natalizio, dedicato alla Festa in musica. A quel Natale che Beethoven detestava e Bach adorava, agli incanti fiabeschi evocati dallo Schiaccianoci di Ciaikovskij, dalle Ninne nanne che sanno di neve di Brahms». Un titolo c’è già: Che storia il Natale.
· Roberto Bolle ed i Ballerini.
"La vita dei ballerini è molto difficile". Roberto Bolle prende le difese del piccolo George. Criticato per la scelta di studiare danza, Roberto Bolle sui social prende posizione contro chi ha deriso il piccolo George, figlio di William e Kate. Carlo Lanna, Lunedì 26/08/2019 su Il Giornale. Terzo in linea di successione al trono d’Inghilterra, il figlio di William e Kate, sta per iniziare la sua formazione scolastica sorretto dai genitori che permettono al royal baby di avere un’istruzione a tutto tondo, che esuli anche dai libri di testo. Il piccolo George infatti studierà danza. Una volta che la notizia è trapelata in rete, l’erde è stato preso di mira da chi non vedrebbe di buon occhio la scelta. In sua difesa arriva persino Roberto Bolle, celebre ballerino e sostenitore di una danza aperta a tutti, sia a uomini che donne. La presa di posizione di Bolle è arrivata dopo la strana reazione avuta in tv da Lara Spencer, giornalista di Good Morning America, la quale ha raccontato in maniera scomposta dell’inclinazione del piccolo George. Molte sono state le reazioni suscitate di fronte al gesto della giornalista, e fra le tante spunta quella del ballerino italiano. In un post che ha pubblicato sul suo profilo instagram, scrive una dura stoccata alla giornalista americana sperando di mettere a tacere l’accesa polemica scoppiata nelle ultime ore. "Vorrei sapere se avete trovato questo video divertente o inappropriato – esordisce Bolle su i social -. La vita di noi ballerini è già molto difficile. Da ballerino di sesso maschile, ho trovato del tutto inappropriato l’intervento di Lara Spencer". Menzionata nel post di Roberto Bolle, la giornalista si scusa pubblicamente per la critica infelice. "Mi scuso per il comportamento insensibile che ho avuto. Il principino può fare tutto quello che desidera".
Bolle: "Tutto il mondo Danza con me. Dalle étoile a Benigni che mi sfiderà". Lo show ideato dal ballerino riparte su Raiuno con i botti di Capodanno. Ferruccio Gattuso, Venerdì 20/12/2019, su Il Giornale. Il suo è il corpo di una statua, recita un luogo comune. Ma le statue trionfano nell'attimo supremo della fissità. Questo sontuoso alieno figlio dell'armonia trionfa invece in movimento. Si chiama Roberto Bolle, è un simbolo d'Italia, e fermo - questa è la verità - non sa stare nemmeno con i pensieri. Né con le ambizioni. «La mia sfida - spiega - è dare un segnale preciso: declinare la danza per tutti i tipi di pubblico, accorciando la distanza tra questo mondo e la gente». Danza con me ne è il perfetto esempio: lo show-evento prodotto da Ballandi e Artedanza, ideato e scritto da Bolle insieme a Pamela Maffioli, torna per la sua terza edizione su Raiuno nella prima serata del nuovo anno. Ai vertici di rete, offre il destro per intonare il peana di «una linea editoriale che offre contenuti e interpreti di alta qualità, cercando di alzare il livello culturale della proposta mantenendoci larghi e popolari, perché Raiuno non può escludere nessuno». La partenza dell'1 gennaio fa il suo effetto, non c'è che dire, perché Roberto Bolle porta nel suo Danza con me, e sono parole sue, «un cast di prima grandezza: ai numeri assoluti di danza dell'800 e '900 accanto a partner come Svetlana Zakharova, étoile della Scala e del Bolshoi, e Anna Tsygankova del Dutch National Ballet, affianco duetti all'insegna dell'ironia e della leggerezza con alcuni dei personaggi più amati dal pubblico italiano, come Alberto Angela, Roberto Benigni (che farà divertire in un tentativo di competizione con me), Andrea Bocelli, Stefano Bollani, Geppi Cucciari e Virginia Raffaele, Luca e Paolo, Nina Zilli, con cui rievocheremo gli anni della Rai in bianco nero dei tempi di Studio 1, Luca Zingaretti, Giampaolo Morelli e perfino i rapper Marracash e Cosmo, con i quali ho coinvolto i giovani dell'Accademia alla Scala». A tutto ciò si aggiunge una grande ambizione: «Affrontare temi importanti come l'ambiente, i migranti, la violenza sulle donne: senza fare politica, cercando piuttosto di suggerire l'importanza della compassione, dell'empatia e della lotta all'indifferenza». Un numero, particolarmente struggente, prende di petto alcune di queste tematiche: Roberto Bolle danza da solo davanti a uno specchio, nel quale entrerà per affrontare, in un duetto con un altro sé stesso, la visione di alcuni dei grandi drammi della nostra epoca. «Il linguaggio più importante - spiega il ballerino, primo al mondo a essere contemporaneamente Étoile del Teatro alla Scala di Milano e Principal Dancer dell'American Ballet Theatre di New York - resta però quello della leggerezza, che è poi quello che ha portato al programma il successo di pubblico di questi anni». L'ultimo commento è un ricordo di chi lo convinse a lanciarsi nel progetto di Danza con me: «Se non fosse per Bibi Ballandi non sarei qui - confida Bolle -. Fu lui il primo ad aver fermamente creduto che io potessi vincere la sfida televisiva. Ero pieno di dubbi e di timori per un mondo che mi era estraneo, e invece aveva ragione lui».
· L'inno più dissacrante dell'Italia cialtrona.
L'inno più dissacrante dell'Italia cialtrona ma sul tetto del mondo. Paolo Giordano, Mercoledì 04/09/2019, su Il Giornale. In fondo che cos'è un tormentone? È la foto più vera e crudele di una parte di noi. C'è qualcosa di più vero di Siamo una squadra fortissimi? Quello di Checco Zalone è un tormentone «prêt-à-porter», nel senso che è stato pubblicato nel 2006 ma sarebbe stato perfetto anche 30 anni prima o 30 anni dopo, tanto noi siamo (anche) quella roba lì, visionari e cialtroni, modaioli ma tradizionalisti e perfetti conoscitori dello sport più praticato del mondo, quello del quale ciascuno stabilisce le regole che vuole. Da quando sono nati, all'inizio degli anni Sessanta, i tormentoni hanno intercettato l'evoluzione degli italiani e dell'italianità, dal sapore di sale di chi iniziava a conoscere le vacanze al mare fino al Vespino dei Lùnapop sul quale sono salite due generazioni di liceali. Un processo graduale, inevitabile ma imprevedibile anno dopo anno, decennio dopo decennio. Invece Siamo una squadra fortissimi è implacabile. È la declinazione musicale dei film di Alberto Sordi mescolati con la commedia all'italiana, della furbizia di Amici miei con Il Processo del Lunedì e dei film di Totò con l'eterno neorealismo di Monicelli. «Siamo una squadra fortissimi, fatta di gente fantastici e nun potimm' perde e fa figur' e mmerd', perché noi siamo bravissimi e super quotatissimi e, se finiamo nel balatro, la colpa è solo dell'albitro». Checco Zalone, che non era ancora il salvatore del cinema italiano ma si capiva che lo sarebbe diventato, si è inventato questo brano che è partito come sigla radiofonica del programma «Deejay Football Club - Speciale Mondiali» che Ivan Zazzaroni conduceva su Radio Deejay. Pubblicato come singolo, è stato al primo posto della classifica dal 14 luglio fino al 17 agosto. D'accordo, l'Italia aveva vinto i Mondiali di calcio a Berlino battendo in finale la Francia ai rigori e, quindi, senza saperlo Siamo una squadra fortissimi è diventato un inno persino più del globale popopopo mutuato da un brano rock dei White Stripes che i Mondiali manco sapevano cosa fossero. Checco Zalone ha messo in note il dizionario di un'Italia fanfarona e irresistibile e ci ha regalato la possibilità di riconoscerla in ogni campo, mica solo quello del pallone. «Stoppi la palla al volo, come ti ha imparato tanto tempo fa quando giocavi invece di andare a scuola, quanti sgridi ti prendevi da papà» è una caporetto grammaticale che parodizza tanti aspetti della vita pubblica italiana. Una volta a parlare così erano soprattutto i calciatori al 90esimo Minuto di Paolo Valenti, magari dopo aver segnato il primo gol in A dopo una carriera nata in qualche paesino sperduto. Adesso, ahimè, questi strafalcioni sono anche ai piani alti, o altissimi, magari anche a Palazzo Chigi. Dopotutto, ci sono ministri o senatori, da Razzi a DiMaio, che parlano uno «zalonese» stretto nonostante debbano confrontarsi con problemi di gravità planetaria. Ed è difficile non trovare tracce dell'enfasi di Checco Zalone in quel «il 2019 sarà un anno bellissimo» che l'ex e quasi neo premier Giuseppe Conte ha pronunciato pochi mesi fa. E chissenefrega se il 2019 è stato finora tutt'altro che bellissimo e l'Italia stia affrontando la crisi di governo più pazza della propria storia repubblicana: conta il messaggio, lo slogan, «l'impatto» dell'annuncio. «Cornuti siamo vittimi dell'albitrarità a noi contraria, ecco che noi cerchiamo di difenderci da queste inequità così palese» canta Zalone ma al suo posto ci potrebbero essere tanti altri. Come conferma anche Cetto Laqualunque, ossia la feroce maschera del politico italiano creata da Antonio Albanese, l'importante è parlare, annunciare, rivendicare. Anche per questo, il pezzo di Checco Zalone è diventato il vero tormentone dell'estate 2006, nonostante tanti altri brani si fossero candidati al ruolo più ambito dal pop estivo. Siamo una squadra fortissimi parla alla parte inconfessabile dell'italianità eppure percepita da tutti, anche da chi non la pratica. D'altronde, il momento era quello giusto. C'era il tormento di un'epoca che non sapeva dove andare. Saddam Hussein ha appena detto di preferire la fucilazione all'impiccagione. Osama bin Laden continua a minacciare l'Occidente. Bush parla spesso con la Merkel, l'unico primo ministro sopravvissuto fino a oggi di quel tempo politico. Berlusconi fa un discorso al Congresso degli Stati Uniti riunito in seduta plenaria e, subito dopo le elezioni di aprile, viene arrestato Bernardo Provenzano dopo 43 anni di latitanza. A maggio inizia «Calciopoli» che costerà due scudetti alla Juventus e la credibilità a tutto il calcio italiano, esattamente come avvenne nel 1982, quando gli azzurri di Bearzot vinsero il Mundial pochi mesi dopo gli arresti (addirittura negli stadi a partite in corso) degli scommettitori più scatenati. Dire «Calciopoli» nell'immaginario collettivo significa dire Moggi. «Grande Luciano Moggi, dacci tanti orologgi agli albitri internazionali, si no co' 'O cazz' che vinciamo i Mondiali» canta Zalone con la libertà che soltanto un comico, in Italia, può permettersi. Si elegge Giorgio Napolitano al posto di Ciampi, e il muro di Berlino cade anche al Quirinale. Benedetto XVI fa arrabbiare molto i musulmani con il discorso di Ratisbona e L'urlo di Munch viene ritrovato dopo due anni dal furto. Insomma, il 2006 è un «anno incubatrice». Contiene i germi del populismo che stava fiorendo sottopelle, per lo più incompreso dalla classe politica. Non a caso, il «Vaffa Day» di Beppe Grillo del 2007 era ancora considerato un evento folcloristico destinato a non lasciare traccia nella vita politica italiana. E invece. Oggi, 12 anni dopo, gli urlatori più stentorei di quei «vaffa day» si stanno giocando il governo italiano per la seconda volta consecutiva a dimostrazione che molto spesso il pop e i commedianti arrivano prima dei migliori analisti politici o economici. In quel 2006 Checco Zalone, ossia il pugliese Luca Medici, era ancora uno dei talenti più cristallini di Zelig, quello più capace di mettere in pratica la lezione della grande comicità italiana: parlare di ciò che siamo e ridere di ciò che vorremmo essere. Siamo una squadra fortissimi è la conferma che si può cristallizzare un tipo italiano e scommettere che si riproporrà identico nel futuro. I versi di questo brano ce l'hanno fatta e, fateci caso, saranno attuali anche tra dieci o cento anni.
· Canzoni stralunate.
Canzoni stralunate, la luna nella musica italiana. Germana Consalvi il 4 luglio 2019 su Il Dubbio. Da Buscaglione a Mina, da Nilla Pizzi a Baglioni, Battiato, Caparezza e Jovanotti, la nostra sorella celeste è l’invitata d’onore della musica italiana.
Canzoni stralunate. Il countdown mondiale sta per iniziare e l’intero globo potrà accompagnarlo con un adeguato sostegno musicale. Proprio così, perché a 50 anni dalla storica missione Apollo 11 che segnò lo sbarco dell’uomo sulla Luna, la Nasa ha chiamato a raccolta via Twitter tutti i follower interessati a proporre la propria canzone preferita, nell’ambito di un maxi elenco fornito dalla Nasa, per creare una playlist “lunare” che potrebbe essere la colonna sonora della prossima missione sul suolo lunare, prevista nel 2024. Sarà l’emittente della Nasa, Third Rock Radio, a scegliere le canzoni della playlist che sarà trasmessa il 13 e il 14 luglio prossimi, a pochi giorni dall’anniversario della straordinaria impresa dell’Apollo 11 con gli astronauti Neil Armstrong, Edwin “Buzz” Aldrin e Michael Collins, che il 20 luglio del 1969 fu seguita sul piccolo schermo da circa un miliardo di telespettatori, rapiti da un evento che pareva fantascienza, all’epoca. Una selezione è d’obbligo perché forse neanche la Luna ce la farebbe a contenere l’infinito e inesauribile patrimonio musicale che da sempre ispira. Basti pensare alla ricca produzione italiana. Apollo 11 era ancora roba dell’altro mondo quando nel 1950 il Belpaese dei poveri ma belli e soprattutto pieni di voglia di fare, sfreccia in Vespa e in Lambretta e si innamora follemente della napoletanissima Luna Rossa.
La canzone piace a tutti eppure il messaggio è perdente, protagonista un uomo sconfitto in amore, abbandonato, che spera ancora che lei torni ma ci pensa la luna a dargli il definitivo colpo di grazia a suon di «Ccà nun ce sta nisciuna…». Le parole sono di Vincenzo De Crescenzo, la musica di Antonio Viscione in arte Vian, gli interpreti non si contano: il primo fu Giorgio Consolini, per Claudio Villa fu un gigantesco successo a 78 giri, ma a cantare Luna Rossa si sono cimentati anche, tanto per citare, Nilla Pizzi, Renato Carosone, Frank Sinatra, Tullio Pane, Sergio Bruni, Dean Martin, Peter Van Wood, Gabriella Ferri, Roberto Murolo, Peppino Di Capri, Massimo Ranieri, Caetano Veloso e Renzo Arbore che la rappresenta sui palcoscenici internazionali con l’Orchestra Italiana da oltre vent’anni.
Nel 1952 Un bacio a mezzanotte, musica di Gorni Kramer e parole di Garinei e Giovannini, in teoria esorterebbe alla virtù: ma il Quartetto Cetra la canta in modo così scanzonato e malandrino al ritmo di «Non ti fidar di un bacio a mezzanotte, se c’è la luna non ti fidar, perché perché la luna a mezzanotte riesce sempre a farti innamorar», e poi, con tutte quelle «stelle galeotte che invitano a volersi amar», secondo voi, come finirà?
Canta Napoli, e nel ’ 53 fa ancora centro con Luna caprese, tra panorami e pene d’amore il cui aedo per eccellenza è Peppino Di Capri. Sei anni più tardi, nel 1959, Fred Buscaglione spiazza tutti con Guarda che luna, meno swing e meno adrenalina rispetto alle sue creazioni: infatti non è opera sua, ma non per questo meno gradita e infatti fa furore. Il ritornello recita «guarda che luna, guarda che mare, in questa notte senza te vorrei morire, perché son solo a ricordare e vorrei poterti dire guarda che luna, guarda che mare». Parole tristemente profetiche: l’artista muore un anno dopo in un incidente stradale con la sua Thunderbird.
Ma la sua canzone rivive anche nelle versioni di Pavarotti e Irene Grandi nel 2000 e di Emma Marrone nel 2012. L’Italia del boom economico archivia la vocazione rurale per convertirsi all’industria del Nord, alle sue icone ( come Adriano Olivetti) e ai più comodi standard metropolitani, al bar e in casa la tv già da qualche anno è calamita nazionale, la Seicento e la Cinquecento si comprano a rate, nessuna famiglia fa a meno del frigorifero.
Con Mina nel 1960 la luna si prende una pausa rock in amore: in Tintarella di luna il satellite più vicino alla Terra fa “sentire” a suon di «tin tin tin» i raggi di luna sulla pelle, e intanto si festeggia l’oro di Berruti alle Olimpiadi romane e la Dolce Vita immortalata da Fellini. Mentre nel 1962 il travolgente Domenico Modugno con Selene conquista anche il pubblico russo al ritmo di «Selene- ene ah, come è facile ballar, Selene- ah, è un mistero non si sa, il peso sulla luna è la metà della metà». Nel 2010 la ripropongono anche Morgan e Simone Cristicchi.
Si è spento il sole è un successo del 1962 per Adriano Celentano, non così per il lato b del 45 giri, dal titolo La mezza luna. Nello stesso anno sempre lei gioca un ruolo speciale in Roma nun fa’ la stupida stasera, canzone scritta da Garinei, Giovannini e Trovajoli per il musical Rugantino in scena al teatro Sistina: la canta Nino Manfredi e chiunque avverte l’effervescenza complice di quel verso «e un friccico de luna tutta pe’ noi». Luna sacra nel 1972 per Fratello Sole Sorella Luna, canzone tratta dal Cantico delle creature di San Francesco e composta da Jean Marie Benjamin su musica di Riz Ortolani per l’omonimo film di Franco Zeffirelli. A cantarla è un giovanissimo Claudio Baglioni. Sono anni di rivolta, l’Italia giovane della contestazione studentesca iniziata nel ’ 68 indossa l’eskimo. Ma la luna si celebra in musica anche durante gli Anni di piombo. E se qualcuno avesse dei dubbi sulla natura femminile del satellite, nel 1977 ci pensa Alan Sorrenti a chiarire definitivamente la questione con Donna Luna, brano su una notte gaudente che fa parte dell’album Figli delle stelle.
Il 1979, musicalmente parlando, è l’anno della luna, e forse non è un caso a dieci anni dalla missione Apollo 11. E la luna bussò di Loredana Bertè fa ballare e cantare il reggae a tutta Italia, pur accendendo i riflettori sull’emarginazione di cui è protagonista la povera luna, rifiutata ovunque ( «e allora giù, quasi per caso, più vicino ai marciapiedi, dove è vero quel che vedi… e allora giù, fra stracci e amore, dove è lusso la fortuna, c’è bisogno della luna» ).
Ne ha cantati e contati sette di “prototipi” lunari tra poesia e affreschi di varia umanità, Lucio Dalla ne L’ultima luna ( «L’ultima luna la vide solo un bimbo appena nato, aveva occhi tondi e neri e fondi, e non piangeva, con grandi ali prese la luna tra le mani, e volò via e volò via era l’uomo di domani» ).
Mentre il dolce sound di Raggio di luna dei Matia Bazar ha fatto nascere amori a feste e in discoteca, la Luna Indiana di Franco Battiato punta molto sulla suggestione della musica, d’altro canto per lui è L’era del cinghiale bianco.
Fermi tutti, è il 1980 e gli italiani ascoltano la musica con le cuffiette e il walkman ma sotto sotto sognano un grande futuro da yuppie. «E guardo il mondo da un oblò, mi annoio un po’», canta l’Italia in coro: è l’estate di Luna di Gianni Togni, e il verso dell’oblò non è ispirato goliardicamente a una lavatrice ma ad un clochard vero che passava le notti in stazione e osservava la vita metropolitana. Nello stesso anno torna Lucio Dalla con Il parco della luna: «Sono più di cent’anni che al parco della luna, arriva Sonni Boi coi cavalli di legno e la sua donna Fortuna» ( nel 2014, in omaggio al grande artista, Fiorella Mannoia ne ha proposto una versione intensa accompagnata da violini ).
La febbre del ritmo nel 1984 contagia gli italiani e supera pure i confini sulle note di Kalìmba de Luna, italianissima hit dal testo inglese con la quale trionfa il percussionista Tony Esposito ( voce di Gianluigi Di Franco), tra i fan più più entusiasti c’è Maradona che la usa come colonna Sonora dei suoi palleggi. Si canta e si esplora internet, perché inizia l’era del Macintosh, e si gioca con Tetris.
Mango propone Mi sembra Luna nel 1986 e il suo stile sembra far risaltare il mondo speziato mediterraneo, un anno dopo Non voglio mica la luna lancia Fiordaliso nel firmamento pop. Ritmo serrato e linguaggio senza filtri per Zucchero ne La tortura della Luna nel 1989 ( «il mare impetuoso al tramonto salì sulla luna e dietro una tendina di stelle…» ), mentre Edoardo Bennato in La luna, omaggia gli eroi dell’Apollo 11: «Il giorno che ( Neil) sbarcò sulla luna, tutti dissero che era un giorno speciale…».
Sempre nel 1989, si balla sulle note frizzanti di Eros Ramazzotti in Dammi la luna, si fantastica con Ha tanti cieli la luna di Renato Zero ( riproposta da Mina nel 2010), e si raccoglie l’invito a parlar chiaro del “Komandante” Vasco Rossi in Dillo alla Luna.
Nel 1990, tra notti magiche inseguendo gol mondiali, il Tamagotchi, le ragazze di Non è la Rai e il karaoke, Claudio Baglioni canta Acqua dalla luna: non è una canzone, è un incantesimo ( «se sapessi un dì innamorarmi di quelli che non ama nessuno, se potessi portarli lì dove il vento dorme se crescesse acqua dalla luna» ) che l’artista romano ha riproposto in modo spettacolare anche all’ultimo Festival di Sanremo.
Sullo stesso palco nel 1991 entusiasma Spunta la luna dal monte cantata da Pierangelo Bertoli e dai Tazenda: il brano è la versione italiana di Disamparados, cioè disadattati, e trasmette la forza della gente sarda e della luna aspra che appare dietro alle montagne. Sempre a Sanremo, nel 1997, Loredana Bertè presenta Luna: più che una canzone, di cui è anche autrice, un toccante diario con pensieri personali dolorosamente sinceri ( «Da quanto tempo luna, ho perso la misura? Ho seppellito pure il cuore. E che fine ho fatto anch’io? Mi sono detta: addio, addio» ).
Che ritmo poi Caparezza, in Vengo dalla luna, datata 2003 ma di impressionante attualità in tema di razzismo e con riferimenti allo storico allunaggio. La Terra vista dalla Luna è firmata Tiromancino nel 2004 ed evoca stelle e necessità di alleggerirsi , mentre Francesco Renga propone il rock avvincente di Meravigliosa ( la luna) che suggella l’amore.
Il passo successivo? E’ Il primo bacio sulla luna che Cesare Cremonini, ex frontman dei Lùnapop, canta nel 2008 spiegando che «la terra dalla luna è così bella è così tonda, sembra proprio un souvenir». Trattasi di “furto” ma non di reato la canzone dei Negramaro E ruberò per te la Luna.Una dedica d’amore coinvolge il satellite nella bellissima Il regalo più grande di Tiziano Ferro: «vorrei donare il tuo sorriso alla luna perché di notte chi la guarda possa pensare a te». Il senso della sconfitta ai tempi del rap è protagonista di Luna di Fabri Fibra in collaborazione con Mahmood, nel 2017, altre sonorità e un viaggio ad Asmara portano a Chiaro di luna di Jovanotti. Il quale, lo scorso marzo, assieme a Tommaso Paradiso e Calcutta, ovvero il trio Barbooodos, lancia La luna e la gatta. Né trap, né rap: è un omaggio rock all’allunaggio quello di Achille Lauro nel ritmatissimo 1969, in cui assicura «sto sulla luna, yeah». Chi potrebbe mai smentirlo?
· Da Prince a Zucchero, le accuse di plagio più clamorose nella musica italiana.
Irama e Nera: una hit copiata da un ragazzo? Le Iene il 16 dicembre 2019. Domenico Di Puorto ci ha detto di aver inviato una sua canzone molto simile al management di Irama tre mesi prima dell’uscita di Nera. Nicolò De Devitiis ha deciso di far incontrare i due, ma il dubbio non è ancora stato sciolto. Può essere che la hit di Irama “Nera” sia frutto di un plagio? Abbiamo ricevuto una mail in redazione con un file audio, una canzone che si intitola “Fuori tutto brilla” di Domenico Di Puorto e a un primo ascolto sembra assomigliare molto a quella di Irama. Il ragazzo sostiene di aver inviato via email il suo brano alla Newco Management tre mesi prima dell’uscita di Nera. Lo facciamo allora incontrare con Irama per capire se si tratti di un equivoco o meno. “Volevo fare un tormentone”, dice Domenico, “allora ho mandato a loro un link dove poter sentire il mio album”. La risposta è che purtroppo non è possibile seguirlo, senza nessuna valutazione sulla musica. Guardando la tv il ragazzo, che ha solo 19 anni, scopre però la hit di Irama. Decide quindi di rivolgersi a un perito musicale, secondo cui nel ritornello la figurazione musicale sembra quasi identica, "tale da conferire ai brani una somiglianza insindacabile”. La Iena allora decide di far incontrare Domenico e Irama. Dopo un primo rifiuto i due riescono a incontrare Irama, che però davanti alla spiegazione su quanto sta accadendo pensa che si tratti di uno scherzo. A nulla valgono i tentativi di De Devitiis di convincerlo: “Vi dico una cosa importante, devi farti il mazzo e impegnarti tanto”, dice il cantante a Domenico: “Non pensare a fare cavolate, pensa a metterci amore nella musica”. I due si sono più o meno chiariti, ma il dubbio resta: di chi è la paternità di Nera?
Aldo Grasso per “il Corriere della sera” il 18 novembre 2019. Il bello di Fiorello (e dello streaming) è che puoi interrompere quando vuoi, fermarti un attimo, gustarti lo spettacolo come si gusta un gran vino. Hai anche il tempo di scorrazzare per la generalista e fare confronti casuali. In una di queste dissipazioni, su Rai3 c' era Raffaella Carrà che cucinava con Luciana Littizzetto e su Canale 5 c'era Celentano che cantava Pregherò, una canzone madeleine, per dirla alla Jannacci: «Cercavi un docümént de residénsa e mi, m' è vegnü in ment tutta l'infansia». Michele Bovi, in Ladri di canzoni (Hoepli, 2019) ha ricostruito la storia di questa celebre canzone che racconta di un ragazzo che lancia un accorato appello a una coetanea non vedente: se avrai fede nel Signore anche tu riuscirai a vedere. Era la canzone più cantata negli oratori, prima di Azzurro : «Dal castello del silenzio/ Egli vede anche te /E già sento /Che anche tu lo vedrai, lo vedrai». Il fatto è che Pregherò è la versione italiana di Stand by me , la straordinaria canzone di Ben E. King, un canto d' amore di un ragazzo che chiede alla sua ragazza di stargli vicino nella notte: «So darlin', darlin', stand by me, oh stand by me». Allora non sapevamo nulla. Non sapevano nulla, scrive Bovi, quelli del Clan che dissero che Stand by me era una canzone tradizionale di autore anonimo e accreditarono alla Siae solo le firme di Ricky Gianco, Detto Mariano e Don Backy, autore delle parole italiane. Naturalmente, quando gli americani se ne accorsero - è sempre Michele Bovi che ricostruisce queste curiose liti sui diritti d' autore, questi sapidi retroscena musical-giudiziari - pretesero la loro giusta parte di diritti e a rimetterci più di tutti fu Don Backy «unico italiano che aveva aggiunto all' opera il proprio ingegno». Poi si torna a Fiorello, basta schiacciare play. E ci si accorge quanto siano avanti le sue tecniche di mashup e crossover, di mescolare brani e attraversare generi e «rubare» emozioni.
UH LÀ LÀ, “PASSAPAROLA” ERA UN PLAGIO! Saverio Felici per Velvetgossip.it l'8 ottobre 2019. Si è conclusa nella maniera più pesante possibile la causa segreta che negli ultimi tempi ha tenuto impegnati i piani alti di Mediaset in difesa di un proprio programma storico: Passaparola. Il leggendario game show che l’emittente italo-spagnola lanciò negli anni ’90 sarebbe ufficialmente stato condannato per plagio. A reclamarne i diritti è stata l’emittente britannica ITV. Il programma storicamente condotto da Gerry Scotti avrebbe infatti mancato di saldare i diritti di copyright a The Alphabet Game, gioco britannico e “padre” della sua versione italiana. Passaparola in realtà non vai più in onda in Italia da diverso tempo; stessa cosa non può però dirsi della sua versione spagnola Pasapalabra, tutt’oggi show di punta nella programmazione della divisione iberica della rete. Il contenzioso si svolse in merito alla similitudine reale o presunta tra le recenti incarnazioni di Passaparola e lo storico Alphabet Game. Gli autori Mediaset, che i primi anni erano soliti pagare i diritti per l’utilizzo del format, avrebbero smesso di saldare le richieste inglesi a partire dal 2007. A quel punto, secondo il gruppo di proprietà di Silvio Berlusconi, Pasapalabra non avrebbe più avuto nulla in comune con lo show madre. Non è dello stesso avviso la corte che in questi anni ha curato la disputa sulla paternità di Passaparola. Nonostante i cambiamenti interni al programma, il tribunale ha recentemente ufficializzato come dal 2007 il programma sia di fatto sempre rimasto una variazione di Alphabet Game. E il mancato pagamento dei diritti ne ha fatto a tutti gli effetti un caso di plagio. Da qui la condanna, con cifre iperboliche; Mediaset verserà a ITV ben 15 milioni di euro, arretrati per gli ultimi dodici anni di diritti non pagati. A questo segue l’imposizione di eliminare dal palinsesto tutti i giochi in qualche modo ereditati dal vecchio show inglese.
Testo di Michele Bovi per Dagospia l'1 ottobre 2019. Nei prossimi giorni Piero e Paolo Minelli, entrambi generali dell’Aeronautica, citeranno in giudizio gli eredi del principe Antonio De Curtis, in arte Totò, per il plagio di Malafemmena, la popolare canzone scritta dall’artista napoletano. I due alti ufficiali onoreranno così la volontà espressa dalla loro madre, Maria Pia Donati Minelli, scomparsa nel dicembre del 2018, a 98 anni. La signora Maria Pia di plagi se ne intendeva. Insegnante di lettere in una scuola umbra, forte di una straordinaria passione per la musica, è stata una delle prime donne italiane a dedicarsi alla composizione. Medaglia d’oro della SIAE per i cinquant’anni d’iscrizione, partì da lei la vertenza giudiziaria che ha portato all’unica condanna definitiva per plagio nella storia del Festival di Sanremo. Era il 1970, il cantante francese Antoine e Anna Identici interpretarono Taxi, un valzerino allegro firmato da una coppia d’autori all’epoca di gran moda, Mario Panzeri e Daniele Pace. Tre gradi di giudizio, in quattordici anni di processi, hanno dato ragione alla denunciante: Taxi era il plagio della sua Valzer brillante, depositata nel 1948. La signora Donati Minelli fu risarcita nel 1984 con 110 milioni più il saldo delle spese sostenute in tutti quegli anni di cause. Ma Malafemmena restava il suo più profondo cruccio. “Totò l‘ha copiata dalla mia Autunno d’amore, depositata un anno prima e incisa da Claudio Villa con il titolo di Notturno” ha più volte protestato l’autrice senza mai però decidersi ad adire le vie legali. Lo ha fatto dettando ai figli le sue ultime volontà: Totò è scomparso nel 1967, stando alla legge i diritti di Malafemmena scadranno nel 2037, settant’anni dopo la morte. Insomma c’è tempo per stabilire la verità. È soltanto una delle innumerevoli liti che da duecento anni a questa parte scuotono il panorama musicale italiano, rivelate con dettagli inediti ed esclusivi nel libro Ladri di canzoni. 360 pagine di documenti e testimonianze a dimostrazione che il plagio non risparmia nessuno. Da Giuseppe Verdi a Lucio Dalla, da Giacomo Puccini a Claudio Baglioni, da Enrico Caruso a Luciano Pavarotti, da Domenico Modugno a Laura Pausini, da Adriano Celentano a Eros Ramazzotti, da Jovanotti ai Modà non c’è celebre artista nella storia della musica italiana che non abbia avuto noie con la giustizia a causa del proprio lavoro e di presunte somiglianze con realizzazioni preesistenti. Come dire che il più rinomato dei processi italiani per plagio, quello tra Al Bano e Michael Jackson è stato soltanto la punta di un iceberg di impressionanti dimensioni. Migliaia di citazioni in giudizio protette dal massimo riserbo e definitivamente tacitate da transazioni milionarie hanno bersagliato le 69 edizioni del Festival di Sanremo, senza esentare i cantanti e gli autori più famosi e i motivi più premiati dalla hit parade del pop nazionale. Ma in generale i più acclamati compositori, i più famosi parolieri, i maggiori editori e discografici hanno avuto a che fare con la carta bollata. Con casi limite strabilianti, come quello che coinvolse nel 1996 Giovanni Paolo II. Nel corso di una pubblica udienza papa Karol Wojtyla aveva modulato una frase con una soavità tale da farla somigliare a un motivo musicale. Così al disc-jockey e produttore discografico Joe T Vannelli, in quell’anno al vertice della hit parade mondiale con il brano Children (5 milioni di copie vendute) venne l’idea di creare un brano strumentale con la voce del pontefice in sottofondo. La proposta sembrò inizialmente piacere alla direzione di Radio Vaticana che detiene l’esclusivo diritto di esecuzione della voce del Santo Padre, tanto da indurre Vannelli a stampare cinquecento cd della canzone intitolata Forgive Us (Perdonaci). La trattativa però non andò a buon fine. Per recuperare le spese il disc-jckey si dette da fare per smerciare con discrezione le copie pubblicate, eludendo i canali ufficiali. Trattandosi di faccende riguardanti il leader della Chiesa, il diavolo non poté fare a meno di infilarvi la coda. E così la prima serata di metà luglio di Canale 5 dedicata a una fascinosa sfilata di moda in diretta su Piazza di Spagna si trasformò in un caso diplomatico e giudiziario con la Santa Sede. Un assistente musicale del programma tv usò come sottofondo della passerella delle indossatrici il brano di Vannelli con la voce di Giovanni Paolo II. Il Vaticano reagì con la richiesta di un provvedimento d'urgenza. Nell'udienza fissata il 4 agosto nel torrido palazzo di giustizia milanese a difendere l'immagine (e la voce) del papa si presentarono l'avvocato Eugenio Pacelli, omonimo e nipote di un altro pontefice, Pio XII, e l'avvocato Alberto Pojaghi, esperto di diritto d'autore. Ad assistere Vannelli era l’avvocato Fulvio Fiore, altro specialista in cause per plagio, subito stoppato dal giudice Paola Gandolfi con un perentorio: “Non esageriamo avvocato, il papa no!” . La contraffazione costò a Vannelli un risarcimento di venti milioni e il macero dei cd rimasti: per ogni copia eventualmente rintracciata in circolazione l'artista avrebbe dovuto indennizzare la controparte di un milione di lire. L’invocazione nel titolo Forgive Us (Perdonaci) non venne presa in considerazione: davanti a un soggetto di tale caratura non ci sono santi che tengano. Neanche San Remo.
Da tgcom24 mediaset il 23 settembre 2019. Il 23 settembre i Led Zeppelin tornano in tribunale per difendersi dall’ennesima accusa di plagio per “Stairway to Heaven”, il loro singolo più iconico. Secondo un giudice americano, tra la celebre canzone e “Taurus”, un pezzo strumentale della band Spirit, ci sarebbero somiglianze sufficienti per portare il caso di fronte alla Corte d’Appello di San Francisco. Nel 2016, Robert Plant e Jimmy Page, cantante e chitarrista dei Led Zeppelin, si erano già presentati in tribunale per lo stesso motivo, ma erano stati assolti. I precedenti - Tutto è partito, anni fa, dall’accusa di plagio presentata da Michael Skidmore, amministratore fiduciario di Randy Wolfe, ultimo chitarrista degli Spirit, che da sempre rivendicava i diritti d’autore della canzone. Secondo la versione di Skidmore, i Led Zeppelin avrebbero copiato il riff di chitarra di “Taurus”, dopo averla sentita suonare durante un tour nel 1968. Page e Plant hanno sempre negato questa versione della storia, affermando invece di aver scritto "Stairway to Heaven" in un cottage del Galles, interamente di loro pugno. Nel 2016, i giurati presenti in tribunale avevano deciso che il singolo non infrangeva nessun copyright, ma ora i Led Zeppelin si devono presentare di nuovo a processo, poiché sarebbero stati scoperti alcuni errori nella gestione della giuria precedente. Il verdetto potrebbe cambiare le leggi sul copyright negli Stati Uniti - Al di là della querelle tra le due band, il nuovo verdetto potrebbe avere implicazioni sulle attuali leggi sul copyright negli Stati Uniti. “Sarà necessario stabilire quanta creatività è necessaria per dare vita a qualcosa di tutelabile”, ha affermato Wesley Lewis, avvocato specializzato in copyright. “Nella musica, potrebbe essere una scala cromatica. Ma ci sono analogie di tutti i tipi. Per esempio, una linea di codice di un software è protetta dal copyright? In una coreografia, quali sono i passi tutelati? Questo procedimento è fondamentale per fare chiarezza”.
Da Prince a Zucchero, le accuse di plagio più clamorose nella musica italiana. Pubblicato venerdì, 13 settembre 2019 da Arianna Ascione su Corriere.it.
Michael Jackson che copia Al Bano. «Eppure mi ricorda qualcosa»: capita spesso, ascoltando un brano, di riconoscere fonti di ispirazione, citazioni, sonorità già sentite. In alcuni casi però la somiglianza tra due canzoni, messe a confronto, è così marcata che si arriva a parlare di vero e proprio plagio e se l'artista coinvolto rigetta le accuse (oppure se non si riesce a trovare un accordo tra le parti) si finisce a dibattere la questione in un'aula di tribunale. Il caso di Biagio Antonacci, che secondo il musicista Lenny De Luca in «Mio fratello» si sarebbe un po' troppo ispirato ad un suo brano («Sogno d’amore»), è soltanto l'ultimo in ordine di tempo. La controversia più clamorosa è sicuramente quella che ha visto protagonisti Albano Carrisi e Michael Jackson: il re del pop, accusato di aver copiato «I Cigni di Bakala» (1987) in «Will You Be There» (1993) venne in prima battuta condannato a pagare una multa. Poi una sentenza successiva stabilì che i due (anche se Al Bano ha sempre smentito) avevano preso come fonte di ispirazione un brano senza diritti, «Bless You For Being An Angel» degli Ink Spots (1939), che a sua volta riprendeva una melodia tradizionale dei Nativi Americani. Nessun plagio quindi anzi, per così dire, una citazione della citazione (della citazione).
Francesco De Gregori - Luigi Albertelli ed Enrico Riccardi. A causa della frase iniziale del brano «Prendi questa mano zingara» (contenuto in «Prendere o lasciare» del 1996) Francesco De Gregori è stato trascinato in tribunale da Luigi Albertelli ed Enrico Riccardi ovvero gli autori di «Zingara», la canzone vincitrice del Festival di Sanremo 1969 portata al successo da Iva Zanicchi. Nel 2015 però, al termine di una causa durata anni, la Cassazione riconobbe l'incipit come semplice citazione e non plagio (in primo grado era stato impedito a De Gregori di cantare in pubblico il pezzo, sentenza poi ribaltata in appello), anche perché il resto del testo e la musica erano molto diversi dall'originale.
Prince - Bruno Bergonzi e Michele Vicino. Ci sono voluti quasi 20 anni per arrivare ad una sentenza definitiva, ma alla fine Bruno Bergonzi e Michele Vicino (autori di «Takin' Me To Paradise») ce l'hanno fatta: nel 2015 Prince è stato riconosciuto dalla Cassazione colpevole di plagio per la canzone «The Most Beautiful Girl in the World» pubblicata nel 1994 nell'album «The Gold Experience».
Luis Bacalov - Sergio Endrigo. Per aver scritto la colonna sonora de «Il postino» (il film del 1994 con Massimo Troisi e Philippe Noiret) il compositore argentino Luis Bacalov nel 1996 fu premiato con un Oscar. Peccato che il tema della pellicola fosse del tutto simile ad una canzone del 1974 di Sergio Endrigo e Riccardo Del Turco, «Nelle mie notti». Al termine di un lungo contenzioso Bacalov riconobbe solo nel 2013 la co-paternità del brano al cantautore di «Io che amo solo te», a Del Turco e al paroliere Paolo Margheri.
Zucchero - Michele Pecora - Albert One. Nella sua carriera Zucchero ha dovuto affrontare ben due accuse di plagio: in principio fu Michele Pecora, che nel 1998 notò alcune somiglianze tra la sua «Era lei» (1979) e «Blu» (1998). Della vicenda si occupò per lungo tempo anche «Striscia la notizia», ma nel 2006 Fornaciari fu prosciolto da ogni addebito. Nel 2014 invece il dj e produttore italiano Albert One sostenne che il ritornello del brano «Quale senso abbiamo noi» era molto simile a quello della sua «Sunshine». Anche in questo caso le accuse si dimostrarono infondate.
Nek - Gianni Bella. Non esiste Festival di Sanremo senza polemiche legate a presunti plagi: molto prima del caso Meta-Moro (vincitori nel 2018 con «Non mi avete fatto niente», canzone accusata di essere somigliante ad un'altra presentata a Sanremo Giovani nel 2016, «Silenzio», dello stesso autore della prima, Andrea Febo) c'era stato Nek, citato in giudizio da Gianni Bella. Quest'ultimo sosteneva che «Laura non c'è» (presentata in gara nel 1997) fosse un plagio di «Più ci penso» (1974). La questione si è chiusa con un nulla di fatto: a distanza di anni la sorella di Gianni, Marcella, ha rivelato nel 2015 a Chi che i due avevano fatto pace. Anche se non si è risparmiata una frecciatina: «Vogliamo parlare di Nek? Aveva un pezzo orecchiabile (Fatti avanti amore ndr), ma lui ama ascoltare cose fatte da altri e poi farle sue».
· Zucchero. Questa Italia non mi piace.
Questa Italia non mi piace. Pubblicato venerdì, 08 novembre 2019 da Corriere.it. «Basta con i doppi sensi da bar e osteria. In questo disco c’è un ritorno all’impegno civile che rispecchia la mia vita privata e alla genuinità». Zucchero presenta così lo spirito del suo nuovo album «D.O.C.». «Vittime del cool» se la prende con la scarsa autenticità che vede, con il fatto che nessuno «sembri com’è».
Colpa dei social?
«Non solo... Vedo ovunque gente che si atteggia da star. Non ne vedo il bisogno. Sarà un pensiero romantico, ma vorrei che la gente si manifestasse per come è veramente. Questo mi intristisce. Vedo politici con bracciali, collane, anelli su tutte le dita, come se fossero delle rockstar. Mi viene voglia di mettermi la giacca...».
A proposito di politici, in «Badaboom (Bel Paese)» si rivolge a un disastro, un poco di buono che si mangia tutto... Conte? Salvini? Zingaretti? A chi è diretto il «non ti perdono»?
«Siamo il Bel Paese per quello che ha fatto chi è venuto prima di noi e ci ha dato cultura, arte, buon cibo... Ce l’ho con i governi ma non solo gli ultimi. Faccio ironia e sarcasmo su quello che vedo, le macchinazioni di palazzo, la corruzione, Mafia capitale, le coltellate alla schiena, i politici che si insultano in tv. Siamo una pentola in ebollizione e spero non scoppi veramente il badaboom del titolo».
I tempi sospettosi sono anche quelli della scorta a Liliana Segre e dei buu ai calciatori di colore?
«Ho sempre suonato con musicisti di colore. È impensabile e ingiustificabile offendere qualcuno per la razza. Come è assurdo che ci siano reminiscenze fasciste o naziste: è una storia da bruciare, seppellire e dimenticare».
Non le viene voglia di scrivere una canzone su questo?
«Il mio mestiere è trasmettere sentimenti e vibrazioni, non parlare di politica. Qualche volta l’ho fatto, ma ho la sensazione che non venga recepito. Live Aid, concerti per la cancellazione del debito dei Paesi emergenti... ho partecipato a molti di questi eventi ma poi non è successo nulla».
Pessimista?
«I tempi che stiamo attraversando non sono goliardici e sereni. Sono preoccupato. Però mi sono accorto che in ogni canzone c’era una luce, un inizio di redenzione».
«Tempo al tempo», scritta con De Gregori, recita «così in cielo come dai noi/ sai che ti sto cercando»... La conversione di Zucchero?
«Ho messo in dubbio qualcosa del mio essere un ateo incallito. Non parlo del Dio dei cristiani, ma di qualcosa di più grande, che potrebbe anche essere lo spirito di mia nonna. Non sono ancora al “pentiti peccatore” ma al “non si mai” sono arrivato».
Il disco si chiama «D.O.C.». Come lo ha scelto?
«La scelta del titolo mi ha fatto tribolare. Ho pensato di chiamarlo “Suspicious Times”, tempi sospettosi proprio per il momento che stiamo vivendo. Poi ho pensato di non dare nessun titolo. E il giorno prima di stampare il disco, con i contadini della mia fattoria si parlava di coltivazioni bio, di denominazione di origine controllata e mi è venuto Doc. È una parola che va bene in tutto il mondo. E poi vuole anche dire disturbo ossessivo compulsivo, che, ironicamente, mi rappresenta. E rappresenta il disco, genuino come mi sento io». Nei suoni, a partire dal singolo «Freedom» scritta Rag’n’Bone Man, ha cercato nuove strade. Che percorso ha fatto? «Non volevo che questo disco suonasse come un seguito del precedente. La musica è cambiata velocemente, ho cercato di capire perché facendo ricerche sui nuovi suoni. Con il produttore Don Was (Rolling Stones, Dylan e altri ndr) abbiamo fatto la parte organica del disco, quindi abbiamo invitato giovani produttori che hanno lavorato a successi internazionali per inserire dell’elettronica calda. Mi sono rinnovato rimanendo me stesso». Nell’aprile del 2020 parte il tour mondiale dall’Australia. In Italia arriverà a settembre con 12 date all’Arena di Verona, ormai la sua seconda casa...«Quando nel 1990 Clapton mi volle come supporter per 12 date alla royal Albert Hall di Londra mi chiesi perchè avesse deciso di suonare solo in quella location. la risposta è che se la tua musica si sposa bene alla bellezza del posto, se si sente bene il suono, ne discende un vantaggio per l’artista e per il pubblico. Per l’anno prossimo saranno le uniche date in Italia, ma nel 2011 suonerò in altre città».
Zucchero Fornaciari: «La campagna mi ha salvato dalla depressione». Pubblicato giovedì, 05 dicembre 2019 su Corriere.it da Andrea Laffranchi. Il cantautore racconta la sua vita nella fattoria in Lunigiana: «Quando non ho idee vado in cortile a guardare le galline». Zucchero Fornaciari, 64 anni, nella sua casa-fattoria “Lunisiana Soul”, a Pontremoli, in provincia di Massa Carrara (foto Daniele Barraco)Dall’antipasto al dolce. Il menu di casa Fornaciari è tutto a chilometro zero. Giardiniera di barbabietole rosse, zucca piccante sott’olio, frittata al forno con verdure di stagione, uova di quaglia al burro di bufala, la torta d’erbi tipica della zona, penne con pomodorini secchi, formaggi di mucca e capra, prosciutto e salame, pane e focaccia, crostata con marmellata di fichi. E da bere un Chocabeck (omaggio al titolo di un suo album del 2011) rosato. Tutto quello che passa sulla tavola di Zucchero e della sua famiglia viene dalla casafattoria di Pontremoli. «Non rubo niente, prendo in prestito dalla natura». A “Lunisiana Soul” - un po’ Lunigiana, la regione di confine fra Toscana e Liguria, un po’ Louisiana che con la capitale New Orleans è stata la culla del jazz e del blues - si accede da un cancello su uno stradone anonimo. Passato l’ingresso si è immersi nella natura: viti a sinistra e ulivi a destra. Si scende in una vallata verde attraversando un arco sorretto dalle scenografie di un vecchio tour, e si arriva alla casa di famiglia: un mulino restaurato in stile fiabesco e circondato da prati e campi. Uno dei caselli ottagonali per la stagionatura del formaggio è diventato una dépendance, dentro a una serra c’è un autobus americano riadattato con bar e camera da letto. Fra i prati e i campi coltivati ci sono le stalle e i recinti per gli animali: mucche, cavalli, bufali, pecore, capre, maiali, conigli, galline, tacchini, persino i cerbiatti e un laghetto per i pesci d’acqua dolce. Cani e gatti girano per la casa. L’ultimo arrivato è Otis, in onore del soul man Redding, un pappagallo cinerino che svolazza in salotto mettendo a rischio le centinaia di fogliettini ritagliati su cui Zucchero appunta idee, pensieri e promemoria. In fondo alla proprietà, appoggiata a una piscina di acqua naturale portata dai canali che alimentavano il mulino, c’è la House of blues, lo studio di registrazione dove sono nate le canzoni di D.O.C., l’ultimo album di Zucchero.
Il vero chilometro zero, siamo al limite dell’autarchia...
«Non lavoro io nei campi, ma ogni settimana faccio una riunione con i contadini. Abbiamo tutto quello che serve. Frutta e verdura, carne, latte, uova, olio e burro, coltiviamo i cereali per le farine con cui fare pasta e pane, facciamo le conserve, per il vino conferiamo le uve a un produttore... L’unica cosa che compriamo è l’acqua frizzante. In bottiglia di vetro ovviamente. Praticamente non ho la pattumiera per la plastica».
Se Zucchero fosse un vino?
«Quello che mi piace bere. Non amo i vini barricati o quelli importanti. Preferisco quelli aciduli di queste zone. Vitigni autoctoni dei colli di Luni come il Vermentino nero che vinifico in purezza, il Ciliegiolo, la Pollera nera».
Meglio le sue bottiglie o il Chianti di Sting?
«Sono competitivo... Lui però non ha l’aceto balsamico: ho ereditato una batteria, le botticelle per l’invecchiamento e una madre che mi dicono risalire al Settecento».
Come è arrivato a “Lunisiana Soul”?
«All’inizio degli anni Novanta ho attraversato un periodo di depressione totale dopo la separazione dalla mia prima moglie. Stavo male ovunque fossi. Provai a tornare dai miei a Roncocesi, ma dopo una settimana fuggii. Mio padre non aveva capito che avevo successo. Non ero più quello che suonava nelle balere e mi svegliava alla mattina alle 6 per farmi andare a lavorare nei campi con lui. In una pizzeria incontrai Enrico Ferri, l’ex ministro, che mi offrì un aiuto per trovare casa a Pontremoli di cui era sindaco».
E come andò?
«Mi sembrava un posto fuori dal mondo. Lo conoscevo perché papà aveva un negozio di salumi a Carrara e due volte al mese andava da un fornitore a Correggio attraversando il passo della Cisa. Siccome non esisteva l’autostrada, si andava a Pontremoli e da lì si caricava il furgone sul treno per valicare l’Appennino».
Però alla fine ci è venuto a Pontremoli...
«Ferri mi affidò a un agente immobiliare, ma non trovavo quello che cercavo. Qualche mese dopo, mentre stavo facendo un giro in moto con la mia Harley, vidi dall’alto questa vallata verde, un mulino diroccato, le pecore al pascolo... mi sembrava l’Irlanda. Mi sdraiai sull’erba ed ebbi la sensazione di esserci sempre stato. Decisi di comprarlo e farlo rinascere. Nel 1993 iniziai i lavori che mi aiutarono a uscire dalla depressione: mi tenevano il cervello occupato. All’inizio ci venivo nei fine settimana e nelle vacanze con mio fratello e le mie figlie. Nel 1998 è nato Blue, il mio terzo figlio, e dal 2000 con la mia compagna Francesca ci siamo trasferiti qui per crescerlo a contatto con la natura».
Che rapporto ha con gli animali?
«Ottimo. Quando sono sotto pressione causa mancanza di idee vado nel cucuzzaro, così chiamiamo il cortile dei pennuti, e li osservo. Gli animali hanno gli stessi comportamenti di noi umani...».
È vicino alla causa ambientalista?
«Sting è impegnato con questo progetto da anni, mi invitò già nel 1997... ma è importante anche quello che fa una ragazza come Greta Thunberg. Meno male che c’è lei. Non mi interessa sapere se c’è qualcuno dietro di lei. Spero solo che i giovani continuino questa sua rivoluzione pacifica. Faccio lo zio che li spinge a fare casino: se si incavolassero anche un po’ e scendessero in piazza ne avrebbero tutte le ragioni».
Suo figlio ha qualche anno in più di Greta... È servito farlo crescere qui?
«Francesca e io facciamo il possibile. A volte la gente si stupisce e ci chiede perché non gli prendiamo la tal macchina o l’ultimo modello di telefono. Ci chiede l’Phone 11 perché i suoi amici ce l’hanno? Noi gli rispondiamo che il 6 funziona ancora benissimo... Dobbiamo fare resistenza davanti alla forza del branco. Certe auto io me le sono permesse a 35-40 anni. Blue ha una 500: non deve ostentare. Comunque parte tutto dalla famiglia: vedo famiglie, anche modeste, che dicono sì a qualsiasi richiesta dei figli. È diseducativo».
Insomma, come dice una canzone di D.O.C. , siamo Vittime del cool ?
«Nessuno sembra più voler essere quello che è veramente. È triste. Si punta all’apparenza e non alla sostanza. Vedo i politici pieni di braccialetti, collane, anelli alle 5 dita... Vogliono fare le rockstar...».
In quel testo dice anche di non amare più l’essere umano. Siamo messi così male?
«Non voglio generalizzare, però non capisco più se i miei parametri di vita siano ancora giusti. Amo le persone genuine, dirette e semplici. Pane al pane, vino al vino. Purtroppo ne vedo sempre meno anche nei paesini come questo. Siamo di fronte a un’epidemia che contamina tutti. Riesco ad avere quel tipo di rapporto con una ventina di persone: alcuni amici del posto, un professore universitario di Genova con cui passo nottate a parlare di letteratura e cultura del territorio...».
E le superstar amiche?
«Nella categoria dei genuini ci metto anche Bono, Eric Clapton, Brian May, Sting. Anche Pavarotti era così: una star planetaria che quando tornava a casa giocava a briscola con gli amici».
Nei testi del nuovo album c’è, più spesso che in passato, un elemento spirituale. Sta cambiando idea?
«È vero, è come se ci fosse sempre una luce, un inizio di redenzione. Da ateo convinto mi sono ritrovato a parlare di qualcosa di meno terreno. Forse ha a che fare con la maturazione degli anni...».
Ha paura di invecchiare?
«Nel 1999, per il video di Diamante mi truccarono da me stesso vecchio. Non mi spaventa il cambiamento nell’aspetto fisico. Mio padre era solido e nerboruto, ha avuto tutti i denti e i capelli sino alla fine: spero di avere lo stesso Dna della Bassa padana. Ho paura invece dell’apatia, del perdere gli stimoli, non avere più sfide, finire a guardare la tv sul divano o ammazzare il tempo al bar e sperare che arrivi sera in fretta».
La gioventù artistica passa?
«Quando mi sono trovato davanti al foglio bianco per la scrittura di questo album, ho sentito l’esigenza di un cambiamento repentino e veloce. Ascolto dischi di colleghi che stimo, ma quelle canzoni suonano sempre allo stesso modo: mi sembrano vecchi. Per quest’ultimo lavoro ho pensato che avrei dovuto rimanere me stesso dando però una rinfrescata al guardaroba. Ho cercato di capire perché certi brani e certi suoni hanno successo oggi. E ho invitato produttori e autori giovani che stanno dietro a hit mondiali a mettere dell’elettronica calda nei miei pezzi».
Zucchero prima di essere Zucchero?
«Cantavo nelle balere. Facevo il talent scout e provavo a produrre e scrivere anche per altri come Fred Bongusto, Fiordaliso o Stefano Sani perché pensavo che nessuno fosse interessato alla mia voce e al mio genere. Andavo a portare i miei pezzi alla Pdu di Mina perché allora si diceva “se ti prende un pezzo lei, hai svoltato”. Ma niente, non presero nemmeno Diamante, che ancora non aveva il testo di De Gregori».
Suo padre torna spesso nelle sue canzoni: come lo ricorda?
«Non ci siamo vissuti come avrei voluto... Era un uomo alla vecchia maniera, poche parole e tanto lavoro. La parte artistica della famiglia è la sua. Quando chiudeva il negozio per la pausa, andava sulla spiaggia a prendere i legni levigati dal mare per realizzare delle sculture. Era un uomo ipersensibile, un sognatore travestito da duro».
Che diceva della sua musica?
«Ai tempi del successo di Oro, incenso e birra lo intervistarono quelli di TeleReggio. Era nell’orto. Gli chiesero un giudizio sulle mie canzoni e in mezzo dialetto disse più o meno così: “Speriamo che duri. Comunque io preferisco il valzer e la mazurca”. Avrei voluto fosse orgoglioso del mio lavoro».
Non lo era?
«Non lo manifestava. È venuto a vedermi una volta sola, a Parma nel 1995. Camminava male, erano gli inizi di una malattia degenerativa. Gli chiesi cosa fosse successo e lui rispose: “Un mignolo che mi dà fastidio, al limite lo taglio...”. Ho pensato a quel momento scrivendo Sarebbe questo il mondo. Però mamma diceva che a volte gli vedeva gli occhi lucidi quando si parlava della mia carriera».
E la mamma?
«Lei era orgogliosa di me. Mi raccontava sempre di quando la fermavano per strada mentre faceva la spesa per dirle quanto bravo fosse suo figlio...».
Dove nasce la sua musica?
«In questo studio. Era una stalla per le pecore che ho trasformato con legno e metallo nello stile di una baracca sul Mississippi. Quando entro qui, vengo trasportato nel mondo musicale che amo. Lavoro con Max Marcolini, mio collaboratore storico. Si dice che più fai bottega più ti avvicini all’arte. Quindi si parte alle 11, pausa pranzo e poi si va avanti fino a sera. A volte dormiamo qui, c’è anche la camera da letto».
Questa, quindi, è la sua casa, per la vita e per la musica?
«A 10 anni sono stato sradicato da Roncocesi, la frazione di Reggio Emilia dove ero nato. Era il mondo di don Camillo e Peppone. Il prete era soprannominato don Tagliatella e litigava con mio zio Guerra, un maoista convinto. Papà non voleva mai far entrare il prete a benedire casa. Alla domenica però mi mandavano a portargli le uova. Dopo che ci siamo trasferiti non mi sono mai più sentito a casa. Pontremoli mi permette di stare a metà strada fra le mie radici emiliane, mio fratello vive ancora a Reggio, e le figlie che stanno a Carrara».
Mai pensato a una fuga all’estero?
«Sono a casa poco e non ho tempi morti lunghi in cui annoiarmi. Los Angeles è noiosa: un circolo chiuso, nei locali non si fuma, bevono birra analcolica e il mare è più bello in Italia. Francesca ha studiato a New York e ci vorrebbe tornare, ma non sento la tentazione».
Allora non le resta che stare con la valigia in mano. Cosa non può mancare nei suoi bagagli?
«Per l’ultimo tour ho avuto 160 concerti in giro per il mondo in un anno e mezzo. Nel 2020 suonerò in Australia ad aprile, poi da settembre a dicembre circa 30 show in Europa e 12 serate all’Arena di Verona. E l’anno dopo si riparte con Stati Uniti e Canada, Sudamerica, Giappone, Europa dell’Est. Porto sempre con me i fiori di Bach per calmare l’ansia pre-concerto. Shampoo e sapone vengono da casa: non amo quelli degli hotel. Una fan mi ha regalato un sacchetto di sale come talismano scaccia malanni: non che ci creda, ma è lì da 5-6 anni e non lo tolgo...».
La vita — Zucchero Fornaciari, pseudonimo di Adelmo Fornaciari, è nato a Roncocesi (frazione del comune di Reggio Emilia) il 25 settembre 1955. Diplomato perito elettronico, si iscrisse alla facoltà di Veterinaria, interrompendo poi gli studi per dedicarsi alla musica. Ha avuto due figlie dalla prima moglie: Irene, cantante, e Alice. Dalla nuova compagna, Francesca Mozer, ha avuto Adelmo Blue.
· Nel nome di Mariele Ventre: gli eterni bambini dello Zecchino d’Oro.
Nel nome di Mariele Ventre: gli eterni bambini dello Zecchino d’Oro. Pubblicato martedì, 10 settembre 2019 su Corriere.it. È il 1968 e Barbara Ferigo, 4 anni e mezzo, di Gorizia, canta Quarantaquattro gatti: vince la 10° edizione dello Zecchino d’Oro. Con lei il Coro dell’Antoniano. Da circa tre anni esiste uno strano club composto da alcune decine di membri d’ambo i sessi, d’età compresa fra i 40 e i 70 anni. Cosa hanno in comune questi signori? L’aver fatto parte del coro dell’Antoniano di Bologna diretto da Mariele Ventre, e in alcuni casi, aver gareggiato allo Zecchino d’Oro (e averlo pure vinto). Il Piccolo Coro dell’Antoniano, creato da padre Berardo e Mariele Ventre, scomparsa prematuramente nel ‘95, è stato ed è qualcosa di più di un semplice coro: fucina di talenti, promotore di una cultura e una tv attenta all’infanzia, vetrina mediatica dell’Antoniano fondamentale per finanziare la mensa di Bologna e le imprese benefiche a favore dell’infanzia in Italia e nel mondo. Recentemente grazie al lavoro di Francesca Bernardi, ex corista, oggi commessa quarantottenne e madre di due figli, accanto al Piccolo Coro ne è sorto un altro, dal nome buffo: i Vecchioni di Mariele. Da chi è composto e perché si chiama così? Questa strana definizione, scherzosamente inventata dalla stessa Mariele Ventre — che definiva “vecchione” qualunque corista che, superati gli undici anni, doveva lasciare il Piccolo Coro —, era un evidente paradosso visto che comprendeva i ragazzini appena usciti dal Piccolo Coro e quelli ormai pensionati da decenni prima. In genere l’«uscita» avveniva fra gli 8 e gli 11 anni. La scelta era legata alla statura o alla timbrica o alle esigenze tecniche del coro. A decidere era insindacabilmente Mariele (vero nome Maria Rachele), la direttrice del coro dell’Antoniano, dolce e inflessibile, per la quale è in corso il processo di beatificazione. A fondare e tenere le fila dell’operazione «Vecchioni» è invece Francesca Bernardi, interprete del 18° Zecchino d’Oro del 1976 con La Teresina. «Sono stata corista fino al 1984 e ho avuto il privilegio di trascorrere l’infanzia guidata da Mariele», racconta. «Dal 2013 sono tornata come “mamma” di due coristi del Piccolo Coro ora diretto da Sabrina Simoni, mentre i Vecchioni sono diretti da Luciana Boriani. La svolta è arrivata nel 2017: partecipo al concorso Saverio Tutino dedicato ai diari con un racconto sulla storia della mia infanzia all’Antoniano intitolato Mi Mu Ma, (di mio, di musica, di Mariele), classificandomi nella lista d’onore. E proprio questo diario scatena in me la voglia di unire il passato col presente, raccogliendo storie, ricordi, notizie del mondo Antoniano, per una valorizzazione e condivisione reciproca. Nel frattempo prende forma il coro dei Vecchioni di Mariele, supportato dall’Antoniano e dalla Fondazione Mariele Ventre. Pur non avendo io una gran cultura musicale, supplisco con la mia passione per la scrittura e la creatività, che trova sfogo nel blog Zucca Zoe». Ora i Vecchioni si riuniscono periodicamente. Parecchi hanno superato i cinquant’anni, ma riescono a produrre le stesse armonie e timbriche di 20-30 anni fa. E mentre cantano scorrono, in perfetta sincronia, foto e video dell’epoca accostati a quelli attuali. La vita nel Piccolo Coro era impegnativa, ricorda Francesca: «Prima Mariele chiedeva ai coristi di imparare il testo a memoria. Poi spiegava il senso della canzone. Infine, noia mortale, lo studio della melodia. “Dovete averla marcia in testa!”continuava a ripetere. E noi l’avevamo tanto in testa che dopo cinquant’anni siamo perfetti come allora». Lezioni ogni pomeriggio: il Piccolo Coro era anche una scuola di vita e disciplina. Ricordate la canzone Fammi crescere i denti davanti? Nel 1962 in concorso la cantò Andrea Nicolai, giunto quarto, ma la incise anche Giacomo Calzolari, voce dell’Antoniano, che oggi ha 55 anni, due figli ed è dirigente di una multinazionale. Per lui il coro è stata una salvezza. Aveva 3 anni e mezzo e aspettava l’uscita della sorella maggiore che era a lezione di danza all’Antoniano. Ebbe uno scontro fisico con i ragazzi del coro. Era iperattivo e non riusciva a sopportare alcuna forma di immobilità o di disciplina. «Venni reclutato non perché sapessi cantare, ma per raddrizzarmi», ricorda Giacomo. «Ci riuscirono dopo vari anni». La sua marachella più famosa avvenne al Quirinale quando il Piccolo Coro dovette esibirsi davanti al capo dello Stato, allora Giovanni Leone. Che tardava. «Allora, ricorda Giacomo, «pensai bene di ammazzare la noia usando il tappo di una bibita per una partitina di mini-calcio sui marmi del Quirinale, che erano una pista perfetta». A un certo punto nella foga di una parata con tuffo una fila di sedie cascò rumorosamente proprio mentre arrivava il presidente. Fu l’unica sberla che Liliana, assistente di Mariele, dispensò in tutta la sua vita. «Quello schiaffo al Quirinale», confessa Giacomo, «ha cambiato il mio carattere e la mia vita. Sono diventato uno studente modello. Ho prestato servizio nei carabinieri e ho portato a termine con successo tutto quel che ho avviato. L’unica cosa che non ho appreso è il canto. Per registrare quel brano ci ho messo otto ore: non amavo fare la parte di quello senza i denti davanti». Nel giugno 2012 Francesca Bernardi crea il gruppo Facebook: Vecchioni Piccolo Coro dell’Antoniano. «Organizzo ritrovi che mi coinvolgono con grande entusiasmo tra racconti di vita e cantate a squarciagola attorno a un tavolo. Lo stesso gruppo formato da 20-25 persone, dal 2016 torna ad essere un coro vero e proprio che canta il repertorio storico dell’Antoniano». I Vecchioni di Mariele alla riscossa. Li rivederemo presto in tv. A Natale dovrebbe uscire la fiction Rai I ragazzi dello Zecchino d’Oro. Francesca Bernardi l’ha vista in anteprima: «Una scena del film ha un significato poetico meraviglioso: interpretiamo un coro di chiesa cui Mariele si ispira per costruire il suo Piccolo Coro». La parte di Mariele è interpretata in tutta la sua virginale bellezza e determinazione da Matilda De Angelis. La vicenda è ambientata nella Bologna degli Anni ‘60. Fra i protagonisti c’è Mimmo ha 9 anni ed è quello che oggi si direbbe un bambino difficile. Forse la musica potrà salvarlo.
· I Tiromancino ed i Zampaglione.
LE CANZONI DEI TIROMANCINO? MEGLIO LE RAPINE IN BANCA! Camilla Mozzetti per Il Messaggero.it il 30 agosto 2019. Prima la musica, le canzoni scritte con e per il fratello, poi la rottura con la band e la virata inattesa. Francesco Zampaglione, classe 1970, fratello del più noto Federico, leader dei Tiromancino, è stato arrestato ieri dagli agenti di polizia del Reparto Volanti e dagli uomini del commissariato di Monteverde dopo aver messo a segno una rapina in una banca sulla Circonvallazione Gianicolense. Erano da poco trascorse le 14 quando Zampaglione nessun precedente di rilievo a carico ha deciso di entrate nella filiale armato di una pistola priva di tappo rosso che si è poi rivelata finta. A volto scoperto, ha intimato agli impiegati di aprire le casse e di tirar fuori il denaro. I dipendenti della banca, spaventati, non sono riusciti ad allertare le autorità e per paura di quell'uomo con una pistola in mano hanno seguito i suoi ordini, svuotando in poco tempo le cassette. Dopo aver riempito un borsone, Zampaglione è uscito dalla filiale usando una delle porte automatiche e in strada, mentre camminava a passo svelto, si è cambiato la maglietta convinto di poter così eludere qualsiasi controllo. Ma un cittadino che si trovava dentro la banca ha deciso di seguirlo a distanza e mentre lo pedinava ha chiamato il 112 specificando nel dettaglio la situazione, la dinamica della rapina, la zona della città e dando delle indicazioni precise alle autorità su dove si stava dirigendo l'uomo, ignaro di essere seguito. Ed è così che gli agenti di polizia sono arrivati a Zampaglione, bloccandolo poi in via di Monte Verde. L'uomo alla vista dei poliziotti, non ha opposto resistenza e in serata è stato trasferito nel carcere di Regina Coeli. L'intera refurtiva è stata recuperata mentre gli agenti hanno rinvenuto in strada la maglietta che indossava Zampaglione durante la rapina e di cui si era poi disfatto una volta uscito dalla banca. Il cantautore solo qualche anno fa aveva detto addio ai Tiromancino. Fu proprio lui in un post a darne l'annuncio: «Purtroppo dopo l'ennesima lite furibonda tra me e mio fratello Federico mi trovo a dover rinunciare mio malgrado al proseguimento del Tour». Era il settembre del 2015.
Ida Di Grazia per Leggo.it il 31 agosto 2019. «Basta con la musica...Parto con le rapine», il post di Francesco Zampaglione pubblicato solo un anno fa sui social ora sa di beffa e sta facendo il giro del web. Il fratello minore di Federico Zampaglione leader dei Tiromancino. Francesco Zampaglione è stato arrestato giovedì dopo aver derubato a volto scoperto e con una finta pistola la filiale di una banca sulla Circonvallazione gianicolense al quartiere Monteverde di Roma. Il 49enne fratello più piccolo di Federico Zampaglione, frontman dei Tiromancino, solo un anno fa aveva postato sui social un post che letto oggi sa di beffa. Su Facebook Zampaglione jr aveva commentato la sentenza del processo sull'indagine "Mondo di mezzo" che riguardava Mafia Capitale e la riduzione di pena a Massimo Carminati (passata dai 20 anni del primo grado ai 14 anni e sei mesi dell'appello ndr.) così: «Mi sembra giusto... ridotta la pena, a Carminati...tanto c'aveva solo una decina di omicidi ... io me so rotto i cojoni, DA DOMANI BASTA MUSICA...PARTO CON LE RAPINE»... proprio le ultime parole famose.
Mattia Marzi e Camilla Mozzetti per “il Messaggero” il 31 agosto 2019. Le ultime canzoni le aveva incise soltanto qualche mese fa in un album che una piccola casa di distribuzione indipendente la Alpha records management è comunque intenzionata a pubblicare. Dentro ci sono parole e suoni che raccontano una storia tutt' altro che malinconica. «Canzoni solari, un po' come è Francesco o almeno racconta la presidente dell' Alpha records, Catia Giordano quel Francesco che io ho imparato a conoscere: un uomo del sud in piena regola, capace di una grande espansività e allegria». Nessuna «ombra» è emersa in quest' ultimo rapporto di lavoro nato nella terra di Zampaglione, la Calabria, che potesse lasciar captare un malessere «tale da giustificare un gesto simile». Quello che poi il fratello di Federico, frontman dei Tiromancino, ha compiuto giovedì scorso, provando a rapinare, armato di una Beretta ad aria compressa e con il volto coperto da occhiali, cappello e foulard, la filiale di Intesa San Paolo sulla Circonvallazione Gianicolense. Le sue ultime canzoni parlano «di sogni, di avventure e di speranze conclude la Giordano il testo principale dell' album è dedicato alla figura materna. Noi non l' abbandoniamo». In queste ore, mentre Zampaglione è rinchiuso nel carcere di Regina Coeli con l'accusa di tentata rapina aggravata, la famiglia resta in silenzio. Il fratello Federico, impegnato con il tour estivo dei Tiromancino, poche ore dopo aver appreso la notizia del suo arresto, ha risposto con un laconico «no comment». Eppure un perché dovrà essere motivato quantomeno di fronte al gip Clementina Forleo, che oggi lo ascolterà in carcere nell' interrogatorio di convalida, sempre che Francesco non si avvalga della facoltà di non rispondere. Per gli inquirenti gli agenti di polizia del commissariato Monteverde e il reparto Volanti della Questura di Roma alla base della tentata rapina potrebbero esserci problemi di natura economica. Pur di arraffare il denaro, Zampaglione aveva morso al braccio sinistro il cassiere della banca ma il colpo, alla fine, non è stato messo a segno: le casse, computerizzate, non si sono aperte e lui è fuggito. Nel suo entourage c'è chi sostiene l'ipotesi che il gesto sia stato dettato da un malessere più grande, intimo. Nella sua carriera, nonostante i successi degli esordi proprio con i Tiromancino, si erano addensate parecchie nubi che avevano profondamente minato il rapporto con il fratello. Tra i due e non è un mistero negli ultimi vent' anni non era corso buon sangue. Tra continue liti per gelosie o divergenze musicali e successive riappacificazioni. La prima rottura, nel 2001, fu resa pubblica e coinvolse anche Riccardo Sinigallia e Laura Arzilli, che decisero di abbandonare i Tiromancino insieme a Francesco mettendo in forse il futuro della band: «Il gruppo sono io», rivendicò il frontman in un' intervista, facendo sapere di essere intenzionato a continuare a portare avanti il progetto insieme ad alcuni turnisti. Suo fratello e Laura Arzilli minacciarono azioni legali: «Tiromancino non è un progetto che fa esclusivamente capo a Federico Zampaglione». Francesco tornò a suonare con la band all' inizio del 2007, registrando insieme l' album L'alba di domani, salvo poi abbandonare nuovamente il gruppo nel 2010 e dedicarsi alla sua carriera solista. Quattro anni più tardi un nuovo riavvicinamento per l' album Indagine su un sentimento, che vide Francesco impegnato oltre che come tastierista e chitarrista anche come produttore delle canzoni (tra queste Liberi, che riportò i Tiromancino in cima alle classifiche dopo un periodo poco fortunato). Dopo una nuova discussione, nel settembre del 2015 Francesco decise di lasciare il gruppo. Chi conosce bene i due fratelli praticamente i Gallagher in salsa romana descrive Francesco come una persona molto fragile, con seri problemi di natura comportamentale, con qualche piccolo precedente per droga, di cui Federico si è sempre fatto carico, cercando di aiutarlo e tutelarlo. Non coinvolto nei festeggiamenti legati ai 25 anni di carriera dei Tiromancino, lo scorso giugno Zampaglione era ricomparso al concerto al laghetto di Villa Ada dell' amico fraterno Riccardo Sinigallia. Il giorno prima dell' arresto aveva invece fatto sapere sui social di essere al lavoro su un nuovo album solista insieme alla sua compagna, l' autrice e fotografa Gioia Ragozzino.
Arrestato il fratello di Zampaglione: «Rapina per problemi di soldi». Pubblicato sabato, 31 agosto 2019 da Corriere.it. A più di 24 ore dall’arresto, sui social c’era ancora qualcuno che pensava fosse una via di mezzo fra una bufala e una trovata pubblicitaria. Poi, dopo la conferma ufficiale, sul profilo di Francesco Zampaglione hanno preso il sopravvento i post di incoraggiamento e vicinanza, perché quello in cui è incappatol’ex chitarrista dei Tiromancino, fratello di Federico, fondatore e frontman dello storico gruppo romano, per qualcuno può anche essere considerato «un (banale?) errore durante il suo percorso di vita». Errore che tuttavia porterà questa mattina il 49enne musicista e compositore davanti al gip Clementina Forleo per l’udienza di convalida a Regina Coeli: è accusato di tentata rapina aggravata e lesioni nei confronti del cassiere della Banca Intesa di circonvallazione Gianicolense, dove nel primo pomeriggio di giovedì Zampaglione è entrato armato di una pistola a gas (scarica), alla quale aveva tolto il tappo rosso. Voleva svaligiare le casse, ma le ha trovate vuote, in attesa che fossero riempite all’apertura della cassaforte a tempo. Tutto questo Zampaglione non lo sapeva e si è invece trovato davanti un cassiere che non si è spaventato per la pistola che impugnava, simile a una vera semi automatica, e ha anzi tentato di bloccarlo, prima all’interno della banca e poi sul marciapiede. «Ha agito per problemi economici», spiega ora chi indaga sulla tentata rapina, che si è conclusa qualche minuto più tardi con l’intervento della polizia avvertita dallo stesso dipendente, contuso e morso a un braccio dal musicista che voleva assicurarsi la fuga. Ma non è andato lontano: ha gettato la pistola sotto un’auto in sosta, si è cambiato la maglietta per confondere i poliziotti, senza accorgersi tuttavia che il cassiere non lo aveva perso di vista e per telefono comunicava tutto quello che faceva alla sala operativa della Questura. Insomma, un assalto in banca disperato e dal motivo per ora sconosciuto, che forse oggi Zampaglione — incensurato e solo con un vecchio precedente di polizia per stupefacenti — spiegherà al giudice. Intanto agli agenti del commissariato Monteverde, dove è stato portato dopo l’arresto, non ha detto nulla. Nei suoi confronti il pm Mario Dovinola ha già chiesto la convalida del provvedimento, poi forse gli saranno concessi i domiciliari. Solo mercoledì scorso, Zampaglione aveva postato su Facebook una foto di sette anni fa con Federico, Claudia Gerini (ex moglie del cantante) e Michele Placido, sul set del film Tulpa-Perdizioni mortali (diretto proprio dal fratello) per il quale aveva composto la colonna sonora. «Ne ho fatte molte — scriveva — finché il mio spirito anarchico mi ha costretto a evitare rapporti con registi e produzioni. Più o meno la stessa idiosincrasia che provo per i cantanti. Ringrazio Dio per avermi costretto a percorrere la strada che mi sta portando a uscire col mio secondo disco solista». Proprio i rapporti con il fratello sono stati più volte al centro delle cronache. A partire dal 2001 quando Federico annunciò in un’intervista su Rockol che Francesco e l’ex fidanzata Laura Arzilli, con il produttore Riccardo Senigallia, erano usciti dai Tiromancino per tensioni interne alla band al culmine del successo, dopo «Alone alieno», «Rosa spinto» e soprattutto «La descrizione di un attimo». «Tiromancino non è un progetto solo suo», aveva risposto il chitarrista che più tardi è tornato a collaborare con lui, fino alla definitiva rottura nel 2015: «Purtroppo dopo l’ennesima e furibonda lite —aveva scritto allora Francesco — mi trovo a dover rinunciare mio malgrado al proseguimento del tour».
“LA RAPINA? ERA UN ATTO DIMOSTRATIVO”. Michela Allegri Camilla Mozzetti per “il Messaggero” l'1 settembre 2019. Un po’ Robin Hood, un po’ il Professore de “La casa di carta”: ha tentato un colpo in banca per protestare contro il “sistema”. Davanti al gip, in sede di interrogatorio di convalida, Francesco Zampaglione non ha nemmeno tentato di respingere le contestazioni. Ha ammesso di avere cercato di rapinare una banca sulla Circonvallazione Gianicolense, nel quartiere Monteverde, a Roma. «Non l’ho fatto per soldi, ho una buona disponibilità economica», ha tenuto a specificare. Poi, ha giustificato quel gesto eclatante: «Era un atto dimostrativo, l’ho fatto per mostrare la disperazione di un comune cittadino nei confronti della politica economica di questo Paese», avrebbe detto. È questo il senso dell’interrogatorio di convalida di fronte al gip Clementina Forleo. Parole che non hanno alleggerito la posizione di Zampaglione, fratello minore di Federico, leader dei Tiromancino: il giudice ha convalidato l’arresto e ha disposto che il musicista resti nel carcere di Regina Coeli, accogliendo la richiesta del pm Mario Dovinola. Perché, secondo gli inquirenti, nonostante Zampaglione abbia utilizzato una pistola giocattolo e non un’arma vera, avrebbe dimostrato propensione a delinquere e potrebbe anche colpire di nuovo. L’atteggiamento mostrato nel corso della tentata rapina, a partire dal modo con cui è entrato in banca – con il volto coperto da un cappello, occhiali da sole e foulard – senza contare l’aggressione ai danni di un dipendente, che è stato morso al braccio sinistro quando si è opposto alle minacce spiegando che non avrebbe potuto aprire delle casse computerizzate, hanno spinto il gip a negare la scarcerazione. Negli ultimi tempi il cantautore, uscito definitivamente dai Tiromancino nel 2015 dopo una lite (l’ennesima) con il fratello, era molto critico sui social nei confronti della politica italiana. «Se costringete la gente a morire di fame, non accettando nessun tipo di soluzione di sopravvivenza, non capite che poi saranno costretti a trovare soluzioni molto più disoneste per vivere?», scriveva domenica scorsa su Facebook, commentando alcune operazioni sull’immigrazione. Mentre risale a un anno fa un post quasi profetico: «Basta con la musica... Parto con le rapine», scriveva parlando della sentenza del processo “Mondo di mezzo” e, in particolare, della riduzione di pena – dai 20 anni del primo grado a 14 anni e 6 mesi – per Massimo Carminati. E proprio sulla pagina Facebook di Zampaglione ieri è comparso un post scritto dalla compagna, Gioia Ragozzino. «Al momento Francesco rimane nell’istituto di pena di Regina Coeli. Sono molto preoccupata perché l’ho visto dilaniato nell’animo e si sentiva a pezzi, il suo sguardo mi rimandava profonda sofferenza e grande tristezza – ha scritto la donna – Ho nominato un avvocato di fiducia, con lui accanto mi si è finalmente accesa la speranza di poter cominciare a combattere e vincere questa battaglia e fare capire a tutti che Francesco è una bella persona ed è piena di cuore. Nella vita a volte si perde l’equilibrio e si cade dove non si dovrebbe cadere».La tentata rapina risale a giovedì scorso. Erano le 15.40 quando Zampaglione è entrato nella filiale di Intesa San Paolo. Stringeva in mano una pistola, che si è poi rivelata finta. Aveva il volto coperto. In pochi minuti ha seminato il panico. Ha puntato l’arma contro gli impiegati, intimando loro di aprire le casse e di tirar fuori il denaro. Ha anche morso il braccio di un commesso. Ma le cassette di sicurezza erano a tempo e non si sono aperte. Zampaglione è fuggito a mani vuote; in strada si è cambiato la maglietta, convinto di eludere i controlli. Ma è stato seguito: uno dei clienti dell’istituto di credito lo ha pedinato a distanza e ha chiamato il 112. In pochissimo tempo, il musicista è finito in manette. È stato fermato dagli agenti del reparto Volanti e condotto prima nel commissariato Monteverde, dove pur mostrando un atteggiamento strano non ha proferito parola: è rimasto seduto su una sedia fino a che non è stato trasferito in carcere.
· Queste vuote teste di "Rap".
I pezzi di alcuni cantanti rap sono agghiaccianti e la cosa peggiore è che fanno proseliti. Mario Giordano il 19 luglio 2019 su Panorama. Bisognerebbe fargli un monumento al prete anti-rap. E invece la sua battaglia, ancora una volta, sta pericolosamente scivolando nel silenzio. E dire che ce l’ha messa tutta don Pietro Cesena, 60 anni, parroco di Borgotrebbia, in provincia di Piacenza, per farsi notare. L’altro giorno, durante la predica, non ha esitato a rompere il tabù della parolaccia: «Stronzi» ha gridato dall’altare, lasciando di stucco le pie donne in attesa di fare la comunione. E poi l’ha ripetuto una seconda volta sempre a voce alta: «Stronzi». E infine ha spiegato il motivo di tanta indignazione in un’intervista al Quotidiano nazionale: «Era ora di fare qualcosa, non si poteva più stare a guardare. Non è possibile che i nostri ragazzi ascoltino da questi stronzi che ciò che vale sono solo la carriera, i soldi, il sesso e la droga» ha detto. E poi ha concluso con parole che avrebbero fatto la gioia di don Camillo: «I rapper? Se li incontro, li picchio». Nelle stesse ore a Jesolo, un gruppo di ragazzi multietnico, un po’ di italiani e qualche straniero, ha preso a botte due bagnini, mandandoli all’ospedale. La colpa dei bagnini? Hanno cacciato i ragazzi dai lettini, dove non potevano stare. Cioè, probabilmente, hanno fatto soltanto il loro mestiere. Ma al di là della ricostruzione della vicenda, e di chi si assume la responsabilità dell’origine della lite, ciò che colpisce è l’arroganza di questi ragazzi, la mancanza di pentimento, l’orgoglio con cui rivendicano la violenza («Era giusto farlo»), prima nei loro video, poi anche davanti ai giudici, la certezza di essere dalla parte della ragione e di avere, per questo, pure l’approvazione di mamma e papà («I genitori sono d’accordo con noi»). Tutti elementi di uno spaccato adolescenziale da paura. Che c’entrano, però, i baby violenti di Jesolo con il prete anti-rap di Borgotrebbia? Perché li ho messi in collegamento? Semplice: perché sul Corriere della sera ho trovato un articolo che tracciava il profilo dei violenti della battigia. E cominciava così: «Si muovono in gruppo, ascoltano musica trap e uno dei loro miti è il rapper Mostro». Mi è venuta la curiosità di andare a leggere i testi di questo cantante (si fa per dire) che fin dalla scelta del nome di battaglia appare piuttosto aggressivo. E ho letto espressioni di odio alla vita, inviti più o meno larvati a sballare, aggressività. «Mostro è tornato, simpatico come un conato» canta (si fa sempre per dire). E poi ancora: «Senza chiedere aiuto, continuo a fottermi la vita». E poi ancora: «Ho troppo odio in corpo... Brutta stronza fallo forza, se non vuoi un buco in faccia». Ho pensato che sarebbe bello se don Pietro incontrasse il Mostro (simpatico come un conato) in mezzo a una strada. Magari finirebbe tutto a tarallucci e vin santo, forse si troverebbero ad alzare il calice della messa per un brindisi a base di birra, forse si accorgerebbero che è tutto uno scherzo da prete. Ma se invece il Mostro si prendesse una sacrosanta lezione e due schiaffoni, non sarebbe meraviglioso? Perché è vero che, da che mondo è mondo, i più anziani non hanno mai capito le canzoni dei più giovani. Ma è anche vero che mai come ora dentro le canzoni dei più giovani c’è stato tanto odio, disprezzo, nichilismo. Vuoto cosmico riempito di violenza verbale. La polemica era già esplosa qualche mese fa, dopo la tragedia di Corinaldo, nella Marche. Sei morti, oltre 50 feriti al concerto di Sfera Ebbasta, frequentato da ragazzini tutti impazziti per le sue canzoni. Ma cosa dicono le sue canzoni? ci si chiese allora. Ed ebbero un po’ di risonanza i testi più famosi. Come: «Hey troia, vieni in camera con la tua amica porca, quella dell’altra volta». Oppure: «Pusher sul mio iPhone, pute (puttane) sul mio iPad, fanculo il Moet prendiamo tutto il bar». Emerse chiaro, già allora, che lo spazio riferimento, di quest’uomo è tutto compreso tra l’iPhone e l’iPad, arricchendosi ora di troie, ora di pute, ora di sostanze eccitanti («sciroppo cade basso, come l’Md») e ora di soldi («Solo facendo soldi senza più pensieri»). E la domanda che ci si fece allora è: può essere costui un modello, un campione, un esempio per l’esercito dei 14-15enni? Purtroppo la domanda di allora è la stessa che ci poniamo oggi. Non è cambiato molto, se non che alcuni di quei 14-15enne che a Corinaldo volevano solo divertirsi non ci sono più. Sfera Ebbasta, invece, ha ripreso i concerti, riempendosi le tasche di applausi e soldi. Buon tour, sia chiaro. Ma speriamo che almeno una delle tue tappe sia nel paese di don Pietro...
I rapper che amano la mamma: «Se non piaci a lei, non piaci a me». Pubblicato martedì, 26 novembre 2019 da Corriere.it. «Se non piaci a mamma, tu non piaci a me» intima il rapper Ghali, mentre il centravanti dell’Inter Lukaku stende il Milan nel derby con un gran gol, e fa il gesto del ciuccio a pochi millimetri dalla telecamera dedicando la prodezza in diretta HD alla mamma, ripetendo poi il concetto sui social media, «l’unica donna che conta nella mia vita». L’idolo Trap Sfera Ebbasta canta «Mamma sai che a parte te non amo nessun’altra» e appare sui social abbracciato alla mamma. Sfera e Ghali, milanesi (uno di Cinisello Balsamo, l’altro di Baggio) e il calciatore belga ora milanese d’adozione sono solo gli ultimi in ordine di tempo, a rivendicare con orgoglio il loro amore filiale, in una sorta di “mammone pride” intramontabile.
Adesso che ha compiuto settant’anni e la rabbia giovane del ragazzo magrolino sulla copertina di Born To Run ha lasciato il posto al sorriso saggio dell’artista che non può più nascondersi dal ruolo, inevitabile, di anziano maestro le cui canzoni di ieri e di oggi diventeranno la musica classica di domani, Bruce Springsteen può guardare indietro a un’opera omnia innegabilmente unica. Ha raccontato l’America del suo tempo attraverso il racconto della sua vita, come solo gli artisti più grandi riescono a fare. Ha cantato il dolore e l’umiliazione degli uomini marginali tagliati fuori da tutto — nel ricordo del padre disoccupato che beveva troppo — e ha cantato l’alienazione dei reduci e l’odio che subiscono i neri, e in tutto questo non ha mai perso di vista la grandezza, nonostante tutto, dell’America. Ha scritto tante canzoni d’amore, più o meno capite — al momento dell’uscita — dal pubblico al di fuori di quello amorevole e ossessivo dei fan più attenti. Canzoni sulle sue donne di un tempo (Rosalita) e sulla fine del suo primo matrimonio (Brilliant Disguise), sull’amore per l’amico e fratello Clarence Clemons che conobbe da ragazzino (è lui il «Big Man» di Tenth Avenue Freezeout) in una notte. E una canzone, Tougher Than the Rest, che pensava di aver scritto per la sua prima moglie e invece capì essere dedicata a quella che sarebbe diventata la sua seconda, e attuale, consorte — Patti Scialfa. Ma la canzone d’amore più commovente della sua vita, quella che lo emoziona al punto di aver invitato più d’una volta sul palco la sua musa, la donna alla quale è dedicata, è The Wish, dedicata a sua madre Adele. La donna che gli comprò la prima chitarra elettrica, contro il volere di suo padre: «È un mondo davvero strano mamma, se i desideri di un bambino si avverano / Ne ho ancora qualcuno in tasca, e uno speciale per te...». Springsteen ricorda la sua infanzia, sua madre «con i bigodini rosa e i pantaloni da torero», il piccolo Bruce che balla per gli zii e le zie, e poi Bruce adulto, famoso, la rockstar che canta per mamma Adele nella sua cucina, «oggi canto su richiesta, e questa è tutta per te». Oggi la signora Adele ha più di novant’anni, suo marito è scomparso da più di un ventennio, ma ogni tanto Springsteen la porta ai concerti, la presenta al pubblico, balla con lei. Dalla musica allo sport, le mamme hanno un posto speciale nel cuore di tanti figli famosi. Nel caso di Springsteen la mostra che in New Jersey rende omaggio ai suoi settant’anni — Springsteen: His Hometown, inaugurata al Monmouth County Historical Association Museum di Freehold — presenta un tesoro di memorabilia sulla carriera del Boss, ma soprattutto gli album di ritagli che la signora Adele, dalle prime menzioni sui giornaletti locali fino alle copertine delle riviste, ha raccolto religiosamente in tutti questi anni. Ellen Harper, che ha da poco pubblicato un album di musica folk colto e benissimo eseguito, e cantato con una voce bellissima, ha lo stesso cognome di Ben Harper la rockstar, perché Ellen, 72 anni, è sua madre: cantante folk la cui carriera era rimasta underground finché il figlio famoso, ogni tanto, non ha cominciato a invitarla sul palco: «Questa è la voce che mi ha fatto addormentare con una canzone, tutte le sere, quando ero bambino», spiegava regolarmente, e un boato accoglieva l’arrivo in scena di mamma Ellen con la quale faceva sempre lo stesso duetto, Tomorrow Is a Long Time di Bob Dylan.
Kanye West, sempre più eccentrico rapper e stilista, tra un’azzardata tesi di revisionismo storico sullo schiavismo, un endorsement di Donald Trump e l’ammissione di soffrire di disturbi psichici ma di essere contrario ai farmaci, nei purtroppo rari momenti di lucidità non dimentica di rendere omaggio alla madre scomparsa nel 2007, Donda West. A Donda ha dedicato una canzone, Only One, con un incipit che dice tutto, «quando sto per addormentarmi sento la sua voce». E Hey Mama, sempre dedicata a lei, rappresenta una delle performance dal vivo più famose della storia dell’hip-hop: quando Kanye, alla 50esima edizione dei Grammy, nel 2008, iniziò con le parole «ieri notte mi sei apparsa in sogno, non vedo l’ora di tornare a dormire» e finì la canzone in ginocchio, incapace di continuare. Da allora, gli capita spesso di non riuscire a eseguire questa canzone dal vivo — troppo doloroso. È la sua Sad Eyed Lady of the Lowlands, la canzone lunga 11 minuti che Bob Dylan scrisse nel 1966 per Sara, la sua ex-moglie, madre di Jakob, e che da allora non ha mai eseguito dal vivo.
Ma il rapporto tra i rapper e la mamma è una costante: Snoop Dogg ha scelto la linea della chiarezza, I Love My Momma il titolo, e un testo che tra l’altro spiega come «mi ha insegnato tutto senza chiedere niente» per poi chiudere in modo abbastanza macabro («per nove mesi mi hai portato con te, spero che sarai tu a seppellire me e non il contrario») ma perfettamente in linea con la filosofia “gangsta”. Jay-Z ha messo la voce della mamma in una sua canzone, I Made It, nella quale le promette che dopo tanti sacrifici per lei «ogni giorno sarà Natale» perché «ce l’ho fatta». Ma è 4:44 la canzone nella quale la signora Carter fa coming out: «La mamma ha avuto quattro figli ma è lesbica, ha dovuto fingere per tanto tempo». Parlando poi al talk show di David Letterman su Netflix, il rapper ha ammesso di aver pianto quando la madre ha ammesso, parlando con lui, la propria omosessualità: «Mi ha detto, credo di amare una persona... A quel punto ho capito che era libera, finalmente». Jay-Z dimostra sensibilità non comune nel mondo del rap americano spesso misogino e/o omofobo; Eminem, incapace di non fare scandalo, ci è riuscito anche con una canzone, My Mom, dedicata alla mamma Debbie, da lui accusata di aver usato droga quando era bambino, trasmettendogli la dipendenza: «Mia mamma amava Valium e tante altre droghe. Sono così perché sono come lei... mi faccio perché sono mia mamma».
Qualche anno più tardi però con Headlights, Eminem ha lanciato una sorta di dichiarazione, una tregua con sua madre: «E allora mamma per piacere accetta questa canzone come un omaggio... dovevo sfogarmi, credo... Ti amerò sempre da lontano perché sei la mia mamma». Altri livelli di poesia quelli di Tupac Shakur, che, con Dear Mama dedicata a mamma Afeni, firma una lettera d’amore che non fa sconti a un passato difficile ma trova la forza del perdono, in qualche modo. «Anche quando eri indemoniata di crack eri una regina nera mamma / Adesso finalmente capisco che per una donna non è facile allevare un uomo / Ti impegnavi sempre, una mamma single che viveva di sussidi, spiegami come hai fatto / Non potrò mai ripagarti ma ho un piano: mostrarti che ho capito, che sei apprezzata».
I tifosi italiani rimasti sorpresi dal gesto di Lukaku — il bacio e la dichiarazione d’amore alla mamma — non hanno letto, l’anno scorso, un’intervista rilasciata a un giornale inglese quando il centravanti era a Manchester. Lukaku ha raccontato la povertà provata da bambino, improvvisamente, dopo la fine della carriera di suo padre calciatore. Pranzi e cene a base di pane e latte, il pane comprato a credito dal fornaio e il latte sempre più allungato con l’acqua per farlo durare più a lungo, gas e luce tagliati per morosità, le docce fredde, la quieta decisione del piccolo Romelu — diventare professionista al più presto possibile per aiutare la mamma, e sottrarla a quella vita umiliante. «Chiesi a che età si poteva diventare professionisti, mi dissero a sedici anni, decisi che l’avrei fatto. E che avrei giocato nell’Anderlecht». Così è stato: il debutto a sedici anni, l’Anderlecht, la Nazionale, il Manchester United e l’Inter. Ecco così allora la dedica a mamma Adolphine.
Elodie, J-Ax, Thegiornalisti: il tormentone è "sovranista". Sempre meno stranieri in classifica. Il pop in italiano conferma che il pubblico premia le nostre canzoni. Paolo Giordano, Mercoledì 31/07/2019 su Il Giornale. Prima gli italiani. Per carità, qui non si parla di politica ma di musica, quella leggera. Basta dare un'occhiata alle classifiche per accorgersi che la gara al tormentone è praticamente solo italiana, vista l'assenza quasi totale di concorrenti stranieri. Dunque, per quanto riguarda le radio, che restano sempre il vero motore di diffusione popolare del pop, nella top ten ci sono nove italiani su dieci (gli unici stranieri sono Shawn Mendez e Camila Cabello con Senorita).In testa ritorna Ostia lido di J-Ax, che è presente anche in Senza pensieri di Fabio Rovazzi al fianco di Loredana Bertè al nono posto. E poi, in ordine di apparizione nella top ten di Earone, ci sono Jambo di Takagi&Ketra con Giusy Ferreri, Nuova era di Jovanotti, Mambo salentino di Boomdabash con Alessandra Amoroso, Maradona y Pelè dei Thegiornalisti, Senorita di Shawn Mendes con Camila Cabello, Calipso di Charlie Charles con Dardust e i feat. di Fabri Fibra, Mahmood e Sfera Ebbasta, Margarita di Elodie con Marracash e Piece of your heart del trio di produttori italiani Meduza. Idem per le classifiche della Fimi: nove su dieci. A parte Senorita di Mendes e Cabello che è in testa, tutti gli altri, da Dove e quando di Benji & Fede passando per Yoshi e Ho paura di uscire del potentissimo collettivo rap Machete fino ad Ancora una volta con Fred De Palma e Ana Mena sono italiani.
In poche parole, è uno strapotere. Se si pensa alle estati degli anni Ottanta o Novanta, la controtendenza è evidente. Giusto per fare un esempio a caso, nella top ten dei singoli più venduti del 1984, c'erano soltanto due canzoni italiane (Fotoromanza di Gianna Nannini e Self control di Raf), mentre tutte le altre, da I just called to say I love you di Stevie Wonder, a All night long di Lionel Richie o Careless whisper degli Wham! erano anglosassoni. Nell'era della globalizzazione, c'è una localizzazione diffusa dei gusti, frutto anche della omogeneità di suoni e mode musicali. In sostanza, a parità di struttura musicale, specialmente d'estate vince il «tormentone» del quale si può capire il testo, cantare le parole e farle diventare di uso comune. L'anno scorso, lo ricordate?, il «vocale di dieci minuti» dei Thegiornalisti era diventato un intercalare anche nei discorsi sulle spiagge. Quest'anno i versi «cult» sono quelli adottati dal testo neorealista di J-Ax in Ostia Lido: «Tra i maschi lo sport più diffuso sulla spiaggia/ È ancora trattenere il fiato, tenere dentro la pancia/ Lui si porta i libri di Kafka/ Ma poi studia solo ogni culo che passa». E, al di là del vintage dei Thegiornalisti con «Maradona è megl' 'e Pelé» che riporta alla curva del San Paolo ai tempi di Dieguito, c'è anche il «E quando io ti guardo mentre passi, fai vibrare pure i sassi» della Nuova era di Jovanotti impegnato in un tour che passerà alla storia come uno dei più coraggiosi e divertenti degli ultimi anni (nonostante le polemiche che spesso paiono strumentali). In più, nella corsa al trono del tormentone 2019 sembrano molto ridimensionate le sonorità tipicamente trap che, fino a poche settimane fa, sembravano destinate a conquistare il mondo. Seguendo una tendenza molto più evidente in altri mercati, ad esempio quello americano, la struttura musicale della trap, già timidamente riconoscibile, si è allargata al pop. E i «portavoce» radiofonici di questa tendenza sono sparpagliati in classifica dietro a Calipso del «boss» Charlie Charles con il bravo Ghali di Turbococco che è il più trasmesso di tutti al ventesimo posto. Alla fine, il tormentone che verrà «incoronato» il 9 settembre all'Arena di Verona ai Power Hits Estate di Rtl 102.5 sarà anche stavolta italiano. Un segno (importante) dei tempi.
· Chi decide cosa ascoltiamo?
CHI DECIDE COSA ASCOLTIAMO? Lorenzo Vendemiale per il “Fatto quotidiano” il 14 Giugno 2019. "Tu decidi il tempo, il senso e la durata, il talento è fuori dalla tua portata": era il 2005 quando Renato Zero cantava Radio o non radio, atto d' accusa ai grandi network, colpevoli di scegliere la musica in base all' interesse e non al merito, determinando il successo o l' insuccesso di un pezzo, addirittura di un artista. Sono passati anni, è cambiata la scena musicale italiana e il mondo radiofonico nell' era digitale, non la polemica, dalla battaglia per le "radio pulite" di Edoardo Vianello agli attacchi di Francesco Baccini e Tosca. L'ultimo, soltanto in ordine di tempo, è Francesco De Gregori: nel suo splendido concerto alle Terme di Caracalla il cantautore ha ricordato come le sue Pezzi di vetro e Sempre e per sempre non siano mai state hit perché le radio "trasmettono solo musica di merda". Di sicuro, trasmettono sempre la stessa musica.
Prendiamo la Top Ten italiana delle rotazioni radiofoniche, registrata ogni settimana dal portale EarOne. A inizio giugno troviamo Tiziano Ferro e Elisa, Ligabue e TheGiornalisti: tutti i big che non potrebbero mancare in una hit-parade. Ancora più interessante è guardare la classifica non per cantanti, ma per etichette: le case più famose si spartiscono le migliori posizioni. Quattro per Island Records, tre per Sony, due alla Warner, una alla Virgin: praticamente un manuale Cencelli della musica. I rapporti con le major sono fondamentali, bisogna stare attenti a non scontentare nessuno. Quando esce una canzone nuova di un artista top per una grande etichetta, entra direttamente al primo posto o giù di lì; la casa discografica produce un comunicato stampa trionfale e il gioco è fatto. Il successo, tale o presunto che sia, si autoalimenta. Con i primi posti monopolizzati, però, per le piccole firme non c' è spazio. "Quello che passa in radio lo decidono le radio", diceva Laura Pausini. Sembra un' ovvietà ma non lo è. Ci sono logiche complesse, regole ben definite, una sintassi da seguire: un brano musicale ogni 2-3 minuti di parlato, la sequenza di canzoni secondo un ordine preciso. Prima un successo consolidato per agganciare l' ascoltatore, poi un disco nuovo per conquistarlo. Funziona così. "La scelta delle canzoni da passare si basa essenzialmente su due criteri: il suono e l' interesse", spiega chi in radio ci lavora da una vita. Nelle rotazioni troviamo al 50 per cento brani che la gente si aspetta di sentire (gli ascolti sono tiranni, il pubblico va accontentato), al 50 per cento brani che il network vuole "spingere". Sono interessi di vario tipo, spesso intrecciati con quelli delle case discografiche. Il più smaccato è la promozione di un cantante della propria scuderia, visto che a volte un network possiede anche una sua etichetta. Ancora più frequenti sono le partnership: se una radio sponsorizza il concerto di un artista, oppure ha il suo nuovo singolo in anteprima, lo trasmetterà più e più volte al giorno (mentre sul principale competitor lo ascolterete il minimo indispensabile). E poi ci sono i rapporti personali, i suggerimenti informali, le richieste di favori. In tutto ciò non c' è nulla di illegale.
"Si tratta solo di un discorso commerciale", conclude l' esperto. "Però il mecenatismo musicale, se mai è esistito, è finito". In questo ingranaggio restano schiacciati gli autori più giovani, le etichette minori, i pezzi di nicchia: non li ascolterete mai, o solo raramente. Le eccezioni sono poche, ancor meno i casi di chi scommette su un autore per puro gusto artistico. Certo, negli ultimi anni si sono affermati anche nuovi canali, come Spotify o Youtube, dove la musica la sceglie l' utente: da questi ascolti però agli artisti viene in tasca solo una piccola percentuale, il business resta nei circuiti tradizionali dove la radio gioca un ruolo decisivo. La stessa ondata della cosiddetta musica "indie", che ha aperto le porte a una nuova generazione di cantanti, appena ha varcato le porte del mainstream si è un po' stereotipata, tra chi ha cambiato genere o proprio etichetta per adeguarsi alle logiche dell' industria radiofonica. "Radio o non radio, questa musica raggiunge la sua meta", cantava Renato Zero. Con un grande network alle spalle però è più semplice.
· Disco rotto. Meglio Live.
DISCO ROTTO! BASTA INCISIONI, MEGLIO I LIVE. Stefano Mannucci per “il Fatto Quotidiano” il 5 agosto 2019. Sul ponte della musica sventola bandiera bianca, o quasi. Ad agitare il vessillo della resa è stata, stavolta, Sheryl Crow. Il suo nuovo album Threads uscirà il 30 agosto, ma la cantautrice ha già deciso che sarà l' ultimo. A sentir lei, la gente non ha più voglia o tempo per ascoltare un' opera articolata come una raccolta di canzoni. Ne può bastare una. Il passaggio potrebbe essere epocale, ma non lusinghiero. Ci avventuriamo verso l' era tirannica dei 45 giri virtuali, sparsi lungo il cammino di un artista senza che il vecchio long-playing ne certifichi un' ambizione più corposa? E i musicisti italiani? Si stanno rassegnando al diktat tecno-antropologico o resistono in trincea?
Lo abbiamo chiesto ad alcuni di loro. Giuliano Sangiorgi si affida all' autocitazione: "3 minuti solo 3 minuti per poterti dire cantavo e finivo così, restando sospeso tra il detto e non detto, in una canzone che sotto il vestito accomodante dell' amore nascondeva una critica alla costrizione radiofonica di avere un tempo massimo per esprimere un concetto musicale. Era il 2005, non parliamo di un passato così lontano. Erano solo 3 minuti all' epoca: oggi sembrerebbero uno spazio/tempo lunghissimo per potersi esprimere", riflette il leader dei Negramaro. E ora? "Si ha poco tempo da dedicare alle persone, immaginiamoci alla musica. Per cui, in tutto questo ridursi all' osso del tempo a disposizione, soffre anche il concetto 'antico' di album. Non si ha tempo, sembra, per l' ascolto lento e lungo di un intero lp", spiega. "Così basta un singolo per conoscere o conoscersi, in maniera superficiale e casuale. Ogni artista ha solo quei tre minuti per far capire tutto di sé e della sua visione. Un tempo lunghissimo, addirittura, considerato oggi. Un singolo brano racchiude il suo cammino. Si gioca il tutto per tutto in quei pochi minuti, ma che sembrano una carriera intera". Qual è il rischio, in un simile scenario? "Da un lato", argomenta Sangiorgi "di non riuscire a dire o cantare nulla, dall' altro c' è la sfida continua di poter creare un' opera compiuta in un tempo così piccolo. Io sono in bilico, nel mezzo. Resto un nostalgico amante del lungo periodo di gestazione che serve a partorire un album che resti e un eterno sfidante che vuole misurarsi continuamente con l' evoluzione dei tempi". Per cui? "Continuerò a scrivere gli album finché avrò tanto da dire ma profitterò della possibilità che mi si darà di dire tutto di me in solo 3 minuti. Ci proverò, sempre, a parlare la lingua del mio tempo anche quando questo sarà piccolo, così piccolo da far scomparire anche la canzone stessa".
Anche Fabrizio Moro , mentre scalda i motori per il tour, si chiede in quale modo praticare una forma di resistenza: "Inutile la nostalgia. È evidente che fra le nuove generazioni l' approccio alla musica è totalmente cambiato", ammette l' autore di Figli di nessuno. "I ragazzi si sono abituati alle playlist, sono quelle i loro album. Capisco la provocazione della Crow e di tanti colleghi che pubblicano canzoni con cadenza periodica, raccogliendole magari in un album a chiusura di un percorso prestabilito. Ma è una strategia di marketing, non un' opzione creativa", sostiene Moro. "Quanto a me, nasco sul palco, mi emoziono e gratifico molto di più in concerto che non in studio. Realizzo dischi per poter suonare dal vivo le nuove canzoni. È un privilegio al quale non rinuncerò mai, qualunque sia il destino degli album". Diodato è più pragmatico. Confida di aver concluso il lavoro sulla prossima raccolta di inediti, e intanto ha saggiato il terreno con l' ironico singolo Non ti amo più. "Sì, lo step by step mi è servito per elaborare le lunghe fasi di lavorazione di un album. A volte ti trovi con dischi freschi di uscita ma composti anni prima. Nati già vecchi. La tecnologia virtuale offre nuove chance, tutto va in quella direzione". Ma Diodato non alza le mani: "L' album resta un feticcio decisivo, anche per regalare qualcosa al pubblico. È un elemento del merchandising, come la spilla o la maglietta, ma più sostanzioso. E se il prodotto fisico rischia di morire lo salveremo col vinile".
Sulla stessa linea c' è Renzo Rubino : "Il ritorno del vinile dimostra che l' album sia un elemento fondamentale del nostro lavoro. Racchiudere in un disco un certo numero di canzoni è l' approdo di un percorso fatto di idee, registrazioni, incontri, alchimie. Però", argomenta Rubino, "rivendico il diritto di viaggiare leggeri, offrendo frammenti di quotidianità con un brano che non farà parte di nessun album, come ho fatto giorni fa con Dolce Vita. Avevo voglia di raccontare un sentimento, e l' ho fatto senza attendere un progetto più complesso", conclude Rubino. Ma che ne sarà dei cantautori di nicchia, che non sentono la pressione del mercato? Ivan Talarico , apprezzato con il suo 'gaberiano' Un elefante nella stanza, la mette giù così: "Manca la disponibilità per sentire un disco: tutto è frantumato. Ormai basta una canzone, da tenere in testa per una stagione e dimenticare per il resto della vita. E forse, in assenza di concept album indispensabili, va bene così. Ma tra poco non avremo nemmeno più tempo per pensare, o per vivere", profetizza Talarico. "La colpa però è anche nostra. Io ho appena registrato un disco ma non ho avuto il tempo di sentirlo per intero".
· Ecco come funziona l'organizzazione dei concerti live in Italia.
Valeria Costantini per il “Corriere della Sera” il 6 luglio 2019. Dieci migranti clandestini al lavoro allo stadio Olimpico per smontare il palco del concerto di Ultimo: venivano pagati quattro euro l' ora e in nero. Oltre agli stranieri però i militari del Comando provinciale della Guardia di finanza hanno certificato la presenza di ulteriori venti operai irregolari. Il blitz è scattato al termine dell' evento musicale di grande richiamo, oltre sessantamila gli spettatori accorsi per il giovane cantante romano: il pubblico stava ormai in gran parte già abbandonando l' arena quando i baschi verdi sono entrati in azione. Nel frattempo gli addetti erano al lavoro sul piazzale per le pulizie o intenti a guidare i macchinari per dividere i blocchi, con cui vengono di solito allestiti i palchi. Come da prassi per i controlli nel mondo del lavoro, i finanzieri del 3° Nucleo operativo metropolitano Roma hanno eseguito quelle che vengono definite «interviste», dialoghi informativi, con ogni singolo operaio. Non hanno impiegato molto tempo per scoprire l' ennesimo «buco nero» del mondo del lavoro. Dal monitoraggio è emerso come su oltre sessanta addetti identificati, circa trenta fossero in realtà fuori norma, nel dettaglio dieci migranti clandestini e altri venti irregolari. La maggior parte degli stranieri era di provenienza africana, alcuni originari del Bangladesh: molti di loro hanno mostrato permessi di soggiorno non a norma o scaduti, altri ne erano totalmente sprovvisti. Gli operai hanno raccontato ai finanzieri di non avere contratti veri e propri e che sarebbero stati pagati in contanti alla fine della lunga giornata di lavoro, in fondo alla quale li attendeva una paga di quattro euro l' ora. La tariffa sindacale per il settore invece è di sei euro e mezzo lordi. I controlli allo stadio Olimpico sono stati effettuati con la collaborazione della Questura, in particolare degli agenti del commissariato Prati: la task-force ha così potuto scoprire che, tra i migranti, c' era anche un cittadino della Sierra Leone già colpito da un decreto di espulsione. L' extracomunitario era stato fermato e identificato in diverse occasioni sul territorio italiano dalle forze di polizia e sempre senza permessi di soggiorno in regola, tanto da far scattare il foglio definitivo di via dall' Italia, che però ovviamente non è stato rispettato. L' attività di indagine della Finanza è tutt'ora in corso per accertare le posizioni, la regolare assunzione e la situazione contributiva e assistenziale di tutti gli addetti identificati. C' è poi il filone collegato direttamente ai responsabili dei lavoratori irregolari individuati: si indaga infatti sulla posizione delle cinque società coinvolte nella gestione logistica e nell' organizzazione del concerto. Si tratta di grandi ditte, solitamente vincitrici degli appalti per i più noti eventi musicali della Capitale e non solo. Non certo la prima operazione del genere, nell' ambito del contrasto al lavoro nero, messa a segno dalla Guardia di finanza, attiva spesso anche nell' attività di prevenzione del complesso fenomeno.
GUERRA AI BAGARINI. Andrea Sparaciari per it.businessinsider.com il 9 luglio 2019. Una nuova legge (inattuabile) voluta dal Movimento Cinque Stelle per combattere il problema del bagarinaggio online, che invece colpisce i promotor dei concerti, i quali, a loro volta, negano che il secondary ticket sia un problema e che, comunque, non propongono soluzioni serie per combatterlo…È il circolo vizioso che sta avvelenando il mondo della musica live italiana. Con la conseguenza che i primi a essere danneggiati sono gli utenti della musica live, cioè noi che andiamo a sentire i concerti, che ci ritroveremo a breve con prezzi più alti per i tagliandi, meno concerti da sentire e l’impossibilità di rivendere i biglietti dei live ai quali non possiamo partecipare. Con il bonus track (è il caso di dirlo), che il secondary ticketing continuerà a prosperare. Insomma, una storia tipicamente italiana. Per raccontarla, conviene partire dalla fine, cioè dall’entrata in vigore, il 1° luglio 2019, del “biglietto nominale obbligatorio”, introdotto in extremis con l’ultima Legge Finanziaria dall’emendamento a firma Sergio Battelli, deputato M5S, una norma simile a quella dei biglietti del calcio, i quali però divennero nominali per motivi di ordine pubblico. Con la nuova legge, per acquistare un biglietto per un qualsiasi concerto che si svolga in un luogo con capienza superiore a 5000 persone, onde evitare che i robot acquistino centinaia di tagliandi (da rivendere poi sui siti a 10 volte il costo), è prevista “l’identificazione dell’acquirente sul sistema on line attraverso registrazione di nome, cognome, data di nascita, indirizzo di posta elettronica e numero di telefono cellulare, uno per ciascun utente che sarà riscontrato ai fini della conferma nella fase di registrazione. In alternativa, chi deve comprare il biglietto può essere identificato sul sistema on line tramite la propria identità Spid”, spiega Assomusica, l’associazione dei promoter di musica dal vivo. Una buona cosa, si potrebbe pensare di primo acchito. Ma, come ha sottolineato Assomusica durante un’inedita conferenza stampa l’8 luglio scorso a Milano, che per la prima volta ha visto tutti gli organizzatori seduti allo stesso tavolo – mancava solo Claudio Trotta di Barley Arts, il promoter che per primo aveva sollevato la questione secondary ticketing, favorevole alla legge – le cose non stanno propri così. Gli organizzatori prevedono infatti un aumento medio di 8-10 euro a tagliando per le spese di sicurezza, nonché un dilatamento dei tempi di attesa ai cancelli d’ingresso prima dei concerti a causa delle operazioni di identificazione del pubblico. Non solo, con le nuove regole, il privato che intende rivendere un biglietto nominale, si troverà davanti a un percorso tortuosissimo e costoso. Non sarà infatti possibile andare su facebook e postare: “Ho due biglietti per Vasco domani sera, chi li vuole…?”. Le procedure per il cambio del nominativo dovranno passare attraverso l’Agenzia delle Entrate: l’interessato dovrà restituire il tagliando cartaceo al circuito sul quale lo ha acquistato, che lo comunicherà all’Agenzia delle Entrate, la quale annullerà il primo nome, rispedendo il tagliando al venditore, che lo rimetterà in vendita e, solo quando arriverà un secondo acquirente, il compratore originario potrà ricevere i suoi soldi, decurtati però di una percentuale, che è il costo dell’operazione. Un meccanismo perverso destinato a fallire che, tra l’altro, comporterà un abbattimento degli acquisti: chi comprerà un biglietto per un concerto magari dell’anno successivo, sapendo che se non potesse andarci, non avrà modo di rientrare della spesa, rivendendo il tagliando…?
Altro punto critico – secondo Assomusica – è che la norma Battelli esclude dal biglietto nominale “le manifestazioni sportive e gli spettacoli di attività lirica, sinfonica e cameristica, prosa, jazz, balletto, danza e circo contemporaneo”, creando una disparità di trattamento. Un confine che lascerebbe spazio a molti fraintendimenti: tanti artisti, ad esempio, oltre alla musica pop, fanno anche jazz o lirica… Per questo gli operatori della musica si sono riuniti e hanno lanciato una campagna per far cambiare le regole. “Quest’emendamento approvato nell’ultima Legge di bilancio del governo come strumento di contrasto al fenomeno del secondary ticketing – spiega il presidente di Assomusica, Vincenzo Spera, – rischia di generare soltanto un grande caos”. Lo spiraglio potrebbe essere un emendamento alla Legge sulle Fondazioni liriche da oggi in discussione: il piano di Assomusica è fare pressione e sfruttare questa occasione per “congelare” il biglietto nominale e ridiscutere interamente la faccenda. Tuttavia, ciò che Spera non dice è che se si è arrivati a questa situazione allucinante, gran parte della responsabilità ricade proprio sui suoi associati, i quali non hanno mai seriamente pensato di combattere il bagarinaggio online né fatto una sana autocritica. Ufficialmente, “per limitare il fenomeno del “bagarinaggio online” Assomusica “ha presentato di recente un esposto denuncia all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) e all’Antitrust (AGCM) per chiedere di sanzionare i siti di secondary ticketing. Si possono chiudere tutti i siti di rivendita dei biglietti o si possono utilizzare delle app che consentono di tracciare l’eventuale passaggio di mano dei biglietti già emessi. Si possono anche legalizzare questi siti facendoli passare per l’Agenzia delle Entrate e stabilire un tetto percentuale massimo per la rivendita. In Germania, ad esempio, l’Alta Corte ha stabilito il 20% massimo rispetto al prezzo di vendita. L’Italia resta di fatto l’unico Paese europeo dove sopravvive ancora il bagarinaggio, perfino nel calcio dove pure è stato introdotto da tempo, per esigenze di sicurezza, il biglietto nominativo”. Tradotto, la soluzione proposta dai promoter per combattere la piaga del bagarinaggio è chiudere i siti dei bagarini online (cosa evidentemente infattibile), oppure legalizzarlo (“perché fisiologico”, è stato detto), ponendo dei limiti al rincaro praticato sul prezzo iniziale del biglietto. “Del resto, se vuoi una cosa, ma costa cara, è tua la scelta se comprarla o meno”, ha detto un promoter durante la conferenza stampa milanese. Altri, invece, hanno affermato che i biglietti sul circuito secondario sono solo poche centinaia per concerti da decine di migliaia di posti, e che quindi si tratta di un problema marginale “ingigantito dai media”. Altra posizione assai discutibile. La condizione odierna è da imputarsi in ugual maniera alla politica e ai promoter. La prima è colpevole di aver dato una risposta sbagliata e inapplicabile a un problema reale, tuttavia ha comunque il merito di aver tentato di evitare che gli utenti siano obbligati a rivolgersi al circuito secondario perché su quello primario è impossibile comprare i biglietti, anche se l’utente è online nel momento esatto in cui questi vengono messi sul mercato. Ai secondi, invece, va la colpa di non aver mai voluto rompere i rapporti con i bagarini, perché la domanda è sempre la stessa: chi dà i tagliandi al circuito secondario…? Inutili sono state le petizioni online, le prese di distanza di (pochissimi) artisti e la battaglia di Trotta, il primo a rompere il muro del silenzio e a puntare il dito sul rapporto incestuoso tra promoter e rivenditori secondari. Una denuncia che aveva portato anche a un processo per truffa e aggiotaggio: secondo la procura di Milano, infatti, esisteva un sistema consolidato che aveva gonfiato i prezzi dei live (Coldplay e Bruce Springsteen, per esempio) mettendo in vendita tagliandi su piattaforme di bagarinaggio secondarie per trarne profitti illeciti per oltre 1 milione di euro. Sul banco degli imputati erano finiti Roberto De Luca, Antonella Lodi e Corrado Rizzotto titolari delle società “Live Nation Italia” e “Live Nation 2”, Domenico d’Alessandro di Di & Gi, Charles Stephen Roest, amministratore del sito Viagogo e la società Vivo concerti. Secondo i pm, gli indagati, fra il 2011 e il 2016 avrebbero “divulgato false informazioni” sulla disponibilità di biglietti in vendita per concerti di grande richiamo, simulando una scarsità inesistente e costringendo il pubblico ad acquistare i ticket “a un prezzo ingiustificatamente maggiorato rispetto a quello stabilito dagli artisti”. A gennaio 2019 il verdetto ha assolto tutti perché il fatto non sussiste. Intanto, però, nonostante divieti, denunce e campagne stampa, il secondary ticketing di siti come viagogo.it (dove tra l’altro oggi si trovano in libera vendita biglietti che a norma della Battelli, dovrebbero essere nominali…) continua a prosperare. E la domanda resta sempre la stessa: i biglietti chi glieli dà…?
Biglietti nominali ai concerti: perché non piacciono a quasi tutti i promoter. Assomusica dice no, ma c'è anche chi approva il ticket con nome e cognome. Come Claudio Trotta della Barley Arts... Gianni Poglio l'11 luglio 2019 su Panorama. Non si raffredda la polemica sull'introduzione del biglietto nominale per gi spettacoli dal vivo in location con una capienza superiore ai cinquemila spettatori. Assomusica, l'associazione che riunisce gli organizzatori e produttori di spettacoli di musica dal vivo sostiene che "ci saranno rincari del prezzo medio dei biglietti di 8-10 euro e tempi di attesa in coda per entrare raddoppiati". Sempre secondo Assomusica, la legge appena approvata non risolve il problema del secondary ticketing, cioè del bagarinaggio online dove i biglietti dei concerti più ambiti si trovano a prezzi lievitati. Secondo Assomusica si dovranno aprire i cancelli molto tempo prima, impegnando più personale su più turni: "Da qui l'aumento dei costi per gli spettatori" che saranno anche "costretti a code molto più lunghe, specie in occasione di grandi manifestazioni". Inoltre, "i consumatori" sostiene sempre Assomusica, "non potranno più regalare un biglietto a un familiare, amico o parente; le aziende, i fan club e i grandi gruppi organizzati, in genere, non compreranno più biglietti. Non sarà semplice nemmeno emettere i biglietti omaggio". La previsione di Assomusica è che "in questo scenario si perderanno migliaia di biglietti. Questo emendamento approvato nell'ultima legge di bilancio del Governo come strumento di contrasto al fenomeno del secondary ticketing "rischia di generare soltanto un grande caos". Diverso l'approccio alla questione da parte di Claudio Trotta della Barley Arts, da sempre impegnato nella battaglia contro il Secondary Ticketing: "Credo sia più che legittimo avere opinioni diverse su una legge che peraltro è in vigore dal Primo luglio. Forse un po' presto per definirla inefficace, e poi sulla base di che cosa? In nessun concerto, finora, c'è stata applicazione di questa legge. La normativa sul biglietto nominale riguarda la messa in vendita dei biglietti dopo il Primo Luglio. La considero una modernizzazione indispensabile" spiega. "Noi come Barley Arts stiamo predisponendo un documento online dove informeremo il pubblico sulle modalità che consentono il cambio di denominazione o la rivendita senza lucro. Entrambe le cose saranno fattibili nell'ultimo mese prima dello spettacolo, fino a 24/48 ore prima del concerto stesso. Questo è un dovere del promoter" spiega Trotta. "Il biglietto nominale è anche l'anticamera della smaterializzazione, il che rappresenta la morte della consegna a casa del biglietto fisico. Che è un costo. Il biglietto nominale è anche un valido un supporto di garanzia di sicurezza per chi frequenta i concerti. Supporta la lotta al terrorismo e in caso di incidenti permette un più rapido accesso alle cartelle cliniche dei presenti. Ecco di che cosa stiamo parlando... Il biglietto nominale, poi, limiterà anche il secondary ticketing, a patto che tutti, dal pubblico agli adetti ai lavori, svolgano correttamente il loro compito". Su posizioni lontane da quelle di Assomusica si schiera l'Unione Nazionale Consumatori, che chiede invece di applicare la legge: "Considerato quanto già costano agli spettatori i biglietti, ben sopra i costi effettivi dei concerti, qualunque rialzo sarebbe ingiustificato".
Sold out gonfiati e biglietti omaggio: la scarsa trasparenza dei concerti. Pubblicato mercoledì, 03 luglio 2019 su Corriere.it. Sold out gonfiati con biglietti omaggio. Tour che sono un trionfo soltanto nei post sui social. E un muro di omertà. Nessuno è disponibile a mostrare i numeri veri. Il modello C1 Siae, resoconto dettagliato dei tagliandi venduti e degli incassi di un concerto, viene sventolato solo in occasione di un record. Se a S. Siro si gioca Inter-Juve all’inizio viene comunicato il numero di paganti e abbonati. Se c’è un concerto non si davanti a quante persone l’artista abbia suonato. Quando le cose non vanno come il previsto, i più dignitosi tacciono, gli altri la sparano grossa. In un mondo allergico alla trasparenza, finisce per fare notizia il gesto di Ligabue: dopo un debutto di tour con il palco a metà campo per non far sembrare lo stadio vuoto e le proteste del pubblico per il ricollocamento di alcuni settori, con un post sui social ha ammesso che “l’affluenza di pubblico è inferiore alle previsioni dell’agenzia”. Unico precedente, nel 2000, la confessione di Jova su “Autobiografia di una festa”: “prende polvere nei magazzini”. La regola non detta è che al massimo e solo anni dopo i flop si trasformino in progetti non capiti dal pubblico. Vendite di album e ascolti in streaming sono certificati. I biglietti venduti no. Alla discografia ha fatto bene: dopo anni di bugie, dischi d’oro e di platino sono strumento di comunicazione e di sfida fra artisti. Negli Stati Uniti ci sono dati precisi al biglietto venduto e al dollaro incassato. I numeri italiani li custodisce Siae, ma non li diffonde senza il consenso degli interessati. E nessuno dei maggiori promoter (Live Nation, Friends & Partners, Di and Gi, Vivo…) è disponibile a fare un’operazione trasparenza.
Ecco come funziona l'organizzazione dei concerti live in Italia. Scrive il 16 aprile 2019 Striscia la Notizia. Striscia la Notizia mostra i retroscena del mondo della musica e un nome è quasi sempre presente: Ferdinando Salzano. Come funziona l’organizzazione di concerti live in Italia? Max Laudadio di Striscia la Notizia ci mostra quale sia il rapporto tra artisti, promoter e società di ticketing. In particolare i promoter (le aziende che si preoccupano di pubblicizzare l’evento) sono tutte riconducibili a Ferdinando Salzano, gestore di CTS Eventim, di cui si parlò molto anche a Sanremo. Ma la CTS Eventim e Ticketone, la società di vendita biglietti che gestisce la maggior parte degli eventi musicali live nel nostro Paese, sono finiti nell’occhio della AGCM, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, per abuso di posizione dominante, boicottaggio e ritorsione. E di queste ritorsioni – ed estorsioni – Max Laudadio ha raccolto anche una testimonianza shock. Ecco cos'ha detto un'imprenditrice all’inviato di Striscia la Notizia.
Vivo Concerti e TicketOne: sodalizio sospetto? Inchiesta di Max Laudadio (Striscia). Scrive il 18.04.2019 Davide Giancristofaro Alberti su Il Sussidiario. Si torna a parlare dei concerti live in Italia a “Striscia La Notizia”. Il noto programma satirico, nella puntata che andrà in onda questa sera attorno alle ore 20:35, tratterà nuovamente lo spinoso caso degli eventi dal vivo e delle principali società che li organizzano, leggasi Friends & Partners Group di Ferdinando Salzano, Vivo Concerti (dove lavora la moglie di Salzano, fa sapere lo stesso “Striscia”), Vertigo e Di and Gi, controllate da CTS Eventim. Tutte società che mettono in vendita i biglietti dei propri concerti tramite il famoso portale di ticketing, “TicketOne”. «Ma indovinate di chi è TicketOne?», si domanda l’inviato del tg satirico, Max Laudadio: «Principalmente di CTS Eventim, ma dentro c’è anche Salzano». Lo stesso poi precisa: «Questo non lo diciamo noi. È scritto nero su bianco sull’istruttoria dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm), che ipotizza l’abuso di posizione dominante da parte di TicketOne, CTS Eventim e tutte le società a loro collegate, accusate peraltro di aver attuato azioni di boicottaggio e ritorsione nell’organizzazione dei concerti a danno di alcune società concorrenti». Laudadio si è quindi recato da Jack Savoretti, 35enne cantante nato a Londra ma di origini italiane, informandolo del fatto che la proprietaria della struttura che ha ospitato il suo ultimo evento live, tenutosi ieri sera presso la discoteca di Milano “Fabrique”, ha denunciato un ricatto da parte della società Vivo Concerti. Perché questa denuncia? Semplicemente per il fatto che la stessa “Vivo”, avrebbe fatto pressione al Fabrique affinché tutti i biglietti venissero venduti tramite il portale TicketOne. «Non sapevo – la replica del cantante – grazie che ci hai informato, altrimenti non avrei saputo niente. Ne parlerò con la mia squadra». Insomma, sembra palesarsi all’orizzonte un “giro” un po’ strano, come del resto ipotizzato già dal Garante: questa sera Max Laudadio cercherà di fare più chiarezza.
L’ORGANIZZAZIONE DEI CONCERTI LIVE: POLEMICHE DOPO “STRISCIA LA NOTIZIA”. Scrive Sally il 22 aprile 2019 su melodicamente.com. Nei giorni scorsi nel “tg satirico” di Antonio Ricci, “Striscia la notizia”, è stato affrontato l’argomento della musica live. Max Laudadio nel servizio spiegava come funziona il mondo dei concerti e da chi viene gestito. Con una grafica ha spiegato che i promoter principali in Italia sono Friends & Partners, Vivo Concerti, Vertigo, Di & Gi, facendo notare che tutti fanno capo a Ferdinando Salzano (e CTS Eventim). Nel servizio si fa riferimento ad altre società come Zed e Live Nation e poi a TicketOne, in quanto principale servizio di ticketing. L’argomento attorno a cui ruota l’intero servizio è il modo in cui queste società hanno monopolizzato il mercato della musica live, arrivando a imporre TicketOne come unico servizio di ticketing. Tra le altre cose, la testimonianza di una promoter che avrebbe subito una vera e propria imposizione da parte di Salzano. Le accuse sono piuttosto gravi, perciò era inevitabile una risposta dai diretti interessati.
Il comunicato congiunto. Le realtà direttamente coinvolte nel servizio hanno rilasciato un comunicato congiunto per fare chiarezza sulla vicenda.
In relazione al servizio trasmesso nel corso della trasmissione “Striscia La Notizia” del 15 aprile u.s., dal titolo “L’organizzazione di concerti live”, TICKETONE e i promoter Di and Gi, FRIENDS&PARTNERS,VERTIGO, VIVO CONCERTI tengono a precisare quanto segue:
• Quanto affermato nel servizio tende a fornire una versione errata, fuorviante e diffamatoria delle attività̀ commerciali svolte da TicketOne e dai Promoter sopra citati.
• Quanto rappresentato è esclusivamente frutto di un confronto in ambito commerciale che in alcun modo coinvolge gli spettatori o gli Artisti;
• In particolare, il servizio omette di riportare, con riguardo al procedimento avviato dall’Autorità̀ Antitrust, come l’iniziativa promossa da due operatori del settore al fine di ottenere indebiti vantaggi competitivi in danno di TicketOne e dei Promoter sopra citati, abbia già visto rigettate le richieste di provvedimenti urgenti non sussistendone i presupposti.
Come sopra detto l’iniziativa verso le Società scriventi è stata avviata da due operatori del settore tra loro contrattualmente collegati, la Zed Entertainment e la società di ticketing Ticketmaster, quest’ultima controllata dalla multinazionale Live Nation (società concorrente degli scriventi Promoter), ciò che dimostra inconfutabilmente che quanto strumentalmente divulgato ha unicamente lo scopo di colpire le attività dei concorrenti;
• Si specifica inoltre che, pur facendo capo allo stesso gruppo, tutte e quattro le agenzie di live operano in maniera autonoma l’una dall’altra e, diversamente da quanto menzionato nel suddetto servizio, Ferdinando Salzano e Friends&Partners non hanno nessun interesse e/o quote societarie nelle società Di and Gi e Vertigo;
• Tutti gli artisti citati nel corso del servizio cosi come tutti quelli rappresentati dalle agenzie scriventi, sono estranei alle dinamiche commerciali che regolano la vendita dei biglietti.
Ad ogni modo le società scriventi hanno dato mandato ai propri legali di agire nelle sedi opportune a tutela della propria reputazione e della propria assoluta correttezza di comportamento in campo commerciale e di rapporto con il pubblico.
ORGANIZZAZIONE CONCERTI E COLPO DI SCENA. Scrive il 23 aprile 2019 Striscia la Notizia. Max Laudadio torna a parlare dell’organizzazione dei concerti live in Italia e delle principali società che li organizzano: Friends & Partners Group di Ferdinando Salzano, Vivo Concerti, Vertigo e Di and Gi, controllate da CTS Eventim. Inoltre, tutte mettono in vendita i biglietti dei concerti tramite TicketOne. Nel servizio vengono mostrate ulteriori dichiarazioni fatte da un’imprenditrice del settore che già aveva denunciato pressioni da parte della società di Salzano: «Si erano presi, senza nostra autorizzazione, un concerto di Alessandra Amoroso. Noi avevamo detto che non potevano confermare e ufficializzare questa data senza la nostra autorizzazione e loro invece, nonostante questo diniego scritto, si sono intestati la fiscalizzazione, cominciando anche ad incassare i soldi e mettendo in vendita i biglietti sempre e solo tramite TiketOne. Volevano anche annunciare il tour di Elisa: noi avevamo messo le mani avanti dicendo che non avrebbero potuto fare anche stavolta quello che volevano. Io – prosegue l’imprenditrice - avanzavo soldi dalla primavera 2018 su attività svolte (Biagio Antonacci, Nek-Renga-Pezzali, Laura Pausini, Claudio Baglioni, Elio e le storie tese, Gianna Nannini, Emma) e questi soldi non arrivavano mai». Fammi capire – chiede Laudadio – loro avevano bisogno delle tue strutture per fare i concerti e cosa ti hanno chiesto di preciso? «In questo incontro presso i loro uffici, a cui erano presenti anche i responsabili amministrativi di F&P e, in una parte della riunione anche Salzano, volevano le strutture e ci hanno obbligato attraverso il pagamento dei soldi dovuti». Quindi loro hanno detto o ci dai a queste condizioni i palazzetti o non ti paghiamo? Chiede l’inviato. «Si». Lo hai sentito come una forma di ricatto? «Sì. Non è la prima volta in cui vengono condizionati dei pagamenti fatturati ed esigibili del passato per trattare condizioni future». Laudadio, quindi, va a cercare Elisa per informare l’artista di questa vicenda. L’inviato di Striscia, però, viene bloccato e non gli viene data la possibilità di parlare con la cantante. Solo quando è certo che l’inviato non possa più raggiungerla, Elisa viene fatta entrare nel teatro.
Striscia la notizia, Laudadio indaga sullo scandalo dei concerti: il super big che vuole inchiodare. Scrive il 24 Aprile 2019 Libero Quotidiano. Ieri 23 aprile a Striscia la notizia (Canale 5, ore 20.35) Max Laudadio torna a parlare dell’organizzazione dei concerti live in Italia e delle principali società che li organizzano: Friends & Partners Group di Ferdinando Salzano, Vivo Concerti (dove lavora la moglie di Salzano, ndr), Vertigo e Di and Gi, controllate da CTS Eventim. Inoltre, tutte mettono in vendita i biglietti dei concerti tramite TicketOne. Salzano, manager di Claudio Baglioni, era stato messo sotto osservazione da Striscia già durante le giornate di Sanremo. Nel servizio vengono mostrate ulteriori dichiarazioni fatte da un’imprenditrice del settore che già aveva denunciato pressioni da parte della società di Salzano: «Si erano presi, senza nostra autorizzazione, un concerto di Alessandra Amoroso. Noi avevamo detto che non potevano confermare e ufficializzare questa data senza la nostra autorizzazione e loro invece, nonostante questo diniego scritto, si sono intestati la fiscalizzazione, cominciando anche ad incassare i soldi e mettendo in vendita i biglietti sempre e solo tramite TiketOne. Volevano anche annunciare il tour di Elisa: noi avevamo messo le mani avanti dicendo che non avrebbero potuto fare anche stavolta quello che volevano». "Io – prosegue l’imprenditrice - avanzavo soldi dalla primavera 2018 su attività svolte (Biagio Antonacci, Nek-Renga-Pezzali, Laura Pausini, Claudio Baglioni, Elio e le storie tese, Gianna Nannini, Emma) e questi soldi non arrivavano mai". Fammi capire – chiede Laudadio – loro avevano bisogno delle tue strutture per fare i concerti e cosa ti hanno chiesto di preciso? «In questo incontro presso i loro uffici, a cui erano presenti anche i responsabili amministrativi di F&P e, in una parte della riunione anche Salzano, volevano le strutture e ci hanno obbligato attraverso il pagamento dei soldi dovuti». Quindi loro hanno detto o ci dai a queste condizioni i palazzetti o non ti paghiamo? Chiede l’inviato. «Si». Lo hai sentito come una forma di ricatto? «Sì. Non è la prima volta in cui vengono condizionati dei pagamenti fatturati ed esigibili del passato per trattare condizioni future». Laudadio, quindi, va a cercare Elisa per informare l’artista di questa vicenda. L’inviato di Striscia, però, viene bloccato e non gli viene data la possibilità di parlare con la cantante. Solo quando è certo che l’inviato non possa più raggiungerla, Elisa viene fatta entrare nel teatro.
· Vercelli: sigilli a mille giostre in Italia autorizzate senza controlli in cambio di tangenti.
Vercelli: sigilli a mille giostre in Italia autorizzate senza controlli in cambio di tangenti. Si allarga l'inchiesta: le attrazioni nel mirino potrebbero essere 5mila, scrive Paolo Viotti su La Repubblica. Da 150 euro per tirapugni e giostrine a gettoni, fino a 250-300 euro per giostre più grandi come ruote panoramiche, piste di pattinaggio e attrazioni da luna park. Era un vero e proprio tariffario quello proposto da Mauro Ferraris, comandante della polizia municipale di Borgo d'Ale, arrestato dai carabinieri di Vercelli per corruzione e falso in atto pubblico. Il pubblico ufficiale era al centro di un imponente giro di rilascio di autorizzazioni per il funzionamento delle giostre, che avveniva senza la verifica sui requisiti di sicurezza. Al centro dell'inchiesta quasi 1.100 giostre distribuite su 88 province, ora tutte sotto sequestro. Il 'Metodo Borgo d'Alè, così è stato soprannominato dal procuratore Pier Luigi Pianta e dal sostituto Davide Pretti, era stato clonato in altri due Comuni: a La Cassa, nel Torinese, e a Montesilvano, in provincia di Pescara, dove gli intermediari arruolati dai giostrai trovavano amministratori compiacenti per il rilascio delle certificazioni. In tutto sono 36 le persone indagate, tra cui il comandante dei vigili urbani di La Cassa, e sei intermediari, ora con l'obbligo di dimora. L'inchiesta 'Luna Park' ha preso il via in seguito alla caduta di una 13enne da una giostra, nel novembre 2017 a Legnano (Milano). Il codice riportato sull'attrazione era stato rilasciato dal Comune di Borgo d'Ale; gli accertamenti avviati dall'Asl, insieme alle segnalazioni del sindaco del Comune vercellese, hanno fatto emergere uno scenario inquietante. Ferraris, a fronte di pagamenti che avvenivano a mano o con ricariche Postepay, avrebbe rilasciato quasi 1.100 codici identificativi per attrazioni collocate in tutta Italia. I giostrai che si rivolgevano al capo dei vigili trovavano in lui una scorciatoia per ottenere in poco tempo le autorizzazioni, senza dover montare o spostare le strutture. Al vaglio degli inquirenti ci sono altre 4.000-5.000 giostre con codici rilasciati in passato sempre dalla polizia municipale di Borgo d'Ale. A carico del comandante, oltre alla corruzione, sono emersi altri reati tra cui traffico di sostanze stupefacenti, detenzione illegale di armi, furto aggravato, spendita di banconote false. Dalle intercettazioni sono emerse anche minacce di ritorsione nei confronti del sindaco, che aveva notato alcune anomalie nel rilascio delle certificazioni per le giostre. E per questo si era rivolto alla stazione dei carabinieri. "Non c'è mai stato un momento - ha dichiarato il comandante dei carabinieri di Vercelli, Andrea Ronchey - in cui gli indagati si sono resi conto della gravità di quello che stavano facendo".
· La storia non detta del Carnevale di Rio.
La storia non detta del Carnevale di Rio, scrive il 25 febbraio 2019 Raphael Tsavkko Garcia su Gli Occhi della Guerra de Il Giornale. “Brasil chegou a vez de ouvir as Marias, Mahins, Marielles e Malês” (Brasile, è tempo di ascoltare tutte le Maria, Mahin, Marielle e dei Malê). Questa è una parte del testo che verrà cantato dalla Estação Primeira de Mangueira, una delle più importanti e tradizionali scuole di samba di Rio de Janeiro, durante la parata di carnevale di quest’anno, il 4 marzo. Il testo è un tributo alla lotta per la libertà, intesa sia come affrancamento dalla schiavitù (abolita nel 1888), sia come opposizione alla dittatura militare (1964-1985), sia come l’odierna lotta contro la violenza e per un Paese migliore, condotta da numerosi e coraggiosi uomini e donne brasiliani. Essa mette in luce la resistenza del popolo nero, soprattutto delle donne di colore come Marielle Franco e Luísa Mahins. Il carnevale è il più grande evento nel calendario di Rio de Janeiro. Per pochi giorni la popolazione ha l’opportunità di dimenticare i propri problemi e festeggiare nelle strade della città, indossando costumi e cantando al ritmo della samba delle proprie scuole preferite. Il carnevale è anche una fonte di reddito per migliaia di famiglie, che lavorano tutto l’anno per costruire le scenografie delle scuole di samba in un industria di vitale importanza per lo stato di Rio de Janeiro. Tuttavia, una società costantemente segnata dalla violenza, che sia delle gang della droga, delle milizie o della polizia del governo, non poteva non cantare anche i propri problemi al Sambodromo Marquês de Sapucaí. È una festa, ma profondamente radicata nelle problematiche della società di Rio de Janeiro. Merielle Franco, consigliera e attivista per i diritti umani uccisa in un’imboscata quasi un anno fa a Rio de Janeiro, e sul cui caso che ha commosso il mondo la polizia sta ancora indagando, è diventata un simbolo di resistenza, e il suo nome all’interno del Sambodromo quando la scuola Mangueira canterà del suo coraggio (e di quello di altri personaggi storici). La macchina in cui si trovava fu presa d’assalto il 14 marzo 2018 da alcuni criminali che le spararono quattro colpi alla testa e uccisero anche il suo autista, Anderson Gomes. Si sospetta che nel crimine fossero coinvolti anche membri delle milizie, gruppi protagonisti di varie attività criminali e composti soprattutto da membri delle forze di sicurezza in servizio o in pensione, che contestano la gestione delle comunità più povere di Rio de Janeiro, e che godono di grande supporto politico (lo stesso presidente brasiliano, Jair Bolsonaro, è noto per aver già espresso dichiarazioni favorevoli nei confronti di questi gruppi in passato). “Il fatto che Marielle sia il simbolo più celebrato dalla parata della scuola Mangueira può indicare l’emergere di specifiche agende, come quella femminista e antirazzista, che presagiscono, ma ancora non rappresentano pienamente, l’espressione di una più vasta presa di posizione politica da parte della popolazione”, dice Antônio Spirito Santo, musicista ed esperto di storia della Samba. Fra i vari personaggi a cui verrà reso onore, c’è anche Luísa Mahins, una ex schiava di discendenza africana che avrebbe preso parte all’organizzazione di tutte le rivolte e delle proteste degli schiavi che hanno agitato la provincia di Bahia nei primi decenni del XIX secolo, come la rivolta dei Malê. La Samba ha una lunga storia di resistenza, tuttavia “non è mai stata radicale, perché la linea dei leader delle scuole è sempre stata conciliatoria. Forse la definizione più appropriata in questo caso sarebbe quella di resilienza” spiega Spirito Santo. Ritmo nato dal popolo nero, con varie influenze provenienti dalla musica e dalle usanze africane (ma anche dai ritmi europei), la samba è la vera anima del carnevale di Rio, e le scuole di samba, strettamente legate alle comunità e ai quartieri poveri, tradizionalmente cantano storie di esclusione e lotta, di dolore e amore, e quest’anno non farà eccezione. Gabriel Borges, dottorando in letteratura con un focus sulla musica brasiliana all’Università Federale di Rio de Janeiro, afferma che “da una parte, la natura marginale del genere ha nella schiavitù uno dei suoi fondamenti d’origine. Non sorprende che la samba urbana si sia inizialmente accostata alla figura del furfante [o del vagabondo], il cui rifiuto di lavorare è dovuto agli strascichi sociali dello sfruttamento della schiavitù. D’altra parte, il genere rappresenta abbondantemente anche le aspirazioni della popolazione nera di integrarsi nella società [dei bianchi], provando a superare questo stato di emarginazione. È significativo che i pionieri del genere nella città di Rio de Janeiro cercassero di stabilire un legame con la classe media urbana e tenessero le porte aperte anche ai bianchi e ai mestizos che lavoravano come funzionari pubblici, giornalisti e intellettuali, ed anche ad altri membri della cosiddetta “società carioca”, che abbracciava le novità provenienti dalle classi subalterne”. Ecco che le scuole di samba, quindi, gli spazi della resistenza nera nelle favelas di Rio de Janeiro – gli artisti della samba furono perseguitati e criminalizzati all’inizio del secolo scorso, ma con grande fatica riuscirono a trasformare la samba e il carnevale di Rio in veri e propri simboli del Brasile -, ma anche un punto di contatto tra le classi povere e la classe media della città, un modo per mantenere in vita una tradizione dei subalterni mentre la modernità e la crescita della città di Rio si intensificano. “È molto comune nei i samba enredos (la musica delle scuole di samba, NdR), attenersi alla versione ufficiale dei personaggi e dei momenti che vogliono rappresentare, poiché solitamente è lo stato a sponsorizzare le parate. Tuttavia, anche le narrative che cercano di rendere giustizia alla lotta delle classi subalterne, fino a poco tempo fa segnate dall’emarginazione, specialmente quella della popolazione nera contro l’oppressione schiavista, hanno un impatto sul genere”, aggiunge Borges. La scuola Mangueira sfilerà nelle prime ore del 4 marzo al Marquês de Sapucaí, a Rio de Janeiro, comunicando al mondo il messaggio di Marielle, Mahíns e di altri guerrieri della libertà e della giustizia.
· La Verità in tv è femmina. Roberta Petrelluzzi; Franca Leosini; Federica Sciarelli.
La controversia tra Sciarelli e Leosini: donne contro per l’audience. Pubblicato martedì, 02 luglio 2019 da Aldo Grasso su Corriere.it. Donne contro, per un uomo. A Rai3 è in atto una controversia fra Federica Sciarelli e Franca Leosini. Motivo? La Sciarelli ha commentato, con una punta di sarcasmo, l’intervista che Antonio Ciontoli, condannato per l’omicidio del giovane Marco Vannini di Ladispoli, morto a soli 20 anni, ha rilasciato alla Leosini e che è andata in onda domenica e lunedì sera. «A noi, Antonio Ciontoli, l’intervista non l’ha mai concessa. Come si dice, fatevi una domanda e datevi una risposta», aveva tuonato in trasmissione. Già erano sorte polemiche quando del caso se n’era occupata anche Roberta Petrelluzzi, pubblicando un post di sostegno alla famiglia Ciontoli che aveva fatto indignare molti. Marco è in casa della fidanzata e mentre sta facendo il bagno viene colpito da un proiettile, partito da una pistola con cui il futuro suocero si gingillava. Dal momento dello sparo, la famiglia Ciontoli racconta un sacco di bugie incredibili che forse impediscono al giovane di salvarsi. In primo grado Ciontoli era stato condannato a 14 anni; in Appello a 5 anni per omicidio colposo. La moglie Maria Pezzillo, e i figli Federico e Martina sono stati invece condannati a tre anni. A cosa servono queste interviste della Leosini, a legittimare il fatto che la Televisione vuole sostituirsi al Tribunale? Perché un mentitore reo confesso come Antonio Ciontoli accetta di sottoporsi all’interrogatorio delle telecamere? Ne esce a pezzi ma spera forse che qualche giudice della Cassazione segua il programma e ne colga il lato umano? La stessa Leosini, a un certo punto, gli dice: lei o è un pazzo o un imbecille. La strategia di Ciontoli è di passare per imbecille? Federica Sciarelli aveva raccolto il dolore della famiglia Vannini, sconcertata per lo spazio che la Leosini avrebbe concesso a Ciontoli per chiedere perdono via etere. Donne contro, per l’audience. Sulle spoglie di un ragazzo di vent’anni ucciso non si sa per cosa.
Roberta Petrelluzzi: età, altezza, peso, marito e figli. Scrive il 26 aprile 2019 Caffeina Magazine. Roberta Petrelluzzi non è sempre stata votata alla televisione. Il suo primo amore, infatti, è stato la scienza, che l’ha portata a laurearsi in Biologia e, successivamente, a accettare un contratto da ricercatrice nel dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università La Sapienza di Roma. L’esordio sul piccolo schermo è stato il frutto di un incontro propizio tra circostanze favorevoli e talento: una selezione fortunata l’ha incoraggiata ad abbandonare camice e microscopio e, da un giorno all’altro, si è trovata catapultata negli studi di una neonata Raitre. E dagli inizi come programmista regista nelle trasmissioni regionali del Lazio si è ritrovata a indossare i panni di autrice e a firmare programmi come La posta del cittadino, Roma città-anticittà e In pretura, precursore di quella che sarebbe diventata una delle colonne portanti del palinsesto del terzo canale. Aldo Grasso ha parlato di lei come uno dei «tre volti dolenti di Raitre», simpatica etichetta che il critico ha pensato di attribuire a quel triumvirato delle signore della cronaca nera in cui, oltre a lei, figurano le ormai altrettanto iconiche Franca Leosini e Federica Sciarelli. Nel 1987 Un giorno in pretura diventa una trasmissione di prima serata e il 18 gennaio del 1988 inizia il suo lungo percorso sulla terza rete nazionale. Da semplice funzione di controllo sull’andamento della giustizia, il programma si trasforma in un grande affresco della realtà italiana. Le aule giudiziarie vengono coperte a 360 gradi dalle telecamere del programma: si passa da quelle pretorili a quelle di tribunale fino alla Corte di assise. Sono moltissimi i processi ripresi e trasmessi dal programma nel corso degli anni. Tra i tanti quello a Erich Priebke per l’eccidio delle Fosse Ardeatine, il processo nodale dell’era Tangentopoli, quello a Sergio Cusani, senza dimenticare le pagine più cupe della cronaca nera nazionale come i processi relativi alle vicende del Mostro di Firenze, ai sequestri Celadon e Soffiantini, all’omicidio di Marta Russo, al serial killer della Liguria Donato Bilancia, e i processi sulla Strage di Erba e sul Delitto di Avetrana. Negli anni di Un giorno in pretura, Roberta Petrelluzzi ha realizzato anche altri programmi che meritano di essere ricordati. Tra questi La valle del Torbido, un film inchiesta del 1993 sulle estorsioni nella Locride; Taxi Story, un mix di racconti dal vivo e ricostruzioni filmate di vicende realmente accadute a taxisti romani e napoletani; Ale`…oh…oh Roma – Inter con gli ultras tifosi ultrà della Roma e dell’Inter seguiti prima, durante e dopo la finale della Coppa UEFA 1990-1991. Sui social l’hanno innalzata a icona contemporanea ma lei, che ha un rapporto di amore e odio con la tecnologia, non si è sicuramente montata la testa. E ha incassato i numerosi complimenti ricevuti solo come riconoscimento della sua fatica professionale. In un’intervista a Tvblog, ha parlato di questa incoronazione a regina del web come di ‘’un segno dei tempi presenti, nei quali anche un’illustre, normale, banale signora può diventare icona’’. “Raccontiamo la realtà all’Italia. – ha detto la conduttrice parlando di Un giorno in pretura – Nei processi, quando ad esempio si narrano fatti di sangue, emergono le parti più profonde degli esseri umani. Ciò porta i telespettatori a discutere, perfino litigare in famiglia davanti alla televisione. La nostra formula è l’unica possibile per rendere un processo leggibile”. La conduttrice e regista Roberta Petrelluzzi è nata ad Adrara San Martino (Bergamo), il 1° gennaio 1944. È alta 160 centimetri per un peso di circa 65 chili. La vita privata della conduttrice è avvolta dal totale riserbo. Sul web non si trova alcuna notizia su mariti, compagni e figli.
Maledetta Avetrana. “Storie maledette” riparte da qui. Il caso di cronaca più mediatizzato d’Italia nelle mani di Franca Leosini diventa un genere a sé, scrive Andrea Minuz il 12 Marzo 2018 su "Il Foglio". “La lettura dell’Italia si può fare attraverso il delitto”, dice Franca Leosini che riparte da Avetrana e non ha mai scritto un romanzo, anche se molti editori glielo chiedono, anche se “per ogni storia che porto in video è come se ne avessi scritto uno”. Il romanzo c’è già. “Storie maledette” non è solo un programma fatto di interviste, ma il grande romanzo italiano a puntate che racconta pulsioni, trasformazioni e perennità di questo paese, delle sue strutture sociali, della sconfinata, profonda provincia che pensiamo di conoscere ma che non conosciamo mai davvero. Nella complessa geografia del delitto italiano (Novi Ligure, Cogne, Erba, Garlasco, Perugia) Avetrana è anzitutto il punto di non ritorno del cortocircuito tra informazione, cronaca, spettacolo; perfetta sintesi di giustizialismo, voyeurismo e ferocia dei talk-show. Qui i media non arrivarono dopo ma costruirono un’indagine parallela culminata nell’annuncio del ritrovamento del cadavere di Sarah Scazzi in diretta su “Chi l’ha visto”. Il delitto a sfondo familiare si trasformava definitivamente in reality. Ci sprofondammo tutti con un orrore via via sempre più grottesco e i negozi del Rione Sanità che vendevano il “vestito di carnevale di Zio Michele”. Un’“epopea baraccona”, come l’ha definita Franca Leosini nella prima puntata di domenica. Pensavamo di averne avuto abbastanza di Sarah, del diario, del cellulare, di Sabrina, “Zio Michele”, Cosima, Ivano. Invece è stato come entrare ad Avetrana per la prima volta. Orchestrati dentro un doppio racconto, quello di Sabrina Misseri e di sua madre Cosima Serrano, Franca Leosini intreccia i fatti come in un confronto all’americana costruito sulla parola. Al delitto ci accompagna per gradi, anzi per grandi cerchi concentrici che delineano il quadro logico-passionale degli eventi, l’ambiente, i personaggi. Perché “la forza di ‘Storie maledette’ non è il delitto ma il percorso”, come dice Leosini. La cronaca ha fretta. Lei no. C’è il preludio, lo sguardo dall’alto sul teatro dell’azione come nel romanzo dell’Ottocento, poi l’affondo sui dettagli: i “devoti sms”, i capelli bianchi di Cosima che “non vuole essere schiava della tinta”, i “crateri di cellulite” delle signore di Avetrana massaggiate da Sabrina che ha un alibi a forma di “cordon bleu” divorato di corsa il giorno del delitto e rigorosamente pronunciato “Gordon blé”. Ogni puntata lascia dietro di sé una scia di “meme” e tormentoni rilanciati in rete dai “leosiners”. Ma alla fine appare riduttivo spiegare il suo successo coi tailleur colorati, il linguaggio desueto, il piglio contemporaneamente empatico e freddo della conduzione. Casomai, in una televisione fatta di format costruiti su casting, montaggio e ospitate gratis, “Storie Maledette” è uno dei pochi programmi che punta tutto sulla scrittura. C’è la tragedia con Sabrina che rievoca i compagni di scuola che la sfottevano per la peluria ed entravano in classe con le lamette, ma ci sono anche dialoghi che sembrano usciti dalle migliori pagine della nostra commedia, non a caso detta “all’italiana” perché quasi sempre moriva qualcuno: “Nei 4.500 sms a Ivano lei appare come una questuante dell’amore”, incalza Leosini; “sì, ma avevo anche la promozione coi messaggi gratis”. Siamo davvero dalle parti di Billy Wilder. “Se tornassi indietro non farei neanche un’intervista”, dice a un certo punto Sabrina, “però così avrebbero detto che di Sarah non me ne fregava niente”. Sintesi formidabile di come le dicerie di Avetrana siano solo la versione in scala ridotta di quelle nazionali. “Il delitto di Avetrana si è compiuto in una profonda campagna secondo un modo familiare cioè contadino”, scriveva Giorgio Bocca, “ma tutti gli italiani lo hanno sentito come proprio, a smentita che la società italiana moderna abbia perso i suoi fondamenti contadini”. Ce ne siamo ricordati anche il 5 marzo.
Franca Leosini, fredda analista dei delitti, ma icona dell’empatia. I leosiners (i fan della giornalista e conduttrice) amano l’enfasi retorica consacrata alla vittima, ma amano ancor più il personaggio, vagamente démodé eppure affascinante, scrive Aldo Grasso il 12 marzo 2018 su "Il Corriere della Sera". È tornata Franca Leosini con le sue «Storie Maledette» per dedicare due puntate all’omicidio di Sarah Scazzi, la giovane di Avetrana uccisa a 15 anni il 26 maggio 2010. Lei si definisce un’instancabile indagatrice di anime, narratrice di persone che cadono nel buio della coscienza: «Capire, dubitare, raccontare: mai come in questo caso i miei verbi, quelli che frequento di più, come scelta narrativa, etica e di rigore, si sono confermati importanti». Anche in Dino Buzzati c’era sempre questa tensione al tragico attraverso il patetico (ogni delitto che raccontava era patetico, letteralmente un’esplosione di sofferenza), questo bisogno di tradurre l’angoscia più cupa dell’esistenza in un teatro del quotidiano. Per questo la sua scrittura cercava continuamente una mediazione estetica per non cedere al dolorismo, per non assecondare la nostra morbosità nei confronti dell’orrore. Qual è lo stile di Franca Leosini? Uno stile, per altro, ormai così riconosciuto che le ha meritato un invito al Festival di Sanremo di Claudio Baglioni (la gag è stata alquanto modesta, in verità). La Leosini è una sgobbona, bisogna ammetterlo: prima di incontrare Sabrina Misseri e Cosima Serrano, cugina e zia della vittima, condannate all’ergastolo e recluse nel carcere di Taranto, la giornalista napoletana ha studiato tutte le carte del processo. Poi scrive, scrive e in trasmissione legge tutto (più radio che tv): è il suo modo di fare letteratura, anche se ho molti dubbi sulla tenuta stilistica della sua prosa, piena di barocchismi («ardori lombari», «bipede sgualcito»), e sul suo marcato sociologismo (il vero colpevole è sempre il contesto). I leosiners (i suoi numerosi fans) amano l’enfasi retorica consacrata fatalmente alla vittima, ma amano ancora di più il personaggio, vagamente fuori moda eppur affascinante, fredda analista dei delitti eppur icona dell’empatia.
Classica eppure modernissima, la giornalista e conduttrice di «Storie maledette» è diventata un’icona sui social network, scrive Chiara Maffioletti l'11 marzo 2018 su "Il Corriere della Sera". Il suo programma, «Storie maledette», è in onda dal 1994: e questa sera torna in onda alle 21.25 su RaiTre. Ma solo negli ultimi anni, quelli dei social network, la giornalista e conduttrice è diventata un fenomeno cult. Tutti la amano, tutti la commentano. Il suo stile — impeccabile — è diventato, nel suo essere senza tempo, il segreto della sua modernità. Lontana dai social eppure mai così presente, protagonista, Leosini è oggi un’icona. Dopo essere stata anche guest star al cinema — nella commedia «Come un gatto in tangenziale» —, e al Festival di Sanremo (dove è stata protagonista di una gag con Claudio Baglioni — Franca Leosini è pronta a tornare in onda. «Lo ammetto: la tv, la fiction e il cinema mi corteggiano. Ma non partecipo mai ai talk show, con tutto il rispetto per i colleghi che fanno un lavoro meraviglioso, faticoso, spesso quotidiano. E sono così cari da accettare i miei no. Al cinema ho detto sì al film di Riccardo Milani perché, al di là della grande amicizia che mi lega a Paola Cortellesi, ero me stessa. Non ho mai voluto, invece, interpretare ruoli». E a proposito dell’affetto straordinario del pubblico, ha fatto sapere che «mi riempie il cuore e mi dà tanta forza di lavorare». Il suo programma riparte con due puntate dedicate al delitto di Avetrana, all’omicidio di Sarah Scazzi, a Sabrina Misseri e alla madre Cosima. «Ho letto 10 mila pagine di processo, dalla prima all’ultima parola. Sul piano personale e professionale, ogni storia che racconto è un percorso umano, giudiziario e ambientale faticosissimo: non cerco la verità, che è compito di inquirenti e magistrati, cerco di capire, a volte arrivando a una verità che non è sempre quella storica e processuale. Penso che la storia dell’Italia si possa leggere anche attraverso i delitti». A gratificarla è soprattutto «l’affetto dei ragazzi, che seguono la trasmissione con amore e con grande attenzione al linguaggio, una responsabilità enorme per chi fa questo mestiere».
Franca Leosini: ecco chi è la giornalista di Storie Maledette, star sui social, scrive "Popcorntv.it". Franca Leosini, giornalista e conduttrice di Storie Maledette, è seguitissima sui social e ha anche un gruppo di fan che si fa chiamare Leosiners. Fredda e distaccata ma precisa e pungente: ecco chi è Franca Leosini, giornalista e conduttrice tv, diventata un vero e proprio idolo sui social tanto da avere anche un suo esercito di fan che si è ribattezzato Leosiners. Sono tantissimi i personaggi che Franca Leosini, nel suo programma Storie Maledette, in onda dal 1994 tutte le domeniche in prima serata su Raitre, ha intervistato: tra questi anche Sabrina Misseri e Cosima Serrano, condannate all'ergastolo per l'uccisione di Sarah Scazzi.
Chi è Franca Leosini. Una delle prime curiosità sul conto di Franca Leosini è legata alla sua data di nascita, eh sì perché secondo alcune biografie ufficiali la nota giornalista sarebbe nata nel 1949, anche se nell'annuario dei giornalisti è riportato 1934. Nonostante questo, la Leosini è nata a Napoli il 16 marzo e il suo cognome è Lando, Leosini è il suo cognome, invece, da coniugata.
Franca Leosini: carriera. Nel 1974 Franca Leosini ha conseguito il tesserino da giornalista pubblicista, regolarmente iscritta presso l'albo della Campania. Fin da piccola è sempre stata una grande studiosa e appassionata della lingua italiana e così dopo il diploma ha scelto di proseguire gli studi e di laurearsi in Lettere Moderne. Il suo primissimo lavoro è stato presso l'Espresso, collaborando per il settore della cultura, e subito ha cominciato ad occuparsi non solo di interviste ma di vere e proprie inchieste. Nel 1974, inoltre, la Leosini si è occupata dell'inchiesta denominata Le zie di Sicilia, in cui Leonardo Sciascia ha accusato le donne dello sviluppo della mafia. Non tutti lo sanno ma Franca Leosini, per un periodo, è stata anche direttrice di Cosmopolitan e ha curato la terza pagina de Il Tempo.
Franca Leosini: le frasi. Franca Leosini è considerata una vera e propria superstar sul web. In tantissimi, infatti, su twitter non perdono occasione non solo di farle i complimenti ma anche di esaltare il suo operato, le sue interviste e il suo modo di parlare, ciò che più incanta gli internauti. Basti pensare che su Facebook esiste una pagina intitolata Le perle Franca Leosini, che conta oltre 8mila like, in cui vengono riportati tutti i suoi tormentoni, come: «Questo lo dice lei».
Curiosità su Franca Leosini. Franca Leosini, nel 2013, è stata eletta come icona gay della serata romana Muccassassina. Franca Leosini a DM: «Ho studiato 10 mila pagine di processo per intervistare Sabrina e Cosima Misseri. Detesto la parola femminicidio», scrive mercoledì 7 marzo 2018 Mattia Buonocore su "Davide Maggio". “Era un puntino tenue sulla mappa di Puglia, Avetrana. Fino a quando, alla fine di agosto del 2010, una ragazzina che ha i capelli biondi come spighe di grano, improvvisamente, scompare”. Con queste parole Franca Leosini inizia il suo racconto del caso Scazzi, la triste vicenda di cronaca nera che ha toccato l’Italia intera. Le interviste a Sabrina e Cosima Misseri terranno banco nel nuovo ciclo di Storie Maledette, al via domenica 11 marzo in prima serata su Rai3. DavideMaggio.it ha incontrato Franca Leosini.
Cosa dobbiamo aspettarci dalla nuova stagione di Storie Maledette?
«Di vederlo. Io non faccio mai anticipazioni, è una cosa che definirei anche di cattivo gusto. Nel senso che è una trasmissione che va vista, seguita. Per fortuna viene seguita con grande amore, il che mi gratifica molto. E mi gratifica moltissimo il fatto che sia seguita da fasce sociali completamente differenziate, difformi, e soprattutto sia seguita dai ragazzini. I leosiners sono dei ragazzini e questa è una cosa straordinaria perchè il mio non è un varietà, la mia è una trasmissione impegnativa. I ragazzi purtroppo stanno perdendo l’uso del linguaggio a furia di stare su twitter e di scrivere messaggini; mi dicono che seguono Storie Maledette perchè a loro piace il linguaggio. C’è sicuramente un linguaggio non povero, e noi siamo dei modelli, chi ci ascolta ci imita. Così come ci imitano come siamo vestiti, ci imitano anche con il linguaggio. Questa è una cosa che mi gratifica. E’ una trasmissione difficile la mia».
In questo ciclo di puntate si parlerà del caso Scazzi.
«Saranno due puntate, con due protagoniste che sono Sabrina e la madre. Diciamo che il Professore Coppi, che è l’avvocato principe, mi ha fatto studiare diecimila pagine di processo. Gli editori, che sono sempre così gentili con me, mi sollecitano a scrivere libri ma io scrivo un libro ogni volta che faccio una storia maledetta. E’ un lavoro anzitutto molto capillare di studio del processo, della psicologia dei personaggi, della cultura dell’ambiente e anche diciamo proprio del luogo; dico e ripeto, è molto importante la cultura del posto. Una lettura del paese si potrebbe fare anche attraverso i delitti, perchè tante cose si verificano in una parte di Italia e in un’altra no? Tornando al mio lavoro, io faccio poche puntate, con grande disperazione dei miei direttori proprio perchè è ogni puntata è una struttura narrativa, un grande romanzo – parliamoci chiaro – del quale io sono l’autore unico. E’ un lavoro molto complesso, d’altronde la cosa che mi gratifica è che l’apprezzamento c’è».
E’ un’anomalia il fatto anche di avere due ospiti conosciute.
«Ho avuto tanto riscontro – la parola successo la rifuggo, preferisco parlare di risultati, quando mi dicono: “sei una donna di successo”, dico: “ho avuto dei risultati mai successo” – con casi assolutamente sconosciuti. Un caso come quello Scazzi è quasi una vicenda del secolo, per il retrogusto di questa storia».
Va in onda nella prima serata della domenica.
«E’ una scelta del direttore. Io avrei preferito un’altra serata, logicamente è il direttore che sceglie e io sono un soldato di Rai3».
Tu sei anche molto legata alla seconda serata.
«Ho amato molto la seconda serata, ma ci sono dei casi talmente forti che sai… A suo tempo – Storie Maledette ha 20 anni – quando andai da Guglielmi a dire: “Vorrei fare Storie Maledette”. Lui mi disse: “Il titolo mi piace vediamo cosa ci metti dentro”. Ci ho messo dentro Storie Maledette. Lui voleva già da allora la prima serata e io mio sono battuta per la seconda serata. Ci sono dei casi che sono veramente molto forti, romanzati».
Tuo marito cosa ti ha detto quando gli hai detto: “Mi accompagni a Sanremo”?
«Lui è molto carino con me. E’ stata un’occasione per stare insieme perchè oltretutto lui vive a Napoli. A suo tempo, mi ricordo ci furono le targhe alterne. Una mia amica mi disse: “come va con tuo marito?”. Le risposi: “Ci vediamo a targhe alterne quindi è stata anche un’occasione per stare insieme”».
Il fatto di essere una donna ti aiuta nel tuo lavoro.
«Forse noi donne abbiamo quel sesto senso in più, quella capacità di capire anche le debolezze che gli uomini non individuano o non accettano».
Si parla molto di donne in questo periodo.
«Purtroppo ora è diventato un argomento di grande attualità, giustamente ora presente sul mercato delle idee, dei sentimenti e dei progetti. Logicamente la violenza sulle donne ha radici antiche ed è indubbiamente aumentata nel momento in cui le donne hanno cominciato a scegliere per la loro vita, per il loro destino. Le donne vivevano quello che era il ricatto economico, logicamente hanno raggiunto un’indipendenza che le consente di scegliere per il destino delle coppie. Purtroppo le liti nascono sempre dal rifiuto di una donna di accettare il progetto dell’uomo, bisognerebbe educare l’uomo prima di educare la donna. Ad esempio se c’è un termine che detesto è femminicidio perchè dico che la donna è anzitutto è persona, quindi non è femmina. Non si dice maschicidio».
"Al supermercato so quando entro ma non quando esco, faccio selfie tutto il giorno". Franca Leosini torna su Rai3 con una nuova stagione di Storie Maledette con un doppio appuntamento domenicale dedicato alle interviste di Sabrina Misseri e Cosima Serrano, scrive il 7 marzo 2018 Sebastiano Cascone su “Il Sussidiario”. Franca Leosini torna, su Rai3, al timone di Storie Maledette, dall’11 marzo con tre puntate, le prime due, dedicate all'omicidio di Avetrana e intitolate "Sarah Scazzi: quei venti minuti per morire", con le interviste esclusive a Sabrina Misseri e la mamma Cosima Serrano: "L’omicidio di Avetrana fa parte della cultura e della storia giudiziaria e umana di un Paese. Ma è stata anche una vicenda televisiva, che ha diviso nella passione del giudizio. Con i risvolti umani e le inquietudini che si è portata dietro" ha confessato la giornalista al settimanale Tv Sorrisi e Canzoni in edicola questa settimana. La conduttrice napoletana sceglie con scrupolosa attenzione le storie dei protagonisti che vuole intervistare per dare un occhio totale della realtà dei fatti: "La parola importante è “rispetto”. Anche per i loro errori. Mi accosto a questi personaggi non per giudicare, ma per capire. Capire cosa è successo nella loro vita per farli precipitare nel baratro di una storia maledetta. Sono persone come noi, può succedere a tutti: ci sono momenti in cui la consapevolezza si smarrisce. Il limite tra giusto e sbagliato è gelatinoso… Queste persone accettano di scendere con me nell’inferno del loro passato".
LA SCELTA DELLE STORIE E DEI PROTAGONISTI. Franca Leosini ha rivelato, per la prima volta, l'iter, per la scelta delle storie dei vari protagonisti: "Scrivo a mano una lettera in carcere alla persona che vorrei incontrare. È importante che veda la mia calligrafia, per stabilire subito un rapporto umano. Poi sento l’avvocato, che ha sempre un breve ruolo nella puntata perché ci sono problemi tecnici che deve risolvere. Quanto a me, cerco di non far capire quello che penso: il mio ruolo è doverosamente super partes". Poi, inizia il complicato percorso dei permessi fino all'incontro con l'intervistato, della durata di un giorno, per creare il giusto feeling. Da lì, passano tre quattro mesi per "studiare gli atti del processo, scrivere dalla prima faccio anche un lavoro di solfeggio, proprio come su uno spartito musicale: intonazione della voce, pause, all’ultima parola, creare la struttura narrativa". Un lavoro che richiede, quindi, tempo e la giusta concentrazione per mettere a punto un prodotto qualitativamente alto che non delude le aspettative degli affezionati telespettatori. Il segreto? Non anticipare mai le puntate ai diretti interessati per rendere il tutto più fluido e naturale possibile.
L'AMORE DEI LEOSINERS. Franca Leosini, recentemente ospite del Festival di Sanremo per una gag molto divertente con Claudio Baglioni, ha un folto seguito di fedelissimi sulla rete che non perdono una puntata di Storie Maledette. La giornalista è orgogliosa di un consenso trasversale che abbraccia diverse generazioni: "Al supermercato so quando entro ma non quando esco. L’ultima volta non sono riuscita a comprare neanche un pomodoro, perché ho fatto selfie tutto il tempo. Ma lo faccio con gioia. Oltre che un piacere, è un dovere dare al pubblico tempo e attenzione". I Leosiners sono un gruppo molto numeroso che, compatto, scalpita per la messa in onda delle nuove attesissime puntate (eccezionalmente alla domenica sera): "Siamo dei modelli e siamo imitati per come ci comportiamo. Se abbiamo un linguaggio che non è povero, trasmettiamo quella ricchezza a chi ci ascolta. E la cosa che mi gratifica è che i “leosiners”, che sono giovani e di tutte le estrazioni, amano quel linguaggio".
Leosini, racconto luci e ombre dell'omicidio Scazzi. Torna Storie Maledette da domenica 11 marzo su Rai3, scrive Angela Majoli il 9 marzo 2018 su "Ansa". "Capire, dubitare, raccontare: mai come in questo caso i miei verbi, quelli che frequento di più, come scelta narrativa, etica e di rigore, si sono confermati importanti". Instancabile indagatrice di anime, scrupolosa narratrice di persone che cadono nel buio della coscienza, Franca Leosini torna con la 16/a edizione di Storie maledette, domenica 11 marzo in prima serata su Rai3, e dedica due puntate all'omicidio di Sarah Scazzi, la giovane di Avetrana uccisa a 15 anni il 26 maggio 2010. Prima di incontrare Sabrina Misseri e Cosima Serrano, cugina e zia della vittima, condannate all'ergastolo e recluse nel carcere di Taranto, la giornalista napoletana ha "studiato 10 mila pagine di processo: non faccio cronaca - spiega - svolgo un percorso che va in profondità nella storia dei protagonisti della vicenda e nell'ambiente in cui si è svolta. Ho disegnato un pannello che affonda le radici non solo nella realtà umana dei personaggi, ma anche nell'humus circostante. La cronaca non ha tempo, mentre io vado in verticale". Pur avendo incontrato Sabrina e Cosima separatamente, "perché altrimenti si sarebbero influenzate a vicenda", Leosini ha creato però "una sceneggiatura nella quale interagiscono", intrecciandone le testimonianze. "E' stato molto difficile non soltanto studiare gli atti, ma anche ricostruire la storia, vederne i risvolti, con luci e ombre, perché è una vicenda particolarmente complessa per la molteplicità e la poliedricità dei personaggi. C'è Sarah, questa creatura sottile come un gambo di sedano, con i capelli biondi come spighe di grano, che a un certo punto scompare. Ci sono Sabrina e Cosima, ma c'è anche Michele Misseri (marito di Cosima, ndr), una figura terza ma anche il motore mobile della vicenda, che parla un linguaggio tutto suo, il misserese. E poi c'è Ivano (che sarebbe stato il movente della gelosia di Sabrina nei confronti della cugina, ndr), trascinato in una storia in cui non ha responsabilità ma ha un ruolo da protagonista. E poi la madre di Sarah". Due puntate per raccontare "un delitto di cui si sa tanto e poco nello stesso tempo, perché ne esistono tante versioni", sottolinea Leosini, convinta che "il senso di una storia possa nascondersi nei dettagli. La verità storica e quella processuale non sempre coincidono: i miei interlocutori parlano liberamente, ma io devo sempre tener presente gli atti. Le sentenze in democrazia si discutono, ma bisogna rispettarle". Il nuovo ciclo di Storie maledette avrà una terza puntata, "mentre la quarta è caduta - spiega la giornalista - perché il protagonista, un uomo, mi ha chiesto le domande in anticipo. Ma io non patteggio mai nulla: tutto deve essere vero, spontaneo, anche se poi si interviene con il montaggio. E così ho preferito annullare l'incontro, pur avendo lavorato tantissimo". Un lavoro preparatorio che passa anche per il solfeggio dei testi, abitudine 'svelata' dagli stessi redattori del programma: "Per me la parola conta moltissimo, vivo la prosa come musica, ecco perché - spiega Leosini - solfeggio i testi", raccolti in un librone che è diventato una leggenda. Solfeggiato era anche il copione del suo intervento sul palco di Sanremo, accanto a Baglioni: "Quando Claudio lo ha visto, non riusciva a crederci. E' stata un'esperienza straordinaria, ho avuto commenti talmente lusinghieri che Sting, a confronto - dice ridendo - si è rivelato un dilettante". Quella 'maglietta fina' di Questo piccolo grande amore trasformata in 'storia maledetta' ha rafforzato l'affetto del pubblico per la giornalista, osannata dal web, adorata dai 'leosiners' che sono soprattutto giovani: "E' una responsabilità, uno stimolo, una motivazione in più. Il successo? E' una parola effimera. Forse la gente mi ama perché, al di là del mio impegno, sente che sono una persona semplice".
"Con Cosima e Sabrina vi racconto la verità sull'inferno di Avetrana". Stasera a «Storie Maledette» il colloquio in cella. «Ma i pedofili mai: non voglio mostri», scrive Paolo Scotti, Domenica 11/03/2018, su "Il Giornale". Si dice che prima d'indagare sui misteri altrui ci si debba interrogare sul proprio. E l'enigma che avvolge Franca Leosini inesorabile investigatrice delle anime nere di Storie maledette (da stasera alle 21,20 su Raitre) - è: come può una garbata signora provare interesse per i mostri che intervista? «Le mie non sono interviste ma incontri. E quelli che incontro non sono mostri ma uomini caduti nelle tenebre del male».
Signora Leosini: stasera lei avvicinerà Sabrina Misseri e sua madre Cosima Serrano, entrambe all'ergastolo per l'omicidio di Sarah Scazzi. Cosa prova di fonte a persone simili? Curiosità? Rabbia? Pietà?
«Innanzitutto rispetto. E poi, spesso, compassione. I delitti non si giustificano mai. Però si devono interpretare. Capire è un dovere. Io non sono un pubblico ministero. Sono un'indagatrice dell'anima».
Insomma la pensa come Papa Francesco, che ai carcerati disse «Potrei essere al posto vostro».
«Esattamente. Un cuore di tenebra batte nel petto di ciascuno di noi. Non m'interessa il criminale in quanto tale: è l'uomo, che voglio indagare. Il mostro assoluto no: per questo non ho mai incontrato un pedofilo».
Ma loro perché l'incontrano? Un'estrema speranza di riabilitazione? Un insperato processo d'appello?
«Un po' tutte queste cose. Certo: loro sanno che ne avranno un restauro d'immagine. Chi accetta di scendere con me nell'inferno del passato, spera di gettare un ponte fra sé e la società nella quale, prima o poi, è destinato a ritornare».
E lei? Non prova alcuna inquietudine, neppure un po' di malessere, dopo essersi immersa in queste storie?
«Le vivo come psicodrammi. Dopo aver conosciuto la Misseri e la Serrano non ho chiuso occhio. La verità è che il callo non lo fai mai. Quando Mary Patrizio spiegò nei dettagli come uccise il figlio di cinque mesi, ricorsi a tutto il mio coraggio per non scoppiare a piangere».
Da Angelo Izzo a Patrizia Gucci a Pino Pelosi. Quanti di loro si dichiarano innocenti e quanti ammettono la colpa?
«Diciamo metà e metà. La verità vera non sempre coincide con quella processuale. Per ottenerla talvolta pongo domande durissime. I miei amici si stupiscono che io non riceva come risposta un cazzotto in faccia».
E le risposte sono davvero sincere? Mai dubitato d'essere ingannata, forse strumentalizzata?
«Una volta sola, con una donna molto celebre. Ma io sono ferratissima: studio per mesi tutti gli atti processuali, solo per Avetrana diecimila pagine di faldoni. Non gliela feci passare liscia».
E non teme di sottoporre i suoi spettatori al fascino del male? O di rendere i suoi ospiti degli eroi negativi?
«Quel fascino lo ha già abbondantemente esercitato la cronaca nera, che il male lo strumentalizza in innumerevoli programmi, da mattina a sera. Io cerco invece di capirlo. C'è una bella differenza».
I suoi incontri favoriscono in queste persone una presa di coscienza? Magari l'inizio di una redenzione?
«Ecco la mia soddisfazione più grande! Con molti di loro resto in contatto epistolare: Quante cose ho capito di me e di quel che ho fatto, mi scrivono. Fabio Savi, il capo della banda della Uno Bianca, mi scrisse d'essersi profondamente pentito. Ma mi chiese di non parlarne, e io mi astenni. Ho fatto cose troppo terribili perché possa permettermi di dire pubblicamente che ne sono pentito».
«Storie Maledette», Franca Leosini torna in tv e Twitter impazzisce per lei, scrive il 12 marzo 2018 “Il Corriere della Sera”. Ci sono “gli ardori lombari” dell’incauto giovanotto. E “l’immobile geografia del mistero”. E c’è soprattutto lei, Franca Leosini. Che a “Storie maledette” ripercorre uno dei delitti che più hanno sconvolto l’opinione pubblica degli ultimi anni, quello di Avetrana. Intervista in carcere Cosima Serrano e Sabrina Misseri, ma a conquistare il web è il modo, in cui la conduttrice racconta la vicenda e interpella le due. Così Ivano Russo diventa “l’incauto giovanotto”, e Sabrina “sentimentalmente genuflessa”.
Animazioni, vignette, su Twitter Franca Leosini diventa subito una star. Franca Leosini e le sue metafore su Sarah Scazzi. Sul web è trionfo, scrive lunedì 12 marzo 2018 "Il Secoloditalia.it". E’ stato un ritorno in grande stile quello di Franca Leosini su Raitre con le sue Storie maledette. La puntata di esordio del programma ha avuto al centro il giallo di Avetrana con le interviste a Sabrina Misseri e Cosima Serrano, condannate all’ergastolo per l’omicidio di Sarah Scazzi. Il segreto del successo della Leosini sta nel suo modo sarcastico e arguto di porre le domande. “Mi accosto a questi personaggi – ha spiegato lei stessa – non per giudicare, ma per capire. Capire cosa è successo nella loro vita per farli precipitare nel baratro di una storia maledetta”. Sui social i fan si sono scatenati nel commentare la puntata e soprattutto il linguaggio usato dalla giornalista, che già nell’introdurre il tema ha fatto ricorso alle sue celebri metafore: “Quando scompari misteriosamente in un giorno d’estate, subito hai diritto a una biografia. Anche se hai solo 15 anni, se sei sottile come un gambo di sedano e ti chiami Sarah”. E ancora: “Era un puntino tenue sulla mappa di Puglia, Avetrana. Fino a quando, alla fine di agosto del 2010, una ragazzina che ha i capelli biondi come spighe di grano, improvvisamente, scompare”.
Storie Maledette: dagli «ardori lombari» ai «crateri di cellulite». Ecco le frasi cult della Leosini sul caso Scazzi, scrive lunedì 12 marzo 2018 Giovanni Rossi su "Davide Maggio". Franca Leosini torna a parlare e far parlare. Nella prima puntata del 2018 di Storie Maledette la giornalista ha intervistato Sabrina Misseri e Cosima Serrano, in carcere per la morte di Sarah Scazzi. E nella lunga intervista in onda ieri sera su Rai 3 (di cui è stata trasmessa solo la prima parte) la Leosini ha sfoderato una serie di espressioni che conferma, ancora una volta, come il suo stile così arzigogolato sia un marchio di fabbrica in grado di catalizzare l’attenzione del pubblico. Ecco quindi una rassegna delle frasi “cult” pronunciate da Franca Leosini nel corso della prima puntata di Storie Maledette 2018.
La frase emblema della serata è quella in cui Franca chiede a Sabrina Misseri come ci si sente ad essere rifiutate durante un approccio sessuale: “L’incauto giovanotto, mentre - frenando i suoi ardori lombari – s’inforcava le mutande, come si giustificava con lei?”.
Poco prima la giornalista aveva stuzzicato Sabrina – secondo lei “sentimentalmente genuflessa” -, per farsi dire che tra lei e Ivano ci fosse qualcosa in più di una semplice amicizia: “Lei praticava massaggi a Ivano Russo, ma sembra che a muovere le mani con efficacia felicemente terapeutica fosse anche Ivano Russo su di lei”.
E ancora, non riuscendosi a spiegare il successo riscosso da Ivano tra le ragazze di Avetrana, Franca dice che “Brad Pitt in confronto sembra un bipede sgualcito”. Il giovane viene definito anche: “A portata di cazzeggio”. Poi, rivolgendosi a Sabrina, parlando della sua presunta ingenuità, le confessa: “Lei è proprio una babbalona. Ma perché chiacchierava tanto?” .
Sul suo rapporto con il “Delon” di Avetrana, Franca chiede alla galeotta: «Flaiano ha scritto “i grandi amori si annunziano in un modo solo: appena lo vedi dici chi è questo stronzo?”. Con Ivano a lei è accaduto questo, Sabrina?».
Altra perla della serata è quella relativa alla professione di estetista svolta dalla Misseri all’epoca dei fatti. Franca Leosini vuole sapere: “Al di là di spianare crateri di cellulite sulle cosce delle signore di Avetrana, lei che faceva?”.
E sempre su tale argomento si lascia andare a una considerazione: “Oggi anche per spremere una foruncolo ci vuole un master”.
La giornalista definisce l’intera vicenda una “epopea baraccona”, e parla delle voci di paese come di “becera chiacchierologia”. Arriva addirittura a rabbrividire per il congiuntivo sbagliato usato da Sarah Scazzi sulle pagine del suo diario: A proposito del diario della vittima, quando Sabrina Misseri sembra mentire sulle intenzioni che l’avrebbero spinta a leggerlo, Franca Leosini chiede elegantemente: “Mi permette di dubitarne?”. La giornalista ironizza su un colorito diverbio via sms tra Sabrina e Ivano e lo descrive come “uno scambio di opinioni di alto livello”, poi chiosa con un “Del senno di poi sono piene le fosse” davanti al pentimento della Misseri per aver rilasciato troppe dichiarazioni al tempo dei fatti. Non mancano nemmeno le similitudini religiose: “Dopo 40 giorni, 40 come una buia Quaresima, c’è un primo, clamoroso colpo di scena che scompagina l’immobile geografia di quel mistero”.
Franca Leosini intervista Sabrina Misseri e le sue citazioni conquistano il web. La prima puntata della nuova edizione di Storie Maledette è stata dedicata al delitto di Avetrana, scrive Giuseppe D'Alto, Esperto di Tv e Gossip, su "it.blastingnews.com" il 12 marzo 2018. Dopo il duetto canoro conClaudio Baglioni a Sanremo, #franca leosini è tornata protagonista della prima serata di Rai 3 con #storie maledette, con uno dei casi più dibattuti e controversi della cronaca italiana: il delitto di Avetrana. La giornalista ha riferito di aver studiato diecimila atti processuali prima di intervistare Sabrina Misseri e Cosima Serrano, condannate all’ergastolo per la morte di Sarah Scazzi. Dopo averle incontrate non ho chiuso occhio, ha riferito a Il Giornale. La Leosini ha riavvolto il nastro ed ha provato a ripercorrere passo dopo passo con la Misseri quella tragica estate di otto anni fa. ‘Era un puntino tenue sulla mappa di Puglia, Avetrana.
Fino a quando, alla fine di agosto del 2010, una ragazzina con i capelli biondi come spighe di grano, improvvisamente, scomparve‘. L’eleganza e la raffinatezza con la quale la conduttrice ha affrontato il delicato argomento hanno reso ancora più affascinante narrazione e intervista. La giornalista è passata con eleganza da un linguaggio forbito a quello più popolare per trattare argomenti più intimi e stimolare l’interlocutrice.
Frasi e citazioni sono diventate virali. Frasi e sottolineature che sono diventate subito virali sul web, con Storie Maledette che ha conquistato rapidamente la topic trend di Twitter. Facendo riferimento all’attività di estetista della Misseri, la Leosini ha sarcasticamente affermato: Oggi anche per un foruncolo sembra ci voglia il master. In riferimento al flirt della cugina di Sarah con Ivano la conduttrice ha citato Flaiano: I grandi amori si annunziano in un modo solo: appena lo vedi dici chi è questo stronzo? Sul rapporto con il ragazzo, la Leosini si è soffermata a lungo nel corso della prima parte dell’intervista con Sabrina: Lei praticava massaggi a Ivano Russo, ma sembra che a muovere le mani con efficacia felicemente terapeutica fosse anche Ivano Russo su di lei.
Io e Sarah vittime di bullismo. La descrizione dell’incontro in auto della Leosini è stato definito un capolavoro dai numerosi seguaci di Storie Maledette: L’incauto giovanotto, mentre frenando i suoi ardori lombari s'inforcava le mutande, come si giustifica con lei? Dall’altra parte Sabrina ha spiegato che Sarah era la sorella che non aveva mai avuto ed ha rivelato che entrambe sono state vittime di bullismo. ‘Lei si fidava di me e frequentando amici più grandi stava iniziando a credere di più in se stessa’. La Misseri ha ammesso di aver sbagliato a rilasciare tante interviste dopo la scomparsa della cugina.
Oggi non lo rifarei. Cosima Misseri si è soffermata sul rapporto con Sarah Scazzi ed ha spiegato che quando era piccola giocava con lei: Ho smesso di farlo quando mi ha detto che voleva essere adottata.
Franca Leosini e le sue “pillole”, Storie Maledette sul caso Avetrana è un grande evento tv La giornalista fa ritorno in tv trattando uno dei casi di cronaca più torbidi degli ultimi anni. Le interviste a Sabrina Misseri e Cosima Serrano diventano il teatro per le proverbiali perle della conduttrice, che come al solito trovano nei social un’immediata valvola di sfogo per innumerevoli citazioni, scrive il 12 marzo 2018 Andrea Parrella su "Fan page". Il ritorno di Storie Maledette in televisione era, probabilmente, uno degli appuntamenti più attesi di questa stagione televisiva. E si è confermato un evento. Franca Leosini, al netto della sua apparizione a Sanremo, era assente da diversi mesi dal piccolo schermo con nuove indagini sui casi di cronaca italiani più eclatanti degli ultimi anni. E l'attesa è stata soddisfatta con una puntata interamente dedicata al delitto di Avetrana, che vede condannate Sabrina Misseri e Cosima Serrano all'ergastolo per l'omicidio volontario di Sarah Scazzi e Michele Misseri ad 8 anni di reclusione per soppressione di cadavere e inquinamento di prove. La prima puntata della nuova stagione di Storie Maledette, concentrata per buona parte sull'intervista a Sabrina Misseri, è andata in onda su Rai3 domenica 11 marzo, confermando l'amore eterno instauratosi tra Franca Leosini e il suo pubblico. "Era un puntino tenue sulla mappa di Puglia, Avetrana. Fino a quando, alla fine di agosto del 2010, una ragazzina che ha i capelli biondi come spighe di grano, improvvisamente, scompare", questo l'incipit che caratterizzava lo spot promozionale apparso sulle reti Rai nei giorni scorsi, una premessa che prometteva benissimo.
Il frasario della conduttrice del programma si è arricchito di altri aforismi precocemente citati su Twitter dai tantissimi utenti che seguono la trasmissione televisiva di Rai3 riproponendo, con fare devoto, le costruzioni sintattiche elaborate, forbite e ficcanti della giornalista napoletana. L'account ufficiale della trasmissione riprende quella che probabilmente è stata la frase più richiamata della serata, quella con cui la Leosini descriveva l'incontro sessuale tra Sabrina Misseri e Ivano: Non seconda è la smorfia inorridita della Leosini nel leggere alcuni passaggi del diario di Sarah Scazzi e soffermarsi, in particolare, su un congiuntivo sbagliato. Qualcuno tira in ballo un riferimento politico piuttosto telefonato ("severo ma giusto", direbbe qualcuno) di questi tempi. E tra le tante pillole di Leosini emerse in serata non possono mancare i messaggi di piena e completa ammirazione per la personalità e l'aplomb di una delle conduttrici più apprezzate del piccolo schermo. Con un piccolo colpo di scena, che non era stato preventivato da molti, la puntata non si chiude con la terminazione del racconto, visto che ci sarà una seconda puntata di Storie Maledette sul caso di Avetrana, in onda domenica 18 marzo 2018, come prontamente Rai3 pochi secondi dopo la sigla finale. Con qualche reazione scomposta…
Perché "Storie Maledette" è ormai un evento tv. Non c'è dubbio che Storie Maledette abbia assunto, negli ultimi anni, i caratteri di un programma in cui il personaggio alla conduzione rischia di essere prevaricante rispetto alle vicende e ai protagonisti stessi delle storie maledette raccontate. Si può spiegare forse con questo pericolo, oltre che con l'enorme mole di studio che richiede una trasmissione come Storie Maledette, la parsimonia nelle apparizioni tv di Franca Leosini e il numero esiguo di puntate per singola stagione del programma. Tutti elementi che contribuiscono a rendere una trasmissione televisiva un grande evento.
Franca Leosini e "Storie maledette". Le sue frasi cult fanno impazzire i Leosiners. La conduttrice torna sui Rai Tre con le sue interviste garbatamente sconvolgenti ed è subito leosiners-mania, scrive Adalgisa Marrocco il 12/03/2018 su "Huffingtonpost.it". Grande ritorno televisivo per Franca Leosini, che ha aperto la nuova stagione di Storie Maledette, nella prima serata domenicale di Rai Tre, tornando al 2010 e al delitto di Avetrana. La conduttrice televisiva ha infatti intervistato Sabrina Misseri e Cosima Serrano, condannate all'ergastolo per l'omicidio di Sarah Scazzi. Un ritorno attesissimo, quello della Leosini, divenuta vera e propria star del web, oltre che del piccolo schermo, grazie al suo stile elegante ma incisivo, e alla capacità di affrontare personaggi e casi di cronaca sconvolgenti con una compostezza che le impedisce di scadere nel sensazionalismo e nella TV urlata. Un atteggiamento che non ha mancato di procurarle l'adorazione di Facebook, Twitter e degli altri social network, anche in chiave affettuosamente ironica (emblematica la pagina Uccidere il proprio partner solo per essere intervistati da Franca Leosini). Anche stavolta Franca non ha tradito le attese e la prima puntata di Storie Maledette si è rivelata una miniera: Cosima "dimostra una modernità insospettata" e sembra "una donna del 3000"; Ivano, talmente bello che "Brad Pitt al confronto sembra un bipede sgualcito", "frena i suoi ardori lombari" con Sabrina, una "babbalona" che racconta un po' troppo in giro le sue faccende più intime. E quando la ragazza ripercorre i pensieri che la attraversavano nelle drammatiche ore dell'omicidio di Sarah, arrivando ad ipotizzare un fantomatico rapimento, Franca la incalza: "Neanche Avetrana fosse la Locride dei sequestri degli anni '70...". Finezze linguistiche e argomentazioni simili a colpi di fioretto che hanno scatenato la reazione social dei cosiddetti leosiners.
Franca Leosini e le sue frasi di culto, oltre 1 milione 800 mila spettatori. Grande attesa e grande esordio per il programma condotto da Franca Leosini: «Storie maledette» è stato visto da oltre 1 milione 800 mila spettatori (7,5% di share), scrive Renato Franco il 12 marzo 2018 su “Il Corriere della Sera”. Franca Leosini è tornata con la sua testa cotonata, gli occhi che guardano dritto per dritto, il suo lessico che mette in crisi gli accademici della Crusca, figurati un ergastolano, la sua capacità di raccontare il morboso in modo profondamente lieve. Domenica sono andate in scena le intervista a Sabrina Misseri e a sua madre Cosima Serrano che hanno raccontato la loro verità sull’omicidio di Sarah Scazzi. Grande attesa e grande esordio: Storie maledette è stato visto da oltre 1 milione 800 mila spettatori (7,5% di share, ampiamente sopra la media di Rai3 che è al 6,1%). Successo anche sui social, per quel che vale (il programma che genera maggiori discussioni non è detto che sia il più visto): la prima puntata è stata al primo posto dei programmi più commentati dell’intera giornata con oltre 132 mila interazioni.
Alla fine Sabrina si è pentita. Franca Leosini ha spiegato così il suo approccio ai casi che racconta: «La parola importante è rispetto. Anche per i loro errori. Mi accosto a questi personaggi non per giudicare, ma per capire. Capire cosa è successo nella loro vita per farli precipitare nel baratro di una storia maledetta». Ma a rapire, come al solito, è il suo registro lessicale capace di pescare tra espressioni come «ardori lombari» ma non disdegnare di pronunciare parole come «cazzeggio». Le sue frasi sono già di culto: «Oggi non si prenderebbe a schiaffoni per aver scritto questi messaggi?»; «Oltre a spianare i crateri di cellulite sulle cosce delle signore di Avetrana, che vita faceva?»; «Flaiano ha scritto “i grandi amori si annunziano in un modo solo: appena lo vedi dici chi è questo stronzo?”. Con Ivano a lei è accaduto questo, Sabrina?»; «Lei praticava massaggi a Ivano Russo, ma sembra che a muovere le mani con efficacia felicemente terapeutica fosse anche Ivano Russo su di lei»; «L’incauto giovanotto, mentre frenando i suoi ardori lombari s’inforcava le mutande, come si giustifica con lei?». Gioco, partita, incontro.
Storie Maledette, Sabrina Misseri e Cosima Serrano: ascolti record per la prima puntata. Franca Leosini, Storie Maledette: enorme successo per la prima parte dell'intervista a Sabrina Misseri e Cosima Serrano. Le espressioni della giornalista rilanciate sui social, scrive il 13 marzo 2018 Emanuela Longo su "Il Sussidiario". Storie Maledette, il programma di Franca Leosini, è tornato in onda, in prima serata su Rai 3, domenica 11 marzo 2018, con un'intervista esclusiva rilasciata da Sabrina Misseri e Cosimo Serrano, le due donne coinvolte in uno dei casi di cronaca nera più eclatanti degli ultimi anni, l'omicidio di Sarah Scazzi, avvenuto ad Avetrana. Come riporta Wikipedia, "il 21 febbraio 2017, la Corte suprema di cassazione ha definitivamente riconosciuto colpevoli e condannato all'ergastolo per concorso in omicidio volontario aggravato dalla premeditazione Sabrina Misseri e Cosima Serrano". L'intervista di Franca Leosini ha ottenuto i favori di pubblico e critica e l'entusiasmo dei cosiddetti "leosiners", la fascia di pubblico giovane che segue Storie Maledette e che riporta fedelmente le frasi cult della giornalista sui social network. E il ritorno di Franca Leosini sul piccolo schermo è stato premiato anche dagli ascolti: la prima puntata della nuova edizione di Storie Maledette è stata seguita da 1.855.000 telespettatori con uno share pari al 7.5%. (Aggiornamento di Fabio Morasca)
LE DICHIARAZIONI DI STEFANO COLETTA. Un «fenomeno televisivo», così viene definita Franca Leosini dal direttore di Raitre Stefano Coletta. Soddisfatto per i numeri registrati dal suo Storie Maledette, Coletta ha fatto i complimenti alla giornalista e conduttrice, diventata una superstar sul web. «La perizia d'indagine e la narrazione costruita su un appassionato linguaggio letterario fanno di Franca Leosini un fenomeno televisivo. Dietro l'ottimo dato di ascolto di Storie Maledette, si nasconde una platea istruita, prevalentemente femminile e fortemente interattiva». Il programma ha fatto infatti registrare 132 mila interazioni sui tre principali social network, classificandosi al primo posto tra le trasmissioni televisive più commentate in rete. C'è grande soddisfazione a Raitre per i risultati complessivi raggiunti nel 2018, infatti è considerata «saldamente la terza rete generalista». (agg. di Silvana Palazzo)
PROFESSIONALITÀ INECCEPIBILE PER IL WEB. A Storie Maledette, Franca Leosini ha intervistato Sabrina Misseri, tornando quidi sul caso dell'omicidio di Sarah Scazzi. A colpire, oltre alle parole della Misseri, è stata la grande professionalità e il carattere fermo e deciso della Leosini. Tanti i commenti d'apprezzamento per la conduttrice: "Un racconto reso unico dalla professionalità ineccepibile della Leosini. - scrive una telespettatrice sui social dedicati alla nota trasmissione - Con le giuste parole e l'appropriato pathos si è materializzata la vita breve Della piccola Sarah. Il "babbalona" detto più volte a Sabrina è arrivato come un rimprovero fatto ad una figlia, che ha sbagliato e non può più tornare indietro. [...] In attesa di domenica io oggi guarderò nuovamente la puntata di ieri. Dalla tanta maestria si può solo imparare. Grazie" (Aggiornamento di Anna Montesano)
GRANDE SUCCESSO PER LA LEOSINI. Franca Leosini con il suo stile elegante e dissacrante insieme, è tornata ieri in occasione del nuovo ciclo di puntate di Storie Maledette, su RaiTre. Un appuntamento oltremodo atteso non solo per la sua collocazione nel prime time (scelta del direttore di rete, come specificato dalla stessa Leosini in una recente intervista al blog DavideMaggio) ma anche per il calibro delle protagoniste, ben due, intervistate: Sabrina Misseri e Cosima Serrano. Saranno due le puntate dedicate al delitto di Avetrana nel corso delle quali la padrona di casa, dal carcere di Taranto, ha ripercorso le tappe che hanno portato alla morte di Sarah Scazzi, rispettivamente cugina e nipote delle due intervistate, entrambe condannate nei tre gradi di giudizio all'ergastolo. La doppia intervista ha visto Sabrina e la madre Cosima intervistate separatamente in due differenti sale. Una scelta anche questa voluta fortemente dalla Leosini per non farle influenzare nel corso dei loro racconti-ricordi. Protagonista assoluta è stata però Sabrina, alla quale è stata dedicata gran parte della prima puntata di Storie Maledette dedicata al delitto Scazzi. A farla da padrona non sono state tanto le lacrime che in più occasioni hanno rigato il viso della giovane Misseri, oggi trentenne, quanto piuttosto il linguaggio forbito, misto allo stile classico che la signora Leosini ha portato in tv e che in qualche modo contrastavano con il lessico semplice e a tratti insicuro di Sabrina e della madre. Messa in piega come sempre impeccabile, tailleur sartoriale scuro ed elegante e quasi una sorta di tenerezza che ha dimostrato in certi passaggi dell'intervista a Sabrina: la Leosini è andata avanti spedita, con frasi pungenti, altre capaci finanche di strappare un sorriso nonostante lo scempio di un delitto che ha spezzato la vita di una 15enne innocente che, come ricordato nell'esordio dalla stessa giornalista, fa ora parte della schiera degli angeli.
STORIE MALEDETTE DI FRANCA LEOSINI: SUCCESSO TV E SOCIAL. Un successo atteso e meritato, quello segnato ieri sera dalla prima parte dell'intervista a Sabrina Misseri e Cosima Serrano realizzata da una magistrale Franca Leosini nella sua trasmissione Storie Maledette. Il pubblico e i numerosi leosiners hanno premiato ancora una volta la signora del giornalismo italiano, che con la sua eleganza e le sue frasi diventate oggi già virali, ha segnato un ottimo risultato in termini di ascolto tenendo incollati al piccolo schermo 1.855.000 telespettatori con una share media del 7.5%. Un risultato senza dubbio migliore rispetto a quello che era stato registrato nell'esordio della passata stagione, quando l'intervista a Rudy Guede, condannato per il delitto di Perugia, aveva invece interessato 1.459.000 con share del 5.32% nonostante il clamore. Enorme anche l'interazione social che ha permesso di far volare la prima puntata di Storie Maledette direttamente in cima alle tendenze dei programmi più commentati dell'intera giornata, con oltre 132 mila interazioni. Ad appassionare saranno certamente state quelle domande così prive di pregiudizio, lo stesso che Sabrina ha invece più volte denunciato. Sua premura quello di fornire al telespettatore un ritratto visto da un'angolazione inedita rispetto a quello emerso dalle pagine di cronaca nera. Non è un caso se proprio a proposito della sua trasmissione la Leosini aveva commentato, come spiega TvZap: "La parola importante è rispetto. Anche per i loro errori. Mi accosto a questi personaggi non per giudicare, ma per capire. Capire cosa è successo nella loro vita per farli precipitare nel baratro di una storia maledetta". Qual è il ritratto che la giornalista ha tracciato di Sabrina? Come da lei ribadito nel corso della puntata, certamente quello di una ragazza "insicura e fragile", ma anche "sentimentalmente genuflessa" a Ivano Russo, il tutto condito da frasi ironiche durante la lettura dei loro sms le cui espressioni non sono passate inosservate dagli spettatori, subito rilanciate sui principali social in attesa del secondo capitolo.
Leosini fa il record con Avetrana: “Affronto le storie con equidistanza”, scrive il 13/03/2018 Michela Tamburrino su "La Stampa". Un fenomeno televisivo quello di Franca Leosini, capace di catalizzare l’interesse del pubblico, di strappare audience alla concorrenza anche di casa e di tracciare una linea netta su come si fa televisione d’inchiesta. Storie maledette raccoglie il 7.53% di share, quasi 1,9 milioni di telespettatori (e punte dell’11% di share e 2 milioni) e segna il record di ascolto del programma dal 2014, domenica su Rai 3 in prima serata. Una platea, la sua, istruita, prevalentemente femminile e fortemente interattiva. Il programma va fortissimo sui social network, è il commentato del giorno in Rete. Merito di Leosini che è un’icona e non solo nell’universo spinoso della giudiziaria. Conducesse Sanremo probabilmente il successo sarebbe lo stesso, tanto è entrata nell’affezione del telespettatore generalista. «Merito» anche delle protagoniste della prima puntata di domenica sera, al centro di una storia che prenderà due appuntamenti. Dall’altra parte del tavolo siede Sabrina Misseri, giudicata colpevole d’aver ucciso la cuginetta Sarah Scazzi. Per gelosia, per amore. Con lei, condannata anche la madre Cosima che per una felice intuizione di sceneggiatura è stata posta ad interagire con la figlia ma in lontananza.
Ma perché questa storia ha tanto catturato l’interesse della gente? Forse perché Leosini ha dato una lettura diversa della vicenda mettendo in luce le crepe dell’inchiesta e confrontando la verità processuale con la verità possibile?
«Io affronto sempre le storie che tratto con grande equidistanza, per rispetto del protagonista e per rispetto del pubblico. Un dovere morale per una professionista come me che sa valutare le conseguenze di un processo. Bisogna anche dire che esistono eventi di cronaca che diventano storia. Questo attiene alla realtà dei personaggi e all’ambiente in cui i fatti avvengono. Luoghi che si fanno paesaggi dell’anima».
Come Avetrana, un piccolo centro che rimanda un po’ Peyton Place, oppure?
«Se dovessimo fare un parallelo italiano, parlerei di Cogne, per l’intensità dei personaggi». Archetipi tragici che si muovono in un universo malato. «Nella prima puntata ho descritto l’ambiente, il paese che da luogo gentile si trasformerà in capitale del pettegolezzo. Nella seconda puntata la figura del padre di Sabrina, Michele Misseri, esploderà. Per la prima volta intervisterò una collega giornalista, la vostra Maria Corbi che per lavoro è stata molto addentro alla storia che narriamo».
Franca Leosini, soddisfatta degli ascolti?
«Sono molto contenta per la rete anche perché avevamo contro concorrenti di peso: Fazio, Giletti e la partita Napoli-Inter». Perchè i protagonisti delle Storie maledette si fidano di lei così tanto? «Perchè affronto con loro la fatica del ricordo».
DAGOREPORT il 27 giugno 2019. È guerra a Rai3 tra le due signore della cronaca nera. Federica Sciarelli e Franca Leosini. Pare che la conduttrice di “Chi l’ha visto” non abbia per niente gradito che Antonio Ciontoli, accusato di aver ferito a morte Marco Vannini abbia concesso un’intervista non a lei ma a Franca Leosini, verso la quale la Sciarelli durante la diretta di ieri ha lanciato una bordata piena di ironia e di sarcasmo: “Per dovere di chiarezza, dobbiamo dire che noi di "Chi l'ha visto" l'abbiamo sempre chiesta l'intervista a Antonio Ciontoli. A noi non ce l'ha mai concessa. Come si dice: "Fatevi una domanda, datevi una risposta". La Leosini sorpresa pare abbia interessato della vicenda i piani alti dell’azienda.
Intervista. Sciarelli a caccia della “verità” in Tv. Massimiliano Castellani venerdì 26 aprile 2019 su Avvenire. Il 30 aprile 1989, Rai 3 trasmetteva la prima puntata di “Chi l’ha visto?”, una delle trasmissioni più longeve e seguite del palinsesto, specie negli ultimi 15 anni con la conduzione della giornalista. Federica Sciarelli, dal 2004 conduttrice dello storico programma di Rai 3 “Chi l’ha visto?”. In un oceanico palinsesto, in cui si naviga un po’ tutti a vista come naufraghi diretti all’isola dei noiosi, c’è una sola trasmissione Rai (sul 3) che insiste e resiste: èChi l’ha visto?. Una resistenza civile (condivisa dal 93% degli utenti) che va avanti dai tempi di Angelo Guglielmi direttore di Rai3. La prima storica puntata di Chi l’ha visto? infatti andò in onda trent’anni fa: il 30 aprile 1989. In principio, alla conduzione c’era l’inedita coppia Donatella Raffai-Paolo Guzzanti, poi, tranne l’avvocato Luigi Di Majo, solo donne al comando: Giovanna Milella, Marcella De Palma, Daniela Poggi. E dal 13 settembre 2004, fu la prima volta sotto l’egida carismatica e pasionaria di Federica Sciarelli. Romana (classe 1958), ma di origini napoletane, che la rendono costantemente solare e combattiva. Giornalista d’assalto, «ero una “pierina” ai tempi del Tg3: unica donna della redazione politica, con la fortuna di avere Sandro Curzi direttore e grande maestro». Inviata di Samarcanda per Michele Santoro e poi da quindici anni a questa parte «non ha più mollato l’osso», come dicono i suoi più stretti collaboratori. L’osso è lo studio di via Teulada, quello delle ricerche a tappeto dei casi di persone scomparse, dei misteri insoluti in un Paese che si nutre di mistero.
Un «Romanzo popolare», cito Guglielmi, più che una trasmissione la sua. Ma come si spiega questo enorme successo che ha toccato l’apice nelle quindici stagioni “sciarelliane”?
«Me lo spiego nel fatto che non siamo un programma di sola cronaca ma che nel tempo è stato capace di raccontare l’Italia reale a un pubblico che spesso riconosce nella vicenda trattata qualcosa che potrebbe riguardarlo o che riguarda il suo vicino. E quello che si vede a casa tutti i mercoledì, in prima serata fino a mezzanotte, è solo una parte del lavoro che, sette giorni su sette, con turni anche massacranti, portiamo avanti con una redazione (una ventina di persone tra interni e inviati) composta da professionisti e persone sensibili ad ogni singolo caso, ad ogni storia umana che scoviamo o che ci viene segnalata».
Ha detto «raccontiamo l’Italia», ma in questi anni quanto è cambiato il Paese?
«Il nostro è un osservatorio molto attento. Quando sono arrivata a Chi l’ha visto? era un’Italia in piena crisi economica in cui scomparivano prevalentemente padri di famiglia, e nove volte su dieci si trattava di suicidi. Oggi abbiamo un caso di violenza quotidiana sulle donne, e a volte manca il tempo e il respiro in trasmissione che subito ne accade un altro... Siamo passati dalle scomparse a quelli che con il “caso Claps” abbiamo sdoganato come «omicidi con occultamento di cadavere». E io non mi stanco mai di ripetere ai telespettatori: guardate che le donne, le ragazze non se ne vanno mai via volontariamente di casa, che una mamma non lascia mai i suoi figli da soli per sparire nel nulla...»
Ha citato l’omicidio della 16enne di Potenza Elisa Claps, il caso che forse ha fatto cambiare direzione al programma.
«Vero. Ricordo Filomena Claps che si arrabbiò moltissimo quando la polizia mostrò l’identikit che simulava l’invecchiamento della figlia. “Elisa me l’ha uccisa Restivo!” gridava disperata. Io ho raccolto quel grido materno, mi sono letta tutti gli atti come faccio spesso anche alla domenica a casa da sola - e da madre e giornalista che si assume sempre le sue responsabilità ho attaccato duramente Danilo Restivo, avvertendo i miei dirigenti: se la trovano viva, allora io vado a casa e cambio mestiere... I resti della povera Elisa vennero ritrovati nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità di Potenza. Fu uno strazio, mi consola la bellissima amicizia con la famiglia Claps, una delle tante famiglie delle vittime con cui si è stabilito un rapporto di reciproco affetto che va avanti ben oltre il video».
L’idea che si ha dal video del salotto di casa è che Chi l’ha visto? sia un po’ una “casafamiglia” alla quale rivolgersi per chiedere aiuto.
«Noi ci occupiamo di quei casi che per la mole di lavoro che hanno carabinieri e polizia a volte non ce la fanno a seguire più di una settimana e quindi simpaticamente le stesse forze dell’ordine dicono ai famigliari: “rivolgetevi alla Sciarelli”. Sul lungo periodo è normale che si crei un rapporto di tutela con chi ha bisogno di essere ascoltato. Non dimenticherò mai la lettera scritta a mano che mi inviò il papà del calciatore Denis Bergamini che si chiudeva con un tenero e disperato: “Chi può, se non voi, interessarsi alla morte di mio figlio?”».
Bergamini, passato per il “calciatore suicidato”, grazie anche a voi si è scoperto essere un omicidio ancora irrisolto, anche per colpa dei tanti depistaggi. E quelli, non mancano mai, a cominciare dall’assassinio di Ilaria Alpi, forse una delle maggiori “vittorie” della trasmissione.
«Per Ilaria Alpi abbiamo sperimentato con successo il “metodo Chi l’ha visto?” che parte dal mio principio cardine: meglio morire sparato che in ospedale... Perciò chiesi a Chiara Cazzaniga, giornalista che conosce perfettamente la lingua araba di prendersi tutto il tempo ma di trovare un somalo “buono” che parlasse e in grado di scagionare quel povero Hashi Hassan che si è fatto 17 anni di carcere da innocente. Quando a Londra Chiara scovò Gelle che confermò l’innocenza di Ashi è stato un momento liberatorio, come l’abbraccio con Adriana Alpi, la mamma di Ilaria, che per me è stata più di un’amica».
Una rivincita contro i depistatori di professione con i quali lei si scaglia coraggiosamente contro, anche in diretta.
«Beh - sorride - ho rimesso al suo posto anche l’attentatore di papa Wojtyla, Ali Agca, quando si intromise con le sue bugie sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. Stando a stretto contatto con le famiglie come la Orlandi o quelle della piccola Denise Pipitone che da anni rivendicano il “corpo” delle loro figlie non posso tollerare che qualcuno, in maniera criminale, sparga menzogne riaccendendo le speranze di chi soffre già tanto per una verità che non arriva...»
«Verità», sembra la parola guida nell’esercizio della sua professione di giornalista.
«Sì, la verità prima di tutto. A volte mi rendo conto di essere particolarmente passionale ma come faccio a non scaldarmi quando mi trovo di fronte all’omicidio del bambino di Cardito. Ma come è possibile mamma... se tuo figlio viene picchiato come fai a non metterti in mezzo e a gettarti nel fuoco per lui? Parto da casa e arrivo alla scuola, perché non accada più che un insegnante non denunci se vede arrivare in classe un bambino pieno di lividi come accadeva al piccolo Giuseppe che è morto per le botte che gli dava il patrigno, e la sua sorellina è ancora viva per miracolo».
Avvertiamo forte la sua emozione quando si occupa di bambini, le è mai capitato di piangere in diretta?
«Cerco di tenere botta, ma non è facile trattenere le lacrime quando ripenso alla fine di Tommaso Onofri: il giorno prima del ritrovamento del suo corpicino ero stato a trovare la mamma a Parma... È dura quando affronti in diretta drammi come quello di Sarah Scazzi o dei fratellini di Gravina, Ciccio e Tore, che sono morti laggiù, in fondo a un pozzo. Per difendere i diritti dei più piccoli abbiamo subito anche l’assalto di quelli di Casa Pound che in una manifestazione picchiavano dei ragazzini».
In questi quindici anni, ha mai pensato di gettare la spugna?
«No, perché il seguito e il calore del pubblico mi dà energia e così mi riprendo dal prosciugamento settimanale. Poi scarico tutte le tensioni accumulate facendo sport, footing, palestra, pattinaggio artistico. Il poco tempo libero che ho dal lavoro, lo passo con mio figlio, Giovanni Maria. Farà il giornalista? È iscritto a Scienze Politiche, spesso mi sorprende con delle informazioni che gli arrivano molto prima... Ha un grande senso della notizia e poi è cresciuto a pane e tv, da piccolo quando mi vedeva leggere il Tg pensava parlassi a lui e diceva: “Oh, ma mamma ma non mi rispondi?”».
Quando ha capito che la Sciarelli è diventata un icona pop.
«Forse quando sono andata ospite a Sanremo. Dietro le quinte volevo farmi dei selfie con i miei cantanti preferiti e con grande sorpresa ho scoperto che invece erano loro che chiedevano di fotografarsi con me. Ron mi è venuto incontro e mi fa: “Sei il mio mito. Ma lo sai che tutti i mercoledì sera mi siedo sul divano e vedo Chi l’ha visto? con la mia mamma...»
· I 30 anni di “Un giorno in pretura”.
“Un giorno in pretura”, con Roberta Petrelluzzi, torna dal 28 aprile. In onda da più di trent’anni, è una delle trasmissioni più longeve di Raitre. Ritorna con quattro nuovi appuntamenti dedicati a grandi processi. Simona De Gregorio su Sorrisi.com il 28 Aprile 2019. In onda da più di trent’anni, "Un giorno in pretura" è una delle trasmissioni più longeve di Raitre. E da domenica 28 aprile ritorna in prima serata su Raitre con quattro nuovi appuntamenti dedicati a grandi processi. Alla conduzione ritroviamo Roberta Petrelluzzi, che ne è anche ideatrice e regista. E ad aprire il ciclo è il caso Ciontoli: il 17 maggio 2015 a Ladispoli (Roma) Marco Vannini, 20 anni, si ferma per la notte a casa della fidanzata, Martina Ciontoli. Nella notte il padre di Martina chiama il 118 per un piccolo incidente avvenuto a Marco. In realtà il ragazzo è stato colpito da un colpo d’arma da fuoco partito accidentalmente dalla pistola di Antonio e muore.
Perché avete scelto questa storia?
«Perché è un caso che ha avuto un grande rilievo mediatico. E noi ricostruiamo tutte le fasi del processo, in cui si è cercato di rispondere a tante domande: se i Ciontoli avessero chiamato tempestivamente i soccorsi Marco si sarebbe salvato? Si sono resi realmente conto della gravità della situazione?».
Quanto impiegate per realizzare una puntata?
«Tanto tempo perché dietro c’è un lungo e meticoloso lavoro. Partiamo dagli atti processuali che leggiamo dall’inizio alla fine con grande attenzione e poi mettiamo insieme tutto il materiale creando una sorta di sceneggiatura. È una ricostruzione fedelissima, non ci sono giudizi, interpretazioni, morbosità».
Non si lascia mai coinvolgere dalle vicende che trattate?
«Cerco di essere il più possibile distaccata. Ma non sempre ci riesco. Quando abbiamo affrontato il delitto di Avetrana ho sofferto tantissimo perché sono convinta che la zia e la cugina di Sarah Scazzi non siano colpevoli della sua morte».
Qual è il segreto della longevità di Un giorno in Pretura?
«Ogni processo è un teatro della vita reale, fatta di sentimenti, di errori, di debolezze, che noi mostriamo senza mediazioni. Il pubblico segue un caso e si fa un’opinione scevra da pregiudizi».
Chi l’ha visto?: 30 curiosità per i 30 anni della storica trasmissione di Rai3. Salvatore Cau lunedì 29 aprile 2019 su Davide Maggio. Buon compleanno Chi l’ha visto?! La trasmissione di Rai3 festeggia 30 anni di messa in onda. Erano le 20.30 di domenica 30 aprile 1989 quando sugli schermi della terza rete, allora diretta da Angelo Guglielmi, prese il via un programma destinato ad entrare nella storia della tv e del costume italiano. Per festeggiare l’importante traguardo ripercorriamo questi 30 anni di successi attraverso altrettante curiosità ed aneddoti legati alla trasmissione ideata da Lio Beghin.
1 - Dopo Un giorno in pretura (18 gennaio 1988) e Blob (17 aprile 1989), Chi l’ha visto? è il terzo programma più longevo di Rai 3.
2 – Chi l’ha Visto? ha raggiunto un totale di 31 edizioni e ben 1209 puntate (al 24 aprile 2019). Con 15 edizioni e 653 puntate (al 24 aprile 2019), Federica Sciarelli è la conduttrice più longeva del programma.
3 - L’attuale sigla del programma, intitolata Missing, è stata composta da Bruno Carioti e Lamberto Macchi ed è in uso dal gennaio 1993. Nel corso degli anni ha subito diversi restyling grafici ed è stata riarrangiata musicalmente nell’edizione 2016-2017. La puntata in onda il 6 febbraio 2019, in piena settimana sanremese, è stata eccezionalmente aperta con una versione orchestrale della sigla eseguita dall’orchestra sinfonica della Rai. Nelle prime quattro edizioni del programma venne invece utilizzata un’altra sigla, realizzata da Toni De Gregorio con le musiche di Massimiliano Orfei.
4 – Lo storico numero 06/8262, presente sin dalla prima edizione (sostituito soltanto nelle stagioni 1989/1990 e 1990/1991), era inizialmente utilizzato anche da altre trasmissioni di approfondimento giornalistico che facevano parte del ciclo “Chiama in diretta Rai3”. Tra queste Telefono Giallo, Linea Rovente, Camice Bianco, Parte Civile. Lo stesso numero venne usato anche per una striscia quotidiana intitolata per l’appunto 8262. La rubrica di cronaca ed attualità, nata nell’autunno del 1992 con l’obiettivo di fare da traino al Tg3 delle 19.00, non ebbe però il successo sperato e venne cancellata dopo poche settimane.
5 – La trasmissione riprende per certi versi la rubrica Dove sei? proposta anni prima nel programma Portobello da Enzo Tortora, ma nasce ufficialmente dopo il buon riscontro di pubblico ottenuto, nel 1988, da Posto pubblico nel verde, altro programma ideato da Lio Beghin. Durante la trasmissione, che utilizzava il già citato numero 06/8262, ci si occupò tra i vari argomenti anche della misteriosa scomparsa di un agente pugliese della Guardia di Finanza. Il caso, ancora oggi irrisolto, coinvolse notevolmente il pubblico da casa, che si attivò con decine di segnalazioni ed interventi.
6 - Il primo caso di scomparsa trattato da Chi l’ha visto? fu quello di Jennifer, una ragazza di ventuno anni di origini americane, ausiliaria della base Nato di Bagnoli, sparita nel nulla nell’estate del 1988. Per la cronaca la ragazza, della quale alcuni giornali italiani si erano già occupati, venne ritrovata il giorno dopo l’appello in trasmissione. Fu lei stessa a chiamare il padre, intervenuto all’interno del programma la sera precedente. Jennifer non fu rapita, come si pensava, ma si allontanò volontariamente dopo aver preso parte ad una festa a base di alcol e sesso con altri suoi colleghi militari. Trasferitasi a Reggio Calabria, aveva poi incontrato un marocchino pregiudicato con il quale per diversi mesi era andata a vivere insieme in un appartamento condiviso con altri uomini nordafricani.
7 - La trasmissione ha vinto ben 3 Telegatti (1990, 1991, 1999) nella categoria Tv utile, e 2 Premi Regia Televisiva (1990, 2011).
8 - Negli anni 90, grazie al successo di Chi l’ha visto?, Donatella Raffai, prima storica conduttrice del programma, divenne un volto popolarissimo del piccolo schermo. Tale successo le valse un Telegatto nel 1990 come personaggio femminile dell’anno. Sparita dalla tv italiana nel 1999, la Raffai, “emulando” i tanti scomparsi dei quali si era occupata, si è trasferita in Costa Azzurra, a pochi chilometri da Nizza, insieme al compagno Silvio Maestranzi, ex regista Rai. Qui si è ritirata a vita privata evitando di apparire in tv e di rilasciare interviste. A seguito della sua prolungata assenza dagli schermi televisivi, alcuni siti Internet avevano diffuso l’errata notizia della sua prematura morte a causa di un tumore.
9 – Riferendosi a Donatella Raffai, nei primi anni 90 Antonio Ricci dichiarò: “Gronda umanità da tutti gli artigli”.
10 - La Raffai viene citata in una canzone parodistica di Stefano Nosei sull’alcolismo che in una strofa recita: “Il fegato lo perderai…e lo cercherà la Raffai”, e in un brano di Enzo Iacchetti: “Non lo trovarono mai… alla faccia della Raffai”.
11 - Chi l’ha visto? compare all’interno del film di Riccardo Milani La guerra degli Antò. Nella pellicola Donatella Raffai interpreta un breve cameo nel ruolo di sé stessa, conduttrice di un’improbabile puntata del programma.
12 - Nella stagione 1990-1991 l’ideatore Lio Beghin, in rotta di collisione con la Rai, abbandonò il programma e passò alla Fininvest, dove propose un programma molto simile a Chi l’ha visto? dal titolo Linea Continua. La trasmissione, dedicata alla ricerca di persone scomparse e ai misteri insoluti, era condotta da Rita dalla Chiesa e Andrea Barberi ed andava in onda tutti i giorni con una striscia quotidiana e il martedì in prima serata su Rete4. Visto il basso riscontro di ascolti venne chiusa dopo appena due mesi.
13 – Nella stagione 1991-1992, dopo l’abbandono di Donatella Raffai, decisa a intraprendere nuove sfide lavorative, il programma venne affidato a Luigi Di Majo(già presente con la Raffai nelle stagioni 1989/1990 e 1990/1991) e alla sessuologa Alessandra Graziottin. In questa stagione si registrò un notevole calo degli ascolti che portò i dirigenti di Rai3 a chiudere la trasmissione. Dopo alcuni mesi di pausa, il 19 gennaio 1993, si decise di riproporre il programma con il ritorno alla conduzione della Raffai. La giornalista, reduce dal doppio flop dei programmi Parte Civile e 8262, riportò il programma al successo.
14 – Dalla stagione 1993/1994, dopo la soppressione della trasmissione Telefono Giallo di Corrado Augias, Chi l’ha visto? ha esteso il suo campo di indagine anche a casi di delitti irrisolti e ad inchieste di cronaca. Nella stagione venne addirittura realizzato uno spin-off intitolato Indagine, che si occupava esclusivamente dei casi di cronaca. Alla conduzione Giovanna Milella che nella primavera 1994 aveva sostituito la Raffai alla conduzione.
15 - Una parte integrante della trasmissione è sempre stata rappresentata dalle telefonate in diretta dei telespettatori, che riportano segnalazioni e avvistamenti. In alcuni casi in passato era lo stesso ricercato a telefonare, confessando un allontanamento volontario. Una delle telefonate storiche del programma è stata quella effettuata da una donna nella puntata del 19 novembre 1989. La signora fece ritrovare in diretta, grazie ad un successivo intervento delle forze dell’ordine, il camper della famiglia Carretta, scomparsa da mesi.
16 – Marcella De Palma, giornalista del Tg3 e conduttrice della trasmissione dal 1997, lasciò il programma il 21 dicembre 1999, a ridosso delle vacanze di Natale, dando ai telespettatori l’appuntamento a gennaio. Con il nuovo anno Chi l’ha visto?non venne però trasmesso e tornò in onda soltanto il 1° febbraio con la conduzione in studio di Fiore De Rienzo, Tiziana Panella, Pino Rinaldi e Filomena Rorro, principali inviati del programma. La De Palma, che da tempo si era ammalata di tumore, infatti, ebbe un aggravamento improvviso della malattia che le impedì di proseguire il suo lavoro e morì l’8 marzo dello stesso anno. I quattro inviati condussero il programma fino all’ultima puntata della stagione.
17 - Nell’autunno del 2000 la conduzione venne affidata a Daniela Poggi. Tale scelta fu oggetto di diverse critiche da parte di pubblico e addetti ai lavori, che ritenevano la trasmissione non adatta nei contenuti ad un’attrice ed ex-soubrette, ma più consona ad un giornalista professionista. Con il suo stile garbato e professionale la Poggi mise a ben presto a tacere le critiche e venne riconfermata alla guida del programma per 4 stagioni.
18 - Nel corso degli anni sono state realizzate diverse puntate speciali. Tra queste si ricordano: Speciale Chi l’ha visto? – Donne senza mimose, due appuntamenti, in onda il 1º e 8 marzo 1999, dedicati alle donne vittime di sé stesse e dei loro rapporti; Speciale Chi l’ha visto? – Alla ricerca del segreto, puntata speciale in onda il 25 marzo 2002, nel quale vennero documentate storie di persone che cercano le loro origini. Speciale Chi l’ha visto? – Labirinti, puntata speciale in onda il 10 gennaio 2003, dedicata alle sparizioni più singolari che, nonostante le indagini di magistrati e Polizia, non hanno mai trovato una soluzione.
19 - Il 4 novembre 2008, subito dopo la messa in onda di una puntata, lo studio di Chi l’ha visto? venne preso d’assalto da un gruppo di attivisti di estrema destra per via di un servizio andato in onda nel quale veniva mostrata un’aggressione a dei giovani in piazza Navona a Roma. I volti di quegli aggressori del Blocco Studentesco, mostrati durante la trasmissione, scatenarono gli estremisti che minacciarono i redattori del programma di pesanti ritorsioni: “Vi abbiamo identificato, a voi ed ai vostri familiari”.
20 - Dalla stagione 2009-2010 nel programma è prevista la presenza del pubblico in studio. A differenza delle altre trasmissioni il pubblico rimane per tutta la durata della puntata in completo silenzio, non intervenendo mai con applausi o con commenti.
21 – Nella puntata andata in onda il 6 ottobre 2010, il programma, che da tempo si occupava della scomparsa di Sarah Scazzi (una ragazza di 15 anni di Avetrana), diede in diretta alla madre di Sarah (in collegamento da casa dei Misseri, zii della ragazza) la notizia del ritrovamento del cadavere della figlia, in seguito alla confessione del suo presunto assassino, ovvero lo zio Michele. Tale episodio ottenne punte di oltre 5 milioni di telespettatori ed il 40% di share ma venne pesantemente criticato da parte del pubblico e degli addetti ai lavori.
22 – Chi l’ha visto? è stato spesso protagonista di vari sketch e parodie. Tra le tante, si ricordano: un’esilarante imitazione della Raffai da parte di Corrado Guzzanti in Scusate L’interruzione; lo spettacolo teatrale di Benito Urgu Chi l’ha visto, l’ha visto?; l’imitazione di Federica Sciarelli da parte di Lucia Ocone a Quelli che il calcio, e di Francesca Reggiani a teatro e in tv con l’improbabile ‘Ndo l’hai visto?; ed ancora gli sketch di Lillo e Greg in radio e tv al grido di Che l’hai visto?. Negli anni ‘90 all’interno di UnoMattina Estate venne inoltre realizzata la rubrica Chi l’ha VIPsto?, nella quale i telespettatori dovevano scovare dei vip in vacanza.
23 - Dalla trasmissione sono stati tratti tre libri: Chi l’ha visto? (Donatella Raffai, 1990), Scomparsi (Donatella Raffai, 1991) e Storie di Chi l’ha visto? (AA.VV.2011).
24 - A Chi l’ha visto? difficilmente trovano spazio ospiti legati al mondo dello spettacolo. Una delle poche eccezioni è avvenuta nella puntata del 9 aprile 2014, quando la trasmissione ha ospitato Alba Parietti. La showgirl, in collegamento da Milano, in quell’occasione si rivolse alla trasmissione per denunciare un possibile caso di malasanità che aveva visto per protagonista il marito di Sally, la sua storica colf filippina.
25 - Nella puntata del 25 febbraio 2015 è intervenuta telefonicamente Milly Carlucci. La conduttrice ha chiamato in diretta Federica Sciarelli per rinnovarle l’invito a partecipare come pattinatrice allo show di Rai 1 Notti sul ghiaccio.
26 - Nelle puntate in onda il 29 marzo 2017 e il 23 maggio 2018 la trasmissione è stata vittima del disturbatore Michele Caruso che, spacciandosi per testimone di alcuni episodi trattati in trasmissione, è intervenuto telefonicamente durante la diretta, salvo essere prontamente scoperto e zittito da Federica Sciarelli.
27 - Nella puntata in onda l’11 maggio del 2016, mentre la trasmissione si occupava della scomparsa di Emanuela Orlandi, intervenne al telefono Ali Agca. L’ex terrorista turco, che sparò a Giovanni Paolo II, chiamò per fare alcune rivelazioni sul caso della giovane scomparsa il 22 giugno del 1983. L’uomo sostenne che Emanuela Orlandi fosse stata rapita per ottenere la sua liberazione, in accordo con il Vaticano. Secondo l’ex terrorista, il Papa e Sandro Pertini avrebbero dovuto incontrarsi per decidere il suo rilascio. Di fronte a queste affermazioni – certamente forti, ma prive di alcun riscontro – Federica Sciarelli si rivolse all’uomo così: “Lei è un criminale pagato per sparare al Papa. Porti le prove di quello che dice altrimenti le sue sono solo buffonate”.
28 – Nella puntata del 9 novembre del 2016, Federica Sciarelli lanciò un appello legato alla sparizione di una ragazza di 17 anni di Rimini. Quest’ultima si fece subito viva con un messaggio sul proprio profilo Facebook: “Volevo avvisare tutte le persone che si sono preoccupate per me che sto benissimo, non voglio essere cercata e tornerò (…) La foto su ‘Chi l’ha visto’ fa veramente cagare…“. La Sciarelli dopo aver letto testualmente il contenuto del post si è rivolta alla ragazza: “I tuoi sono preoccupati, sei minorenne, i tuoi hanno la responsabilità finché non hai 18 anni… Se la fotografia non ti piace la cambiamo, daccene un’altra tu, però fatti viva con le persone che ti vogliono bene perché c’è tanta preoccupazione”.
29 - Nella puntata in onda il 27 aprile 2016, Federica Sciarelli replica a Matteo Salvini, che la settimana prima aveva criticato la trasmissione di Rai3. Il leader leghista, in particolare, aveva accusato il programma di processare i Carabinieri dopo la messa in onda di un filmato riguardante la vicenda di Cerro Maggiore: nel video in questione si vedeva un pubblico ufficiale dell’Arma che schiaffeggiava una donna. “Tutto questo con denaro pubblico… Una vergogna!” aveva tuonato Salvini. La giornalista, senza mai nominare Salvini, ha risposto: “Devo ringraziare tutti voi, che vi siete accorti prontamente di un tweet di un esponente politico contro Chi l’ha visto?… dobbiamo rispondere ad una cosa che non è proprio vera. Cosa ha scritto l’esponente politico: “Tutto questo con denaro pubblico, una vergogna!”. Non è vero. Siamo pagati interamente con la pubblicità, il rapporto è 4 a 6: noi costiamo 4 e la pubblicità è 6. Facciamo un servizio pubblico grazie agli imprenditori che investono e facciamo entrare addirittura soldi alla cassa della Rai. Questa cosa del denaro pubblico, quindi, a noi non ce la può dire. “Una vergogna”, se lo può tenere…”.
30 - In 30 anni Chi l’ha visto? è andato in onda in tutti i giorni della settimana ad eccezione del sabato. La trasmissione, partita alla domenica sera, è in seguito approdata al venerdì. Per alcuni anni ha occupato la serata del martedì, occasionalmente il giovedì, e poi il lunedì. Dal 2010 il programma va in onda al mercoledì.
· “Tutta la verità” sui casi controversi.
“Tutta la verità” sui casi controversi. Andrea Fagioli giovedì 9 maggio 2019 su Avvenire. I delitti di Erba, Avetrana e Garlasco, poi il Giallo Pantani e ora L'enigma del Mostro di Firenze. Continuano su Nove gli speciali di Tutta la verità dedicati ai più controversi fatti di cronaca. I primi due sono stati affrontati nella scorsa stagione televisiva. Il caso dell'omicidio di Chiara Poggi ha invece aperto il nuovo ciclo che per il momento ha offerto la puntata più interessante con la ricostruzione delle circostanze misteriose che avvolgono la morte di Marco Pantani, “Il Pirata”. Gli appassionati di ciclismo lo ricordano bene. I suoi scatti in salita erano micidiali. «Aveva la dinamite nelle gambe», ha detto qualcuno. A fermarlo non furono gli avversari, ma i giudici dell'antidoping mentre stava per vincere il suo secondo Giro d'Italia consecutivo. Il controllo rilevò alti valori di ematocrito che i più ritengono manomessi per favorire un colossale giro di scommesse organizzato dalla camorra. Da quel colpo Pantani non riuscì a risollevarsi. Fu trovato morto qualche anno dopo in un residence di Rimini. Il documentario segue così il doppio racconto dell'accusa di doping nel 1999 e della morte nel 2004, ricostruendo i fatti ed evidenziando i punti oscuri di entrambe le vicende, per ipotizzare verità diverse rispetto alle ricostruzioni ufficiali. Questa è infatti la linea editoriale che unisce le varie inchieste. Tutta la verità punta proprio sulle contraddizioni delle indagini e dei processi per sostenere ad esempio l'innocenza dei coniugi Romano a proposito della strage di Erba. In questo senso il rischio può essere quello di gettare discredito sulla giustizia, sia pure con parte di ragione documentata. Per il resto le inchieste sono fatte bene, sia per la ricostruzione dei fatti con la documentazione filmata, sia per le testimonianze raccolte, tanto che per alcune c'è addirittura bisogno di due puntate. È il caso del documentario di Cristiano Barbarossa, Fulvio Benelli e Antonio Plescia sugli otto duplici delitti (e nessun colpevole) attribuiti al fantomatico maniaco di Firenze di cui martedì è andata in onda la prima parte e stasera alle 21,25 è in programma la seconda. Almeno una dozzina le persone intervistate tra magistrati, giornalisti e persino testimoni diretti.
· Blob Job di Marco Giusti.
I 30 anni di Blob: ma ormai la tv è la parodia di se stessa. Angela Azzaro il 30 Aprile 2019 su Il Dubbio. Nell’aprile del 1989 nasceva il programma “satirico” inventato da Enrico Ghezzi. Grazie a un abile montaggio ci ha raccontato il paradosso della società liquida. Oggi va ancora in onda, ma il piccolo schermo, senza distinzione, sembra tutto un enorme “blob”. Da trent’anni e qualche giorno, “Blob” ci fa riflettere, ridere a volte anche piangere dalla disperazione su quella che l’intellettuale francese Guy Debord definiva “la società dello spettacolo”. Inventata di sana pianta da Enrico Ghezzi, Marco Giusti e Angelo Guglielmi per Rai3, la trasmissione fin da subito mostra l’intreccio, ancora oggi esplosivo, tra politica, spettacolo, società. L’idea è talmente geniale e profetica che “Blob’ è un programma che vive ancora oggi, grazie a un pubblico di fedelissimi che non lo molla mai. Il nome è tratto dall’omonimo film horror del 1956 che in Italia fu distribuito con il titolo Il fluido mortale. Ghezzi, insieme a Debord, capisce che la lotta si sposta sul piano dell’immaginario e si inventa un linguaggio nuovo, spiazzante, che nei suoi accostamenti ci mostra l’assurdità del mondo in cui viviamo a partire da quello televisivo. Il fluido mortale sono le immagini che ogni giorno ci assalgono, i “no sense” delle notizie che si avviluppano, come quando si passa dalla morte di qualcuno al bel tempo su tutta la penisola isole comprese: il fluido in fondo siamo noi. Dal punto di vista della creazione televisiva e dell’intreccio con la filosofia, sono anni incredibili. Dal 1987, e fino al 1994, Angelo Guglielmi è direttore di Rai3. E’ con la sua guida che nella Terza rete nascono, oltre a “Blob”, “Fuori orario”, “Samarcanda”, “Mi manda Lubrano” ( che poi diventerà “Mi manda Rai3”), “Chi l’ha visto?”, “Un giorno in pretura”, “La tv delle ragazze”. Nasce cioè una nuova televisione: da quella stagione, in Italia, non è più accaduto in tv niente di altrettanto rivoluzionario e innovativo. Le uniche innovazioni sono i format che arrivano dall’estero o la ripetizione di ciò che è già stato. Che cosa è accaduto? Le cause sono tante: la mancanza di coraggio, la dittatura dell’Auditel, ma forse oggi è proprio impossibile farsi venire nuove idee rispetto a una tv che appare ogni giorno più obsoleta e ripiegata su se stessa. La Rai di Guglielmi è anche quella di Sandro Curzi alla direzione del Tg3, la cosiddetta Tele Kabul. La tv della “gente”, la tv popolare che per la prima volta teorizza il rapporto diretto con gli spettatori, una tv di servizio che negli anni, purtroppo, è diventata, allo stesso tempo, sintomo e stimolo del populismo. Trent’anni fa la bilancia pende dalla parte dell’innovazione. Ghezzi, l’anno prima di “Blob”, inventa un’altra trasmissione culto “Fuori orario. Cose ( mai) viste”: una palestra di cinema e di sentimenti che ha formato intere generazioni alle filmografie meno gettonate e meno usuali. I film assumono un significato ancora più forte perché introdotti dalla voce di Ghezzi. Con il suo stile sincopato, privo apparentemente di logica, mima l’assurdo del montaggio, per poi farci vedere la realtà da un punto di vista del tutto inaspettato. Oggi l’avventura di Ghezzi continua con “Blob” e con le sue provocazioni. Ma la sensazione è che la longevità meritata strida con il panorama generale della televisione. E’ come se tutta la tv fosse diventata parodia di se stessa, una sorta di grande blob con accostamenti molto spesso incomprensibili a cui però ci siamo ormai abituati o meglio dire rassegnati. Il fluido mortale che all’inizio era circoscritto alla parodia che della tv faceva “Blob” è diventato la cifra principale dell’unico grande format che attraversa canali, programmi, di giorno e di notte. Forse per questa ragione sempre più spesso la tv si nutre di se stessa. Vanno molto di moda le trasmissioni che attingono al repertorio, come è il caso di “Techetecheté”, una sorta di “Blob’ buonista e didascalico ma realizzato bene. Sono anche molto di moda quei personaggi che vengono riproposti non perché abbiano qualcosa da dire o da fare, ma perché già protagonisti di altre trasmissioni tv. I concorrenti che partecipano a “L’isola dei famosi”, giusto per fare un esempio, sono famosi solo perché hanno fatto parte della precedente edizione del reality. E così all’infinito. Il quadro che emerge è quello di una sorta di parodia permanente che viene però confusa con il reale, di una nostalgia per il tempo che fu spacciato per presente se non per futuro. In fondo la nostalgia è anche uno dei sentimenti della nostra epoca: incapaci di progettare il futuro, di andare oltre al “qui e ora”, ci chiudiamo nel ricordo del passato. Che poi, se vogliamo, è anche il limite di questo articolo ma non di “Blob” che ha ancora tanto da dire.
BLOB JOB!. Davide Turrini per Il Fatto Quotidiano l 17 aprile 2019. Buon compleanno Blob. La trasmissione di Rai3 che ha rivoluzionato il linguaggio della tv italiana compie 30 anni. Cinefilia, controinformazione, devastante messaggio politico, Blob è stato davvero un programma che ha seguito il motto “di tutto, di più”. La celebriamo con Marco Giusti, oggi papa barbuto sul trono di Stracult, che quell’incredibile avventura l’ha ideata.
Trent’anni di Blob: nostalgia? Orgoglio? “Due palle”?
«Tutte e tre insieme, perché è chiaro nel 1989 eravamo più giovani e più liberi. Oggi Blob non potresti farlo più. E anche “due palle” perché già dopo sei anni non ne potevo più, figuratevi dopo 30 con Internet e Youtube…»
Il web ha ucciso Blob il fluido che uccide…
«Come tutti i programma innovativi che anticipano i tempi. Il linguaggio di Blob in qualche modo è diventato un po’ vecchio. All’epoca montavamo le puntate con l’Avid, in analogico, e allora ci sembrava cosa di nuovissimo rispetto a come si montava. Figuriamoci oggi con il digitale, il montaggio te lo fai a casa. Quello che forse è sempre attuale è come io mi sono visto nel fare Blob, ovvero mi sembrava sempre come una pagina bianca su cui tu scrivevi un articolo, un testo. Allora se Blob è questo, in realtà è sempre nuovo perché dipende dalla tua capacità di scrivere, dalla tua cultura».
Nell’elenco iniziale hai dimenticato “l’orgoglio”…
«Avevo 30 anni e si era ideata una cosa fortissima. Non capita sempre nella vita professionale di inventare qualcosa di così importante. Io ne ho inventate due: Blob e Stracult. Orgoglio assolutamente. Tra l’altro a noi autori sembrava una programma con pochissima vita, invece andò bene subito. E poi va calcolato che tutta la nostra generazione di cinephile aveva una presunzione, un’altissima considerazione di sé, che è stato poi il nostro grande peccato».
Una confessione a cuore aperto. La presunzione di certa critica cinematografica militante.
«Parliamo di una certa generazione di intelliggentoni che poi forse si è accorta che non era esattamente Godard e che forse non potevi fare Godard in Rai».
Fu Angelo Guglielmi che diede il via a Blob o si è troppo gonfiato il suo ruolo?
«Io parlo per me. Guglielmi l’ho visto dopo molto tempo che era iniziato Blob. Questo tipo di montaggio l’avevo già fatto sia in tv che sulla carta, o meglio sull’Europeo o sull’annuario del Patalogo. Era il gusto di mettere frammenti insieme. Da parte mia ricordo che fu Andrea Barbato a chiedermi di fare il meglio della settimana e io gli dissi facciamo il peggio della settimana. Lo dissi poi ad Enrico (Ghezzi ndr) che però, su idea di Guglielmi probabilmente, voleva fare il Mattinale, ma non sapeva come fare. Il Mattinale lo faceva il Manifesto, cioè era la proposizione del peggio del giorno prima. Anche Il Male faceva cose simili».
In Blob c’è invece molto cinema.
«La parte fortissima di rapporto tra cinema, tv e cronaca, non c’entra niente con il Mattinale. Entrava in ballo, invece, la nostra conoscenza cinematografica e quella particolare mia che univa cinema classico e cinema trash, Bombolo, Alvaro Vitali, e le scorregge. Così Blob è diventato una cosa ironica, alta, eccessiva e molto molto forte. L’idea che aveva Guglielmi almeno credo, perché ripeto io non l’ho mai visto, era di fare una cosa solo giornalistica. E sarebbe stata poco interessante».
Durante la sigla in uno spezzone del film Blob un tizio dice: “E’ la cosa più orribile vista in vita mia”.
«Il nostro programma era sugli orrori della tv e sullo disvelamento della pratica dello spettatore attento. Una cosa politica più forte creata usando il cinema un po’ come una grammatica. Di tagli di montaggio, modello cartoon classici, ne ho fatti una marea. Questo è tutto cinema, comico e animato. Trovo ridicolo sentire che fu un’invenzione di Guglielmi. Blob era una cosa che era nell’aria. Aggiungici il gusto tutto mio del trash. Miei furono il titolo del programma, il linguaggio del montaggio, la struttura produttiva. Poi, chiaro, era un programma Rai».
Blob ebbe un valore politico incredibile, ve lo aspettavate?
«All’inizio no, ma tutto si è sviluppato in pochissimo tempo, giorno dopo giorno. L’aspetto politico comunque c’era già subito. Venivo dal Manifesto, dall’Espresso, e avevo scritto moltissimo. Quando facemmo campagna acquisti prendemmo gente come Alberto Piccinini che faceva esattamente quella roba lì. Cercando di mettere dentro più intellettuali che umoristi. Quello che non mi interessava era l’umorismo, la cosa comica finta non l’abbiamo cercata mai. La cosa ironica tipo Il Male invece sì. Io e Ghezzi si veniva dalla militanza politica critica cinephile molto spinta. Ora è tutta un’altra cosa».
La critica cinematografica non esiste più…
«Non esistono più i critici militanti che ci credono. E non esiste quasi più il cinema. Difficile fare ancora quella roba. Io cerco di farla su Dagospia perché a me diverte. Usare il cinema per parlare della realtà. Quando fai cronaca politica oggi, fai qualcosa già molto modello commedia all’italiana. La contaminazione c’è già, non hai più bisogno del nostro passaggio tv, del passaggio intelligente. È la stessa ragione per la quale non esiste più la satira: è già dentro ai tweet di Salvini e Di Maio».
Non c’è un comico che ti fa ridere? Un Crozza, ad esempio?
«No, nessuno. Noi si veniva da un mondo che chi faceva satira era considerato di destra, come con Il Borghese. Poi con i fratelli Guzzanti, Sabina e Corrado, qualcosa è cambiato, ma è durato meno di 20 anni. Adesso fa più satira Marco Travaglio. Spesso negli editoriali, nei pezzi politici ci sono anche pezzi di satira. Siamo ritornati da capo, perché forse della satira non ce n’è più bisogno. E poi fatemi dire che oggi c’è la controinformazione. Blob andava contro il Tg1 come orario e faceva controinformazione politica. La nostra logica da questo punto di vista era molto seria. Oggi la controinformazione ce l’hai sui blog, su twitter. Fatta in tv non esiste».
Il momento difficile o complicato della vita di Blob.
«Ce ne sono diversi. Fu tremendo con Luigi Locatelli direttore di rete. Il nostro gruppo si è proprio scisso. Non sapevamo cosa fare, solo chi aveva un contratto giornalistico poteva continuare. Fu un momento duro. Forse abbiamo sbagliato a non mantenere tutto il gruppo intatto».
Anche con Berlusconi presidente del consiglio non andò bene?
«Fu una cosa drammatica. Quando scese in campo feci io un Blob molto pesante sul suo scendere in campo e mi dettero dieci giorni di punizione che poi mi vennero ridotti a due. Il tutto perché avevo montato una celebre scena de L’Intervista di Fellini. Ci sono due pittori di spalle nello studio 5 di Cinecittà che dipingono una parete. Uno dei due dice all’altro: “A Ce’?; e l’altro: “Che voi”; e il primo: “E vattela a pija in t’er culo”. Dopo avevo montato il discorso di Berlusconi. Era un gioco complesso, Fellini era appena morto quindi avevo unito tutto, ma loro sul “vattela a pijà” dissero che l’avevo fatto apposta per mandare Berlusconi a prenderselo nel culo. Quindi ci fu una specie di processo interno molto brutto».
Altri momenti complicati nella vita di Blob?
«Quando Ghezzi mi ha tolto il nome dai titoli del programma. Sarà stato 8 anni fa. L’ho trovato una cosa orrenda, stalinista. Non parlo più con lui dal ’96, da quando sono andato a Rai2. Non fu una cosa simpatica».
Qualcuno ha mai copiato Blob nel mondo?
«Non credo perché c’era il problema dei diritti dei film. Blob era un programma rubato, è quasi impossibile ri-farlo. Divenne un vanto andare su Blob quindi rimase in piedi, ma era completamente illegale. Sono passati comunque tanti anni. All’epoca aveva senso, oggi ognuno si fa il suo blob dal divano. Pensa a Osho: ruba una foto, mette una frase, somiglia a Blob».
· La Claque non è Bue.
LA CLAQUE NEI TALK SHOW. IL PUBBLICO NON E' BUE. Francesco Maria Del Vigo per “il Giornale” 16 aprile 2019. Una volta si ribellavano le masse, come ci ha spiegato agli inizi dello scorso secolo Ortega Y Gasset. Oggi, molto più prosaicamente, si ribellano le claque. E per claque intendiamo il pubblico in studio, quello che, nella tradizione catodica, era docile e alquanto mansueto. Sempre pronto a incoronare la battuta con una tempestiva risata e a scandire lo show con ritmati e scroscianti applausi. Tutto calcolato e tutto preciso. Una specie di coro gestito da un suo corifeo. Ma nell' ultimo periodo qualcosa è cambiato. Saranno i venti della democrazia diretta o la deformazione da social network ad esprimere sempre e comunque il proprio assenso e (soprattutto) il proprio dissenso. Ma il pubblico degli show non sembra più essere una massa condiscendente pronta a sdilinquirsi in gesta di approvazione. Il pubblico ha iniziato a ribellarsi. A lamentarsi. A rumoreggiare. A rompere le palle. È come se nelle sit com americane, nei momenti topici delle gag, invece che le risate registrate partissero dei buuuu. Salta il rapporto causa-effetto. È la commedia che fa piangere e la tragedia che fa ridere. Si rovescia tutto. Beh, ultimamente qualcosa di simile lo abbiamo visto nei nostri show. Facciamo qualche esempio a cavallo tra l' intrattenimento e l' informazione. Il Fogli-gate all' Isola dei famosi è noto a tutti e ha scatenato un lungo strascico di polemiche. Polemiche anticipate dal pubblico in studio, che si è mostrato subito sdegnato nei confronti dell' assalto di Fabrizio Corona. E, con un inusuale effetto domino, l' indignazione è rimbalzata sui social, poi sui media tradizionali fino a tornare all' interno dello stesso programma. Che ha immediatamente preso provvedimenti. Ma i casi più eclatanti di pubblico «disubbidiente» si sono visti altrove. La scorsa settimana a Di Martedì, il prestigioso salotto politico di Giovanni Floris, tra gli ospiti figuravano il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli e Concita De Gregorio. Immediato e prevedibile lo scontro tra la giornalista saputella e il ministro gaffeur. Lei lo infilza e Floris, con una punta di compiacimento, lo rosola per bene. D' altronde non è difficile cogliere in fallo il pentastellato. E il pubblico? Il pubblico, unito come un sol uomo, molla il padrone di casa e blinda in una pioggia di applausi lo sconsiderato grillino. Ma il meglio va in onda due sere dopo, sempre su La 7, a Piazza Pulita. In ospite c' è Simone, romano di Casal Bruciato, il quartiere nel quale è scoppiata una rivolta contro l' assegnazione di una casa popolare a una famiglia rom. Simone non ha dubbi e sentenzia: «I rom sono diversi, non sono uguali a noi. Insegnano ai figli a fare cose che noi non insegneremmo mai». Una frazione di secondo di silenzio. Simone ha detto a Piazza Pulita, che non è esattamente Pontida, una frase dal sapore deciso del politicamente scorretto. Giusto una frazione di secondo e in studio esplode l' applauso del pubblico. Formigli trasecola, tradito dai suoi stessi ospiti, e prende le distanze: «Mi dissocio dall' applauso. È un gesto che mi fa paura». Il pubblico si smarca dalla linea del conduttore e il conduttore sconfessa il pubblico. È il cortocircuito della tv per come la abbiamo conosciuta fino a oggi. La totale disintermediazione, con un conduttore che non conduce il pubblico ma anzi si scontra con esso. La democrazia diretta che irrompe nel piccolo schermo portandosi dietro la sua sindrome compulsiva da social. D' altronde il primo a litigare con il pubblico era stato proprio un grillino. Alessandro Di Battista, anch' egli ospite di Floris, si era messo ad elemosinare applausi dal pubblico, accusandolo di esserne avaro. È stata una delle sue ultime apparizioni televisive, poi è scomparso dai radar dei media e della politica. Vorrà dire qualcosa...
· Se nei programmi passa quello che il pubblico vuole vedere.
Se nei programmi passa quello che il pubblico vuole vedere. «Live. Non è la D’Urso» (Canale 5, mercoledì, ore 21.43), è il prolungamento serale di «Pomeriggio Cinque» e «Domenica Live»: manca la linea editoriale,,. scrive Aldo Grasso il 15 marzo 2019 su Il Corriere della Sera. Seguendo «Live. Non è la D’Urso» (Canale 5, mercoledì, ore 21.43), che poi è il prolungamento serale di «Pomeriggio Cinque» e «Domenica Live», mi è tornato in mente un famoso brano di Taras Bul’ba di Gogol: «Non era difficile trovare la piazza su cui il supplizio doveva aver luogo; da ogni parte la gente vi si rovesciava in massa. In quella rozza età questo era uno degli spettacoli più interessanti, non solo per la gente più umile, ma anche per le classi più elevate. Una quantità di vecchie, delle più religiose, una quantità di giovani ragazze e di donne delle più timide e paurose, che poi, tutta la notte appresso, vedevano in sogno cadaveri insanguinati e nel dormiveglia gridavano così forte, come può gridare un ussaro ubriaco, tuttavia non rinunciavano all’occasione di andare a curiosare... Alcuni discutevano con calore, altri facevano persino delle scommesse; ma la maggioranza era composta da quella gente che sta a guardare il mondo intero e quel che nel mondo accade, ficcandosi le dita su per il naso». La nostra epoca ai supplizi carnali ha sostituito i supplizi televisivi (meno cruenti ma più noiosi, non c’è dubbio), ma lo spirito è lo stesso: il pubblico televisivo è in buona parte composto da gente che sta a guardare il mondo intero e quel che nel mondo accade, ficcandosi le dita su per il naso. Solo così si spiega la presenza di Fabrizio Corona, Loredana Lecciso, Cristiano Malgioglio, Carla Fracci (ma cosa ci faceva, ha capito in quale contesto si trovava?), Alessandro Meluzzi, Carmen Russo, Antonella Boralevi, Alessandro Cecchi Paone, Enrica Bonaccorti e Alessandro Sallusti. E tanto repertorio. «Corona è invitato perché la gente lo vuole vedere», è stata la giustificazione. Non più linee editoriali, non più l’impronta dell’editore, non più la grazia insolente dei conduttori: al pubblico si dà quello che il pubblico vuole vedere. E non è un bel vedere.
Le tre sfide di Barbara. Pubblicato venerdì, 13 settembre 2019 da Chiara Maffioletti su Corriere.it. La conduttrice: «Sono fortunata ma mi sono costruita tutto quello che ho. Chi vorrei intervistare? Il premier Conte». In tv, del collarino non c’è traccia. Barbara d’Urso torna a indossarlo — e lo farà ancora per qualche tempo — appena finita la diretta di Pomeriggio 5. Nemmeno un incidente che le ha tolto per alcuni giorni la sensibilità a un braccio è riuscito a rallentare la conduttrice. O a toglierle il sorriso.
La caduta è solo di qualche settimana fa. Non ha avuto la tentazione di rimandare la messa in onda?
«No, non era proprio possibile. Devo gestire tre trasmissioni... ho cercato di vedere il lato positivo, e cioè che sono stata fortunata: mi è caduta una lastra di cristallo tra l’orecchio e la mandibola, potevo morirci. Guardo il bello: sono viva e felicissima».
Stacanovista della tv, quando non è davanti alla telecamera le manca?
«In realtà stavo benissimo: queste vacanze me le sono godute. Ero rilassata. Quando non sono in onda non provo senso di smarrimento o abbandono, probabilmente perché so che ci torno presto».
E infatti torna alla guida di tre programmi. «Pomeriggio 5» è già iniziato e la domenica sarà il suo grande giorno, con «Domenica Live» e, in serata, «Live - Non è la d’Urso»...
«Sì, hanno spostato la mia prima serata dal mercoledì alla domenica: l’editore sceglie sempre per me il giorno più difficile e infatti la Rai appena lo ha saputo ha immediatamente programmato la serie su Montalbano. Ripetere gli ascolti pazzeschi della prima stagione sarà impossibile, ma ci è stato chiesto un obiettivo di share del 12%, ottimo per una produzione a basso costo e in palinsesto per tanti mesi. Imparagonabile con le grandi produzioni da poche puntate».
E quindi si parte questa domenica...
«Con la prima serata sì, Domenica Live inizia quella successiva. Ognuno dei tre programmi ha una sua identità e io curo ogni dettaglio. Tra le idee del prime time, ci sarà uno spazio affidato a Paola Caruso e alla sua mamma biologica dopo che il loro ricongiungimento, la scorsa stagione, ha commosso tutta Italia. Da allora mi hanno scritto in moltissimi che vivono situazioni simili quindi abbiamo pensato a questo spazio chiamato Dna, in cui li aiuteremo. Partiremo con la storia di una comica che il pubblico di Canale5 conosce bene».
Tra gli altri temi che hanno fatto parlare, il Prati-gate.
«La nostra è stata un’inchiesta giornalistica: non era più gossip ma cronaca, un caso italiano multimediatico. Ci torneremo su. Nella prima puntata avremo nuove testimonianze: forse scopriremo chi c’era dietro Caltagirone».
Ci sono state critiche. Insomma, anche per questo...
«C’è un tasso d’infelicità molto alto. Hanno anche detto che in realtà porto il collarino perché ho fatto un lifting al collo: mi aspetto di tutto. Gli odiatori sono un fenomeno che non risparmia nessuno. Ma preferisco pensare e ringraziare la gente che mi ama e che mi segue da anni. In poche settimane Live è diventato un programma popolare e un vero cult per il web».
Ora nel quotidiano si confronta con «La vita in diretta» di Matano e Cuccarini...
«Sono due grandissimi professionisti, la sfida quest’anno per me è molto ma molto più complicata (ma per ora ha vinto lei il confronto)».
E poi c’è Mara Venier. Si è detto molto su di voi, anche che la sua domenica si sposta di orario per non sovrapporsi alla sua. È così?
«Mi fa piacere spiegarmi una volta per tutte. Io e Mara non abbiamo mai litigato, siamo due donne mature e intelligenti e quello che è uscito è tutto montato ad arte. Quanto al cambio di programmazione, andando in onda lo stesso giorno anche in prime time, ho chiesto che la domenica avesse la stessa fascia oraria di Pomeriggio 5, volendo evitare che la gente abbia la nausea nel vedermi sempre in tv. Se avessi chiesto o chiedessi anche adesso di iniziare prima, a Mediaset sarebbero ben felici visto che ci hanno provato».
È tra le donne più influenti della tv: quando ha iniziato era un mondo al maschile...
«Ci è voluto carattere, quello che ho me lo sono dovuto conquistare e oggi spero che tante giovani colleghe crescano e trovino il loro spazio. Io sono per fare in modo che in molte riescano ad emergere».
Capitolo sogni nel cassetto: chi vorrebbe intervistare?
«Il premier Conte. Lui ancora mi manca».
· La televisione si nutre del passato.
Lasciate in pace la signora Longari. La televisione si nutre del passato. Ma la situazione sta sfuggendo di mano. Archivio usato a dismisura e ossessione per gli anniversari. Non sarebbe ora di guardare avanti? Beatrice Dondi il 16 settembre 2019 su L'Espresso. La concorrente tv del quiz " Rischiatutto" Giuliana Longari con Mike BongiornoRepertorio e anniversari, immagini d’archivio e compleanni, memoria e passato, celebrazioni e bianco e nero. Come una sorta di virus misterioso che si diffonde senza tregua la televisione soccombe all’inno del passato. Fino a sfiorare l’insostenibile. Se in principio fu Rai Uno a presentare “Super Varietà”, col passare degli anni sono arrivati “Varietà”, “Da da dà”, “Techetechetè” (normale), “Techetechetè Superstar” e se dio vuole l’estate sta finendo e per il momento ci si ferma qui. Ma come ogni influenza che si rispetti basta uno starnuto e il contagio arriva a Mediaset, perché ogni occasione è buona per guardare indietro. Va fortissimo la torta con le candeline, anche un po’ a caso, tanto della cifra tonda non importa a nessuno: così dopo gli 83 anni di Pippo Baudo diventati un evento nazionale sono arrivati gli 81 di Maurizio Costanzo, con un’intera giornata di repliche e omaggi variegati che in confronto il ricordo dello sbarco sulla Luna è scivolato via neanche fosse opera di un terrapiattista qualsiasi. Poi ci sono i sempreverdi, i mali stagionali insomma, come Al Bano e Romina, divenuti ufficialmente il Barone Lamberto di Gianni Rodari. Il quale aveva scoperto che per vivere in eterno bastava che il suo nome venisse pronunciato senza tregua. Gli ex coniugi sono stati riproposti a ripetizione e dopo un’intera serata occupata dalla replica del concerto “Signore e signori” del 2015, è stata la volta dello speciale extralarge con tanto di musicarello al seguito. Ma l’apoteosi si è avuta con il decennale della morte di Mike Bongiorno che ha visto saltellare sui vari canali programmi dai titoli dalla fantasia estrema (“Allegria” per il Costanzo show, “Allegria allegria allegria” per Bruno Vespa, “Allegria” per Mollica con Fiorello...) con gli stessi identici ospiti capitanati da un’ormai esausta signora Longari, costretta a ripetere come una poesia di Natale la presunta gaffe dell’uccello. Rvm consumati per il troppo utilizzo, applausi e aggettivi da salotto tutti uguali sono rimbalzati da viale Mazzini a Cologno Monzese per la prima volta addirittura a reti unificate, per ricordare, a buon diritto per carità, l’indubbia caratura del re del quiz. Ma con una sorta di accanimento terapeutico che forse persino il gigantesco Everyman di Umberto Eco avrebbe trovato ridondante. Così, in questo clima di già visto, torna utile rispolverare il signor Nietzsche e il suo Eterno ritorno in chiave piccolo schermo: «Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo». Una buona profezia, una triste minaccia.
· Televendita dell’arte.
Nino Materi per “il Giornale” il 16 settembre 2019. Nacquero carneadi, moriranno celebri nel cimitero catodico dei vernissage. Parliamo della pittoresca categoria dei televenditori che dal piccolo schermo propone «grandi quadri»: una tavolozza umana degna di essere ritratta, un affresco antropologico-commerciale dal richiamo ipnotico che inchioda davanti al video un esercito di adepti che ormai non può più fare a meno dei propri beniamini tv. La novità dell' arte «videomostrata» prende il via nei primi anni '80 su Tele Elefante, intraprendente emittente dal logo in stile dada-animalista con proboscide verde. Il digitale, l' euro e una sufficiente consapevolezza da parte del pubblico erano ancora lontanissimi da venire. Erano tempi dove si potevano propinare croste spacciandole per capolavori, e la gente ci cascava non avendo strumenti per difendersi; chiunque poteva spararla grossa, senza il rischio di essere smascherato. Oggi invece per i vecchi «piazzisti» sarebbe arduo rifilare fandonie: la loro «abilità» nel raccontare bugie si schianterebbe infatti contro una verità facilmente accertabile su Internet, con un semplice clic. E così, nel corso di quasi 40 di evoluzione tecnologica e culturale, il personaggio del presentatore è passato dalle originarie forme di folcloristico dilettantismo a uno status di dignitosa professionalità. La metamorfosi dinastica è stata lenta e faticosa, ma alla fine i teleacquirenti ce l' hanno fatta a liberarsi di quei «simpaticoni» che offrivano a pochi spiccioli opere di «inestimabile valore». Oggi marginali residui di quelle scorie imbonitorie sono ancora rintracciabili in qualche televendita in onda su emittenti minori, ma il grosso dell'offerta dei maggiori network specializzati mette il potenziale compratore al sicuro da spiacevole sorprese. Con l'arte non si può più scherzare. I trucchetti del passato oggi sono improponibili. Chi segue le televendite non è più uno sprovveduto, sa cos'è il diritto di recesso e soprattutto ha compreso che se ti offrono un taglio di Fontana a pochi euro, in realtà, stanno tentando di rifilarti - più che un taglio - un pacco. Ma oggi in tv nessuno azzarda più simili giochetti. Il settore-quadri, negli ultimi cinque anni, ha raddoppiato le vendite, raggiungendo un giro di affari tale da insidiare il mercato delle gallerie tradizionali. Una realtà rappresentata da OrlerTv che trasmette 24 ore su 24. La storia della dinastia Orler assomiglia a un romanzo. A metà degli anni '50, poco più che ragazzo, Ermanno Orler decide di lasciare il suo paese natale (Mezzano di Primiero) per andare in Francia a fare il boscaiolo. Poi si sposta a Venezia, dove lavora come artista già suo fratello Davide, e dove avrà inizio la loro e la sua carriera. Corre l'anno 1958. Ermanno con il legno ci sa fare, e decide di aprire un piccolo laboratorio di cornici, che diviene da subito utile al fratello e ad altri artisti come Emilio Vedova, Virgilio Guidi, Tancredi. «Comincia lì - si legge nel sito aziendale -, nel piccolo laboratorio di Venezia, un' attività che si rivela subito un successo. L' esigenza di rendere più agevoli i contatti con il resto dell' Italia, verso la metà degli anni Sessanta, lo spinge a spostare la galleria da Venezia a Favaro Veneto, in quello che è poi diventato il centro nevralgico dell' azienda. Nel frattempo il giro dei loro artisti va ampliandosi sia sul fronte nazionale sia internazionale. Si inaugurano poi le gallerie di Madonna di Campiglio, Abano Terme e Mestre (sede di OrlerTv). All'inizio degli anni '70 il mercato funziona e gli Orler sono pronti a seguirlo, così dal 1978 ad oggi, l' azienda si dedica alle vendite televisive. A livello generale i prezzi dei quadri venduti in tv sono mediamente meno cari di quelli trattati in asta o nelle galleria. Inoltre le televendite assicurano permute e forme di pagamento improponibili altrove: basti pensare che nelle aste, dopo l' aggiudicazione del lotto, si deve saldare tutto e subito, con in più un ricarico di circa il 20 per cento per «diritti d' asta». In tv tutto è meno formale, meno patinato, e privo di quella puzza sotto il naso tipica del gallerista che si trova negli stand delle fiere e nei loro show room, dove se ti vendono un quadro sembra quasi che ti facciano un piacere; e in più tendono a compiacersi nel farti sentire un ignorante. Risultato: gli amanti dei quadri in tv sono diventati una community sempre più ampia. Perfino insospettabili vip (si vocifera di un ex premier assiduo fruitore di televendite d'arte) si sono appassionati a questo particolare canale di vendita. E così anche i presentatori sono diventati volti popolari, ognuno forte del proprio stile di conduzione, all'insegna di tic e tormentoni. Tutti, ad esempio, hanno il vezzo di ripetere fino alla noia la parola «qualità» e la tiritera secondo cui «la telefonata non obbliga all' acquisto, ma solo alla visione dell' opera». Inoltre tutti si vantano di aver consigliato in passato «quando costavano pochissimo», artisti che oggi «valgono milioni». I nomi portati dai telepredicatori per avvalorare le loro predizioni sono quasi sempre «Boetti, Fontana, Bonalumi e Castellani». Peccato che nessuno abbia il coraggio di dire che il mercato dell' arte segue dinamiche indipendenti dai presunti poteri divinatori di chicchessia. La maggior parte dei venditori più famosi si sono fatti le ossa su Telemarket con no-stop notturne che si prolungavano fino all' alba. Allora l'emittente fondata nel 1982 a Roncadelle (Brescia) dall' imprenditore Giorgio Corbelli aveva il monopolio del settore; oggi, al contrario, la concorrenza è varia, benché le facce che circolano in video sono spesso vecchie conoscenze. A cominciare da Franco Boni, indiscusso caposcuola, ora in forza all'azienda ArteInvestimenti. Non c'è giovane collega che Boni non riconosca come «figlio suo». Dagli anni 80 ha imperversato in video «proponendo a poche lire artisti che oggi costano milioni di euro». Almeno così dice lui. Noto per l'eleganza della sua «r» arrotata, ha vissuto con lodevole autoironia la parodia che un irresistibile Corrado Guzzanti gli dedicò in tv. Decisamente più sobrio lo stile di Willy Montini, tra i pochi che riesce farsi seguire per due ore di fila senza annoiare. Attento conoscitore dell' arte contemporanea, mette a suo agio lo spettatore con un dinamico approccio divulgativo. Gesticola in modo magnetico, invitando il cameraman «a seguirlo» e a «non tagliarlo a metà». In passato frontman dell' azienda ArteTv è ora tra i presentatori di punta della squadra ArteNetwork. Da un anno anima una trasmissione, Art Duel, col critico Luca Beatrice. Fiore all' occhiello di OrlerTv è Carlo Vanoni (punte di diamante sono anche i suoi colleghi di rete Dario Olivi e Giovanni Faccenda). Personalità versatile (è anche attore teatrale e musicista) Vanoni ha visitato tutti i maggiori musei del mondo e, per questo, tende ad adirarsi quando sente pronunciare, a sproposito, la fatidica frase: «Questo è un quadro museale». In casa ha migliaia di libri (non solo d' arte) e un elegante pianoforte a coda. Curatore di mostre e divulgatore, è particolarmente in sintonia con le nuove tendenze giovanili, aggiornatissimo su tutti i record d' asta. Ha scritto tre libri: l'ultimo, A piedi nudi nell' arte (Solferino) è stato un successone. Con Alessandro Orlando si entra invece nella categoria degli istrioni. Quando lavorava per Telemarket, era solito ripetere durante le televendite: «Sono ancora giovane, io andrò via di qui. Non mi brucio a 40 anni. E avrò una tv tutta mia». Ora c'è l' ha fatta, la sua azienda si chiama OrlandoArte e gli affari vanno bene. Dei suoi happening giovanili è ricco il web. Col tempo si è calmato, ora è più pacato e meno irruente. Toscano doc, ostenta l' accento regionale, ritenendolo probabilmente un valore aggiunto. Nella vita, come nell' arte, ognuno ha le proprie convinzioni. Guai a contraddirle.
· Gli addetti stampa dello spettacolo: Enrico Lucherini.
Emilia Costantini per il “Corriere della sera” il 7 ottobre 2019. E pensare che avrebbe dovuto fare il medico e poi l'attore. Invece Enrico Lucherini (classe 1932) si è inventato tutto un altro mestiere che, in Italia, non esisteva ancora: l'addetto stampa. «Mio padre era un medico piuttosto importante negli anni Cinquanta e, naturalmente, desiderava che suo figlio seguisse le sue orme. Per accontentarlo, mi iscrissi a Medicina e frequentai la facoltà per un paio d' anni e poi un giorno, passando per Piazza della Crocerossa, dove all' epoca c'era la sede dell'Accademia d' arte drammatica Silvio d' Amico, vedo un gruppo di ragazzi vestiti in maniera strana...una specie di tuta. Chiedo loro che cosa stessero facendo e mi rispondono che dovevano fare un provino per entrare in Accademia. Ho subito deciso che quella era la mia strada. Mi iscrissi per fare il provino anche io».
E lo superò...
«Certo! E mio padre, quando scoprì che non frequentavo più l' università, ma studiavo per fare l'attore, mi cacciò di casa. Mia madre, piangendo, preparò le mie cose e mi disse: vai, figlio mio, vai a fare la tua vita».
Un autentico dramma familiare.
«Altroché! Però io andavo dritto per la mia strada e dopo un paio d' anni, quando cominciavo a fare le mie prime apparizioni in scena, invitai i miei genitori a vedermi al Piccolo Eliseo. Non ricordo quale fosse lo spettacolo, ricordo invece molto bene la reazione di mio padre: voleva chiamare la polizia o i medici d' igiene mentale...».
Addirittura!
«Sì, perché trovava lo spettacolo orribile e ridicolo: considerava me, suo figlio, un matto da rinchiudere».
Il dramma che si aggiunge al dramma...
«A metà anni Cinquanta inizia il mio percorso importante con la Compagnia dei Giovani, con Rossella Falk, Giuseppe Patroni Griffi, Romolo Valli, Giorgio De Lullo... I più grandi attori del momento. Però io avevo piccoli ruoli e guadagnavo pochissimo, dalla famiglia non mi arrivavano soldi, se non un piccolo sussidio, e quando andavo a cena con i miei compagni di teatro, infilavo la mia forchetta nei loro piatti... Fame nera».
E proprio con la Compagnia dei Giovani comincia a fare esperienza da press agent, giusto?
«Io ero l' ultimo arrivato e, evidentemente, non avevo la stoffa per diventare un grande interprete, così i colleghi cominciarono, ogni tanto, ad affidarmi il compito di occuparmi dei rapporti con i giornali. Ma fu quando andammo a svolgere una lunga tournée in Sud America che scattò definitivamente la molla: in America già esistevano gli uffici stampa, capii come funzionava la cosa, cominciai a specializzarmi e i grandi Falk, Valli, De Lullo, rendendosi conto che ero più bravo a fare questo piuttosto che a recitare, mi chiesero definitivamente di diventare il loro addetto stampa».
Suo padre sarà stato contento...
«Assolutamente sì, dato che come attore gli apparivo ridicolo, mentre invece per questo mestiere mi riteneva più adatto. E addirittura mi regalò un appartamento che diventò non solo la mia casa, ma anche il mio ufficio: quello dove vivo e lavoro tuttora. Ma la mia attività non si svolgeva solo in casa, molto di più nei tavolini di via Veneto: era lì che avevo il rapporto con gli attori, i registi, i produttori e soprattutto con i paparazzi... e ancora non era nata la vera Dolce vita».
Perché proprio via Veneto?
«Non so perché sia diventata il centro di tutto il cinema di allora. Forse perché i famosi attori americani alloggiavano tutti da quelle parti, quindi frequentavano i bar, i ristoranti... Era diventata una passerella per tutti. La strada però accoglieva diverse fazioni».
In che senso?
«Da una parte c' era il gruppo di Luchino Visconti, Patroni Griffi, Raffaele La Capria... dall' altra c' erano gli Ennio Flaiano, i De Feo, i Fellini... e poi c' era la terza sponda, con gli intellettuali di sinistra, guidata da Michelangelo Antonioni, Monica Vitti... Per me iniziò la grande avventura».
E le grandi invenzioni: quelle che verranno definite «lucherinate».
«Ne racconto qualcuna?».
Assolutamente sì!
«Bè per esempio, per lanciare il film Sepolta viva , convinco Agostina Belli a far finta di annegare in una piscina: la trovata appariva talmente vera che qualcuno chiamò un' ambulanza. Oppure quando Rossellini stava girando Vanina Vanini con Sandra Milo: era un film in costume e l' attrice indossava una ingombrante parrucca bionda. Per movimentare il set e far interessare la stampa, d' accordo con il regista, la facciamo avvicinare a un candelabro: la parrucca prende fuoco, e subito le viene strappata via dalla testa in fiamme...E poi quando imbastisco una finta tresca amorosa tra Richard Burton e Florinda Bolkan che era ancora una sconosciuta e io dovevo lanciarla. Approfittando del fatto che la Taylor, in quel periodo, era in clinica per altri motivi, convinsi i giornalisti che l' attrice americana aveva tentato il suicidio per gelosia... Ma non solo... per pompare un altro progetto cinematografico, feci buttare Antonella Lualdi, Rosanna Schiaffino e Anna Maria Ferrero nella fontana delle Tartarughe al Ghetto: quando uscirono con i vestiti appiccicati sulla pelle, l' effetto fu più erotico che se fossero state nude».
La «lucherinata» di cui va più fiero?
«In Adulterio all' italiana di Pasquale Festa Campanile, Catherine Spaak indossava un tubino che era composto unicamente di perle: un filo che le girava intorno al corpo. Sul set vedo spuntare un chiodo e mi viene l' idea: dico all' attrice, bellissima, vai vicino a quel chiodo e cerca di impigliarci il filo. Lei ubbidì e le perle cominciarono a scorrere una dietro l' altra finendo a terra e lasciandola praticamente nuda. Venne fuori uno scatto indimenticabile».
L' incontro più importante, però, fu con Sophia Loren.
«Mi chiamò Carlo Ponti per La ciociara , dicendomi: ti raccomando mia moglie, devi costruire intorno a lei qualcosa di speciale. Sophia era giovanissima, bellissima, veniva dai successi negli Stati Uniti e dovevo inventarmi qualcosa di diverso per lei che, qui, era la mamma disperata di una ragazzina "marocchinata". Il set era a Sora, vicino a Roma, e io facevo in modo che venisse avvicinata dalle paesane locali con i loro bambini: lei li abbracciava, li baciava nelle foto di scena doveva apparire una madre, non una diva».
Un' altra diva era Monica Vitti...
«Non avevo mai lavorato con Antonioni, finché un giorno mi chiama proprio lui per seguirlo in Deserto rosso : voleva portare il film alla Mostra del cinema di Venezia e aveva bisogno di pubblicizzarlo. Vado nella casa dove abitavano, alla Collina Fleming. Mentre eravamo seduti in salotto a parlare del progetto, accade un fatto curioso: Monica si alza, va vicino al pianoforte, lo comincia a toccare e inizia a sussurrare "Michele sta parlando! Michele sta parlando...!". Antonioni balza in piedi, la raggiunge e anche lui esclama: è vero, parla! E io, come un cretino, chiedo: che sta dicendo?».
La risposta?
«La risposta? Un silenzio assordante. Si limitarono a fissarmi come fossi un deficiente».
Non solo «lucherinate», lei è diventato celebre anche per tante battute feroci.
«È vero, ma non posso dirle tutte...».
Solo qualcuna?
«Definivo Tinto Brass "il fascino discreto della porcheria", Adriano Celentano "il ragazzo della via Crucis", Luciano De Crescenzo "l' Arbore delle zoccole", Aurelio De Laurentiis "momenti di boria"... ».
L' attrice con cui non andava d' accordo?
«Catherine Deneuve: sul set di Bella di giorno litigammo furiosamente, era spocchiosa».
Il regista?
«Con Fellini non posso dire di averci litigato: era un uomo gentile, ma molto falso. Diceva continuamente a tutti "ciccino, ciccino...", tanto che una volta sbottai e gli dissi : "A Federi' non siamo tutti uguali!". E so per certo che non andava d' accordo con Visconti, con il quale io ho avuto il grande piacere e onore di lavorare nel mitico Gattopardo . Una volta ero in auto proprio con Luchino, ci fermiamo davanti al celebre bar Canova. Ci viene incontro Fellini e Luchino mi intima di chiudere il finestrino dell' auto. Gli chiedo il perché e lui ribatte: "Ho paura che ci sputi dentro la macchina"».
Un suo rammarico?
«Ho preso in giro tanta gente... forse qualche volta ho esagerato».
· Racconta Adriano Aragozzini.
Alessandro Ferrucci per "Il fatto Quotidiano" il 9 luglio 2019. Tutto nasce da un gesto intimo. Racconta Adriano Aragozzini: "Anni 60, Gino Paoli rilascia un' intervista: rarissimo. La giornalista domanda: 'Cosa fa prima di un concerto?'. E lui: 'Una sega'. Vengo a saperlo, e quando lo incontro gli pongo lo stesso quesito. Scoppia a ridere, diventiamo amici, e poco dopo mi chiede di seguirlo come manager. Accetto". Adriano Aragozzini è così. Visionario, arrembante, goliardico e spregiudicato; amato, temuto, detestato, per certi toni un Howard Hughes nostrano, anche lui appassionato di aerei ("ne ho posseduto uno"), di donne ("sono stato con Tina Turner, ma anche con Miss Mondo"), di imprese e fughe clamorose ("in Argentina con la Lollobrigida abbiamo rischiato di brutto"). Per molti lui è Sanremo, eppure ha guidato il Festival per cinque edizioni e dal 1989, ma lo ha rivoluzionato ("ho tolto il playback"). Quando racconta si diverte, e quando si diverte ride, con tutto il corpo, fino a sollevare i piedi da terra e raggiungere una posizione quasi fetale. Diventa serio solo al nominare Gianni Morandi: "Non ho alcuna stima di lui, è il peggio"».
Ma come, Gianni Morandi?
«La gente non sa, io gli sono stato vicino per molti anni: lo conosco bene. Però una volta in Giappone ci ha causato una risata da sentirsi male».
Dica
«Con Fidenco e altri eravamo in un posto con piscine di acqua bollente. Impossibile bagnarsi se non con moderazione. Arriva lui, inconsapevole, e con i suoi modi grossolani si tuffa. Silenzio generale squarciato dalle sue urla di dolore: ha impiegato minuti prima di riacquistare una respirazione normale (pensa). Mentre Dalla è stato un grandissimo, ma l' ho rifiutato».
Errorissimo.
«Purtroppo mi sono fidato dell' apparenza, e quando ho visto questo tipo basso, peloso, e un po' pelato, l' ho derubricato a flop. Stesso errore con Renato Zero».
E due.
«Mi venne a trovare in ufficio su indicazione di Patty Pravo. Mi trovai davanti un ragazzone vestito di nero, con i capelli lunghi: invece di accomodarsi come tutti, si sedette sulla spalliera di un divano meraviglioso, con i piedi sui cuscini. "Cocco mi vuoi?"».
Finì lì.
«Dopo pochi mesi aveva venduto un milione e mezzo di dischi (suonano al citofono, si alza, va in cucina, prende the freddo, torna e sposta gli oggetti dal tavolo. Casa è piena di ricordi, immagini, ninnoli: vita e carriera lo circondano. Prende una scatola d' argento)».
Cos' è?
«Me l' ha regalata Amir-Abbas Hoveyda, allora primo ministro iraniano, fucilato pochi giorni dopo averlo salutato.
Come mai era lì?
«Organizzavo i concerti, in quell' occasione di Patty Pravo; in Iran ho portato tutti, da Iva Zanicchi a Modugno».
Sempre tutto liscio.
«Mica tanto, con i The Four Kents qualche problemino c' è scappato».
Quanto "ino"?
«Erano quattro ragazzi di colore, enormi, muscolosi. Li mando, dopo una settimana chiamano: "Non ci pagano". "Tranquilli, ci penso io". "Vogliamo i soldi". "Domandateli con molta cortesia"».
Così non è stato...
«Macché, fino a quando l' organizzazione locale li mette in contatto con un piccoletto. Loro non capiscono e rispondono, male. Il piccoletto li ha stessi tutti. A schiaffoni. Mi hanno chiamato quando si sono ripresi: "Aiuto, è arrivato un diavolo!"».
Sembra una barzelletta.
«Un' altra volta sono a Cannes con Sergio Bernardini (proprietario de La Bussola) per il Festival dell' editoria. La sera andiamo al Casinò, con noi un italiano bassino. Arrivano sette inglesi, non ricordo il motivo ma iniziano a discutere con il piccoletto».
Altra rissa.
«Incredibile, da solo li ha distrutti; ma il punto è un altro: nella lotta si era stracciato una manica della giacca, l' avevo raccolta e portata in albergo».
Quindi?
«La mattina dopo scendo nella hall e trovo Bernardini: "Il piccoletto lo hanno ammazzato. Stanno cercando chi ha preso la sua manica". Torno in stanza, chiudo al volo la valigia e via verso l' aeroporto; lì incontro Fred Bongusto, gli spiego il problema, e lui: "Ma che dici? Questa mattina era a colazione con me!"».
Eh?
«Uno scherzo di Sergio.
Si è mai vendicato?
«Ovvio. Organizzo il concerto di Tina Turner a La Bussola, ma il giorno stesso fingiamo una lite e Tina se ne va».
La Turner sua fidanzata.
«Di una simpatia unica; comunque Bernardini viene da me: "Devi recuperarla". Corriamo da lei, mi vede, sta per ridere, io mi preoccupo, invece inizia a urlare e quasi mi picchia. Sergio distrutto se ne va. Alla fine siamo arrivati alla Bussola e mentre lui era sul palco per annunciare il forfait, Tina inizia il concerto».
Bruno Voglino sostiene.
«Chi?
Voglino, ex Rai Tre.
«Grande amico mio. Anche lui vittima di uno scherzo».
Eccoci.
«Partiamo in aereo con Nicola Di Bari. Il giorno prima mi ero messo d' accordo con un mio collaboratore: "Chiama in aeroporto, e fingi un grave problema per Voglino". Così è.Arriva la hostess, gli spiega, lui scende. Noi partiamo».
Insomma, Voglino parla della fragilità dell' artista.
«Penso a Modugno, famoso nel mondo, trent' anni di collaborazione e un' amicizia vera: prima di cantare impazziva, si emozionava, soffriva».
Avete mai discusso?
«Tutti i giorni, ma blandamente; comunque se il teatro era pieno, era merito suo, se era vuoto colpa mia».
Insomma, fragili.
«Tranquillizzarli è un lavoro, faticoso, e dopo un po' di anni non è possibile continuare: oggi non sarei in grado, non ho più quel sistema nervoso».
Basta.
«Tempo fa mi chiama Gino (Paoli) e mi chiede di seguire la Vanoni. Ho retto per poco».
Come mai?
«Un giorno si fa ricoverare dal professor Cassano (psichiatra). Da lì mi chiamava tutte le notti per dirmi: "Perché non mi vieni a trovare?". Ed ero pure sposato da poco».
Risposta?
«"Sono il tuo manager".
Duro ma giusto.
«Una volta uscita la raggiungo in una villa affittata per incidere un album, e trovo la dimora ricoperta di materassi. Con lei c' era Mario Lavezzi».
I materassi?
«Sì, per insonorizzare (ci ripensa). I materassi di casa!»
Con Paoli era legato.
«Insieme abbiamo passato anni veramente belli e intensi».
Condiviso tutto (inizia a ridere).
«Una sera mi dice: "Andiamo da Ornella, si è sposata da poco". Raggiungiamo la villa. "Aspetta, entro un minuto". Quel minuto diventa l' intera notte, ogni tanto citofonavo ma non rispondevano. Ero tra il disperato, il preoccupato e l' incazzato. Alle sei esce dal cancello. "Che scopata"».
Cosa serve nella vita?
«Il culo è fondamentale.
E poi?
«Carattere e simpatia. Anche se suscito pure antipatia. Quando mi hanno assegnato Sanremo scattò una campagna stampa micidiale, passavo da dilettante, mentre avevo otto uffici in Sudamerica, a Los Angeles e a New York».
Alto livello.
«A Los Angeles mi rappresentava Maddalena Mauro, agente di Gina Lollobrigida».
Con la Lollo siete amici?
«Sì, e con me ha guadagnato tanti soldi; quando arrivavamo in Argentina accadeva di tutto: i generali che impazzivano e volevano trombarla».
L' hanno mai fregata?
«In Sudamerica capitava spesso, lo mettevo nel conto, e a me è andata meglio che ad altri: ero l' unico a portare italiani».
Nessuna concorrenza.
«Se qualcuno ci provava, gli bloccavo il mercato».
Solo lei.
«In Sudamerica Nicola Di Bari era una star assoluta, quando atterravamo la televisione trasmetteva in diretta l' evento, al grido: "Arriva il cantante più brutto del mondo ma con la voce più bella del mondo"».
Proprio Nicola Di Bari?
«Quando l' ho preso era completamente finito, talmente finito che l' unica condizione pretesa da lui per firmare il contratto è stata quella di saldare l' affitto di casa».
Niente di che.
«Con me nel 1969 è arrivato secondo a Sanremo e primo nel 1970 e 1971. Poi Canzonissima davanti a Massimo Ranieri».
Tripletta.
«Mi accusarono di imbrogli».
Insomma, Di Bari.
«Prima dell' arrivo di Julio Iglesias veniva considerato un Dio; Billboard gli pubblicò una pagina intera: "È il fenomeno del Centro e Sudamerica". Eppure non scriveva canzoni, l' unica sua è di merda».
Sempre duro ma giusto.
«Ha mai ascoltato Zapponeta?»
No.
«È il nome del suo Paese natale. Prima in classifica in tutto il Sudamerica.
Così brutta?
«Orrenda».
Quindi?
«Non vincevamo più Sanremo, così inventai un escamotage che ci regalò altri sette trionfi: prima del Festival ascoltavo i brani, prendevo i diritti in spagnolo di quei quattro o cinque papabili per la vittoria, traducevo il pezzo e Nicola lo incideva. Il gioco era servito».
Felici gli interpreti originali.
«Una mattina mi chiama Peppino Di Capri, urla: "Cosa stai facendo?". "Non capisco". "Canto un grande pezzo e qui mi dicono che è di Nicola?" Anche Ranieri mi ha evitato per anni».
Hanno parlato di lei come finanziatore dei regimi del Sudamerica.
«Stupidaggine: a quelli i soldi li portavo via, anche infilando i contanti nelle mutande e nei reggiseni della Lollo».
I servizi segreti l' hanno contattata?
«Mai».
Massoneria?
«La odio. Sono il mio contrario mentale. E non avevo tempo da perdere. Tempo è denaro. A 21 anni andavo ogni mercoledì in Venezuela e a Roma avevo già una villa con piscina; un giorno venne mio padre in ufficio, allarmato: "Mi spieghi da dove arrivano i soldi?". Ho tirato fuori i registri».
La sua vera svolta?
«Proprio a 21 anni quando ho conosciuto per caso un agente che cercava star italiane da portare nello show di Renny Ottolina, il Mike Bongiorno del Venezuela. E Con Renny ho lavorato per anni, poi è morto in un misterioso incidente aereo quando ha deciso di candidarsi alla presidenza del suo Paese. Il Sudamerica è così».
Ha mai avuto paura?
«Solo una volta, per colpa di Mal: atterriamo in Venezuela e in aeroporto troviamo duemila persone. Una situazione folle, con le donne che lo aggredivano pur di dargli il numero di telefono; la sera, alla fine dello spettacolo, accade la medesima situazione, ma nel camerino. Mal si scoccia, le caccia, una signora insiste, ed entra di nuovo. Il segretario la solleva e la butta fuori. Errore clamoroso».
Chi era?
«La moglie del colonnello dei servizi segreti. Dopo dieci minuti il proprietario del locale viene da me, pallido, sudato: "Cosa è successo? Sta arrivando l' esercito, porti via Mal". Corro da lui e lo spedisco in albergo, in una stanza differente dalla sua; poco dopo si palesano i militari, in borghese, con il mitra in mano, mi interrogano. Bluffo».
Conclusione?
«Per giorni i servizi mi hanno seguito, Mal nascosto, fino a quando sono riuscito a farlo salire su un aereo».
Ha mai avuto una storia con una delle sue artiste?
«Quasi mai, giusto Tina Turner; però sono stato con Miss Mondo, nonostante fosse la donna di un grosso impresario, uno da aereo privato».
Come ci è riuscito?
«Lui era spesso ubriaco, e se uno beve così poi a letto funziona poco; poi giocava al Casinò: nel frattempo invitavo lei in Italia per dei provini».
Un classico.
«Con le donne ho sempre mantenuto la parola, a volte pagando perché non riuscivo nelle mie intenzioni».
In che senso?
«Fingevo ingaggi, in realtà ero io ad allungare i soldi».
Conta più il potere o i soldi.
«Con il potere arrivi ovunque.
Lei ha il potere?
«Un tempo, oggi con internet è impossibile, tutti possono ingegnarsi, basta un' email spedita da casa».
E Patty Pravo?
«La svolta è arrivata grazie alle foto nude apparse su Playboy, pagate una cifra pazzesca».
Era già molto famosa.
«In quella fase non andava più in televisione, e la casa discografica la obbligava a cantare canzoni francesi pallosissime. Non vendeva. Rovinata. E invece con me ha inciso Pazza idea, e neanche era convinta: "Troppo commerciale"».
Storia con la Pravo?
«C' è un proverbio: "Dove tiri fuori il pane non tirare fuori il pene"».
Mal.
«Potevo lanciarlo sul mercato statunitense, aveva inciso un pezzo entrato in classifica e aveva una serie di concerti a Las Vegas; ha rinunciato al momento di partire: "Non posso, ho paura". "Di cosa?". "Se vado via la mia fidanzatina mi mette le corna"».
Perfetto.
«Alla fine la fidanzatina lo ha tradito e mollato; oggi avrebbe potuto vivere a Beverly Hills. Sta a Pordenone».
Gli artisti e i soldi.
«Alcuni oculati, ma spesso sono una tragedia come Patty (ricca risata). Un giorno fisso un appuntamento con Andy Warhol per parlare di un film da girare. Lei è contenta di conoscerlo, ma quando lui varca la porta di casa, Patty si trincera in un mutismo assoluto. Dopo un'ora termina l'imbarazzo, Warhol va via. Appena esce, la Pravo accende una candela e inizia a correre come una matta per casa: doveva cacciare via gli spiriti cattivi».
L' artista è riconoscente?
«No».
Lei è mai triste?
«Spessissimo».
Le capita di stare solo?
«Molto spesso».
E come si trova?
«Preferisco la compagnia, ma non ci sto male (cambia tono); da pochi anni mi sono reso conto di ciò che ho combinato nella vita, quando ero al top non capivo».
Adrenalina.
«Ho corso proprio tanto, la prima vacanza me la sono concessa a 39 anni. Ora ho passato gli ottanta, è stato un attimo. (Canta Anna Oxa: "La mia vita è questa qua, che un' altra dentro non ci sta")».
· Marracash.
“Mi chiamo Marracash perché mi chiamavano marocchino”. Le Iene il 3 dicembre 2019. Bartolo Fabio Rizzo vi dice qualcosa? È Il King del rap! Perché ha scelto come nome Marracash? “Mi chiamavano marocchino per riconoscermi dagli altri Fabio e per i miei lineamenti del sud”. “Quando ero piccolo avevo la mentalità di rubare qualsiasi cosa”. Il King del rap Marracash si racconta a Le Iene e parla delle sue origini di periferia in un quartiere di case popolari. Risse? “Una rissa, alle medie: avevo tutti i miei amici intorno che mi facevano il tifo”. E gli è capitato anche di prenderle: “Un bello sberlone... e sono dovuto pure stare zitto!”. Ma è vero che è bipolare? “Sì, l'ho capito perché ho dei lunghi momenti di depressione alternati con momenti in cui sono troppo attivo e non riesco a dormire”.
Marracash, il king del rap: “Mi chiamo Fabio e facevo l'elettricista”. Le Iene il 4 dicembre 2019. Ha 40 anni ed è il re del rap italiano. Perché si chiama “Marracash”? “Mi chiamavano marocchino”. Noi gli abbiamo chiesto davvero di tutto e lui non ha saltato una risposta! Abbiamo chiesto davvero di tutto a Marracash, il King del rap. A partire dal suo nome: “Mi chiamavano marocchino per riconoscermi dagli altri Fabio e per i miei lineamenti del sud”. Il suo vero nome infatti è Bartolo Fabio Rizzo, sarà per questo che l’ha cambiato? Ha mai fatto qualche bravata? “Quando ero piccolo avevo la mentalità di rubare qualsiasi cosa, dai motorini ai giubbotti”. Risse? “Una, alle medie: avevo tutti i miei amici intorno che mi facevano il tifo”. Ma gli è capitato anche di prenderle: “Un bello sberlone... e sono dovuto pure stare zitto!”. Ma è vero che è bipolare? “Sì, l'ho capito perché ho dei lunghi momenti di depressione alternati con momenti in cui sono troppo attivo e non riesco a dormire. Ma è una cosa che gestisco”. Adesso tutto bene? “Sì”. Perché fra rapper si litiga tanto? “Perché si tende a dire esplicitamente cosa si pensa”. Come è messo lui a litigate? “Ho litigato con Fedez”, ci racconta. E quando gli chiediamo chi è un collega che gli sta sulla balle, pensa sempre a lui! “Secondo me dovrebbe farsi due domande. E comunque con me ha iniziato lui”. A proposito di litigate, mai ricevuto uno schiaffo da una donna? “Sì”. E dato? “Sì, una volta ho tirato uno schiaffo a una donna, ma in un contesto di parità se tu mi dai uno schiaffo…”. Prima di avere successo come rapper cosa faceva? “Ho fatto l’elettricista e il muratore”. Ora che ha successo, qual è la cosa più costosa che ha comprato? “Un montone da 6mila euro”. Mica male!
Marracash: "Ho avuto problemi mentali anche a causa di una ex". Marracash si racconta prima dell'uscita del nuovo album e parla dei problemi mentali, della depressione e degli attacchi di panico di cui ha sofferto a lungo. Luana Rosato, Mercoledì 30/10/2019, su Il Giornale. Il 31 ottobre prossimo esce il nuovo album di Marracash, “Persona”, a cui il cantante ha lavorato per tre mesi e che definisce un “disco personale” perché “racconto molto di me stesso nella forma e nel sound”. Attraverso questo nuovo lavoro discografico, Marracash, all’anagrafe Fabio Bartolo Rizzo, è riuscito a togliersi la maschera di personaggio e tornare al suo vero io, senza paura di raccontarsi e in grado di parlare dei problemi mentali, degli attacchi di panico e della depressione senza considerarli tabù. Intervistato da FqMagazine, Marracash ha avuto il coraggio di condividere ciò che gli è successo e che accomuna tante persone, note e non. “Nessuno parla del fatto che gli attacchi di panico, i problemi mentali, la depressione riguardino moltissime persone e non solo nel mondo dello spettacolo – ha spiegato - . Non ho problemi a condividere quello che ho passato, perché mi rendo conto che per molti sono una specie di fratello maggiore [...]Viviamo in un mondo pieno di fake news dalla politica ai social, dove ci mostriamo per quello che non siamo. Nel mio caso personale ci sono state tantissime cose che mi hanno portato alla malattia, compreso un rapporto con una mia ex che non era affatto sano. Quindi la mia missione è diventata scrivere di tutto questo”. La vita di Marracash, poi, è cambiata all’improvviso: è passato dall’uccidere “le giornate senza energia addosso”, allo scrivere “in modo febbrile” il nuovo album dopo un lungo percorso personale. “Mi sono riappropriato delle cose che avevo accantonato per far piacere agli altri – ha detto – [...]ho ritrovato per strada la mia autostima e la fiducia in me stesso”. Ma non solo. Nel periodo di rinascita di Marracash, è arrivato anche l’amore che ha il nome di Elodie. “È successo tutto per caso – ha detto l’artista, parlando del singolo Margarita che ha segnato l’incontro con la sua attuale compagna - . L’etichetta mi aveva proposto questo duetto, lo abbiamo inciso e ci siamo conosciuti sul set del video”. “Un incastro di pianeti meraviglioso che ci ha consentito di conoscerci e di non perderci di vista – ha aggiunto - . Ma tutto questo è successo come ultimo step di una serie di piccoli passi verso la rinascita. Era come se il destino mi avesse riservato tutte queste belle sorprese sul mio cammino”.
Rita Vecchio per leggo.it il 31 ottobre 2019. Marracash versus Fabio. O, molto più probabilmente, viceversa? Perché, ascoltando i nuovi brani del suo disco viene davvero il dubbio su chi stia parlando a chi. Quindici tracce dal titolo Persona in uscita il 31 ottobre a tre anni di distanza dal precedente album Santeria. «Una distanza - dice - che è un'era geologica per un rapper». Ogni canzone ha come sottotitolo parti del corpo umano: c'è il cuore, il sangue, lo scheletro, i polmoni, il cazzo, il cervello, i denti, i nervi, la pelle. «Proprio come fosse un avatar - racconta lo stesso Marracash, all'anagrafe Fabio Rizzo - E il disco inizialmente si doveva chiamare proprio così. Poi però il musicista Venerus mi ha suggerito di intitolarlo Persona come il film di Ingmar Bergman del 1966». «È un po' come se Fabio avesse ucciso Marracash, come se la mia identità avesse salutato l'artista che io ho creato, ma che gli altri hanno modellato. È più un disco di Fabio che di Marracash. Mi sono liberato del personaggio». Un concept album, «vero, istintivo, maturo e libero», che «ha preso vita a poco a poco come un Frankenstein». Nove featuring «nati per colmare il talento che non ho e per arricchire i brani», da Mahmood («che ha rivoluzionato la musica e Sanremo»), a Madame, da Cosmo a Coez, Guè Pequeno, Luchè, Massimo Pericolo, Sfera Ebbasta e tha Supreme. Un disco che arriva dopo tre mesi di isolamento da internet e social («chiuso a casa da luglio a settembre»). E sarà che il meglio viene sempre dopo un periodo difficile - come i suoi ultimi tre anni «cupi e tristi», con la fine di «una relazione tossica con una persona complicata» (a cui allude nel brano Crudelia),«ma ora sono sereno, dormo come un bambino» (merito di Elodie, la cantante cui è legato da qualche mese?) - ma è davvero un disco diverso. Del quartiere popolare della Barona, quello in cui è cresciuto dopo che con la famiglia si è trasferito dalla Sicilia a Milano, c'è ben poco. E nei testi scherza e accusa la politica, da Trump a Putin per arrivare all'ignoranza sventolata come bandiera, a Salvini, al sonno della ragione che vota Lega, «perché non posso pensare - spiega - che la gente dimentichi. Mi ricordo quando la Lega andò al potere, la retorica di Bossi con i suoi fallimenti. Di Berlusconi e delle promesse mai mantenute di milioni di posti di lavoro». Rappa di droga, gioca con un nice to meet you e il MeToo, da una parte si definisce come il Cristo morto di Mantegna e da un'altra chiama in causa lo chef stellato Cannavacciuolo. Fino a chiudere con Greta Thunberg (a quattro mani con Cosmo). Tracce ricche. Il brano campionato di Frankie Hi-nrg mc, Quelli che Benpensano per parlare «dell'ipocrisia italiana di nascondere la testa sotto la sabbia», di Un ragazzo di strada, nientemeno che il pezzo del primo 45 giri dei Corvi. Accenni a T'appartengo di Ambra Angiolini dei tempi di Non è la rai («Ambra ancora non l'ha ascoltata»), a Ti Amo di Tozzi. E nomi come Colapesce, Di Martino, Dardast e Charlie Charles. I live in primavera (e sta pensando all'idea della band, visto che nel disco non mancano bassi e sax suonati). E sempre in primavera uscirà il suo libro.
· Rino Barillari.
«Per vivere pescavo i soldi nella Fontana di Trevi». Pubblicato domenica, 25 agosto 2019 da Fabrizio Paladini su Corriere.it. Aveva 14 anni quando arrivò nella Capitale dalla Calabria. Un americano a Roma, ma nato in Calabria. Rino Barillari, 74 anni, due figli ormai grandi, tre nipoti, una moglie sposata da poco, ama nei suoi racconti pittoreschi inserire frasi in un inglese maccheronico proprio come Alberto Sordi alias Nando Meliconi alias Santi Bailor. Per tutti è «The king of paparazzi», ma Rino è anche molto di più e chi ci ha lavorato insieme in tanti anni di cronaca nera, bianca e rosa - prima al Tempo e poi al Messaggero - sa che con lui rischiavi sempre la rissa ma la simpatica canaglia portava sempre a casa la foto.
Chi te lo fa fare, a 74 anni suonati, di passare ancora 18 ore al giorno con la macchina a tracolla?
«Me lo fa fare la gente che ha fiducia in me. Se succede qualcosa in città, bella o brutta che sia, non chiamano i carabinieri o i vigili, chiamano me. Sono una specie di emergency. Loro sanno che io pubblicherò l’ultima schifezza che mi segnalano. E io lo faccio».
Com’è cominciato tutto?
«Avevo un dream. Sono partito dal paesello in Calabria a 14 anni e sono arrivato a Roma. Campavo rubando i soldi nella Fontana di Trevi che buttavano i turisti. Lì c’erano i fotografi che vendevano istantanee ricordo. Ho iniziato facendo lo scattino: un souvenir, datevi un kiss con la fontana alle spalle, e poi la sera gli portavo la foto in albergo».
E via Veneto?
«Quella era Hollywood. Ti dico solo che personaggi italiani come Maurizio Arena, Renato Salvatori o Rossano Brazzi valevano troppo poco rispetto a Mastroianni, Burt Lancaster, Liz Taylor, Onassis e li ignoravamo. Erano anni d’oro. Con la prima macchina comprata a Porta Portese, una Comet, ho fatto Sammy Davis jr e Lola Falana che si baciavano con la lingua. Io ero già un paracul boy e davo l’esclusiva in Italia ai quotidiani e l’esclusiva americana ai settimanali. Io sono smart, e avevo già capito tutto».
Spendevi tanto in macchine?
«Guadagnavo bene ma spendevo. Calcola che di macchine me ne hanno sfasciate 78, tumulti di piazza compresi. Poi ero sempre in giacca, cravatta e camicie stirate. La cravatta, dopo le prime pizze, l’ho sempre portata con l’elastico così non mi strozzavano durante le aggressioni».
Molte aggressioni?
«La prima fu di Romy Schneider, a Fiumicino. Poi Peter O’Toole che becco con Barbara Steele prima all’Harry’s bar e poi all’84. Mi picchia, mi sfascia la macchina e mi ferisce all’orecchio (4 punti di sutura). Per quello lui è stato fermato e mi ha dato un milione, che nel ’64 non era poca roba».
Ospedale?
«Oh yes, 163 volte fino ad oggi. Ma ora ti spiego la strategy, my friend: se uno ti dà una spinta e tu finisci per terra, è una cosa che sai solo tu. Se invece vai al pronto soccorso ci sarà un referto e il poliziotto ti chiede chi è stato. Diventa una notizia che il giorno dopo tutti i giornali hanno. Allora i direttori dei settimanali ti chiedono le foto dell’aggressione e tu fai i soldi e magari chiedi anche il risarcimento».
La foto più pagata?
«Oh, tante. Quelle di Lady D., del Papa, di Liz Taylor. Ma forse quella più absurd è la foto del “figlio segreto di Soraya”. Lei, prima di morire aveva espresso il desiderio di adottare il “figlio segreto”. E dove lo trovo questo? It’s a big problem. Prendo mio figlio bambino al mare, gli sfoco la faccia in modo che nessuno potesse riconoscerlo e mando la foto ai settimanali dicendo: “Secondo le mie fonti questo è il figlio segreto di Soraya”. Abboccano, pubblicano e pagano. Solo che mia suocera, mentre sta dal parrucchiere, sfoglia la rivista e riconosce mio figlio. Non puoi capire il bordello che è successo e io sono stato costretto a dire che c’era stato un errore e che la foto inviata era sbagliata. Ma ormai il danno era fatto».
Ma questa è una truffa…
«Truffa, dai don’t exagerate, è un peccato venial e a quei tempi era tutto different».
La foto più difficile?
«Quelle di cronaca nera. Quando ti travesti da infermiere per entrare negli ospedali o per flashare gli arrestati nei commissariati. O quando nascondevo la micromacchina nel polsino della camicia per fare i parenti del morto. Sembra una cosa brutta ma è lavoro, e la guera è guera».
Paparazzo è un insulto o un titolo di merito?
«The second che hai detto. Io sono fiero di essere un Paparazzo perché è una cosa solo italiana che ci copiano in tutto il mondo. La foto perfetta? È quella di notte col personaggio che cammina e tu gli spari una flashata. È uno shot. Lui rimane colpito, fulminato, accecato. Si nasconde perché non se lo aspetta e ha qualcosa da nascondere. Quella foto è scandal e tu hai fatto centro».
È l’ultimo giorno della tua vita: che foto vorresti fare?
«Papa Francesco in maglietta, pantaloncini e infradito. Devono essere foto rubate, in cui lui è naturale e ancora più bello e umano e quindi ancora più vicino a tutti noi di quando lo vedi vestito di bianco. Faccio questa foto e poi goodbye e see you soon. E poi me la vedo io con San Pietro».
· Marcellino Radogna
«La foto più pagata? Quella della contessa uccisa». Pubblicato domenica, 01 settembre 2019 da Corriere.it. Lo chiamano «Il colonnello» per via dei suoi inconfondibili baffi all’insù. Non come quelli di Salvador Dalì ma più grandi, più spessi. Come quelli di un alto ufficiale prussiano, un conte della Sassonia nato per sbaglio un secolo dopo. Marcellino Radogna lo riconosci da sempre perché da sempre bazzica le redazioni dei giornali. Se vuoi una foto di un evento frequentato da principi e politici, nobildonne e intellettuali, sangue blu e luci rosa, lui ce l’ha perché c’è sempre. E oggi, ogni sera, a 77 anni suonati, è lì con la macchina al collo, irriducibile fotografo di un mondo che va scomparendo.
Come iniziò questo gioco?
«Non avevo voglia di studiare. Avevo 15 anni e il pomeriggio andavo nello studio del fotografo Renato Altobelli a Casamassima, un paesino pugliese dove vivevo. Lo aiutavo e iniziai a capire qualcosa di fotografia, pellicole, ingrandimenti, stampe».
E Roma?
«Arrivai qui nel 1960, in piena Dolce Vita. All’epoca lavoravo allo Specchio e conobbi Olghina de Robilant che aveva una rubrica sul settimanale dedicata ai nobili. Mi chiese di fare le foto e tutto cominciò».
Chi glielo fa fare a 77 anni di scarpinare ancora dal pomeriggio fino a notte fonda?
«Primo la passione, secondo la necessità di mantenere aggiornato il mio archivio. Ho circa quattro milioni di foto tra negativi e stampe e vorrei lasciarlo in eredità a qualche fondazione, a un ente, insomma a qualcuno a cui possa interessare. E quindi cerco di mantenerlo vivo».
Lei è specializzato in nobiltà. Ma non è un po’ decaduta?
«Non è decaduta, è scomparsa, che è cosa differente. Era una bella vita, la mia. Andavo a Cortina, a Montecarlo, a Viareggio, a Venezia. Ero sempre alle feste della principessa Elvira Pallavicini. I nobili mi conoscevano e volevano farsi fotografare solo da me».
Le sarebbe piaciuto essere il conte Radogna.
«Ah, ah…Conte Marcellino Radogna di Torre di Santa Susanna, che era il paesino dove sono nato e dove mio padre carabiniere prestava servizio. Ma no, a parte gli scherzi sa cosa mi diceva il conte Giovanni Nuvoletti, la persona più elegante che abbia mai conosciuto? Marcellino, tu sei un nobile con l’hobby della fotografia».
Nobiltà è sinonimo di eleganza?
«Non sempre. Ho conosciuto tanti nobili che erano dei cialtroni. Però quel mondo lì mi ha sempre affascinato».
La volgarità le dà fastidio?
«Da morire. Oggi tutto è molto più volgare. Una volta, prima di andare a fare le serate ai night o nelle case di principi e duchesse, andavo a teatro. E trovavo sempre Sandro Pertini con l’amico Antonio Maccanico, o Aldo Moro o Enrico Berlinguer che andavano nei camerini a salutare Eduardo De Filippo, Mastroianni, Paolo Stoppa e Rina Morelli, Renato Rascel. C’era eleganza nel seguire la cultura. La foto di un attore “durava” anni. Di Alberto Sordi anche 20 anni. Oggi uno fa un film e dopo tre mesi scompare, non lo chiede più nessuno».
I suoi baffi sono un vezzo?
«Sì, ci tengo molto. Li alliscio all’insù per farli stare belli tesi. Una volta ci mettevo addirittura la cera. Alberto Sordi voleva che facessi un duca inglese in Fumo di Londra ma io lavoravo nella redazione di Radio anch’io con Gianni Bislacche e non sono potuto andare…»
Lei ci tiene molto ad essere definito un fotografo e non un paparazzo.
«Sì, perché io non sono un paparazzo. Non ho mai fatto una foto di nascosto, rubata. Se uno sta con l’amante o è ubriaco a me non interessa. Io ho sempre fatto foto con il permesso del personaggio».
La foto più bella?
«Un bacio tra Renato Guttuso e Marta Marzotto a piazza Navona. Lui fu così contento che me ne chiese una copia. Passarono un po’ di giorni e gliela stavo preparando ma purtroppo non arrivai in tempo».
La foto con cui ha fatto più soldi?
«Quella della contessa Alberico Filo della Torre, assassinata all’Olgiata nel 1991. Nelle redazioni non c’erano foto sue. Le avevo fatte solo io, pochi giorni prima del delitto, a una festa. Il principe Carlo Giovannelli la convinse: “Guarda che Marcellino è bravo, ti farà bei ritratti”. Lei aveva quel bel vestito di velluto verde e dei bellissimi gioielli. Feci quattro o cinque scatti a colori e altrettanti in bianco e nero. E fu così che quelle foto diventarono preziose».
Un incontro che l’ha emozionata?
«Tanti: Gorbaciov, Lady D., la regina Elisabetta, il Re Umberto in esilio…»
Ma lei, è monarchico?
«Certo che sono monarchico, sono figlio di un carabiniere reale. Ma fotografo pure i repubblicani, senza pregiudizi».
Se ci fosse la monarchia le cose in Italia andrebbero meglio?
«Ma no. Re o Presidente, qui non c’è lavoro, non si fanno più figli e ci sono troppi immigrati».
Roma è cambiata?
«Roma è come i nobili, sta sparendo».
· Giorgio Lotti.
Giorgio Lotti. Il decano dei grandi fotoreporter che hanno fatto «Epoca». «Per ritrarre Paolo VI passai la notte sul pavimento del Santo Sepolcro». E il poeta Ungaretti urlò:«Giorgio, siamo sulla Luna». Pubblicato lunedì, 02 settembre 2019 da Stefano Lorenzetto su Corriere.it. È il decano dei fotoreporter che hanno fatto epoca, e non per modo di dire, perché Epoca, fondata nel 1950 da Alberto Mondadori, figlio di Arnoldo, sul modello di Life e con la consulenza del designer Bruno Munari, segnò davvero quasi mezzo secolo di storia italiana. Gli altri — Walter Bonatti, Sergio Del Grande, Walter Mori, Mario De Biasi — sono morti. Il milanese Giorgio Lotti, 82 anni, condivide il ruolo di superstite con Mauro Galligani, che alla chiusura del settimanale, nel 1997, fu rapito in Cecenia e restò prigioniero per 48 giorni. Da ragazzo si allenava al cinema Da Sesto: «Guardavo i film tre volte: una per la regia, una per la scenografia, una per l’interpretazione. Finché non vedevo in controluce mia madre che veniva a prendermi per un orecchio: “Disgraziato, torni a casa o no?”».
Deve proprio a mamma Maria se è diventato quello che è.
«Mio padre Lodovico se ne andò così giovane che manco mi ricordo più quale età avesse. Toccò a me mantenere la famiglia. “Giorgio, devi occuparti di fotografia”, insisteva mia madre. Alla cinquantesima volta, obbedii. Fu la mia fortuna. La prima Rolleiflex me la regalò lei». Lotti non ha mai smesso di fotografare. A Epoca ha avuto 16 direttori, fra i quali ricorda con nostalgia Nando Sampietro, che lo assunse nel 1964, Vittorio Buttafava e Sandro Mayer. Ma ha lavorato anche per Mario Pannunzio, Arrigo Benedetti, Nino Nutrizio e Pietro Radius, perché da apprendista vendeva immagini aIl Mondo, L’Europeo, La Notte, Settimo Giorno, Le Ore («non la rivista porno, eh»). Adesso il suo cruccio sono le 240.000 diapositive conservate nella casa di Varese: «A chi andranno?».
Ricorda il suo primo scatto?
«Un raduno di cani nei giardini di via Palestro, dove oggi c’è la statua di Indro Montanelli. Non dovetti fare molta strada: lavoravo per l’agenzia Giancolombo, che aveva sede nel vicino Palazzo dei Giornali di piazza Cavour. Alla seconda foto ero già in carriera: l’arresto di una madre che aveva ucciso il figlio».
E l’ultimo?
«Doloroso capitolo. “Devi andare a fotografare il presidente”, mi ordinò uno dei boss di Epoca. Ok, prenoto per Roma, risposi. E lui: “Ma no, che hai capito? Il presidente Silvio Berlusconi, non il capo dello Stato”. Lì compresi che finiva l’era dei direttori giornalisti e cominciava quella dei direttori politici».
Che c’era di tanto scandaloso in un servizio posato sul Cavaliere?
«I ritratti di regime non li avevo mai fatti. Appena giunto ad Arcore, cercai di sottrarmi all’incarico con una scusa: presidente, prima che lo sappia da altri, devo dirle che sono comunista. “Chissenefrega, caro Lotti, lei è bravo”, fu la replica. Lo seguii per quattro mesi. Le mie immagini finirono non so come su Paris Match e Stern. Cominciai a ricevere minacce di morte. Il matrimonio andò a rotoli e si guastò il rapporto con le mie due figlie. Non le vedo da 25 anni».
Suvvia, per così poco?
«Passare per ritrattista ufficiale di Berlusconi mi attirò un mare di odio. Mi credevano prezzolato. Venivo da esperienze totalmente diverse: Brigitte Bardot a Cortina, Sophia Loren nel suo letto, i Beatles, re Umberto nell’esilio di Cascais, il terremoto in Friuli nel 1976».Il disastro del Vajont nel 1963.«Otto chilometri a piedi fra le macerie. Brandelli di cadaveri ovunque. A ogni passo mi dicevo: no, Giorgio, non li puoi fotografare. Finché in quella desolazione apparve un prete con la stola viola sulle spalle, che impartì la benedizione alle salme infagottate in coperte di lana. Ecco lo scatto che rispettava la pietà». Paolo VI in Terrasanta nel 1964.«Il primo papa a viaggiare in aereo e fuori dall’Italia. Epoca mandò De Biasi, Del Grande e me per uscire con 64 pagine di foto. Ci crede se le dico che laggiù non c’incrociammo mai? Passai la notte sul pavimento nella basilica del Santo Sepolcro per essere certo di non mancare l’inquadratura giusta l’indomani».
L’alluvione di Firenze nel 1966.
«Il direttore aveva inviato De Biasi e Del Grande. Presi due giorni di ferie e andai per conto mio. Giunto al Ponte Vecchio, scoprii che i colleghi non erano riusciti ad arrivare. Le uniche immagini del primo giorno furono le mie».
I funerali di padre Pio nel 1968.
«Fotografai la salma. Ma alla redazione consegnai solo scatti dei fedeli in lacrime. Anche qui, una forma di rispetto».
Giuseppe Ungaretti nel 1969.
«L’avevo conosciuto nella villa di Arnoldo Mondadori, a Meina, sul lago Maggiore. La notte della missione Apollo 11 lo invitai in un albergo di Roma, dove avevo allestito una camera buia con tre televisori. Nell’attesa, a cena, mi declamò le sue poesie. E quando Neil Armstrong posò il piede, immortalai il suo impeto di gioia mentre con i pugni chiusi esclamava: “Giorgio, siamo sulla Luna!”».
Zhou Enlai nel 1973.
«Una volta ammesso nel Palazzo del Popolo di Pechino, scoprii che lo potevo ritrarre solo su fondo nero, con il profilo rivolto a sinistra: doveva guardare verso il futuro. D’improvviso un collaboratore gli chiese qualcosa e il primo ministro cinese si girò per una frazione di secondo in quella direzione. È diventata la foto più stampata al mondo, oltre 100 milioni di copie».
Eugenio Montale in lacrime nel 1975.
«Ero nel suo studio quando squillò il telefono. Mi allontanai per discrezione, continuando a scattare. Il poeta cambiò espressione. Si coprì gli occhi con le mani. Pensai a una brutta notizia. Invece gli avevano annunciato che aveva vinto il premio Nobel per la letteratura».
Yasser Arafat con la pistola.
«Ancor oggi ignoro in quale località lo fotografai. A Tunisi fui caricato su un elicottero e bendato. Il viaggio proseguì in auto, con due pistole puntate alle tempie. Arrivammo in una villa. Il leader dell’Olp mi chiese: “È vero che mi farà una foto come quella di Zhou Enlai?”. Lo ripresi mentre si fasciava la crapa pelata con la kefiah. Una guardia del corpo, che teneva due bombe a mano nel cinturone, si complimentò perché le mie figlie erano state promosse a scuola. Sulla famiglia Lotti i servizi segreti palestinesi ne sapevano più di me».
Vittorio Gassman mentre si trucca da Otello al teatro Duse di Bologna.
«Mi confessò che a 67 anni avrebbe voluto essere candidato al premio Strega. E si lamentò perché il Padreterno ci concede una sola vita anziché due».
I Rolling Stones in concerto a Torino.
«Trentasette gradi. Mick Jagger tirò una secchiata d’acqua sugli spettatori accaldati. Per quella foto mi donò una giacca con le note musicali ricamate. Me la rubarono in albergo mentre seguivo un congresso del Pci a Rimini».
Ha mai sbagliato una foto?
«Dalle diapositive del sisma in Irpinia spedite a Epoca dimenticai di togliere la scena di una vittima sepolta dai detriti. Misero in pagina proprio quella. Non me lo sono mai perdonato».
L’art director fece il suo mestiere.
«Oggi pur di vincere il premio Pulitzer si pubblicano scatti ignobili. Una sera ero a casa di un grande poeta italiano, di cui per delicatezza taccio il nome. Lavorava al lume di otto candele appoggiate su un vassoio d’argento e scriveva con la stilografica su una carta speciale. Arrivarono due miei colleghi. Illuminarono la stanza con fari come quelli di Cinecittà e gli ordinarono: “Professore, deve sdraiarsi sul suo scrittoio, come se fosse un letto”. Lui obbedì. Avevo le lacrime agli occhi».
Il collega che ricorda con più affetto? «Walter Bonatti. Lo accompagnai in tutte le sue scalate, 40 chili in spalla: Grandes Jorasses, Eiger, Grand Capucin, Bianco. “Posa i piedi dove li metto io”, mi guidava. Era di un’onestà cristallina. Rifiutò di diventare testimonial. “Non voglio rendermi ridicolo”, diceva. Una volta fui spedito fra i cercatori d’oro dell’Alaska e lui mi diede l’indirizzo di un prete francese di Dawson City che mi portò da quelli con le pepite più grosse. I fotografi di Epoca erano fratelli, non rivali. Formavamo una famiglia».
Lei è l’unico ad avere riunito per un ritratto Indro Montanelli, Enzo Biagi, Giorgio Bocca ed Eugenio Scalfari.
«Un omaggio al grande giornalismo e a Biagi, che mi aprì le porte della rivista. Mi mandò da un radiologo di Alessandria malato di tumore per colpa dei raggi X. Viveva nella penombra. Per rispetto non usai il flash. Ho sempre pensato che una buona foto valga più di una bella foto».
Altri tempi.
«Allora con i direttori parlavi ogni giorno. I servizi da 16 pagine in parte me li finanziavo. Nel 1970 andai a Venezia per una settimana, a mie spese. Nacque così il reportage sulla morte della città lagunare, con il cartello “Pericolo caduta angeli” davanti alla basilica della Salute, che ispirò il titolo del libro di John Berendt. Non volevo essere bravo, ma sentirmi utile. Un piacere impagabile».
Ha coltivato altri interessi nella vita?
«Il teatro. Paolo Grassi nel 1974 mi consegnò una busta: “Aprila”. Era un permesso d’ingresso perenne alla Scala. Ho passato lì dentro 536 serate. Carla Fracci e Luciana Savignano mi facevano entrare in camerino, ho visto il loro seno. Sapevano di potersi fidare».
Chi ha ucciso «Life» ed «Epoca»?
«Life non so. Quella di Epoca fu un’eutanasia decisa in un vertice dalle parti di via Montenapoleone. Me lo confessò un presidente della Mondadori. Avevamo raggiunto una tale qualità che le altre testate, per inseguirci, dovevano spendere cifre folli. E infatti oggi i giornali rigurgitano di foto orribili pagate 5 euro».
· Giovanni Ciacci.
Anticipazione stampa da “Oggi” il 2 ottobre 2019. In un’intervista a OGGI, in edicola da domani, lo stylist e conduttore tv Giovanni Ciacci, ora è in onda ogni giorno con Vite da copertina su Tv8 di Sky, accanto a Elenoire Casalegno, respinge l’accusa di aver sottratto un abito di proprietà della Rai nel 2013 e spiega: «Se ho sbagliato a non richiedere la bolla d’accompagnamento alla Rai, sono disposto ad assumermi le mie colpe, ma accusarmi di ricettazione è folle». Ciacci ripercorre l’intera vicenda dell’abito cucino dalla sartoria della Rai di Napoli per Mariangela Melato come copia di un analogo modello fornito dalla Maison Gattinoni: «Dalla maison di moda romana qualche tempo dopo mi ricontattarono per dirmi che stavano facendo una mostra sugli abiti delle dive della tv e avrebbero voluto avere il vestito della Melato per esporlo, visto che comunque si trattava di un modello disegnato da loro. Una volta chiesto il permesso alla Rai (e considerato che comunque la mostra era patrocinata da Rai Com) chiesi il vestito alle persone che erano lì con me a Napoli. L’abito mi fu consegnato in presenza proprio della Melato e del suo autista, e insieme lo portammo a Roma per la mostra… Non ho mai badato alla bolla di accompagnamento. Non so se c’era o se non c’era. Non è il mio lavoro: io facevo il costumista, e mica avevo accesso alle pertinenze Rai, qualcuno deve avermelo pur dato, quel vestito. Fu esposto e finita la mostra l’abito venne mandato in custodia a mia sorella, che è in società con me». Ciacci nega di averci mai tratto un guadagno: «I miei soldi si possono controllare, sia come entrate che come uscite. Io credo nella giustizia, so che le autorità competenti dimostreranno la mia innocenza».
· Beppe Convertini.
Alberto Dandolo per Dagospia il 9 giugno 2019. "Venendo qui in moto ho rivolto una preghiera a Gesù", ha cinguettato Beppe Convertini alla conferenza stampa di presentazione del daytime estivo di Rai1. In realtà, la preghiera di ringraziamento avrebbe dovuto rivolgerla a Rocco Casalino. L'attore per mancanza di ciak sarà alla conduzione de ‘’La Vita in Diretta Estate’’: "Il mio garbo, il mio sorriso e la mia esperienza possano dare quel tocco in più. Oggi è un giorno bellissimo per me, forse il più bello della mia vita". Non abbiamo motivo di dubitare, visto il suo curriculum giornalistico. Le conduzioni estive Rai, quest’anno, hanno creato più scalpore della mancate nozze di Pamelona Prati. Perfino l'ad Salini – per la serie “senti chi parla!” - ha provato a far cadere la colpa degli "impresentabili" sulla direttrice di Rai1 Teresa De Santis invitando a valorizzare le risorse interne: ma non è stato proprio Salini a far assumere gli esterni Matassino (direttore generale) e Giannotti (direttore della comunicazione)? Ma soprattutto, senza troppi giri di parole, tutti si chiedono: come ha fatto il bel fusto Convertini a raggiungere il blasonato incarico? L'amministratore delegato conosce bene, essendo in quota 5 stelle, due nomi di peso: Vincenzo Spadafora e Rocco Casalino, amici del bell'attore. Ma chi è e soprattutto chi si crede di essere Beppone Convertini? Rewind. Giovane di belle speranza arriva nella città meneghina con pochi soldi e tanta ambizione. La sua bellezza non sfugge allo stilista Alviero Martini che lo introduce nei giri che contano all'ombra della Madonnina. E' qui che Lele Mora, pur non concupendolo, si accorge del suo potenziale mediatico e sforna un calendario a tinte soap con quella che veniva definita pubblicamente la sua fidanzata: Sara Ricci, sua collega di set nella telenovela ‘’Vivere’’. La sua carriera procede tra alti e bassi, fatta soprattutto di inaugurazioni e serate, avendo come punto di riferimento umano un giovane e prestante tenore, amico di Paolo Limiti, che gli aprirà poi le porte nei salotti della Rai che contavano. In questi anni il suo unico e vero cardine umano, oltre alla storica amicizia con il direttore di ‘’Nuovo’’ Riccardo Signoretti, è Rocco Casalino, ai tempi lontano dai riflettori della politica. Amicizia vera e profonda ma soprattutto pubblica. Memorabili le loro ospitate nelle cafonalissime serate delle dame milanesi e delle mejo discoteche di Milano Est. La loro complicità è rimasta intatta in tutti questi anni come la tinta del ciuffo di Cristiano Malgioglio. Qualche anno dopo incontra grazie a ‘’Terre des Hommes’’, fondazione internazionale che tutela i diritti dei minori nel mondo, Vincenzo Spadafora, ai tempi Garante per l'infanzia, con il quale intrattiene rapporti amichevoli ma formali. E' il tempo a fornire la svolta: esplodono le carriere politiche di Rocco, attuale portavoce della presidenza del Consiglio, e di Vincenzo, sottosegretario a Palazzo Chigi. Signori e signore la vita (in diretta o mano) è servita.
Beppe Convertini è gay? Spunta l’ex fidanzato, lui replica: “L’amore non discrimina”. Anna Montesano per Il Sussidiario.net l'1 settembre 2019. Beppe Convertini è tra gli attori più apprezzati del panorama italiano e, al momento, il pubblico lo ritrova anche nelle vesti di conduttore ne "La Vita in Diretta Estate". Tuttavia torna al centro del gossip per questioni di carattere diverso dal lavoro. Si parla della vita privata del conduttore e del fatto che possa essere gay. Gossip che nasce da una lettera, recentemente spolverata da Dagospia, che risale a qualche anno fa ed è stata scritta da un uomo che si definisce “ex fidanzato” di Convertini. Lui è Giovanni Cavaretta, cantante lirico che scrisse una lettera, poi pubblicata da Gay.it, in cui ammetteva: “Sono l’ex da qualche giorno di Beppe.” Poi continuava “Mi chiedevo chi ha dispensato il permesso o addirittura commissionato le foto con la sig. Vento su un presunto flirt tra i due.” Lo sfogo di Giovanni Cavaretta a Gay.it concludeva così: “Sia pure gossip ma un portale come il vostro non dovrebbe farsi “strumentalizzare”!!! Ritengo tali foto un’offesa alla mia persona e al pubblico raggirato inutilmente.” Una vicenda, questa del presunto ex fidanzato, che torna attuale oggi visto che Beppe Convertini ha rilasciato un’intervista al settimanale Diva e Donna, nella quale ha toccato anche questo delicato argomento. Di fronte alla domanda in merito al presunto ex fidanzato e ai loro 5 anni insieme, l’attore e conduttore ha risposto: “Di questo non voglio parlare. Posso solo dirti che l’amore non distingue, non discrimina, insegue le sue leggi”.
“BEPPE CONVERTINI È GAY. STA CON ME DA 5 ANNI”. Gay.it 25 luglio 2008. È sempre circondato da ragazze. Al mare sono in topless, in città mano nella mano. Si vede che c’è una qualche affinità tra Beppe Convertini (ch tra l’altro vinse il concorso "Il più bello d’Italia") e il sesso femminile. Tanto che il portale Excite ha pubblicato di recente alcune foto sue in compagnia di questa o quella. Le ultime due ragazze "pizzicate" in compagnia di Convertini e oggetto di un’ampia fotogallery pubblicata dal portale online sono, nello specifico, Rosy Dilettuso e la sorella di Flavia Vento, Sabina. Sarebbe stato il servizio fotografico che ritrae proprio quest’ultima in compagnia dell’attore romano a far andare su tutte le furie il compagno di Convertini. Sì, avete letto bene. Giovanni Cavaretta, che nella vita fa il cantante lirico, ha scritto una lettera di protesta recapitata direttamente al portale Excite nella quale afferma di essere fidanzato con il protagonista della soap "Vivere" da ben 5 anni. «Sono l’ex da qualche giorno di Beppe. Mi chiedevo chi ha dispensato il permesso o addirittura commissionato le foto con la sig. Vento su un presunto flirt tra i due. Sia pure gossip ma un portale come il vostro non dovrebbe farsi "strumentalizzare"!!! Ritengo tali foto un’offesa alla mia persona e al pubblico raggirato inutilmente.» Il tenore poi aggiunge: «Posseggo altrettanto materiale smentitore e che fino a questa sera il Convertini mi si dichiara "innamorato"! Pertanto chiederei ravvisi ed eventuali scuse nonchè di bannare le sopracitate foto. Per quanto riguarda Beppe Convertini e il sottoscritto, la nostra relazione dura da quasi cinque anni». Insieme alla lettera, nella busta, c’erano quindi anche alcune foto che dimostrerebbero la "profonda" amicizia tra Convertini e Cavaretta. Insomma, le prove fotografiche dimostrerebbero che è tutto vero, a patto di una smentita di Beppe Convertini che, ad oggi, non è ancora arrivata.
BIOGRAFIA – da Wikipedia. Inizia la propria carriera nello spettacolo nel 1987, partecipando per due edizioni al Festival della Valle D'Itria a Martina Franca, sua città natale, che lascia dopo la maturità per studiare all'Università di Torino, vincendo una borsa di studio, alla facoltà di Economia e Commercio.
Nel 1989 contemporaneamente agli studi universitari, intraprende la carriera di modello, calcando le passerelle dei più grandi stilisti, a Milano, Parigi, New York, diventando testimonial di vari marchi nazionali ed internazionali. Successivamente partecipa in alcune produzioni televisive, radiofoniche, teatrali e cinematografiche.
Nel 1994 debutta sul grande schermo con il film Belle al bar di Alessandro Benvenuti, con Eva Robin's, ed in TV con il Festivalbar su Italia 1, con Amadeus e Federica Panicucci.
L'anno successivo conduce lo spazio giovani della trasmissione Canzone d'autore di Rai Uno. Debutta a teatro nel, Il passerotto, con Leopoldo Mastelloni, al teatro antico di Taormina, palcoscenico che lo vedrà, negli anni a venire, protagonista come conduttore di festival.
Nella seconda metà degli anni novanta è inviato del programma, Chi c'è... c'è, su Rete 4 condotto da Silvana Giacobini. Ottiene una parte nel film, Il cielo in una stanza di Carlo Vanzina con Ricky Tognazzi ed Elio Germano.
Dal 22 ottobre 2000 interpreta il ruolo di Giulio Stocchi nella soap opera di Canale 5, Vivere, che lo terrà impegnato fino al 2003.
Nel 2004 è il protagonista del film Il fidanzato ideale, diretto da Claudio Bozzatello e distribuito dalla Eagle Pictures. Nell'estate 2004 conduce Estate sul 2 su Rai 2 con Maria Teresa Ruta.
Nel 2006 conduce, su Rai Radio 2, il programma radiofonico Gente della notte.
Successivamente, nel 2010. parteciperà alla Festival del Cinema di Venezia con il film fuori concorso, Secondo tempo, e, nel 2012, al Festival del cinema di Taormina con il film Baci salati. Sempre nel 2012, lavora nella fiction Fratelli detective, diretta da Rossella Izzo, con Enrico Brignano, in onda su Canale 5. In tournée teatrale per due stagioni con lo spettacolo, Sex in the City, di Luca Biglione, dove interpreta il ruolo di Mr Big. A teatro ritorna nel ruolo di Chuck nella piece teatrale Off per la regia di Enrico Maria Lamanna. Debutta alla regia nel 2012 con lo spettacolo teatrale Ars Amandi, musiche, parole ed immagini d'amore in tournée nei musei italiani. Quest'ultimo lavoro lo impegna come autore, attore, regista e produttore: il successo di Ars Amandi continua anche nel 2013 con un secondo anno di tournée, dove ai musei e lungo la penisola, si aggiungono svariati teatri. Dal 2012 al 2014 partecipa al programma Brave ragazze su Rai Radio 2, ed in seguito lo si vede impegnato nel programma radiofonico Che ci faccio qui, sempre su Rai Radio 2.
Nell'estate del 2014 partecipa al Festival di Todi con la pièce teatrale "Vico Sirene" per la regia di Enrico M. Lamanna con Massimiliano Gallo. ll 19 dicembre 2013 inaugura al Palazzo Ducale di Martina Franca la sua mostra Un girotondo di Pace...sulla via di Damasco, racconto video fotografico della sua missione umanitaria nel campo profughi Siriano ad Aarsal nell'autunno 2013.Nel Marzo 2014 la sua mostra video fotografica sarà al Mad Zone a Roma.
Nel 2015 interpreta, nel ruolo di Franco, la fiction in onda su Canale 5, "Le 3 rose di Eva 3", per la regia di Raffaele Mertes con Anna Safroncik, Luca Ward e Roberto Farnesi. Nel 2015, ricopre il ruolo di Antonino nel film, Io che amo solo te, regia di Marco Ponti, prodotto dalla IIF, con la collaborazione di Rai Cinema, con Riccardo Scamarcio, Laura Chiatti, Michele Placido, Luciana Littizzetto, Maria Pia Calzone.
Nel 2016, interpreta il ruolo di Lorenzo nella serie televisiva, "Non dirlo al mio capo", per la regia di Giulio Manfredonia, prodotta da Lux Vide per Rai 1, con Vanessa Incontrada.
Nel 2017 è sul set della commedia cinematografica "Un figlio a tutti costi", regia di Fabio Gravina con Maurizio Mattioli, Roberta Garzia, Ivano Marescotti nel ruolo di Nettuno Tritone e del thriller "Le grida del silenzio", per la regia di A.Sasha Carlesi nel quale interpreta Maurizio, con Alice Bellagamba e Manuela Zero. Conduce nello stesso anno il programma "L'Italia in vetrina", talk show trasmesso su Sky. Convertini è testimonial della campagna, Indifesa, di Terre Des Hommes, in difesa delle bambine schiave domestiche, contro lo sfruttamento e la violenza sulle minori in Italia e nel mondo. Nel Marzo 2014 la sua mostra video fotografica "Un girotondo di pace...sulla via di Damasco" che racconta la sua missione umanitaria in un campo profughi Siriano ad Aarsal è stata in mostra al Palazzo Ducale di Martina Franca e al Mad Zone a Roma.
Testimonial delle edizioni 2010- 2012-2014-2016-2018 del Convivio mostra mercato di beneficenza e del Convivio 2014 a favore di Anlaids, svoltosi a Milano nel giugno 2014. Nel luglio 2017 parte per una nuova missione umanitaria, come volontario di Terre Des Hommes, al centro profughi Siriano a Zarqa, in Giordania il cui racconto video fotografico diventa una mostra ' SI RIAccendono i colori della PACE' inaugurata al Palazzo Ducale di Martina Franca quindi a Roma al Palazzo Doria Pamphili dal 14 al 21 maggio 2018 alla Milano Art Gallery nel capoluogo Lombardo..
Nel giugno 2018 parte per una missione umanitaria per Terre Des Hommes nelle baraccopoli della Birmania che viene raccontata dalla mostra video fotografica ‘La loro vita non e’un gioco’ a Palazzo Lombardia a Milano e a seguire al Palazzo Ducale di Martina Franca!
Dal 17 giugno 2019 conduce La vita in diretta Estate su Rai 1 insieme a Lisa Marzoli.
· Vieni avanti, Savoia: Emanuele Filiberto.
Vieni avanti, Savoia: Emanuele Filiberto nella scuola di Amici Celebrities. Le gesta trascurabili del principe, che dopo un secondo posto a Sanremo torna a brandire il microfono come concorrente del talent. Pronto ad affidare le sue sorti al volere del popolo. Che mai come in questo caso sarà sovrano. Beattrice Dondi il 09 settembre 2019 su L'Espresso. Giusto per mettere le cose in chiaro, le colpe dei padri, e figuriamoci quelle dei nonni, non devono ricadere sui figli. Tanto Emanuele Filiberto Umberto Reza Ciro René Maria di Savoia detto principe basta abbastanza a se stesso. Dotato di naturale empatia verso i poveri e ostinato portatore di sangue blu, il discendente della casa reale riesce a infondere quel brio tipico della Svizzera, Paese che lo ha visto crescere. Dopo varie quanto trascurabili esperienze di studio, uno spot per le olive e un matrimonio, ha deciso di gettare le sue nobili membra nel mondo dello spettacolo, trovando un’accoglienza degna del suo rango. Quando ancora la Costituzione gli vietava l’ingresso nel suolo italico in quanto discendente maschio di Casa Savoia, pensò bene di buttare giù il testo di una canzone per decantare il suo amore patrio. Con la quale partecipò a Sanremo in compagnia di Pupo e del tenore Canonici. Microfono alla mano, il principino intonò, si fa per dire, gli immortali versi: “Io sento battere più forte, il cuore di un’Italia sola, che oggi più serenamente, si specchia in tutta la sua storia”. Il risultato fu travolgente. Grazie al televoto arrivò al secondo posto e il direttore d’orchestra per protesta gettò gli spartiti sul palco. Il successo non si arrestò al punto che, narrano le cronache, una volta terminato il festival, il brano venne letteralmente ignorato dalle radio. Ma senza perdersi d’animo, forte dello scettro di miglior danzatore conferitogli direttamente dalle mani laccate di Milly Carlucci ebbe l’ardire di saltellare qua e là dalla politica al piccolo schermo passando per la notte del poker. Il movimento da lui fondato “Valori e Futuro con Emanuele Filiberto” raggiunse il peggior risultato della circoscrizione estera “Europa”, diventando l’ultimo partito in assoluto per preferenze, ma quando si presentò alle Europee del 2009 nelle file dell’Unione di Centro riuscì di buon grado a non essere eletto. In tv invece ha regalato i volteggi delle stelle, con e senza ghiaccio, e una presenza nell’indimenticabile format “Il Principiante - Il lavoro nobilita” in cui, come la saga dei Puffi, indossava gli inusuali abiti dell’operaio per dimostrare che anche i reali hanno un cuore dedito all’abnegazione. Oggi è pronto per una nuova avventura nella versione Celebrities degli Amici di Queen (guarda un po’) De Filippi dove potrà gorgheggiare delle fughe in re. Ma ogni riferimento a persone e parenti è del tutto casuale. E pazienza se da anni insinua il dubbio che il referendum del ’46 sia stato manomesso: seguendo il modello Rousseau si affiderà corpo e voce al giudizio del popolo. Che mai come in questo caso sarà sovrano.
Gli influencer dello spettacolo & Company. Kim Kardashian, Chiara Biasi, Chiara Ferragni e Fedez, Giulia De Lellis, Greta Menchi, Valentina Pivati.
SOGNATE UNA CARRIERA DA INFLUENCER? Tiffany Hsu per Nytimes.com il 19 giugno 2019. Il bacio tra Bella Hadid e Miquela Sousa voluto in uno spot di Calvin Klein del mese scorso, ha colpito molti spettatori che lo hanno trovato offensivo. La top model si identifica come eterosessuale e lo spot ha suscitato le lagne di chi ha accusato Calvin Klein di ingannare i clienti con un finto bacio lesbo. Alla fine il marchio è stato costretto a scusarsi, ma quello che appare essere sfuggito ai tanti, non è scappato all’occhio attento di chi si occupa di pubblicità. Hadid, almeno, è umana. Tutto ciò che riguarda Sousa, meglio conosciuta come Lil Miquela, è un artificio: la frangia dritta, l’origine brasiliana-spagnola, lo stuolo di bellissimi amici. Lil Miquela, che ha 1,6 milioni di follower su Instagram, è un personaggio generato da un computer. Approdata sui social nel 2016 e costruita al pc da una compagnia di Los Angeles sostenuta dai soldi della Silicon Valley, appartiene a un gruppo crescente di social media marketer noti come influencer virtuali. Ogni mese, più di 80.000 persone ascoltano le canzoni di Lil Miquela su Spotify. Ha lavorato con il marchio di moda italiano Prada, ha rilasciato interviste a Coachella e ha sfoggiato un tatuaggio “realizzato” da un artista che ha tatuato Miley Cyrus. Fino all'anno scorso, quando i suoi creatori hanno orchestrato una trovata pubblicitaria per rivelare la sua identità, molti dei suoi fan pensavano fosse una ragazza di 19 anni. Ma Lil Miquela è fatta di pixel, ed è stata progettata per attirare potenziali acquirenti. Il suo successo ha sollevato una domanda per le aziende che desiderano connettersi con i consumatori che passano sempre più tempo online: perché assumere una celebrità, una top model o anche una importante influencer per commercializzare un prodotto quando puoi creare da zero l'ambasciatore ideale del marchio?
È quello che ha fatto l'etichetta di moda Balmain lo scorso anno quando ha incaricato l'artista inglese Cameron-James Wilson di progettare un "mix eterogeneo" di modelli digitali, tra cui una donna bianca, una donna di colore e una donna asiatica. Altre società hanno seguito l’esempio di Balmain. Le simulazioni di esseri umani esistono da anni. Hanno fatto i croupier a Las Vegas, fatto musica nel gruppo dei Gorillaz e vissuto una vita pseudo-reale nel videogioco Sims. Ma ultimamente sono diventati più realistici e più coinvolgenti. Fable Studio, che si autodefinisce "la società degli esseri virtuali", ha creato Lucy, un personaggio cartone animato in grado di leggere e rispondere alle reazioni degli spettatori in tempo reale. La compagnia dice che crea personaggi digitali "con i quali puoi costruire una relazione emotiva". Xinhua, l'agenzia di stampa del governo cinese, ha presentato l'anno scorso un giornalista virtuale, in grado di "lavorare 24 ore al giorno". Coca-Cola e Louis Vuitton hanno usato personaggi dei videogiochi nelle loro pubblicità. Soul Machines, una società fondata dal premio Oscar Mark Sagar, ha prodotto insegnanti generati al computer che rispondono agli studenti umani. Il mese scorso, YouPorn ha seguito la stessa tendenza con Jedy Vales, un avatar che promuove il sito e interagisce con i suoi utenti. Edward Saatchi, che ha fondato Fable, ha predetto che un giorno gli esseri virtuali avrebbero soppiantato gli assistenti digitali domestici e i sistemi operativi dei computer in aziende come Amazon e Google: «Alla fine, sarà chiaro che il confine tra Miquela e Alexa è in realtà molto sottile». Gli influencer virtuali hanno un vantaggio per le aziende che li usano: il loro mondo è meno regolamentato rispetto alle loro controparti umane. E le persone che li controllano non sono tenuti a rivelare la loro presenza. La Federal Trade Commission ha riconosciuto che «non ha ancora specificamente affrontato l'uso di influencer virtuali», ma ha anche detto che le aziende che li utilizzano per la pubblicità dovrebbero garantire che «ogni affermazione comunicata sul prodotto sia veritiera e non fuorviante». In un certo senso, gli influencer virtuali non sono così lontani dai loro predecessori della vita reale. Non è un segreto che gli umani che promuovono i marchi sui social media spesso danno una visione della vita quotidiana più brillante e più felice della realtà. Ma quando l'esistenza stessa di un ambasciatore di marchi è discutibile - specialmente in un ambiente costellato di ingannevoli deepfakes, bot e frodi - cosa succede alla verità nella pubblicità? Bryan Gold, l'amministratore delegato di #Paid, che collega gli influencer alle aziende, ha detto che gli influencer virtuali potrebbero portare le aziende in «un'area pericolosa. Come possono i consumatori fidarsi di un messaggio?». Ma le preoccupazioni che ha un influencer umano – mantenersi sempre pronti per l’obiettivo di una macchina fotografica o venire a patti con i troll per fare felice il marchio per il quale lavorano - non colpiscono gli esseri virtuali che non necessitano mai di un giorno di riposo. «Ecco perché i brand amano lavorare con gli avatar - non devono fare 100 take - ha detto Alexis Ohanian, co-fondatore di Reddit e il nonno dell'influencer virtuale Qai Qai - I social media, fino ad oggi, sono stati in gran parte il dominio dei veri esseri umani che sono finti. Gli avatar sono il futuro». KFC ha recentemente introdotto un nuovo Colonel Sanders sui social media. Ha la barbetta, addominali tatuati, un copricapo degno di un idolo degli adolescenti e bicipiti in mostra sotto a una giacca bianca perennemente sbottonata. «È stata la nostra opportunità di divertirci facendo pubblicità - ha dichiarato Steve Kelly, direttore digitale e dei media di KFC - Ma l'amore attorno agli influencer virtuali è molto reale». Tuttavia, la presenza crescente di esseri generati al computer nella pubblicità può essere scoraggiante, in un mondo in cui si manipolano facilmente video di Nancy Pelosi e di Mark Zuckerberg. «È un momento interessante e pericoloso, visto la potenzialità dell’A.I. di falsificare qualsiasi cosa» ha detto Ohanian. Lil Miquela ha “lavorato” per due anni prima di rivelare di essere un prodotto della società segreta, Brud. La registrazione commerciale dell’azienda è in California a un indirizzo di Silver Lake, ma i lavoratori, che devono firmare accordi di non divulgazione, hanno rivelato che la società opera fuori dal centro di Los Angeles. Brud si autodefinisce "uno studio che crea mondi attraverso personaggi digitali" e afferma che Lil Miquela è "reale come Rihanna". A capo c’è Trevor McFedries, a cui Lil Miquela ha fatto riferimento in diversi post come figura paterna. Prima di co-fondare Brud, McFedries era conosciuto come Yung Skeeter, un D.J., produttore, regista e musicista che ha lavorato con Katy Perry, Steve Aoki, Bad Robot Productions e Spotify. Ha contribuito a raccogliere milioni di dollari di finanziamenti da titoli come Spark Capital, Sequoia Capital e Founders Fund, secondo TechCrunch. La scorsa estate, l'account Instagram di Lil Miquela è stato hackerato da una donna di nome Bermuda, una sostenitrice di Trump che ha accusato Lil Miquela di "scappare dalla verità." A Lil Miquela non è rimatso che rivelare tutto: «La mia identità è stata una scelta fatta da Brud per vendermi ai marchi» ha scritto in un solo post. Il personaggio ha giurato che non avrebbe mai perdonato Brud. Alcuni mesi dopo, lo ha fatto. Quanto ci fosse di reale in quello che è successo non è dato saperlo, ma i follower hanno seguito con passione il dramma che, secondo tanti, era stato scritto a tavolino in ogni particolare da Brud. Tuttavia, secondo i dati di Captiv8Mentre, soprattutto nel campo della moda gli influencer virtuali non hanno lo stesso appeal. «Un avatar è fondamentalmente un manichino in una vetrina - ha dichiarato Nick Cooke, uno dei fondatori della Goat Agency, una società di marketing - Un vero influencer può offrire raccomandazioni peer-to-peer». Potrebbe esserci ancora speranza per gli umani.
Kim Kardashian, la star che ha stregato l'America e il mondo. Kim Kardashian grazie al suo carisma è assurta nell'arco di un decennio a vera celebrità del jet set statunitense. Dopo l'esordio nei reality show, oggi la modella ha costruito un impero mediatico di follower. Il suo stile anticonformista è diventato un emblema a livello mondiale. Monica Montanaro, Venerdì 06/12/2019, su Il Giornale. Kim Kardashian, la donna che grazie al suo carisma innato è assurta nel giro di un decennio a vera star mondiale. L'america le ha aperto le porte del successo e l'ha incoronata regina indiscussa del jet set. Oggi la Kardashian è diventata un'icona di stile, incarnante l'immagine di personaggio dalla vita sregolata incline agli eccessi e alle peripezie. Kim Kardashian è una delle vip più famose e influenti in territorio americano e non solo. Donna versatile e istrionica, è oggi una delle donne più potenti degli Srati Uniti, che grazie al suo innato carisma ha saputo creare un impero mediatico diventando la regina dei social network, oltre che della vita mondana. Attrice, modella, imprenditrice, stilista, influencer, personaggio televisivo, la Kardashian è, ormai, una celebrità capace di influenzare le tendenze con un solo suo gesto, una sua parola o un suo look. Negli ultimi anni la vita della modella 39enne si è svolta perennemente sotto i riflettori, catalizzando l'attenzione generale del globo. Tutti conosciamo le sue vicende private burrascose, i suoi scandali, le sue amicizie famose, e gli scoop che hanno coinvolto anche la sua famiglia allargata. Kim Kardashian ha raggiunto una notorietà sensazionale. Una donna sagace che ha saputo costrutre il suo personaggio pubblico investendo su se stessa, sul suo stile e sulle proprie curve. La Kardashian ha puntato sulla carta della sua ammaliante bellezza e sfuttando le immagini hot del suo corpo seminudo ha trovato la chiave del suo successo. Insomma, una donna predestinata alla fama e a diventare la star del gossip.
Biografia della star esplosiva Kim Kardashian. Kimberly Noel "Kim" Kardashian è nata a Beverly Hills in California, il 21 ottobre del 1980 sotto il segno ziodiacale della Bilancia, da una famiglia di origine armena e scozzese. Fin dall’infanzia è stata circondata da personaggi famosi, come il legame d'amicizia duraturo con Paris Hilton. Anche suo padre frequentava personaggi famosi, tra i quali l'ex giocatore di football O.J. Simpson, essendo stato anche uno dei suoi avvocati difensori nel noto processo per omicidio. E' stato il padre a scegliere lo sportivo come padrino della figlia Kim. La famiglia Kardashian è celebre e numerosa e ha avuto un ruolo importante nella vita dell'attrice. Figlia di una coppia divorziata, la modella ha perso il padre Robert nel 2003 a causa di una grave malattia. Kim Kardashian ha due sorelle Kourtney e Khloé e un fratello Rob, suo padre Robert Kardashian era un avvocato e uomo d’affari facoltoso, e sua madre si chiama Kristen Houghton Kardashian Jenner. Proprio quest'ultima ha procreato le sue sorellastre, Kendall e Kylie Jenner (una delle donne più ricche al mondo). Questo è il quadro di una famiglia allargata che ha creato un flusso d'affari notevole, producendo un cospicuo numero di brand, prodotti e molto altro, grazie ad un seguito incredibile dei fan. Tutta la famiglia Kardashian è circondata da una grande popolarità e ciò è dovuto al reality che li ha visti protagonisti, "Al passo con i Kardashian", un programma incentrato sulla vita quotidiana della famiglia trasmesso nel 2007. La famiglia Kardashian è da qualche tempo divenuta il clan Kardashian-Jenner. Dopo il primo matrimonio con l’avvocato Robert Kardashian, la matriarca Kris ha infatti sposato l’atleta olimpico Bruce Jenner che oggi però è conosciuto come Caitlyn, dopo il criticato cambio di sesso. Dal primo matrimonio sono nati Kim, la sorella maggiore Kourtney e la minore Khloé, entrambe imprenditrici e personaggi televisivi, oltre al fratello Robert, forse, il meno incline della famiglia allo showbiz. Il secondo matrimonio della madre ha poi fatto acquisire a Kim altre due sorelle: la quotatissima modella Kendall e Kylie Jenner, una vera e propria icona del ritocco estetico che le voci maligne ricollegano al suo tentativo di rassomigliare alla sorella Kim. Anche queste ultime due sorelle sono dei veri portenti dell’imprenditoria, grazie soprattutto al boom di vendite che ha riscosso la linea di cosmetici lanciata in coppia.
La vita sentimentale turbolenta della sensuale Kardashian. La vita sentimentale di Kim Kardashian è stata abbastanza movimentata. La sensuale attrice americana si è accompagnata negli anni ad una folta schiera di uomini. Dal 1995 al 1999 ha frequentato il cantante TJ Jackson, mentre nel 1999 ha avuto una liaison con l’attore Joey Lawrence. Nel 2000 la Kardashian ha sposato il produttore musicale Damon Thomas, dal quale ha divorziato 4 anni dopo. I due fuggirono insieme per sposarsi ma dopo la separazione, avvenuta nel 2004, Kim Kardashian accusò l’ex marito di averle perpetrato abusi fisici e morali. Nel periodo tra il 2004 e il 2006 è stata legata sentimentalmente al cantante Ray J. Un video amatoriale pornografico che la Kardashian ha realizzato con il suo ex-fidanzato Ray J è stato prodotto senza il suo consenso e la modella statunitense ha intentato causa contro la casa di produzione, venendo risarcita lautamente. Nel 2006 si è unita al cantante Nick Lachey, dal 2006 al 2007 è emersa la storia con il rapper Nick Cannon. Mentre nel 2007 è stata vista al fianco di diversi uomini: dal musicista Benji Madden, al cantante Marques Houston, al rapper Shad Moss, all’attore Evan Ross e al produttore discografico Scott Storch. Nell'arco temporale tra il 2007 al 2010 è stata fidanzata con il giocatore di football Reggie Bush, invece, nel 2009 è stata la compagna del rapper 50 Cent. Nel 2010 il gossip si è scatenato riferendo dei suoi flirt con alcuni calciatori, come Alecko Eskandarian e Cristiano Ronaldo, e anche quelli con la bodyguard Shengo Deane, con l’attore Michael Copon e con il modello Gabriel Aubry. Il secondo marito della Kardashian è stato il giocatore della NBA, Kris Humphries, che ha sposato il 20 agosto 2011 con una cerimonia celebrata a Santa Barbara, in California. Il matrimonio è durato appena 72 giorni, dopo poco più di due mesi dalle nozze anche questo matrimonio è naufragato. A porre fine a questo lungo elenco di partners pare esserci riuscito il musicista Kanye West con il quale Kim Kardashian si è convolata a nooze. Quest'ultimo, durante un suo concerto, il 30 dicembre 2012, ha annunciato la gravidanza della sua compagna. Kim Kardashian è diventata mamma il 15 giugno 2013 nel momento in cui ha dato alla luce la bimba North. La Kardashian e Kanye West si sono uniti in matrimonio l'anno successivo, il 24 maggio 2014, celebrando la cerimonia a Firenze, nella location di Forte Belvedere. La coppia ha organizzato una fastosa cerimonia privata: gli sposi hanno detto sì dinanzi a una grande parete di fiori, allestendo una festa di ricevimento costata oltre 300mila euro e attorniati da blasonati invitati giunti in città con un volo privato e ospitati presso il Westin Excelsior di piazza Ognissanti. Il 5 dicembre 2015, la coppia genera il secondo figlio, Saint West. La coppia oggi ha quattro figli: dopo North e Saint ha procreato Chicago, nata il 15 gennaio 2018, Psalm nato a maggio 2019. Kim Kardashian e Kanye West hanno da sempre dichiarato di desiderare una famiglia numerosa, simile a quella originaria dell'attrice che proviene da un vero e proprio clan. Con il rapper, produttore discografico, cantautore e stilista Kanye West, la Kardashian è felice, il loro legame amoroso è solido, oramai sono insieme da circa sei anni. L'amore intenso che li lega li ha fatti affrontare e superare anche momenti di crisi come l’esaurimento nervoso che ha colpito il cantante circa 2 anni fa.
L'ascesa sfolgorante di Kim Kardashian. Nel 2007 Kim Kardashian è assurta agli onori delle cronache di tutto il mondo in conseguenza ad un sex tape girato nel 2003 con il suo ex fidanzato Ray J. Da tale evento scandalistico la piccola star di Bevrly Hills ne ha tratto un ritorno grandioso in termini di popolarità. Nel periodo della sua adolescenza ha frequentato la Marymount High School, una scuola cattolica romana femminile di Los Angeles. Dopo gli studi nel 2006 ha ottienuto una parte nella serie televisiva americana "Beyond the Break". Nel dicembre 2007 posa nuda su Playboy, ma è solo grazie al reality show "Al passo con i Kardashian" (Keeping Up with the Kardashian) che Kim Kardashian è diventata celebre al grande pubblico, un programma ispirato alla vita quotidiana della famiglia che ha fatto il suo esordio nel 2007. Al reality familiare ha fatto seguito poi "Le sorelle Kardashian a New York" e "Le sorelle Kardashian a Miami", spin-off sintomo del grande successo del programma originale. Un vero e proprio bagno di popolarità per Kim Kardashian. Il reality show è stato trasmesso sulla rete satelitare E! ed è andato in onda per tre edizioni consecutive sino al 2009. Nel 2008 Kim Kardashian è approdata al grande schermo con il film parodistico "Disaster Movie" recitando con l'attrice Carmen Electra, e apparendo successivamente in altri film quali "Juno", "Una notte al museo" e "Kung Fu Panda". L'avvenente influencer ha partecipato nello stesso anno alla settima edizione del talent show, Dancing with the Stars, in coppia con il ballerino statunitense, Mark Ballas. Le successive apparizioni di Kim Kardashian l'hanno vista protagonista in diversi format televisivi, quali le serie: "E alla fine arriva mamma!", "2 Broke Girls", "How I Met Your Mother", "CSI: NY", partecipando anche ad un episodio della serie tv, "90210". Nel 2010 la Kardashian ha debuttato nel ruolo di cantante pubblicando il singolo "Jam (Turn It Up)". Sempre più richiesta in televisione e in campo pubblicitario, ha collaborato ad alcuni videoclip musicali tra cui "Thanks for the memories" dei Fall Out Boys. Oltre alle riviste di gossip, il volto di Kim Kardashian è riapparso anche sul piccolo schermo. Nel 2012 ha preso parte ad altre serie tv: "Drop Dead Diva", "30 Rock", "L’uomo di casa e Punk’d". Mentre nel 2013 è uscito "The Marriage Counselor". Nello stesso periodo la rivista Forbes l'ha inserita nella lista delle 100 celebrità più influenti al mondo. Nel 2015 una statua di cera a lei dedicata, che la raffigura intenta a farsi un selfie, viene esposta al Madame Tussauds di Londra. L'anno successivo partecipa a "Zoolander 2", diretto e interpretato da Ben Stiller. Nel 2018, invece, l'attrice ha recitato in "Ocean's 8" di Gary Ross. Nell'anno 2016 la Kardashian ha presenziato alla serata di gala di Vogue 100 a Londra, in Inghilterra. Nello stesso anno l'artista americana è stata vittima di una rapina a mano armata, e, grazie a una circostanza fotruita, è riuscita a divincolarsi e a chiedere soccorso. La notizia, allora, ha fatto il giro del mondo poiché tutti i media mondiali hanno divulgato la notizia. Oramai gli occhi del Pianeta sono puntati su Kim Kardashian, sulle sue forme artefatte ma molto erotiche e sui suoi sempre scrutatissimi cambi di stile. E', però, l'avvento dei social network a dare la spinta decisiva alla crescente popolarità di Kim Kardashian che su Instagram, Twitter e altri siti social è assurta al ruolo di icona. Kim Kardashian oggi rappresenta un vero fenomeno sui social network e su Instagram in particolare, dove conta oltre 150 milioni di follower, un numero strabiliante. La imprenditrice Kardashian è intraprendente e ama esplorare nuovi lidi. Nel 2017, difatti, produce una sua creazione, la KKW Beauty, un brand di cosmetici, sold out in brevisimo tempo, e al contempo si occupa anche di Dash, la boutique appartenente alla famiglia. Non solo personaggio di successo del mondo dello spettacolo, quindi, ma anche valida imprenditrice. Parallelamente continua a dedicarsi alle sue attvità di cui è titolare: una linea di gioielli, abbigliamento, lingerie e profumi. Kim Kardasghian ha sperimentato anche il mondo dell’editoria, scrivendo in collaborazione con le sorelle "Kardashian Konfidential", libro autobiografico concepito con Kourtney e Khloé nel 2010, e ritenta l'impresa editoriale con "Dollhouse", romanzo pubblicato nel 2011.
Curiosità sul conto della procace Kim Kardashian. La Kardashian ha 6 piercing sul corpo, distribuiti in tal modo: uno sull’ombelico, uno all’orecchio destro, 3 sul lobo sinistro e uno in alto sull’orecchio sinistro. Ma non è tutto, infatti, ha rivelato di avere un retainer permanente all’interno dei denti, che non è visibile. Sembra difficile da credere, considerato la vita mondana che conduce, ma la Kardashian afferma che durante il week end non beve alcool e non fa uso di droga. Nonostante questo, a suo dire, si concede saltuariamente qualche strappo a tale regola: "Ogni 3 anni vado a Las Vegas e bevo 5 shot di vodka". La Kardashian ha una passione per ogni tipo di accessorio e in particolare per le borse, ambito in cui ben pochi possono competere con lei. Infatti, possiede un’enorme collezione, con molti modelli lussuosi e fuori dagli schemi, possedendo marchi come Chanel, rigorosamente in edizione limitata. Kim Kardashian ha rivelato di portare con sé in ogni momento una lima per le unghie e un taglia cuticole. Infatti, afferma di essere una vera maniaca per la loro cura, per questo porta tali oggetti nella sua borsa, nella valigia da viaggio e ovunque può. Le misure di Kim Kardashian: è alta 1,59 cm e pesa circa 64 kg. Uno dei suoi indiscutibili punti di forza è il fondoschiena che l’ha resa celebre per il volume e la sua forma prominente. Esso viene spesso immortalato e apprezzato dai numerosi suoi fan. Per questo la Kardashian, alcuni anni fa, ha deciso di preservarlo da spiacevoli inconvenienti, stipulando una polizza ammontante a circa 15 milioni di euro. L'attrice durante gli anni ha fatto spesso ricorso alla chirurgia plastica per migliorare il suo aspetto fisico. Tra gli evidenti interventi a cui lei si è sottoposta vi è una rinoplastica. Il suo naso così perfetto e aquilino non e naturale poiché il suo in origine presentava una lieve gobba. La kardashian ha apportato qualche piccola modifica estetica anche a zigomi e labbra che ora appaiono molto più accentuati e protuberanti rispetto al passato. Tutti i ritocchi esteteci le hanno donato un viso armonioso ed estremamente piacente. Anche il lato B e il décolleté, già floridi di natura, avrebbero benficiato di qualche aiutino chirurgico. Voci maligne riferiscono che l'attrice 39enne si sarebbe fatta iniettare dosi di grasso nelle terga per rimpolparle.
La svolta della star americana: dal 2020 vita morigerata e votata alla politica. Gli scatti provocanti hanno giovato moltissimo alla carrera di successo di Kim Kardashian. I suoi profili social hanno raggiunto picchi altissimi, riscontrando un numero elevatissimo di accaniti follower. Eppure, qualcosa da poco tempo è mutato nell'animo della bellissima influncer americana. La Kardashian ha assunto alcuni propositi importanti in vista del prossimo anno, il 2020. A breve compariranno sempre meno sui suoi siti social le immagini hot della sensuale modella. Il motivo che ha scaturito tale sua svolta radicale di vita? L'amore e la devozione nei confronti dei suoi quattro figli e di suo marito Kenye West. Con la crescita dei figli, la Kardashian si è resa conto che i suoi profili social, specialmente l'account Instagram, sono troppo spinti e inadeguati a una figura di madre. Il cambio di filosofia di vita si è palesato proprio dal cambio di look. L'imprenditrice statunitense, oggi, adotta un abbigliamento più pudico e consono al suo ruolo genitoriale e coniugale, e la gente pare essersene accorta. Le giungono, infatti, complimenti di fan che approvano tale suo cambio positivo di tendenza. Kin Kardashian ha condifato in un'intervista a The Cut che dietro questa sua scelta drastica c'è la sua famiglia: "Non so se sia il fatto che mio marito a volte mi dice che sono troppo sexy e che questa cosa non lo fa sentire a suo agio - riferendosi a Kanye West -. Ma lo ascolto e lo capisco. Anche se mi dà sempre la libertà di essere e di fare quello che voglio". "Ma è come se mi fossi data una svegliata. Ho realizzato che non posso neanche scorrere le mie foto su Instagram davanti ai miei bambini senza che saltino fuori delle immagini totalmente nuda. E sicuramente io ho contribuito a questa cosa", ha confessato con franchezza la modella 39enne. Kim Kardashian, inoltre, alle soglie dei 40 anni anela a progetti più consistenti e meno effimeri. Dalle riflettori dei set televisivi alle luci più fioche dei tribunali. Alcuni mesi la modella ha rivelato di coltvare il progetto di conseguire gli studi forensi. La Kardashian sta effettuando un apprendistato per accedere alla professsione di avvocato, seguendo, in tal senso, le orme del padre, celebre avvocato deceduto. Altre passioni sono affiorate nelle idee della kardashian. Dopo essersi recata in visita alla Casa Bianca come mediatrice per suffragare la causa di una detenuta, si è rivolta al presidente Donald Trump affinché avvallasse la sua richesta di liberazione della donna. E il magnanimo repubblicano Trump ha emesso la direttiva di scarcerazione a favore della donna detenuta. Dal felice esito di questo incontro importante ne è nata in lei una certa attrazione per la politica a tal punto da spingerla ad accostarsi a tale realtà. Le impressioni maturate della star americana dopo l'esperienza vissuta alla corte del "tycoon": "Ero alla Casa Bianca e il giorno dopo stavo postando dei selfie pazzi in bikini. E mi dicevo: 'Speriamo che non li vedano, devo tornare lì la prossima settimana'. Penso che mi sto evolvendo al punto in cui non sento il bisogno di continuare. Non mi interessa più così tanto farmi un sacco di foto in un costume da bagno col tanga - ha ribadito con convinzione la Kardashian -.Non mi importa più di prendermi tempo da un giorno di vacanza come facevo, quando trasformavo la casa in un set per le foto di Instagram". Ora mi dico: 'Vivi nel presente e goditelo'. Se succede che si scatti una foto, bene". La conversione di vita di Kim Kardashian, se ne darà realmente seguito, testimonia che la bellezza è una virtù a scadenza, poiché incombe su di essa il passare inserobalie del tempo, e che bisogna investire su altre qualità meno transitorie.
Lo scherzo a Chiara Biasi: la sua immagine finisce sul water. Le Iene il 2 dicembre 2019. Con 2 milioni e mezzo di follower su Instagram, Chiara Biasi è una delle star del web più seguite in Italia: ha costruito la sua fortuna grazie alla sua immagine. Come reagirebbe se tutto finisse per colpa di una foto? Scopritelo nel nuovo scherzo de Le Iene con Sebastian Gazzarrini. Tutto inizia a Milano, in un piccolo studio fotografico, dove Chiara Biasi, influencer da due milioni e mezzo di follower su Instagram, viene chiamata per fare da testimonial per una campagna internazionale di un brand di borse di lusso. Trucco, parrucco, prova abiti e si inizia: foto in piedi, foto seduta, foto su una tavola da surf. “Bella! Aspetta che faccio una foto”, dice Chiara contenta del risultato. Ma non sa ancora cosa gli aspetta. Non passa neanche una settimana infatti che arriva la chiamata di Cesare, il manager dell'influencer: “Stanno modificando le fotografie facendo qualcosa di strano, c'è bisogno che tu venga a Milano”. Chiara, malata e innervosita dalla situazione, si mette subito in macchina. E lì inizia tutto. Cesare le spiega che i soldi dello shooting non sono mai arrivati, che il direttore artistico ha scelto di seguire una linea provocatoria ma soprattutto che ancora non si capisce quali siano le famose modifiche fatte alle foto. Cosa farà Chiara? Se la prende con Cesare. Presa dallo sconforto, chiama Gilda, la sua migliore amica. Ed è proprio quando finisce la chiamata che Chiara crolla in lacrime: “Non ce la faccio più, mi stanno facendo sclerare”. Dopo una piccola pausa all'autogrill le arriva l'ultimo colpo di grazia: il suo avvocato le gira una prima foto dello shooting già uscita su una rivista. In cerca di conforto, tempo zero parte un'altra chiamata a un'amica: “È appena uscita la prima foto... con un assorbente sotto i piedi, io l'ho fatta con un surf!”. Insomma, un disastro visto che la sua fama si basa sulla sua immagine. “Stiamo alla soglia, che neanche i Flinstones lavoravano così”, esordisce Chiara appena arriva al meeting a Milano. E dopo una litigata con il suo manager arrivano tutti: il direttore artistico, l'avvocato e il signor Feng, il proprietario del famoso brand di borse. Ma le sorprese non sono finite: “le altre foto sono anche più provocatorie” sottolinea il direttore artistico, “ci sono 2 neri che ti toccano un po', in un’altra c’è un prete inginocchiato sotto di lei, come se lei fosse una divinità”. E all'idea del prete che l'avvinghia Chiara scoppia di nuovo, è troppo. Si piega in ginocchio e buttandosi sulle gambe del suo hair stylist piange lacrime amare. È il momento perfetto per Sebastian Gazzarrini di entrare per consolare Chiara. Gli basta una semplice frase trasformare le lacrime in una risata: “È tutto uno scherzo de Le Iene”.
«Io per 80mila euro neanche mi alzo»: bufera sulla frase dell'influencer Chiara Biasi. Pubblicato lunedì, 02 dicembre 2019 da Corriere.it. «Fino a quando non hai detto quella cavolata che ha riassunto a pieno il tuo modo di essere, poteva anche essere una buona possibilità di popolarità per te. Ti sei rovinata con le tue mani». Oppure: «Sta cancellando tutti i commenti negativi. Non seguitela, la rendiamo ricca noi». E ancora: «Dov'è finito questo nostro mondo agli albori del 2020 ce lo spiega in una semplice frase una certa nota influencer. "Io per soli 80mila euro non mi lavo neanche i capelli": per 8 scatti. OTTO FOTO». Sono solo tre delle tante critiche rivolte nelle ultime ore a Chiara Biasi, influencer ed ex fidanzata del calciatore Simone Zaza. Gli utenti di Twitter e Instagram si sono scatenati dopo la messa in onda di un servizio de Le Iene, durante il quale Biasi ha detto: «Io per 80mila euro non mi alzo al mattino e mi pettino i capelli». La 29enne stava commentando le foto (finte) di una campagna pubblicitaria di un assorbente di cui sarebbe dovuta diventare protagonista. Sommersa dai commenti, si è difesa così: «Non sputerei mai sul denaro. Quello che intendevo è che per quella cifra non sarei mai voluta diventare famosa per stare seduta su un water, appesa al Duomo».
Chiara Biasi, scherzo de Le Iene: "Per 80mila euro manco mi alzo", è polemica. Redazione Tvzap il 02 dicembre 2019. La top influencer nella bufera per una frase pronunciata nel corso della burla organizzata per lei dal programma di Italia 1. Doveva essere testimonial di una campagna internazionale di un brand di borse di lusso, invece Chiara Biasi, influencer che su Instagram conta oltre 2,4 milioni di follower, è finita su un water e con i piedi su un assorbente. Il motivo? Tutta colpa dello scherzo de Le Iene andato in onda domenica 1 dicembre su Italia 1 con un notevole strascico di polemiche per una frase pronunciata da Chiara durante il filmato.
Chiara Biasi e lo scherzo de Le Iene. A far saltare i nervi a Chiara Biasi sono le modifiche che l’art director decide di apportare alle foto realizzate con l’influencer che pensava di aver posato su una tavola da surf e invece si ritrova in piedi su un mega assorbente sulle pagine di Vogue China, credeva di essere stata fotografata in posa sexy su una sedia e invece si vede affissa in Piazza Duomo a Milano su un cartellone che la immortala sul water. Un totale disastro di immagine per la Biasi, che nel corso della riunione con tutte le parti coinvolte in questo strambo progetto sbrocca: “Ok, accetto di finire su un assorbente. Ma per 80.000 €? Io per 80.000 € manco mi alzo al mattino e mi pettino i capelli. Io pensavo fosse una campagna basica“.
La polemica social. Sui social si scatena l’inferno per queste parole, dal momento che molti Italiani faticano ad arrivare a fine mese. Tra i commenti anche quello dell’ex tronista di Uomini e donne Alex Migliorini, che scrive: “Per 80mila euro non ti alzeresti nemmeno dal letto… beata te io mi fare a piedi tutta Italia invece”.
La replica di Chiara Biasi. “La mia uscita può sembrare fuori luogo o infelice… ma stavo passando le pene dell’inferno e non riuscivo a spiegare che non me ne fregava dei soldi e del diventare famosa in Asia, bensì di continuare a lavorare come ho sempre fatto in modo ‘pulito’“. Così su Instagram Chiara Biasi risponde alle critiche ricevute dopo lo scherzo de Le Iene. Sotto ad un post dedicato proprio alla clip andata in onda su Italia 1 la Biasi interviene per rispondere ai commenti più duri e sprezzanti. “Ragazzi so bene cosa dico, magari non nel modo più corretto visto il momento e l’agitazione… ma quello che intendevo è proprio quello! Io per qualsiasi cifra non faccio certe cose, tra le quali campagne su un assorbente volante o su un water: semplice! […] E non è sputare sul denaro, anzi, ma rispettare me stessa e le persone che lavorano con me e per me. Perché sono dieci anni che lavoro e mi mantengo, e il mio percorso pulito conta più di qualsiasi cifra“. Infine, l’esortazione: “Easy! Non trasformate come sempre un misunderstanding in una polemica”.
Chiara Biasi risponde alle critiche sugli 80mila euro: “Mai sputerei sul denaro”. Le Iene il 2 dicembre 2019. La frase dell’influencer sugli 80mila euro per i quali “nemmeno mi alzo la mattina” detta durante lo scherzo de Le Iene ha fatto indignare il web. Ecco la risposta di Chiara Biasi alle critiche: “Ragazzi state sereni che mai sputerei sul denaro”. Chiara Biasi ha risposto alle tante critiche che le sono arrivate sul web per la frase “per 80mila euro non mi alzo nemmeno la mattina”, che l’influencer ha detto durante lo scherzo di Sebastian Gazzarini che avete visto nella puntata di ieri, domenica 1 dicembre. Ma andiamo con ordine. Abbiamo fatto credere a Chiara di essere stata scelta per una campagna fotografica sulla prestigiosa rivista Vogue Cina. L’influencer da due milioni e mezzo di follower ha posato entusiasta su un set allestito apposta per lei. Quello che però non poteva immaginare è che prima della pubblicazione le foto sarebbero state modificate dall’estroso art director che cura la campagna. Quando Chiara Biasi vede le foto online non crede ai suoi occhi. La prima foto la ritrae mentre surfa su un assorbente gigante. L’influencer è scioccata dal momento che sul set lei stava surfando su una normalissima tavola. Ma non è finita qui! L’agente Cesare informa Chiara che a breve in piazza Duomo a Milano, e nelle più importanti piazze italiane, sarà affissa una gigantografia di lei seduta su un water, anziché sulla banale sedia bianca che aveva utilizzato sul set. L’influencer si precipita all’incontro con l’art director, che tenta di far valere la sua arte e cerca di rassicurare Chiara sul successo che avrà in Cina. Ed è qui che l’influencer sbotta: “Ok, accetto di andare su un assorbente, ma per 80mila euro? Io per 80mila euro manco mi alzo la mattina e mi pettino i capelli!”. Gli utenti non hanno preso bene questa sua affermazione e sulla nostra pagina Facebook sono fioccate le critiche. “Che tristezza e che schiaffo alla povertà!”, scrive un utente. Altri le consigliano di andare a fare un lavoro più duro prima di parlare: “Un po’ di umiltà, c’è chi per 500 euro si alza la mattina e va a pulire i bagni”, “dopo questa frase la manderei a lavorare nelle risaie per 50 anni”. E di persone indignate per la sua frase ce ne sono state davvero tantissime. Così Chiara, sulla sua seguitissima pagina Instagram, ha risposto alle critiche: “Ragazzi state molto sereni per cortesia che mai sputerei sul denaro anche perché lavoro e mi mantengo da dieci anni”, dice l’influencer. “Quello che intendevo io è che per quella cifra non sarei mai voluta diventare famosa per stare seduta su un water appesa al Duomo o per volare su un assorbente”. E conclude: “È come se facessero gioco sul ti diamo 100 euro per mangiare una cacca. Ma anche no grazie!”.
Da leggo.it il 3 dicembre 2019. L’eventuale partecipazione di Chiara Ferragni accanto ad Amadeus al Festival di Sanremo 2020 scatena la furia del Codacons. «Siamo pronti ad intentare una causa legale contro la Rai e ad impugnare dinanzi alla Corte dei Conti e alla Procura il contratto di ingaggio - si legge in una nota stampa - Si tratta di una scelta sbagliata per l’azienda, che dovrebbe individuare modelli più adatti all’interno di programmi diretti ad un vasto pubblico, costituito in prevalenza da giovani». Per l’associazione in difesa dei consumatori, Chiara Ferragni è un modello diseducativo: “È stata oggetto di numerose denunce alle autorità competenti per l’uso totalmente errato dei social network con particolare riferimento all’utilizzo che la stessa fa su Instagram del proprio figlio” aggiunge. Per il Codacons, il piccolo Leone è “utilizzato a scopo commerciale per promuovere marchi e prodotti vari, in totale violazione delle norme vigenti che tutelano i minori e la loro privacy”.
Emanuela Bruco per trendit.it. Qualche ora fa abbiamo riportato la notizia secondo cui il Codacons avrebbe minacciato di portare avanti una causa legale contro la Rai nel caso in cui Amadeus decidesse di includere Chiara Ferragni nel suo Festival di Sanremo. Quest’ultima, pochi minuti fa, ha deciso di rispondere con un comunicato stampa alle critiche del Codacons, rimarcando quanto lei si sia spesa a favore dei consumatori e sottolineando il fatto che l’associazione più volte in passato avrebbe attaccato la sua persona o i suoi progetti, senza mai cercare un confronto diretto, ma diffondendo comunicati ostili e poco utili. Sono molto colpita del tempo e dell’aggressività che nelle ultime settimane il Codacons ha destinato alla mia persona e ai progetti che mi riguardano con dichiarazioni infondate e dal contenuto diffamatorio, che screditano me e comunicano ai consumatori informazioni errate […] Sono rammaricata di come una associazione che tanto ha fatto e tanto fa ogni giorno per noi consumatori non abbia mai cercato un confronto con me e le mie società per delineare nuove regole a tutela del consumo, ma abbia invece scelto la via dei comunicati ostili e infruttuosi. Spero che il Codacons continui a lavorare per tutelare i consumatori. Io sono pronta a dare la mia disponibilità.
È guerra tra Ferragni e Codacons. La possibile presenza dell'Influencer all'Ariston scatena la protesta. Laura Rio, Mercoledì 04/12/2019, su Il Giornale. Da una parte una vita in vetrina e un impero economico basato solo sull'immagine. Dall'altra una visione del mondo che vuole salvaguardare i ragazzi dalle facili illusioni. Lo scontro tra la top influencer Chiari Ferragni e il Codacons non si ferma a Sanremo, ma apre a una riflessione più ampia. È giusto promuovere una imprenditrice che ha fatto della sua bellezza un motore di vita a conduttrice del Festival più importante del Paese? Ma, soprattutto, è giusto coinvolgere una donna che mette in vetrina, via social, il proprio figlio senza alcuna remora? Questo si è chiesto l'associazione in difesa dei consumatori quando si è saputo che la Ferragni è entrata nella rosa delle papabili per affiancare Amadeus sul palco dell'Ariston, insieme a Diletta Leotta, Belen, Monica Bellucci e Vanessa Incontrada. A parte il fatto che quel palco è stato solcato da decine di ragazze che vantavano in primo luogo un meraviglioso aspetto, il Coordinamento delle associazioni per la difesa dei consumatori si è addirittura detto pronto a intentare una causa legale contro la Rai e ad impugnare dinanzi alla Corte dei Conti e alla Procura l'eventuale contratto. Per l'associazione l'influencer, oltre ad aver prodotto uno «pseudo-documentario» su se stessa, sarebbe un modello sbagliato per i giovani e sarebbe «stata oggetto di numerose denunce alle autorità competenti per l'uso totalmente errato dei social network, con particolare riferimento all'utilizzo che la stessa fa su Instagram del proprio figlio, utilizzato a scopo commerciale per promuovere marchi e prodotti vari». La Ferragni ha risposto per le rime, definendo diffamatorie le accuse: «Sono molto colpita - fa sapere ovviamente via social - dall'aggressività del Codacons». E lo ha invitato a fornire prove reali e non illazioni. «Aggiungo che per ora, per quanto mi è noto non è stato mai preso da parte dell'Antitrust alcun provvedimento nei miei confronti. Ricordo al Codacons che nel 2018 attraverso Tbs Crew S.r.l. sono stata la prima personalità del mondo social ad associarmi allo IAP-Istituto di autodisciplina pubblicitaria». Infine la Ferragni invita il Codacons a un confronto diretto e «non tramite comunicati ostili e infruttuosi». Pronta la contro replica: «Siamo pronti ad un sereno confronto con Chiara Ferragni, ma prima la nota infuencer deve rimuovere dal proprio profilo Instagram tutte le foto del figlio, dimostrando di voler rispettare le leggi vigenti». Difficile che riescano a capirsi...
Chiara Ferragni risponde al Codacons: "Insinuano che io sia un modello sbagliato". Chiara Ferragni, dopo l'attacco ricevuto dal Codacons, contrario ad una sua eventuale partecipazione al Festival di Sanremo 2020, risponde con un comunicato e si dice disponibile ad una collaborazione. Luana Rosato, Martedì 03/12/2019, su Il Giornale. Scontro tra Chiara Ferragni e il Codacons che, a seguito dei rumor riguardo la possibilità di ospitare la influencer al Festival di Sanremo 2020, aveva tuonato: “Si tratta di una scelta sbagliata per l'azienda, che dovrebbe individuare modelli più adatti all'interno di programmi diretti ad un vasto pubblico, costituito in prevalenza da giovani”. Nel comunicato diramato solo poche ore fa dal Codacons, l’associazione si è detta “pronta ad intentare una causa legale contro la Rai e ad impugnare dinanzi alla Corte dei Conti e alla Procura il contratto di ingaggio di Chiara Ferragni” nel caso in cui fosse stato confermato il suo ruolo di co-conduttrice al Festival della Musica Italiana in quanto la imprenditrice digitale, oltre a non poter essere considerata "un giusto modello per i giovani", “è stata oggetto di numerose denunce alle autorità competenti per l'uso totalmente errato dei social network, con particolare riferimento all'utilizzo che la stessa fa su Instagram del proprio figlio, utilizzato a scopo commerciale per promuovere marchi e prodotti vari, in totale violazione delle norme vigenti che tutelano i minori e la loro privacy”. A distanza di poche ore dall’attacco dell’associazione dei consumatori, Chiara Ferragni decide di replicare con un ulteriore comunicato stampa in cui smentisce categoricamente ogni accusa nei suoi confronti e propone al Codacons una collaborazione per “delineare nuove regole a tutela del consumo”. “Sono molto colpita dal tempo e dall'aggressività che nelle ultime settimane il Codacons ha destinato alla mia persona e ai progetti che mi riguardano con dichiarazioni infondate e dal contenuto diffamatorio, che screditano me e comunicano ai consumatori informazioni errate – si legge nel comunicato diramato dalla Ferragni – È stato consigliato alla Rai di ‘individuare modelli più adatti all’interno di programmi diretti ad un vasto pubblico insinuando in maniera arbitraria che io sia un modello sbagliato”. Chiara Ferragni, poi, passa in rassegna tutte le informazioni non corrette che il Codacons ha fatto sul suo conto. “Allo stesso tempo il Codacons ha fatto diverse affermazioni errate e senza fondamento del tipo ‘Chiara Ferragni è stata infatti oggetto di numerose denunce alle autorità competenti per l'uso totalmente errato dei social network’, per le quali invito il Codacons a smentirmi con prove reali e non con illazioni – si legge ancora - . Ulteriore diffamazione è stata rivolta a Chiara Ferragni Unposted, film sulla mia vita, che viene definito in maniera totalmente denigratoria ‘pseudo-documentario’. Altra accusa infondata riguarda le ‘bacchettate che le ha rivolto l’Antitrust’ circa fantomatiche denunce per pubblicità occulta”. “Aggiungo – ha continuato la influencer - che per ora, per quanto mi è noto, non è stato mai preso da parte dell'Antitrust alcun provvedimento nei miei confronti. Questa ennesima affermazione è stata manipolata per danneggiare la mia persona. Ricordo al Codacons che nel 2018 attraverso TBS Crew Srl (di cui sono socia fondatrice ed amministratrice delegata) sono stata la prima personalità del mondo social ad associami allo AP-Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, proprio per contribuire alla regolamentazione della pubblicità sui social. Sono rammaricata di come una associazione che tanto ha fatto e tanto fa ogni giorno per noi consumatori non abbia mai cercato un confronto con me e le mie società per delineare nuove regole a tutela del consumo, ma abbia invece scelto la via dei comunicati ostili e infruttuosi. Spero che il Codacons continui a lavorare per tutelare i consumatori. lo sono pronta a dare la mia disponibilità”.
Paolo Sorrentino si schiera con Chiara Ferragni: "Che vi ha fatto di male, perché attaccarla gratuitamente? Il regista premio Oscar Paolo Sorrentino ha concesso un'intervista al magazine Vanity Fair, interloquendo dell'imminente uscita della sua serie televisiva The New Pope e tra gli altri argomenti trattati ha citato anche la web influencer più in auge, Chiara Ferragni e i giudizi attorno alla sua figura. Monica Montanaro, Giovedì 19/12/2019, su Il Giornale. Il regista premio Oscar de La Grande Bellezza, Paolo Sorrentino, alla vigilia dell'esordio della serie televisiva da lui diretta The New Pope si è concesso in una prolissa intervista al magazine Vanity Fair. Il primo episodio di questa sua seconda serie verrà trasmesso dal 10 gennaio 202o, approdando sul canale satellitare Sky Atlantic HD. Nel corso dell'intervista il maestro del nuovo cinema italiano ha disquisito in merito alla presentazione della trama della nuova serie tv e sui temi correlati: dalla fede, alle debolezze umane, ai misteri insoluti. The New Pope racconterà le vicissitudini di uno dei capi storici della Chiesa cattolica, Papa Pio XIII - The Young Pope interpretato da Jude Law -, personaggio deceduto nel passaggio dalla prima alla seconda serie lasciando il posto vacante a favore di Papa Giovanni Paolo III - incarnato attorialmente da Jhon Malkovich -. "The New Pope è un racconto di uomini che sbagliano [...]. Descrive le debolezze, le miserie e anche gli slanci aulici che gli uomini possono avere", ha raccontato il famoso regista ai microfoni di Vanity Fair. Paolo Sorrentino ha sviscerato diversi temi importanti inerenti il significato profondo della vita, il rapporto con il trascendentale e il rapportarsi della gente nella società contemporanea. Il regista italiano ha riscontrato una tendenza pronunciata ed endemica al giudizio meschino, alle critiche gratuite amorali tese a denigrare il prossimo sino ai pregiudizi osceni. In merito alla predisposizione degli uomini a giudicare il prossimo, Sorrentino ha le idee chiare e ha confessato apertamente: "C’è oggi un’inquietante corsa alla valutazione, alla certezza apodittica, al giudizio. Gli uomini che sbagliano, quelli di cui le parlavo prima, io voglio osservarli. Non giudicarli. Non amo i giudizi, le convinzioni granitiche. È la ragione per cui da anni ho smesso di guardare i talk show: pullulano di opinioni sempre molto decise e sicure e a me tutta quella sicumera mette a disagio. L’altro giorno io e mio figlio Carlo parlavamo dell’allontanamento di Ancelotti, l’allenatore del Napoli. Lui aveva una posizione precisa, io minimizzavo: “Vabbuò, stiamo a vedere che succede'".
La difesa di Chiara Ferragni e la condanna alle critiche spietate. Il regista premio Oscar si è detto contrariato dalla tracotanza che impera sia sui social network che nel mondo della televisione, contesti in cui domina il pressapochismo e la cattiveria spicciola. Il maestro del cinema nostrano ha rivelato di essere disgustato dai personaggi cosiddetti "opinionisti" che pullulano in tutti i talk show, lanciando invettive e giudizi arbitrari all'indirizzo della vttima di turno. Durante il confronto con suo figlio, ha raccontato che nella discussione è emerso il nome attualmente sulla bocca di tutti, quello di Chiara Ferragni, la fashion blogger più in auge in questo momento. E, inaspettatamente, Sorrentino si è schierato dalla parte della web influencer, o per meglio dire, contro le critiche dure e i giudizi feroci che sovente la travolgono. "Mi appassionano. Mette tenerezza l’impegno di certe persone nel cercare di demolirti. C’è noia, aggressività inutile, fatica sprecata. Vedo che uno degli sport nazionali è attaccare gratuitamente Chiara Ferragni e mi chiedo: “Ma che ve ne importa? Ma perché? Che vi ha fatto di male?”. Ma se v’interessa così tanto occuparvi degli altri, allora fate volontariato", ha affermato con foga il regista. Paolo Sorrenino, definendo la sua personalità, la sua indole e il suo approccio nei confronti della vita e della relazioni con gli altri esseri umani, si classifica come un uomo che predilige l'indagine personale, aborrendo di riflesso le certezze e le critiche inutili. Non avere alcun pregiudizio sulle persone è prioritario, a parere del maestro, per comprendere l'altro in profondità e non soltanto superficialmente o esteriormente. "C’è oggi un’inquietante corsa alla valutazione, alla certezza apodittica, al giudizio. Gli uomini che sbagliano […] io voglio osservarli. Non giudicarli. Non amo i giudizi, le convinzioni granitiche", ha puntualizzato con convinzione l'orgoglio del cinema italiano.
Chiara Ferragni ha sfondato: la storia di una fashion blogger milionaria. Chiara Ferragni è assurta nell'arco di un decennio a star del web reinventandosi nel ruolo inedito di fashion blogger e influencer tra le più acclamate a livello internazionale. Monica Montanaro, Domenica 24/11/2019, su Il Giornale. Il nome Chiara Ferragni è divenuto celeberrimo in ogni angolo del Pianeta. Ma solo nominadola suscita divisione. La sua figura, protagonista in ogni contesto, riscuote nella gente una reazione manichea: venerazione assoluta o, all'opposto, "odio" e "ribrezzo". Tuttavia, uno dei suoi punti di forza è proprio questo: l'influencer cremonese non lascia indifferente il suo pubblico. Anche per questa ragione lei riesce a catalizzate l'attenzione di milioni di follower su Instagram. La Ferragni è dotata inoltre di uno spiccato spirito imprenditoriale che l'ha condotta al successo agognato. La blogger ha avuto il merito di intuire in anticipo il vento favorevole dei social. E così ha costruito un impero in piena autonomia. Peraltro, sfruttando anche la carta della sua bellezza naturale, sempre con uno stile sobrio di fondo e senza alcuna oscenità, è potuta assurgere alla posizione invidiabile di blogger e influencer molto amata e imitata nel mondo. Oggi Chiara Ferragni vive a Milano, ma è sempre in viaggio, facendo tappa nelle più importanti capitali della moda dove è invitata a partecipare agli eventi e alle sfilate più in. La sua popolarità è salita alle stelle a fine estate 2016 quando è stata ufficializzata la sua love story con il rapper e giudice del talent show X Factor Fedez, culminata il 6 maggio 2017 con la proposta di matrimonio in diretta tv.
Chi è Chiara Ferragni? Chiara Ferragni conosciuta anche con il nome di The Blonde Salad, è una fashion blogger italiana che sta spopolando su Instagram con quasi 20 milioni di follower al suo seguito. Attualmente, dunque, la Ferragni è la regina indiscussa del web e delle riviste patinate. Nata a Cremona il 7 maggio 1987, oggi ha 32 anni, appartiene al segno zodiacale del Toro. Le sue specificità fisiche: è alta un metro e settantasette centimetri, pesa 58 chili, ha una chioma di capelli biondi e occhi color azzurro cielo. Il suo papà Marco Ferragni, di professione odontoiatra, e la sua mamma Marina Di Guardo, scrittrice, si sono separati quando lei era adolescente. La Ferragni non è figlia unica, ma ha due sorelle minori: Valentina che ha la sua stessa inclinazione e ideali di vita, avendo intrapreso il suo stesso percorso professionale come web influencer, e Francesca che prosegue l'attività paterna, avendo acquisito una laurea in odontoiatria. La Ferragni ha giocato a basket fino alle scuole superiori e dopo essersi diplomata a pieni voti al liceo classico della sua città d'origine, si è iscritta alla facoltà di giurisprudenza della Bocconi senza mai conseguire il titolo di studio. Chiara Ferragni non si è laureata, perché ha dovuto abbandonare gli studi universitari per inseguire il suo grande sogno nel mondo del fashion system. La modella cremonese ha ereditato dalla madre la sua grande passione per la moda e la fotografia. Chiara Ferragni si definisce una persona che ostenta sicurezza all'esterno ma nella sua interiorità possiede molte fragilità. Ama molto i viaggi, le contaminazioni con culture diverse e, soprattutto, adora il suo lavoro quotidiano, che è al contempo la sua grande passione di vita. La sua amica fedelissima è la sua omonima Chiara Biasi. Il suo film preferito è "Forrest Gump", mentre la colonna sonora della sua vita è "Best of you" della band Foo Fighters. Tuttavia, la canzone dedicatele da Fedez al momento della proposta di matrimonio ha conquistato il primo posto nel suo cuore. In merito ai suoi gusti culinari, l'influencer predilige la pizza e la pasta, di cui va ghiotta. È molto affezionata al suo cane, di nome Matilda, appellata da lei affettuosamente con il nomignolo Mati. Oltre alla moda, tra le sue passioni ci sono i tatuaggi, visto che ne ha più di una dozzina impressi sul suo corpo. Il primo, realizzato dalla Ferragni nel 2008, è un fiocco all'altezza della nuca. Altri rappresentano delle semplici parole, come "Luce" sul busto e "Ode alla vita" sull’avambraccio, quest’ultimo dedicato alla memoria di un suo amico scomparso. Una delle frasi attribuibili alla modella e a cui la Ferragni si ispira è "faccio le cose solo quando sono pronta". Oggi, la si può definire uno dei volti femminili italiani maggiormente influenti nel settore della moda. La blogger e fashion designer ha mosso i primi passi nel 2006, da allora, si è impegnata con zelo affinché tali passioni divenissero il suo lavoro stabile. Deve la sua fama alle sue attività legate alla moda, settore in cui lavora come modella e come fashion blogger. La bionda influencer ha raggiunto i suoi ambiziosi obiettivi non solo affidandosi alla sua intraprendenza e alle sue virtù, ma anche grazie al supporto dei suoi genitori, in primis della madre.
La parabola ascendente della Ferragni: dal blog The Blonde Salad alla citazione di Forbes. Chiara Ferragni è una delle fashion blogger e delle influencer più seguite al mondo, soprattutto fuori dai confini dell’Italia. The Blonde Salad oggi non è solo un semplice blog dedicato alla moda, ma è anche un punto di riferimento nel settore fashion. Tale successo del sito web ha portato la blogger a collaborare con le più note e prestigiose luxury e fashion brand, e parallelamente ad affermarsi come opinion maker e modella sulle riviste internazionali. La fashion community l’ha definita una delle figure più influenti dell’intero panorama della moda. Nata come fashion blogger, Chiara Ferragni è diventata dapprima influencer, poi imprenditrice di successo. È anche stilista: ha creato e firmato diverse collezioni di moda. Nel 2015 il fatturato della sua impresa ha raggiunto l'ammontare di 10 milioni di euro, oggi nella sua azienda opera uno staff di 80 dipendenti che gestiscono un settore e-commerce proprio. Dopo la maturità Chiara Ferragni andò a vivere a Milano per frequentare l'università condividendo l'esperienza con il suo amico, Filippo Fiora, entrambi anelavano al sogno di diventare fashion blogger. In quella parentesi di vita è nata Diavoletta87 su Duepuntozero, un sito internet a metà tra un blog e un social network che spopolava tra i ragazzi della Milano bene. Nell'ottobre del 2009 ha ideato un blog dedicato alla moda denominato The Blonde Salad, insieme alla collaborazione del suo fidanzato Riccardo Pozzoli. Insieme la coppia si è a dedicata con abnegazione a far crescere il fashion blog. Il blog ha iniziato a mietere successi, complice anche l'aspetto fisico di Chiara Ferragni, ragazza acqua e sapone, bionda e con gli occhi azzurri. Successivamente, con il passare del tempo, la Ferragni si è concentrata soprattutto sui suoi outfit, sui vestiti che sovente acquistava e sui consigli di moda che elargiva ai suoi lettori web. Nel 2010 Chiara Ferragni viene invitata come ospite agli Mtv Trl Awards e presenta la sua prima linea di scarpe. Nello stesso anno è menzionata dalla rivista americana New York come One of the biggest breakout street-style stars of the year, tutti i riflettori erano puntati su di lei spianandole la strada verso il successo. Nel 2011 l'accreditato magazine di moda Vogue la incorona Blogger of the Moment, incassando oltre 1 milione di visite sul blog e un grande ritorno di immagine per lei. Da quel momento l’ascesa è inarrestabile: nel 2013 il blog ha raggiunto 1,6 milioni di follower su Instagram ed è stato ideato anche un eBook con il titolo omonimo del blog.
Nel 2014 Chiara Ferragni viene premiata per il terzo anno consecutivo con il Bloglovin’ Award dalla piattaforma americana che registra i feed in ambito lifestyle. Oggi, pertanto, The Blonde Salad non è solo un blog, ma è anche un progetto editoriale e un e-commerce, fornito di una redazione che opera sotto la guida costante di Chiara Ferragni. La Ferragni è stata anche protagonista di alcuni riuscitissimi shoot per Guess, ha lavorato con Steve Madden per il concept di una shoe collection e ha avviato importanti collaborazioni con diversi brand del lusso: Christian Dior, Louis Vuitton, Max Mara, Chanel, Tommy Hilfiger.
Il 2015 è l'anno in cui Chiara Ferragni è oggetto di un caso di studio da parte della Harvard Business School. Mentre l'anno successivo, nel 2016, la Ferragni è testimonial di Amazon Moda e global ambassador di Pantene. Posa in seguito in versione adamitica per la rivista Vanity Fair nell'edizione statunitense, viene consacrata in quel numero come il personaggio più in auge. È anche per questa grande popolarità che Forbes l’ha inserita nella lista “30 Under 30 Europe The Arts” del 2016, inerente i trenta artisti europei più influenti aventi meno di trent'anni. Nel mese di luglio del 2017 raggiunge la cifra di 10 milioni di follower su Instagram, diventando la celebrità italiana più seguita al mondo. Oltre ad essere stata testimonial di grandi aziende come la Pantene, Swaroski, Pomellato, Intimissimi e Yamamay. Negli anni le è stata dedicata persino una Barbie. La Mattel, casa produttrice di giocattoli, si è ispirata alla blogger per disegnare e produrre una Barbie con le sue sembianze. La bionda imprenditrice ha realizzato delle proprie creazioni di moda prodotte dalla Chiara Ferragni collection (nata nel 2013), come le Chiara Ferragni shoes caratterizzati dal logo del suo brand: occhio azzurro e dai glitter raffinati. Ma anche cover per smartphone, t-shirt, felpe ecc. Negli ultimi anni il successo della Ferragni ha continuato a prosperare. Nel luglio 2017 la fashion blogger ha infatti aperto il suo primo negozio a Milano, continuando a edificare il suo impero. Le sue capacità imprenditoriali hanno attirato l’interesse della stampa internazionale in merito al suo nuovo ruolo di CEO all'interno della sua azienda.
Il red carpet al Festival di Venezia e il docufilm "Chiara Ferragni-Unposted". Nell'estate del 2019 viene realizzato "Chiara Ferragni - Unposted", un film documentario sulla vita della blogger influencer piu famosa al mondo, con l'intento di spiegare il fenomeno mediatico Ferragni e indagare sulla sua vita. La regista è Elisa Amoruso ed è prodotto da MeMo Films con il contributo di Rai Cinema. Il lavoro artistico viene presentato in anteprima nella Selezione ufficiale - Sezione Sconfini durante la 76ª Mostra del Cinema di Venezia. Il docu-film arriva nelle sale cinematografiche italiane come evento speciale tra il 17 e il 19 settembre, dopo aver ricevuto parecchie recensioni incerte da parte della critica presente in laguna. Il documentario riporta la storia di Chiara Ferragni, imprenditrice digitale italiana, dalla nascita del suo primo blog alla costruzione di un impero nel mondo della comunicazione digitale. "Chiara Ferragni - Unposted" racconta la vita della regina degli influencer attraverso immagini di repertorio (compresi i filmini girati dalla madre) attraverso la voce narrante della protagonista. Il documentario evento sulla storia dell’imprenditrice di Cremona ha registrato un record assoluto, avendo totalizzato 1.601.499 euro di incasso in 3 giorni, divenendo il film-evento più visto di sempre in Italia. Nonostante le critiche per il suo documentario, definitvo "un'autocelebrazione", Chiara Ferragni è commentata, criticata, amata, odiata, sicuramente chiacchieratissima. La web influencer ha attirato l'attenzione su di sé sia prima che dopo il passaggio al festival. Nonostante il giudizio negativo dei suoi molti detrattori, Chiara Ferragni ormai è un brand vivente che produce 40 milioni di fatturato e ha alle sue dipendenze uno staff che opera tra blog, profilo Instagram, collaborazioni, campagne pubblicitarie e la sua linea di moda.
Tutte le storie d'amore di Chiara. Prima dell’incontro fatidico con Fedez, Chiara Ferragni è stata legata sentimentalmente per ben sette anni a Riccardo Pozzoli, imprenditore con il quale ha creato dal nulla l’impero del quale è stato anche amministratore delegato. La loro storia, descritta da entrambi come intensa, si è trasformata nel tempo in un solido rapporto d’amicizia e di collaborazione professionale prima, poi in un rapporto di stima. Insieme sono riusciti a trasformare il blog del clan Ferragni, The Blonde Salad, in un marchio di successo capace di fargli conseguire lauti introiti. I due si sono conosciuti quando entrambi avevano 20 anni. Una love story che è evoluta in un legame professionale miliardario. Successivamente, la potente e ricca social influencer è stata fidanzata con il fotografo americano Andrew Arthur, fino alla prima parte del 2016.
Dopo la storia con Andrew Arthur, nella vita di Chiara Ferragni è entrato Fedez. Un vero e proprio uragano che, in breve tempo, è diventato il centro del suo universo. Dopo essersi incontrati ad una cena tra amici comuni, i due hanno proseguito le loro vite in solitaria. La Ferragni e Fedez sono rimasti a distanza fin quando Fedez ha deciso di citare la Ferragni e la sua cagnolina Matilda in una strofa della sua canzone di successo scritta con J-Ax e dal titolo “Vorrei ma non posto“. La dedica speciale del rapper divertì allora la bella influencer al punto da indurla a canticchiarla sul suo account Instagram, incantando il rapper e spingendolo ad invitarla ad un appuntamento. Da quel momento la loro storia d'amore è proseguita ininterrotta sino a giungere alla convivenza nella città di Milano. A maggio del 2017, Fedez ha chiesto pubblicamente la mano della sua Chiara, rivolgendole la proposta di matrimonio durante un concerto all’Arena di Verona. Un episodio romantico rimasto vivido nei ricordi dei loro fan grazie anche al video divenuto virale in cui Fedez canta la famosa canzone per la sua fidanzata. Il matrimonio è stato poi rimandato di qualche mese per un altro lieto evento, ovvero, l’arrivo del loro primo figlio. Il giorno 19 marzo 2018 a Los Angeles è nato Leone Lucia, primo figlio di Fedez e Chiara Ferragni. E la popolarità sui social network dei due personaggi vip ha subito una nuova impennata. Da quel momento, l’arrivo del primo figlio si è trasformato in un caso mediatico di cui tutti parlavano e di cui gli stessi protagonisiti Fedez e Chiara Ferragni hanno condiviso ogni attimo via social, postando foto e video persino delle ecografie. Questo desiderio di mostrare il figlio ha scatenato i commenti contrastanti dei follower. La gravidanza, come la Ferragni e Fedez hanno più volte affermato, è stata desiderata da entrambi, evento che ha donato alle loro vite grande gioia. La popolarità dei due, soprattutto sui social network, è cresciuta sempre più nel tempo anche grazie alla loro immagine di coppia.
Il matrimonio dei Ferragnez? Un affare (social) milionario. Il 1 settembre 2018 si è celebrato il matrimonio tra Chiara Ferragni e Fedez, ormai conosciuti come i Ferragnez. La loro è stata la cerimonia mediatica dell’anno, un evento di marketing che ha trasformato un festa privata in una vetrina perfetta tra brand e lavoro. Grande risalto è stato dato alla notizia della location dell’evento: la Dimora delle Balze a Noto, una tenuta storica del 1800 che si staglia su una superficie di 27 ettari. Gli inviti sono stati recapitati mediante le Instagram stories, un biglietto 3D con i futuri sposi al centro. Gilda Ambrosio, Bebe Bio, passando per l’invito in diretta a Francesco Totti e Ilary Blasi: le partecipazioni alle nozze sono state molto social. Intorno al grande evento dei Ferragnez, le opinioni e i commenti dispensati sono stati contraddittori: da un lato coloro che hanno reputato fuori luogo l'aver puntato al business e alla propria immagine anche nel giorno del matrimonio e chi invece li ha difesi strenuamente ammirando la coppia di neo sposi vip. L’evento The Ferragnez, grazie ai 67 milioni di interazioni incassati sui loro profili social, hanno dato vita a un sistema ingegnoso capace di creare ricchezza. Il riscontro in termini di guadagno è attribuito a tutto ciò che il matrimonio ha trasposto sul web: dai post sponsorizzati degli sposi fino agli articoli online che, raccontando l’evento, di riflesso hanno dato visibilità anche a tutti i brand associati.
Riccardo Luna per La Repubblica il 19 settembre 2019. Il piccolo trionfo del documentario di Chiara Ferragni nel primo giorno di programmazione (poco più di 50 mila persone di martedì, circa 500 mila euro di incassi, record per un film italiano nel 2019), può stupire solo chi non si è accorto di cosa è cambiato con i social media. O chi continua a ritenere un fenomeno passeggero gli “influencer” (parola orrenda, ok, ma persino il papa un giorno ha definito Maria “l’influencer de Dios”). Vediamo i fatti. C’è Chiara Ferragni che a partire da un blog di moda (The Blonde Salad), nel giro di qualche anno ha costruito una piccola azienda globale, forte di oltre 17 milioni di follower su Instagram, una piattaforma dove lei si muove come un pesce nel mare. La Ferragni non è una nuova Rita Levi Montalcini e i suoi post non hanno lo spessore dei discorsi di Liliana Segre: non è né una scienziata né una sopravvissuta alla Shoah. Parla di moda, e della sua vita privata: anzi, fa della sua vita privata una specie di serie tv, che si aggiorna post dopo post. Non so come sia il documentario “Unposted”, ma so che quando è arrivato al festival di Venezia, i critici hanno fatto a gara a chi dava la stroncatura più feroce. Ce n’è uno che recensisce i film con un punteggio da uno a cinque, che non gli ha voluto nemmeno dare uno. Gli ha dato zero: invotabile. Dato il successo del documentario (piccolo successo, starà in sala fino a stasera, poi passerà allo streaming), questo vuole forse dire che i critici hanno sbagliato? No, evviva chi ha studiato, chi ha visto migliaia di film chi ha letto migliaia di libri, e ci può dare un giudizio che viene da lontano. Epperò forse sarebbe ora di levarci quell’aria di superiorità e provare a capire anche che succede fuori dal nostro giro. Capire perché in cima alla classifica dei libri in questi giorni non c’è Elena Ferrante, ma il manuale di una che si fa chiamare “spora” e che come slogan ha “stay strana stay figa”; o perché per i nostri figli il poeta youtuber Francesco Sole sia più popolare della meravigliosa Ada Merini. Per non parlare della musica dove gli youtuber in questi anni, ignorati o derisi dalla critica, hanno ribaltato le hit parade. Avete provato a leggere la classifica di Spotify oggi? Quanti ne conoscete dei primi dieci? Una volta il critico - letterario, cinematografico, musicale - era il vero influencer, colui o colei che era in grado di influenzare i nostri consumi culturali. Un ruolo prezioso, che non va perduto. Ma visto che gli influencer diventano star “culturali” nonostante le stroncature della critica, ci serve qualcuno che ci aiuti a capire chi sono e perché i nostri figli vanno pazzi per loro.
Giampiero Mughini per Dagospia il 20 settembre 2019. Caro Dago, che Chiara Ferragni sia un genio e meriti tutto il rispetto che meritano i geni non c’è dubbio. Non per questo, andrò a vedere il suo film perché con quel poco che mi resta da campare devo selezionare ora per ora quel che faccio giorno per giorno. Così come non mi passa nemmeno per la mente di leggere qualcuno dei libri dell’autrice citata da Riccardo Luna nel pezzo che tu hai pubblicato, un’autrice che ha anch’essa tutto il mio rispetto ma non il mio interesse. Me ne strafotto delle classifiche dei libri e film i più venduti, ma non sono così scemo da non essermi accorto che dietro il successo dei fratelli Vanzina o dei libri di Luciano De Crescenzo ci fosse tanto artigianato e tanto talento. Vidi un film dei Vanzina, “Sotto il vestito niente”, trent’anni fa a Verona. Uscii dal cinema soddisfattissimo, il film aveva mantenuto tutto ma proprio tutto quello che aveva promesso. La questione è un’altra. L’aveva messa a fuoco il piccolo grande Vanni Scheiwiller che si ammazzava di lavoro per pubblicare libri che vendevano due o trecento copie. “Non ho nulla contro il successo ma neppure contro l’insuccesso” era una delle sue espressioni preferite. Uno degli scrittori di sommo insuccesso a quei tempi era Tommaso Landolfi, che non credo vendesse più di mille copie a botta. Lo stesso dicasi di Aldo Buzzi, che io ritengo uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento. E per fortuna che adesso Adelfi, un editore che muta in oro il piombo, ha fatto di Landolfi uno dei suoi autori. Quanto alle influencer a ciascuno il suo. Auguro loro ogni bene, solo che per quello che mi riguarda da mattina a sera sono influenzato da altro e mi sta benissimo così. A proposito di libri, ho appena comprato un libro di uno scrittore francese che era stato fra i fondatori del gruppo CoBra nel secondo dopoguerra. Nessuno lo conosce né da vicino né da lontano, e a me che me ne frega? A proposito di libri, sto scrivendo un capitolo di un mio prossimo libro che credo interesserà dieci o dodici lettori. E con tutto questo, caro Luna, pensi che mi senta in qualche modo in colpa o in difetto o out of date? Me ne strafotto altissimamente.
Maria Elena Barnabi per “il Messaggero” il 17 novembre 2019. Quando è uscito nelle sale Chiara Ferragni - Unposted, il documentario di Elisa Amoruso che celebra la potenza mediatica e la vita della 32enne imprenditrice digitale di Cremona, ha battuto ogni record italiano: 1.601.499 euro in tre giorni, dal 17 al 19 settembre. Fra pochi giorni, il 29 novembre, il film sarà online su Amazon Prime Video in 200 Paesi, e anche lì si aspettano record, visti i numeri della Ferragni: 17,6 milioni di follower su Instagram, un brand valutato 36 milioni di euro, un matrimonio - celebrato il primo settembre 2018 - con il rapper Fedez che ha avuto un impatto mediatico superiore a quello tra il principe Harry e Meghan Markle (il 19 maggio 2018). Nata come blogger di moda quasi 15 anni fa, Chiara ha saputo cavalcare come nessun altro in Italia l'onda dei social media e del web. Oggi è testimonial di brand importanti, ogni suo post vale migliaia di euro, le superstar della moda la elogiano (Maria Grazia Chiuri di Dior, Silvia Venturini Fendi, Alberta Ferretti etc.) ed è in prima fila a ogni sfilata che conta. Sul lato imprenditoriale, i numeri delle società di cui Ferragni è socia sono meno entusiasmanti: Tbs (acronimo di The Blonde Salade) Crew nel 2018 ha fatturato 5,75 milioni di euro con un utile di 98 mila, Serendipity 1,64 milioni con un utile di 193 mila, Sisterhood, la neonata di cui Ferragni ha il 99 per cento, nel suo primo bilancio ha dichiarato 5,28 di fatturato con un utile di 2,5 milioni (di quest'ultima non ha voluto parlare). L'abbiamo raggiunta a New York al telefono insieme al suo general manager Fabio Maria Damato, che nel documentario si vede spesso nei panni di assistente personale mentre accompagna Chiara ovunque, la aiuta a vestirsi, le scatta fotografie. La blogger ha appena presentato a New York il suo film alla stampa americana e farà altrettanto con quella europea dopodomani a Roma, all'Auditorium della Conciliazione.
Le critiche italiane non sono stati clementi...
«È normale. Hanno detto che è promozionale: ma se sto raccontando la mia storia, penso sia normale. Però è piaciuto a tantissimi, e questa è una bella ricompensa».
Anche il mondo della moda all'inizio della sua carriera di blogger aveva reagito male: perché?
«Ero la novità: spaventavo e non venivo compresa. A 22 anni andavo alle sfilate e c'erano persone con il triplo dei miei anni che davanti a me diceva: Questa non dura sei mesi, lasciala stare».
E invece.
«Le stesse persone si sono scusate e ora sono le prime che vengono da me per farsi i selfie».
Piaggeria o sincerità?
«Alcuni pensano solo alla foto figa con me, altri hanno davvero capito. Dieci anni fa non era facile comprendere quello che facevo».
Come reagiva alle critiche?
«È stata durissima. Avevo due strade: farmi abbattere o tirare fuori gli attributi per dire: Ok, ce la posso fare. Dimostrerò a tutti che ho ragione».
Così sicura?
«Sapevo di avere per le mani qualcosa di speciale. Ho iniziato a mettere le mie foto su internet a 16 anni, il mio nick era diavoletta87. A 19 anni le vedevano 30mila persone in media ed avevano sempre 100-200 commenti».
Cosa pensava allora?
«Mi ripetevo: Wow, questi sono numeri grossi. Sono istintiva e ho capito subito che quello che stavo facendo aveva una portata enorme. Avevo una marea di haters, quelli ne ho sempre avuti tanti, ma suscitavo interesse. Dovevo andare avanti».
Perché lo faceva?
«Per dare uno scopo altro alle mie giornate di universitaria: tornavo a casa, fotografavo i miei look, li pubblicavo online e guardavo avanti. Ed ero felice».
Quando ha capito che poteva guadagnarci?
«Con le prime offerte di lavoro: nel 2010 ebbi una mini ondata di successo e arrivarono parecchie proposte economiche. Anche dalla tv. Mi chiamarono in tanti, mi creda».
Perché non accettò?
«Non volevo diventare solo un personaggio televisivo italiano, non mi interessava. Puntavo a fare qualcosa nella moda a livello internazionale. Viaggiavo molto, abitavo a Chicago: se avessi accettato avrei dovuto fermarmi».
Rimpianti?
«Mah! Rifiutare a 22 anni non è stato facile: erano molti soldi e una notorietà immediata».
Ora le interessa diventare un personaggio televisivo italiano? A Sanremo va o no?
«Mi dicono di dire no comment su Sanremo».
Vabbè, lo guarda?
«In passato, sì».
Nel documentario ci sono molte donne influenti della moda che la elogiano. Come le ha scelte?
«Le ha scelte la regista, le ha intervistate senza che io fossi lì. Io ho visto tutto dopo, al primo montaggio».
Cosa ha pensato?
«Mi sono emozionata, è stato bello. La regista ha anche cercato qualche hater, ma si sono tutti tirati indietro».
Spesso nel film si chiede: Come reagirebbe la Chiara che vorrei?. Che vuol dire?
«Ho sempre avuto questa ossessione, spero sana, di diventare la migliore versione di me stessa. Nel 2016 ero a un punto fermo. E quindi ho cominciato a pensare a questa Chiara che vorrei, a comportarmi come avrebbe fatto lei. Funziona in tante situazioni: pian piano, poi, diventi la versione migliore di te stessa».
Un altro suo motto è: Se vuoi, puoi.
«Sì, ci credo».
Non tutti ci riescono, però.
«È più un'attitudine».
Lei ora cosa vuole?
«Serenità e continuare a fare quello che voglio, a essere trasparente, a parlare di tutto».
Nel documentario dice che decide sempre cosa mostrare: cioè?
«Abbiamo una nanny per il bambino che viaggia sempre con noi. Però non la postiamo per la sua privacy».
Frasi così starebbero bene in un libro motivazionale. Mai pensato di farlo?
«Mi piacciono i libri, ora ne sto leggendo uno in inglese».
Quale?
«Non ricordo l'autore... Si intitola Everything is fucked, a book about hope (è del consulente per lo sviluppo personale Mark Manson, ndr) e descrive come funziona la mente. Io adoro la mente. E anche i libri, ma...».
Ma?
«Non sono proprio la mia cosa, il mio modo di comunicare. Io sono più veloce. Molto di più».
DIAMO A CHIARA QUEL CHE È DI CHIARA. Emanuela Grigliè per “la Stampa” il 19 settembre 2019. Grazie un MILIONE. Lo scrive così, tutto maiuscolo, Chiara Ferragni e mica ha torto ora che può aggiungere un' altra stelletta ai suoi successi. Chiara Ferragni Unposted, documentario di Elisa Amoruso che racconta vita e ascesa dell' influencer e imprenditrice digitale, batte un doppio record: oltre mezzo milione di euro incassati in un solo giorno (e per giunta di martedì, non proprio seratona calda) e miglior debutto per una pellicola italiana nel 2019. Chiara, 32 anni, 80 dipendenti e tanti follower quanto gli abitanti dei Paesi Bassi (più di 17 milioni), è «un idolo, un esempio di donna» ci ripetono quasi in coro le ragazzine in coda al cinema Odeon di Milano, quello dove lunedì si era svolta la première vip con pink carpet e Ferragnez mano nella mano, e dove ieri c' è stato di nuovo il pienone. In maggioranza (bulgara) femmine e giovanissime che al cinema, confessano, non ci sono andate praticamente mai prima di questa occasione, a cui si presentano già munite di biglietto comprato online per vedere un film che in sostanza hanno già scoperto giorno per giorno su Instagram. «I film li guardiamo solo su Netflix. Ma abbiamo seguito nelle stories di Chiara il trailer e ci ha ispirato a venire qui. Ci piace il suo stile ma soprattutto la sua vita, cosa fa lei, i suoi viaggi - ci spiegano Benedetta, Anita e Sara, milanesi, 14 anni, che frequentano lo stesso liceo linguistico -. In particolare volevamo scoprire com'era lei prima di diventare famosa e come da piccola già amava farsi fotografare dai suoi genitori. Su Instagram seguiamo tutte le sorelle Ferragni. E il marito (il rapper Fedez, ndr)». Il documentario resterà nei cinema solo tre giorni, poi passerà su Amazon Prime e tra circa sei mesi in chiaro sulle reti Rai. Sempre che il record di incassi non spinga i cinema a tenerlo fuori più a lungo visto la richiesta di biglietti: a Cremona, città natale di Chiara, le visioni serali sono andate subito sold-out. «La seguo da sempre, è un role model, non si è mai demoralizzata e secondo me per arrivare dov' è ha superato tanti ostacoli con coraggio», dice Sara, 19enne torinese che studia moda allo Ied e che l'ultima volta che era andata al cinema era stato 5 anni fa per Colpa delle Stelle. Resta da capire cosa farà ora la Ferragni-piglia tutto dopo matrimonio da favola, figlio, moda, corsi di trucco, cinema, tivù (il reality Making the cut con Heidi Klum e Naomi Campbell in onda nel mondo su Amazon Prime video nella primavera 2020). «Magari entra in politica. Mi piacerebbe una donna come lei candidata. Ma penso che più probabilmente collaborerà con qualche marchio importante per una collezione di moda». Gli aggettivi più usati per definire Chiara sono simpatica e di successo, molto più che bella e famosa. «Ho prenotato i biglietti due settimane fa per essere sicura di trovarli», racconta Amanda 19enne che studia moda alla Marangoni, accompagnata da Ludovica bocconiana che dice: «Io ho la scusa dell' impresa per essere qui!». Vederla in carne d' ossa - Ferragni sta facendo delle comparsate a sorpresa in alcune sale - a loro non interessa. «Va bene così, ci basta seguirla sui social. Incontrarla di persona non aggiungerebbe niente. Lei è un mito perché è simpatica e determinata. Un' italiana che ha sfondato, che ha creato un impero». Quest' ultima frase è come un mantra che ripetono tutte, Ferragni che si è fatta da sola e che ha dimostrato che col duro lavoro si può raggiungere qualsiasi traguardo. Pure il front row delle sfilate. Il suo film è come un tutorial per il successo, un esercizio di autostima per ragazze: «Tutti noi sappiamo cosa possiamo fare per trovare la versione migliore di noi stessi, il fallimento fa parte del percorso, nessuno vince sempre, ma bisogna avere la forza di tirarsi su». Aveva spiegato lei stessa alla Mostra di Venezia, dove il documentario è passato fuori concorso raccogliendo recensioni così e così e stelle risicate. Ma tanto il popolo di Chiara le recensioni mica le legge. E poi i critici erano pronti a scommettere che un conto è avere 17 milioni di follower, un altro portarli al cinema, fuori dai social, a vedere il tuo film. Missione compiuta.
FENOMENOLOGIA DI CHIARA FERRAGNI. Roberto D’Agostino per VanityFair il 16 settembre 2019. “Il trionfo del vuoto”. Ancora: “Non è cinema, è propaganda, di quelle che pensavamo adatte a Kim Jong-un e non a una Mostra d'Arte Cinematografica”. Non basta: “Ci avevano detto che la Rete avrebbe prodotto un mondo più libero e fantasioso; ha prodotto il passaggio da Audrey Hepburn a Chiara Ferragni”. Finale col botto con Valeria Golino: “È un mondo a me sconosciuto, quello della influencer. Tanto di cappello a chi fa soldi sulla vacuità, ma non avendo né Instagram né Facebook, non so nemmeno come funziona ‘sto lavoro, non so cosa sia. È stato sdoganato un comportamento che fino a pochi anni fa ritenevano tutti volgare. E ora ci sembra del tutto normale”. Non è un caso che la presentazione veneziana del docu-film di Chiara Ferragni, principessa di tutte le fashion influencer (14 milioni di followers), abbia scatenato polemiche e derisioni a valanga. Al di là di ogni giudizio cinematografico, ‘’Chiara Ferragni Unposted’’ è arrivato al momento giusto per far brillare la guerriglia generazionale, in corso da anni, tra digitali e analogici. Dicotomia che ha sostituito gli antichi duelli: destra-sinistra, chic e trash, Botteghe Oscure e boutiques lucenti. Viviamo in un'epoca in cui, come scriveva Baudelaire, le cose non deformate non hanno volto. E la Rete è lo specchio deformante di questa realtà. Uno spazio di sovrabbondanza, eccesso, prevaricazione, frastuono, colore accecante, esibizionismo, estasi da “like”. Malgrado gli stereotipi da “signora mia, dove andiamo a finire!”, il successo globale di Chiara Ferragni è la spia di una sottocultura fatalmente mutante, senza falsi bersagli, né falsi movimenti. Una mitologia attrezzata per accogliere tutto e il contrario di tutto, che si è rumorosamente alterata e trasformata nel corso del tempo alla stregua di un codice egiziano, di un'araba fenice, di un oleogramma. Molte sono le rivoluzioni che cambiano il mondo ma sono poche quelle che cambiano gli uomini e lo fanno radicalmente perché capaci di generare nuovi modi pensare. Il Web è diventato il nuovo sistema nervoso del mondo poiché, grazie in particolar modo ai social media, esso diventa in qualche modo un ampliamento della nostra identità. Ovvero il trasferimento della conoscenza e della vita degli individui dalla realtà reale al mondo di internet. E il docufilm dell’influencer cremonese ha il pregio di raccontare tale passaggio che fa orrore alla generazione analogica, quella del gettone telefonico e fax, carta e penna, privacy e sobrietà. La generazione Ferragni sa benissimo invece che la nostra rappresentazione sociale non può più, ormai, non passare per la rete in modalità immagine. Infatti la vita, grazie ai social network, è diventata una battaglia per inventare se stessi, creare il proprio “brand”, il proprio marchio personale. Io sono di fatto il presidente, amministratore delegato e responsabile marketing dell’azienda chiamata “Ego Spa”. Io sono la mia fiction. E Instagram è oggi la via più semplice per consegnare agli altri una immagine diversa di se stessi. Ecco perché è diventato un’ossessione, l’ultima dittatura/orgasmo dei nostri tempi, per molti “un disturbo mentale di massa”: la rivoluzione digitale ci dà la possibilità di creare una vita parallela attraverso i social. In un mondo di 7,7 miliardi di esseri umani, di cui 4,4 miliardi sono ormai online, sviluppare un senso di sé autentico è molto più difficile di quanto non fosse prima — diciamo nel 2000. Tutti amano la Rete perché è diventata un sollievo a tale angoscia che nessuna ideologia è riuscita a cancellare, un’invenzione che ha messo in tasca a ciascuno di noi uno smartphone che molti hanno cominciato ad usare come ‘’pensiero visivo’’, come un’estensione del proprio Io. Postare e sedurre. Così entriamo nel più intrigante (e disturbante) aspetto della rivoluzione Web: l’interattività. Mentre la letteratura isola, la televisione esclude, il cinema rende passivo lo spettatore, la rivoluzione digitale include. Mi attiva perché, scrive Marshall McLuhan, “recupera la modalità di Narciso”; la moltiplicazione dell’Io come protagonista del gioco. Dalla platea al palcoscenico. Non siamo più semplici spettatori. Ma piuttosto spettatori di noi stessi. Spingendo fino al cortocircuito tecnologico i ruoli tradizionali della società dello spettacolo. Con un'identificazione totale tra chi vede, chi è visto e chi agisce. Questo coincide perfettamente con l'avvento dei social network – Facebook, Instagram, Twitter etc. - dove il tema centrale è proprio questo narcisismo impazzito, dove ognuno in qualche modo si sente protagonista di una storia, è al centro di qualche cosa, che sia reale o meno, che sia vero o falso. Un cliccatissimo youtuber americano lo spiegò brutalmente: “Non voglio essere me stesso. Voglio essere la pizza. Perché? Perché tutti amano la pizza”. E Chiara Ferragni è la mejo “pizza”.
Chiara Ferragni a Venezia: «Io libro aperto». Ma niente domande sull’ex e sulla sua società. Pubblicato mercoledì, 04 settembre 2019 da Paolo Mereghetti su Corriere.it. Vita web e miracolo di Chiara Ferragni, nostra Signora dei social, “imprenditrice digitale e icona della moda” come recitano le note che accompagnano il film «Chiara Ferragni Unposted» , in programma nella sezione Sconfini diretto da Elisa Amoruso. È il suo giorno al Lido, dove è arrivata martedì con il marito Fedez: i suoi fan ne seguono con devozione le gesta vita Instagram mentre prenotano i biglietti in giro per le sale italiane per le proiezioni del film (solo il 17, 18 e 19 come evento). «All’inizio ero molto spaventata all’idea di lasciare raccontare mia storia a un’altra persona, lasciare il potere a qualcun altro. Elisa grande sensibilità a scavare dentro di me, parti me che non conoscevo. Per esempio, mi ha fatto capire quanto mia madre sia stata fondamentale, lei ci ha sempre ripreso fin da piccoli, pensavo per conservare i ricordi d’infanzia. Ora capisco che il mio modo di raccontarmi è nato già da bambina. Se mi sono sempre sentita speciale è perché mia madre soprattutto mi ha fatto sentire così». La prima proposta di un film sulla sua parabola arrivò da Netflix. «ma era troppo basato sulla vita personale». Qui insieme a Memo film è Raicinema c’è Amazon. «La creazione di questo documentario è stata il progetto più stimolante a cui abbia mai preso parte. Più mi raccontavo sui social e più saliva la curiosità sulla mia vita, non solo per gli aspetti personali ma sul mio business. Questo è una specie di tutorial sì, racconta a 360 gradi la mia vita lavorativa. Dimostra che il mio lavoro non è solo fare selfie e posarli ma tutto il lavoro che c’è dietro». L’infanzia, le prime esperienza social, gli albori del business con l’ex fidanzato Riccardo Pozzoli su cui le domande, viene detto, sono vietate. Come vengono bocciate domande sulle sue società. «Io sono un libro aperto - insiste però Ferragni - Parlerei con un’amica come parlo con i giornalisti. La privacy è un concetto strano, fin da piccola ho condiviso la mia vita con i followers. Parlo di me in terza persona perché mi aiuta a avere più idea della persona che vorrei essere. So di essere una brava persona». Amen.
"Devi tutto al tuo ex". Ma Chiara Ferragni sbotta: "Maschilismo allo stato puro". Chiara Ferragni, accusata di dover il suo successo alle idee del suo ex, Riccardo Pozzoli, sbotta e sottolinea che, da quando lavora in autonomia, i suoi guadagni e traguardi sono triplicati. Luana Rosato, Martedì 03/09/2019, su Il Giornale. L’emozione per Chiara Ferragni è alle stelle: a breve verrà presentato il film documentario sulla sua storia al Festival del cinema di Venezia, ma qualcuno ha pensato di rovinarle questo momento magico dicendole che il suo successo è dovuto solo ed esclusivamente alle intuizioni e ai contatti del suo ex, Riccardo Pozzoli. Uno degli hater più accaniti della Ferragni è intervenuto sul suo profilo social pungendola ferocemente ma, davanti alle critiche più ingiuste, Chiara ha imbracciato il suo smartphone e risposto per le rime a chi l’ha accusata di non aver avuto alcun talento né idea. “[...] Ti ha ideata e creata in tutto il tuo ex fidanzato Riccardo. A Milano lo san tutti. Ha avuto le idee, contatti, ecc. Ecco, diciamo solo che forse è il caso di dire che il talento lo ha maggiormente lui [...] – si legge in uno dei commenti agli ultimi post della Ferragni – [...] Lui si è inventato tutto. E la tua famiglia abbiente ti ha aiutata [...]”. Davanti a queste illazioni, quindi, la moglie di Fedez ha deciso di replicare anticipando che nel suo film documentario ogni situazione verrà chiarita. Ribadendo di aver avuto un “business partner”, ma di essere stata sempre lei la “mente business” dietro ogni sua scelta, la Ferragni ha sottolineato che “da quando lavoro in autonomia i miei lavori e traguardi professionali sono triplicati, se non di più”. “Questo è maschilismo allo stato puro – ha sbottato Chiara - . E comunque nel documentario racconto anche come sono andate le cose e chiarisco tutto, una volta per tutte”. Infine, la influencer ci ha tenuto a chiarire che Riccardo Pozzoli si è preso i meriti che gli spettavano durante gli anni e che, ad oggi, lei non deve ringraziare nessuno se non se stessa.
Ferragni e il film sulla sua vita: «Così ho capito chi sono davvero». Pubblicato venerdì, 02 agosto 2019 da Matteo Persivale su Corriere.it. «La differenza tra Instagram e la vita reale? Nella vita, se fai un errore non lo vedono immediatamente 17 milioni di persone». Chiara Ferragni ha 32 anni e 17 milioni di follower. Sui social media (e su Internet) è cresciuta, è diventata famosa, si è abituata alle cose piacevoli e a quelle meno piacevoli di una vita vissuta necessariamente in pubblico, mediatizzata in un Truman Show del quale fino a oggi la regista è stata sempre, e orgogliosamente, solo lei. Adesso però che la sua vita è diventata un film, il documentario Chiara Ferragni — Unposted, la regista non è più lei ma Elisa Amoruso: prodotto da MeMo Films con Rai Cinema, sarà nella Selezione ufficiale - Sezione Sconfini durante la 76ª Mostra internazionale d’Arte cinematografica di Venezia e nelle sale in Italia come evento speciale il 17, 18 e 19 settembre. Strano, vero, questo scambio di ruoli? «Sì, perché su Instagram sei tu la regista delle tue Stories. Ci si espone con più attenzione, è più semplice proteggersi, dare ai follower una percentuale minore della tua realtà. In questo film avrei potuto fare a metà, metà lavoro e privato. Invece è la mia storia, raccontata con sincerità». L’effetto che le ha fatto? «Mi ha fatto diventare una versione migliore di me stessa, credo. Mi sono guardata sullo schermo, una cosa che quando ti succede per la prima volta rappresenta uno choc perché un conto è il display del telefono e un altro è lo schermo del cinema. Ho capito delle cose, le ho viste con più chiarezza attraverso gli occhi di Elisa che mi ha seguito». Una cosa curiosa che ha sperimentato sulla sua pelle.«Quasi non ricordavo cose che sono successe e che si vedono nel film. Penso di aver capito tanto del mio carattere: mi ha aiutato a conoscermi. Spero che non sia un fattore di choc per gli altri: adesso il 70, l’80% di me è tutto sullo schermo. Ho capito, rivedendomi, che in questi dieci anni ho cercato di trovare la mia identità nel mondo. Questi anni rimarranno in questo film. Vedremo che cosa ne penseranno gli altri». Al giudizio altrui è abituata: dei fan come degli onnipresenti «hater», gli odiatori che affollano Internet. «Fortunatamente il mio carattere è abbastanza cocciuto. Nel febbraio 2010 sono andata alle prime sfilate: un pesce fuor d’acqua nel mondo della moda, non sapevo le regole non scritte, quelle che ho dovuto imparare dopo, sulla mia pelle. Mi hanno fatto dei commenti negativi, non come capita di solito su Internet, per iscritto, ma me li hanno fatti proprio in faccia. Peraltro arrivavano anche da persone che reputavo importanti, che stimavo: non ero abituata ad ascoltare commenti così. Però tutte le persone che hanno detto cose cattive su di me sono state in questi anni il mio stimolo più grande, sono grata agli odiatori». Oltre a Ferragni, al marito Fedez, al figlio Leone, a parenti e collaboratori, nel film ci sono anche interviste con le persone che la conoscono bene: Maria Grazia Chiuri stilista di Dior, Moira Forbes, Silvia Venturini Fendi, Delphine Arnault, Sandrine Crener-Ricard (della Harvard Business School), Diane Von Furstenberg, Eva Chen, Alberta Ferretti. Tutte donne. «È una donna anche la direttrice della fotografia. Non è stata una scelta, è successo, ma è bello che sia andata così. Alla fine è la storia di una ragazzina che ha creduto nei suoi sogni, il messaggio è che è sempre meglio essere indipendenti. Mia mamma, quando ero piccola, mi faceva sempre tantissime foto, anche se non esistevano i social media era come se ci fossero, per lei».Che differenza c’è tra essere seguita via Instagram e essere seguita da una cinepresa? «In questi anni ho ricevuto tante proposte dal cinema, anche dall’estero, ma non mi sono mai sembrate giuste. Mi piace di più l’idea di questo documentario perché sono io. Non so se sarei brava a raccontare le storie altrui. Qui ho raccontato la mia. Il cinema è un medium sacro, Venezia il sogno più grande. Un luogo sacro per i film».
Chiara Ferragni è la donna più influente del mondo. Ma quanto guadagna? Chiara Ferragni è l'orgoglio italiano nel mondo: è stata incoronata come donna più influente del Pianeta dal settimanale Glamour Spagna, che ha provato a capire quando guadagna in realtà l'imprenditrice cremonese. Francesca Galici, Venerdì 28/06/2019 su Il Giornale. In queste ore Chiara Ferragni si trova in Spagna per prendere parte ad alcuni eventi mondani che la vedono protagonista. Durante uno di questi è stata incoronata da Glamour Spagna come donna più influente del mondo per merito della sua intensa attività imprenditoriale svolta sui social e non solo. Il magazine patinato spagnolo ha dedicato all'influencer italiana la cover del numero in edicola, in cui il giornalista responsabile dell'articolo ha cercato di rispondere alla domanda che in molti si fanno quando si parla di Chiara Ferragni: quanto guadagna? L'attività dell'influencer italiana non si limita alle semplici campagne e pubblicità che la moglie di Fedez conduce sui suoi social network. La cremonese collabora con moltissimi brand in diversi settori. “Chiara Ferragni” è un marchio registrato e inoltre la stessa sarebbe socia in altre importanti aziende. La più importante tra tutte dal punto di vista degli introiti pare essere The Blonde Salad Crew, che riprende il nome dello storico blog di Chiara Ferragni da cui tutto ha avuto inizio. La bionda imprenditrice digitale deterrebbe il 55% delle azioni di questa società, che stando a quanto riferito da Glamour Spagna avrebbe chiuso il 2018 con un salto decisamente positivo. Dai dati in possesso del magazine, infatti, si evince che il fatturato dello scorso anno sia di circa 5,7 milioni di euro, a cui corrisponderebbe un utile di circa 98mila euro. A fronte di questo risultato positivo, pare che però non sia filato tutto liscio. La Tbs Crew sembra che abbia avuto un netto calo delle liquidità disponibili, che se nel 2017 pare fossero di 900mila euro, nell'anno successivo sarebbero calate a 680mila euro. Considerando il fatto che la società avrebbe deciso di tenere in cassa l'utile del 2018, a Chiara Ferragni e gli altri amministratori sarebbe spettata la percentuale prestabilita di un totale di circa 400mila euro, suddiviso in base alle quote societarie. Un'altra fonte di guadagno per Chiara Ferragni sarebbe la società Serendipity, che si occupa di incassare le royalties derivanti dall'utilizzo del marchio di proprietà dell'influencer. Chiara Ferragni dovrebbe essere proprietaria del 32,5% di questa società, il che pare le abbia garantito una cifra di circa 90mila euro per il 2018. Non sono certo incassi milionari quelli che la Ferragni otterrebbe dalle società di cui è partecipe, che vengono però sommati agli introiti che derivano dall'attività sociale dell'imprenditrice, sempre più florida e remunerativa. I suoi follower crescono esponenzialmente e con loro le interazioni ai post di Chiara, il cui profilo diventa un veicolo pubblicitario sempre più appetibile per i grandi brand internazionali.
Chiara Ferragni contro il body shaming: "Amarci è già difficile". Ennesimo messaggio di Chiara Ferragni contro le donne che insultano altre donne e lo fanno utilizzando presunti difetti fisici; l'influencer lancia l'hashtag #bodyshamingisforlosers. Francesca Galici, Martedì 02/07/2019, su Il Giornale. Questa mattina Chiara Ferragni ha ha espresso per l'ennesima volta il suo dissenso nei confronti del body shaming, divenuto purtroppo una consuetudine nel mondo dei social. I commenti e gli insulti che colpiscono le influencer e i personaggi noti del mondo dello spettacolo hanno spesso come bersaglio proprio il loro corpo. I kg in più o quelli in meno diventano oggetto di scherno, un po' di gonfiore addominale diventa oggetto di lunghe discussioni e di derisione, le imperfezioni cutanee vengono messe alla berlina. Se le donne famose fanno spesso orecchie da mercante contro questa pratica diventata comune oppure rispondono a tono, le vittime più esposte e che possono subire maggiori danni sono le giovanissime. Sono vittime di body shaming anche le donne e le ragazze comuni che postano le loro immagini sui social ed è anche per questo motivo che Chiara Ferragni e moltissimi altri volti noti si spendono spesso contro questa forma di violenza. Chiara Ferragni ha colto l'occasione per denunciare il fenomeno grazie a un lungo commento lasciato da una ragazza sotto un post di sua sorella Valentina. Nello sfogo, l'utente ha duramente criticato il comportamento di molte donne che utilizzano il l'aspetto fisico per attaccarne altre. Sia Valentina che Chiara Ferragni hanno condiviso il commento nelle loro storie di Instagram. La moglie di Fedez ha aggiunto il suo personale messaggio con l'hashtag #bodyshamingisforlosers (il body shaming è per i perdenti): “Passare il vostro tempo a insultare altre donne non vi renderà più belle, più attraenti, più intelligenti o più divertenti. Vi renderà solo delle persone molto tristi.” Ha ammesso di essersi sentita anche lei più insicura dopo i commenti negativi che ha ricevuto sui social e ha quindi fatto un appello a tutte le ragazze che la seguono: “Amarci è già una missione molto difficile, ci dobbiamo scontrare ogni giorno con le nostre insicurezze, ma se questo non viene portato all'esasperazione da commenti inutili di altre persone del nostro sesso tutto sarebbe molto più semplice. Pensateci.”
Dopo la gaffe (e un giorno di silenzio) anche la Ferragni si fa sentire: "Giulia, era una storia". Dopo la clamorosa gaffe, Chiara Ferragni commenta ciò che è accaduto con Giulia De Lellis. Ma le sue parole poco convincono. Anna Rossi, Martedì 18/06/2019, su Il Giornale. Solo qualche giorno fa, Chiara Ferragni è incappata in una brutta gaffe. L'influencer più conosciuta al mondo, infatti, ha condiviso tramite il suo account Instagram The Blond Salad una foto di Giulia De Lellis mentre sponsorizza la propria linea di costumi. Dopo essersi accorta della terribile gaffe, Chiara ha eliminato la storia, ma non è stata troppo veloce perché gli utenti sono riusciti ad accorgersene in tempo e a fare un bello screen. Screen che è subito diventato virale. Immediatamente, Giulia De Lellis è stata avvertita e divertita ha commentato: "Io ho apprezzato molto, magari è stato voluto... e se così fosse grazie Chiara". Con un giorno e mezzo di ritardo e con tanto di putiferio scatenato, anche la Ferragni commenta. Diciamo che è strano che l'influencer faccia passare così tanto tempo, ma questa volta è andata esattamente così. Forse stava pensando a cosa dire? "Giulia, era semplicemente una storia di The Blond Salad che dopo 24 ore viene automaticamente resa non visibile dalla piattaforma. Naturalmente apprezzo Giulia", commenta Chiara. Ma sarà veramente così? Dalle parole della Ferragni si legge (fra le righe) dell'altro. E gli utenti lo hanno ben notato...Chiara Ferragni da bambina è uguale a Leone. Ma è proprio così?
Chiara Ferragni e Leone entrambi all’età di 14 mesi. La somiglianza tra mamma e figlio è impressionante e i fan commentano: “Siete spiccicati”. Ludovica Marchese, Lunedì 17/06/2019, su Il Giornale. Una delle domande che più spesso vengono rivolte ai neo genitori è: “A chi assomiglia? Mamma, papà o nonni?”. Chiara Ferragni così prova a rivedersi nel piccolo Leone e, secondo i fan, non ci sono dubbi. L’influencer da 16 milioni di follower ha infatti pubblicato su Instagram una foto per un confronto tra se stessa all’età di 14 mesi e il figlio Leone, mandando in delirio i fan. La somiglianza tra mamma e figlio, infatti, è davvero impressionante dato che i due hanno gli stessi, identici lineamenti angelici, oltre che gli stessi colori. Il post, in pochissimo tempo, ha accumulato più di 1 milione di like. In molti notano come Chiara e il piccolo Leone si somigliano come due gocce d'acqua. “Minchia siete spiccicati”, scrive un utente. Un altro commenta: “Gemelli”. E poi ancora: “La propria immagine allo specchio”, “Leone è tutto la mamma” e “Chiara al maschile”. Ma tra i fan c’è chi non si arrende: “Le espressioni sono però quelle del papà”, “Solo per me è tutto Fedez” e “Le guance confondono ma è la fotocopia del padre”. Insomma, non resta che aspettare il prossimo scatto, o il prossimo video, e valutare ancora una volta le somiglianze, sperando di porre fine al dibattito una volta per tutte.
Elogio del nulla chiamato Ferragni. Jobs era geniale ma era un genio. A Chiara basta essere se stessa. Massimiliano Parente, Sabato 07/12/2019, su Il Giornale. Mica ci hanno capito niente, i cosiddetti critici, di Chiara Ferragni Unposted, il documentario su Chiara Ferragni. Non hanno capito il messaggio fondamentale del film, eppure viene ripetuto dall'inizio alla fine: Chiara Ferragni è un modello per tutte le ragazze, e un modello di emancipazione per le donne, in un mondo dominato dai maschi, vi pare poco? Insomma, pensateci: gli americani fanno documentari su Steve Jobs, dove si spiega come ha fatto Steve a rivoluzionare la Apple, a avere l'idea del Macintosh, dell'iPod, dell'iPhone, tutte cose che hanno cambiato per sempre le nostre vite, però mica uno può prenderlo come modello, soprattutto perché è maschile, e anche perché devi avere la testa di Steve Jobs. Oppure fanno documentari su Bill Gates, su come ha creato la Microsoft, e poi Windows, e poi è diventato un filantropo che salva gli africani dalle malattie, quale maschio ci si può identificare? Quale teenager può dire: io adesso divento Steve Jobs, io adesso divento Bill Gates? Non per altro Bill Gates ha quattro milioni di follower su Instagram, Chiara Ferragni diciotto milioni, vale quasi cinque volte Bill Gates. Invece il documentario su Chiara è tutto su come Chiara sia un modello di successo, e su come fin da piccola si facesse i selfie da sola e li postasse per condividerli, e su come la condivisione sia diventata importante, e su come lei avesse questa ossessione di diventare Chiara Ferragni, senza aver ancora chiaro cosa volesse diventare, lo dice anche la mamma, nelle interviste, lo dice anche il papà, lei non sapeva cosa voleva diventare ma poi lo è diventata, è diventata Chiara Ferragni. Potete dire quello che volete, ma il successo è il successo, e se lo critichi sei tu uno sfigato, e non hai capito niente. Se lo critichi è tutta invidia. Non puoi dire vabbè, ma che fa, non scrive, non canta, non balla, dal documentario si evince che pure Virginia Woolf a Chiara dovrebbe legarle le scarpe di Prada. Il film è uno dei più belli mai visti, perché contiene anche dei misteri, su cui lo spettatore si scervella per tutto il tempo. Per esempio su che lavoro faccia Chiara Ferragni. Lo chiedono anche a lei, e lei risponde che non lo sa, l'influencer, dichiara, o forse l'imprenditrice. È diventata anche amministratore delegato della sua società, che sponsorizza altri influencer. In ogni caso è potentissima. Tipo Anna Wintour, ma il confronto non regge, perché Anna Wintour è diventata la direttrice di Vogue America, troppo complicato. E poi Anna Wintour è cattiva, Chiara è buonissima e bellissima. Forse che sia bellissima non andrà giù a molte femministe, per esempio se Chiara fosse stata Michela Murgia forse non avrebbe potuto diventare Chiara, ma anche la bellezza è un valore. Ma soprattutto il lavoro di Chiara è essere se stessa. È per questo che è un modello di emancipazione femminile, e è per questo che influenza, rispecchia i tempi che viviamo, le nostre vite sui social alla ricerca di qualche like. Chiara è se stessa, è sempre stata se stessa, come dicono anche la mamma, il papà, e le sorelle, i manager, gli assistenti. Ci sono interviste a ragazze la cui vita è stata cambiata da Chiara, perché Chiara gli ha insegnato a essere se stesse. Prima non sapevano cosa volessero fare nella vita, dopo aver seguito Chiara lo hanno capito, vogliono essere come Chiara, quindi se stesse. Altro che Steve Jobs. Altro che Bill Gates. Lo spiega pure Fedez: loro, Chiara e Fedez (i Ferragnez), mettono tutto sui social, lei è incinta ma ha un problema alla placenta e lo mettono sui social, nasce il figlio e lo mettono sui social, appena partorito. C'è anche una scena commovente in cui Chiara piange, con una borsa di Hermes sullo sfondo, credo finita lì per caso. È per questo che Chiara è un modello femminile da seguire. Non come quei pallosi modelli maschili di Steve Jobs, di Bill Gates, che sono stati geniali ma erano dei geni, Chiara ha dimostrato che per essere geniali basta essere se stessi, facile. Criticatela pure, ma ricordatevi che il sogno di Gustave Flaubert era riuscire a scrivere un libro sul nulla. Chiara ci ha fatto un film. Da Oscar.
Fedez e la lite col vicino, Rovazzi testimone: «È stato aggredito con un pugno in faccia». Pubblicato giovedì, 28 novembre 2019 da Corriere.it. Il rapper Fedez è imputato per lesioni davanti al giudice di pace di Milano per una lite con un vicino di casa, che ha riportato 10 giorni di prognosi. La lite è avvenuta in zona Tortona intorno alle 6 del mattino del 12 marzo 2016. Nell’udienza dello scorso 21 novembre, davanti al giudice Tommaso Cataldi, ha testimoniato il cantante Fabio Rovazzi, che era presente al momento della rissa e ha riferito che sarebbe stato il vicino a colpire Fedez con un pugno. Fedez e il vicino di casa avevano entrambi sporto denuncia dopo la lite. Quello che si sta svolgendo davanti al giudice di pace milanese è il procedimento a carico del rapper 30enne. Nell’imputazione si legge che il rapper avrebbe aggredito il vicino di casa che si era affacciato alla sua porta per via della musica alta che proveniva dell’appartamento, causandogli anche un trauma cranico lieve. Nella scorsa udienza Rovazzi, che era stato chiamato a testimoniare dalla parte offesa e che di recente avrebbe anche avuto attriti con Fedez, ha testimoniato a favore del rapper. Ha riferito, infatti, che, secondo il suo ricordo, sarebbe stato il vicino a entrare nell’appartamento e a colpire in volto il marito di Chiara Ferragni. A quel punto, Rovazzi si sarebbe seduto sul divano, come da lui riferito, e avrebbe chiamato l’ambulanza.
Fedez e la lite con J-Ax e Rovazzi: “Mi hanno tradito”. Alice il 06/12/2019 su Notizie.it. Fedez ha rilasciato un’intima intervista dove, oltre ad aver parlato dei suoi rischi con la sclerosi multipla, ha confidato per la prima volta i motivi dietro alla sua lite con J-Ax e Fabio Rovazzi.
Fedez: la lite con J-Ax e Rovazzi. Come un fulmine a ciel sereno Fedez ha messo fine a due delle sue amicizie più importanti: quella con il rapper J-Ax e quella con Fabio Rovazzi. Per la prima volta il marito di Chiara Ferragni ha spiegato i motivi dietro alle presunte discussioni avute con i due personaggi: “Con J-Ax e con Fabio Rovazzi ho perso un pezzo della mia famiglia acquisita. Io e J-Ax ci eravamo separati dal nostro manager e abbiamo aperto un’agenzia, un clima fantastico. Quando è entrato Fabio Rovazzi, è diventato il mio migliore amico. La canzone “Andiamo a comandare” ci esplose in mano, tutto avvenne in un clima di vera amicizia”, ha confessato. A detta di Fedez, oltre a problematiche legate al suo carattere “troppo impulsivo”, la separazione dai due colleghi sarebbe avvenuta forse anche per interessi economici: “Sono partito per cinque mesi a Los Angeles, con mia moglie incinta, il periodo più difficile della mia vita. Ero fragile e poco lucido. Quando sono partito, un nostro collaboratore, il nostro legale ha aperto una società speculare alla mia, di management e discografia. Non me l’ha detto, l’ha fatto di nascosto in un momento molto fragile. (…) Poi ho intuito che lui voleva diventare il mio manager, mi sono allontanato da lui e lui ha cercato di portarsi a casa la restante parte del gruppo, Fabio e J-Ax.” A quel punto Rovazzi sarebbe passato alla nuova agenzia e, a detta del rapper, i contatti con lui si sarebbero interrotti bruscamente. Rovazzi non gli avrebbe fatto neanche gli auguri per la nascita del piccolo Leone: “Quando è nato mio figlio da Fabio non mi è arrivato neanche un messaggio (da Ax sì). Non mi ha scritto quando Leone non ha passato l’esame dell’udito, per 6 mesi non sapevamo se sarebbe diventato sordo.” La delusione più grande poi sarebbe stata scoprire che anche J-Ax fosse d’accordo con l’ex collaboratore di Fedez, e che in realtà gli avesse nascosto tutto: “Il giorno dopo Alessandro doveva venire per la prima volta a vedere mio figlio. Mi dice: “Io non vengo. Sapevo tutto ed ero d’accordo. L’ho fatto perché so che non saresti mai salito sul palco con me se avessi saputo questa cosa.”
I motivi della rottura fra Fedez, J-Ax e Rovazzi: "Lo hanno fatto alle mie spalle". Ospite de La Confessione su Nove, Fedez rivela per la prima volta i motivi della rottura con J-Ax e Fabio Rovazzi: "Per me, una ferita". Luana Rosato, Venerdì 06/12/2019, su Il Giornale. I motivi della lite tra Fedez, J-Ax e Rovazzi sono sempre stati tenuti segreti, almeno fino all’intervista che l’artista di Rozzano ha rilasciato a “La Confessione” di Peter Gomez. Una intervista che è apparsa come una sorta di vera e propria liberazione per Fedez che, per la prima volta, e grazie all’aiuto e al sostegno della famiglia e di professionisti, ha deciso di abbattere il muro del silenzio e raccontare la sua personale versione dei fatti sulla scissione con J-Ax – al secolo Alessandro Aleotti – e Fabio Rovazzi. Pesando bene ogni singola parola, Fedez ha raccontato che, dopo l’allontanamento dal loro manager, lui e J-Ax decisero di aprire un’agenzia di management all’interno della quale, fin da subito, si creò un “clima fantastico”. Poi, l’arrivo di Fabio Rovazzi, che per Fedez era prima di tutto un amico per il quale aveva sempre nutrito grande stima, il successo di “Andiamo a comandare” che “li esplose nelle mani” e una serie di importanti traguardi raggiunti con coloro che considerava non tanto dei colleghi, quanto una sorta di vera e propria famiglia. Qualcosa, poi, ha iniziato a scricchiolare in uno dei momenti più particolari della vita di Fedez: quando la moglie Chiara Ferragni era incinta di Leone e la coppia decise di volare a Los Angeles per vivere il parto in maniera più tranquilla. “Decidiamo di partire a Los Angeles per 4-5 mesi per affrontare la gravidanza, io ero nel periodo più fragile della mia vita. Diventare padre ha comportato una serie di pensieri, non sapevo se ne fossi all’altezza e se ero in grado di essere di supporto per mia moglie – ha spiegato Fedez - . Quando sono partito, il nostro legale, che era una persona di famiglia, ha aperto una società speculare alla mia, di management e discografia. Non me l'ha detto, l'ha fatto di nascosto in un momento mio molto fragile”. “Mentre ero a Los Angeles sono scoppiati problemi nei conti economici, questa persona aveva problemi con mia madre che lavorava con noi – ha continuato a raccontare, con precisione, Fedez - . Mi fidavo a tal punto di questa persona, che sono arrivato a mettere in discussione mia madre, cercavo di arginare questi problemi e non son stato accanto a mia moglie durante la gravidanza. Poi ho intuito, magari sbagliando perché, ripeto, a me spiegazioni non ne sono state date, che lui voleva diventare il mio manager. Quindi, mi sono allontanato da lui e lui ha cercato di portarsi a casa la restante parte del gruppo”. La prima separazione è stata quella con Fabio Rovazzi: lui decise di seguire il manager e tutto avvenne mentre Fedez era a Los Angeles. “Fu una separazione a distanza”, ha spiegato il marito della Ferragni, amareggiato che tutto sia avvenuto quando lui stava per diventare papà per la prima volta. Da parte di un amico come era Rovazzi, il rapper si sarebbe aspettato un messaggio e, invece, non c’è più stato alcun contatto. “Quando è nato mio figlio da Fabio non mi è arrivato neanche un messaggio, da Ax sì – ha rivelato - . Non mi ha scritto quando Leone non ha passato l'esame dell'udito, per 6 mesi non sapevamo se sarebbe diventato sordo”. Le scuse di Rovazzi, tuttavia, sono arrivate con il tempo, ma era ormai “troppo poco e troppo tardi”. All’intera vicenda, Fedez pensava che J-Ax fosse completamente estraneo. Così, lui e Chiara Ferragni rientrano a Milano per il concerto di San Siro che avrebbe sancito la fine della loro esperienza musicale, ma i due avrebbero continuato ad essere soci e collaboratori. In questo periodo, però, Fedez viene a sapere che J-Ax è a conoscenza di molte cose che non gli erano state dette ed era d’accordo con l'ex legale. “Eravamo a fare le prove a Vigevano per il concerto: gli ho detto che avevo bisogno di sapere se lui era un amico o no – ha raccontato ancora - .Lui mi giurò che non sapeva nulla. Arriviamo a San Siro, ci abbracciamo, piangiamo. Il giorno dopo Alessandro doveva venire per la prima volta a vedere mio figlio. Mi dice: ‘Io non vengo. Sapevo tutto ed ero d'accordo con loro. L'ho fatto perché, professionalmente, so che non saresti mai salito sul palco con me se avessi saputo questa cosa’”. Dispiaciuto per non aver avuto la possibilità di scegliere, Fedez ha aggiunto: “Se avessi saputo, avrei annullato il concerto e mi sarei fatto carico di tutti gli oneri. Io ho fatto San Siro ma, in realtà, non ho fatto San Siro”. “Con J-Ax non c’è stato più alcun chiarimento perché dopo fu tutto tremendo, ma non ci sono state cause legali con Alessandro. C'è forse una cosa con Fabio, ma la cosa più grave, che era la causa con l’ex legale, ho deciso di chiuderla perché non volevo più portarmela dietro”, ha fatto sapere. Consapevole che, forse, J-Ax abbia subito troppo il “peso del suo carattere” perché a livello lavorativo è stato spesso “duro con lui”, Fedez ha ammesso che mai si sarebbe comportato in questo modo. “Lui, poi, è sparito per me e per tutti gli altri collaboratori, senza dare una spiegazione a nessuno e questa cosa mi fa pensare che la nostra società fosse per lui una cosa accessoria”, ha concluso il rapper, che ha rimarcato come questa separazione abbia rappresentato per lui una ferita.
Fedez e la sclerosi multipla: «Mi sono reso conto che avevo trascurato la mia famiglia». Pubblicato venerdì, 06 dicembre 2019 su Corriere.it da Chiara Maffioletti. Il cantante spiega anche perché ha rotto con Rovazzi e J-Ax: «Se avessi saputo cosa stava organizzando alle mie spalle. La frase che non ti aspetti è arrivata al termine di una lunga intervista in cui Fedez sembrava più grande dei suoi trent’anni compiuti da poco. Protagonista del programma di Peter Gomez, La confessione, in onda ieri sul Nove, il cantante ha raccontato la sua carriera e la sua vita in una pacata ma decisa cavalcata dei momenti più importanti di questi ultimi anni. Anni in cui si è sposato ed è diventato padre, non senza alcune difficoltà, rivelando che quello prima della nascita di Leone «è stato il più grande momento di fragilità della mia vita. Non mi sentivo all’altezza, ero poco lucido». Ma anche anni di prove e delusioni, raccontando per la prima volta la sua versione e diversi dettagli circa la fine di due amicizie importanti — oltre che due rapporti di lavoro —; quella con Fabio Rovazzi («prima eravamo sempre assieme») e J-Ax («se avessi saputo come erano andate le cose che hanno portato alla nostra separazione, non avrei fatto San Siro con lui»). Fedez raccontato da Federico Leonardo Lucia; è il suo vero nome. Ma è stato alla fine di questa immersione nella sua vita, quando era il momento di riemergere in superficie e pensare al futuro, che il cantante ha spiegato quello che nessuno immaginava: «È successo un evento importante, difficile, che mi ha fatto capire delle priorità. Durante una risonanza magnetica mi è stata trovata una cosa chiamata demielinizzazione nella testa, che è una piccola cicatrice bianca». Quindi, litigando un po’ con la sua voce per via dell’emozione che faceva traballare le parole, ha continuato: «Devo stare sotto controllo perché è una sindrome radiologicamente verificata. La demielinizzazione è quella che avviene quando hai la sclerosi multipla. Questa cosa può essere, come no, che si tramuti in sclerosi». Con gli occhi ormai arrossati, Fedez ha poi spiegato come questa diagnosi sia stata anche «il motivo per iniziare un percorso per migliorare e scegliere le mie battaglie». Proseguendo in una specie di esame di coscienza, in cui si è chiesto: «Ad oggi, se dovesse accedermi questa cosa — e significa che, in base a dove ti si accendono queste cicatrici, puoi perdere il dono della parola o l’uso della gamba, per dire —, insomma, se dovesse succedermi una cosa del genere io ad oggi per cosa ho combattuto?». Con il viso rigato da qualche lacrima, nonostante i ripetuti tentativi per tamponarle, la risposta se l’è data lui da solo: «Mi sono reso conto che sono stato dietro a un sacco di cazzate, a un sacco di persone che probabilmente non se lo meritavano. E, dall’altro lato, avevo trascurato la mia famiglia. Da lì ho preso una decisione piuttosto estrema, cioè di non lavorare più al disco che avevo in uscita, di portare a casa il tour senza aggiungere date e dedicarmi alla mia famiglia», ha detto svelando quanto una notizia simile sia in grado di cambiare tutto, perché cambia il punto di vista da cui quel tutto viene osservato. È bastato un estratto di queste parole per farle detonare nel web, al punto che ancora prima di andare in onda Fedez aveva già precisato su Instagram di non essere malato: «Purtroppo o per fortuna sto bene». «Penso di aver trovato, ad oggi, una serenità», aveva detto sempre durante l’intervista. «Ho anche riscoperto — grazie a mia moglie, mio figlio, la mia famiglia e gli amici —, il piacere di tornare a scrivere, a fare musica. E di guardare avanti senza per forza portare rancore e zavorre». In chiusura, un minuto per dire un messaggio, magari qualcosa a suo figlio. Ci è voluto anche meno: «Chissà se guarderai questa cosa. Ma se lo farai, sappi che da quando sei nato io sto lavorando per fare in modo che il tuo futuro sia meglio del mio passato».
Chiara Ferragni, il messaggio per Fedez dopo l’annuncio della sclerosi. Laura Pellegrini l'08/12/2019 su Notizie.it. Chiara Ferragni ha commentato l'annuncio di Fedez sulla sclerosi con un messaggio che ha commosso gli utenti del web: ecco le sue parole. Chiara Ferragni ha commentato l’intervista di Fedez a “La Confessione” nella quale ha annunciato la sclerosi multipla: il suo messaggio è commovente. Il rapper aveva scioccato i suoi fan spiegando di aver svolto degli esami e di essere a rischio sclerosi multipla. Fedez, infatti, ha spiegato che “durante una risonanza magnetica mi è stata trovata una cosa chiamata demielinizzazione nella testa, che è una piccola cicatrice bianca”. Ma nonostante tutto, il rapper non vuole diffondere allarmismi e specifica: “Sto bene”. Nella sua intervista su Nove, Fedez si è liberato di un gran peso (l’annuncio della sclerosi), al punto che Chiara Ferragni ha commentato su Instagram: “La più bella intervista che tu abbia mai fatto, amore mio. Ora sei libero“. Non si tratta soltanto dell’annuncio del rischio di sclerosi multipla, ma anche di alcuni sassolini che il rapper teneva sotto le scarpe. Fedez, infatti, ha raccontato e chiarito i veri motivi che sono stati alla base della rottura con J-Ax e con Rovazzi. “Non ho perso un socio, con J-Ax e con Fabio Rovazzi ho perso un pezzo della mia famiglia acquisita” ha raccontato il cantante ai microfoni di La Confessione. “La canzone ‘Andiamo a comandare’ – ha poi aggiunto – ci esplose in mano, tutto avvenne in un clima di vera amicizia”. Poi il chiarimento sulla rottura: “Non so se la separazione è da imputare al mio carattere impulsivo, devo sbatterti quello che penso nella maniera più brutta possibile. L’altro motivo è che probabilmente non servivo più“. Niente più segreti per Fedez dopo questa intervista: Chiara accoglie la scelta del marito con approvazione.
Fedez e la paura per la salute "I soldi non sono la soluzione". Il rapper racconta sui social di una «piccola anomalia» E scopre (come altri vip) che la ricchezza non è tutto. Valeria Braghieri, Mercoledì 19/06/2019, su Il Giornale. Come Saulo sulla via di Damasco, come Renzi dopo il referendum, come Claudia Koll dopo Tinto Brass, come Paolo Brosio dopo l'orgia, come tre quarti dei personaggi di Beautiful dopo varie cose. E potremmo continuare. Strano, perché a Fedez, si tratti di dare giudizi a X Factor, di fare una dichiarazione d'amore in diretta tv, di tatuarsi o di mettere al mondo un figlio, riconosciamo sempre una scintilla di eccezionalità. Perfino nella sua incoerenza è eccezionale. Come «i comunisti col Rolex» del suo brano Senza pagare quello che non abbiamo mai capito se considerare ironicamente autobiografico e ironicamente inconsapevole. Comunque. Partiamo da una premessa: ci permettiamo questo articolo solo ed esclusivamente perché, sappiamo che il rapper sta benone, che tutto si è risolto e che lo spavento di cui racconta è completamente rientrato. Come lui stesso ha comunicato sui social. Tornando quindi alla conversione, quella (atea) di Federico Leonardo Lucia è avvenuta qualche mese fa quando, durante un controllo, i medici gli hanno parlato di «una piccola anomalia» (non meglio precisata, il rapper parla di «una di quelle anomalie che avrebbe potuto preannunciare un male più grande, di quelli con cui devi convivere tutta la vita») che avrebbe comprensibilmente gettato nel panico chiunque. Chiunque ma non Fedez, che su Instagram racconta: «Questo evento, più che terrorizzarmi, mi ha portato ad interrogarmi su una serie di domande riguardanti le priorità della mia vita». Eccoci qua. L'acuto, irriverente, diversamente sofisticato Fedez che cade nel più paludoso dei luoghi comuni. Ci finisce dentro con tutte le sneakers. E non pago, continua: «Piano piano ho iniziato ad affrontare le mie giornate con un piccolo mantra Cosa faresti se questa giornata fosse l'ultima della tua vita? Sembra stupido, ma vorrei riuscire a trasmettervi che il vero lusso nella vita è riuscire a ritagliarsi un mese intero da dedicare al proprio figlio». E poiché nel corso di questa disavventura deve anche aver capito che la vita è una palestra di iniquità, ha pensato di colmare il gap illuminando gli esseri umani con orizzonti più circoscritti dei suoi. «I soldi non potranno mai essere la panacea di tutti i vostri mali. Io ho rincorso i miei sogni, il successo e i soldi... Ma rincorrere Lello (il figlio Leone, ndr) è tutta un'altra storia! Cercate qualcosa, (o meglio qualcuno) da rincorrere che vi renda realmente felici e non sarà tempo sprecato». Ma perché ai ricchi e famosi deve sempre succedere qualcosa di catastrofico o potenzialmente tale perché si rendano conto che la vita è, banalmente, la vita? Stai a vedere che da oggi userà i supermercati e i carrelli per fare la spesa, che si scoprirà insensibile alle lusinghe della mondanità, che si cancellerà dai social, che resisterà dalla tentazione di farsi tatuare i cinque precetti del buddhismo, se non altro per mancanza di spazio. Vagherà per City life selvatico e scalzo come BB a Saint Tropez ma colmo di pace interiore. E la Ferragni disegnerà per lui dei sandali spartani da immettere sul mercato globale alla modica cifra di 999 euro. Poi lui si riconvertirà e scriverà un rap su tutta la vicenda. E si farà tatuare il titolo della nuova «ballata», (Abbiate Fedez?) sull'ultima fetta di pelle disponibile, e posterà la foto del tatuaggio su Instagram e si arrenderà al corso delle cose. Perché in fin dei conti questo è il karma.
Maria Volpe per corriere.it il 15 ottobre 2019. Il regalo per i suoi 30 anni. Leggendo le interviste che Fedez ha rilasciato in questi ultimi anni salta all’occhio una frase, riportata da Vanity Fair: «Il regalo in cui spero per i miei trent’anni è la fine della guerra in testa». Perché quel ragazzo, quel rapper tatuato, quel giovane uomo spavaldo, marito di una delle donne più potenti e belle del mondo, padre di un bambino dolcissimo, è in realtà un essere fragile, che ha molte insicurezze, che vede sempre il bicchiere mezzo vuoto, che non riesce a godere fino in fondo la sua vita che da fuori appare fantastica. E infatti una delle sue tante paure è proprio quella: che tutto in un attimo finisca, quel mondo da film torni un modo «reale». Fedez ha ammesso e raccontato di avere paura, paura di molte cose. L’augurio per i suoi 30 anni è che cessi quella guerra nella sua testa.
L’infanzia di Federico Leonardo Lucia. Federico Leonardo Lucia, ben più noto come Fedez , è nato a Milano, il 15 ottobre 1989 ed è cresciuto a Buccinasco nell’hinterland milanese. La sua famiglia è originaria di Castel Lagopesole, provincia di Potenza. Da piccolo era paffutello e voleva fare il benzinaio o il gelataio. A Maurizio Costanzo ha detto «A scuola, alle medie ero bravo. Poi ho fatto il liceo artistico ma non ero molto bravo a disegnare, piuttosto a interpretare l’arte. Ho sempre avuto velleità artistiche, ma non ho mai messo a fuoco cosa volevo fare fino alle superiori quando ho deciso di inseguire un sogno: lavorare nel mondo della musica». Quantao alle sue origini e alla sua vita familiari ha raccontato che il padre è stato cassaintegrato e la madre disoccupata. Con i soldi della liquidazione hanno aperto un bar che poi è stato venduto. Fedez da ragazzino aiutava i genitori a gestire il bar specie nelle ore di punta. Per questo sa fare bene ogni tipo di caffè. Infine ha dichiarato: «Con papà e mamma ho un ottimo rapporto, anche se io e mia madre ci diciamo che ci vogliamo bene una volta all’anno. Mamma mi ricorda sempre da dove vengo, perché spesso le persone se lo dimenticano».
Il successo musicale. Tutto comincia nel 2007 a soli 18 anni: realizza il suo primo Ep. Corre veloce Fedez . Nel 2011 autoproduce il suo primo album «Penisola che non c’è», e il secondo album con la partecipazione di molti artisti della scena rap italiana ( Gué Pequeno, Entics, Marracash, J-Ax, Jake La Furia e i Two Fingerz). Nel 2013 esce «Sig. Brainwash - L’arte di accontentare» presto disco di platino . Nel 2014 Fedez annuncia il quarto album «Pop-Hoolista» anche questo disco di platino. Nel 2015 l’album in studio con J-Ax «Il bello d’esser brutti». Il 21 novembre 2018 Fedez rivela di aver portato a termine la realizzazione del suo quinto album da solista, intitolato «Paranoia Airlines».
Fedez giudice a X Factor. Nel maggio del 2014 viene ufficializzata la sua partecipazione tra i giudici del talent show X Factor insieme a Morgan, Mika e Victoria Cabello. Ovviamente la sua presenza tra i giudici divide l’opinione pubblica, eppure a X Factor, Fedez riesce a mostrare il suo lato sensibile, perfino colto, musicalmente preparato. Riesce a portare allo scontro finale due dei concorrenti da lui patrocinati, Madh e Lorenzo Fragola, vincendo la competizione con quest’ultimo. Il rapper ha ricoperto il ruolo di giudice anche nelle successive quattro edizioni del programma. Attraverso la propria etichetta Newtopia ha siglato un accordo con la Sony Music per il co-management di Lorenzo Fragola e di Madh.
Il sodalizio artistico e l’amicizia (finita) con J-Ax. Il 25 febbraio 2016 Fedez annuncia di essere al lavoro insieme al rapper J-Ax . Un sodalizio artistico e umano molto proficuo che durerà non molto a lungo . Il motivo della rottura è sconosciuto. Il 6 maggio i due rapper pubblicano il singolo «Vorrei ma non posto», accompagnato dal videoclip.Il 18 novembre 2016 esce il secondo singolo in collaborazione con J-Ax, intitolato «Assenzio» e che ha visto la partecipazione di Stash dei The Kolors e di Levante, mentre tre giorni più tardi viene presentato l’album dei due rapper, intitolato «Comunisti col Rolex» e pubblicato il 20 gennaio 2017. Il disco va benissimo grazie anche ai successivi singoli Piccole cose e Senza pagare, risultando l’album italiano più venduto dell’anno. Un’ultima collaborazione con J-Ax è stato il singolo inedito «Italiana», nel maggio 2018. Poi il primo giugno 2018 c’è lo stadio di San Siro a Milano pieno (79.500 presenze), per l’ultima esibizione insieme di Fedez e J-Ax. Molti ospiti (da Malika Ayane a Stash, da Nina Zilli a Gué Pequeno, da Levante a Noemi), una scenografia incredibile, un palco a 360 gradi posizionato al centro dello stadio che ricorda un ring e che si sviluppa su 26 metri di altezza. Un concerto che manda i fan in delirio e l’amaro in bocca. Perchè si lasciano? Perchè la rottura? Entrambi non ne hanno mai voluto rivelare le cause.
L’amore per Chiara Ferragni e il matrimonio. È stato l’amore dell’anno. Coppia più anomala non si poteva immaginare. Lui ragazzaccio di periferia, lei ragazza della buona borghesia. «Quando dovevamo fare questo brano estivo mi venne in mente “Vorrei ma non posto” come titolo, - racconta Fedez - un gioco di parole. Scrivendo il testo e parlando di web e di influencer il primo nome che scrissi fu quello di Chiara, ma non c’era lo scopo di volerla approcciare. Quando l’ho conosciuta ho capito subito che tra noi c’era un’affinità che era fuori dal comune. Potevamo durare nel tempo». Evidentemente ci ha visto lungo Fedez. Non era un’avventura. «Il giorno prima di chiederle di sposarci, abbiamo avuto una litigata tosta. Quando le chiesi di sposarmi davanti a tutti, l’ho messa in una condizione per cui non poteva dirmi di no». E’ il 6 maggio 2017 è Fedez sta suonando all’Arena di Verona: invita Chiara sul palco , si inginocchia davanti a lei e le chiede di sposarlo. Sarà il matrimonio del secolo. Il primo settembre 2018 i due si dicono sì a Noto, in Sicilia «Non abbiamo dato un’esclusiva televisiva a nessuno sul nostro matrimonio perché volevamo che i nostri ospiti non si sentissero come a una riunione della CIA» ha detto Fedez.
La nascita di Leon e la vita social. Il 19 marzo 2018 nasce Leone . «La scelta del nome è stata di Chiara, io lo volevo chiamare Leonardo — spiega Fedez — Alla mia festa di compleanno c’erano Mika e Manuel Agnelli e siamo andati tutti da lei, che riposava in una camera. In quel momento Mika, vedendo che mi era stato regalato il libro dei nomi, ha consigliato a Chiara di segnare con il dito un nome a caso. Tra tutti i nomi possibili, è uscito proprio Leone. Così mi sono rassegnato: non si può andare contro il fato». Da allora Leone è una vera star di Instagram
Barbara Costa per Dagospia il 22 settembre 2019. “Che zoccola!”, scrive un hater, “ma dopo averglielo messo in bocca, lo bacia?”, commenta schifato un altro: sì, lo bacia, prima, e pure dopo avergli messo il piede in bocca, lei fa tutto quel che cavolo le pare, tutto quello che tu social non puoi fare, o meglio, puoi fare, ma nessuno ti si fila. Questa estate, quei pochi secondi di video-effusioni feticiste tra Giulia De Lellis e Andrea Iannone, li abbiamo visti in tanti, visti e rivisti, guarda le visualizzazioni, sono milioni, e tra questi non si contano gli offesi e gli indignati da cotanta, sexy social-furbata! Furba, e bellissima, ditemi che difetto ha Giulia De Lellis, e non scendete in basso come fa una utente, la quale in una foto dove Giulia è in short i più micro e libidinosi, le è andata a rimarcare, malevola, la depilazione non proprio impeccabile. Oh, bella, io quei peli non li ho visti, qualora ci fossero chissenefrega, non li ho visti perché avevo occhi e mente fissi su altro, e poi anche qui, brava Giulia, sei una figa normale, nel senso che hai i peli come noi comune mortali, e non sempre ti va di depilarti. Giulia De Lellis, 49 kg per 164 cm, fashion influencer da 4 milioni di follower, e aumentano di continuo, per una che in molti credono una signora Nessuno e invece, da quel via vai che sono troni e sedie defilippiani, è riuscita a ritagliarsi un suo web-spazio e ad alimentarlo, fino a farlo crescere a dismisura, e oggi, chi può fermarla? È proprio vero, quando il culo rode la bocca parla, e per i rosiconi da tastiera digita, come spiegare altrimenti gli insulti che GDL riceve, sì, hai letto bene, le sue iniziali sono un brand, e qui schiatti a leggere quanto guadagna: ti dico che si vocifera che Giulietta incassi mai meno di 6 mila euro a post. 6 mila euro a post le cui didascalie sono niente, sono elenchi di marchi a cui lei fa pubblicità, marchi che crescono sempre più, perché la frivol-influenza della De Lellis rende, viralizza, guarda in 3 anni a che traguardo di follower (e compensi) è arrivata. Giulia De Lellis è sveglissima, e ha scelto fin dall’inizio una autonarrazione e una autorappresentazione social estranea al lagnismo: perché perder tempo a farsi una social reputazione da impegnata, a che pro, mica rende, ma political-scannatevi e twittatevi tra di voi, che Giulia ha fare, da posare, ovvero da vendere. 2 milioni e passa di visualizzazioni per il video che promuove i suoi bikini a vita alta andati sold out: chi diavolo li compra se non un esercito di donne, cioè persone che ci vivono accanto, e non passano il tempo a gloriarsi di essere migliori delle influencer, o a denigrarle. Che poi, 'sti haters, sono dei gran tontoloni: ma solo io, nel video del piede delelliano odorato e baciato, ho notato l’anellino al piede di una nota marca di gioielli? Mah, di sicuro posta bene questo follower, che scrive: “Giulia fattura sui feticisti dei piedi che abboccano!”, non è la “stupida nana” che altri digitano, e sentite quest’altro, che sogna che Iannone “ti abbia leccata tutta, dopo!”. Date a Giulia della “burina, caciottara, zazzerella di Roma che a stento sa coniugare due verbi”, che lei vola alto e non risponde, anzi no, risponde e ringrazia quella follower che l’ha scelta quale tema della sua tesina di maturità. E non solo, perché Giulia De Lellis, 23 anni, diplomata al Cepu, iscritta all’università, lasciata dopo un mese e mezzo causa entrata al GFVip, ha fatto lezione di web-marketing alla IULM di Milano. Prof per un giorno, e voi haters potete farci niente, vi scoppia il fegato ma è il tempo, l’anno della De Lellis, tutti la cercano, la vogliono i salotti tv, e tutto di lei fa tendenza e social mania: i suoi outfit, le sue unghie, i suoi tanga (aiutati da quel ben di Dio – naturale! – che è il suo lato B), i suoi brufoli, i suoi fidanzati, il suo capezzolo che spunta impertinente dal top, le sue stories che raccontano scazzi e gioie da social-star. Il web tutto tiene e niente dimentica: puoi ancora vedere Giulia che si fa il bidet al GF, o spiarla mentre si fa un nuovo tatuaggio, e sapere che ha le sopracciglia tatuate, le labbra fillerate, e si è rifatta il seno su indicazione e giudizio di misura del suo ex. Quel seno per cui follower arrapati smaniano per quello che vi vorrebbero fare, ma le donne no, le follower di sesso femminile stanno lì, a pizzicare Giulia che per loro è un fotoritocco vivente, si vede dalle sue foto al mare, in quelle paparazzate dove ha la pancetta. Eh, contente loro…! Infine, la questione che scotta: le corna di Giulia De Lellis, immortalate nel titolo e su pagina del suo libro-verità. Fatevene una ragione: già di prevendite, questo libro era (ed è) primo in classifica, e perché stupirsene, indignarsene? È un fatto che ci son migliaia di persone che muoiono dalla curiosità di leggere le sventure sentimentali di Miss De Lellis, e se tu, scrittore in erba, non trovi uno straccio di editore che prenda in considerazione ciò che tu valuti l’opera migliore dopo Kafka e Joyce, beh, sai che c’è, hai toppato strategia, quindi cambia, trovati un social manager e inizia a postare video sui tuoi social, e denuda quelle chiappe, vedi mai…! Ma lo sai che il libro di Giulia De Lellis forse se lo compra pure la sua social (ex?) arci rivale influencer Asia Mosetti Nuccetelli?! Potere della civiltà digitale, che tutto tiene e amalgama, e io, Giulia De Lellis, già me la vedo da Fabio Fazio…
Dagospia il 30 settembre 2019. Estratto del libro “Le corna stanno bene su tutto”. Entro in doccia per inerzia. Lavo i capelli grattandomi il capo in maniera ossessiva. Forse voglio strapparmi il cervello a mani nude, per buttarlo nel cesso. Come ho fatto? Come ho potuto farmi baciare, toccare, annusare? La tragedia è che mi sono fatta pure quella maledetta depilazione definitiva! Insomma ragazze, pensateci: ci sono situazioni in cui un inguine selvaggio può salvarvi la vita. “Giuli”, mi volto, lo vedo che fa capolino dalla porta. Non rispondo. Continuo a lavarmi. “Giuli, ascoltami”, sono delusa, soprattutto da me. Sono una debole, è questa la verità.
Candida Morvillo per il “Corriere della sera” l'1 ottobre 2019. Il libro più venduto in Italia in questo momento è scritto da una persona che si vanta di non aver mai letto un libro in vita sua. E, in verità, questo Le corna stanno bene su tutto. Ma io stavo meglio senza (Mondadori Electa) non l' ha neanche scritto lei. Si è avvalsa di una ghostwriter e almeno l' ha dichiarato. Giulia De Lellis, 23 anni, ex corteggiatrice di Uomini e donne , professione attuale influencer, ha venduto 53 mila copie in una settimana, come Andrea Camilleri quando usciva un nuovo Montalbano o Dan Brown a un nuovo capitolo della sua trilogia. Solo che i suoi 53 mila sono «non lettori», di quelli che gli editori inseguono affannandosi a pubblicare Youtuber e affini, nella speranza che tre, poi, magari, leggano Dostoevskij. Basterebbe già questo cortocircuito a raccontare un fenomeno, ma non è l' unico. De Lellis è una pin up assai richiesta come testimonial di vestiti e cosmetici, mentre la ghostwriter si definisce «femminista radicale». Stella Pulpo, 33 anni, firma il blog Memorie di una vagina. Scrive di parità, empowerment femminile, bodyshaming. Consiglia libri. Ora, dice: «Non è così delirante che abbia scritto per Giulia. Avevo perplessità, poi ho capito che parlare con una donna diversa da me era un atto femminista, perché essere femminista significa stare dalla parte di ogni donna». Ieri, Giulia De Lellis è partita per un lungo viaggio. Starà via quasi un mese e non farà presentazioni, festival, ospitate, «firmacopie», come usano gli scrittori. Tanto, lei i libri li vende lo stesso. Il paradosso di Giulia De Lellis, quattro milioni di followers, è che può sparire come se fosse un' Elena Ferrante a rovescio. Dell' autrice dell' Amica geniale non importa conoscere il vero nome o la faccia perché scrive storie potenti, mentre De Lellis scrive una storia minimalista su di sé, ma vende perché un pezzo d' Italia di lei sa così tanto che vuole saperne sempre di più. Dal 2016, Giulia fa audience nei reality, o da Barbara D'Urso e Maria De Filippi o in pose sexy su Instagram. Tutto inizia quando appare a Uomini e donne per corteggiare il tronista Andrea Damante. Il traditore, si scopre adesso. Sono stati insieme due anni, pensavano di sposarsi. In principio, però, Giulia si fa notare per gaffes epiche. Tipo: la capitale dell' Africa? L' Egitto. Ma anche che l' America fu inventata nel 1942 e i fiori che per riprodursi si avvalgono delle api che vanno di fiore in fiore. Il libro funziona, spiega Stella Pulpo, perché ci sono tutte le fasi in cui può riconoscersi chi ha subito l' infedeltà: «La delusione, lo schifo, la rabbia, il distacco, quando ci ricadi e dai la seconda possibilità. Chi non l'ha data?». C'è anche il momento in cui Giulia annega la playstation di lui nella vasca da bagno e tagliuzza tutti i vestiti del fedifrago. Stella nega di essere stata la coscienza di Giulia nel percorso di guarigione: «Sono solo diventata l'amica più vecchia e secchiona che ti aiuta a vedere le cose da un' altra prospettiva. Raccontarsi le ha fatto bene... All'inizio, non voleva, diceva: ho paura di piangere questo morto che non ho ancora pianto». Il risultato sono perle di saggezza tipo: «Non esistono corna da cui si guarisce in poche ore». È una morale alla portata di tutti e così il libro che Giulia non ha scritto è perfetto per farsi leggere da chi non legge.
Sara Ricotta Voza per “La stampa” il 6 ottobre 2019. Negli infiniti mondi paralleli che convivono nel mondo in cui viviamo può capitare che uno sia famosissimo nel regno dei social o dei reality e totalmente sconosciuto a chi frequenta poco lande virtuali e tv del pomeriggio. E i due universi potrebbero proseguire nelle rispettive magnifiche sorti e progressive ignorandosi a vicenda. Per sempre. A meno che non capiti qualcosa di imprevisto e imprevedibile, tipo Giulia De Lellis che dal suo iperuranio da milioni di follower piomba giù come un meteorite nelle classifiche dei libri da poche migliaia di lettori. Dove da giorni ci si chiede: Carneade, chi era costei? Proviamo a presentarla, con tutti i neologismi annessi a una carriera 4.0. Ex corteggiatrice, ex fidanzata di un tronista, ex gieffina vip e influencer di fashion&beauty. Succede poi che il suddetto fidanzato la tradisca, lei lo scopra e lo racconti in un libro che nemmeno arrivato in libreria sbanca la classifica pre-order di Amazon (e poi tutte le altre), surclassando il bestseller Stephen King. Un successo con tutti i crismi e le «corna» nel titolo, pubblicato da Mondadori Electa e lanciato da un divertente spot che vede la protagonista presentarsi a un gruppo di «Cornuti Anonimi». Seguono affollati firmacopie in giro per l’Italia e ospitate a Domenica In, con l’empatia speciale di Mara Venier che non ha mai fatto mistero delle sue personali corna ricevute da Jerry Calà.
Giulia De Lellis, questo libro ti ha cambiato la vita?
«Diciamo che stiamo avendo successo. Ma la mia vita è cambiata quando ho finito di scriverlo. Ho voltato pagina ed è stato un cambiamento a livello umano, personale. Le copie vendute danno soddisfazioni ma mi fanno rimanere quella che sono».
Avresti detto che il successo vero, quello che ti fa conoscere davvero da TUTTI, sarebbe arrivato con un libro?
«Mai nella vita, però le cose belle succedono quando meno tele aspetti, no?».
Hai detto di non aver mai letto un libro, è vero?
«Era una battuta, la feci tre anni fa al Grande Fratello vip e non è vera, certo ora leggo il doppio perché frequento di più le librerie, i proprietari mi consigliano e io leggo».
In questo momento, per esempio, che cosa?
«Fedeltà di Missiroli, sempre in tema tradimenti. Lo sto apprezzando, è molto tosto».
Altri libri in tema, tipo Anna Karenina o Bovary?
«Non li ho letti, ma lo farò».
Il tuo libro, onestamente, mette in copertina il nome di Stella Pulpo come co-autrice. Tu tenevi un diario?
«Tenevo un diario da piccola, ho sempre avuto la passione di scrivere, i miei pensieri le mie sensazioni le mie emozioni. Diventata più grande l’ho sostituito con una cartella sul telefono che si chiama “Patetica” con tantissime mie frasi poi messe nel libro».
Titolo e sottotitolo?
«Tutto mio, fortemente voluti da me; per me il titolo della mia storia era quello, con un po’di ironia. Ma volevo che comunicasse chiaramente il contenuto e secondo me ci son riuscita».
La casa editrice ti ha proposto altri titoli?
«Eccome, dicevano che il mio era troppo lungo, troppo complesso, però era la mia storia e volevo darle io il mio nome. Per me era come un figlio, un progetto di 9 mesi; mi son battuta e devo dire che non è andata male,no?».
Un altro titolo carino?
«Per me non ce n’era nessuno che reggesse il confronto, poi posso dirtene mille perché era stato fatto un gruppo dove ogni mattina mandavamo proposte ma io non le ho prese in considerazione. Manco me le ricordo».
La nonna: il libro è dedicato a lei. Lo ha letto?
«Se l’è mangiato e mi ha detto “un po’ troppe parolacce, però devo dire che sei stata coraggiosa, brava”».
A proposito di parolacce… parli sempre così?
«Il gergo giovanile è così, laparolaccia scappa, certo nel rispetto dei luoghi e delle persone. Però quando uno si vuole sfogare non si fa troppi problemi, ecco».
Che scuola hai fatto?
«L’istituto professionale di moda e arte, una scuola straordinaria».
Come andavi?
«Molto bene. Nelle materie di indirizzo ero imbattibile. In chimica e fisica meno».
I tuoi prof che diranno ora?
«I miei prof mi scrivono tutti i giorni, mi portano i loro alunni e io li vado a trovare; sarò un po’ patetica ma sento anche le maestre dell’asilo e delle elementari, le amo e loro amano me. Sono orgogliose dei miei successi. Nessuna di loro è stupita, me l’hanno sempre detto, lo sapevano che sarei uscita fuori…».
Nel libro racconti anche dettagli poco glamour: che non ti lavavi, non ti cambiavi. E la tua immagine?
«Sarei risultata più ridicola fingendo di essere meravigliosa. Perché vergognarmi di aver passato un momento brutto, buio e delicato della vita? Chi lo sta passando percepirebbe la bugia».
La scena di rabbia in cui distruggi tutto, avevi mai fatto prima cose simili?
«No, non sapevo di avere queste doti distruttive. È stata una scoperta».
Dici: “favoloso non avere più un uomo fissato con lo skincare tra le palle”: aveva la crema giorno/notte?
«Quella è stata una battuta romanzata, messa lì con ironia… no, niente di insopportabile sennò non ci avrei vissuto tre anni. Io invece di creme ne ho un sacco. Forse è stato più un sollievo per lui non avermi più tra le palle».
Visto quanti giovani in piazza per il clima? Che ne pensi di Greta Thunberg?
«Se avessi più tempo libero mi dedicherei a questa battaglia anch’io perché è per una giusta causa. Lei ha un bel caratterino, è coraggiosa».
Le “altre”, quelle con cui lui ti ha tradita. Le chiami tutte ma non te la prendi con loro, non credi che una donna sappia bene il male che sta facendo a un’altra donna?
«Certo che lo so ma è un problema loro se sono delle brutte persone, io già dovevo sistemare la pratica con quello che era il mio uomo».
A pag. 46 scrivi: “Sapete che c’è? Io sono bella: superficiale, sempliciotta, naïf , tutto quel che vi pare, ma sono bella”. È il tuo ritratto?
«No era un momento di sfogo, mi ero rotta di stare male, di vedermi brutta e cercavo di autoconvincermi».
Sogni ancora da realizzare?
«Tanti nipotini per i miei genitori, vedere i figli di mio fratello, far crescere i miei assieme a quelli di mia sorella. Una famiglia numerosa e unita».
Pensi che il successo del libro ti possa creare qualche problema, magari col nuovo fidanzato? Pentita per un attimo di averlo scritto?
«Sto con un uomo incredibile, non con un bambino. Il problema non c’è. E non mi sono mai pentita soprattutto per i messaggi che ricevo, le storie che mi raccontano, insomma credo veramente che il libro non ha fatto bene solo a me, ha fatto bene anche a chi si è trovato e si trova in quella situazione. Quindi... sempre più orgogliosa di averlo scritto!»
Da gossipetv.com il 20 ottobre 2019. Poche ore fa, Giulia De Lellis ha mandato in tilt i social. L’influencer infatti ha postato una fotografia, a mezzo busto, molto particolare dove la si vede come mai: senza maglietta ed intimo, con una parte del corpo censurata. La fidanzata di Andrea Iannone sui social è solita postare tantissime foto, tra selfie e non, ma non è mai apparsa così. Ma senza ‘freni’. Inutile riportare che l’immagine ha fatto scatenare tutti gli utenti che la seguono che l’hanno riempita di commenti nella maggior parte positivi. Non è mancata qualche frecciatina cattiva ma dinnanzi ai molteplici complimenti sono davvero poca cosa. A fotografare la De Lellis è stato un celebre fotografo parigino, David Bellemere che per lei non ha risparmiato neanche belle parole dato che l’ha addirittura ringraziata. Insomma Giulia De Lellis questa volta ha battuto davvero tutti e con la sua speciale fotografia ha fatto esplodere il web. Qualcuno si è simpaticamente domandato se sia impazzita, qualcun’altro invece le ha chiesto di continuare a mostrarsi così e di non nascondere la sua bellezza. Altri si sono limitati a commentare con una faccina con la bava alla bocca e tra gli utenti c’è anche chi ha tirato in ballo pure Andrea Damante, il suo ex fidanzato! La foto essendo così "‘esuberante" rischia di sparire, come qualcuno ha fatto notare, perché Instagram è subito pronto a censurare. Sotto l’immagine la De Lellis ha scritto: “Io ho due stati d’animo: niente conta e tutto conta troppo”, ringraziando poi il suo fotografo David Bellemere. Quest’ultimo le ha invece risposto così: “Grazie a te per essere un’ispirazione per tutti noi”, con un bel cuore rosso. Insomma la nostra Giulietta sta diventando internazionale! Per lei questo è un momento davvero d’oro, anche grazie al suo libro "Le corna stanno bene su tutto – Ma io stavo meglio senza". La sua prima fatica letteraria ha sbancato ed ha fatto arricciare il naso a chi non vede la De Lellis di buon occhio. Ma si sa: “Più in alto vai e più fastidio dai”, come ha detto Francesco Facchinetti qualche giorno fa parlando proprio di Giulia e del suo grande successo.
Problemi di salute per Giulia De Lellis: l'influencer si ferma. C'è una piccola battuta di arresto per la "corsa" di Giulia De Lellis, costretta a prendersi una pausa per alcuni problemi non gravi di salute e l'influencer racconta ogni cosa in una diretta su instagram. Carlo Lanna, Martedì 01/10/2019, su Il Giornale. Il successo del libro non basta. Giulia De Lellis a quanto pare è costretta a prendersi una pausa, a rallentare il ritmo dei suoi impegni, e pensare più a se stessa e alla sua salute. In una stories che è stata pubblicata nel corso della giornata di ieri, la De Lellis rivela che sta avendo alcuni problemi di salute e che ha bisogno di staccare la spina da quasi tutti gli impegni. Nulla di grave, questo è certo. Il problema di salute a cui fa riferimento è di natura dermatologica. La pelle di Giulia De Lellis è provata e a breve dovrà sostenere un trattamento che il medico le ha prescritto. "Volevo dirvi che in questo periodo la mia pelle ha toccato il fondo – esordisce Giulia De Lellis -. Non sono mai stata in questo stato. La mia pelle è brutta, imperfetta. Sono veramente mostruosa, quindi inizierò una cura". Durante la breve diretta, l’influencer non spiega le motivazioni di questo fastidioso problema di salute, ma precisa che non è nulla di grave e che condividerà con tutti il suo percorso. "Ho fatto delle analisi e ora mi devo curare – continua-. Vi racconterò tutto, vi parlerò di ogni cosa appena sarò in grado di farlo. Voglio mettervi al corrente di tutto, perché io con voi condivido tutto, ogni cosa". E senza scendere ulteriormente nei dettagli, la De Lellis rivela che la cura a cui si sta per sottoporre, la terrà lontana dalle scene per un po’, limitando gli incontri e gli eventi pubblico: "Per il momento mi limito a dire che ho una pelle di m… e con questo viaggio la farò respirare molto". Sicuramente una delle cause è lo stress dato che, nell’ultimo mese, il successo del suo primo libro ha sconvolto, in positivo, la vita dell’influencer.
Si chiama Greta, è molto influente e NON viene dalla Svezia. Silvia Valerio il 30/09/2019 su Il Giornale Off. Quando era adolescente, nella sua casa di Roma, si raccontava in video che poi pubblicava su Facebook o su Youtube, con ironia e purezza leggera. Per i video lavorava tutta la notte e il giorno prima sistemava le luci. Facendo da sé anche per il montaggio. “Sono arrivata a odiare la mia voce per quante volte l’ho risentita nei minimi dettagli, per ore e ore”. È così che Greta Menchi è diventata campionessa di visualizzazioni e, in breve, una delle youtuber più famose d’Italia. Ora conta quasi due milioni di follower su Instagram, ha scritto un libro, ha recitato al cinema, ha prestato la sua voce come doppiatrice e ha fatto parte della giuria di qualità di Sanremo. E quest’estate sono usciti i suoi primi due singoli, Fuori di me e Tinta (Sony Music)».
Video, foto, recitazione, racconti e ora questi nuovissimi progetti musicali. Il mondo del web consente l’espressione di diversi talenti. Quali altre forme di espressione artistica ti piacerebbe sondare nei prossimi tempi?
«Ho iniziato il mio percorso su Youtube proprio pubblicando delle cover musicali, poi questa cosa è sfociata nel volermi raccontare in tutti gli aspetti della quotidianità. Ho sempre trovato nella musica la mia forma d’espressione e la musica ha accompagnato il raccontarmi sui social: la inserivo nei video, mi esprimevo attraverso le playlist che mi ispiravano. Crescendo ho trovato il mio genere. Ora è tutto in fase di sviluppo e ci saranno diverse sorprese, perché i due singoli usciti sono solo una piccola introduzione del passaggio dal mondo della Greta di Youtube a quello che io sono oggi».
Cosa ti ha portato a intraprendere questo nuovo percorso artistico?
«Quando ero piccola ero nel coro della scuola e in quello della chiesa del quartiere. E ogni volta che mi sentivo giù di morale, ascoltavo canzoni che mi facevano subito stare meglio, conosciute grazie a mamma e papà. Mia mamma amava una grande varietà di musica, dal rock anni ‘70/’80 a Battisti. Papà soprattutto i Queen, che per me sono stati decisivi. Ogni volta che salivo in macchina volevo sentire Under pressure. Nel mio videoclip ho voluto inserire un piccolo omaggio a delle figure che per me hanno fatto la storia della musica e sono state degli esempi anche per il loro modo di affrontare la vita e di rappresentare la loro libertà. Da piccola avevo iniziato a prendere lezioni di piano, ma purtroppo non ce lo potevamo permettere, quindi non ho continuato. Ho frequentato una scuola di musica dove ero nel coro e lavoravo anche da solista, e anche questa era una grande spesa per la mia famiglia. Il web, permettendomi di raccontarmi, mi ha aiutata a realizzare i miei sogni e a potermi finanziare, dandomi tante possibilità per disegnare il mio futuro. Il web è e sempre sarà la mia casa».
Chi ti piace ascoltare, tra i colleghi contemporanei e i musicisti di ogni tempo?
«Ascolto molti artisti emergenti stranieri. Kanye West è una fonte di ispirazione che ho imparato ad apprezzare negli anni, per il modo che ha di mescolare più generi e idee che possono essere visti come contraddittori ma, bilanciati nel modo giusto, regalano emozioni molto interessanti. Poi c’è Billie Eilish, ora una star internazionale, che ho conosciuto quando, qualche anno fa, un mio amico di Los Angeles mi raccontò che stava scrivendo un pezzo insieme a una ragazza che produceva delle canzoni bellissime con il fratello (quel pezzo sarebbe diventato Bellyache). E sicuramente David Bowie. Al giorno d’oggi credo che sia sempre più difficile rimanere delle icone, perché il mondo ci dà accesso davvero a tantissimo ed è sempre più difficile sorprendere. Si cerca spesso di esagerare, ma non sempre l’esagerazione è efficace per smuovere le anime delle persone. Bisogna imparare a osservare con occhi nuovi».
Rispetto a questi nuovi progetti musicali, qual è la fase dell’attività che più ti rende felice (la scrittura della canzone, le prove, i momenti in cui realizzi i videoclip, il lavoro in team, le esibizioni…)?
«Non ho ancora avuto occasione di esibirmi dal vivo. Per ora, il lavoro che mi emoziona di più è il momento in cui, quando sono in sala e sto registrando dei pezzi, la persona che lavora con me fa partire la registrazione dall’altra sala e per la prima volta sento il suono di quello che prima era solo nella mia testa. Oppure quando, mentre si provano degli accordi o dei giri di piano, si trova quello che colpisce e si comincia a lavorarci».
Ti chiedi mai cosa sarebbe successo se non avessi aperto quel canale su Youtube?
«Ho bisogno di comunicare con gli altri. Ogni volta che nella mia vita ho provato a isolarmi, a tagliare le comunicazioni con il mondo esterno, sono stata male. Quindi, penso che in quest’era digitale avrei comunque trovato il modo per iniziare a chiacchierare col mondo».
Come vedi quest’ultima generazione che è nata e cresce all’interno dei social?
«Io credo che ogni innovazione tecnologica da un lato ti dia tanta libertà, dall’altro te ne tolga moltissima. Dieci anni fa, pensare che un computer potesse battere un campione di scacchi era impensabile, la gente rideva solo all’idea. L’innovazione procede in modo esponenziale e io non so cosa possa comportare. Ma se consideriamo che le nuove tecnologie stanno danneggiando la terra dove viviamo, possiamo solo immaginare le conseguenze che avranno sulle nostre menti. Credo quindi sia molto importante prendersi cura molto di più degli adolescenti, che oggi vivono una grande solitudine. Non ci si rende conto di quanto possa essere difficile essere giovani adesso, con questa abitudine alla doppia vita, quella off e quella online, dove ci sentiamo in obbligo di mostrare la nostra versione migliore, dove si richiede un livello di perfezione che in realtà è inesistente e irraggiungibile».
Quella della creatività online è stata una rivoluzione che ha trasformato completamente il mondo della comunicazione, dell’arte, delle relazioni sociali. Sei contenta della società in cui vivi? Che cosa ti piacerebbe cambiare, se ne avessi l’occasione?
«Mi sento terribilmente impotente. Però, ad esempio, qualche anno fa iniziai a proporre una soluzione che ritenevo avrebbe migliorato la qualità dei contenuti del social network di punta del giorno d’oggi, Instagram. Avevo proposto di non rendere visibili i like. E quindi di togliere peso alla valutazione fittizia data da un pubblico spesso manipolato. Il fatto che ieri sera sia arrivata una notifica e a me e a tutti i miei amici artisti e influencer siano state rimosse le visualizzazioni dei like (puoi solo guardare i tuoi dati, necessari per lavorare con i clienti), è un grande passo in avanti. Ci ridà la libertà di esprimerci non in funzione di un giudizio, di una valutazione, di un numero, ma di una pura qualità del contenuto».
Ti capita di soffrire la sovraesposizione?
«L’ho sofferta soprattutto nei miei momenti di punta su Youtube, quando parti della mia vita privata sono state manipolate e pubblicate online. Mi sono persa in un turbine di informazioni, idee e la mia vita non ero più io a viverla ma eravamo in milioni. È una cosa che danneggia profondamente la tua persona. Ed è per questo che ho deciso per lunghi periodi di allontanarmi dai social network. Ho cercato di ricostituire la mia quotidianità. Ho viaggiato molto. Ho passato del tempo con me stessa. Questo mi ha salvato la vita. Non credo che nessun essere umano sia predisposto ad avere così tanti contatti con altri esseri umani e altre idee e atteggiamenti e reazioni che non puoi bloccare. Persone a migliaia di chilometri di distanza che non incontrerai mai ma che riescono a cambiarti una serata».
Com’e l’amore ai tempi di Instagram?
«È una forma di dimostrazione. Un modo per avere conferme. Oppure lo si sfrutta al massimo per averne un guadagno mediatico. Sicuramente ci saranno persone che si amano tantissimo, e non dico che per questo non si debbano postare contenuti ‘di coppia’, ma sicuramente condividere troppo della propria relazione è pericoloso. Non credo sia troppo positivo essere fidanzati con una persona e con altri milioni. Ti puoi sentire obbligato a provare dei sentimenti che non provi più, o a conoscere l’opinione di gente che magari ha un’idea alterata della tua realtà. Su Instagram si posta solo il meglio di quello che si vive: raccontando di un amore perfetto si creano tante situazioni di squilibrio».
Quali sono le qualità che ti hanno portato fortuna nel tuo percorso professionale? E cosa consiglieresti a un/a ragazzo/a che si affacciasse oggi su una carriera social?
«Uno dei miei grandi punti di forza è il non guardare compulsivamente quello che fanno gli altri, ma cercare di preservare le mie idee e le mie ispirazioni. Poi, è importante pensare attentamente a quello che si posta, soprattutto se si valuta che il contenuto possa smuovere gli animi e non concordare con l’opinione pubblica. I giovanissimi di oggi non si rendono conto che tutto ciò che viene postato resterà lì, anche tra vent’anni, quando loro saranno persone diverse con vite diverse da quella di oggi. Consiglio quindi di riflettere a lungo prima di postare qualcosa di cui magari ci si potrebbe pentire».
Ci racconti un episodio “off” che ancora non hai mai condiviso?
«Mia mamma è di Sant’Egidio ed è una grande fan di Papa Francesco. Siamo molto vicini alla Chiesa. Un giorno ricevo una chiamata: “Greta, tu saresti libera il giorno tot? C’è una persona importante che dovresti conoscere”. Io sparavo nomi tipo Justin Bieber, Obama. E poi questa persona si è rivelata essere Papa Francesco. Questa è stata sicuramente una delle giornate più surreali che io possa raccontare, con momenti come quello in cui George Clooney mi ha dato una spallata nei corridoi del Vaticano – c’era George Clooney con sua moglie- e mi ha detto “Sorry!”. E io, sconvolta. Per poi sedermi a una tavola rotonda con il Papa. Era un periodo molto difficile della mia vita, non sapevo più come comunicare alle persone che mi chiedevano cosa dovessero fare in un periodo in cui vedevano tutto nero. E io mi sono trovata a poterlo chiedere al Papa in persona. Abbiamo cantato insieme la canzone Parole parole di Mina. Io ero già emozionatissima per questo, anche lei è uno dei miei idoli. Allora il Papa mi ha detto: “la cosa più importante che ci si dimentica è che a volte non servono le parole ma basta un gesto, basta abbracciare una persona e mostrare quell’affetto”. E io avevo bisogno proprio di questa semplicità, di questa presenza di un umano vero a fianco».
TUTTE INFLUENCER PE' MAGNA’ GRATIS. Da Il Messaggero il 30 luglio 2019. "Io vi sponsorizzo sul mio profilo Instagram e voi mi offrite la cena". Potrebbe riassumersi così la richiesta a un ristorante di Mazara del Vallo (il Principe Granatelli) di Valentina Pivati, ex corteggiatrice di Uomini e Donne, famosa - o quasi - per essere stata la scelta di Marino Catanzaro (tronista), oggi influencer con 176mila follower. "Buonasera, mi chiamo Valentina Pivati - ha scritto in un post destinato al ristorante - e grazie ad un programma televisivo sono cresciuta sulla piattaforma social, in particolare su Instagram, iniziando così un lavoro di influencer. Ad agosto sarò in Sicilia e mi chiedevo se vi interesserebbe, in cambio di pubblicità, ospitare me ed il mio compagno per una cena. In attesa di una vostra risposta porgo cordiali saluti. Valentina". La richiesta ha suscitato qualche risata nello staff del locale. I gestori del "Principe Granatelli" hanno ripubblicato il messaggio della influencer sulla propria pagina facebook rifilando un secco 'NO': "Il nuovo modo per farsi le vacanze a sbafo", avevano scritto. Poi il post è stato rimosso, forse per delicatezza, affidando la spiegazione a un altro scritto. «Sul precedente post la situazione è un pò sfuggita di mano e ci teniamo a fare le dovute precisazioni - spiegano dal Granatelli -. Abbiamo cancellato volutamente un post da 10000 visualizzazioni in poco meno di 10 ore. Un post diventato subito virale in un contesto in cui tutto può fare audience, tutto può entrare nella gogna mediatica e tutto fa business, nel bene o nel male. Ci teniamo a precisare che siamo sempre alla ricerca di persone con cui collaborare, con modalità che possano apportare un valore aggiunto a tutte le persone coinvolte. Ciò significa che non basta essere un “influencer” ed avere 100,000 followers su Instagram ma è più importante decidere assieme come poter collaborare in maniera virtuosa. Ci teniamo a rispettare l’etica del nostro lavoro e di quello altrui. Ci scusiamo se in qualche modo abbiamo urtato la sensibilità di qualcuno e non escludiamo in futuro di lavorare con blogger ed influencer che condividono i nostri stessi principi morali. Con affetto, il team di Principe Granatelli». E così alla povera Valentina non resterà che pagarsi la cena, o abbassare un po' l'asticella, magari cominciando con una pizza. In attesa, ovviamente, di incrementare i suoi fan.
Valentina Pivati, commessa e influencer: «Ma non siamo degli scrocconi». Pubblicato giovedì, 01 agosto 2019 da Roberta Scorranese su Corriere.it. Sono le otto e un quarto di sera e Valentina Pivati ha appena timbrato il cartellino che segna la fine del suo turno di lavoro come commessa in un supermercato vicino a Cassano Magnago (Varese) dove abita. Una cena, una doccia e forse c’è posto anche per «l’altro lavoro», quello che, però, le richiede un salto spazio-temporale: deve trasferirsi nelle storie di Instagram.
Valentina è stata una «corteggiatrice» nella trasmissione Uomini e donne, ma soprattutto è una influencer. Quella che nei giorni scorsi ha fatto parlare di sé dopo che il proprietario di un ristorante ha reso pubblico il messaggio nel quale la 26enne proponeva una cena gratuita per due in cambio di «visibilità» tra i suoi 176 mila follower su Instagram. «Messa così — racconta al Corriere — sembrava che io stessi chiedendo l’elemosina: niente di più assurdo. Ho il mio lavoro sicuro al supermercato e non lo lascio mica per qualcosa di passeggero come la visibilità sui social. Ho la macchina nuova, comprata con sacrificio, la casa di proprietà: sono soddisfatta così». Valentina sembra l’esempio perfetto dell’evoluzione degli influencer: non solo profili celebri e ormai più famosi dei grandi imprenditori, ma c’è pure un fiorire di micro-star che si creano un piccolo cosmo di affezionati, magari puntando su nicchie (orologi, gioielli, cosmetici fatti in casa, tutorial per la cura dei bambini). E anche i micro influencer possono guadagnare somme interessanti: Pivati conferma che alcuni prendono anche 1.300 euro per pubblicare appena tre storie (brevi passaggi di immagini o video). Anzi. Come illustra un rapporto di InfluencerDB (piattaforma che analizza questi mondi), sono proprio quelli con un numero consistente ma non esagerato di follower (5-10 mila) che negli ultimi mesi si sono confermati più stabili e appetibili, quelli che cioè riescono a smuovere meglio le emozioni di chi li segue. «Il punto è che spesso si fa confusione: questo genere di visibilità non è ancora bene codificato — dice Pivati —. Io non sono il tipo che si fa la vacanza gratis in cambio di qualche foto sui social network». Anche perché da un po’ di tempo anche l’Autorità garante della concorrenza e del Mercato sta cercando di fare luce su post, storie e foto online e l’ultima delibera sugli influencer raccomanda che la pubblicità sia chiaramente «riconoscibile come tale». Vale sia per quelli guidati dalle agenzie specializzate (che concordano pacchetti di foto o video con i brand) sia per quelli che si muovono in autonomia, proponendosi alle aziende. Pivati sottolinea che i post presi di per sé lasciano il tempo che trovano. «Piuttosto cerco progetti interessanti, che possano crescere e farmi crescere. Ho un cervello e lo uso». Per dire: qualche tempo fa, finito il lavoro al supermercato, Valentina ha preso la macchina ed è andata a trovare una ragazza di Piacenza che ha un negozio di abbigliamento. Hanno stretto un accordo. «Certo, in questi casi ti regalano abiti e scarpe e questo in fondo è già tanto a fine mese se hai un’entrata fissa». Pagandoci le tasse: Pivati ha ben due partite Iva aperte. Una serve per uno shop online che lei vorrebbe far crescere, assieme a una socia, fino a creare una vera e propria collezione di abbigliamento. L’obiettivo che ha in mente sin da quando è finita la sua avventura televisiva. Ma qualcuno potrebbe chiedersi: come si fa a mettere d’accordo un lavoro (quello al supermercato) fatto di turni non proprio comodissimi, orari da rispettare e la comprensibile stanchezza serale con le foto levigate, i capelli perfetti e la luce giusta che fa risaltare una camicetta? «Semplice — risponde Valentina — riduco le ore di lavoro sui social. Ecco perché non mi si vede nelle storie a tutte le ore e non posto una quantità enorme di foto». E la televisione? Acqua passata? «Certo. Peraltro io non volevo fare la corteggiatrice ma la tronista. Poi hanno insistito e mi sono detta: ma sì, proviamo anche questa esperienza. Sono arrivata alla fine ed è andata bene. Anche per questo ci vuole cervello».
Tommaso Labate per corriere.it il 31 luglio 2019. Una ragazza di cui fino a mezz’ora fa ignoravo l’esistenza, Valentina Pivati, «ex corteggiatrice del programma Uomini e Donne» (cito tra virgolette perché non capisco bene che cosa voglia dire, nel senso che conosco il programma ma non al punto da capire che cosa faccia, in quello show, una corteggiatrice), comunque questa ragazza, che ha un profilo su Instagram con un centinaio di migliaia di follower, scrive un messaggio a un ristorante di Mazara del Vallo, provincia di Trapani, probabile meta delle sue imminenti vacanze estive col fidanzato. Nella e-mail c’è scritto: «Buonasera, mi chiamo Valentina Pivati e grazie a un programma televisivo sono cresciuta sulla piattaforma social, in particolare su Instagram, iniziando così un lavoro di influencer. Ad agosto sarò in Sicilia e mi chiedevo se vi interesserebbe, in cambio di pubblicità, ospitare me e il mio compagno per una cena. In attesa di una vostra risposta porgo cordiali saluti». Piccola pausa. Non conosco lo standard di e-mail a cui siete abituati voi, il tono e il modo in cui gli sconosciuti solitamente vi si approcciano; per il mio, di standard di messaggi ricevuti, questa di Valentina è una richiesta decisamente cortese, tutt’altro che arrogante, fondamentalmente semplice. Non che abbia particolare simpatia per chi fa il lavoro di influencer (tendo a preferire una ricercatrice in biologia molecolare o un fattorino di Deliveroo, come ho scritto nel mio libro «i Rassegnati») ma, tutto sommato, quella di Valentina mi pare un’offerta di collaborazione piuttosto basica, decisamente sincera e senza pretese: mi offri una cena (tu, ristorante, di lavoro prepari cene) se io ti faccio pubblicità (io, influencer, di lavoro faccio pubblicità)? Facile facile. A casa mia, per esempio, una proposta del genere contempla due reazioni. «Sì, grazie, vi aspettiamo»; oppure «no, grazie lo stesso, se volete venire a trovarci come clienti normali sarà un piacere ma la vostra pubblicità non ci interessa». E invece no. Il ristorante di Mazara del Vallo, di cui non scrivo il nome per non fargli pubblicità (e non gliela farei manco se me ne offrisse 20, di cene, in posti del genere non metto piede neanche pagato), si arroga il diritto di ripubblicare il messaggio di Valentina Pivati con tanto di diniego alla sua proposta, sottoponendola alla gogna di decine e decine di utenti di Facebook che le danno della scroccona, della poveraccia, di tutto di più. Salvo poi cancellare il messaggio, ma ormai il danno era fatto, per pubblicarne un altro di scuse pelose («Abbiamo cancellato volutamente un post da 10.000 visualizzazioni in poco meno di 10 ore»), precisando che «siamo sempre alla ricerca di persone con cui collaborare, con modalità che possano apportare un valore aggiunto a tutte le persone coinvolte» e che «ciò significa che non basta essere un influencer ed avere 100.000 followers su Instagram ma è più importante decidere assieme come poter collaborare in maniera virtuosa». Stavolta, però, non hanno «deciso insieme» a Valentina Pivati se poteva o meno portare un valore aggiunto; non hanno «deciso assieme» se i suoi centomila follower potevano essere la base per poter collaborare in maniera virtuosa. L’hanno sputtanata, così, a gratis. Facendo leva sulla disperata follia generale di questi tempi. E cioè che se sei disoccupato, se sei un contratto a termine non rinnovato, se sei vittima della burocrazia, se sei laureato con 110 e lode in chimica ma sei costretto a portare le pizze, se fai la baby sitter ma in tasca hai un posto da ricercatrice senza assegno, se sei tutto questo e anche di più, di questi tempi, l’influencer è una merda e quindi evviva chi la sputtana così, gratis. Io, con questa cosa, non sono d’accordo. Pur stando dalla parte di chi è disoccupato, di chi ha una laurea in chimica ma porta le pizze, pur stando dalla parte della baby sitter ricercatrice, riesco a stare dalla parte di Valentina Pivati. In quel ristorante, mai. Mai e poi mai. Spero condividiate, se siete d’accordo, questo piccolo messaggio.
L'influencer si propone, il ristoratore dice no. Scatta la gogna sui social ma perdono tutti. Valentina Pivati sbaglia toni. Il locale doveva risponderle in privato. Andrea Cuomo, Giovedì 01/08/2019, su Il Giornale. La cena delle beffe: tutti a digiuno, ma con la camicia schizzata di vergogna. Perché la vicenda di Valentina Pivati e del suo goffo tentativo di mangiare gratis in un ristorante peraltro nemmeno ricordevole è una di quelle che racconta molto dell'epoca contemporanea. E nessuno ne esce bene, nessuno: non lei che fa la figura della scroccona social, non il ristoratore che la mette alla gogna mediatica ignorando qualsiasi elementare norma di privacy, non gli odiatori in servizio permanente effettivo, che quella gogna non vedono l'ora di azionarla. Clac! Orbene: la Pivati è una influencer, cioè una tizia belloccia che - potendo contare su un qualche succedaneo di gloria (pare sia stata una corteggiatrice di Uomini e donne, qualsiasi cosa voglia dire) - pubblicizza prodotti e locali infilandoli nelle proprie stories e nei propri post sui social giusti. Possiamo trovare la pratica più o meno elegante (non lo è) ma è un fatto che si tratti di un nuovo tipo di impiego, remunerato a volte con soldi sonanti, a volte con uno scambio merci. Ci sono persone come Chiara Ferragni che di questo muliebre talento hanno fatto un business milionario. Gli affari sono affari, e le anime belle al profumo di mammola sono come il giapponese che combatte nella foresta quando la guerra è finita da un pezzo. Di cosa stupirsi, dunque? Si è stupito eppure qualcuno davanti al computer del ristorante Principe Granatelli di Mazara del Vallo, nel Trapanese, leggendo il messaggio della Pivati: «Buonasera, mi chiamo Valentina Pivati e grazie a una trasmissione televisiva sono cresciuta sulla piattaforma social, in particolare su Instagram, iniziando così un lavoro di influencer. Ad agosto sarò in Sicilia e mi chiedevo se vi interesserebbe, in cambio di pubblicità, ospitare me e il mio compagno per una cena. In attesa di una vostra risposta porgo cordiali saluti. Valentina». Una mail dopotutto cortese, un copia-e-incolla spedito chissà quante volte, impastato semmai di un fastidioso tono burocratico. Ma alla fine una proposta di collaborazione come tante altre, non differente dall'offerta di un aspirapolvere, che il titolare del locale - invece di rispondere sì grazie o no grazie o le faremo sapere - decide di ripubblicare su Facebook senza peritarsi di cancellare il nome della malcapitata ma anzi aggiungendo il commento: «Il nuovo modo di farsi le vacanze a sbafo». Una vendetta sui recensori online, sui critici che non capiscono, sui clienti che chiedono il parmigiano sulla spigola? Vai a sapere. Fatto sta che il signore (usiamo il termine per pura convenzione) si accorge di aver scatenato un putiferio e cancella il post, sostituendolo con un messaggio in cui ammette che «la situazione è un po' sfuggita di mano», ma precisando che «non basta essere un'influencer e avere 100mila followers su Instagram ma è più importante decidere assieme come poter collaborare in maniera virtuosa». Ognuno fa le sue scelte. La Pivati vive instagrammando la sua vita sempre dal lato del codice a barre, il ristoratore mazarese preferisce a un po' di reclame social al costo di due menu degustazione uno sputtanamento gratis. Basta saperlo.
Nicolas Lozito per “il Messaggero” il 20 ottobre 2019. Per capire gli effetti di Elisa Maino sulla gente, e in particolare sui giovanissimi, dovrebbero bastare tre numeri. Lei ha 16 anni; l'anno scorso ha fatturato quasi mezzo milione di euro; e su Tik Tok, piattaforma social ora di moda tra i giovanissimi, ha 4,2 milioni di follower. Per intenderci: più della trasmissione più vista in prima serata venerdì su Rai 1. Sufficienti, ipotizzando tutti la votassero, a renderla il quinto, o addirittura quarto, partito in Italia. Nata a Roveredo, vicino a Riva del Garda, ora vive a Milano con la madre, dove studia, crea video e scrive. La troviamo di pomeriggio, finita la settimana a scuola liceo classico, media del 7.9 e finiti i compiti. «Sono un po' stanca, ma oggi ho preso 8 in greco, quindi sono felicissima».
Coreografie, apparizioni, sponsor, e la scuola. Frequenti la seconda superiore, sei in grado di gestire tutto?
«Non mettetevi a ridere: ma a me piace la scuola. Ed è la mia priorità. Quindi quando devo impegnarmi di più lì, magari non faccio dei video o delle collaborazioni».
Però sei famosissima, soprattutto tra i giovani. Come spiegare a un adulto cosa fai?
«Alcuni dicono che sono un'influencer, o una web star. Io non voglio avere nessuna etichetta. Io cerco di parlare, di raccontare, di dire quello che penso, e internet è il posto migliore dove esprimermi. Sono spontanea, nulla è programmato in questo pseudo-lavoro. Vengo da un paesino piccolo, non c'era molto da fare lì, internet è stato il mio modo per scoprire il mondo».
Quando e come hai iniziato?
«Ora ci mi ci fate pensare: a giugno saranno già cinque anni. Incredibile. Da piccola guardavo mio fratello, Omar, che ora ha 23 anni, pubblicare video su Youtube. Mi incuriosiva. Ma ero timida, così il primo canale Youtube l'ho fatto con un'amica. Mi sembrava una cosa carina, e anche un modo per stare con mio fratello, che ci aiutava. In un anno siamo arrivati a mille iscritti».
Poi hai debuttato da sola?
«Sì, apro un canale separato e inizio a dedicarmi tantissimo. Mi piaceva da matti. Poi è arrivato Musically, che ora si chiama TikTok, e da lì è cambiato tutto. Nel 2017 divento la madrina europea dell'app, e volo ad Amsterdam, e poi non mi fermo più».
Ma cos'è Tik Tok, spiegato alla nonna?
«In realtà è più facile spiegare Tik Tok che qualsiasi altro social network. Scarichi un'applicazione sul telefono che ti da la possibilità di registrare e condividere video brevi, da 15 a 70 secondi, dove si balla su una base musicale e si muovono le labbra a tempo. Non ci sono altri contenuti, solo questi video brevi. Super semplice».
Sei la più seguita in Italia. Perché l'app è così diffusa tra i giovani?
«Intanto perché la nonna non si mette a ballare. E poi perché è arrivato da pochi anni e noi ci siamo tuffati dentro».
Chi è il tuo pubblico, statistiche alla mano?
«Va dagli 8 ai 20 anni, ma soprattutto studenti e studentesse delle medie. Ci sono più femmine tra i miei follower, ma adesso arrivano sempre più maschi».
Torniamo al tuo percorso: dall'online sei passata alle partecipazioni di fronte a un pubblico. Ragazzi e ragazze fanno file di ore per salutarti. Ti sei spiegata come sia esploso il fenomeno?
«Il 15 maggio 2018 è cambiato tutto: è uscito il mio libro, #OPS, un romanzo, scritto con mia nonna e dedicato a lei, che non c'è più. Da lì i tour e le collaborazioni con i brand, con la musica. Da #OPS nasce un rossetto, poi una canzone, poi un film. Mi sono trasferita a Milano, sono entrata nella One shot agency con tanti altri creator di contenuti».
L'hai chiamato pseudo-lavoro, ma sei praticamente un'azienda.
«So che i contratti a volte possono essere di decine di migliaia di euro, ma non mi interessano i soldi, e non voglio viverla male. Se i miei genitori dicono che il contratto è giusto, mi fido, gestiscono tutto loro. Io però scelgo con chi lavorare. I brand devono essere nelle mie corde, non voglio sentirmi sfruttata».
Con che brand lavori?
«Sono tanti. Ma mi è piaciuto davvero tanto lavorare con Ghd, che producono piastre per capelli. Con loro sono andata prima in Finlandia, poi al Coachella (festival musicale in California, ndr). Ho amato anche la collaborazione con Puma, sono andata alla settimana della moda di Parigi. E poi Tommy Hilfiger, grazie a loro ho incontrato Zendaya, una delle mie attrici preferite. E La Roche Posay, con cui ho fatto una campagna di sensibilizzazione sull'acne».
Fra poco esce il tuo nuovo libro, #OPS 2, sempre per Rizzoli. Te l'hanno imposto?
«Nessuno mi impone niente. Uscirà il 29 ottobre. Come me, i protagonisti del libro sono cresciuti di due anni. La mia nonna non c'è più, quindi lo sento meno mio, è vero. Però il primo libro aveva avvicinato tantissime persone alla lettura, e per me questa è una missione. Ci sono persone del web che fanno libri di bassa qualità, autobiografici, per soldi. La scrittura mi viene naturale».
Hai tanti hater? Come li gestisci?
«Gli hater ce li ho da prima di internet. Da piccola sono stata vittima di bullismo pesante. Avevo tanti brufoli, in prima media avevo anche smesso di andare a scuola, stavo proprio malissimo. Ogni critica mi uccideva. Poi ho battuto l'acne e ho messo una corazza, con l'aiuto della mia famiglia. Non rispondo più, non blocco più gli utenti. Il cyber-bullismo mi fa tanta rabbia, per questo vado alle conferenze e a parlarne nelle scuole».
Il tuo rapporto con la politica qual è?
«Dirò un'altra cosa strana: la politica mi interessa e vorrei che in ogni scuola superiore ci fosse almeno un'ora a settimana in cui si parla di politica. Quando dicono che noi giovani non siamo interessati alla politica, vorrei dire che sono gli adulti a raccontarcela come una cosa brutta e malata, e questo ci rende meno curiosi».
Da grande cosa vuoi fare?
«Studiare medicina. Ma forse mi fa troppo senso il sangue».
E il mondo dell'intrattenimento, non credi di continuare?
«Sì, se potessi continuare a parlare per sempre lo farei. Inoltre, la mia più grande passione è il mondo della moda, vorrei fare la stilista, magari».
La tv la guardi? E la faresti?
«In Italia non c'è un programma dove io possa partecipare senza che tutto finisca nel trash. Ma guardo molta tv americana, mi piace Ellen. Forse vorrei essere come lei, o una Cattelan al femminile».
Altri idoli?
«Ho avuto una passione senza senso per Fedez. Poi guardavo molto Disney Channel, poi, e quindi i miei idoli sono stati Selena Gomez, Zendaya, Bella Thorne. E Justin Bieber, ovviamente».
Senti la responsabilità di avere un pubblico così grande? Cosa consigli a chi vorrebbe seguire le tue orme?
«Massima spontaneità, sempre. Non montatevi mai la testa. E se volete qualcosa, focalizzatevi e impegnatevi. Non ascoltate mai gli hater, mai i critici: se state facendo qualcosa di buono, continuate a farlo».
· Maurizio Seymandi ed il telegattone.
Maurizio Seymandi: «Io, pioniere tv da nonno ripenso al Telegattone». Roberta Scorranese per il “Corriere della sera” il 21 settembre 2019. Tende rosa, un salotto pieno di foto, una pila di libri. In cima, i «Racconti» di Primo Levi. Nell' appartamento milanese di Maurizio Seymandi si respira un' aria perbene, d' altri tempi. Un po' come i modi del padrone di casa, uno che negli anni Ottanta era arrivato ad essere più famoso del Papa, come emerse da un sondaggio d'opinione.
Seymandi, ma era vero?
«Verissimo. D' altra parte io per anni sono andato in onda in tv tutti i giorni e nell' epoca in cui le televisioni private cominciavano a entrare nelle case degli italiani».
Tutto merito di «Superclassifica Show», sua creatura. La trasmissione che ha condotto per quasi vent' anni dal 1977.
«Nacque da un' intuizione: Sorrisi e Canzoni , dove lavoravo, volle penetrare nell' allora nascente bacino delle televisioni locali. Gigi Vesigna, il direttore, mi mandò a perlustrare quel mondo: vidi cose incredibili».
Per esempio?
«Una televisione aveva la sua sede in una stalla. Ci si arrangiava, si assemblavano palinsesti improbabili».
Però lei fece un numero zero della trasmissione, questo piacque e presto si ritrovò in video, famosissimo.
«Sì e pensare che prima ero uno sconosciuto o quasi. Certo, avevo alle spalle anni di lavoro come autore televisivo: ho lavorato con Mike a "Rischiatutto", con Marcello Marchesi, ho fatto anche l' ìautore di canzoni di successo. Poi, da un momento all' altro, mi ritrovai nelle case degli italiani: perché è vero che a partire dal 1980 "Superclassifica Show" andava in onda su Canale 5, ma nelle tv private andava in replica ogni giorno. Immaginatevi che popolarità che mi stava crescendo addosso».
Ci era preparato?
«No. E, soprattutto, il mio mondo non era quello delle discoteche. Io andavo a letto alle dieci di sera, non bevevo, mi sono sposato 50 anni fa e da allora sono stato sempre e solo con Wilma».
Come l'ha conosciuta?
«Lavorava in Rai. Una sera invitai fuori lei e altre due sue amiche. Però riaccompagnai lei per ultima. E le dissi: "Sei l' ultima perché sei la prima"».
Come si fa funzionare un matrimonio per mezzo secolo, con tre figli?
«Ero sempre in giro. Abbiamo vissuto di ritorni. L'amore, insomma».
Perché lei girava da un locale all'altro.
«Sì e posso dirlo con serenità: io sono sempre stato un giornalista dipendente di Sorrisi e Canzoni e i soldi veri sono arrivati con gli sponsor che mi ingaggiavano e con le serate».
Anche dalle canzoni, non sia modesto.
«Qualche successo l' ho infilato anche io. Per esempio con "Soleado", in parte mia, mi sono comprato la casa vicino al lago di Garda».
Dove adesso, a 80 anni, lei si gode la vita dopo la tv.
«Ho firmato un contratto con la pigrizia. Faccio il nonno dei miei quattro nipoti, leggo e qualche volta, ma senza nostalgia, ripenso ai tempi del Supertelegattone. Che trasmissione, ragazzi. Ogni volta c'era un ospite di alto livello. Ricordo la volta che intervistai Cossiga: alla fine mi chiese di trovargli un lavoro in tv perché era convinto che lo avrebbero fatto fuori presto dalla politica».
Come finì la sua avventura con la Superclassifica?
«Lo venni a sapere per caso. Appresi da un articolo non ancora pubblicato che mi avrebbero sostituito a breve con Gerry Scotti. Prima che me lo chieda: con Gerry, anni dopo, ci siamo parlati, chiariti e mi ha invitato spesso nelle sue trasmissioni».
Solo un cambio di volto televisivo?
«No, un cambio radicale: volevano più pubblicità, un contenitore diverso. Non sarebbe stato adatto a me».
Nessuna nostalgia?
«No, anche perché ho tanti ricordi. Anche con personaggi come Enzo Tortora, con cui ho lavorato a lungo, e con Mike».
Ci riveli qualcosa su Mike Bongiorno che non sappiamo ancora.
«La famosa battuta della signora Longari è una citazione: con Mike lavoravamo anche alla radio e avvenne lì che, durante un mini concorso, una signora sbagliò una risposta che riguardava un pettirosso. Io ironizzai: "Mike, la signora è caduta sull' uccello". Poi lui se la giocò in tv e divenne uno dei tormentoni più famosi della televisione italiana».
· I figli delle stelle.
Noi, figlie delle stelle. Pubblicato martedì, 06 agosto 2019 da Renato Franco su Corriere.it. Raccomandate dal cognome, un trampolino e una zavorra, una fionda e un macigno, un aiuto e il peso di un confronto perenne. La via delle figlie d’arte verso il successo è una discesa in salita, un rettilineo pieno di tornanti: ogni volta il paragone, il parallelo, il raffronto, lo specchio in cui vedi riflessa l’immagine del tuo celebre genitore.
L’ultima a provare a uccidere freudianamente il padre è Francesca Scorsese, figlia di un monumento vivente. Per lei però niente regia, ma prove da attrice. Appena 19 anni e già scelta — conterà il cognome? — da Luca Guadagnino per la serie Sky-Hbo We Are Who We Are, una storia di formazione con protagonisti due adolescenti americani.
Lily invece di cognome fa Collins, come il Phil leggenda con i Genesis e pure in proprio. Rapporto complicato fin dal principio perché lui lasciò Lily e sua madre — la seconda moglie Jill Tavelman — via fax: basta Inghilterra, vado in Svizzera, tanti saluti. I ruoli che rimangono nell’immaginario del cinema non sono ancora arrivati (adesso ha 30 anni): «Tutti pensano che ogni porta ti si apra quando hai un genitore famoso, in realtà nel mondo dello spettacolo tutti siamo facilmente sostituibili: per essere presa sul serio devi continuamente provare di essere capace».
Zoe Kravitz ha sempre vissuto in mezzo alle celebrità: la madre è Lisa Bonet, una grande popolarità (poi affievolita) grazie al telefilm dei Robinson, il padre è la rockstar Lenny Kravitz: «Quando mi veniva a prendere, nel parcheggio della scuola si radunava sempre una grande folla». A 30 anni forse è arrivata la svolta, grazie al personaggio che interpreta in una serie non banale come Big Little Lies accanto a Nicole Kidman, Reese Witherspoon e Meryl Streep.
Anche Lily-Rose Depp (20 anni) ha a che fare con una coppia di genitori di peso: il padre Johnny con il suo contorno di mostri interiori, la madre Vanessa Paradis. Il cognome per lei è un piombo: «Ho sempre avuto l’impressione di dover faticare il doppio per dimostrare che sto lavorando non solo perché mi capita di averne facilmente l’occasione. È abbastanza complicato vivere con l’attenzione costante del pubblico quando sei giovane e cresci sotto i riflettori. Non siamo definiti dal nostro nome: se non vai bene per qualcosa, non ti assumeranno solo perché il tuo cognome fa bella figura sui poster».
Si fa strada anche la 21enne Maya Hawke, figlia di attori eccellenti come Uma Thurman e Ethan Hawke, e già un curriculum di qualità: il ruolo della sarcastica Robin in Stranger Things 3, una parte che suscita subito curiosità (l’erede di sua madre nel possibile terzo episodio di Kill Bill), il suo nome nel cast di C’era una volta a... Hollywood di Tarantino, dove figura anche Margaret Qualley, la figlia 24enne di Andie MacDowell.
Willow Smith, 18 anni compiuti lo scorso ottobre, deve invece vedersela con Will, istrione prima ancora che attore e cantante. Lei segue le sue tracce, tra musica e cinema, ma per ora nella società dove più è strano più fa clic, si è fatta notare soprattutto per le sue riflessioni sul poliamore, ossia la filosofia per lo meno triangolare secondo cui è possibile mantenere più relazioni contemporaneamente, a condizione che tutti i soggetti coinvolti ne siano a conoscenza.
Quella che ha fatto secchi padre e madre è Dakota Johnson, figlia degli attori di un tempo ormai andato Don Johnson e Melanie Griffith. Dopo le cinquanta sfumature di tutti i colori, la carriera è decollata. Il suo era un destino segnato: «Sono cresciuta girando filmini coi miei amici e circondata da gente di cinema, conosco solo questo mondo. E ho paura, sempre. Paura di fallire, solo non lascio che la paura mi inibisca. I set sono sempre stati casa per me, una casa strana, ma io sono cresciuta cambiando molte città e molte scuole, sono abituata al moto perpetuo. Il denominatore comune era il set, una certezza. L’unico posto dove mi sento centrata, un concentrato di emozioni estreme».
· Il bimbo di Benigni: Giorgio Cantarini.
Il bimbo di Benigni: «Vado a New York a cercare fortuna». Pubblicato martedì, 27 agosto 2019 da Candida Morvillo su Corriere.it. A cinque anni, Giorgio Cantarini girava «La vita è bella» di Roberto Benigni, che vincerà tre Oscar e a lui porterà, unico italiano di sempre, lo Young Artist Award, «l’Oscar dei bambini». A otto anni, faceva il figlio di Russell Crowe nel «Gladiatore» di Ridley Scott da cinque Oscar. Quel bimbo cresciuto a Montefiascone, provincia di Viterbo, casa con l’aia e le galline, papà psichiatra, mamma ostetrica, due fratelli maggiori, due sorelle minori, un provino fatto per gioco, oggi è un giovane uomo di ventisette anni prossimo a lasciare l’Italia.
Giorgio, che cosa ha fatto in questi anni?
«Fino ai diciotto, volevo diventare calciatore, il cinema era qualcosa che mi era piaciuto, però poteva anche finire lì. Poi, dopo il liceo, su consiglio di Benigni, col quale sono sempre rimasto in contatto e che ancora mi invita alle prime o a prendere un gelato, ho tentato il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Mi hanno preso e mi sono diplomato nel 2014».
Cosa le aveva fatto cambiare idea?
«Il cinema era una passione, ma solo da spettatore. Però, quando all’ultimo anno di liceo mi assegnarono una presentazione di greco in forma libera, decisi di girare un corto. È stato il mio unico 10 in greco e mi ha fatto capire che il set era il posto in cui stavo bene».
Uno immagina che il bimbo de «La Vita è bella» cresce, si diploma attore e tutti lo vogliono. È andata così?
«Non esattamente. I casting director mi conoscevano, ma avevano sempre l’idea di me piccolo. E io cerco di evitare il mainstream e di fare provini solo per lavori di qualità. Ho avuto un piccolo ruolo in “Lamborghini The Legend” di Bobby Moresco, con Antonio Banderas e Alec Baldwin, che è in post produzione, ed è stato bello tornare su un grande set in costume. Col mio amico Miguel Angel Gobbo Diaz, ho portato in teatro “Il Calapranzi” di Harold Pinter. Poi, ho girato da protagonista la web-serie Rai, “Aus - Adotta uno studente”, e ad aprile, a Berlino, la puntata pilota di una serie, “Flatmates”, che mi somiglia molto».
In cosa le somiglia?
«Faccio un pittore italiano che si trasferisce lì, ma che per mantenersi fa il rider e che deve trovare un appartamento in condivisione e incontra situazioni strambe: appartamenti solo vegani o solo gay o solo di gente sessualmente aperta... La storia rispecchia la precarietà della mia generazione e me stesso, in partenza in cerca di fortuna: a settembre, mi trasferirò a New York».
Sogna Hollywood?
«Due anni fa ho studiato un mese alla New York Film Academy e mi sono trovato benissimo. Ho già dei contatti, anche con un produttore e un regista americani coi quali, sempre a Berlino, ho interpretato un corto ispirato alla Divina Commedia. Il mio sogno è lavorare in Italia, in tutti i continenti e i Paesi. Per esempio, sento che la Francia, per me, non è una pagina chiusa: ho passato il 2015 a Parigi, ho imparato la lingua, mi sono fatto conoscere».
Perché Parigi?
«Avevo accompagnato la mia fidanzata che studiava al Conservatoire National Supérieur d’Art Dramatique. Si chiama Marial Bajma-Riva, è una bravissima attrice, italiana: ha appena vinto il Premio come miglior giovane interprete delle rappresentazioni classiche al Teatro Greco di Siracusa».
Intervistato da bambino, le chiedevano delle fidanzate e lei rispondeva «troppe ne ho».
«Ero un piccolo, innocente, dongiovanni. Ora, apprezzo le relazioni importanti. Con Marial sto da cinque anni e ho sperimentato anche scrittura e regia, girando due corti, “La regina dei salotti” e un piccolo fantasy a budget zero, mentre eravamo in vacanza in Grecia. È la storia di un pescatore fuori dal tempo, che ha un colpo di fulmine per una turista, è timido, fallisce ogni tentativo di farsi notare, poi, lei sparisce, lui la cerca ovunque. E quando torna sul molo, la trova lì, che l’aveva aspettato per tutto quel tempo».
Ne deduco che è un romantico.
«Mi piace lo spirito magico della vita».
Quando Enzo Biagi chiese a Benigni cosa le augurava, lui rispose citando Kant «di tenere il cielo stellato sopra di sé e la legge morale dentro di sé». Ci è riuscito?
«Non me lo ricordavo, ma se dovessi dare di me una definizione poetica, probabilmente, si avvicinerebbe a questa».
· Liam e Noel Gallagher. I fratelli coltelli degli Oasis.
I FRATELLI COLTELLI. Giuseppe Videtti per “la Repubblica” il 6 agosto 2019. Il primo album degli Oasis, "Definitely maybe", uscì il 30 agosto di venticinque anni fa; dieci anni fa lo scioglimento della band sconcertò i fan. Ha mai rimpianto quella decisione? «Mai! Ci sono due momenti fondamentali nella mia vita, il primo è stato fondare gli Oasis, il secondo sciogliere gli Oasis. Ora egoisticamente ribadisco: feci benissimo. La nostra popolarità è decuplicata dopo lo scioglimento. Se fossimo rimasti insieme, saremmo una band malinconica della quale nessuno s' interesserebbe più», dice Noel Gallagher, 52 anni, insolitamente vestito di nero («Dovevo essere ubriaco ieri sera quando ho fatto la valigia»). Il chitarrista e leader di High Flying Birds non ha dubbi, gli Oasis sono una storia importante. Ma è storia, appunto, e non si torna indietro. Col fratello Liam, nessun rapporto. Le invettive corrono in rete o a mezzo stampa, ma non c' è dubbio che è Noel il più rilassato e maturo. Intanto, dopo la brillante esibizione al Primo Maggio e i due concerti di luglio a Pistoia e Mantova, ieri ha pubblicato il singolo This is the place , anticipazione di un Ep in uscita a settembre, il terzo in meno di un anno.
Una reunion degli Oasis porterebbe milioni in cassa. Chissà in quanti ci avranno provato a convincervi.
«Solo una volta. In un jazz club londinese un promoter mi ha chiesto, quanto costerebbe un concerto unico? Io ho buttato lì, 25 milioni di euro solo per me. Non ha ribattuto. Grazie a Dio non ho bisogno di soldi, mi sono fatto il culo da giovane, anche quando mi sballavo facevamo grande musica. Adesso non ho problemi economici. Quindi non c' è cifra che potrebbe indurmi a una reunion».
Eravate fratelli coltelli già allora?
«Ovvio. Anche peggio. Ma cercavamo di trarne profitto a livello creativo. Col tempo avere a che fare con Liam è diventato logorante. A quel punto ho detto basta. E me ne sono andato».
Chi di voi è più ostile all' idea di una reunion?
«Lui va dicendo che sarebbe disposto; io lo ripeto da dieci anni, neanche morto! Capisco chi lo fa, gruppi rimasti al verde in cerca di un' ultima occasione, ma non è il mio caso. Quindi, direi che il più ostile sono io. Se tornassimo insieme sarebbe un fottuto disastro. Lasciamo i rancori sotto la cenere, quel che è stato è stato».
Internet ha completamente ribaltato la situazione, gli Oasis fecero ancora in tempo a incidere vinili.
«Internet ha rovinato il mondo. Eravamo davvero così messi male prima dell' avvento della Rete? Ne avevamo bisogno? Avevamo la necessità di sapere in tempo reale che cavolo stesse pensando ogni fottuto cittadino del mondo? Di essere informati su cosa questo o quello mangia a colazione? Internet ha distrutto la magia, fatto scempio del mistero, ignorato la privacy. Ma soprattutto ha ucciso l' industria discografica; la gente ha smesso di comprare dischi».
Lei, personalmente, che uso fa di Internet?
«Lo odio! Che ha prodotto di buono? Ha dato ai terroristi la possibilità di comunicare attraverso il dark web, ai violenti di bullizzare i più deboli, ai disonesti di truffare in un territorio dove non esistono leggi né controlli. Dov' è la luce che ha illuminato la mente umana?».
Come si regola con i suoi figli?
«La più grande ha 19 anni ed è ormai fuori controllo. I due piccoli usano il tablet solo per i videogame».
Lei come si tiene aggiornato musicalmente?
«Lo faccio quando sono in tour, perché a casa tra moglie, figli, cani e gatti non ho tempo per nulla. Le cose migliori le scopro col passaparola. Non accendo la radio, non leggo riviste musicali. Ora sto riascoltando i vecchi dischi dei Cure. Sono un vecchio fan della band, ma non li avevo mai visti dal vivo prima di quest' anno - al festival di Roskilde, concerto pazzesco. Non mi piace l' heavy metal, e neanche il pop moderno. Preferisco il jazz. Il rap non è alla mia portata. Ho cinquantadue anni, sono un ex fottuto giovane proletario di Manchester, che me ne frega della street culture dei giovani di Baltimora?».
Pensavamo che il rock' n'roll fosse musica suonata da giovani per i ragazzi, invece ci sono in giro rocker settantenni in ottima forma, e Dylan è solo uno dei tanti.
«Grazie agli Stones, agli Who e a Paul McCartney, che non hanno mai smesso, anche noi abbiamo una vecchiaia garantita. Senza di loro, sarei già un prepensionato. Quando iniziai con gli Oasis, ero certo che a un certo punto ci avrebbero dato un calcio nel culo e rimandato a casa. Per quanto mi riguarda, continuerò fin quando le canzoni che scrivo mi sembreranno credibili; quando mi renderò di affogare nella nostalgia, ci darò un taglio. Perché continuare? Sarebbe come risposare la moglie da cui hai divorziato, sarebbe come riformare gli Oasis. Il rock funziona se hai sempre una nuova moglie, giovane e bella, ahahahah. Prenda Bruce Springsteen, è un eterno giovane perché è un fan del rock, non ha mai tradito i suoi principi, un artista integro. Due anni fa l' ho incontrato per la prima volta a Formentera. Non sono un fan della sua musica, ma ci siamo seduti e abbiamo parlato per ore, è un uomo straordinario. Mi ha riempito di domande su Manchester e sugli Stone Roses. Chi è rimasto in sella è perché ha ancora qualcosa da dire e niente da dimostrare. Ho visto su Netflix il documentario di Martin Scorsese su Bob Dylan ( Rolling Thunder Revue, ndr), wow! Ero lì galvanizzato e ogni cinque minuti gridavo, vaffanculo, sei troppo bravo!».
Le hanno mai chiesto di fare il giudice in un talent show?
«Due volte, ho rifiutato. I talent sono il regno della pigrizia, tutti vogliono cantare e nessuno ha voglia di imparare a suonare uno strumento, un mare di cover e nessuna canzone originale che meriti attenzione - non le sanno scrivere. Alla fine a trarne profitto sono quelli che forniscono canzonette a quei poveri ragazzi accecati dalla smania di visibilità. Io non conosco nessuna fottuta band uscita da un fottuto talent show che abbia lasciato il segno».
Lei non ha votato al referendum per la Brexit. È poi stato d' accordo col risultato?
«No. Non sono andato perché non riuscivo a credere che qualcuno sarebbe stato così stupido da votare per l' uscita dall' Europa. Il risultato sembrava per tutti talmente scontato che non mi scomodai a lasciare lo studio di registrazione per andare al seggio. Evidentemente non era così. E ora? Rivotare? No, creerebbe un pericoloso vuoto democratico. Ma sono sicuro che, dopo l' uscita, le cose andranno malissimo, tempo tre anni bisognerà riconsiderare l' intera faccenda. Trovo ridicolo e inutile fomentare una divisione - che è anche diventata rancorosa - tra le due parti. Economicamente nessuno ne trarrà profitto. Odio e divisioni, altro che villaggio globale».
Francesco Tortora per Corriere.it il 6 agosto 2019. La diatriba tra i fratelli Gallagher sembra non finire mai. L’ultimo colpo l’ha sferrato Noel che in un’intervista rilasciata nel giorno in cui esce in Gran Bretagna il suo nuovo EP «This Is the Place», ha usato (ancora) parole al veleno contro Liam. Non solo ha criticato la sua recente performance al Festival di Glastonbury, ma ha anche tirata in mezzo la loro mamma: «Le ho voluto bene fino a quando ha partorito Liam» ha tagliato corto.
Spettacolo vergognoso. Noel ha riservato le parole più dure allo spettacolo di Liam a Glastonbury durante il quale il fratello ha suonato anche una serie di pezzi storici degli Oasis: «Non credo di essermi mai vergognato tanto per un uomo - ha dichiarato Noel -. Ha suonato le canzoni degli Oasis in modo bizzarro e scialbo. Sembrava che stesse vivendo il giorno peggiore della sua vita, girovagava sul palco con quello che sembra il pigiama di mio figlio, urlando nel microfono per qualche ingiustizia percepita ...ma se non riesci a cantare queste canzoni, lascia perdere». Noel non è stato tenero neppure con le nuovi canzoni del fratello: «Immagino che se mettessi i miei due figli di 11 e 9 anni in una stanza ... per circa 45 minuti, probabilmente avrebbero potuto raccogliere qualcosa di meglio di quel suo ultimo singolo».
· Albertino.
Albertino: “Se mi va male con la radio faccio il contadino!”. Beatrice Gigli il 07/08/2019 su Il Giornale Off. Oggi è il compleanno di Albertino, al secolo Sabino Alberto Di Molfetta: spegne 57 candeline. Dopo 35 anni di Radio Deejay, dallo scorso 1 aprile è il direttore di M2O e noi lo festeggiamo proponendovi questa intervista della nostra Beatrice Gigli, che aveva sentito Albertino proprio a ridosso della sua nuova avventura radiofonica.
E’ il nuovo direttore di M2O. Come intende rivoluzionarla?
"Più che una rivoluzione sarà una evoluzione. M2O è già una radio di genere ed io intendo mantenere quel mondo che ho sempre rappresentato e che tutt’ora rappresento a Radio Deejay, il mondo della musica dance, elettronica e di tutti i suoi derivati come l’Hip Poped il Reggaeton. Sono generi ballabili e quindi sarà una radio con molto ritmo. Quello che cercheremo di fare sarà rinnovare il palinsesto inserendo delle nuove voci pur mantenendo qualcosa di già esistente, ci sarà un mio programma giornaliero, cosa per me epocale e spero che lo sarà anche per chi ascolta la radio. Ovviamente faremo un lavoro di sound design, un grosso lavoro sui social e tanti eventi sul territorio. È un progetto molto complesso perché è quasi una start up. La sede principale sarà spostata da Roma a Milano, inoltre. La mia idea è organizzare M2O come una radio dove la musica sarà protagonista, rispetto a Radio Deejay che è più chiacchierata. La musica sarà molto più presente, molto più centrale".
Come è cambiato il mondo della radio con l’arrivo dei social network?
"Prima non ci vedeva nessuno e adesso, purtroppo, bisogna arrivare pettinati e ben vestiti. Oggi è un pò imprescindibile il discorso dei social, rispetto agli altri media. Io rimango della mia filosofia un pò “old school”. La radio è un media che va ascoltato e non guardato, ma spero che l’utilizzo dei social ci darà una mano a riportare la gente ad ascoltare la radio".
Quale è stato il momento più esaltante della sua carriera radiofonica?
"Ce ne sono stati molti. Io ho cominciato a Radio Deejay a ventuno anni, chiamato daClaudio Cecchetto. Ero un adolescente, secondo lui piuttosto promettente e talentuoso. Alle due del pomeriggio mi ha presentato un giovane e magrissimo Jerry Scotti introducendomi per la prima volta ai microfoni di Radio Deejay. Quello è un momento che non ho mai dimenticato. Altri momenti sono stati quelli in cui ho avuto il privilegio di lavorare con quelli che oggi sono diventati i più grandi performare in Italia, da Fiorello a Jovanotti, mio fratello Linus, e tanti altri".
Ci racconta un episodio off della sua vita?
"Chi fa il mio mestiere fa una cosa così bella che diventa parte integrante della vita privata. La musica non è solo un mestiere: è soprattutto una passione che diventa lavoro. Una parte off della mia vita direi che è la campagna. Ho questa forte attrazione per la madre terra, per i luoghi isolati. Mi piace la tranquillità. Mi piace piantare i fiori e le piante e tutti mi prendono un po’ in giro perché è talmente lontano dall’immaginario collettivo della figura del dj. ..Ma non sono l’unico tra i miei colleghi che ha questo tipo di passione. La campagna è talmente lontana dal nostro quotidiano, dalla frenesia, dall’ isterismo, dalle folle e dalle discoteche e questo aiuta e serve ad avere un equilibrio. E’ l’opposto del mio modo di vivere e quindi è sicuramente una mia parte Off. Diciamo che se mi va male con M2O faccio il contadino!"
· Thegiornalisti.
Ernesto Assante per la Repubblica il 9 dicembre 2019. C' è vita dopo Thegiornalisti? Tommaso Paradiso a trentasei anni ha debuttato come solista, dopo averne passati otto con i suoi due compagni d' avventura, Marco Antonio Musella e Marco Primavera, nella band che ormai si è lasciato alle spalle. C'è vita dopo Thegiornalisti, c' è musica, ci sono progetti, un film e un nuovo singolo in arrivo, Ma lo vuoi capire?, c' è da pensare ai concerti ai quali non vede l' ora di tornare, dieci palazzetti dal 21 ottobre 2020: «Sì, tante cose, ma alla fine è la stessa vita che facevo prima».
Davvero non è cambiato nulla?
«Sì, davvero non è cambiato nulla. Sono sempre in fase produttiva, sono mesi che sto lavorando sia al disco nuovo che al film che sto scrivendo, anzi ora ho una sceneggiatura da consegnare entro fine dicembre, sono agli sgoccioli. E nel frattempo la musica, con uno spirito estremamente positivo, sono già elettrizzato per il nuovo singolo, che uscirà tra breve, ho sentito i primi mix e penso che siano belli».
Allora, se non è cambiato nulla, perché separarsi da Thegiornalisti?
«Dovendo essere sincero alla base della separazione c' è proprio il fatto che non è cambiato nulla, il modo in cui lavoro oggi è esattamente il modo in cui lavoravo prima. C' è stata la presa di coscienza di un dato di fatto. Sono anni che lavoro in questo modo alle mie canzoni, prima uscivano come Thegiornalisti adesso come Tommaso Paradiso, sono anni che lavoro in realtà con una persona in particolare che è Dario Faini che è il mio primo produttore, e poi con Takagi e Ketra con cui collaborato più recentemente sia per cose mie che per canzoni di altri, e poi con Matteo Cantaluppi. E non è poco tempo che è così, quindi davvero non è cambiato nulla».
Ma c' era il bisogno di andare avanti senza la band?
«C' era un bisogno che alla fine è stato, per così dire, "burocratico". Abbiamo per molto tempo lavorato in questo modo e a Primavera e Musella le cose andavano bene, anzi erano molto contenti, non avevano lamentele da fare: entravo in studio, uscivo con le canzoni, ottenevamo successo, parola che posso davvero utilizzare visto come sono andati i dischi e le canzoni. Il problema è nato quando tra di noi si sono intromesse altre persone, quando nei rapporti tra noi sono subentrate altri. Io ho detto che la situazione non mi sembrava sostenibile, che era sbagliato cambiare una squadra vincente, che era assurdo scombinare la traiettoria di una cosa che andava avanti a 160 all' ora e che nessuno ci poteva fermare. Invece la risposta è stata problematica, la situazione è scoppiata e io mi sono sentito nella classica situazione di non avere altra scelta e mettere per quel che mi riguardava la parola fine. Dovevo farlo per continuare a vivere come voglio, pensare alla musica senza dovermi occupare di altre faccende ogni giorno. Io mi occupo di scrivere, cantare e suonare, alcune persone pensavano di potermi impedire tutto questo e mi hanno costretto ad andarmene. Io non volevo, nessuno di noi tre voleva che andasse così, non è stata colpa nostra ma di altre persone».
Quindi ha riconquistato la sua libertà?
«No, sembrerà paradossale, ma io mi sono sentito libero sempre, è stato quando ho pensato di perderla che è cambiato tutto. Riccione e le altre canzoni sono nate nello stesso modo in cui è nata Non avere paura, il primo singolo da solista. L' ho scritto e prodotto come tutte le altre, per questo dico che riguardo la mia musica non è cambiato nulla, solo il nome con cui la presento. Sono sempre lo stesso».
Quindi, se non è cambiato nulla, cosa ci sarà di nuovo in Tommaso Paradiso?
«Beh, tutto. Lavoro allo stesso modo ma le cose cambiano, il nuovo disco sarà diverso già solo per il fatto che è fatto oggi. Non si scrivono mai le stesse cose, se accade vuol dire che non hai niente da dire. Certo, adesso è una cosa unicamente mia, era vero anche prima ma non lo potevo dire, ma un cantautore è sempre cantautore, anche se lavora in una band. Sarà un disco legato alla vita che cambia, una vita in cui ci sono sempre nuove persone, sensazioni, facce, bevute con gli amici, storie nuove, anche in un periodo in cui ci sono state le nuvole».
La notizia della separazione dalla band ha avuto una grandissima eco. Se l' aspettava?
«No, francamente mi ha sorpreso. In realtà quelli che lavorano con me se l' aspettavano, sapevano che avrebbe creato uno scombussolamento. Io invece sono il meno attento a queste cose, per me uno vale sempre uno, non avevo la cognizione della portata nostra e mia».
Nemmeno dopo il concerto al Circo Massimo?
«Lo so che non ci si crede, ma io sono uno piuttosto umile, anche quando succedono grandi cose come quella».
Non tutti hanno però apprezzato la sua scelta di lasciare la band.
«C' è stata una percentuale di hater, che si sono divertiti a fare illazioni di ogni genere, ovviamente false. Ma anche questa cosa è durata davvero poco, la polemica è scomparsa quando è uscito Non avere paura, la canzone ha messo d' accordo tutti. La musica mette d' accordo tutti, se la canzone è bella piace, se non piace viene dimenticata presto, e tutto il resto non conta».
È difficile scrivere canzoni in cui la gente possa riconoscersi?
«Non scrivi canzoni per questo, non le scrivi nemmeno perché abbiano successo, queste cose non dipendono da te. Io scrivo raccontando storie che mi assomigliano, storie in cui io posso riconoscermi».
Niente più Thegiornalisti, ma dal vivo ci sarà una nuova band.
«Sì, dal vivo avrò una nuova band, ci stiamo lavorando adesso anche se il tour partirà dopo l' estate, sto cercando di comporre il puzzle. Porterò in scena sia le canzoni del nuovo disco che quelle che la gente ha conosciuto come Thegiornalisti. Ma non mancheranno le sorprese».
E il nuovo singolo?
«Il primo verso di Ma lo vuoi capire?
dice "Mi diverto solitamente dopo le 18"».
Ed è vero?
«Qualche volta sì».
Da Deejay.it il 27 settembre 2019. L’annuncio lo aveva fatto via social, oggi, in diretta a Deejay chiama Italia, Tommaso Paradiso ha spiegato perché ha scelto di lasciare i TheGiornalisti e proseguire la sua carriera da solista. “E’ stato un anno difficile, la rottura è stata fisiologica, inevitabile, non potevamo più andare avanti” ha detto il cantante e aggiungo: “Più di un anno fa lo stesso Marco Primavera (batterista del gruppo) mi disse ‘questa non è più una band'”. “Non avere paura” è il primo singolo da solista di Paradiso, il brano è uscito il 25 settembre ed è nella colonna sonora del trailer della seconda stagione di Baby. Il prossimo impegno di Tommaso sarà invece cinematografico. Il 4 ottobre si esibirà a Riccione in un esclusivo showcase le cui immagini finiranno nel suo film di Enrico Vanzina.
Thegiornalisti, la band che fece finta di essere indie per diventare popolarissima (e poi morire). Pubblicato venerdì, 20 settembre 2019 da Corriere.it. Sono passate alcune ore dalla dichiarazione pubblica – fatta via stories di Instagram – di Tommaso Paradiso, leader dei Thegiornalisti, circa il suo abbandono della band a dieci anni dalla nascita della formazione e otto dal primo album, Vol.1, che usciva il 3 settembre del 2011. Un gran polverone di “Finalmente!”, “Ah! Si sono sciolti nell’acido!” e altre critiche, hey, davvero abrasive, che non vedevano l’ora di uscire. Tutto previsto, in fondo questo è quello che succede quando qualcosa è pop, cioè popolare, cioè di tutti, per tutti, e quindi posto in una posizione in cui chiunque può toccare, ascoltare, assaggiare, provare, insomma, e dunque fare ciò che non vede l’ora di fare, fare quell'unica cosa che può fare: giudicare, dire la propria. Non è sempre stato così per Tommaso Paradiso e per i Thegiornalisti, anzi: si presentarono sul mercato discografico partendo, come tantissimi, tra tantissimi, davvero da uno spazio ridotto, con un disco bianco con una penna modello Bic nera disegnata in copertina e nessuno aveva voglia di dire nulla di loro, anche gli addetti ai lavori del grande pop ne ignoravano tenacemente l'esistenza, mentre a piccoli passi, tra una recensione su una rivista di musica online e una su un blog, dalla Bic al successivo lavoro, Vecchio, Tommaso, Marco e Marco guadagnavano terreno, agognavano spazio, convinti che quello dovesse essere il dovere (e certamente il preciso piacere) di un gruppo che fa musica pop: farla per tutti, prendersi spazio. Di indie i Thegiornalisti non avevano nulla, sempre che per indie non si voglia intendere quella fase in cui ancora nessuno sa chi sei, ma se indie è, come in effetti è, non un genere, non una condizione di precarietà imposta da altri e non da te che quella musica la fai, ma una vocazione, un approccio, un preciso modus operandi di antichi non-fasti, beh: non è mai stato quello dei Thegiornalisti, che a un certo punto, a forza di guadagnare terreno, svoltano in Fuoricampo (2014) e lentamente entrano, con un cantato à la Dalla in aria di Malavasi e quella produzione sempre più smaccatamente Venditti 80s da sempre parte del loro Dna, nella grande danza radiofonica, e un po' credendoci e un po' ironizzando, giocano con i grandi numeri, o quantomeno iniziano a prendere confidenza da soli con l'idea di Completamente sold out (2016), abbracciano e sono abbracciatissimi dalla Carosello Records (storia vera della musica italiana, da Gaber a Modugno passando per Vasco Rossi tanto caro a Paradiso), e fanno il grande salto. Il grande salto costa giudizi, costa che qualcuno, quando dici che lasci la band abbia voglia di trascorrere sui social qualche minuto o qualche ora di discussione a insultarti, a dirti che non valevi nulla, anche quando pochi giorni prima ti sei conquistato la grande folla del Circo Massimo, che a pensare a quella penna bic nera, a dieci astanti ai primi live in provincia ci sarebbe da pensare invece a cosa ha funzionato, a cosa insegna una storia come questa, al di là dei gusti di ognuno e al di là dei dischi che ognuno tiene negli scaffali di casa. Perché questa è soprattutto una storia, che tra le altre cose non solo ha tirato fuori uno che le canzoni le sa scrivere (a prescindere da come decida e deciderà di usare il suo talento e a prescindere da quanto quell'uso ci piaccia o ci piacerà) ma ha smascherato quell'idea posticcia di indie a cui ci si aggrappava se non arrivava il successo, ha smascherato usi e abusi di un'etichetta nobile che pochi oggi sanno davvero maneggiare con dedizione, gusto della scelta per una carriera intera.
I Thegiornalisti si sono sciolti. Tommaso Paradiso: «Continuo da solo». Pubblicato martedì, 17 settembre 2019 su Corriere.it da Andrea Laffranchi. Si sono sciolti i Thegiornalisti. Tommaso Paradiso, leader e frontman del gruppo, lo ha annunciato con una serie di stories su Instagram. «Tra qualche giorno uscirà una nuova canzone. Uscirà come Tommaso Paradiso. D’ora in poi tutto ciò che scriverò e canterò non sarà più dei Thegiornalisti ma sarà Tommaso Paradiso». Era da mesi che si parlava di tensioni all’interno del gruppo che ha rivoluzionato il pop italiano. Arrivati dalla scena indie i Thegiornalisti si sono imposti nelle classifiche con gli ultimi due album «Completamente» e «Love», passando per un tormentone come «Riccione» e da tour pieni di sold out. «È stata una fantastica avventura che ci ha portato fino al Circo Massimo. Ma sapete meglio di me o come me che le storie nella maggior parte dei casi non sono eterne». Paradiso ha evitato di scendere nei dettagli: «È inutile che vi stia a raccontare le domande le dinamiche per le quali si è arrivati a questa conclusione. I problemi ce li teniamo per noi». Non c’era più equilibrio all’interno della band. Paradiso non era solo il leader, ma anche l’autore di testi e musiche. Gli altri due, Marco Rissa e Marco Primavera, non avevano quindi alcun diritto Siae e non è difficile immaginare che ci siano stati divergenze sulla divisione dei guadagni. «Ho scritto e cantato ogni singola nota ogni singola parola di tutto ciò che fino a oggi avete ascoltato. Continuerò a farlo, continuerò a farlo come Tommaso Paradiso — ribadisce il leader —. Sono stati questi ultimi mesi molto difficili: sono stato in silenzio». E ancora: «I Thegiornalisti per quel che mi riguarda non esistono più».Paradiso ha raccontato anche il disagio degli ultimi tempi, quelli che hanno portato all’ultimo concerto al Circo Massimo il 7 settembre. «Sono stato male. Per vivere bisogna stare bene, trovarsi in armonia altrimenti un sogno può diventare un incubo non sono in grado di vivere in un clima di tensione né a casa, né al lavoro, né in macchina, né in qualsiasi parte del pianeta».
Thegiornalisti, la lite fra Tommaso Paradiso e il chitarrista. Rissa su Instagram. Pubblicato mercoledì, 18 settembre 2019 da Corriere.it. E adesso come la mettiamo? Tommaso Paradiso afferma: « I Thegiornalisti per quel che mi riguarda non esistono più». Marco Rissa dice: «I Thegiornalisti continueranno». Teatro delle schermaglie fra i due (ex) compagni di band sono le Storie di Instagram. Ha iniziato il frontman Paradiso, annunciando lo scioglimento del gruppo di successi come Riccione o Felicità puttana: «Tra qualche giorno uscirà una nuova canzone. Non uscirà come Thegiornalisti ma uscirà come Tommaso Paradiso. D’ora in poi tutto ciò che scriverò e canterò non sarà più Thegiornalisti ma sarà Tommaso Paradiso. È giusto che sia così», ha scritto. E poi ci ha messo il pepe: «Ho scritto e cantato ogni singola nota e ogni singola parola di tutto ciò che fino a oggi avete ascoltato. Continuerò a farlo come Tommaso Paradiso. Se un giorno sarò dagli eventi costretto a fare spiegazioni lo farò. Per ora, vi basti solo sapere che sono tato male. E per vivere bisogna stare bene. Trovarsi in armonia, altrimenti un sogno può diventare un incubo. Non sono in grado di vivere in un clima di tensione». Rissa, il chitarrista, ha subito replicato: «I Thegiornalisti continueranno! Chi decide autonomamente di andar via può andare a cercare di guadagnare più soldi da solo. Poi se ognuno può scrivere quello che vuole sui social, io dichiaro di aver scritto tutte le canzoni dei Rolling stones». Quindi: la band orfana di Paradiso cerca un altro cantante, mentre lui proverà la carriera da solista. E il repertorio? Come spiega Andrea Laffranchi sul Corriere, Paradiso non era solo il leader, ma anche l’autore di testi e musiche. Gli altri due, Marco Rissa e Marco Primavera, non avevano quindi alcun diritto Siae e non è difficile immaginare che ci siano stati divergenze sulla divisione dei guadagni.
Addio Thegiornalisti, Tommaso Paradiso su Instagram: "D'ora in poi tutto quel che scriverò sarà a mio nome". Il cantante e frontman lascia la band, con un annuncio su una story sul social network. Ma il chitarrista e bassista Marco Antonio 'Rissa' Musella replica: "I Thegiornalisti continueranno!" Valeria Rusconi il 17 settembre 2019 su La Repubblica. "Le molte anime della band", come titolavamo appena qualche giorno fa per raccontare il grande concerto dei Thegiornalisti al Circo Massimo di Roma, dove lo scorso sabato 7 settembre il gruppo nato nella Capitale nel 2009 ha suonato davanti a 45mila persone, da questo momento in poi ne avrà meno. Anzi, solo due, visto che i componenti Marco Primavera e Marco Antonio 'Rissa' Musella hanno deciso di proseguire la carriera musicale mantenendo il nome della formazione. La loro voce, di più, il volto che tutti riconducevano a canzoni come Felicità puttana, Completamente o Riccione, però, se n'è andato. Tommaso Paradiso, tramite una storia Instagram sul proprio profilo del social network, ha annunciato la fine della band. Proprio su Instagram, i post di Paradiso non risultano più commentabili, con le ovvie polemiche del caso. Il chitarrista e bassista Musella, però, sempre tramite Instagram ha subito replicato: "Avrei voluto passare una serata tranquilla ma mi trovo costretto a rispondere che la decisione di un componente non può vincolare gli altri due. I Thegiornalisti continueranno! Chi decide autonomamente di andar via può andare a cercare di guadagnare più soldi da solo. Poi se ognuno può scrivere quello che vuole sui social, io dichiaro di aver scritto tutte le canzoni dei Rolling stones", aggiungendo un emoticon che si spertica dalle risate. "Tra qualche giorno uscirà una nuova canzone. Non uscirà come Thegiornalisti ma uscirà come Tommaso Paradiso. D'ora in poi tutto ciò che scriverò e canterò non sarà più Thegiornalisti ma sarà Tommaso Paradiso. è giusto che sia così", scrive Paradiso, affidando il lungo testo a delle schermate della sua 'story' a fondo nero, come si fa con gli episodi luttuosi. “È stata una fantastica avventura che ci ha portati fino al circo Massimo. Ma sapete meglio di me o come me che le storie nella maggior parte dei casi non sono eterne. È inutile che vi stia a raccontare le dinamiche per le quali si è arrivati a questa conclusione. I problemi ce li teniamo per noi. A voi deve rimanere tutto l’amore che in questi anni abbiamo condiviso insieme. Ovviamente ci saranno polemiche, sarò pronto a leggere e a sentire qualsiasi cosa. Si faranno congetture e si diranno inesattezze, è inevitabile. Ma d’altronde chiunque ha il diritto di esprimere la propria opinione anche se non conosce la materia trattata. Ho scritto e cantato ogni singola nota e ogni singola parola di tutto ciò che fino a oggi avete ascoltato. Continuerò a farlo, continuerò a farlo come Tommaso Paradiso”, continua il cantante. E va avanti: “Sono stati, questi ultimi, mesi molto difficili; sono stato in silenzio; volevo che il Circo Massimo fosse una grande festa e non un funerale. Ripeto, credo che non sia nobile spiegarvi il come e il perché di tutto questo. Se un giorno sarò dagli eventi costretto a fare spiegazioni lo farò. Per ora, vi basti solo sapere che sono tato male. E per vivere bisogna stare bene. Trovarsi in armonia, altrimenti un sogno può diventare un incubo. Non sono in grado di vivere in un clima di tensione, né a casa, né a lavoro, né in macchina, né in qualsiasi parte del pianeta La musica è liberazione; la musica mi ha sempre portato lontano dai guai; la musica è la mia protezione. E anche questa volta mi ha spinto altrove. Da questa mia esperienza invito tutti a conoscere e comprendere i propri limiti, cosa siamo, dove possiamo arrivare e cosa possiamo fare e dare”. E conclude: "Non vi voglio rubare altro tempo. A voi potrà sembrare che una storia sia finita e che un’altra stia iniziando. In parte è vero. I Thegiornalisti per quel che mi riguarda non esistono più. Ma esistono le canzoni, sempre e solo quelle. Quelle di prima, quelle di oggi, e quelle di domani. E io sarò con loro, con le canzoni, quelle di prima, quelle di oggi e quelle di domani. Sempre e solo loro e con loro. Non vi chiedo nulla, se non di tentare di avere un po’ di delicatezza nel voler cercare di esprimere sacrosante opinioni sulla vicenda. Le cose accadono ragazzi; è insito nella natura mutevole dello spazio e del tempo. Sempre vostro, io". E mentre la band si è chiusa in un silenzio di tomba sulle cause che hanno portato alla separazione, solo un mese fa, in un'intervista all'Huffington Post datata 8 agosto, gli altri due componenti, Marco Primavera e Marco 'Rissa' Musella, rispondendo alle voci pubblicate sul settimanale Chi che li volevano prossimi allo scioglimento dicevano: "Aria di crisi? Ma no. Ci siamo visti pochi giorni fa, prima di partire per le vacanze, e riguardo l’articolo che ipotizzava il nostro scioglimento ci siamo fatti una risata". Nell'articolo, raccontavano anche un particolare molto significativo della loro formazione: "Era il 2009 quando, proprio nelle vicinanze del Circo Massimo e dei Fori Imperiali, ci dicevamo di voler formare il gruppo". E ora, dove tutto è cominciato, è anche finito. (Quasi) completamente.
Claudio Fabretti per Leggo.it il 18 settembre 2019. «I Thegiornalisti non esistono più». Affida a un messaggio su Instagram l'epitaffio di una delle band di maggior successo degli ultimi anni, il suo leader, Tommaso Paradiso. Più che uno scioglimento, un'eutanasia, per una sigla tanto fortunata quanto, di fatto, espressione soprattutto di una persona sola, il suo barbuto frontman, per l'appunto. Nel lungo messaggio pubblicato nelle storie del suo profilo Instagram, Paradiso aggiunge ulteriori dettagli: «Tra qualche giorno uscirà una nuova canzone. Non uscirà come Thegiornalisti ma uscirà come Tommaso Paradiso. D'ora in poi, tutto ciò che scriverò e canterò non sarà più Thegiornalisti ma sarà Tommaso Paradiso. È giusto che sia così. È stata una fantastica avventura che ci ha portato fino al Circo Massimo. Ma sapete meglio di me o come me che le storie nella maggior parte dei casi non sono eterne». Il nuovo brano della ditta Paradiso, che sarà incluso nella seconda stagione della serie Baby di Netflix, potrà contare su un altro ritornello-killer dei suoi, con le parole «Non aver paura di dormire da sola». C'è chi giura che si tratti di uno dei brani più riusciti dell'autore romano. Non è stata una scelta facile, in ogni caso, a detta del capobanda, che non nasconde qualche amarezza: «Ho scritto e cantato ogni singola nota e ogni singola parola di tutto ciò che fino ad oggi avete ascoltato. Continuerò a farlo. Sono stati, questi ultimi, mesi molto difficili; sono stato in silenzio; volevo che il Circo Massimo fosse una grande festa e non un funerale. Credo che non sia nobile spiegare il come e il perché di tutto questo. Se un giorno sarò dagli eventi costretto a dare spiegazioni lo farò. Per ora, vi basti solo sapere che sono stato male», scrive Paradiso. Quella dei Thegiornalisti è stata un'incredibile ascesa, dalle prime produzioni indie ai grandi successi pop Completamente, Riccione, Felicità puttana che hanno dominato le classifiche dal 2016 ad oggi, fino all'apoteosi live del 7 settembre al Circo Massimo. Una storia che ora è finita. In Paradiso.
Inferno tra Thegiornalisti: caccia al nuovo paradiso. Claudio Fabretti per Leggo.it il 19 settembre 2019. Altro che Paradiso. Tra il cantante scissionista dei Thegiornalisti e i superstiti della band volano stracci (via social). Insomma, per citare una loro canzone, zero stare sereno. Già poco dopo l’annuncio dell’addio del cantante, era arrivata la velenosa replica del chitarrista Marco “Rissa” Musella, deciso a non mollare, assieme al batterista Marco Primavera: «I Thegiornalisti continueranno. Chi decide autonomamente di andar via può andare a cercare di guadagnare più soldi da solo». Poi, nella notte, lo stesso Rissa, sempre a mezzo Instagram, ha denunciato: «Ci hanno tolto le password dell’account della band». Altro che Felicità puttana, insomma. La guerra si preannuncia solo agli inizi, con Paradiso deciso più che mai a tirare dritto da solo e i due ex-compari già pronti a rimpiazzarlo. Il manager Giuseppe Cavallaro assicura che presto usciranno degli inediti dei Thegiornalisti e che ci sarà una nuova voce. Il primo nome che è rimbalzato è quello di Leo Pari. Del resto, già il fatto che due terzi della band avessero manager e ufficio stampa diverso dal frontman aveva destato più di un sospetto sull’imminente scissione. Quel che è certo è che la notizia dell’addio di Paradiso, oltre a impazzare sui social, sta scatenando discussioni a non finire tra fan e detrattori della band itpop. «Da Thegiornalisti a Thestagisti», ironizza qualcuno. Nel mirino degli utenti finisce soprattutto «Tommy Paradise», “colpevole” di aver «detto neanche troppo velatamente che ha sempre fatto tutto lui e che gli altri non valgono un cazzo», riassumono alcuni, mentre altri consigliano vivamente al cantante di «volare basso». Inevitabile la vagonata di analogie con l’addio di Renzi. «Parlateci di Riccione!» il grido di battaglia, mentre si sogna un’unione impossibile: «Matteo Renzi e Tommaso Paradiso si coalizzano e fondano Italia Puttana». «++Franceschini nuovo frontman dei #thegiornalisti++», gli fa eco Alessio Viola. Il nome della nuova formazione? Nessun dubbio: «TheItaliaViva».
Valeria Rusconi per La Repubblica il 18 settembre 2019. "Thegiornalisti vanno avanti". Punto e a capo. Giuseppe Cavallaro, manager del bassista Marco Antonio 'Rissa' Musella e del batterista Marco Primavera, risponde duramente al lungo post pubblicato ieri sera su Instagram in cui Tommaso Paradiso, voce e - parole sue - compositore e cantante di "ogni singola nota e ogni singola parola di tutto ciò che fino a oggi avete ascoltato", annuncia lo scioglimento del gruppo. "Parlo a nome dei ragazzi e vi dico che la band proseguirà la sua avventura", continua Cavallaro, "ci sono degli inediti che usciranno, ci sarà un nuovo frontman, molte belle cose che accadranno ancora". Il 'nuovo' cantante, dicono alcune indiscrezioni fuoriuscite dall'entourage, potrebbe essere Leo Pari, amico fraterno di Tommaso Paradiso e già collaboratore della formazione romana - era sul palco del concertone al Circo Massimo - che, in questo modo, si troverebbe in una posizione alquanto spinosa. Gli ex colleghi di Paradiso e, a questo punto, anche ex amici, i fatti devono però essere guardati da una prospettiva differente, come ha scritto Musella: "Chi decide autonomamente di andar via può andare a cercare di guadagnare più soldi da solo. Poi se ognuno può scrivere quello che vuole sui social, io dichiaro di aver scritto tutte le canzoni dei Rolling Stones". Intanto le polemiche interne a quello che fino a pochi mesi fa era il gruppo scaturito dal circuito indie e diventato uno dei maggiori fenomeni pop italiani, continuano con toni sempre più aspri. Musella ha infatti pubblicato una nuova storia su Instagram in cui denuncia di essere stato estromesso dall'account ufficiale di Thegiornalisti: "In molti - scrive il chitarrista - segnalate che non riuscite a commentare la pagina Instagram dei Thegiornalisti. Non è nostra intenzione togliervi il diritto di parola e di opinione. Purtroppo, come nella story precedente, sono costretto a scrivere dal mio profilo privato che ci hanno tolto le password e né io né Marco (Primavera, ndr) possiamo entrare e sbloccare i commenti. Mi dispiace ragazzi".
Carlo Moretti per La Repubblica il 18 settembre 2019. Tutti ora fanno il suo nome, lo tirano per la giacca, lo vogliono già sul palco al posto di Tommaso Paradiso. Ma lui continua a ripetere che non ne sa nulla, "per me è ancora un gigantesco "no comment", ho le mie canzoni a cui pensare, il mio prossimo disco uscirà il prossimo anno". Quarantuno anni, romano, Leonardo Pari, noto come Leo Pari, è innanzitutto un cantautore anche se da sempre interessato anche alla ricerca sonora e all'aspetto produttivo della musica: "Oggi i cantautori sono molto diversi rispetto al passato", ci ha detto Pari in un'intervista spiegando il suo approccio alla musica. "Oggi noi avvertiamo le influenze di tanti generi diversi, dal rap all’elettronica pura: in questo siamo più vicini a Lucio Battisti che ai cantautori tradizionali, il riferimento a lui è nel suono, era l’unico che sia riuscito a fare produzioni con un sound internazionale". Pari ha realizzato sette album ed è attualmente al lavoro sul suo ottavo disco che conta di far uscire nel 2020. In questi giorni il musicista romano è in Puglia al lavoro con i Viito. Non si tratta dell'unica collaborazione, in questi anni Pari ha suonato molto anche con altre band: ha collaborato ai testi e suonato con Simone Cristicchi, con Niccolò Fabi, con Roberto Angelini, con Roy Paci (e dal 2013 sono insieme nel Collettivo Dal Pane proprio con Paci, Angelini, Pino Marino e altri). Grande estimatore della musica di Battisti, Pari ha creato un gruppo, i Lato B, con il quale ha suonato in diversi concerti per intero il disco del cantautore di Poggio Bustone Anima latina, e ha poi continuato ad esibirsi insieme al cantautore Filippo Graziani, figlio di Ivan, con il quale suonavano i classici di Battisti e Mogol. Si vedrà se la storia dei Thegiornalisti finirà con il dissolvimento totale come quella dei Lùnapop dopo l'uscita di Cremonini o come quella dei Pooh dopo l'uscita di Riccardo Fogli, che al contrario è stata lunga e piena di successi. Di sicuro gli altri membri della band vogliono andare avanti e dunque il posto di Tommaso Paradiso è da considerarsi vacante. Le voci che vorrebbero Pari nel ruolo del frontman sono insistenti, lui nicchia ma in tanti considerano il suo coinvolgimento come l'ideale prosecuzione di una collaborazione artistica di molti anni oltre che di una lunga amicizia con la band.
Thegiornalisti, è scontro sul web. Pubblicato mercoledì, 18 settembre 2019 su Corriere.it da Sandra Cesarale. Accese discussioni dopo l’annuncio dello scioglimento della band su Instagram. Mentre circola già il nome del nuovo frontman. Da Thegiornalisti a Theavvocati. L’ironia corre sul web dopo che il frontman Tommaso Paradiso ha annunciato di abbandonare la band romana: «I Thegiornalisti per quel che mi riguarda non esistono più». Dall’altra parte, il management del bassista Marco Antonio «Rissa» Musella e del batterista Marco Primavera, rilancia: non solo i Thegiornalisti continueranno a vivere ma il cantante che sostituirà Paradiso è già pronto. Il più accreditato nel «totonomi» è il cantautore romano Leo Pari. Lui sui social non conferma (ma non smentisce): «Io voglio bene tanto a Tommaso Paradiso quanto a Marco Rissa, sono miei amici seri. Tutto il resto sono solo chiacchiere», fa sapere. E in un altro post aggiunge: «Calma ragazzi». Il web è scatenato. Nella giornata dell’addio al Pd di Matteo Renzi (Italia viva è il nome del nuovo partito che ha fondato) accomuna la politica alla musica, crea fotomontaggi e meme sovrapponendo le due scissioni. Così «il prossimo gruppo di Tommaso Paradiso si chiamerà Musica Viva», il volto del senatore ex Pd compare nelle foto al posto di quello di Paradiso. «Peggio di chi ti lascia via WhatsApp c’è solo chi ti lascia via Instagram stories», ironizza un’utente. «Chissà se sul gruppo WhatsApp dei Thegiornalisti Tommaso Paradiso avrà mandato un vocale di 10 minuti soltanto per dire che si sono sciolti...» è un tweet che rimanda al tormentone di Felicità puttana. Altro riferimento ai loro brani: «Siete stati comunque la Nazionale del 2006». Non bastasse, il chitarrista Marco Rissa ha denunciato di nuovo sui social di essere stato privato con Marco Primavera della password dalla pagina ufficiale dei Thegiornalisti. Costretti a scrivere dai loro account privati, dicono di non poter sbloccare i commenti dei fan che scrivono sui profili del gruppo.
Da Adnkronos il 18 settembre 2019. Terzo round fra quel che resta dei Thegiornalisti contro Tommaso Paradiso. Dopo l'annuncio a sorpresa dello scioglimento da parte del frontman della band indie e la risposta al vetriolo del chitarrista, Marco Rissa torna a parlare su una nuova story di Instagram denunciando: "Ci hanno tolto le password" del profilo ufficiale del gruppo. "In molti - scrive infatti il chitarrista - segnalate che non riuscite a commentare la pagina Instagram dei Thegiornalisti. Non è nostra intenzione togliervi il diritto di parola e di opinione. Purtroppo, come nella story precedente, sono costretto a scrivere dal mio profilo privato che ci hanno tolto le password e né io né Marco (Primavera, ndr.) possiamo entrare e sbloccare i commenti. Mi dispiace ragazzi".
I Thegiornalisti si spaccano, Marco Musella risponde a Paradiso. Sembra essere iniziata una battaglia tra i componenti dei Thegiornalisti e Tommaso Paradiso, che ha abbandonato il gruppo. Tra il chitarrista e l'ex frontman uno scambio di messaggi social al veleno. Francesca Galici, Mercoledì 18/09/2019, su Il Giornale. La rottura tra Thegiornalisti e Tommaso Paradiso non è stata serena. Lo strappo sembra essere stato traumatico e, anche se nessuno finora ha voluto rendere note le motivazioni di questa separazione, sui social da qualche ora stanno volando gli stracci tra i componenti del gruppo. Eppure, solo qualche giorno fa la band ha incantato Roma con il concerto al Circo Massimo. Il primo a lanciare la bomba nel tardo pomeriggio è stato Tommaso Paradiso, che tramite un lungo comunicato affidato alle sue storie ha annunciato che a breve inizierà la carriera da solista dopo aver lasciato i Thegiornalisti. Non ha usato parole concilianti ma in alcuni passaggi è stato piuttosto caustico contro il gruppo che l'ha reso noto e la maggior parte delle persone, leggendo il suo messaggio, hanno intuito che i Thegiornalisti non esistono più. Al comunicato di Tommaso Paradiso ha fatto però seguito quello di Marco Musella, chitarrista della band romana, che ha utilizzato lo stesso mezzo per comunicare la sua versione dei fatti. “Avrei voluto passare una serata tranquilla ma mi trovo costretto a rispondere che la decisione di un componente non può vincolare gli altri due. I Thegiornalisti continueranno! Chi decide autonomamente di andar via può andare a cercare di guadagnare più soldi da solo”, scrive Musella in pieno disaccordo e polemica con le parole di Tommaso Paradiso. È stato forse un passaggio successivo, però, a scatenare la rabbia degli altri due componenti dei Thegiornalisti, ossia una storia pubblicata in un secondo momento da Tommaso Paradiso: “Ho scritto tutto, testi e musica, di ogni singola canzone da “Io non esisto” a “Maradona y Pelè”. Continuerò a cantarle dal vivo, a farvele ascoltare a farvele gridare. Non avere Paura.” A questo, Marco Musella ha risposto in maniera molto chiara, con parole che preannunciano una possibile battaglia per i diritti delle canzoni del gruppo: “Se ognuno può scrivere quello che vuole sui social, io dichiaro di aver scritto tutte le canzoni dei Rolling Stones.” Quale sarà la prossima mossa?
Thegiornalisti, Leo Pari: "Travolto da un ciclone ma non dico né no né sì". Il cantautore romano, a lungo collaboratore della band, risponde con un "No comment" alle voci che lo vorrebbero prossimo frontman del gruppo dopo la fuoriuscita di Tommaso Paradiso. Ma sembra lasciare una porta aperta. Carlo Moretti il 18 settembre 2019 su La Repubblica. “La mia risposta alle voci di un mio coinvolgimento nei Thegiornalisti è un no comment grande come una casa. Soprattutto perché ho da pensare alle mie cose, alle canzoni dell’album a cui sto lavorando e che uscirà nel 2020: un argomento che mi sta molto a cuore”. Niente da fare, Leo Pari non si sbilancia. Dopo l’addio di Tommaso Paradiso ai Thegiornalisti, tutti lo tirano per la giacca, lo vorrebbero già al posto del frontman della band. Del resto Leo canta, scrive canzoni, e soprattutto è stato per anni stretto collaboratore oltre che amico della band.
Era sul palco con loro anche per il concerto al Circo Massimo, atto finale della band romana per come l’abbiamo conosciuta finora. In un caso come questo, con un no comment si lascia una porta aperta…
“Non è né un sì né un no, è che non ho un’opinione a riguardo”.
Lei era sul palco al Circo Massimo, come ha vissuto l’annuncio dell’uscita di Tommaso Paradiso dalla band?
“Sono stato travolto anch’io da questo ciclone mediatico, mi ha telefonato il mondo intero. Quello che posso dire è che sono molto dispiaciuto che ci sia stato questo Big Bang, che persone molto care si ritrovino oggi a litigare ai ferri corti”.
Lei poi lo ha vissuto dall’interno fino all’atto finale della storia del gruppo, il concerto al Circo Massimo.
“Siamo stati come una famiglia per tanti anni, vedere su questa storia la parola fine non può certo farmi piacere”.
Negli ultimi tempi aveva notato segnali di una possibile rottura?
“Io, onestamente, come musicista mi sono sempre fatto i fatti miei. Poteva esserci qualche discussione ma com’è naturale in qualsiasi band, e comunque tutto è stato sempre gestito con il massimo della professionalità e nel rispetto reciproco. Può accadere che i gruppi si sciolgano”.
Vero, com’è vero che possono anche continuare in forme nuove.
“Non so cosa abbiano deciso i Thegiornalisti, ma che i gruppi possono continuare dopo l’uscita del cantante lo dice la storia: i Genesis, i Beach Boys… e di nomi se ne potrebbero fare moltissimi altri”.
Qual è stato esattamente il suo ruolo all’interno della collaborazione con la band?
“Suonavo con loro dal vivo, cercando di dare il mio apporto alle tastiere e cantavo quello che dovevo cantare, semplicemente questo”.
Rispetto alla questione su chi fosse l’autore di musiche e testi all’interno del gruppo lei che idea si è fatto?
“Nessuna idea, per sapere chi è l'autore e di cosa basta guardare le copertine dei loro album, è obiettivo: Tommaso ha scritto le canzoni e poi ci sono state varie collaborazioni. Nulla di particolare, come fanno gli autori in questo momento”.
Se chi resta nei Thegiornalisti la coinvolgesse, la band avrebbe a disposizione un autore in più, oltre che un cantante.
“Di autori ce ne sono tanti in giro, e davvero non so che intenzioni abbiano”.
Il suo stile musicale assomiglia a quello dei Thegiornalisti e fisicamente lei somiglia anche un po’ a Paradiso…
“Quella che mi sta raccontando è la trama di un film dell’orrore. E poi ci sono le canzoni del mio album che mi aspettano”.
Paolo Giordano per “il Giornale” il 19 settembre 2019. L' uscita di Tommaso Paradiso dai Thegiornalisti ha scatenato i social network come non accadeva da un bel po'. Complice la concomitanza di un'altra uscita, quella di Renzi da Pd. Ovvio che molti abbiano scritto che Renzi sarà il nuovo cantante dei Thegiornalisti o che la nuova band di Tommaso Paradiso sarà Italia Viva. E via così, con la solita gragnuola di ironia spesso greve, qualche volta simpatica, raramente memorabile. Senza dubbio l'annuncio di Tommaso Paradiso a social unificati è stato l' ultimo atto di un' uscita ampiamente annunciata dai rumors ma smentita da due terzi della band. Mentre Tommaso Paradiso è rimasto in silenzio (su questo aspetto) per mesi, al Giornale il batterista Marco Primavera in agosto ha dichiarato che «sia io che Rissa (il terzo componente Marco Antonio Musella, ndr) abbiamo deciso di avere un manager che si occupi della gestione. È un argomento che spesso un musicista non sa affrontare in un modo all' altezza della situazione. Tutto qui. Forse, vista dall' esterno, questa può sembrare una mossa in vista dello scioglimento. Ma non mi risulta proprio». Dopo queste parole, sembrava che i problemi fossero risolti. In realtà, come si è visto, i Thegiornalisti non si sono sciolti ma le condizioni hanno portato Tommaso Paradiso a uscire dal gruppo. Naturalmente, come spesso accade, il pubblico si è diviso tra pro e contro. All' osservatore esterno risulta difficile capire come si possa essere arrivati a questo punto. Nella storia della musica, quasi sempre le band sono costruite intorno a un leader che ha saputo scegliersi validi gregari. Senza fare paragoni, nei Rolling Stones, i leader sono Mick Jagger e Keith Richards mentre Ron Wood o Charlie Watts, pur essendo memorabili musicisti, hanno accettato il loro onorevolissimo ruolo magari a denti stretti ma senza polemizzare pubblicamente. La sensazione è che nei Thegiornalisti sia prevalsa un' altra idea. Solo il futuro confermerà chi ha ragione. Il passato aiuta a capire che le band senza il loro leader naturale hanno quasi sempre faticato a sostituirlo, arrivando in breve a sciogliersi oppure ad accontentarsi di una mesta routine legata al passato. Per ricollegarsi alle vicende politiche, può essere che l' enorme successo dei Thegiornalisti (confermato dai 45mila paganti al Circo Massimo del 7 settembre, cioè l' altro ieri) abbia ingenerato nei «gregari» l' illusione di potercela fare anche da soli. Indiscrezioni confermano che si muovevano da tempo in questa direzione. Adesso si ritrovano senza il «volto» della loro musica e devono cercarne un altro. La storia della musica conferma che non sempre, anzi quasi mai, le band raggiungono lo stesso successo quando cambiano un elemento fondamentale nel pop come il cantante. Specialmente ora, nell' epoca feroce dell' immagine a tutti i costi.
Carlo Moretti per “la Repubblica” il 21 settembre 2019. «Non ne sapevamo nulla». La travagliata separazione dei Thegiornalisti a dieci giorni dal concerto Love al Massimo di fronte ai 40 mila spettatori del Circo Massimo di Roma si arricchisce di un nuovo, polemico capitolo. Il retroscena riguarda i modi e i tempi scelti per comunicare la propria decisione di lasciare da parte di Tommaso Paradiso, l' ormai ex cantante della band romana. «Non eravamo a conoscenza delle decisioni prese da Tommaso Paradiso in merito all' improvvisa uscita dai Thegiornalisti », dicono il batterista della band Marco Primavera e il chitarrista Marco Musella. Perché «come da noi affermato prima e subito dopo il concerto del 7 settembre, avevamo più volte esplicitato tutti e tre inter nos la volontà di continuare questo percorso insieme». Ma c' è di più. I due, che hanno già espresso la volontà di portare avanti il progetto Thegiornalisti anche senza il loro ormai ex frontman, e dunque coinvolgendo un altro cantante per il quale si è fatto da più parti il nome del loro collaboratore storico, il tastierista e cantante Leo Pari, non hanno gradito la scelta di Paradiso di comunicare con una story via Instagram la decisione di lasciare: «Prendiamo le distanze anche dalle modalità via social con cui la notizia sia stata comunicata e ce ne scusiamo con il nostro pubblico». Quanto poi ad alcune dichiarazioni concernenti le attività future della band, per i due membri dei Thegiornalisti «non sono mai state autorizzate e sarà cura del nostro management ufficiale, Dino Vitola Editore, rendere note le nostre scelte». Intantoil, 25 settembre Tommaso Paradiso pubblicherà il suo primo singolo da solista. Si intitola Non avere paura ed è il brano scelto da Netflix per accompagnare il trailer della seconda stagione della serie Baby, disponibile dal 18 ottobre. Scritto da Paradiso e prodotto da Dardust, già tastierista da due anni per i Thegiornalisti, il brano racconta le sensazioni di un amore speciale, il desiderio di proteggere e prendersi cura della persona amata. Non è la prima volta che il nome di Paradiso viene associato al cinema: a maggio il cantante rivelò che stava lavorando al suo «primo film da regista e sceneggiatore: sarà una commedia romantica, un po' malinconica. Per lavorare al film mi prenderò il tempo che serve, sarà legato al mondo della musica, da lì usciranno alcune canzoni per il prossimo album dei Thegiornalisti, con una che ho già in testa e che sicuramente darà il titolo». Poi l' estate non ha portato consiglio.
"Thegiornalisti? Tutto bene. A Roma sarà la nostra festa". Il batterista della band rivelazione del pop: «Prevendite basse? I dati dicono il contrario». Paolo Giordano, Mercoledì 07/08/2019, su Il Giornale. Marco Primavera è il batterista dei Thegiornalisti, la band rivelazione che negli ultimi tre anni ha inanellato più successi di chiunque altro. «Ma siamo in pista da dieci anni», dice lui che ha studiato all'Accademia di Musica del quartiere Testaccio a Roma. Anche se ha iniziato tardi, ossia intorno ai 15 anni, il suo è uno stile pulito, preciso nella scansione dei tempi e soprattutto mai invasivo, cosa che diventa un pregio in una band pop. Finora Marco Primavera si è sempre concentrato sulla musica ed è praticamente la prima volta che fa un pubblico «giro d'orizzonte» sulla band che ha contribuito a fondare. Da Completamente a Felicità puttana, la discografia dei Thegiornalisti è una processione di tormentoni e primi posti in classifica come raramente capita. La formula è semplice e sofisticata allo stesso tempo. Dopo anni più vicini al percorso «indie» e suoni incentrati intorno alla chitarra, i Thegiornalisti si sono avvicinati a quello che il loro frontman, l'esuberante e gettonatissimo Tommaso Paradiso, ha definito forse un po' sbrigativamente «pop sognante, come faceva Antonello Venditti». In questi anni i Thegiornalisti hanno mostrato di avere la password d'accesso a un enorme pubblico traversale aggiornando la struttura musicale anni Ottanta e raccontando storie attuali come in New York o nel nuovo Maradona y Pelè che è stato anche il più trasmesso in radio. Dopo un anno dall'uscita, la band celebra il disco Love (uscito quasi un anno fa) il 7 settembre con un concerto al Circo Massimo di Roma. Una sfida che, come tutte, ha margini di rischio ed è quindi entusiasmante.
Manca un mese esatto.
«Con Tommy (Tommaso Paradiso - ndr) e Rissa Musella ci siamo visti pochi giorni fa prima di partire per le vacanze. Ora uno è in California, l'altro in Calabria e io in Puglia. Ci rivedremo intorno al 20 di agosto per fare le prove del concerto al Circo Massimo».
Qualcuno parla di «rischio flop».
«Mi sembra di aver capito che nella musica funziona come nella politica: c'è sempre qualcuno che vuole fare lo sgambetto a qualcun altro. In questo caso, si dice che siano stati venduti circa 25mila biglietti, anche se io ho dati che mi mostrano numeri maggiori».
In ogni caso, non sono pochi. I Rolling Stones hanno raccolto 71mila spettatori nel 2014, ma è un altro pianeta.
«Il tutto esaurito non è l'unica condizione per fare un concerto. In ogni caso, a vedere i Thegiornalisti ci saranno ben più di venticinquemila spettatori e saranno tutti in piedi, non seduti come in altri casi».
Che concerto sarà?
«Sarà una festa per celebrare i nostri primi dieci anni insieme. Soprattutto, sarà uno show molto diverso da quello che abbiamo portato in giro finora durante un tour che ha avuto grandi numeri. Dopotutto è una occasione particolare, non avrebbe senso replicare lo stesso copione».
Quindi?
«Ripercorreremo la nostra storia e prepareremo una scaletta sorprendente con un bel po' di pezzi inattesi. E poi il palco sarà aperto alla maniera dei Coldplay».
E come vanno le cose all'interno della band?
«Tutto bene direi. Si litiga come in ogni famiglia, ma solo per cose inerenti alla musica, come in ogni band».
Tommaso Paradiso è stato il «frontman» anche con la stampa.
«Certo, Tommy è un comunicatore molto forte, anche se non ci siamo mai seduti attorno a un tavolo per decidere chi dovesse parlare».
Hanno scritto che sareste sul punto di sciogliervi.
«Sì ho letto anche io un piccolo articolo su Chi che riportava questa voce. Ma non è così».
E allora com'è?
«Semplicemente, sia io che Rissa abbiamo deciso di avere un manager che si occupi della gestione. È un argomento che spesso un musicista non sa affrontare in un modo all'altezza della situazione. Tutto qui. Forse, vista dall'esterno, questa può sembrare una mossa in vista dello scioglimento. Ma non mi risulta proprio. Il futuro è imprevedibile per tutti, ma al momento non c'è proprio questa intenzione. Adesso siamo concentrati sul più importante concerto della nostra carriera».
“PER I GIORNALI DOVEVAMO ESSERE 15 E INVECE…” Francesco Persili per Dagospia l'8 Settembre 2019. “Per i giornali dovevamo essere 15 e invece…”. Tommaso Paradiso si gode il Circo Massimo in “Love” per i Thegiornalisti e dal palco alza la voce contro i critici che avevano parlato di una partecipazione di pubblico largamente inferiore alle attese degli organizzatori. “Meglio non parlarne, godiamoci ‘sto cazzo de flop”. Poi sui social si toglie “qualche sassolino” che si portava dietro “da tutta l’estate”: “Ieri eravamo 45mila anime anche se molti hanno sperato (e scritto) fino all’ultimo che sarebbe stato un flop. Che poi detto tra noi…ma sticazzi”. E ancora: “Che poi quando scrivete questi articoli sarebbe il caso di menzionare che prima di questa data ci sono stati solo a Roma sei palazzi dello Sport (sold out). Ma basta con ‘ste stronzate. Passiamo al cuore immenso, alle lacrime, alla magia e alla follia di ieri sera…” Le polemiche che hanno preceduto la festa di chiusura del tour “Love” hanno lasciato il segno. Le voci di crisi all’interno della band e di un imminente scioglimento (smentite dai diretti interessati), le tensioni che hanno preceduto il live, il confronto inevitabile con gli artisti che hanno calcato il palco del Circo Massimo (e con Ultimo che viaggia verso il sold-out per il concerto del 2020) hanno sovraccaricato di veleni e elettricità la vigilia. I Thegiornalisti non saranno i Rolling Stones, Tommaso Paradiso non sarà Springsteen, Roger Waters e nemmeno Antonello Venditti ma scodella un racconto generazionale che viaggia leggero tra “la strada e le stelle”, “tette sudate e mani sul culo”, amore e cazzeggio, irriducibili malinconie e un solido immaginario ’80-‘90 (“Fantozzi e Bud Spencer, Verdone e De Sica, Tarantino e le sette stelle di Okuto”). Occhiali da sole che faticano a schermare le emozioni e la voglia di fare bella figura “nel salotto di casa”, "Tommy Paradise" scioglie la tensione con l'applauso al termine del duetto con Franco 126, “il più grande autore che abbiamo in questo momento in Italia”: “Roma ci dà ancora delle soddisfazioni”. Non è Vasco ma prova lo stesso a elemosinare qualche reggiseno tra le sue groupies, non è un intrattenitore ma si diverte a portare in scena l’atmosfera scanzonata che accompagna le cene (e le dirette social) con il suo amico Pierluigi Pardo ad iniziare dal tormentone “Qualità”. Il concerto alterna momenti intimisti e cantautorali (“Proteggi questo tuo ragazzo”) ai ritornelli più radiofonici che i pischelli intonano a ugola spiegata. Immancabili Calcutta e poi Elisa che fa ballare anche i pali con Takagi e Ketra sulle note di “Da Sola/In The Night”. In quella che Tommaso Paradiso ha definito “la notte più bella della sua vita” non poteva mancare Luca Carboni, “padre dell’it-pop”. Insieme cantano “Luca lo stesso”, brano che porta anche la firma del frontman dei “Thegiornalisti. Ma forse con Elisa e Luca Carboni si poteva azzardare un set di canzoni più ricco. Sarà per il prossimo concerto. Se di Tommaso Paradiso o ancora dei Thegiornalisti, si vedrà.
Michele Monina per linkiesta.it l'8 Settembre 2019. Circa nove anni fa ho accettato la proposta del mio amico Simone di partecipare a una partita di calcio in un campo regolamentare, undici contro undici. Arrivavo da anni di saltuarie partite a calcetto, me ne sono reso al primo tentativo di discesa sulla fascia, conclusosi con dolori lancinanti alla milza e totale assenza di fiato. Tutto molto imbarazzante. Ma mai quanto lo è stato il provare un colpo che, in gioventù, tante soddisfazioni mi ha dato. Sono ambidestro, con una certa predilezione per il sinistro. Un mio grande classico è stato per anni il tiro da fuori area di sinistro, a rientrare, indirizzato all'incrocio opposto. Questo ho provato a fare circa un paio di metri fuori dell'area di rigore, verso l'angolo a sinistra. Ho provato a fare un tiro mirando all'incrocio più lontano, contando su un effetto che un tempo mi riusciva piuttosto bene. Ho prima scartato l'avversario, fingendo un tiro di destro e mettendolo a sedere, mi sono sistemato la palla sul sinistro e, complice una breve rincorsa, ho scaricato quella che nella mia testa era la bomba destinata a far gonfiare la porta. Tutto molto bello, nella mia testa. Nei fatti è successo che ho caricato il tiro, l'ho fatto e la palla non è neanche arrivata all'altezza del dischetto. Un tiro loffio di quelli che, fossimo stati in una puntata di Paperissima, avrebbero accompagnato con un suono di tromba che stona. La palla lì a rimbalzare lentamente, lo stopper che, ridacchiando, la faceva propria e la rilanciava verso la nostra metà campo con molta più virulenza di quanta io fossi riuscito a esprimere. Pensavo di sfoggiare un numero da fuoriclasse, segnare un goal da antologia, mentre ho rimediato quella che, tecnicamente, è stata una clamorosa figura di merda, il più classico esempio di “passo più lungo della gamba”. Ecco, oggi parliamo di un passo più lungo della gamba. Di un tiro che nelle intenzioni vorrebbe essere una bomba sparata a rientrare nell'incrocio lontano, da fuori area, ma che nei fatti si dimostra una micetta che neanche arriva al dischetto, in pasto a uno stopper che la natura neanche ha dotato di quella che dovrebbe essere cattiveria naturale. Parliamo del concerto che i Thegiornalisti hanno organizzato per il 7 settembre al Circo Massimo, concerto intitolato non troppo fantasiosamente Love al Massimo, essendo Love il titolo dell'ultima fatica di studio della band di Tommaso Paradiso e gli altri due tizi di cui si ignorano nomi e fattezze e il Circo Massimo la location scelta per l'occasione. Ultima tappa di un tour di grande successo, i comunicati parlano di tutti sold out e di oltre duecentocinquantamila spettatori paganti, figlio di un paio d'anni incredibili che ha visto la band di Tommaso Paradiso e gli altri due tizi di cui si ignorano nomi e fattezze sfornare singoli su singoli e, soprattutto, incontrare un successo mainstream davvero inspiegabile, sulla carta e anche non sulla carta. Un concerto, quello chiamato Love al Massimo, che vedrà Tommaso Paradiso e gli altri due tizi etc etc salire sul medesimo palco anche parecchi ospiti illustri, tutti in qualche modo legati a Paradiso stesso, Calcutta, Luca Carboni, Elisa, Takagi e Ketra, Franco 126, Dardust. Insomma, un grande show a coronamento di un grande tour e di un grande periodo. Solo che, veniamo alle dolenti note, come se non fossero già abbastanza dolenti le note che Tommaso Paradiso e... va beh, ci siamo capiti, già emettono nell'aria di loro, il concerto al Circo Massimo, chiamato Love al Massimo, non è esattamente quel che si potrebbe definire un successone. Cioè, sei la band del momento, quella che tra Riccione, Felicità puttana, Maradona y Pelè e Dio volendo non ricordo quanti altri singoli, si è imposta come una delle realtà più di successo del momento, hai fatto tutte date dichiarate sold out, hai fatto staccare duecentocinquantamila biglietti, decidi di chiudere con un mega evento al Circo Massimo, location importante che ha visto salire sul palco gente come Roger Waters, i Rolling Stones, Paul McCartney, Bruce Springsteen, Laura Pausini (no, scherzavo, Laura Pausini ha suonato in un angoletto del Circo Massimo, di fronte a quindicimila paganti, come se uno dicesse di aver fatto un concerto a Piazza Duomo e ha suonato nelle aiuole dove ci sono le tanto vituperate palme, per capirsi). Insomma, un posto importante, con una capienza importante, importantissima, con i picchi dell'oltre mezzo milione che ascoltarono Venditti quando la Roma vinse lo scudetto, certo inarrivabili, ma anche coi sessantamila di Springsteen, per Mc Cartney, i cinquantamila per Roger Waters, gli oltre settantamila per i Rolling Stones. Insomma, decidi di fare i conti con un posto importante, vuoi fare il cazzone e sparare una bordata a rientrare di sinistro da fuori area. Solo che hai fatto i conti senza l'oste, che nello specifico non è l'incedere implacabile del tempo, come nel mio caso in quella benedetta partita di calcio a Loreto, ma il fatto che non sei Paul Mc Cartney, non sei i Rolling Stones, non sei Bruce Springsteen e non sei manco Roger Waters. Seppur lo copi in tutte le salse, poi, non sei manco vagamente Antonello Venditti, sei Tommaso Paradiso e la tua band, quella che condividi coi due tizi di cui sopra, che non riesce a portare in quel posto più di 30 mila persone. Come dire che di quello spazio enorme verrà occupata una porzione piuttosto piccola. Certo, sei di Roma, e il Circo Massimo è il Circo Massimo, anche se tifi Lazio e il ricordo di Venditti e del mezzo milione di persone non deve farti neanche troppo piacere, ma magari sarebbe stato più saggio optare per un posto un po' meno ampio, da riempire più facilmente e meglio. Invece niente, siamo ancora lì, dopo tanti anni, tanti successi per me inspiegabili, tanti singoli piazzati, tanti biglietti strappati, nonostante Maradona y Pelè, nonostante i tanti ospiti, nonostante il battage pubblicitario anche stavolta tocca dirlo: completamente sold out stocazzo. Tommà, mi regali sempre grandi soddisfazioni, ma la prossima volta passa al centravanti, più giovane e più allenato, capace che almeno lui lo specchio della porta lo becca.
· I Cugini di Campagna.
Pomeriggio 5, il dramma di Nick Luciani: com'è ridotto e come campa l'ex dei Cugini di Campagna. Libero Quotidiano il 27 Settembre 2019. Ospite di Barbara D'Urso a Pomeriggio Cinque, l'ex biondo dei Cugini di Campagna, Nick Luciani, che ha dovuto affrontare quello che lui stesso ha definito come un "periodo nero". Il 49enne, accolto in studio da un pubblico entusiasta, ha rivelato che per risparmiare si è adattato a sbrigare da sé molte cose. "Chi fa da sé fa per tre", ha detto essere ormai il suo motto. "Basta con i Cugini, io sono il figlio di campagna e adesso taglio l'erba", scherzava mentre in un filmato lo mostrava salire su un taglia erba appunto. "È stato un periodo nero, ma da un po' di tempo ho ripreso anche con il canto. Mi sono dovuto reinventare e ho imparato a fare il muratore, il piastrellista, il giardiniere e l'elettricista", ha rivelato senza alcun imbarazzo.
· Stefano De Martino e Belen Rodriguez.
Stefano De Martino, 30 anni e una nuova vita in tv (senza Belén). Pubblicato giovedì, 03 ottobre 2019 da Corriere.it. Stefano De Martino fino a ora per molti di noi è stato (nell’ordine) : un bel ragazzo, il ballerino di «Amici», il fidanzato di Emma Marone, la grande passione di Belen Rodriguez, il marito di Belen, il padre di Santiago, lo scugnizzo ribelle, il ragazzo che si lancia nel piccolo schermo (ora sta riscuotendo un buon successo con «Stasera tutto è possibile» in onda ogni lunedì alle 21.20 su Rai2), il giovane maturo che si rappacifica con la ex moglie per (ri)formare una bella famiglia. Oggi, giovedì 3 ottobre, Stefano compie 30 anni, che per noi “grandi” significa essere un ragazzino, per i ragazzini significa essere già grande. È il momento delle scelte. E lui le sta facendo. Ma in questo momento non c’è solo la carriera e i consensi. Ora De Martino sembra aver messo al primo posto la sua famiglia, l’amore ritrovato per Belen, l’essere un padre premuroso per Santiago. Le storie di Instagram sono piene (anche troppo) di scenette familiari dolci e intime. E loro sono comunque una della coppie più amate e seguite in Italia. E così oggi, 3 ottobre, la Rodriguez con tutta la famiglia al completo hanno raggiunto De Martino a Napoli, dov’è impegnato con le prove della trasmissione Rai, per i festeggiamenti dei suoi 30 anni. Stefano De Martino è nato a Torre Annunziata, Napoli, il 3 ottobre 1989 e già all’età di 10 anni ha iniziato a muovere i primi passi nel mondo della danza, anche grazie alla passione trasmessagli dal padre. Dopo concorsi e premi nel 2007 vince una borsa di studio al «Broadway Dance Center» di New York. Lì si avvicina al mondo della danza moderna e contemporanea e lì incontra la coreografa Macia Del Prete con la quale lavora nella «Oltre Dance Company». Arriva poi il 2009 anno nel quale partecipa ad «Amici di Maria De Filippi» e vince un contratto con la «Complexions Contemporary Ballet», partecipando a un tour che tocca Nuova Zelanda, Australia e Hawaii. Nel 2010 ritorna ad «Amici di Maria De Filippi», questa volta come ballerino professionista e in questo periodo comincia la sua attività di coreografo/insegnante di danza. Nel 2012, proprio lavorando, incontra Belen: un colpo di fulmine, un amore travolgente. Escono presto allo scoperto perchè la passione non si può nascondere. Belen e Stefano si sposano il 20 settembre del 2013: un matrimonio seguitissimo (e come è normale che sia, anche molto criticato). Nello stesso anno diventano genitori di Santiago. La loro storia d’amore tuttavia non dura a lungo. E’ il 2015 quando si separano ufficialmente. «Io e Belen non andavamo tanto d’accordo. Siamo state due persone abituate a darsi tanto amore e abbiamo vissuto dei periodi molto travolgenti, abbiamo fatto subito un figlio, ci siamo sposati, perché siamo stati travolti da un sentimento fortissimo. Quando due persone così non trovano più la stessa complicità, il periodo diventa cupo e vedersi in quel modo era diventato triste per entrambi». Questo il comunicato ufficiale per avvisare i fan del loro addio. Nel frattempo arrivano le occasioni, gli impegni crescono. Nel 2011 ricopre il ruolo di Enea al fianco di Rossella Brescia nel balletto «Cassandra» di Luciano Cannito. Dal 2015 ad «Amici di Maria De Filippi» ricopre il ruolo di supporter insieme a Marcello Sacchetta e nello stesso anno conduce il Day-Time della trasmissione. Nel 2015 è stato il capitano della squadra “Gli Incredibili” nella prima edizione del programma “Pequeños Gigantes“. Nella stagione 2016-2017 Stefano De Martino è uno dei mentori di “Selfie - Le cose cambiano” in onda su Canale5 mentre nel 2018 è il nuovo inviato de “L’Isola dei Famosi”. Nel 2019 debutta in Rai e in pochi mesi in molti a viale Mazzini si accorgono di lui individuando in quello «scugnizzo napoletano» un disinvolto giovane conduttore per il presente e il futuro della Rai. E diventa il conduttore di “Made in Sud”. Nel medesimo anno conduce sempre su Rai2 con Belen “La Notte della Taranta” e la finale del Festival di Castrocaro 2019. Ora Stefano è impegnato nella conduzione di “Stasera tutto è possibile” in onda il lunedì sera su Rai2: il programma sta raccogliendo consensi di puntata in puntata con share e spettatori in continua crescita (dal 6.79% della prima al 7.8% della terza). Verrebbe da dare a Stefano un consiglio (non richiesto): meglio lavorare da solo, non al fianco di Belen. Insieme vi oscurate. Non sempre le coppie funzionano a casa e fuori casa. Meglio separare amore e lavoro: non può che far bene a entrambi.
Ludovica Marchese per il Giornale l'8 ottobre 2019. Per Belen Rodriguez e Stefano De Martino sembra proprio che le vacanze non finiscano mai. Che forse la coppia da poco riunita voglia recuperare tutto ciò che si sono persi a causa della lontananza? Sta di fatto che i due, negli ultimi tempi, stanno trascorrendo sempre più tempo insieme, dando prova a chi li segue da sempre del feeling che li unisce, anche e soprattutto fisico. Nelle ultime ore, però, ad attirare l’attenzione degli spettatori non sono tanto le foto di famiglia, bensì uno scatto di Belen che, seduta sulla prua dello yacht che la coppia ha regalato al piccolo Santiago, guarda al tramonto della Costiera Amalfitana che le si apre davanti in tutta la sua bellezza. Ad accompagnare il post, la didascalia: “Sono innamorata della vita”. Lo scatto conquista il pubblico con quasi 150mila like a altrettanti commenti. Alcuni utenti, però, ritengono fuori luogo la descrizione che Belen ha scelto per il post. “E grazie al cazzo, non fai niente dalla mattina alla sera”, “A chi non piacerebbe in barca?”, “Anche a noi piace la tua vita”, “Beata te!” e ancora “A chi non piacerebbe con i miliardi e a non fare una mazza tutto il giorno?!?”, si legge tra i tanti commenti. Infine, non passa certo inosservato il fatto che sotto all’asciugamano Belen non indossi nulla e, leggendo tra i commenti, sembra proprio che sia in corso una gara di bellezza tra le meraviglie del tratto di costa campana e le forme sinuose della showgirl argentina ormai italianizzata.
· Rocco Papaleo.
Sanremo, Rocco Papaleo: "Belen mi rivolse la parola perché nel copione". Rocco Papaleo si lascia andare ad una rivelazione davvero inedita sul Festival di Sanremo. Scatta la frecciatina per Belen, scrive Luca Romano, Martedì 05/02/2019, su Il Giornale. Rocco Papaleo si lascia andare ad una rivelazione davvero inedita sul Festival di Sanremo. Il conduttore del dopo-Festival di fatto ha raccontato, nel corso della presentazione della kermesse che parte questa sera, un retroscena particolare e che riguarda l'edizione del 2012. In quell'anno sul palco dell'Ariston, Papaleo era affiancato da Belen Rodriguez e da Elisabetta Canalis. Ed è proprio alla showgirl argentina che ha deciso di mandare una frecciatina: "Belen mi rivolse la parola sul palco perché era da copione". Nella sala stampa, dopo queste parole, è calato il gelo. Anna Foglietta, a fatica con una risata, ha provato a celare l'imbarazzo. Poi lo stesso Papaleo ha parlato del dopoFestival: "Avere Anna Foglietta qui con me è un privilegio: lavoriamo insieme in questo cinema italiano in crisi, la sua presenza mi dà un senso di beatitudine, mi sento a casa". Poi è il turno di Anna Foglietta, anche lei al timone del dopoFestival: "Vorremmo creare un risultato quantomeno sorprendente, e cercheremo di dire delle cose, non solo di farvele ascoltare, e questo mi sta particolarmente a cuore". Infine l'attrice conclude: "Il ritmo è alto e incalzante - chiude Foglietta - siamo il luogo delle promesse mantenute".
Da I Lunatici del weekend il 29 settembre 2019. Rocco Papaleo è intervenuto nel corso della trasmissione I Lunatici del week end in onda su Rai Radio 2 ogni sabato e domenica dall’1 alle 5, condotta da Andrea Santonastaso e Roberta Paris.
Sul ruolo del Gatto in Pinocchio di Garrone: Faccio il Gatto nel Pinocchio di Garrone. Interpretare questo ruolo è difficile e piacevole, perché richiede il massimo rispetto per quello che è stato, per chi l’ha interpretato prima di me e per l’icona che rappresenta, il Gatto e la Volpe sono andati ben oltre la letteratura e le interpretazioni, è diventato un vero e proprio modo di dire. Quindi stiamo parlando di qualcosa di eccezionale. Passato il rispetto e il riguardo per quello che si fa, si agisce anche con una leggerezza dovuta al lavoro che facciamo, quindi io rispetto quello che faccio ma cerco anche di spassarmela un po’.
Su sé stesso: Sono perennemente alla ricerca di un amore, solo che non lo trovo. Cerco di non prendermi sul serio. Rispetto l’indole che immagino di avere, perché poi non è che mi conosco proprio bene bene. Non ho mai fatto un approfondimento psicanalitico su me stesso , a costo di essere tacciato di superficialità non ho mai scavato fino in fondo, anche perché ho un po’ paura. Ogni volta che mi addentro veramente nei miei meandri, scopro delle cattiverie che mi urtano quindi preferisco mantenere questo modo di essere la brava persona che credo di essere. Mi ricordo, quando ero più giovane, che quando organizzavamo le festicciole io ero il mastro e mi arrabbiavo tantissimo quando spiegavo i giochi e vedevo distrazione, perché volevo che tutto riuscisse bene. Questa cosa continua ad accompagnarmi, questa specie di seriosità nel gioco che faccio.
Sulle sue origini da musicista: Ho iniziato suonando da autodidatta la chitarra da ragazzino, questo era il mio approccio con l’espressione. È naturale, la musica è sempre stato il mio filo conduttore. Quando un mio collega non ha il mio approccio non mi arrabbio, in ogni caso cerco di fare a monte una scelta che comprenda il talento e l’umanità. Nelle mie cose ho sempre fatto questo tipo di scelta, mi sono sempre messo con attori e artisti che potessero essere in linea con il mio modo di vedere. Fa la differenza nella scelta l’umanità dell’artista a cui mi rivolgo. Infatti li conoscevo tutti prima o cerco di conoscerli negli incontri in cui li scelgo. Non sono dei provini freddi, ma più degli incontri per cercare con i miei strumenti di analisi di provare a capire chi ho di fronte. Nei primi film ho cercato persone che conoscevo, poi nell’ultimo film dovevo trovare un’attrice sudamericana allora ne ho incontrate un po’ ma sempre con questo approccio umano.
Sulla notte: Una notte insonne indimenticabile no. Me ne ricordo una durante il film del mio grande amico Alessandro Gassman, Il Premio, eravamo in Trentino e una notte, senza motivo, non mi addormentavo e ho passato la notte sveglio. Però quella notte lì ho letto tutto il tempo, prima un po’ su internet, poi qualche racconto che non ricordo. Ho passato una bella notte insonne che non mi ha innervosito, l’ho presa come un regalo che mi è stato fatto per concedermi del tempo per fare qualcosa che altrimenti non avrei fatto. Il giorno dopo, appena finite le riprese, sono crollato.
Sugli alberghi: Mantenere i rapporti pregressi e averne continuamente è importante, non tanto come scelta etica. È una cosa che fa parte del mio modo di essere quello di vivere in mezzo alla gente, prendere la metro. Io capisco tutti, anche chi ha le pretese, ma io non ne ho bisogno e se non ne hai bisogno è più facile non avere pretese assurde. Ovviamente si sa che quella del cinema è una condizione di privilegio, sono stato in super alberghi però mi piacciono più gli alberghi “familiari”. Ultimamente, quando sto in un albergo per più di una settimana, non me la faccio rifare tutti i giorni così diventa più una sorta di casa.
· Rosanna Lambertucci.
Verissimo, Rosanna Lambertucci racconta il dramma: "L'emorragia, mia figlia morta". Libero Quotidiano il 29 Settembre 2019. "Mamma mia". Silvia Toffanin era sotto choc ieri a Verissimo nell'ascoltare il racconto drammatico di Rosanna Lambertucci: la morte del padre, gli aborti, il decesso del marito, la sua è stata una vita piena di momenti dolorosi. "La morte di mio padre ha salvato la vita a me tanti anni dopo - spiega -. Ha avuto un incidente stradale vicino Latina, apparentemente non aveva nulla di grave. Quando lo hanno portano in ospedale, era troppo tardi. È morto per un'emorragia interna. Quando aspettavo una bambina che poi non è vissuta, è successo qualcosa di molto grave. Distacco di placenta. Io e mio marito Alberto eravamo nella tenuta di mio padre vicino Latina". "Ci mettiamo in macchina per arrivare a Roma, ma mentre stiamo sulla strada e passiamo davanti a un ospedale sulla Pontina mi ricordo di papà che era morto perché era arrivato troppo tardi. Allora ho chiamato il mio ginecologo, che ha capito la gravità della situazione e mi ha detto di non muovermi da lì. Mi hanno operato d'urgenza e mi hanno salvato, la bambina è morta dopo due giorni. Si chiama Elisa. Mio marito ha fatto il funerale da solo, perché io ero in ospedale e non mi ha detto dove l'aveva fatta seppellire per non farmi soffrire. L'ho scoperto anni dopo". Rosanna Lambertucci continua: "Ho perso altri figli, quando è morta Elisa era la prima volta che ero riuscita ad arrivare al settimo mese. Ho avuto solo mia figlia Angelica. Quando poi si è ammalato Alberto, eravamo già separati, ma ho capito che dovevo stargli vicino. Sono stata con lui fino alla fine".
· Coez.
Coez: "È sempre bello essere bipolare. Metà rap e metà pop". All'Arena di Verona debutta il tour della voce che coniuga hip hop e scuola dei cantautori. Paolo Giordano, Lunedì 30/09/2019, su Il Giornale. Chissà cos'ha pensato ieri sera Coez arrivando sul palco dell'Arena di Verona, luogo favoloso e pazzesco che ha fatto tremare le gambe a giganti come Elton John o gli Who. Per lui, passato da writer e da rapper nella periferia romana, è il passo giusto dopo due dischi (Faccio un casino e È sempre bello) che sono diventati trasversali perché mescolano nel pubblico i ragazzini e chi crede che una bella canzone debba aver un bel testo. E, a giudicare dalla platea qui all'Arena, è proprio questo «crossover anagrafico» che ha trasformato il leader del collettivo Brokenspeakers in un riferimento sia delle radio (La tua canzone è alta nelle playlist) che della «musica liquida», ossia dello streaming. In pratica il punto d'incontro tra i temi rap, che spesso sono gergali, e quelli cantautorali bisognosi di versi e immagini che lascino il segno. «Da ragazzetto, a scuola, sembravo quasi bipolare - diceva ieri prima di debuttare - perché scrivevo testi rap ma anche canzoni d'amore. E forse questo è il mio obiettivo: mescolare i due mondi, trovare un linguaggio che usi entrambi i vocabolari e trovi i punti in comune». In fondo è firmato da lui uno dei versi più azzeccati degli ultimi tempi, quel «scusa se non parlo abbastanza ma ho una scuola di danza nello stomaco» (da La musica non c'è del 2017) che descrive perfettamente l'emozione muta e attonita di chi si sta innamorando. All'Arena di Verona c'è stata in pratica la cerimonia di laurea di un 36enne riservatissimo, pieno di dubbi, che alle spalle ha il curriculum tipico del musicista di una volta, fatto cioè di lavori precari, molti sogni, concerti nei localini o nei localacci, vita in attesa del dopo. Senza talent show alle spalle. Senza quella voluta, esagerata sovraesposizione che garantiscono le stories su Instagram, i tweet polemici o i «dissing» con altri artisti che creano popolarità ma non aumentano la qualità della musica né la resistenza dell'artista allo scorrere del tempo e delle mode. «Sono stato per un po' schiavo dei social perché in poco tempo sono passato da poche decine di migliaia di follower a oltre mezzo milione. E allora vivevo attaccato allo smartphone. Poi mi sono disintossicato e adesso li uso soltanto per comunicare le mie novità di lavoro. Diciamo che la socialitudine mi aveva preso la mano». Anche per questo, scherza, qualcuno si lamenta della sua latitanza. Forse in Coez, che si chiama Silvano Albanese ed è nato a Nocera Inferiore prima di arrivare a Roma da bambino, c'è il segnale (si spera) di un cambiamento: meno tweet, più musica. Visto il successo, fatto di primi posti e dischi d'oro, non rimarrà un caso isolato. «All'Arena inizia il mio primo tour nei palazzetti e ho sempre paura che il pubblico non mi conosca bene - dice - magari qualcuno mi scambia per Fedez perché in fondo il mio nome finisce con la zeta come il suo. Ma non siamo la stessa cosa». E il concerto, che mette di seguito 26 brani con pochissime parole tra un pezzo e l'altro, è il biglietto da visita di un ragazzo che è rimasto fuori dal coro, facendo mediamente il contrario di quasi tutti. «Anche qui non ho voluto nessun ospite con me sul palco», conferma lui che poi riassume: «Ho fatto un disco senza featuring e il mio tour, che passerà da Torino, Milano e altre grandi città, sarà senza visite di altri cantanti. Non è snobismo, è semplicemente il mio modo di essere» dice parlando lento, ragionando su ogni parola, insomma il contrario di quelle mitragliette che di solito sono i rapper mentre parlano dei loro programmi. E quando spunta sul palco in mezzo agli altri cinque musicisti, le parole stanno a zero, nel senso che proprio non ne dice. Ritmo serrato. Niente ciance. Quattro pezzi uno di seguito all'altro senza interruzione, roba che non succede quasi mai: Mal di gola, Gratis, Faccio un casino e Catene che, tra l'altro, è un suo manifesto perché mescola rap con metrica cantautorale. «Non so come spiegarmi, io faccio le cose passo dopo passo, ci rifletto e poi vado avanti. Prima di venire all'Arena di Verona ho pensato ad altri miei colleghi che sono passati dai club agli stadi facendo una progressione enorme. Io preferisco andare piano anche perché, se ci penso, quando ho iniziato mai mi sarei aspettato di trovarmi all'Arena di Verona dalla parte dell'artista e non del pubblico». In poche parole (letteralmente), ieri sera è stata la prova generale di un potenziale grande fenomeno che ha finito il concerto con una dichiarazione d'intenti, il brano La strada è mia. E finora l'ha percorsa mettendo insieme talento e silenzio, diventando un caso a se stante in quell'arena chiassosa che è il pop di oggi.
· I Mogol.
ACQUA AZZURRA, ACQUA CHIARA: “CHE BRANO DELLA MADONNA”! Paolo Giordano per “il Giornale” il 14 agosto 2019. E invece no. Di solito i tormentoni sono passerelle di slogan divertenti, sensuali o surreali e, per carità, di riflessioni profonde neppure l'ombra perché d' estate si cerca Despacito mica La locomotiva di Guccini. Ma Battisti è Battisti e Mogol lo conosciamo tutti. Maestri. Acqua azzurra acqua chiara è stato forse il primo clamoroso successo estivo ad avere un pensiero profondo. E ad andare controcorrente. Tanto per capirci, è uscito 50 anni fa esatti, a marzo del 1969, e nessuno avrebbe previsto che sarebbe arrivato terzo al Cantagiro e addirittura primo al Festivalbar con la bellezza (allora) di quasi 344mila preferenze, staccando i Camaleonti di 50mila voti. In pratica, il vero successo di un' estate nella quale le monetine dei juke-box innescavano brani di pronta presa come Lisa dagli occhi blu di Mario Tessuto o esibizioni di furore polmonare come Rose rosse di Massimo Ranieri. Lucio Battisti, che si era appena esibito per la prima e ultima volta al Festival di Sanremo con Un' avventura di fianco alla leggenda Wilson Pickett, era il contrario. La voce scontentava sia gli amanti del belcanto alla Claudio Villa sia chi cercava i toni beat più liquidi e inglesofili. Dopo la sua esibizione all' Ariston, Natalia Aspesi, che allora scriveva sul Giorno, si riferì senza giri di parole a «chiodi che gli stridono in gola» e il grande Paolo Panelli lo paragonò a Pierino Porcospino per la sua zazzera nerissima e tonda come un corista della Motown. Insomma, non era un sex symbol, non era un barricadero, non faceva il piacione, anzi. Come sempre accade, il pubblico sa riconoscere. «Ogni notte ritornar, per cercarla in qualche bar, domandare Ciao, che fai?, e poi uscire insieme a lei. Ma da quando ci sei tu, tutto questo non c' è più». Jim Morrison dei Doors era stato arrestato venti giorni prima per (supposti) atti osceni in luogo pubblico. A Woodstock proprio in quei giorni estivi si celebrava (anche) il sesso libero e Acqua Azzurra acqua chiara celebrava la svolta di un uomo libertino che passava la vita cercando l' amore di notte nei bar, l' amore libero, disimpegnato e che finalmente aveva trovato l' amore. L' acqua azzurra e chiara, usata come anafora dall'inarrivabile Mogol, non è soltanto un' immagine religiosa perché «con le mani posso finalmente bere» richiama direttamente una conversione o, quantomeno, un drastico cambiamento di valori. Ma si contrappone, soprattutto, alla torbidità sessuale che faceva scalpore in quel periodo. E versi come «nei tuoi occhi innocenti posso ancora ritrovare il profumo di un amore puro» non sono soltanto l' entusiasta dichiarazione d' amore nell' euforia dei primi giorni infuocati. Sono piuttosto i caposaldi di un convinzione etica che Battisti ha rispettato nella propria vita e che in quel momento era fortissima nella maggioranza silenziosa, quella ignorata dai giornali, quella che non scendeva in piazza, che non manifestava contro l' idea stantìa di famiglia. Tu chiamali, se vuoi, tormentoni. Neanche Battisti e Mogol si immaginavano un tale successo, e difatti loro avrebbero preferito presentare come singolo il lato B di quel 45 giri, ossia Dieci ragazze, molto più in linea anche con il sentimento diffuso che sembrava dominante tra i giovani. Fu Renzo Arbore, prima di ospitare Battisti nel suo Speciale per voi, a consigliare di puntare su Acqua azzurra, acqua chiara, perché la musica e il testo erano controcorrente eppure sorprendenti e piacevoli. Delle parole, si sa: tutti le abbiamo canticchiate almeno una volta e il titolo della canzone è entrato pure nel linguaggio giornalistico al punto che articoli su sorgenti di montagna o su fonti inquinate, tac!, da mezzo secolo citano immancabilmente l' acqua azzurra e chiara del tormentone meno tormentone di sempre. Come accadde pochi mesi dopo al Festival di Sanremo con Chi non lavora non fa l' amore di Adriano Celentano, il sentimento popolare aveva adottato slogan in controtendenza rispetto a quello che oggi si definirebbe il «claim» del periodo. Battisti e Mogol avevano scritto le parole e la musica di Acqua azzurra nella villa di Torre Squillace sulla costiera salentina che Mogol frequentava in quel periodo. Era il luogo giusto dove mettersi tra parentesi mentre il mondo ribolliva e cambiava con una velocità allora imprevedibile (oggi sembra lenta, ma è un' altra storia). Il 1969 non è soltanto l' anno in cui l' uomo sbarca due volte sulla Luna perché il 19 novembre Charles Conrad diventa il terzo essere vivente a passeggiare sul satellite. È anche l' anno di Gianni Rivera che vince il Pallone d' oro e di Mariano Rumor che giura ad agosto per il suo nuovo governo, ovviamente balneare. Mezzo secolo dopo, ci sono ancora gli stessi tormenti governativi ma i tormentoni hanno senza dubbio minor impatto sociale. Il tempo cambia, gli uomini no. Forse Acqua azzurra acqua chiara è stato il primo passo per creare la leggenda di Lucio Battisti come uomo di destra, leggenda che negli anni Settanta e Ottanta ha realmente polarizzato la musica italiana. In quell' epoca, il non prendere posizione equivaleva a schierarsi dall' altra parte, ossia a destra. E Lucio Battisti con Mogol ha sempre sublimato le storie personali, il sentimento intimo di chi attraversa dolori, crisi, gioie, tenendosi rigorosamente distante dalla politica persino in un anno come il 1969 nel quale, ad esempio, Samuel Beckett vinceva il Premio Nobel per la Letteratura e le cronache parlavano della battaglia di Hamburger Hill in Vietnam, con i corpi dei marines accatastati a più strati come il tipico panino americano. Lucio Battisti, impacciatissimo quando appariva sullo schermo in bianco e nero, era il controcanto. Mogol racconta che «lui se ne stava in pigiama ad ascoltare dischi per otto ore al giorno». E difatti in Acqua Azzurra c' è il sofisticato «call and response» tipico del rhythm' n'blues, il dialogo tra voce e sezione fiati che allora ben pochi conoscevano qui da noi. Non a caso, Franz Di Cioccio della Pfm, che ha suonato la batteria, ha definito Acqua azzurra acqua chiara «un brano della madonna». Ma non solo. È stata la consacrazione al grande pubblico del talento più puro, selvaggio e sfortunato della nostra canzone d' autore, uno dei pochi che tra un secolo sembrerà ancora attuale.
Mogol: "Io ho avuto i miei successi ma papà è un monumento". Ha scritto per Celentano e Laura Pausini, venduto 40 milioni di dischi «Eppure la vita di figlio d'arte è complicata, mi ha aiutato la pittura». Piera Anna Franini, Martedì 06/08/2019, su Il Giornale. Alfredo Rapetti Mogol, in arte Cheope, è artista a tutto tondo, paroliere e pittore. Vive l'arte ereditata dal ramo materno, dedito alla grafica, e da quello paterno: è figlio di Mogol e nipote di Mariano, l'autore di Vecchio Scarpone e Le colline sono in fiore. Nato a Milano nel 1961, ha firmato una serie di testi iconici della canzone italiana, collaborando con Laura Pausini (Strani Amori), Raf (Il battito animale), Celentano, Mango, Nek, Ron, Elisa, Arisa, Francesca Abbate. Le sue canzoni hanno venduto più di 40 milioni di copie nel mondo. Da pittore, ha messo a punto la tecnica dell'impuntura, per cui fonde l'atto dello scrivere con l'azione del dipingere. La sua è una pittura su tela, piombo, cemento, carte antiche, marmo.
Nonno Mariano, papà Giulio, lei. Una stirpe di autori di testi. Come siamo messi con la quarta generazione?
«Mio figlio fa rap, ma sotto falso nome».
Che non svelerebbe neppure sotto tortura?
«Se lo dicessi, mi ucciderebbe. No, non si può proprio dire».
Domanda scontata. Crescere con tanto padre cosa ha implicato?
«All'inizio era papà e basta. Poi quando t'accorgi che sei figlio di un monumento, la situazione si fa più complicata, almeno fino a quando non trovi un tuo spazio».
Lei come e quando l'ha trovato?
«Ho iniziato subito a scrivere, facevo vedere cose anche a papà che era lì, pronto con la matita rossa o blu. Poi, dopo i 16 anni, ho deciso di emanciparmi dalla matita cercando un percorso personale che alla fine mi ha offerto più di quanto avrei mai pensato. Un percorso che mi ha portato a vendere tantissimi dischi, quando esistevano i dischi, e a vincere dei Grammy negli Usa. Ripeto, il successo è andato oltre le mie aspettative».
Quando è arrivato, esattamente?
«Vado per ordine. La prima canzone risale al 1983, ma scrivevo da almeno 6 o 7 anni. Buttavo giù cose. Poi sono passati altri dieci anni prima che mi potessi mantenere scrivendo. Il primo vero successo l'ho avuto con Il battito animale di Raf. Oltre al fatto di essere il figlio di Mogol, vivevo un problema comune a quanti fanno il mio mestiere. A un certo punto scatta inevitabile la domanda: che canzone hai scritto? E se non hai scritto una canzone conosciuta da tutti, sei nessuno. Quindi c'era l'ansia di questa canzone».
Che finalmente arrivò. Era il 1993.
«Il battito animale vinse il Festival Bar. Andavo in giro e ritrovavo la canzone nei jukebox. Il caso vuole che fosse diventata la colonna sonora del primo grande amore di Laura Pausini, che mi chiamò. Iniziai quindi a lavorare con lei, Berté, Celentano Morandi, fino a Ramazzotti».
Quale fu la reazione di papà al primo successo?
«Si sentiva sollevato. E anch'io, devo dire. Quello era stato un disco rocambolesco, fatto di notte. All'epoca facevo l'editore musicale, lavoravo dalle nove del mattino fino alle sei di sera, come un impiegato. Raf si svegliava alle tre del pomeriggio, praticamente lui faceva colazione quando io lasciavo l'ufficio. A quel punto iniziava la mia seconda vita lavorativa, che andava avanti tutta notte. Dopo mesi con questi ritmi, ero così esausto che finii per addormentarmi sulla bicicletta andando contro un taxi. Mi venne pure la polmonite».
È quasi un azzardo fare lo stesso mestiere di papà, il numero uno della canzone italiana.
«È stato parecchio duro. Ma papà ha una tale facilità di scrittura che non è in gara. È un gigante. Lui sente la musica e scrive con una velocità sorprendente. È al di là dei giochi, nessun confronto».
È consapevole di questo dono incredibile?
«Sì».
Fu poi Celentano a unire i Mogol junior e senior.
«Dopo vent'anni trascorsi a scrivere e qualche Grammy, papà mi disse che era arrivato il momento di fare una canzone insieme».
Quanto si sente con lui?
«Almeno una volta al mese, anche perché insegno nella sua scuola a Toscolano, in Umbria».
Andiamo al nonno.
«Lavorava per l'editrice Ricordi, era il direttore generale. Credeva nella canzone leggera, per questo aprì 50 uffici nel mondo per rappresentarla».
Ora anche sulla carta d'identità compare il nome Mogol, giusto?
«Da una decina d'anni papà ha ottenuto l'autorizzazione ad aggiungerlo al cognome. Ci teneva molto, e a noi fa piacere tramandare questo nome legato all'attività di scrittore».
I Rapetti Mogol dimostrano che la genetica fa la sua parte.
«Chissà. Io posso solo dire che papà mi sconsigliò subito di scrivere canzoni perché diceva che con gli anni '80 il mestiere sarebbe morto. Era poi consapevole della difficoltà di scrivere e di vivere di scrittura».
Soprattutto quando la tua lingua è l'italiano, parlata da 60 milioni di persone briciole.
«Eh sì. La Germania ha tre volte il nostro mercato, la Francia più del doppio. Per non parlare del mercato inglese. Si aggiunga che ci confrontiamo con una tradizione letteraria particolare, abbiamo testi che liricamente sono fra i più belli in assoluto. Gli altri Paesi non hanno una tradizione di scrittura così profonda, noi abbiamo familiarità con la lirica, quindi è più difficile essere accettati».
A parte suo padre, quali altri autori italiani ammira?
«Dalla, De André e De Gregori».
E dell'ultima generazione?
«Il rap sta dando la possibilità a tanti ragazzi di esprimersi, prima invece se non avevi la voce non c'era niente da fare. Io sono estremamente favorevole a questo stile, i rapper sono pensanti, riflettono sulle cose. E la riflessione è sempre positiva. Ora anche in Italia sta accadendo quello che all'estero si verifica da anni: i giovani che si avvicinano alla musica. Altrove i ragazzi iniziano a fare una propria band già ai tempi della scuola, da noi si suona il piffero Trovo tutto questo molto interessante anche da un punto di vista sociologico oltre che artistico. Ci sono penne valide nel rap, se poi non naufragheranno entro i prossimi cinquant'anni, questo non lo so».
Torniamo a lei. Come è arrivato alla pittura?
«È stata determinante la parte materna, nonno era presidente dell'Associazione Arti Grafiche di Milano. Nel laboratorio sentivi l'odore dell'inchiostro. Ricordo la camera oscura. Da piccolo ero molto affascinato dalla pittura, l'ho frequentata con costanza fino a quando ho trovato la vera voce della mia pittura che era la parola. E mi sono riconosciuto».
Ha fatto accademie?
«Da giovanissimo avevo frequentato la scuola del fumetto, avevo una mano decente. Poi accadde che alla morte della nonna materna, mio zio mi regalò degli armadi art déco. Non ci stavano tutti in casa, erano rimasti dei ripiani e mi spiaceva buttarli. Così li dipinsi di nero e cominciai a scriverci sopra. Proseguii con questa tecnica. S'innamorò del mio lavoro Fabrizio Ferri e ci fece un libro. Cominciai così a fare sempre più cose, che tra l'altro incontravano il gusto del pubblico».
Sono più le ore dedicate alla scrittura o alla pittura?
«Le giornate si dividono abbastanza equamente. Forse dedico più tempo alla pittura. Comunque scrivo almeno due giorni alla settimana».
Si guadagna di più facendo il pittore o lo scrittore?
«Per quanto mi riguarda, è la scrittura la prima voce di reddito, ho scritto tanto e poi insegno».
Torniamo alla collaborazione con Laura Pausini...
«Con Laura abbiamo lavorato a oltre 60 canzoni. E devo ringraziarla perché soprattutto all'inizio, questa collaborazione mi aiutò a pagare le bollette e andare in vacanza».
Quando scrisse il testo Strani Amori sentiva che sarebbe diventato una hit?
«Ero convinto che funzionasse, questo sì...».
A proposito di testi. Chi sono i suoi poeti italiani del cuore?
«Franco Arminio e Mariangela Gualtieri».
E del passato?
«Direi Quasimodo e Montale».
Ama la parola asciutta, novecentesca. Ma se andassimo ai grandi del passato?
«Foscolo non si può più leggere ormai, mentre Leopardi è ancora moderno».
E Dante dove lo mettiamo?
«Dante è sopra tutti. Non ce n'è per nessuno. Fa male la testa anche solo a pensare alla mole delle sue opere».
Un tuffo nel passato. Lei ragazzo che in casa si imbatte nei giganti della canzone italiana.
«Per me erano solo amici di papà, persone grandi che venivano in casa. Era tutto molto normale. Non mi rendevo neppure conto di quell'epoca straordinaria. Da adolescente divenni un po' più consapevole, ma finché io stesso non ho iniziato a occuparmi professionalmente di questo mondo, non ero conscio fino in fondo».
Un ricordo di Lucio Battisti?
«Era il 1983 e stavo partendo per il servizio militare. Avevo i capelli cortissimi. Battisti mi disse che sembravo un marines».
E di Mina?
«Ammetto che è stata l'unica artista a farmi veramente impressione. Mi emozionava quella figura iconica. È una persona dal grande magnetismo».
Ci racconti un aneddoto.
«Papà mi chiese di preparare un caffè. Ero nervosissimo, già erano già gli anni in cui Mina non si faceva vedere. Così portai sale anziché zucchero».
E lei?
«Fu gentile, molto gentile. Rifeci il caffè, naturalmente».
Perché si fa chiamare Cheope?
«Prima di tutto per distinguermi da papà. Poi c'entra l'amore per l'archeologia».
Ha studiato Scienze politiche...
«Quando mi iscrissi all'università non avevo passioni particolari. Così, pensai che questa facoltà mi avrebbe aiutato a decodificare il mondo del presente. Sapevo che gli esami non erano di difficoltà insormontabile, particolare non secondario perché già lavoravo in una casa editrice americana».
Lei che ha scritto Combattente di Mannoia, ha la tempra del lottatore?
«Diciamo che nelle cose che amo fare sono tenace. Sono abbastanza competitivo, però non arrivo mai a un livello di competitività ossessiva. Quindi sì, se è necessario lotto».
Soddisfatto del suo presente?
«Sto vivendo un momento di grazia. Mi sto divertendo molto. Ora ho la fortuna di fare progetti che mi interessano e con artisti che stimo. Mi sento particolarmente creativo. Di sicuro ha inciso l'incontro artisticamente straordinario con Federica Abbate (ndr, seconda a Sanremo), è la giovane cantautrice che negli ultimi cinque anni ha raccolto più successo di tutti. Ha 28 anni e io 58 ma ci troviamo perfettamente».
Spingiamo lo sguardo oltre le Alpi. Chi sono i cantautori stranieri che ama?
«Bob Dylan mi piace anche per il modo di cantare. Ha lasciato perdere il canto bello e piacevole, per dire le cose in faccia. Like a Rolling Stone è la canzone che preferisco.
Altri cantanti o complessi?
«Musicalmente i Coldplay».
È più faticoso dipingere o scrivere testi?
«Con la musica riparti sempre da capo, ti togli la pelle e ricominci. Con la pittura hai già un tuo stile, dei codici che riproponi. La musica ti consente di proporti con più facilità, come pittore è più difficile farsi conoscere, in compenso ora la musica è ormai gratis, scarichi senza problemi tutto quello che vuoi, mentre un quadro lo devi comprare».
Che messaggio lancia attraverso le sue tele?
«Viviamo in un'epoca di scambi, di messaggi veloci, io invece chiedo ascolto a chi osserva i miei quadri. Cercare di interpretare un lavoro richiede tempo, ma fa trovare delle verità che magari non si sapeva di avere».
· Edoardo Bennato.
L'anti-tormentone di Bennato nato dopo un selfie con Salvini. Dopo la foto il cantautore è stato «massacrato» sui social Così ci ha scritto un brano. Che ora vola alto in radio. Paolo Giordano, Martedì 27/08/2019 su Il Giornale. Di tormentoni, si sa, Edoardo Bennato ne ha lanciati tanti. Stavolta si è inventato l'anti-tormentone e ha centrato il bersaglio: Ho fatto un selfie è il brano che nell'ultima settimana ha scalato la classifica radiofonica più velocemente, 15 posizioni. E sta avendo successo non soltanto lì perché, tanto per dire, persino al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini è stato accolto come un divo, quasi a confermare il bisogno di ascoltare suoni diversi rispetto alla uniformità del pop. Non a caso, Ho fatto un selfie è un rock'n'roll che, nel video autodiretto, canta e suona con chitarra, armonica e tamburello a pedale si dimostra totalmente diverso da ciò che si ascolta in questi mesi. E poi c'è «l'argomento» del brano, che è attualissimo, ossia il selfie. Qualche mese fa, dopo un concerto, Bennato ha fatto un selfie con Matteo Salvini e, apriti cielo!, è scattata la «ribellione». Complice qualche precedente dichiarazione apparentemente filo leghista, le tricoteuses dei social lo hanno preso di mira manco avesse rapinato una banca. In pratica, la scintilla perfetta per questo «pazzaglione», come si definisce lui, che ha sempre preso di mira tutti i luoghi comuni. «Ho fatto un selfie con diavoli e santi, ho fatto un selfie con belli e brutti» canta prima di spiegare che, vista la violenza delle accuse sui social, anche il fratello Eugenio gli ha consigliato di scrivere un brano alla sua maniera. Detto fatto. «Mi diverto a ironizzare su me stesso e ciò che mi circonda - spiega - e questa era l'occasione giusta per ridicolizzare anche stavolta i moralisti da strapazzo. Ogni giorno scatto tanti selfie e, quando è venuto Salvini da me in camerino, c'erano anche il ministro Bonisoli, Marco Giallini e Sigfrido Ranucci di Report». E quindi: «Ho fatto un selfie Robert De Niro, con Martion Scorsese, con Lino Banfi, Ficarra e Picone» per continuare con Bertinotti, Lilli Gruber, Graziano Del Rio, Marco Travaglio, Johnny Stecchino, Barbara D'Urso e anche «con un certo Salvini a un concerto di Edoardo Bennato». Tac. «Con il selfie c'è da stare attenti perché non sempre lo si può accordare senza richiedere i documenti, voce del verbo discriminare», ha scritto nel testo questo artista che è stato il primo italiano a riempire San Siro (pochi giorni dopo Bob Marley nel 1980) ed è rimasto sempre graffiante, irriverente, spesso frontale sin da quando a Civitanova Marche nel 1975 ha ricevuto, come dice lui, la patente di cantautore suonando davanti «all'intellighenzia sinistramente di sinistra». Da allora, non sono state più soltanto canzonette. «Con i miei selfie ho commesso un reato, ma non sono certo di esser dipartito», canta stavolta con quell'ironia pungente che tutti gli riconoscono. Tra l'altro, quando si dice la coincidenza, Ho fatto un selfie è uscito il 9 agosto, ossia il giorno dopo che Salvini ha aperto la crisi di governo. Ma Salvini si è fatto sentire? «Assolutamente no, e non ho sentito neanche Renzi, neanche Di Maio, neanche il Grillo parlante o il Gatto e la Volpe», scherza giocando con il titolo di un suo brano del 1977. «È un'Italia collodiana», riassume mentre corre in auto verso un altro concerto e, a 73 anni compiuti, festeggia l'anti-tormentone di questa estate.
Red Ronnie per optimamagazine.com il 18 ottobre 2019. Edoardo Bennato mi ha appena inviato un video che ritengo sia giusto condividere. Anche perché l’ho chiamato al telefono per cercare di capire il perché dell’invito fatto alla Boschi e lui mi ha fatto solo ridere, dicendo che mi vuole bene e che tornerà al Barone Rosso. Ma veniamo al video. Lui inizia parlando del musical Pinocchio per il quale sta facendo il casting. Racconta di aver trovato già tutti i personaggi: Mangiafuoco, il Grillo Parlante, il Gatto e la Volpe, Lucignolo e della difficoltà di identificare chi possa interpretare la Fatina. Poi mostra un suo disegno dove appare evidente che la sua prescelta è Maria Elena Boschi. Le offre così la parte nel musical, invitandola a scappare dalla politica, che definisce un baraccone maleodorante, e anche dalla Leopolda, che Matteo Renzi ha aperto oggi a Firenze per lanciare il suo nuovo partito Italia Viva. Edoardo dice a Maria Elena che alla Leopolda si ritroverebbe in un covo di serpenti. Meglio per lei stare sul palco del musical Pinocchio dove sarebbe circondata dall’affetto di tanta gente sincera, grata e festante. Giusto anche ricordare che l’altro musical di Bennato Peter Pan è stato quello di maggiore successo negli scorsi anni. Davvero divertente quanto disorientante questo video creato da Edo con il suo telefonino, dopo aver giocato tutta l’estate con un’altra provocazione, ricordate il suo pezzo/tormentone Ho Fatto Un Selfie? Splendido anche il disegno che Edoardo ha fatto di Maria Elena Boschi. D’altra parte lui è un pittore bravissimo. Già disegnò la copertina del suo album “La Torre Di Babele”. Di recente i suoi quadri sul tema dell’immigrazione sono esposti ovunque, partendo dall’Expo nello stand di Farinetti con il plauso di Vittorio Sgarbi. La Boschi accetterà l’invito di Edoardo? Ricordiamo che nella favola di Collodi è un ruolo totalmente decisivo, fatto di bellezza e responsabilità, cosa sarebbe rimasto del povero Pinocchio senza gli interventi della Fatina?
· La vita normale del figlio di Bruce Springsteen.
I settant'anni di Bruce Springsteen, un Ulisse in versione country & western. Per un artista, come per chiunque altro, i settant’anni sono un segnalibro che risveglia demoni, fantasmi di vecchiaia, rendiconti e bilanci. Per lui significa essere ancora in sella, mai domato, ancora inquieto. Gino Castaldo il 22 settembre 2019 su La Repubblica. Quel giorno dal New Jersey si vedeva un cupo pennacchio grigio contro il cielo, come se la città stesse vomitando un vulcano di malvagità. Poche ore dopo l’attacco alle Torri Gemelle, Bruce Springsteen era in automobile. Stava andando a prendere i figli a scuola. Al semaforo gli si affiancò una macchina. L’uomo che era alla guida si girò, lo riconobbe e tirò giù il finestrino. Gli disse: "ora abbiamo bisogno di te". E lui non si fece pregare, si rimise al lavoro, per l’ennesima delle sue continue rinascite. Ecco, Springsteen è esattamente questo, uno di cui il mondo ha bisogno, un eroe senza macchia, un onesto e gentile guerriero che usa la sua Fender come una spada laser dell’esercito del bene, un predicatore in missione per conto di cause superiori. Per un artista, come per chiunque altro, i settant’anni (che Bruce compie il 23 settembre) sono un segnalibro che risveglia demoni, fantasmi di vecchiaia, rendiconti e bilanci. Per lui significa essere ancora in sella, mai domato, ancora inquieto, selvaggiamente sincero anche quando come regalo di compleanno per la data che si profilava all’orizzonte ha deciso di regalarsi una struggente confessione. Western stars, il disco, inizia con la più semplice e classica delle metafore, quella dell’uomo che si mette in viaggio. Lui di viaggi ne ha fatti centinaia, forse migliaia, sempre da capo, a ricominciare, a battere la strada come un tappeto volante verso il futuro, viaggi fatti con la testa e col corpo, e una volta ancora guarda verso l’orizzonte. Come un Ulisse in versione country & western, nel pezzo che apre l’album molla tutto e si mette in strada, zaino in spalla, e va a cercare se stesso. Il messaggio è evidente: a settant’anni Bruce Springsteen non si sente appagato, non ha smesso di cercare. Soprattutto non ha smesso di onorare il patto che alcuni decennni fa, quando era uno spiantato ragazzo di provincia col mito del rock’n’roll, ha stabilito col pubblico: se mai avesse sfondato, non avrebbe tradito le sue origini, quella bruciante voglia di riscatto, la ricerca di giustizia e verità. Non avrebbe mai smesso di essere uno “nato per correre”, incarnazione perfetta del working class hero evocato nel 1970 da John Lennon, amico e interpete dei lavoratori che vanno a vedere i suoi concerti, ancora ruvido, sobrio, vestito come uno di loro, malgrado sia diventato ricchissimo, malgrado di fatto non abbia mai davvero lavorato, come ironicamente ha ammesso nello spettacolo in solitario che per molti mesi ha replicato al Walter Kerr theatre di Broadway. Mai un lavoro vero, almeno di quelli che t’impegnano dalle 9 alle 5, ma in compenso sullla musica ha lavorato come un matto, un fanatico della fatica, con concerti interminabili di sudore e sangue, mesi e mesi passati in studio a cercare il suono giusto, instancabile artigiano della musica, oggi presente ovunque, nel film Blinded by the light, ispirato alle sue canzoni, nel disco uscito da pochi mesi, nel documentario che sta per uscire nelle sale col medesimo titolo di Western stars, con altre promesse di ritorni dal vivo e recupero della E Street band, come ha sempre fatto dopo un periodo di introspezione solitaria. Lui, esaltato cantore del sogno americano e allo stesso tempo spietato censore del disincanto, dei tradimenti, delle mancate promesse. Un eroe maturo, ma sempre fiero, combattivo, disposto oggi ad affrontare uno per uno i suoi demoni, le nostalgie, i rimpianti, l’inevitabile dovere di un uomo coscienzioso della sua età: conciliare la sua voglia di libertà con l’essere un padre e un marito esemplare.23
Valentina D'amico per "movieplayer.it" il 26 ottobre 2019. Bruce Springsteen contro Trump, per il Boss il presidente non ha la minima idea di cosa significhi essere un americano. La leggenda del rock ha criticato il Presidente repubblicano nel corso del tour promozionale per promuovere il suo debutto alla regia col documentario Western Stars. Bruce Springsteen non ha mai fatto mistero delle sue idee politiche democratiche e liberali. Il rocker ha mosso una nuova critica contro Donald Trump nel corso di un intervista a CBS in cui accusa il Presidente di non avere la minima idea di cosa significhi essere un americano. Nell'incontro con i sostenitori a Minneapolis qualche settimana fa, Trump si è scagliato contro il Boss sostenendo di non aver bisogno del sostengo del "piccolo Bruce Springsteen" e di altre celebrità come Beyoncé e Jay-Z, che nel 2016 hanno sostenuto la sua rivale Hillary Clinton. nel corso della sua tirata, Trump sembrava intenzionato a tirare in ballo altre celebrità, ms ha poi deciso di soprassedere. Interrogato da CBS sulle parole di Trump, Bruce Springsteen ha così commentato: "E' spaventoso. Viviamo in un'epoca spaventosa. La guida della nazione è stata gettata nelle mani di qualcuno che non ha idea di cosa significhi. E sfortunatamente, è qualcuno che non ha la minima idea di cosa significhi realmente essere un americano." Il lavoro di Springsteen, il documentario musicale Western Stars, è stato presentato ieri alla Festa del Cinema di Roma e uscirà nei cinema italiani il 2 e 3 dicembre.
Bruce Springsteen: «A 70 anni ho cambiato idea sulla libertà». Pubblicato giovedì, 24 ottobre 2019 su Corriere.it da Andrea Laffranchi. Il grande rocker e il suo nuovo disco «Western Stars»: «Quando invecchi cerchi una definizione più larga di libertà» Che sia un viaggio in macchina — «quando mi viene un dubbio mi metto al volante. Che faccio con questa canzone? Ah, guidiamo un po’...» — o quello accidentato della vita, Bruce Springsteen è sempre in movimento. «Quando sei giovane, è tutta una questione di voglio andare dove voglio, fare quello che voglio, essere quello che voglio. È bello quando hai 20 anni, ma se te lo porti dietro troppo diventa un limite. Quando invecchi cerchi una definizione più larga di libertà, qualcosa che includa il partner, la famiglia, la comunità, la vita pubblica. Invecchi e hai bisogno di queste cose per avere una vita appagante. Il disco e il film sono proprio la storia di quel viaggio da una parte all’altra, la tensione che esiste fra libertà individuale e relazioni comunitarie. È un percorso che tutti dobbiamo affrontare», racconta il Boss, camicia di jeans aperta sul petto, voce roca e gli occhi che si socchiudono quasi a cercare le parole giuste. Il film e disco di cui parla sono Western Stars, il suo ultimo progetto. Canzoni che spesso fanno l’autostop a bordo di motori più o meno scassati per raccontare storie di vita. «In fondo sono 19 album che scrivo di macchine», scherza lui. In queste c’è l’uomo che guida verso lo scassato “Moonlight Motel” mentre la memoria lo riporta a una vita che non era ancora «bollette e bambini». Lo stuntman di Drive Fast, lo si intuisce dal titolo, è uno a cui piace spingere il piede sull’acceleratore. Si spengono le luci e subito, nelle prime inquadrature, ecco la mano del Boss che stringe un volante. Si viaggia, con un pickup azzurro, verso il deserto del Mojave, sud della California, fra polvere e cavalli selvaggi, ricordi e filmini d’annata che raccontano un’America che forse non c’è più. Il racconto per immagini di cui il rocker firma la regia con Thom Zimny è un film-documentario costruito alternando riflessioni e racconti del Boss a una performance acustica in cui con la moglie Patti, una band e un’orchestra ha reinciso dal vivo le canzoni dell’album. Tutto registrato nel centenario fienile della sua Stone Hill Farm a Colts Neck, nel New Jersey. L’autobiografia Born to Run del 2016, quindi lo spettacolo a Broadway che mischiava canzoni e monologhi personali, e ora il docu-film.
Non le bastano più i tre minuti della forma canzone per sfogare la sua creatività? Ci dobbiamo aspettare un lungometraggio o un romanzo in futuro?
«Non credo (ride). La prossima cosa che ho in programma è tornare al mio lavoro quotidiano: suonare un po’ con la band (che lo scorso giugno ha riunito a sorpresa, ndr.), venire a trovare i miei fan italiani e mettere in piedi dei bei concerti. Nel prossimo anno lavorerò su questo».
L’esigenza di raccontarsi in modo diverso da dove è venuta?
«Cose che capitano... Sono sempre alla ricerca di un modo fresco di raccontare storie. Anche l’età ha qualcosa a che vedere con questo. Arrivi a un momento in cui inizi a tirare le somme di quello che hai imparato e di quello che hai visto nella vita. Il libro ha aperto questo processo; il teatro era un’estensione della biografia; il film va oltre quei due aspetti. Questi tre lavori sono il riassunto della mia vita fino a questo punto».
Sono appena arrivati i 70 anni, li ha compiuti il 23 settembre...
«Sono uno pieno di talenti... Scrivo libri, spettacoli teatrali per Broadway e adesso un film. Il prossimo passo sarà fare l’astronauta. Vi farò sapere come va».
Nei racconti il ricordo dei momenti bui della sua vita è sempre pronto a emergere. «Siamo tutti rotti, fisicamente ed emotivamente. Nessuno ne esce intatto», recita nel film. In tutta la sua carriera però ha avuto sempre il sorriso stampato in faccia. Quando il suo mondo interiore crollava, era difficile fare quello sempre allegro e pensare che in quel suo sorriso i fan riponevano una fiducia incondizionata?
«Ho tenuto separate la mia vita lavorativa e quella personale. È curioso pensare che i periodi di depressione che ho avuto non abbiano mai influenzato il lavoro. Riuscivo a darci dentro e essere creativo. Scrivevo canzoni e incorporavo in quello che stavo scrivendo qualcosa di quello che stavo passando, trasformandolo però in positivo. È stata una fortuna. Non ho rimpianti. Non mi sono mai lamentato per quei momentacci. Del resto, ognuno di noi ci passa. È parte della vita ed è anche quello che rende più ricchi e godibili i momenti belli».
La locandina del film «Western Stars»
Il fatto che il pubblico fosse sempre lì a sostenerla è stato di aiuto? Ha sentito la spinta?
«Quando attraversi un momento difficile è dura ricordare che ce ne sono stati di buoni, ma devi andare avanti, chiedere aiuto se hai bisogno, e sperare di trovarlo. Cerco però di non pensare troppo alla mia persona pubblica... Chi mi segue si rivolge a me per il divertimento e l’intrattenimento. Spero anche di essere di ispirazione in qualche modo. E sono felice di avere quel ruolo nelle loro vite».
Parlava prima dei fan italiani. Il suo manager, Jon Landau, una volta ha detto che il suo concerto milanese del 2003 a San Siro, quello sotto il diluvio, è stato uno dei migliori della sua carriera... Un momento di comunione rock: il pubblico sul prato inzuppato e lei pure, visto che si spingeva ai limiti del palco, oltre il riparo del tetto.
«Vero... È stato indimenticabile. Uno dei più belli. Ci ripenso spesso».
A Milano si è aperto il dibattito: c’è un progetto per demolire San Siro e costruire un nuovo stadio...
«Veramente? Sarebbe tremendo. Un peccato. È un posto bellissimo. Per come è stato costruito è unico: il lato più lontano dal palco non è mai così lontano. Mentre suoni, è come se avessi di fronte un muro di umanità e ti torna addosso un entusiasmo enorme. Ogni edificio ha un’anima, una vita spirituale che non puoi mai dare per scontata. E fino a che sono sicuri, mi piace suonarci dentro. Le nuove costruzioni non ce l’hanno quell’anima».
Come è nato il progetto Western Stars?
«C’è voluto molto tempo per realizzare la versione in studio. Ho iniziato nel 2012, l’ho messo via per un paio d’anni e poi ci sono tornato sopra. Avevo circa 40 canzoni. Ho capito che era venuto qualcosa di musicalmente insolito e che non lo avrei portato in tour con un’orchestra. Così ho pensato di fare una cosa pragmatica e di filmare una performance per far vedere al pubblico come sarebbe venuto dal vivo. Siamo partiti da lì e inizialmente avrebbe dovuto esserci solo la performance, il disco dall’inizio alla fine».
Quando ha cambiato direzione?
«Quando registri un concerto in genere intervisti le persone che ci hanno lavorato. E tutti finiscono per dire che grande onore sia stato lavorare con l’artista... Lo abbiamo fatto, ma a un certo punto ho pensato a come avrei potuto portare la gente dentro alla vita interiore di queste canzoni. Una sera, mentre stavo a casa a guardare la televisione, mi sono messo a buttare giù delle idee e scrivere quelle che sarebbero state delle introduzioni per ogni brano. E una volta che c’erano questi racconti fuori campo, avevamo bisogno di qualcosa per coprirle. Thom ha preso delle immagini che avevamo girato nella session per la copertina del disco e che stavano bene su quella voce. E come ultima cosa ho fatto una colonna sonora per accompagnare le parole. Il film è come una meditazione e così le musiche che ho scritto tendono a essere circolari e ripetitive per cercare di trascinare lo spettatore dentro al racconto. Ecco perché per me alla fine è diventato un film e non soltanto la registrazione di un concerto».
I personaggi delle canzoni di «Western Stars» hanno storie che raccontano la battaglia quotidiana della vita, la distanza fra la realtà e un sogno americano che appare sempre più lontano e irraggiungibile...
«Scrivere in terza persona è un modo di esporre la mia vita interiore e i sacrifici. Descrivere i dettagli della vita di qualcun’altro mi fa usare uno stile di racconto cinematografico, mi suggerisce un panorama visivo. L’ho fatto con Nebraska, The Ghost of Tom Joad o Devils & Dust che sono gli altri miei album di storie brevi».
Uno dei personaggi del nuovo disco è l’attore sul viale del tramonto che si racconta fra ricordi e rimpianti nella canzone che dà il titolo al disco. Ha mai avuto paura di fare la sua fine ed essere dimenticato?
«Fino a che sei interessato alla vita e curioso del mondo che ti circonda rimani una forza vivente e quando scrivi riesci a essere creativo. È quello che speravo. Ognuno ha un momento in cui perde la direzione o si perde in sé stesso, ma poi ritrova la strada e la vita prosegue».
Nel materiale scelto con Zimny ci sono anche un video del 1998 del viaggio di nozze di Bruce e Patti Scialfa che scherzano davanti a una baita e giocano a carte e una foto di quando portarono il figlio maggiore, Evan, sulla panchina a Manhattan che era stata il rifugio segreto della coppia agli inizi della loro relazione e che Bruce scelse per chiedere la mano a Patti.
Nel film la presenza di sua moglie, Patti Scialfa, è sempre leggera, anche musicalmente, ma costante.
«Era nelle intenzioni iniziali. Il film è anche una lettera d’amore per la mia famiglia e per Patti. Stiamo assieme da trent’anni e quando cantiamo assieme c’è così tanta storia attorno a quel piccolo microfono... Lei è splendida e se si vuole andare a fondo, la sua presenza, anche quando non sta cantando con me, è lì, al centro del film. Thom ha archiviato i miei video privati ed è stato divertente inserire qualcosa. Ci sono anche filmini non miei che Thom ha scelto da altri archivi. Sono tutte cerimonie: matrimoni, feste, famiglia, balli... sono le cose che ci aiutano a tenere la testa fuori dall’acqua».
I cavalli sono uno dei simboli di questo progetto. Ce n’è uno sulla copertina dell’album in studio, nel film vengono ripresi mentre galoppano liberi nel deserto...
«I cavalli sono parte integrante della vita della mia famiglia, da quando 30 anni fa ci siamo trasferiti in una fattoria nel New Jersey. Mia figlia Jessica è una cavallerizza (è una campionessa e punta alle Olimpiadi, ndr)».
È riuscito a domare i puledri selvaggi della sua anima di cui canta in «Chasin’ Wild Horses»?
«Il tema di quella canzone è il prezzo da pagare per gli errori che commetti. Speri di farne sempre meno invecchiando. Hai ancora delle giornatacce, continui a commettere errori e torni indietro per riparare i danni che hai fatto agli altri e quelli che hai fatto a te stesso. È la vita di tutti. Non è perfetta ma è tutto quello che abbiamo».
Alla fine del film la sua voce augura un buon viaggio ai pellegrini... «E quello che ci auguriamo tutti». E lei a che punto è del suo viaggio?
«Non saprei, ma spero non nell’ultima parte (ride). Credo di avere ancora molte strade da percorrere. Non sono ancora arrivato lì».
Bruce Springsteen: i 70 anni del "working class hero" del rock. Il grande rocker del New Jersey, nato il 23 settembre del 1949, ha da poco pubblicato l'album "Western Stars". Il prossimo anno sarà in tour mondiale con l'E Street Band. Gabriele Antonucci il 23 settembre 2019 su Panorama. "Non ho mai avuto un lavoro onesto in tutta la mia vita. Non ho mai fatto un lavoro di giorno onesto. Non ho mai lavorato dalle nove alle cinque. Non ho mai fatto un lavoro duro. Eppure è tutto ciò di cui ho scritto nelle mie canzoni. Sono diventato incredibilmente famoso nello scrivere brani su qualcosa che non conosco in prima persona”. Parole di Bruce Spingsteen, che oggi taglia il traguardo dei 70 anni (è nato il 23 settembre del 1949 a Long Branch), pronunciate in un monologo del fortunatissimo spettacolo Springtseen on Broadway che è andato in scena al Walter Kerr Theatre di New York a cavallo tra il 2017 e il 2018, per un totale di 79 repliche sold out. Lo spettacolo, scritto e diretto da Springsteen, è una sorta di bilancio della sua vita, dove racconta con partecipazione emotiva la sua infanzia, il rapporto con i genitori, l’influenza di Elvis Presley, l'impatto della guerra del Vietnam, le divisioni razziali dell'America, la fascinazione del deserto dell'Arizona e di Freehold, New Jersey, la città natale che decide di lasciare, dipingendola come un personaggio essenziale per la sua carriera, quasi fosse un membro della E Street Band. "Vengo da una città di lungomare dove quasi tutto è stato costruito con l’inganno" -afferma Bruce nell’incipit- "E così sono io. Se non l'avete ancora capito." Il cuore dello spettacolo è l’onesta nel dichiararsi "disonesto", mettendo in luce i suoi difetti, le sue contraddizioni e le sue mancanze, quasi a voler cancellare quell'aura di epicità che da sempre è associata alla sua persona.
I segreti del suo successo. In realtà il Boss (soprannome che lui detesta) è un artista che ha fatto delle verità e della forza espressiva i punti cardine della sua poetica rock a base di canzoni ricche di vita vissuta, storie di emarginati, corse notturne attraverso le infinite e polverose highways americane, voglia di riscatto, dolorose cadute e inaspettate risalite. Nessun cantautore americano, dopo Bob Dylan, ha raccontato le strade infinite, le angosce esistenziali e le contraddizioni dell’America degli ultimi quarant’anni come Springsteen. In fondo tutta la sua poetica ruota intorno ai temi dell’identità e del viaggio ed è questo uno dei segreti per capire lo straordinario senso di comunanza che il Boss è riuscito a instaurare con il suo fedele pubblico nel corso di oltre quarant'anni di carriera, in cui ha vinto 20 Grammy, un Oscar e un Tony,oltre ad essere stato inserito nella Rock and Roll Hall of Fame, aver ricevuto un Kennedy Center Honor ed essere stato nominato “Person of the Year” da MusiCares nel 2013. Il cantante non è vissuto come una rockstar lontana e irraggiungibile, ma un working class hero del New Jersey che ce l’ha fatta e che vuole, attraverso la celebrazione sempre nuova di un rito esaltante quanto catartico come quello del concerto dal vivo, che ce la facciamo anche noi a trovare i nostri “glory days”, ma non prima di aver attraversato il nostro personale deserto.
I leggendari live. I fan di Bruce Springsteen, un popolo numeroso, eterogeneo e di ogni età, sostengono che c’è chi è fan del Boss e chi non è mai stato a un suo concerto. In effetti, al di là dei gusti musicali, è impossibile non lasciarsi coinvolgere dal vivo dall’energia e dal carisma di questo moderno sciamano del rock che rappresenta, nelle sua fisicità ancora esplosiva nonostante i 70 anni compiuti oggi, l’eroe americano tratteggiato dalla penna di Whitman. Pensi a Springsteen e la prima immagine che ti viene in mente è quella di uno stadio pieno e traboccante di entusiasmo per il rocker del New Jersey, celebre per le sue trascinanti maratone musicali di quattro ore. I live del Boss, artista che ha fatto delle verità e della forza espressiva i punti cardine della sua poetica, non sono semplicemente concerti, ma, per lunghezza e per intensità, delle vere e proprie messe laiche officiate dall’ultimo sciamano del rock. A lui dobbiamo il merito di aver mantenuto in vita la fiamma del rock and roll, fin dal suo album di debutto Greetings from Asbury Park del 1973, inteso non come mera musica di intrattenimento, ma come strumento universale per prendere posizione e per risvegliare la coscienze assopite di una società ripiegata su se stessa, indifferente e iperconnessa, brandendo la sua Fender consunta come un'arma benevola.
L'autobiografia "Born To Run". Una lettura imperdibile, per i suoi ammiratori, è quella di Born To Run, la voluminosa autobiografia di 528 pagine, iniziata nel 2009 dopo lo show con la E Street Band durante il Super Bowl e che ha richiesto 7 anni di lavoro. In Born to Run Springsteen ci racconta la sua infanzia a Freehold, nel New Jersey, un luogo pieno di poesia ma anche di potenziali rischi, destinato ad alimentare la sua immaginazione, fino al momento che Bruce chiama 'Big Bang': il debutto di Elvis Presley all’Ed Sullivan Show. Fondamentale, per lui, è stata la scoperta di Bob Dylan nel 1965: «La prima volta che ho ascoltato Like A Rolling Stone avevo 16 anni, ero in macchina con mia madre e stavo ascoltando WMCA, quando ad un tratto partì quel colpo di rullante che suonava come se qualcuno stesse aprendo a calci la porta della mia mente». Nel volume descrive il suo desiderio incontenibile di diventare un musicista, gli esordi come re delle 'bar band' ad Asbury Park e la nascita della E Street Band. Con candore disarmante, per la prima volta Bruce illustra i tormenti interiori che hanno ispirato i suoi capolavori, a cominciare proprio da Born to Run, un brano che qui si rivela più complesso di quanto immaginassimo. Una lettura illuminante per chiunque ami Bruce Springsteen, ma è molto più del memoir di una rockstar leggendaria: è un libro per spiriti pratici e inguaribili sognatori, per genitori e figli, per innamorati e cuori solitari, per artisti, fricchettoni e chiunque voglia essere battezzato nel sacro fiume del rock. È raro che un artista racconti la propria storia in maniera così intensa e dettagliata. Come in tante delle sue canzoni (Thunder Road, Badlands, Darkness on the Edge of Town, The River, Born in the USA, The Rising e The Ghost of Tom Joad, per citarne solo alcune), nell’autobiografia di Bruce Springsteen troviamo l’ispirazione di un autore unico e la saggezza di un uomo che ha riflettuto a fondo sulle proprie esperienze.
L'ultimo album "Western Stars". Lo scorso 14 giugno ha stupito tutti con Western Stars, uscito a cinque anni di distanza dall’ultimo album di inediti, in cui il Boss è riuscito a stupirci ancora una volta con un genuino e malinconico soft rock d’autore, evocativo e ricco di archi. Il diciannovesimo disco della carriera di Springsteen porta la sua musica verso nuove direzioni, prendendo in parte ispirazione dai dischi pop della California del Sud tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70, come hanno rivelato i primi due singoli Hello Sunshine e There Goes My Miracle. Uno stile musicale che aveva trovato nella Laurel Canyon il suo Eldorado e in Glen Campbell e Jimmy Webb due dei suoi maggiori autori. «Questo lavoro è un ritorno alle mie registrazioni da solista con le canzoni ispirate a dei personaggi e con arrangiamenti orchestrali cinematici», racconta Springsteen, «è come uno scrigno ricco di gioielli». Western Stars è stato registrato prevalentemente nello studio casalingo di Springsteen in New Jersey, con l’aggiunta di alcune registrazioni realizzate in California e a New York. Nei tredici brani di Western Stars, tutti scritti dal rocker del New Jersey, troviamo una vasta gamma di temi tipicamente americani: dalle autostrade immense agli spazi desertici, dal sentimento di isolamento a quello opposto di comunità, dalla stabilità di casa alla speranza che non svanisce mai.
Il film "Blinded By The Light". Il recente film Blinded by the Light, diretto dalla regista indo-inglese Gurinder Chadha (già autrice del delizioso Sognando Beckham) e ispirato alla vera storia del giornalista Sarfraz Manzoor, grande fan di Bruce Springsteen che grazie alle sue canzoni è riuscito a perseguire il suo amore per la scrittura, è un inno alla vita, a seguire le proprie passioni, a rompere lo status quo, a credere alla forza dell'amore e dell'amicizia, anche e soprattutto in un periodo dominato dal cinismo e dal sarcasmo. Un vero e proprio balsamo per l'anima, scandito da 12 canzoni tra le più belle e significative del Boss che, su suggerimento della moglie Patti Scialfa, ha voluto concedere i suoi brani a un film con un piccolo budget, ma con un grande messaggio di speranza. Il docufilm di "Western Stars" e un nuovo tour nel 2020. Il 25 ottobre arriverà nei cinema l'eponimo film, diretto a quattro mani con il suo amico e fedele collaboratore Tom Zimny, a metà strada tra il documentario della performance con cui, in un fienile di casa sua, ha suonato i pezzi di "Western Stars" e un visual che illustra con immagini gli intensi brani dell'album. Springsteen ha confermato che entrerà in studio con la E Stret Band in autunno, per poi intraprendere insieme un tour mondiale nel 2020 che farà tappa anche a Roma e, probabilmente, anche in qualche altra città italiana. Insomma, nonostante le 70 primavere, Bruce non ha alcuna intenzione di fermarsi e di appendere la chitarra al chiodo. Ci sono ancora tanti sogni da inseguire, tante canzoni da scrivere e tanti concerti ai quali dare il 100% delle sue energie. Emblematici, in questa sua continua tensione verso il futuro e l'altrove, sempre un passo avanti rispetto a ieri, questi versi di Born To Run: "Un giorno ragazza, non so quando, arriveremo in quel posto/ Dove davvero vogliamo andare e cammineremo al sole/ Ma fino ad allora i vagabondi come noi sono nati per fuggire".
La vita normale del figlio di Bruce Springsteen. Pubblicato lunedì, 05 agosto 2019 da Michele Farina, inviato a Londra, su Corriere.it. Non è un ripiego, un’occupazione part-time per fortificare lo spirito e tornare alla vita dorata di figlio del Boss. Sam Springsteen ha 25 anni e fa il pompiere. È una cosa seria. Ci ha messo un sacco di tempo e di addestramento. Ha giurato, e finalmente sarà operativo in una caserma della Monmouth County, la contea del New Jersey che è il nido della famiglia. La madre Patti Scialfa gli ha fatto i complimenti su Instagram: «Grande, hai realizzato il tuo sogno». Fare il vigile del fuoco, un sogno. Come tanti bambini, come Grisù nei cartoni. Ma qui si parla del figlio giovane di una leggenda della musica. Quello dei lavori normali, o comunque lontani dallo show-biz, sembra un vizio di casa: il fratello Evan, 29 anni, ha un posto a radio XM. La sorella Jessica, 27, è campionessa di equitazione. È vero che il salto a ostacoli non è come fare la panettiera o l’insegnante. Ma rispetto a tanti altri rampolli di star, gli Springsteen spiccano per una certa anonimità. Canta la figlia di Sting, il figlio di Bono degli U2 sembra un clone del padre, gli orfani di Clarence Clemons, il Big Man della «E Street Band», appaiono tutti con uno strumento in mano. Accade in altri campi dello spettacolo: i figli di Tom Hanks sono nel cinema, le tre eredi di Meryl Streep attrici o modelle. I due rampolli di Leonard Cohen suonano e cantano. Qualche anno fa ottenne titoli sui giornali la vicenda di Ava Philipp: con una mamma chiamata Reese Withersppon faceva la cameriera in una pizzeria di Pacific Palisades. Ma durò un’estate: Ava adesso fa la modella. Come Brooklyn Beckham, il figlio del calciatore britannico. A 15 anni faceva il barista per tre sterline all’ora. Ma se lo cercate oggi, non lo trovate dietro il bancone ma nei panni di modello. Seguire le orme dei genitori non è certo un delitto. Si cresce in un ambiente, si assorbono le passioni. Vale per casa De André come per casa Lennon, per i Marley come per i Kravitz. Fa notizia se i figli gemelli di Francesco De Gregori anziché scrivere canzoni aprono a Roma un negozio di dischi (rigorosamente vinili). Suona come una sorpresa se l’erede di Bob Dylan, Sam, fa l’avvocato a Los Angeles, specializzato nella difesa dei diritti delle persone LGBT. Alt, si tratta di un caso di omonimia: il vero Dylan junior fa il fotografo e «il figlio di Bob» a tempo quasi pieno. L’altro Sam, sulla costa opposta degli Stati Uniti, è uno dei pochi che hanno preso una strada diversa. Pure l’erede di Björk, Sindri, 33 anni (che l’ha appena resa nonna), fa il giornalista in Islanda ma poi di sera va per locali suonando la chitarra in diverse band. In Brasile c’è la figlia di Gilberto Gil, Bela, 31 anni, che scrive libri di cucina. Ma il caso del piccolo Springsteen è diverso. È fissato con i pompieri: vuole difendere la vita della comunità. Una missione per cui ha superato una selezione non da poco, risultando al 42° posto sui 961 professionisti del Jersey City Fire Department. «È un sogno che si realizza», come ha scritto mamma Patti. Perché un sogno che non si realizza, cantava suo padre, «è una bugia». Aveva solo sette anni, Sam, al tempo della strage delle Torri Gemelle. Oltre 150 delle circa tremila vittime, in gran parte poliziotti e pompieri, venivano dalla Monmouth County, il posto di Bruce. È noto il legame tra il rocker e i firefighter dell’11 settembre, raccontato nell’album capolavoro The Rising. Qualcosa, nel racconto paterno di quegli eroi che salivano sulle Torri in fiamme per salvare la gente «through this darkness», con 30 chili di materiale sulle spalle, ha bucato il buio di quella tragedia. E ha dato al bambino Sam la traccia di un sogno. Orgogliosi di suo padre, orgogliosi di lui.
· Renato Zero.
Sandra Cesarale per Il “Corriere della Sera” il 3 novembre 2019. «Finitela con i cellulari! Siete qui per vedere Renato Zero o per fare i cameraman? Metteteci l' anima e la memoria. Basta con 'ste ca...te»: è appena iniziato il secondo tempo dello show. Il signore dei sorcini interrompe il concerto e si rivolge al pubblico. È furibondo. Poi, come fosse un direttore d' orchestra ordina: «Daccapo». Esce di scena e rientra dopo pochi secondi. I cellulari sono (quasi tutti) spenti. Ora sì che può intonare Vivo . La passione e il furore. È partito l' altra sera dal Palazzo dello Sport di Roma «Zero il folle in tour»: sei date nella Capitale tutte esaurite (oggi la seconda replica) prima di intraprendere un viaggio nei palazzetti che ha raccolto 14 sold out su 26 live. «Quattro, tre, due, uno.... Zero!». Il conto alla rovescia urlato dal pubblico è l' immancabile rituale che dà il via alla serata lunga tre ore. Il sipario bianco, sovrastato da tre gigantesche maschere, si apre. Sullo schermo compare l' orchestra diretta da Renato Serio che accompagna, «virtualmente», Zero in Il mercante di stelle . Lui indossa un lungo mantello con fiori di stoffa colorati. È un tour nei palazzetti ma dal forte impatto teatrale. A partire dagli splendidi costumi (18 i cambi d' abito) che fanno pendant con i bizzarri copricapo: turbanti, parrucche bianche dal sapore settecentesco, cloche argentate in stile anni Venti, tube dalle quali fanno capolino una colomba, fiori o cd. Zero, circondato sul palco dalla sua band, è padrone della scena. A 69 anni mostra un' energia invidiabile. Confessa: «Il calendario mi ha detto: non hai più 18 anni. Ho riflettuto, ho dato un' occhiata alla muscolatura, mi sono fatto mettere uno stent. Ora il cuore batte benissimo e sarà dura liberarvi di me. Questa follia tenetela da parte. La calma piatta non ci piace». Zero mette insieme passato e presente senza troppa nostalgia e concede molto poco all' eccentrico dissacratore degli anni 70: in scaletta compaiono Madame e Triangolo , ma le lascia cantare al coro Wacciuwari mentre lui si defila dietro le quinte. E anche se l' ironia non lo abbandona mai, Renato Zero predilige pescare in tutto il suo repertorio canzoni di denuncia sociale o brani più intimi e li fa rivivere con le melodie di Zero il folle (ci sono quasi tutte) pubblicato poche settimane fa. Durante Rivoluzione (scritta con Incenzo, Palmer e Parisse) sul grande schermo compaiono le immagini di Gesù, Martin Luther King, Gimondi, Bartali, Don Bosco, Falcone e Borsellino, Gandhi e Madre Teresa di Calcutta. Quattro passi nel blu, dedicata agli amici scomparsi, è accompagnata da una lunga lista di nomi: da Mia Martini a Pino Daniele e Lucio Dalla, da Fabrizio De André a Battisti, Califano e Alex Baroni, da Modugno al Quartetto Cetra, da Fabrizio Frizzi ad Anna Marchesini, Gaber e Pavarotti. Canta Casal De' Pazzi e spunta il volto di Pasolini con la bocca chiusa da un cerotto nero. Su Emergenza noia si vedono tirapugni, strisce di cocaina e un posacenere colmo di sigari. È sferzante la sua Ufficio reclami con i coristi travestiti da preti e suore ed è dolente il suo sfogo contro i femminicidi. Urla: «Non è mai la donna che muore, ma gli uomini che si sono suicidati». È uno Zero indignato che si preoccupa delle culle vuote («Le cicogne disertano») e della crisi energetica («Tutto non basta per tutti. E niente non è sufficiente per tutti. Finirà il carburante, e saremo costretti ad abbracciarci nuovamente, a stringerci la mano, ad andare a piedi al supermercato»). Usa tutto il suo sarcasmo per sottolineare l' apatia che soffoca la società: «Questo è un momento splendido per il mondo: c' è chi timbra il cartellino per noi, chi va in parlamento per noi... chi non va in piazza siamo sempre noi». Ringrazia la sua città Roma e il pubblico. Un' onda umana che canta e balla, indossando fasce con il nome di Renato e i cappellini di paillettes. «Che bellezza, non ci sono buche o monnezza che tengano». Per Zero il folle esce di scena e fa partire un video in cui, guardandosi allo specchio, vede sé stesso giovane (interpretato da un attore), mentre immagini di repertorio mostrano Zero com' era ai tempi di Zerolandia e Zerofobia : divo e divino, sempre unico. Il concerto si chiude con la classica Il cielo e con il solito «Non dimenticatemi». Un saluto che non ha più il sapore di un auspicio ma di una indistruttibile certezza.
Tutte le anime di Zero. Pubblicato lunedì, 30 settembre 2019 su Corriere.it da Sandra Cesarale. Il cantautore lancia il nuovo album, in uscita il 4 ottobre: «Sono un peccatore eccellente e avanti di 30 anni. Cerco di scuotere le coscienze». Geisha, fauno, divinità indiana, un signore dai capelli bianchi e ricci che assomiglia a Dio: Renato Zero, a 69 anni (compiuti lunedì 30 settembre) mette in mostra le sue mille anime per presentare il nuovo album Zero il folle (nei negozi da venerdì). E il primo novembre partirà da Roma il nuovo tour nei palasport: 13 le date già sold out. «Le piume di struzzo, le paillettes — dice in una sala colma di fan che gli cantano Tanti auguri — mi hanno tolto dal grigiore di una vita come quella di papà, che voleva fare il tenore e non c’è riuscito. Oggi voglio festeggiare Zero per avermi posseduto dall’età di 15 anni, per avermi tolto dalla nullatenenza, dalla noia, ma soprattutto per avermi infuso quel desiderio di cambiare le cose e la vita. Quella di Renato e di Zero è stata una convivenza contrastata. Zero a un certo punto era diventato troppo invadente, l’ho rimesso a posto. Ormai dormiamo nello stesso letto e usiamo lo stesso rasoio. Ma è un bene che ci siano conflitti. Essere appagati sarebbe un vivere monocorde e insignificante». Nell’album — registrato a Londra con Trevor Horn, Alan Clark e Phil Palmer dei Dire Straits — c’è tanta attualità: ecologia, globalizzazione, fuga dei cervelli, il rapporto con Dio, il machismo («Tanti maschi, ma pochi uomini... come in Parlamento. La società va rifondata dalle basi, dalla famiglia»). «Con le mie canzoni ho sempre cercato di scuotere le coscienze come hanno fatto Gaber, Dalla, De André, Jannacci, Modugno». In «La culla è vuota» parla di crisi delle nascite e critica l’aborto. «Lo condanno quando viene usato come anticoncezionale». Mai più da soli graffia i social. «Si propaganda l’esposizione, chi si offre. C’è una competizione insana a voler assomigliare o superare Sara Ferragni... Ah, si chiama Chiara? Noi della giungla non siamo aggiornati». In Ufficio reclami ironizza sul sesso con un coro angelico: «Sono un peccatore eccellente, non mi aspetto grandi cose dal piano superiore». Affonda sull’ambiente: «Da romano mi rendo conto di come il disagio, la sporcizia, le buche intacchino la nostra salute fisica e mentale, l’umore. Quando ho scritto Il Cielo non pensavo a questo cielo. I temporali di una volta servivano a pulire anche quello che non pulisce la Raggi». Greta Thunberg? «Non trovo scandaloso che dica di non voler morire intossicata. Non stiamo in poltrona a giudicare». Nella canzone che dà il titolo all’album «riassumo la mia vita in quattro minuti». Quattro passi nel blu è un omaggio agli amici scomparsi: «Lucio Dalla, Ivan Graziani, Mango e tanti altri. Sono la mia coperta di Linus. Li porto addosso anche in questo disco». Produce da sé dischi e concerti e attacca le multinazionali: «Prendono i soldi qui e li spendono a casa loro». Renato Zero esiste, spiega, «perché abbiamo avuto Clapton, John Mayall, Sarah Vaughan, Ella Fitzgerald, Frankie Valli. Un mio amico marinaio mi portava dall’America i dischi di Frankie Avalon e Burt Bacharach che in Italia non arrivavano, li bloccavano alle frontiere. Forse c’era un Salvini anche allora». Ringrazia il pubblico: «Mi ha consentito di non allontanarmi dalla passione, dall’impegno. Mi ha aiutato a considerare che le canzoni fanno parte di me, sono parenti di Pasolini, Fellini, Carlo Giuffré e di tanti altri amici». Camaleontico Renato: «Poter indossare la mia natura, muovere il pensiero degli altri lo ottieni se sei padrone delle tue esperienze, se sei portatore sano del coraggio». Difetti? «Uno: sono sempre stato avanti di trent’anni. Penso a Lindsay Kemp, Paolo Poli, Mozart, Beethoven, van Gogh, Lady Gaga, i Queen. Gesù Cristo: oggi sarebbe tale e quale ad allora. Ci si nasce stravaganti, genio e sregolatezza».
Da ilmessaggero.it il 18 ottobre 2019. Una condanna a un anno e quattro mesi di reclusione con l’accusa di maltrattamenti infamiglia. È la richiesta della procura per Roberto Anselmi Fiacchini, 46 anni, figlio adottivo di Renato Zero. Per il pm Mauro Masnaghetti, avrebbe vessato psicologicamente l’ex moglie,Emanuela Vernaglia, 43 anni. A Fiacchini, che respinge tutte le accuse, vengono contestate anche le lesioni: in un’occasione avrebbe stretto con troppa forza il braccio della donna, nell’aprile del 2013. La sentenza arriverà l’11novembre. Dopo una prima separazione, la coppia era tornata a convivere nel 2010. Ma le liti erano ricominciate dopo poco tempo ed erano proseguite fino al 2013, quando i due si erano definitivamente lasciati. Fiacchini, per l’accusa, avrebbe anche iniziato a rimproverare l’ex moglie per avere comprato alimenti troppo cari. Secondo il pm, le vessazioni psicologiche sarebbero avvenute anche di fronte alle figlie della coppia,che in diverse occasioni avrebbero visto Fiacchini strattonare la donna.
Il figlio di Renato Zero assolto dall’accusa di maltrattamenti. Pubblicato lunedì, 11 novembre 2019 da Corriere.it. Il figlio adottivo di Renato Zero, Roberto Anselmi Fiacchini, 46 anni, è stato assolto dall’accusa di maltrattamenti nei confronti della compagna Emanuela Vernaglia con la formula piena, perché il fatto non sussiste. La procura aveva chiesto la condanna a un anno e quattro mesi di Anselmi Fiacchini. L’imputato era finito sotto processo dopo la querela della donna, 43 anni, restauratrice. La coppia ha vissuto una relazione piena di alti e bassi. Sposati nel 2004 — l’anno successivo alla scelta di Renato Zero di adottare Anselmi Fiacchini all’epoca suo bodyguard — l’imputato e la Vernaglia si separano nel 2009 dopo aver avuto due figlie. Dopo circa un anno, però, la coppia appianò le controversie e i due tornarono a vivere insieme. Dopo quattro anni, nuove divergenze. Un litigio nel 2013 in seguito al quale lei sporge querela, sostenendo che lui sarebbe persino arrivato a rimproverarla di acquistare alimenti troppo cari, e accusandolo in un caso di averla strattonata davanti alle figlie facendole del male a un braccio. Sembra l’addio definitivo. E invece di nuovo Anselmi Fiacchini e la Vernaglia tornano a convivere con le loro figlie. E’ il 2015, e da questo momento la coppia ricostruisce un legame felice. Lei ritira anche la denuncia nei confronti del compagno, difeso dall’avvocato Anna Maria Anselmi.
CI SCRIVE L’AVVOCATO DI ROBERTO FIACCHINI, FIGLIO DI RENATO ZERO. Dago Spia il 21 ottobre 2019. Riceviamo e pubblichiamo: In merito alla vicenda processuale che vede coinvolto il mio assistito Roberto Fiacchini Anselmi vorrei precisare quanto segue. Il procedimento penale ha avuto origine da una querela proposta dalla Sig.ra Vernaglia in un momento di crisi coniugale, in coincidenza con la procedura di separazione. Il rapporto matrimoniale si è ricostituito da circa quattro anni, tanto che la moglie non è parte civile nel processo e i coniugi hanno altresì rinunciato alla separazione e vivono felicemente insieme alle loro due figlie. Alla luce di quanto sopra e tenuto conto della testimonianza resa della Vernaglia in primis e di tutti gli altri testi, la difesa concludeva chiedendo l'assoluzione con formula piena del sig. Fiacchini. Il Giudizio veniva rinviato all’11 novembre per le repliche e per la sentenza. Avv. Anna Maria Anselmi
Carlo Moretti per “la Repubblica” il 2 ottobre 2019. Renato Zero torna a Zerolandia. Il 4 ottobre esce Zero il Folle che riecheggia gli esordi anche nel titolo. Un ritorno alle radici a cominciare dal suono, che Zero è andato a cercare a Londra, grazie alla produzione del terzetto d' assi formato da Trevor Horn, Phil Palmer e dall' ex Dire Straits Alan Clark. Nelle nuove canzoni tanti temi attuali, dal crollo delle nascite ( La culla è vuota ) all' isolamento causato dall' uso ossessivo dei social ( Mai più da soli ): «Basta con i cellulari, io preferisco il citofono, almeno sai chi vai a incontrare», dice Zero. «E basta con questa insana competizione di voler somigliare a Sara Ferragni», aggiunge, sbagliando per due volte il nome dell' influencer. Parla di ambiente ( Che fretta c' è ) e difende Greta: «Ho letto cattiverie su di lei, ma tra tanti adulti che dicono stronzate, meglio allora una bimba che dice cose giuste».
Ha voluto presentare "Zero il folle" il 30 settembre, nel giorno del suo 69esimo compleanno: e allora, innanzitutto, tanti auguri.
«Grazie infinite. Un po' me li merito e un po' li sopporto egregiamente».
È in qualche modo utile, oggi, la follia?
«La follia è anche un riscatto. È l' ingrediente che, se utilizzato per scopi creativi e per immaginare il futuro, ha la capacità di contaminare gli altri. La follia di Gesù Cristo è stata bella, sana, passionale, a lui dobbiamo il merito di averci offerto una via di uscita, di non accettare supinamente certe conclusioni. Finché c' è questa fede vale la pena di rimescolare le carte e di giocare la partita».
"La culla è vuota" tratta il tema del crollo delle nascite.
«Ognuno è responsabile in qualche misura di questo spopolamento. Condanno l' aborto anticoncezionale, quello che supplisce al profilattico. E un po' colpevole è il sesso, spesso fine a se stesso: una passione liberatoria che ci preclude il futuro».
C'è una canzone sui social responsabili dell' isolamento.
«Affrontare un nemico o un amico guardandolo negli occhi è la forma più funzionale ma anche più esatta per capire se l' altro è recuperabile, se il rapporto funzionerà, se c' è bisogno anche di una litigata o di mettere in piazza la propria verità. Sui social è un continuo giocare a nascondino, la gente dà dei falsi indirizzi di se stessa e lancia trabocchetti: le fake news sono la testimonianza di quanto può essere infame l' utilizzo di questo strumento. Ritornare al citofono sembra retorica ma in effetti credo che sarà la soluzione più utile per recuperare noi stessi».
Altro tema che torna spesso è la musica come strumento salvifico.
«Sul fatto che abbia un potere curativo non ho dubbi, ho visto gente che attraverso la musica ha recuperato voglia di vivere ed equilibrio. Stabilisce un' intesa magica per cui l' ascoltatore o il fan diventa uno specchio e la musica un boomerang in grado di offrire il suggerimento di una via di uscita. La sicurezza si raggiunge anche così: io, la mia imbranataggine l' ho vinta attraverso Luigi Tenco, le parole di Sergio Endrigo, la musicalità di Umberto Bindi».
"Quattro passi nel blu " sembra dedicata a loro.
«È il mio modo per dir loro grazie. Sono stato un fan anch' io e ciò ha prodotto in me grande benessere».
Ha registrato a Londra evitando quanto più possibile i suoni digitali.
«Tornare a Londra mi ha riportato al periodo in cui io andavo a fare l' escursionista e a mettere le orecchie nei locali allora fondamentali, come il Marquee e lo Speakeasy. Avrò avuto 16 o 17 anni. Andavamo con la mia amica italo-francese Edy, che cantava per la Rca: assaporammo la gioia di ascoltare con grande anticipo le novità musicali. Faccio un genere distante ma credo che questi stili abbiano offerto vari spunti nel mio repertorio».
Ha detto che i politici di oggi le piacciono poco.
«Mettono in risalto una mascolinità che a volte espone una muscolatura ingiustificata. In Italia non abbiamo bisogno di muscoli, abbiamo bisogno di pacche sulla spalla e di esempi grandi che ci consentano di mandare i figli a scuola con orgoglio e di timbrare il cartellino sempre con lo stesso entusiasmo».
Renato Zero: «Sono un narratore irrequieto. Cambio per restare me stesso». Pubblicato mercoledì, 04 settembre 2019 da Barbara Visentin su Corriere.it. Cambiare per rimanere se stessi. Indossare una maschera per non codificare nessun essere umano e abbracciarli tutti. Renato Zero, poliedrico e visionario, trasgressivo e affettuoso, ha raccontato le mille facce del suo essere artista nell’incontro che ieri ha tenuto al «Corriere della Sera», uno dei primi appuntamenti del Tempo delle Donne, la festa-festival del «Corriere,» con gran finale in Triennale dal 13 al 15 settembre, che porta in città oltre 250 eventi e 400 ospiti. «Negli anni sono stato raccontato con un’indigestione pazzesca di appellativi, ma più di tutto io mi sento un narratore — ha detto Zero, in conversazione con il vicedirettore vicario del “Corriere” Barbara Stefanelli e con il vicecaporedattore Pasquale Elia —. È l’aspetto che meglio mi ha permesso di tradurre la mia irrequietezza e il mio non voler appartenere alla categoria degli statici». Il mutamento e la diversità sono concetti che ritornano, nelle riflessioni del cantautore romano, 68 anni, che anche con il prossimo album «Zero il folle», in uscita il 4 ottobre, e con la tournée (13 date sono già sold out) nei palasport in partenza da Roma il 1° novembre promette un nuovo, spettacolare capitolo di una carriera che va avanti da oltre 50 anni. «Trovo che le maschere non servano a nascondersi, ma a diversificarsi — ha spiegato il cantautore —. Avere il coraggio di cambiare significa farlo tutti i giorni e porgersi con complicità verso chiunque. L’artista lo fa di mestiere: mi hanno dato del qualunquista tante volte, ma la gente mi piace tutta, di destra, di sinistra, di centro, gay, etero. Non ho mai fatto queste distinzioni perché sono delle perdite di tempo. Vi spiace se sono strano e amo definitivamente tutti?». E se il pubblico presente in sala l’ha ricambiato con altrettanto amore, aspettandolo fuori dalla sala fin dal mattino, arrivando da lontano, raccontando aneddoti da veri «Sorcini», Zero non si è tirato indietro, riguardando i video dei suoi anni più sfrontati, alzandosi in piedi e riproponendo anche una mossa ancheggiante in stile «Mi vendo»: «Là però c’avevo un fisichetto! — ha scherzato —. Negli anni 70 mi vedevano con le piume, tutto vestito d’oro, quando all’estero ancora non succedeva niente. C’è chi ha detto che ho preceduto David Bowie e il glam». Tra i punti fermi di un percorso da oltre 500 canzoni che l’ha visto «rinascere diverse volte», ci sono stati incontri fondamentali come quello con Lucio Dalla, ha ricordato: «L’ho conosciuto in un ascensore della nostra casa discografica, se ne stava seduto in un angolo. Ho visto uno uguale a me ed è stato come se avessi avuto salva la vita». O, ancora, amicizie come quella con Ornella Vanoni, che ieri ha fatto irruzione imprevista in Sala Buzzati con una telefonata messa in viva voce. Dal passato riemerge invece il rammarico di non aver capito in tempo Pier Paolo Pasolini: «A 17 anni volevano presentarmelo, ma ero impreparato e l’ho temuto. Purtroppo ho visto dopo la sua statura e ho trovato grandi affinità col suo pensiero. Ha pagato con la vita una dottrina che forse non era così digerita nei palazzi». D’altra parte, ha riflettuto il cantautore, accettare le diversità in Italia continua a essere faticoso: «La naturale gestione di se stessi, in qualunque ambito, disturba se dall’altra parte c’è mancanza di informazione e di educazione. Succede con gli omosessuali, così come con le persone che cercano approdo da altri Paesi. Ci vorrebbe maggior consapevolezza da parte delle istituzioni». Un appello che Renato Zero ha indirizzato anche al tema della violenza sulle donne: «Gli uomini hanno molto da farsi perdonare, l’atto criminoso è già immaginare di uccidere una donna. Teniamo d’occhio ’sti maschi e diciamo loro che possono parlare con i sacerdoti, gli analisti, gli amici. Ci sono tante opportunità per desistere dal commettere un delitto».
Alessandro Ferrucci e Marco Travaglio per il Fatto Quotidiano il 5 settembre 2019. Alle otto del mattino le prime persone in fila: eppure mancano tredici ore all' appuntamento con Renato Zero alla festa del Fatto. Non importa. Dopo pochi minuti arriva una signora e con un gesto pratico e rodato, quasi da parcheggiatore, estrae un mazzetto di numeri e li distribuisce, "almeno non litighiamo"; speranza vana, alle cinque del pomeriggio, complice la tensione, la folla e il caldo, sfugge qualche parolone accompagnato da un gesto forte. Tra i presenti c' è chi ha con sé i dischi degli anni Settanta per un autografo, chi i biglietti dei prossimi concerti della tournée Zero il Folle (dal primo novembre parte da Roma, mentre il 4 ottobre esce il nuovo disco d' inediti); chi una foto con il cantante, una maglietta, una rivista. In migliaia, per lui. In sottofondo il classico countdown scandisce l' attesa: "Cinque, quattro, tre, due, uno Zeroooo!". E Zero alle nove sale sul palco della Versiliana accompagnato da Baratto, nella versione del 1979. "Qui ero a Starparade, programma di punta della televisione tedesca, e mentre cantavo l'ambulanza andava e tornava, andava e tornava, più andava e meno tornava, eppure i tedeschi avevano fama di essere tosti".
Cosa accadeva?
«Non so ancora se gli svenimenti erano per il caldo o per la presenza di quest' essere così provocatorio e dissacrante; fatto sta che non mi hanno mai più chiamato».
Gli abiti del tempo erano disegnati da te?
«Sì, nella vita ho imparato a essere autosufficiente: sono il mio parrucchiere, la mia sarta, il mio truccatore Tutto È ciò che deve fare una persona saggia e prudente perché non si sa mai; una volta ho sognato di alzarmi la mattina come unico spettatore della vita, non c' era più alcun essere umano in giro, e ho pensato: "Ora che cazzo combino?". Poi ho iniziato a cantare e si è ripopolato il mondo».
Vista l' esperienza con la tv tedesca, in Rai è andata meglio?
«A Viale Mazzini ho partecipato a quattro provini, e allora, quando chiamavano, ti piazzavano in una stanza con davanti un vetro, un po' come nei commissariati. E Indagavano sulla tua natura, la tua esistenza, i vari perché e percome e ogni volta l' esito finale era: "Lei è fuori dalle righe" o "troppo ambiguo", "a tratti disgustoso"; poi un bel giorno il presidente della Rai va in vacanza in Svizzera e allora il mio amico Gianni Ravera, forse mosso a compassione, mi chiama a casa: "Prepara la valigia, forse riesco a farti esibire in Rai"».
Perfetto.
«Così assemblo il bagaglio (ci pensa), più che un bagaglio una cofana di vestiti; raggiungo Saint Vincent e il bravo Gianni mi spedisce sul palco tra i primi della serata, credo alle nove e mezzo e non appena inizio a cantare Il triangolo lo raggiunge una telefonata dalla Svizzera: era proprio il presidente che gli intimava di farmi scendere e di non presentarmi mai più.
Arrivederci.
«E Gianni: "Se questa è la vostra volontà, lo spedisco a casa". Passano sei minuti, e altra telefonata dalla Svizzera: "L' hai mandato a casa?". "Un attimo, dategli il tempo di scendere". E il presidente: "Nooo! Lascialo, e lo voglio in onda pure domani"».
Ecco il pezzo dello "scandalo".
«Nella vita ho avuto un pregio e un difetto esasperante: ho letto gli eventi e i mutamenti con largo anticipo e alcune volte con soddisfazione; in altri casi questa dote mi è dispiaciuta perché indovinare un terno al Lotto può risultare divertente, ma quando i fatti si manifestano nella loro reale gravità, ho avvertito un po' di risentimento verso il Renato Zero autore».
Però?
«Per me questa professione va affrontata con sincerità, e non si può vendere fumo: se uno mente al pubblico allora mente anche a se stesso; è necessario non perdere mai rigore, passione e coerenza».
Regola fissa.
«È necessario un approccio severo e per questo ho spesso messo da parte alcune canzoni, che successivamente sono andato a riascoltare Recuperate? È successo con La favola mia; tutto ha i suoi tempi e le sue modalità e se si sbaglia il timing il brano viene ucciso».
Ai tempi di Triangolo Panatta racconta di essersi spaventato la prima volta che ti ha conosciuto: sembravi vestito come un marziano.
«(Ride) Adriano allora aveva paura pure delle lucertole; comunque ho tre sorelle e quando ai tempi si dovevano fidanzare, prima portavano i pretendenti a casa, e se resistevano a me, allora andavano bene».
Come è nata Il cielo?
«La partecipazione paesaggistica, la collocazione della persona in un luogo ben preciso, determina la tipologia di quello che si scrive, non la qualità; il mare, ad esempio, su di me ha sempre esercitato un' influenza speciale, mi ha ispirato brani molto aperti e tra questi Il cielo, scritto quando avevo tra i 17 e i 18 anni e frequentavo Ventotene, un' isola che ha la forza di spettinarti dalla mattina alla sera. Venir spazzolati dal vento significa anche mandare in caciara le idee, mescolarle, accenderle, renderle vive; talmente vive da poter comporre Il cielo a quell' età, e lo dico oggi che ho 69 anni».
Anche Il cielo lo hai tenuto in stand by per molti anni?
«Non ricevevo ancora il beneplacito della discografia: forse ritenevano che non avevo il diritto a un trattamento d' artista».
È fine Settanta.
«Un' esperienza di due anni e mezzo-tre, insieme a Gigi Proietti e Vittorio Gassman; tra di noi si era creata una sorta di sana complicità su quanto pubblico ognuno riusciva a coinvolgere».
Invece come nasce L' ammucchiata?
«Avevo un' amica di origine statunitense che, appena arrivava un gruppo dall' estero, lo portava a casa e lo rallegrava; io ero amico anche del fratello: un giorno salgo da lei per salutarla e, mentre la cerco, inciampo prima in un braccio, poi in una gamba (sorride), ed è nata L'ammucchiata. Tempi bizzarri; poi avevo un padre poliziotto, e quando mi trovavo in situazioni un po' scabrose».
Tipo?
«Una volta dal Piper mi accompagnano a casa due amici e nel tragitto si preparano un cannone gigante con sopra l' olio indiano. Miscela esplosiva. E loro: "Vuoi?". "No, grazie". Però l' abitacolo era quello, e quando sono sceso e rientrato dai miei, il letto mi risucchiava; spaventato chiamo Mimì (Mia Martini): "Qualcosa non va, ho respirato il cannone, e ora ne pago le conseguenze". E lei: "A Renatì, dormi e facce dormì pure a noi"».
Perfetto.
«Così riprovo, ma il letto nuovamente mi risucchiava, allora chiamo mio padre e gli spiego la situazione. "Me vesto e annamo". Mi porta in ospedale, e lì mi danno 12 gocce di Sympatol».
Tuo padre è stato spesso preso in giro dai colleghi per un figlio come Renato Zero.
«Sì, meschini; papà ottenne un alloggio dove vivevano altri 136 poliziotti, e quando uscivo da lì erano lastre quotidiane (cambia tono). Ovunque siete, "stronzi!"».
Tuo padre acquistava i biglietti dei concerti.
«Sempre, voleva dimostrarmi la sua gioia e l' orgoglio».
Gli hai mai raccontato come hai evitato il militare?
«Fu lui ad accompagnarmi, ma non sapeva della biancheria».
Cioé?
«Un filo interdentale dietro e davanti un triangolino color fucsia».
Il tuo pubblico non canta, ma vive le canzoni.
«Conoscono il senso vero delle parole contenute nei brani».
Prima della partecipazione a Sanremo, avevi dichiarato di volerti ritirare. Cosa era successo?
«Una serie di situazioni anche più grandi di me, come la tragedia al Castello Sforzesco di Milano, quando è crollato il ponte con sopra un gruppo di ragazzi, e lì è morta Tiziana Canesi, il cui unico torto era di essere mia fan. Il giorno dopo sui giornali sono usciti titoli come "Renato Zero canta e Tiziana Canesi muore", quando era uno spettacolo della Rai con 36 artisti coinvolti; dei presenti nessuno sapeva della tragedia».
D' Agostino narra di un incidente in auto con te.
«Confermo, eravamo in tre su una Fiat 500: io seduto dietro; a un certo punto passiamo un incrocio e una macchina ci travolge, la nostra auto si ribalta più volte e si ferma su un fianco. Quando riesco a uscire mi trovo davanti l' insegna delle pompe funebri. Non solo. Mi portano in ospedale con la testa rotta, e lì dentro sento Roberto gridare: "Ma che sete matti? Quello è mi' fratello, non lo potete mette' nel reparto delle donne!"».
Come eri vestito?
«Porelli, non era colpa loro: oltre all' abbigliamento nel periodo avevo pure la chioma leonina».
Lucio, Mimì, Califano, Battiato: chi aggiungeresti al tuo pantheon?
«Per fortuna ho vissuto una trasversalità molto significativa e singolare: nel 1954 i fratelli di mio padre ci regalarono un televisore americano, un Admiral in legno, e tutto il giorno emetteva un suono strano, friggeva dalla mattina alla sera, poi ogni tanto quel rumore spariva e appariva una signorina: "Prove tecniche di trasmissione". Poi con il passare del tempo apparvero Dario Fo, Aroldo Tieri, Gilberto Govi, Eduardo De Filippo, Cesco Baseggio: io vengo fuori con le immagini di queste persone; artisti che anni dopo sono diventati amici».
Un sogno.
«La ricompensa per questa scelta di vita è stata quella di aver accarezzato il volto di Lucio Dalla, aver stretto la mano a Lucio Battisti, aver provato amore per Mimì, un amore intramontabile e vero; o di aver raccontato barzellette con Rino Gaetano».
E la Ferri?
«Gabriella, una grande».
È vero che Il carrozzone era stato composto per lei?
«A quel tempo lavoravo spesso con Piero Pintucci, e un giorno mi ferma: "Ti va di sentire questo brano? Gabriella non lo vuole". Lo ascolto e mi pietrifico: "Piero, vengo io da Gabriella e le dico che è perfetto". Macché. Quando lo canto c' è dentro lei, la penso».
Rino Gaetano.
«È una delle toppe della mia vita, non avevo compreso il suo stato d' animo, il suo dolore; è in quel gruppo di artisti come Chaplin ed Eduardo che hanno fatto sorridere il mondo ma non hanno convinto loro stessi con quella risata. Rino era una persona meravigliosa».
Sei mai andato dallo psicologo?
«I lettini li adoro quando sono appetitosi».
Palestra?
«No, però gioco a scopone, ho i polpastrelli abilitati. (È il momento de I migliori anni e il pubblico si alza in piedi in un' ovazione). Oggi festeggiamo Zero, che in fondo mi ha tolto dai tabù, dai complessi, dal dover sposare Dio a tutti i costi, quando poi ho imparato ad amarlo a modo mio; grazie a Zero sono diventato rivoluzionario per vocazione e non per mestiere».
Non hai mai studiato musica.
«No, e a un certo punto è nato il desiderio di scrivere, però poi ho concluso due conti: se ho già realizzato tanto, e senza il brevetto del conservatorio, probabilmente se ci fossi andato avrei potuto perdere spontaneità e istinto».
Con quale strumento componi?
«A volte uso un registratore e certi spunti li canto pure se sono al supermercato; mentre per i testi do sempre precedenza alla musica e poi, con serenità, sono le note stesse a suggerirmi il percorso letterario; spesso gli spunti arrivano dal marciapiede, dall' ascolto della vita, per questo il pubblico ci si riconosce».
Negli altri casi?
«Sono storie mie, e nel prossimo disco c' è una traccia, la tredicesima, che se avete amato Il cielo questa volta è "l' universo", un brano meraviglioso perché c' è Renato che accarezza Zero».
· Lino Capolicchio.
Alessandro Ferrucci e Fabrizio Corallo per ''il Fatto Quotidiano'' il 31 luglio 2019. Il tono è pacato, l' atteggiamento è consapevole, quasi complice, il concetto è diretto; la sostanza non lascia alibi: "Il grande successo è come un veleno immesso nelle vene, una droga talmente forte da non poterne più fare a meno". Quel veleno Lino Capolicchio lo conosce benissimo, non lo ha combattuto, inutile, ma affrontato e vissuto; cavalcato e goduto, giusto qualche volta subìto ("dopo aver girato Il giardino dei Finzi Contini ero assediato dalle fan. Una follia quotidiana"). Ha vinto un David, ha girato con i grandi della cinepresa: Vittorio De Sica, Dino Risi, Giuseppe Patroni Griffi, Carlo Lizzani e per nove volte è stato scelto da Pupi Avati (è anche ne Il Signor Diavolo, in sala dal 22 agosto). E a quasi 76 anni riconosce una certa fortuna nella propria esistenza, ma quando parla di Fellini e del mancato ruolo in Satyricon, gli occhi diventano piccoli, perdono il loro azzurro, i concetti duri: "Il più grande dolore professionale della mia carriera".
Insomma, con Avati siete al nono.
«A Comacchio, nel mio ultimo giorno di riprese e negli ultimi attimi, mi ha piazzato una mano su una spalla: "Pensa Lino, siamo nello stesso punto in cui abbiamo girato una scena de La casa dalle finestre che ridono (1976): sono passati quarant' anni e non ce ne siamo accorti».
Lì aveva un ruolo ambiguo.
«Sono abituato, mi è capitato spessissimo».
Come mai?
«Perché all' inizio della carriera, nel1969, ho interpretato Ric in Metti una sera a cena: personaggio complesso, uno che a pagamento andava con uomini e donne, e in una delle scene c' è un bacio a tre. Ovvio scattarono le polemiche».
Feroci?
«Anche mia madre inorridita: "Ma giri questi film? E poi sei sempre nudo!" Mamma, è il personaggio. "È terribile"».
Quindi
«Da allora ho l'etichetta dell' attore bravo a interpretare personaggi particolari».
Le è pesato?
«Nel quotidiano sono una persona rigorosa, chiusa e censurata, mentre sul lavoro sfogo il mio contrario, sono pronto a tutto, e già allora me ne fregavo di quel che accadeva».
Dopo "Metti, una sera a cena" tra lei e Patroni Griffi è nato un rapporto forte.
«Si era innamorato di me: con gli omosessuali mi è accaduto spesso; (sorride) ho ricevuto tante lettere d' amore, da Mauro Bolognini in particolare».
La sua reazione?
«Imbarazzato».
E con le donne?
«Ho vissuto anni di delirio collettivo, soprattutto dopo il ruolo da protagonista ne Il giardino dei Finzi Contini: ogni giorno mi aspettavano circa 200 ragazze».
Rockstar.
«Situazione problematica, si infilavano ovunque, e ne dovevo rispondere pure con gli altri; una sera il direttore di un albergo mi chiama: "C' è una ragazza che ci sta stressando, non ne possiamo più"».
Ha ancora quelle lettere?
«Forse non è chiara la portata: dopo Il giardino ne ho ricevute più di cinquemila e da tutto il mondo, dalla Cina alla Svezia, dall' Argentina al Giappone. Io inconsapevole di suscitare tali sentimenti».
Proprio inconsapevole, no.
«In realtà ho sempre stimolato una sorta d' ipnosi: a sei anni, la maestra di scuola è andata da mia madre con una richiesta bizzarra: "Voglio adottare suo figlio: è speciale, strano, curioso"».
Sua mamma?
«"Non se ne parla proprio". Mentre papà mi odiava, uomo terrificante, mi voleva strozzare, picchiare, sbarazzarsi di me: ad appena sette anni mi ha spedito in collegio».
In competizione con lei.
«Il giorno in cui gli ho comunicato l' idea di diventare attore, ha risposto: "Sai qual è la tua fine? Chiederai l' elemosina"».
E quando è arrivato al successo?
«Ha derubricato: "Sei stato fortunato. Devi ringraziare la natura". Non mi ha voluto sul letto di morte, ha finto di stare bene pur di non vedermi».
Per fortuna, mamma.
«Ero innamorato di lei. Donna bellissima».
Il cinema.
«Tutto nasce dalla figlia del panettiere sotto casa: lei 15 anni, io 12. Ero pazzo di lei. In uno dei miei infiniti pellegrinaggi per vederla, mi guarda e s' illumina: "Hai un volto da cinema, pensaci". Pensaci? Ho iniziato a guardarmi per ore allo specchio, desideravo capire se aveva ragione o meno».
Fino a quando.
«Affronto mamma: "Basta con questa rottura del pianoforte, del solfeggio, voglio un' insegnate di recitazione". E Mi asseconda, la trova, ma la signora accetta con riserva: "Prima voglio verificare le sue capacità". Mi presento con il monologo di Antonio dal Giulio Cesare di Shakespeare. L' insegnante resta sulle sue: "Impegnativo". Finisco la prova e resta in silenzio».
E poi?
«Chiama mia madre: "Devo dirle due cose di suo figlio. Uno: è la persona più presuntuosa mai conosciuta; due: ha talento assoluto"».
Così presuntuoso?
«Moltissimo».
E come lo manifestava?
«Avevo un atteggiamento di chi afferma: sono bello, sono bravo, sono intelligente. Cosa desiderate di più?»
Come reagivano i registi?
«Mi hanno perdonato».
Non provavano a metterla al suo posto.
«Certo, in molti (e gli brillano gli occhi)».
Tipo Giorgio Strehler.
«Mi adorava, aveva un atteggiamento paterno, quando arrivava il pizzicotto sulla mia guancia era matematico; fino a quando oltre al pizzicotto ha associato l' esigenza di un chiarimento: "Per caso sei un po' checca?". "No maestro, mi piacciono e molto le donne". Sia ben chiaro All'epoca ero fidanzato con una ragazza di una bellezza spropositata: viso da madonna su un corpo da pin up, l' unica che avrei sposato».
Quindi...
«Un giorno sono con lei all' ingresso degli artisti e vedo arrivare Strehler. La mando via».
Alla fine delle prove il maestro si avvicina: "Chi era?".
«"La mia fidanzata". "Allora non sei davvero checca"».
Omofobo.
«Solo curiosità: doveva sapere tutto».
Il dopocena a teatro è così importante?
«È fondamentale, è il momento del pettegolezzo, della leggerezza, della valutazione soggettiva dei colleghi; con Volontè erano sedute di confronto, lui mi chiamava Tolstòj».
Con Volonté sempre riferimenti comunisti.
«Perennemente. Una sera ci incontriamo, e si lamenta: "Ho appena finito di girare una stronzata in Spagna, un set lunghissimo, non finiva mai per assenza di fondi. Non voglio più cascare in queste situazioni terrificanti". Il film era Per un pugno di dollari».
Perfetto.
«Un' altra volta siamo in pizzeria, la cameriera molto carina. Noi ci proviamo. Lei esasperata pone la giusta distanza: "Sono fidanzata". "Non importa, mica vede niente". "In realtà è qui, è il pizzaiolo"».
Bella figura.
«A quel punto ce lo presenta e conosciamo un traccagnotto meridionale, cordiale. "Salve". "Piacere". E la ragazza: "Ha una voce pazzesca". Noi divertiti: "Ci canti qualcosa?". "Qui no, solo pizze". Il traccagnotto era Al Bano».
Torniamo al cinema: il primo film importante è del 1968, Faenza alla regia.
«Al primo incontro arrivo con i capelli lunghi e ossigenati. Non ero un bel vedere. Quando mi vede, apostrofa: "Parlano bene di lei, ma sembra frocio e drogato"».
Ecco.
«La fortuna non mi ha mai abbandonato, e così la segretaria di produzione si incavola con Faenza e il produttore: "Continuate a chiedere provini a tutti, ma è Capolicchio quello giusto"».
La sua bellezza l'ha limitata?
«Mi ha aiutato».
All'inizio ha parlato di "veleno".
«Sì, te lo iniettano. Diventa vitale. (Cambia tono) Oltre alle 200 ragazze ad aspettarmi, per un periodo non ho potuto camminare per la strada: assalito; un pomeriggio, in piazza Risorgimento a Roma, mi sono rifugiato nella farmacia di un' amica al grido: "Chiudi la porta!"»
Idolo assoluto.
«In quegli anni sono arrivati a offrirmi il ruolo di testimonial della Coca Cola, con annesso un assegno da brividi».
Lei, niente.
«Una cifra incredibile per pochi giorni di lavoro: quando mia madre lo ha saputo, è realmente svenuta; ma per me, allora, la pubblicità era professionalmente disdicevole. E poi guadagnavo molto bene».
Oggi meno?
«Rispetto a quei tempi lavoro quasi gratis».
Impegnato politicamente?
«Sempre votato a sinistra, mai iscritto. Partecipavo a qualche manifestazione, seguivo Volontè. Mi interessavo al dibattito interno al cinema, alla salvaguardia del ruolo di attore. Niente più».
Vittorio De Sica.
«Come tutti lo appellavo "commendatore"; solo un po' di tempo dopo ottenni una concessione: "Mi puoi chiamare signor De Sica"».
Il set con lui.
«Faticoso, era un cesellatore di recitazione, una battuta la potevi ripetere decine di volte, però sentivi l'opera di un maestro: era in grado di mostrare a ognuno la propria parte, anche per i ruoli femminili, e le scene d' amore».
Giuseppe De Santis.
«Persona speciale, un comunista con un rigore assoluto nei confronti della professione».
Tradotto?
«Erano anni che non lavorava e finalmente chiude per un film. Mi coinvolge. A ridosso delle riprese arriva il produttore: "Dalla sceneggiatura devi tagliare almeno 30 pagine"».
Cosa? "Sì".
«Risultato? Ha sospeso tutto e lo abbiamo girato molto tempo dopo».
Un ruolo mancato?
«Fellini è il dolore più grande».
Come mai?
«Doveva girare Satyricon, quindi mi convoca: "Capolicchio, se la prendo deve andare in palestra". "Nessun problema". "Ci sono molte scene di nudo". "Maestro, va bene". E aggiunge: "La questione è la seguente: il produttore vuole lei e Pierre Clementi, mentre io preferirei due volti non noti. Per questo noi abbiamo risolto con una scommessa: chi vince decide i protagonisti"».
Ha vinto Fellini.
«Con una grande "però": Martin Potter, l' attore preso al mio posto, era identico a me».
Identico.
«Si è avvelenato. Di più: ancora sono incazzato nero. Furibondo. (torna a sorridere) Poi ho perso Profondo rosso, e a causa di un incidente spaventoso, anzi mortale».
Colpa sua?
«All' epoca vivevo dei disguidi con mia moglie, temevo mi avvelenasse perché la tradivo e lo aveva scoperto: per questo vivevo in Scozia, da amici».
Scelta comoda.
«L'agente mi chiama: "Torna a Roma c' è un ruolo per te nel prossimo di Argento". Obbedisco. Incontro Dario e mi dà la sceneggiatura: "Leggila nel weekend e ci vediamo la prossima settimana". Va bene. Decido di andare a trovare mio figlio nelle Marche, non lo vedevo da mesi, ma non guidavo; allora chiedo a un' amica di accompagnarmi».
Ecco l' incidente.
«Un frontale con un pazzo. Per me una batosta, ginocchio a pezzi, mentre la mia amica in coma. Addio film. Ma il punto è un altro: tempo dopo torno a rivedere l' auto e insieme alla compagna di sventura. Distrutta. Guardo dentro e sul sedile posteriore c' era la sceneggiatura di Dario, intatta, ma ogni pagina, sottolineo ogni, era macchiata di sangue e ancora rosso».
Per anni ha insegnato al Centro Sperimentale e scoperto grandi attori.
«Pierfrancesco Favino, Sabrina Ferilli, Francesca Neri, Alessio Boni, Iaia Forte, Paolo Virzì. Tutti veramente bravi».
Il primo?
«Favino: l'ho visto a un provino mi è immediatamente piaciuto, lo volevo, ma c' era un problema: "Sei bravo, ma il personaggio è veneto e tu sei romano". Lui tranquillo risponde: "Per combinazione la mia ragazza è di Treviso, se vuole parlo come la sua famiglia". Cacchio, era perfetto».
Fuoriclasse.
«Assoluto e certe cose le sento: ho un orecchio da musicista, se i suoni sono quelli giusti o superiori, allora fermo tutto. E con lui è andata così».
Momenti di imbarazzo?
«(Scoppia a ridere) A Vercelli, di fronte a un risotto strepitoso, mi avvicina lo chef: "L' ammiro tanto". Ringrazio compiaciuto, pensavo si riferisse a Il giardino. Poi aggiunge: "Sono un fan di Hazard (telefilm dei primi Ottanta), e lei ha doppiato Bo (uno dei protagonisti)". Non ci volevo credere».
Nella vita si è divertito?
«È stata una bellissima avventura, senza grandi problemi fisici. Giusto ora qualcosina soffro, ma l' oncologa mi ha detto "lei è un bell' uomo anche così". Quindi va bene».
· Non è la D'Urso.
Gennaro Marco Duello per tv.fanpage.it il 18 dicembre 2019. È già un meme lo scontro tra Barbara D'Urso e Sergio Vessicchio avvenuto nel corso dell'ultima puntata stagionale di "Live – Non è la D'Urso". Prima della pausa natalizia, la puntata ha offerto numerosi spunti, su tutti quel "Salutame a soreta" con cui la "padrona di casa" ha congedato il giornalista sportivo radiato dall'Ordine dei giornalisti. Proprio Vessicchio Sergio, da non confondere con Beppe, prima di essere cacciato dalla trasmissione ritrovandosi a microfono spento e collegamento chiuso, si è tolto lo sfizio di ricordare a "Carmelita" che "anche tu sei stata radiata dall'Ordine dei giornalisti". Erano altri tempi, altre epoche. Vediamo quali.
Quando Barbara D'Urso era nell'Ordine dei giornalisti. Barbara D'Urso non viene radiata dall'Ordine dei giornalisti, ma si dimette di sua spontanea volontà nella seconda metà degli anni '90. Colpa di una pubblicità. Era il 1999. La Carta dei Doveri dei giornalisti impone al giornalista di non assumere incarichi e responsabilità in contrasto con l'esercizio autonomo della professione. Inoltre, non può prestare nome, voce e immagine per iniziative pubblicitarie, escluse quelle a titolo gratuito volte a fini umanitari, sociali, religiosi e comunque prive di carattere speculativo. L'attività di giornalista di Barbara D'Urso, però, le ha fruttato anche un libro, "Debole è la carne", nel quale furono incluse le principali interviste "scottanti" realizzate per i settimanali "King" e "Moda", entrambi diretti da Vittorio Corona. Proprio lui, il padre di Fabrizio Corona.
Le mansioni giornalistiche di Barbara D'Urso. Quali erano le mansioni giornalistiche di Barbara D'Urso? Di cosa si occupava nei settimanali per i quali ha scritto? Oggi si trovano poche tracce su quello che è stato il percorso di "Carmelita" nel mondo della carta stampata. C'è un pezzo, però, pubblicato su Repubblica nel febbraio 1992. Lo firma Mario Orfeo. Il titolo: "Sorpresa, sorpresa, il calciatore è nudo". Nell'articolo si racconta di una Casertana allo sbando, la squadra di calcio all'epoca ultima in classifica in Serie B, travolta anche dallo scandalo di alcune foto di nudo apparse sul settimanale "Moda". L'articolo che mostrava il reportage esclusivo lo firmava proprio la D'Urso: Ultima nella classifica di serie B e nella graduatoria delle province italiane "per vivibilità", Caserta è la prima a scoprire le nudità dei suoi calciatori. L' obiettivo indiscreto di una giovane fotografa, Priscilla Benedetti, è entrato nello spogliatoio della squadra ritraendo i giocatori senza veli, tra i vapori delle docce e i cori del dopo partita. Poi le immagini più caste, con vista del fondo schiena o con l' asciugamano a coprire le parti intime, sono finite con grande evidenza sulle pagine del mensile "Moda", accompagnate dalla cronaca di questa "intrusione" in un sacrario del mondo maschile. In America, un fatto del genere destò scandalo. Insulti e offese a una giornalista americana che aveva tentato di violare il tempio, cioè lo spogliatoio, di una formazione di football. In Italia, in verità, già da molti anni giornaliste sportive hanno accesso nelle sale stampa degli stadi, e nei corridoi davanti agli spogliatoi. Certo non accade tutti i giorni che una fotografa si butti dentro lo stanzone per una serie di scatti. A Barbara D' Urso, attrice napoletana e autrice dell'articolo, i giocatori hanno dispensato sorrisi e battute, un po' perchè la D' Urso è amica della moglie del presidente rossoblù Cuccaro e un po' perchè si è fermata fuori dalla porta, preferendo lasciare sola l' audace fotografa. "E' stata un' esperienza divertente, un modo per sdrammatizzare le tensioni che circondano la squadra in questo momento e tenere più unito il gruppo", ha commentato il presidente della Casertana, complice con la moglie di aver autorizzato il servizio giornalistico, senza immaginare le reazioni della città che ieri è insorta in nome del comune (e antico) senso del pudore.
Le interviste erotiche di Barbara D'Urso. Argomenti leggeri, interviste audaci e personaggi scottanti. In "Debole è la carne", libro che racchiude la sua attività giornalistica e che è praticamente introvabile, Barbara D'Urso parla con i suoi ospiti di sesso: "Una sorta di viaggio intorno all'universo erotico", suggerisce la quarta di copertina. In quelle lunghe interviste, tante curiosità in un faccia a faccia tra l'intervistato e lei, già nella duplice veste di "attrice e giornalista". In quel libro, tutte le interviste pubblicate sui settimanali della King Edizioni, sempre del padre di Fabrizio Corona. Molti di quei personaggi, oggi gravitano nell'universo "dursiano": Eva Grimaldi, Corinne Clery, Loredana Bertè, Piero Chiambretti, Jerry Calà, Daniele Luttazzi, Eva Robin's, Claudia Koll, Luca Corbini, Stefania Sandrelli, Brigitte Nielsen e Lucrezia Lante della Rovere. È strana la vita. Messa così, quella che fu l'attività giornalistica di Barbara D'Urso sembra vicina ai primi passi nel gossip di Selvaggia Lucarelli. A trent'anni di distanza, tra le due c'è un abisso.
Barbara D’Urso e Filippo Nardi fidanzati in segreto: “Voglio convivere con la donna che amo”. Redazione il 19 Dicembre 2019 su Il Riformista. Negli ultimi mesi sono diventati sempre più insistenti i rumors sulla presunta storia d’amore che vede coinvolti la presentatrice più famosa d’Italia Barbara D’Urso e l’ex concorrente del Grande Fratello 2 Filippo Nardi. Tutto è partito da uno scatto condiviso questa estate sui social dalla D’Urso, il quale ritraeva i due personaggi dello spettacolo in Toscana dove hanno trascorso le vacanze insieme. Ad aver incuriosito i fan e le diverse pagine della cronaca rosa sono state le stories spesso pubblicate sui loro profili social, anche la presentatrice ha sempre parlato di una semplice amicizia.
LA CONFERMA – La conduttrice e l’ex gieffino si conoscono da molti anni. La professione televisiva di entrambi ha dato modo di instaurare un rapporto di fiducia tale per una solida amicizia. Sempre più vicini e complici, il feeling fra i due ha spesso incuriosito la cronaca rosa immaginandoli insieme in una presunta storia d’amore. La conduttrice di Pomeriggio 5 ha spesso smentito l’origine dei pettegolezzi sulla love story con Nardi, dichiarandosi in diverse occasioni single. Ma nuove informazioni hanno suscitato la reazione dei fan che li vorrebbero in coppia. Infatti in questi giorno il disc jockey ha rilasciato delle dichiarazioni durante una recente intervista al settimanale Nuovo, svelando qualche curioso dettaglio in più: “Non so dire che tipo di sentimento è nato tra noi, di certo ci vogliamo molto bene. Né io né lei abbiamo urgenza, chi lo sa cosa ci riserva il futuro. Siamo due persone molto decise. E poi sappiamo di poter contare l’uno sull’altro. Questo è certo. Se Barbara dovesse chiamarmi alle tre di notte perché ha bucato una ruota dell’auto, io mi precipiterei ad aiutarla”. Si è poi sbilanciato, dicendo di voler andare a convivere con lei, facendo intendere di essere innamorato: “Voglio convivere con la donna che amo. L’ho detto anche a Barbara. È sbiancata e mi ha detto ‘Non ci penso neanche!’. In effetti siamo tutti e due gelosi dei nostri spazi e non vogliamo che nessuno ci tocchi niente in casa. Allora le ho risposto che avremmo potuto prendere due appartamenti nello stesso palazzo – ha continuato Nardi – Sentimenti a parte, vorrei fare un programma insieme a lei in giro per tutta Italia, facendo emergere ancora di più tutta la sua umanità. Mi piacerebbe che per una volta fosse protagonista di un programma dedicato a lei”. Queste dichiarazioni lasciano presagire che la relazione esiste, dando speranza ai fan della coppia ad un probabile futuro insieme.
Da Circo Massimo - Radio Capital il 21 giugno 2019. Live - Non è la D'Urso ha chiuso una stagione di successi. E la padrona di casa non nasconde la soddisfazione. "Rischiare di fare una prima serata lunga, solo di parlato, era rischioso. Ci speravamo, ma non mi aspettavo tutto questo successo", racconta Barbara D'Urso a Circo Massimo, su Radio Capital, "L'azienda mi ha chiesto di portare a casa parecchie puntate facendo una media del 12%, che è tanto. Abbiamo avuto contro Montalbano, ieri sera c'era la partita dell'under 21, non era facilissimo. E invece siamo arrivati anche al 20". Uno degli argomenti principali della stagione è stata la vicenda del finto matrimonio di Pamela Prati: perché è diventata così importante per gli italiani? "Perché non è più una storia di gossip, ma una cosa giudiziaria", risponde la conduttrice, "tutto è partito da Dagospia, poi sono uscite cose assurde. Probabilmente dietro ci sono delle truffe. E c'è un universo gravissimo. Da anni mi preoccupo di truffe amorose, ma questa cosa è diventata ancora più pesante quando una signora ha riconosciuto il suo bambino quale Sebastian, finto figlio di Mark Caltagirone. Sono rimasta scioccata. Ho visto i video di questo bambino che dice sono malato, sto facendo la chemio... cose di una gravità assurda. Quindi ho affondato la lama". Nonostante il carico di ben quattro programmi, Barbara D'Urso non vuole fermarsi: "Adesso non potrei rinunciare a nessuno dei miei programmi. Pomeriggio 5 mi ha cambiato la vita, mi ha portato a trasferirmi a Milano da Roma, sono in diretta tutti i giorni, mi consente di portare avanti le mie battaglie... sono orgogliosissima, sono riuscita a far approvare la legge che permette di mettere le telecamere negli asili e nei centri per anziani, quindi a quello non potrei mai rinunciarci. Domenica Live è Domenica Live, l'ho creata sulla mia pelle. Al Grande Fratello mi diverto da pazzi. E Non è la D'Urso è un gioiellino", dice, confermando poi che Mediaset le aveva chiesto di allungare la stagione del talk per altre due puntate: "Sono talmente aziendalista, un soldato, che se fosse stato fondamentale per Publitalia l'avrei fatto, ma vorrei fermarmi e soprattutto disintossicare i telespettatori dalla D'Urso, dalla voce della D'Urso e dalla faccia della D'Urso. Ne parlo in terza persona perché anche per me a volte lei è un mostro". Barbara D'Urso è una donna risolta? "Non esistono persone risolte e nemmeno la felicità. Esistono solo attimi di felicità. Sono una donna fragilissima ma serena". Serena a Mediaset? "Sono da 15-16 anni in esclusiva , ho un rapporto di forte stima reciproca con Pier Silvio Berlusconi, ma ci sono stati degli abboccamenti da parte della RAI. Ancora per un po' sono qui, poi vediamo che succede". La D'Urso rigetta le accuse di fare tv trash e tv del dolore: "Cosa significa televisione trash? È trash quello che sto facendo con Pamela Prati? Allora sono diverse trasmissioni a essere trash. È trash il Grande Fratello? Allora tanti reality lo sono. Allora tutta la televisione del mondo è trash. Tv del dolore? Le accuse non mi toccano. Io faccio una trasmissione sotto testata giornalistica, mi occupo dei fatti del giorno. E se c'è una donna che viene uccisa da suo marito e la madre, cercata da tutte le televisioni, decide di venire in trasmissione e fare un appello, piangendo, con Barbara D'Urso, cosa faccio? Dico no? Io sono ben felice di accogliere quella mamma che piange in diretta da me e avere l'occasione di dire alle donne "chi ti picchia non ti ama", come faccio da 12 anni. Se la chiamano televisione del dolore, chi se ne frega. Io sto cavalcando una mia battaglia".
Spesso ha la possibilità di intervistare politici: "Sono molto affascinata dai politici, e sono grata che scelgano di venire nelle mie trasmissioni. Ognuno ha un proprio approccio. Io tratto tutti allo stesso modo, mettendoli a proprio agio, poi però arrivo con i miei affondi. Se c'è Salvini e non mi piace che vada al Congresso di Verona, glielo dico in diretta", spiega D'Urso, "Se c'è Renzi e voglio far approvare la legge sui diritti civili, io mi presento con le fasce arcobaleno e gli dico di promettere di farlo davanti agli italiani. Berlusconi è un grandissimo comunicatore, non credo abbia perso la presa sul Paese. Nicola Zingaretti mi ha divertito tantissimo, in diretta da me ha detto che questo governo è come Mark Caltagirone, l'ho trovato geniale". E a settembre? "Riparto con tutte e quattro le trasmissioni, non cambierà niente, a meno che non me ne chiedano una quinta!".
· Fuori la Ciccia. Vanessa Incontrada.
Vanessa Incontrada, pianto in diretta a 20 anni che siamo italiani: "Le critiche mi hanno fatto molto male". Libero Quotidiano il 7 Dicembre 2019. Vanessa Incontrada ne ha ricevute parecchie di critiche. A ripercorrere tutto il dolore è la stessa showgirl che, in diretta a 20 anni che siamo italiani (il programma di Rai 1 condotto in tandem con Gigi D'Alessio) si lascia andare a uno sfogo con tanto di pianto. "La perfezione non esiste… lo voglio urlare e gridare. Magari lo avessero detto prima a me - esordisce -. Sai quanto tempo ho perso a cercarla? Come in amore, no? Pensavo di dover essere perfetta per trovare l'uomo della mia vita, per piacergli, perché si innamorasse di me. Alla fine ho trovato un uomo speciale, Rossano, mio marito che mi ha detto una cosa che mi ha fatto molto ragionare: 'Devi sorridere dei tuoi difetti". E ancora: "A volte vorrei parlare alla Vanessa di 20 fa, e darle un piccolo consiglio: ‘Vane, smetti di voler essere diversa da quella che sei perché tanto la perfezione non esiste'. Volevo diventare ciò che non sono, un po' più così, un po' più cosa…". Poi la chiosa: "Adesso riesco a sorridere ma non è stato sempre così, perché a volte le critiche feriscono. A volte mi piaccio, altre volte no. Ma voglio bene alla persona che ho di fronte. E penso che sia importante circondarsi delle persone che ci vogliono bene per quello che siamo e che ci spingono a essere noi stessi. Perché tanto nella vita la perfezione non esiste". Dichiarazioni che emozionano tutto lo studio.
Striscia la Notizia, scoop sullo sfogo di Vanessa Incontrada: "Umiliata da Claudio Bisio per il suo fisico". Libero Quotidiano il 13 Dicembre 2019. Lo sfogo in diretta televisiva di Vanessa Incontrada sul corpo e il bodyshaming è stato un caso. Adesso Striscia la notizia è andata ad analizzare l'episodio e ha scoperto una verità agghiacciante. In un servizio - trasmesso nella puntata di giovedì 12 dicembre su Canale 5 -, visibile anche online, Striscia ripesca tutte le volte in cui ai tempi di Zelig Claudio Bisio ha preso in giro in modo pesante la fisicità di Vanessa, sua ex co-conduttrice di tantissime edizioni. "Così Bisio umilia Vanessa", si legge su Twitter di Striscia. Battute tremende sui fianchi, su quanto ami mangiare, sulla forma fisica. Per non parlare delle battute sul seno. Vanessa, ancora molto giovane, non poteva fare altro che ridere, ma si vedeva che ci rimaneva molto male. Quanto a Bisio, la professionalità e la delicatezza non gli appartengono. In questo caso fa una pessima figura.
Vanessa Incontrada, il monologo: «La perfezione non esiste». Pubblicato sabato, 07 dicembre 2019 da Corriere.it. «La perfezione non esiste. Esistono le persone, ad alcuni puoi piacere, ad altri no, conta solo quello che pensi di te stessa quando ti guardi nello specchio: lo dice, anzi lo urla, Vanessa Incontrada a «20 anni che siamo italiani», la trasmissione che conduce con Gigi D'Alessio su Rai1. Secondo Incontrada, criticata spesso dai giornali di gossip e dagli haters sui social per le sue forme femminili, ritiene che dovrebbero insegnare il concetto che la perfezione non esiste insieme a quelli basici di «lavati le mani prima di mangiare» e «non dire le parolacce». «Io pensavo di dover essere perfetta per trovare l'uomo della mia vita, per piacergli. Alla fine ho trovato un uomo molto speciale, lui, Rossano, mio marito, che mi ha detto una cosa che mi ha fatto molto ragionare: devi sorridere per i tuoi difetti. Ed è vero. E si è preso il pacchetto intero, pregi e difetti. E io ho fatto la stessa cosa con lui». Se potesse, la Incontrada, conduttrice e attrice di successo, darebbe un consiglio alla se stessa di 20 anni fa: «Smetti di voler essere diversa da quello che sei. Volevo essere un po’ più così, un po' più cosà...tutti mi volevano diversa. Ma tutti chi? Ho perso tempo cercando di essere giusta, dimenticandomi di essere felice». Del resto, nota Incontrada, i canoni stessi della bellezza cambiano in base alla dimensione temporale e geografica: se fosse vissuta negli anni ‘30, ad esempio, sarebbe stata perfetta. O se fosse vissuta in Colombia, poteva essere una delle muse di Botero. «Avere le forme è ritenuto sbagliato. E per questo, io devo ritenermi sbagliata?», si chiede ironica. In realtà lei stessa ammette che, anche se oggi riesce a sorriderne, ci sono state tante occasioni in cui si è sentita ferita, anche pensando che dietro gli sguardi di chi incontrava per strada, al supermercato, o davanti la scuola, «potrebbero nascondersi tutti quelli che pensano che tu sia sbagliata. Ma in realtà quel tutti non esiste. Esistono le persone. Ad alcuni puoi piacere, ad altri no». Questa consapevolezza le ha permesso col tempo di volersi bene: «A volte mi piaccio, a volte no, ma voglio bene alla persone che ho di fronte», conclude commossa, «e penso che è importante circondarsi delle persone che ci amano per quello che siamo e che ci spingono ad essere noi stessi». Le sue lacrime, e il suo monologo toccante, sono diventate immediatamente un manifesto per tutte le donne che combattono contro il «body shaming». Su Twitter e Facebook sono tantissimi gli apprezzamenti della presentatrice spagnola. E per lei si profila una «candidatura»: «Per me #VanessaIncontrada è la perfezione e vorrei tanto vederla accanto ad Amadeus sul palco di Sanremo».
Dagospia l'8 dicembre 2019. Vanessa Incontrada lancia un appello contro il body shaming e racconta la sua battaglia contro chi la giudica per le sue forme. Un monologo toccante a «20 anni che siamo italiani», trasmissione che conduce con Gigi D’Alessio su Rai Uno. «Io pensavo di dover esser perfetta per trovare l’uomo della mia vita. Alla fine ho trovato un uomo molto speciale, mio marito, che mi ha detto di sorridere per i miei difetti. Ed è vero. Si è preso il pacchetto intero, pregi e difetti e io con lui. Se potessi parlare alla Vanessa di 20 anni fa, le direi questo» dice la conduttrice. Poi conclude, in lacrime: «Adesso riesco a sorridere, ma non è stato sempre così, perché a volte le critiche feriscono, partono da un cellulare e arrivano dritte allo stomaco. La perfezione non esiste, conta solo ciò che pensi di te stessa quando ti guardi allo specchio. io sono moto orgogliosa di quello che vedo. Voglio bene alla persona che vedo. L’importante è circondarsi di persone che ci vogliono bene».
Anna Bandettini per ''la Repubblica'' l'8 dicembre 2019.
È una storia lunga, ed è molto più che la storia di un' attrice su cui si sono accaniti gli "odiatori" del web.
«È un atteggiamento generale, un modo di vedere e giudicare le donne che ha resistito a tutti i cambiamenti. Sei una ragazza?
Devi essere magra, bella, perfetta, altrimenti diventi un bersaglio per offese e sberleffi, diventi "una grassa", come fosse un marchio infamante. E tu? Tu vivi nella paura di essere sbagliata. Sono cose che conosco e che per fortuna ho superato. Per questo mi sono detta: basta, adesso voglio dire la mia».
Vanessa Incontrada oggi è l' eroina di tante: ragazze, donne, amiche, mamme, colleghe perché venerdì sera su Rai 1, nel programma 20 anni che siamo italiani con Gigi D' Alessio, pulpito pop e di successo, la quarantunenne showgirl e attrice di film e fiction amatissime ( Non dirlo al mio capo , Scomparsa , Il capitano Maria ) ha confessato cosa è stato vivere col marchio della "sovrappeso" e le offese su web e giornali per non essere la donna perfetta, taglia 38. «Avere le forme è ritenuto sbagliato e per questo io dovrei vergognarmi - ha scandito fissando la telecamera, prima di commuoversi - Ma la perfezione non esiste e bisognerebbe inserirlo tra i primi insegnamenti che ci danno (...). Le critiche feriscono, partono da un cellulare e arrivano dritto allo stomaco e quando vai in giro pensi che dietro le facce che incontri per strada, al supermercato o davanti alla scuola, potrebbero nascondersi tutti quelli che pensano che tu sia sbagliata. In realtà quel tutti non esiste, esistono le persone, ad alcuni puoi piacere ad altri no». Un monologo di poco più di tre minuti, perfino spudorato nella sua sincerità, bello perché ha accusato la faccia miserabile dei media e del web, importante se ha fatto registrare centinaia di migliaia di visualizzazioni e infiniti commenti su Facebook, mentre Twitter già reclama Vanessa al Festival di Sanremo.
E lei come si sente?
«Mi sento mille cose: orgogliosa, felice, fiera... Non è per me stessa che l' ho fatto, ma per le donne, tante tantissime che vivono lo stesso problema».
Però ha pianto, si è commossa.
«Dentro di me, si sono sciolti anni in cui mi sono sentita inadeguata per come ero. E poi confessarlo lì, nel silenzio, davanti a donne che mi guardavano, anche loro commosse... Ho amiche che non si guardano più allo specchio perché non si piacciono. Pensa il dolore.
Inaccettabile. C..zo, su questi temi voglio davvero la rivoluzione».
A lei come è andata? Quando ha cominciato a credere che non corrispondeva al modello dominante "magra-alta"?
«Io forse mai. Sono stati gli altri a farmelo credere. Undici anni fa ho avuto una gravidanza impegnativa e ho preso dei chili. Succede. I giornali invece hanno iniziato a sottolineare cosa era successo al mio corpo, poi i social, persone che passano le giornate a massacrare gli altri. Da lì è stata l' unica notizia su di me».
E lei?
«Provavo questo continuo sentirmi non a posto. Quando facevo Zelig portavo una guaina per sfinarmi, una cosa odiosa, un fastidio.
Ancora più duro di quando facevo la modella».
Cioè?
«Lì fai un mestiere in cui devi essere perfetta per principio. In Giappone ci pesavano ogni 15 giorni e se aumentavi eri fuori. Per apparire più alta, andavo ai casting con le scarpe altissime e dentro anche le solette per arrivare a 1,76.
Ho perso tempo a cercare di essere giusta, dimenticando di essere felice, come ho detto in tv. Sì, è vero, l' avevo scelto io: venivo da una famiglia umile, volevo viaggiare e mettermi da parte dei soldini per fare psicologia all' università. Ma adesso se mi rivedo a 20 anni mi dico: Vane', smetti di essere diversa da quella che sei».
Come ha vissuto in famiglia le offese ricevute?
«Rossano (Laurini, il suo compagno, ndr ) è stato grande. È grazie a lui se ho imparato ad accettare i miei difetti. Mio figlio ha 11 anni e non sa niente per fortuna. Litighiamo per la playstation e in tv adora Alessandro Borghese e i suoi ristoratori più che sua madre».
Qual è l' offesa peggiore che si è sentita fare sul web per le sue forme?
«Un giornale e non dirò quale scrisse: Vanessa la balena. Ti fanno sentire in colpa. Non immaginano quanto dolore creano».
Ma lei che taglia ha?
«Io porto una 42».
Ma dunque è magra.
«Si ricorda il film Notting Hill ? Julia Roberts - che, detto per inciso, io adoro - dice questa frase: "quello che esce sui giornali poi lo ritireranno fuori sempre". È così. Ma ho imparato che non si può piacere a tutti».
Detto da un' attrice sembra ancora più rivoluzionario.
«Solo in Italia l' aspetto fisico è così importante, più che in Spagna o negli Stati Uniti. E più in televisione che al cinema. Ma cambierà. Poco a poco ma cambierà. Via questi stereotipi».
Un pulpito come "20 anni che siamo italiani" quindi può essere utile.
«Certo. E sono molto contenta del programma. Le critiche sono state tutte buone e Gigi D' Alessio è stata umanamente una sorpresa enorme. Ho un amico in più. Per l' ultima puntata, venerdì prossimo, faremo insieme un pezzo sui pregiudizi, altro tema importante.
Perché li subiamo e al tempo stesso li perpetriamo tutti».
A gennaio, poi, su Rai 1 debutterà con la nuova fiction "Angela".
«L' anno nuovo è pieno di cose nuove: a febbraio il teatro con la nuova commedia di Gabriele Pignotta Scusa ma sono in riunione ti posso richiamare , ad aprile una fiction, a settembre un film. Angela debutta il 12: è una storia forte, dura. E, lo dico subito, ho dei chili in più. Ma è per necessità di copione. E poi chi se ne importa. E adesso per me tutta questa questione è chiusa».
FUORI LA CICCIA. Maria Teresa Veneziani per il “Corriere della sera” il 18 settembre 2019. «Le statistiche dicono che le donne taglia over 44 sono la normalità. Allora ho pensato che è arrivato il momento di farle brillare. Basta capi che coprono e mortificano». Vanessa Incontrada dimostra di aver trovato la sua seconda passione, dopo il cinema. La sfilata della linea che disegna dal 2016 per Elena Mirò (andata in scena a Palazzo Bovara che ospitò il giovane Stendhal) è un esempio di come la moda possa essere inclusiva e superare ogni pregiudizio. Non a caso i riferimenti sono gli Anni '70, quelli della liberazione: lo chemisier chiuso a vestaglia in maglia lamé è il pezzo facile per sentirsi femminile e chic anche nel quotidiano. E riecco le gonne-pantalone in lana check o in pelle lunghe al polpaccio, abbinate alla camicia in seta con il fiocco. Un filo d' oro illumina anche i tessuti più classici, dal Principe al tweed tricottato. Il nuovo power dressing by Vanessa è completato dalla mantella, lunga, importante come un tabarro, in lana color cammello (tono sul tono sulla camicia in seta e i pantaloni in pelle marron), ma anche in maglia con disegni a catena, portata con il cappello a larghe falde, ulteriore accento sulla personalità. La capsule see now buy now dell' autunno è già disponibile: «Il frutto di un anno di lavoro», sottolinea la designer-attrice che per creare abiti che non mortifichino il corpo è spesso ad Alba - nell' atelier della casa madre del brand, la Miroglio Fashion dove lavorano 42 modelliste e 11 sarte. «Abbiamo osato con i tessuti per dare uno stile forte anche alle taglie over 44. E ho introdotto la pelliccia, ecologica! Ci ho lavorato tanto, quasi un anno e ora è pronta anche quella dell' estate. Fosse per me, andrei anche su cose anche più provocanti, ma rispetto la donna Elena Mirò». Com' è? «Un po' più classica, ama il comfort e ha un suo stile anche nel quotidiano. Ma le curvy non vogliono più nascondersi. Se ho il seno o le cosce importanti, le mostro: o vi piaccio, altrimenti pace. Fino a poco tempo fa le donne sembravano divise in due blocchi: curvy e filiformi. Ora la moda ha capito che deve cambiare, anche perché sennò non vende». Il jeans leggermente scampanato è portato con la camicia di seta annodata e la cinturina con dettaglio d' oro. «Parlo per me, sottolineare la vita se è piccola è un trucco che slancia come ci hanno insegnato le dive, da Sophia Loren a Claudia Cardinale».
· Andrea Delogu.
Da I Lunatici Rai Radio2 il 18 settembre 2019. Andrea Delogu è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino. La conduttrice radiofonica e televisiva ha raccontato un po' di sé: "La mia estate? Sono stata in Giappone, è stato il mio viaggio di nozze dopo tre anni. Stupendo. Una roba incredibile, è stato bellissimo vedere un altro mondo, scoprire un'altra cultura. Ma poi è stato anche bello tornare e mangiare una amatriciana". Ha fatto molto discutere un suo recente post su instagram a proposito della 'perfezione che non esiste': "L'avevo messo nelle storie. Ho ricevuto molti messaggi di persone colpite, mi sono stranita. Ho pensato che davvero c'è chi crede che tutto ciò che si vede in televisione sia realtà. E' spettacolo, è come il teatro, come il cinema. Ci sono dei trucchi. Non mi aspettavo tutto quel casino, devo dire la verità. Mi hanno scritto molti genitori, tante ragazze che si sentivano rincuorate. Gli obiettivi da raggiungere devono essere scoperti, non puoi far credere che esista un qualcosa di perfetto, perché non c'è. Il rapporto con il mio aspetto? Non credo di essere tutta questa gran figa, ma sono molto carismatica. Quella è la mia carta vincente. Quando ero più giovane era diverso, a fine anni '90 c'erano poche conduttrici, dovevi farti la gavetta in reggiseno e minigonna. Ora le cose sono cambiate, non ci sono più vallette troppo scosciate e molto ammiccante. E' cambiato il linguaggio televisivo, è diventato più paritario". Sul suo libro 'Dove finiscono le parole, storia semiseria di una dislessica': "Ho capito che non dovevo superare la dislessia. E' una caratteristica, come avere gli occhi chiari o scuri, essere bionda o riccia. Io ho capito di essere dislessica a 26 anni, ho sofferto le pene dell'inferno a scuola quando mi dicevano che ero stupida, mentre in molte materie artistiche riuscivo benissimo. Quando mi sono capita, mi sono accettata, il mondo è diventato estremamente bello. Bisogna parlare di dislessia, siamo ancora indietro". Sul marito, Francesco Montanari: "Com'è? Mi verrebbe da dire che è 'bono' visto che lo vedo nudo camminare per casa. Sono molto fortunata. L'intervista in cui ho detto che ero convinta di essere stata tradita? Ero arrabbiatissima, avevamo litigato la sera prima, ero arrabbiata, gelosa, c'è stato uno scontro. La mattina sono andata a fare un'intervista per la trasmissione 'Belve' e l'ho fatta da donna arrabbiata. Meglio non intervistare una donna arrabbiata. Ho tirato fuori tutto il nervosismo della sera prima e mi sono lasciata andare. Ho dovuto chiedergli scusa dopo, non se l'aspettava". Sulla grande occasione che ha avuto per sfondare nel mondo dello spettacolo: "L'inizio della mia grande occasione è stato stracult. Non stavo più lavorando, ero tornata a fare la vocalist in discoteca, era tutto fermo, non c'erano neanche i provini. Giusti mi ha beccato su Twitter e mi ha preso praticamente a scatola chiusa, mi ha fatto andare in diretta senza neanche avere un curriculum. Avevo la parlantina, sapevo ciò che dicevo, mi ha dato una grande possibilità. Quello è stato l'inizio. La vera svolta è arrivata con Renzo Arbore. Lui mi ha dato il passaporto per farmi conoscere al grande pubblico". Sulle richieste strane ricevute sui social: "Mi chiedo foto dei piedi, ma ci sono anche i maniaci del gesso. Non sapete quanti. E soprattutto i maniaci del solletico. Vogliono sapere se soffro il solletico. Comunque i feticisti sono tantissimi. Lancio un'idea. Tutte le persone un po' conosciute o famose dovrebbero vendere le proprie scarpe e dare il ricavato in beneficenza. Tutte le star dovrebbero mettere le scarpe in vendita per beneficenza. Così i feticisti sono contenti e i soldi vanno dove devono andare".
· Michele Cucuzza.
Michele Cucuzza. Da Radio Cusano Campus il 20 giugno 2019. Il giornalista e conduttore televisivo Michele Cucuzza è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta” condotta dal direttore Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus, emittente dell’Università Niccolò Cusano. Sulla sua attività. “Ho terminato il programma ‘Buon pomeriggio’ su TeleNorba, che ricorda vagamente “La vita in diretta”. Continuo a condurre “Caffè Europa” su Radio Uno il sabato mattina. Sono uno che, come dicono i critici televisivi, si cimenta a fare l’alto e il basso. Dobbiamo essere come siamo nella realtà, dove ci occupiamo di tutto, delle cose leggere e delle cose più serie. Devo ringraziare chi mi segue, perché nonostante ne abbia fatte di tutti i colori, non ho perso la credibilità. Oggi c’è internet che ha cambiato tutto completamente e poi c’è una crisi economica che fatichiamo a scrollarci di dosso quindi il lavoro non è facile da trovare, però bisogna stare con le orecchie tese e con l’occhio vispo per cercare di cogliere tutte le possibilità. Se uno ha passione poi ce la fa ad andare avanti”. Sull’Italia di oggi. “E’ un Paese a più velocità. Ci sono tanti giovani che vanno via e non più soltanto dal sud. Si parla di 100mila persone all’anno, è un’emorragia impressionante. Poi c’è questo sud che è penalizzato. E poi c’è l’eccellenza: settori della scienza, della medicina, dell’economia che vanno alla grande. E’ un Paese che forse fa più fatica degli altri in Europa a riprendersi dalla crisi. Detto questo, le nuove generazioni mi sembrano particolarmente dotate perché hanno in mano uno strumento come internet, i social. E’ la conquista più grande della storia dell’umanità, purchè ne facciamo un uso intelligente. Io sui social ci sono, sono socio fondatore. Sono su Facebook e Instagram, posto sempre le mie attività e rispondo ai commenti”. Sulle polemiche riguardo il rapporto tra Rai e Politica. “La Rai è un servizio pubblico, quindi per legge l’editore della Rai è il Parlamento. C’è poco da fare. E’ chiaro che ogni volta che c’è un cambiamento politico di governo c’è un atteggiamento di maggiore attenzione da parte di questi governi nei confronti della Rai. Noi che siamo giornalisti, operatori dell’informazione, comunicatori dobbiamo cercare per quanto possibile di mantenere la barra dritta. Io non mi sento di dare lezioni a nessuno. Io ho iniziato nel Tg2 durante la Prima Repubblica. Si diceva che il tg1 era democristiano, il tg2 socialista e il tg3 comunista. La morale è che, anche se ci sono condizioni che la politica determina, si può fare il proprio mestiere senza essere la pedina di quello o di quell’altro”: Sul ricordo più bello. “Ne ho fatte tantissime, sono stato molto all’estero. Ma il ricordo più bello è stato quando ero a Radio Popolare e ho fatto un’intervista al Presidente Pertini in piazza che mi ha obbligato a dargli del tu. Siccome lui ha rotto i protocolli, sono arrivate le telecamere della Rai. Quindi mi vedevo io, con i capelli lunghi, la barba, il microfonino in mano che davo del tu al Presidente della Repubblica. Poi Radio Popolare ha fatto il manifesto per chiedere donazioni e c’eravamo io con Pertini e la scritta: ‘La Radio che dà del tu al Presidente della Repubblica”.
· Luca Sardella.
Paolo Giordano per "il Giornale" il 30 agosto 2019. Luca Sardella ha centinaia di «coppole» e altrettanti aneddoti da raccontare. Spesso li romanza con la sua parlantina inarrestabile, ma sono comunque istantanee di una vita partita da zero e costruita passo dopo passo con la caparbietà dell' emigrante. È partito da San Severo, provincia di Foggia, e ha costruito un personaggio che, a cavallo tra talento e folclore, ormai è riconoscibilissimo (la gente lo ferma per chiedere selfie). Prima Rai, ora Mediaset. «Quando sono arrivato a Milano senza una lira mi hanno subito detto: Ma sei terrone?. Ho risposto che ero pugliese, perché non sapevo cosa volesse dire terrone». Era laureato in agraria e, lasciando la casa dei genitori, aveva promesso che lo avrebbero rivisto in televisione. C' è riuscito, conservando però la sua passione per la musica: «Suono e compongo di getto», spiega. Lo fa senza snobismo, con un tocco popular che arriva dalla tradizione italiana e che, tanto per dire, gli ha fatto firmare la musica dello spot di un amaro che avrebbe potuto essere anche un piccolo tormentone (si ascolta anche in radio: «Cosa cerchi da me non l' ho capito...»). «Ebbene sì, il pop e la botanica sono le colonne portanti della mia vita», dice a cento all' ora.
Però, Luca Sardella, prima riveli quante «coppole» ha.
«Direi circa 360. Tutte abbinate alle camicie, eh. Fatte a mano, sia chiaro. Però qualche cappello l' ho regalato, l' ultimo a un veterinario di Mantova che me lo aveva chiesto tante volte...».
Ma perché lo indossa sempre?
«Me l'ha consigliato Pippo Baudo, dicendomi che così sarei diventato un personaggio riconoscibile. Quando mi ha telefonato dicendomi ciao sono Pippo, io stavo annaffiando le piante e pensavo fosse mio cugino... Invece era proprio Baudo e mi portò a Domenica In e poi a Discoring e ad altri eventi».
Allora era più musicista che botanico.
«Avevo fondato un gruppo che si chiamava Edelweiss. Facevamo molte date in giro per l' Italia. Una volta, in Galleria a Milano, incontro Lucio Battisti che mi dice: Tu hai una voce che assomiglia alla mia, anzi sei più intonato. Anche Venditti mi ha fatto i complimenti. In ogni caso, mi sono messo a scrivere anche pezzi per altri».
Ad esempio?
«Fausto Leali. Per lui ho firmato Io, io senza te, con la quale ha partecipato al Festivalbar. Una sera Aldo Biscardi mi chiese di scrivere al volo la sigla del suo Domenica Gol e gliel' ho suonata in diretta al pianoforte. Ho fatto altre sigle, quella di Sereno, Variabile, ad esempio, e quella di Furia».
Furia, una delle prime serie tv?
«Sì, volevano cambiare quella di Mal, sa quella che faceva Furia cavallo del West che beve solo caffè. Così hanno preso la mia che iniziava con Furia portaci con te...».
E poi?
«Poi ho fatto altre cose. In uno studio di registrazione a Los Angeles, il mio vicino era Carlos Santana. Ha sentito il mio pezzo Temporale e ci ha suonato la chitarra sopra. Di chi è questo brano, chiedeva. Mah, di un ragazzo italiano. Là ho anche incontrato Michael Jackson, a Neverland. Tramite amici comuni, mi avevano chiesto di curargli una parete di piante molto particolari. Quando ha ascoltato la mia musica, disse: Tu devi restare qui in America».
Sembra un romanzo.
«Però è vero».
Non ha mai pensato al Festival di Sanremo?
«Gianni Morandi aveva ascoltato i miei pezzi e mi ha consigliato di parteciparci, ma poi non ci sono andato. Adesso ho un brano dal ritmo tribale che ho realizzato con il gruppo Olodum della città brasiliana di Salvador. Loro sono apparsi anche nel video They Don' t Care About Us di Michael Jackson del 1995. Mi piacerebbe che Amadeus ci invitasse al suo Festival».
E la tv?
«Un grande presente. E tanti ricordi».
Ad esempio?
«Mike Bongiorno, che mi inviava i testi. Panariello che mi ha invitato nel suo show come maggiordomo di Renato Zero. Fiorello, che mi chiama sempre. E Silvio Berlusconi, che mi ha mandato lettere bellissime scrivendomi sei un uomo forte».
E adesso?
«Il 21 settembre riparte Parola di pollice verde su Rete4, nel quale parlo di piante e canticchio. C' è anche mia figlia Daniela, con la quale ci siamo inventati il format In viaggio con papà, che andrà in onda entro l' estate prossima. Lei è davvero inarrestabile».
Ha una bella voce.
«Si ascolta nella canzone dello spot...».
E poi c' è Striscia la Notizia.
«Sì, Ricci mi ha chiamato e sono felice di girare l' Italia per la mia rubrica Speranza verde indagando sulla situazione ecologica del nostro Paese».
Ma come fa a combinare la botanica con il pop?
«Semplice, le mie canzoni nascono vicino ai fiori».
· Amadeus ricorda gli anni bui.
Anticipazione Stampa da “Oggi” l'11 dicembre 2019. Il settimanale OGGI, da domani in edicola, pubblica una doppia intervista al conduttore di Sanremo Amadeus e a sua moglie Giovanna Civitillo. Che confida: «Che consigli gli do? Gli dico di mangiare! È così preso, tra la preparazione del Festival e i Soliti ignoti, che si scorda pure di nutrirsi. Per il resto, gli consiglio di seguire il suo istinto». E aggiunge: « «Amadeus non ci dorme la notte. Sta sempre con le cuffiette, ascolta e riascolta le canzoni da selezionare. Per parlargli, io e José, nostro figlio, dobbiamo togliergli a forza gli auricolari! È travolto dalla musica. Poi magari alle 2 di notte mi chiede: “Giovanna, mi fai una camomilla?”».
Amadeus parla a OGGI di Fiorello, di Savino e della difficile selezione delle canzoni. «Con Fiorello ci conosciamo da 35 anni, è un fratello. Trent’anni fa eravamo a Ibiza per Deejay Television, avevamo grandi sogni, ma eravamo sfigatelli, nessuno ci filava. E ci siamo detti: “Se un giorno uno di noi condurrà Sanremo, chiamerà anche l’altro”. Un po’ come due ragazzini che giocano in un campetto e sognano la Champions League».
Su Savino: «Io il Dopofestival volevo toglierlo, mi sembrava un po’ datato e volevo concentrare l’attenzione sul Festival. Poi però Fiorello, a fine agosto, mi ha detto: “Ma perché non fai il DopoFestival su RaiPlay?”. E mi è sembrata una bella idea. Sarà qualcosa di diverso dai DopoFestival a cui siamo abituati, uno spettacolo quasi piratesco, andrà in onda da un posto segreto, dove non so nemmeno se sarò ammesso. Ho pensato subito a Nicola Savino perché è un amico e non solo. È un personaggio amato dai giovani, perché viene dalla radio, ma anche dal pubblico tradizionale».
Sulle canzoni: «Ho ricevuto 200 canzoni, ne devo scegliere 22, da annunciare il 6 gennaio… Devono rimanere ed essere al passo con i tempi. Non esiste più la canzone sanremese, che era un po’ un limite. Ci saranno canzoni melodiche, ma anche rap o trap… Mi sono arrivate più canzoni da uomini. Ma il numero non è importante, possono esserci anche meno donne, ma se poi sono fortissime…».
Amadeus ricorda gli anni bui: "Ti accorgi che tutto è finito, poi ricordi che hai una famiglia". Amadeus ripercorre uno dei periodi più brutti della sua carriera quando, a causa di scelte sbagliate, venne allontanato dal mondo della tv e il suo telefono non squillò per anni. Luana Rosato, Lunedì 16/09/2019, su Il Giornale. Tra gli ospiti di Mara Venier per la prima puntata di Domenica In c'è stato anche Amadeus che, prima di parlare del prossimo Festival di Sanremo di cui sarà conduttore, ha ricordato gli anni bui della sua carriera. Lui, che dieci anni fa mai avrebbe pensato di poter essere scelto come timoniere di una edizione del Festival della Musica Italiana, ripercorre con la Venier uno dei periodi più difficili della sua vita professionale. “Il periodo difficile è durato qualche anno – ha confessato - . All'epoca non avrei mai immaginato di fare Sanremo dieci anni dopo”. Amadeus, infatti, si allontanò dalle luci dei riflettori provando a cambiare strada, ma il risultato fu fallimentare. “Ero consapevole di aver sbagliato delle scelte – ha ammesso - . In quel caso non avevo neanche ascoltato i consigli di Giovanna. Sono momenti in cui capisci che il telefono non squilla più e che non andresti neanche a presentare la sagra della salsiccia”. “E ti accorgi che tutto è finito, poi ricordi che hai una famiglia – ha continuato a ricordare senza nascondere la sofferenza - . Sono ripartito da zero facendo i provini, proponendomi. Tornare a scalare la seconda vetta non ha prezzo”. E, alla fine, con la sua tenacia e la preparazione è riuscito a riemergere tanto da meritarsi di essere scelto come conduttore e direttore artistico del prossimo Festival di Sanremo di cui ha svelato qualche anticipazione. Quest’anno, infatti, i venti cantanti che saliranno sul palco del Teatro Ariston potranno scegliere di reinterpretare una canzone a loro piacimento e, il voto di gradimento di questa esibizione, sarà valido per la classifica finale.
· Ilaria D’Amico.
Ilaria D'Amico a Verissimo, la verità su Buffon e Alena Seredova: "Io rovina-famiglie?", il grande dolore. Libero Quotidiano il 6 Dicembre 2019. Un grande amore, quello tra Ilaria D'Amico e Gianluigi Buffon, accompagnato però da una grande amarezza. La giornalista e conduttrice, ospite di Silvia Toffanin a Verissimo, ha accentato di raccontare senza filtri la storia con il portiere della Juventus, che all'epoca era ancora sposato con Alena Seredova. "Ho molto sofferto per l'etichetta di rovina-famiglie", ha spiegato la D'Amico che però ora spiega di aver raggiunto un equilibrio perfetto. "Non l'avrei mai detto nemmeno io, ho sempre pensato di combattere gli stereotipi e invece ero l'esatto opposto. Non immaginavo che un calciatore potesse essere un compagno di vita, invece Gigi è una persona meravigliosa, con un cuore grandissimo e trasparente. È un uomo che mi ha ricoperto di un amore enorme e che aveva bisogno di essere amato, abbracciato e capito", ha spiegato Ilaria negli studi di Canale 5, aprendo poi all'idea di avere un altro figlio dopo Leopoldo, nato nel 2016. "Direi una bugia se dicessi che non mi manchi una figlia femmina perché sono cresciuta in una famiglia tutta al femminile. Ogni settimana scrivono che sono incinta, ma non lo smentisco mai. Se dovesse ricapitare mi piacerebbe tanto avere una bambina".
Da I Lunatici Rai Radio2 il 15 ottobre 2019. Ilaria D'Amico è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino. Ilaria D'Amico ha raccontato alcune cose di se: "Come mi coccolo? Se sono da sola mi coccolo con poco. Col silenzio, con un libro, facendo quelle cose che non ho mai il tempo di fare. Quando c'è Gigi ogni tanto ci dedichiamo a qualche serie. Ad esempio la trilogia 1992, 1993, 1994. Magari ci guardiamo tre episodi insieme, anche se a volte è tragico perché tiri tardi la notte sapendo che poi la mattina la pagherai. Da bambina ero tranquilla. Un po' cervellotica. Però ero abbastanza ubbidiente. A scuola andavo bene, ma ero anarchica. Mia mamma si chiedeva sempre come facessi a studiare, visto che non avevo mai un libro. Ero un casino, ero brava ma per una questione di c..o. Ho una memoria molto sviluppata e questo mi ha aiutato tantissimo. Alle elementari ero timidissima, poi la cosa è svanita di colpo".
Sul momento che stanno attraversando le donne nel nostro Paese: "Se pensiamo a come eravamo conciati soltanto cinquant'anni fa le cose stanno parecchio migliorando. Anche se il mondo del lavoro non si è modificato a favore delle donne, assecondando i ritmi naturali della donna. Che lavora due o tre volte. E questa cosa ha un prezzo sociale. La donna fa tutto, ma deve farlo o arrancando o andando in sottrazione degli altri settori fondamentali della sua vita. La donna sta meglio verso i quarant'anni. Io ho avuto una vita bellissima, non mi posso lamentare e ho una profonda gratitudine per le cose che mi sono accadute, però se dovessi pensare di ritornare a 20-25 anni fatico".
A proposito del rapporto con la sua bellezza: "Gli anni hanno migliorato il mio rapporto con lo specchio. Ho fatto pace con la mia femminilità verso i quarant'anni. Mi sento bene, sono contenta di essere nel corpo e nei sentimenti che porto. Mentre prima c'è stato un po' di conflitto. Anche perché mi hanno convinto più gli altri che fossi carina che non io direttamente. Verso i 18-20 anni mi appoggiavo alla bellezza per utilità, ma non ero del tutto convinta. Poi ho iniziato a lavorare in un mondo estremamente maschile e quindi ho dovuto lavorare quasi in negazione. Sì, sono carina, però... . Esiste molto spesso il pregiudizio nei confronti delle donne carine. E' uno stereotipo che ti appiccica addosso il maschio. Ed è vero anche che alcune donne che nascono con un lato estetico molto facile da affermare poi si appoggiano su quello e sviluppano meno altro".
Sulla sua storia d'amore con Buffon: "Ai pettegolezzi e ai paparazzi non ci si abitua mai. Si rende ancora più estrema l'attitudine ad essere appartati e riservati. Le vacanze non sono in luoghi mondani, le serate pubbliche sono limitatissime e quasi sempre per dovere. Magari se sei a Milano o a Torino eviti di andare nelle ore di punta in Via Roma o in Corso Vittorio Emanuele. Però trovo puerile chi fa un mestiere pubblico e poi si lamenta di questa cosa. Bisogna solo trovare delle precauzioni a seconda di come sei. L'unico momento in cui siamo più attenti è con i bambini. A loro se ti fermi ogni trenta passi perché ti chiedono di fare una foto dà veramente fastidio. Il mio rapporto con Gigi? Non litighiamo mai! Quando stiamo per litigare ci viene da ridere. Non mi è mai successo in alcuna relazione di litigare così poco. Lui è per metà toscano e per metà friulano. Quando rimane male per qualcosa si chiude e me ne accorgo dopo due giorni. La gelosia? Siamo arrivati fino a qui, viviamo entrambi in una vita in cui incontriamo tantissime persone nuove, non riusciremmo a vivere spiandoci. Siamo gelosi l'uno dell'altra, se ti ami sei geloso nel senso che hai bisogno di sentire che l'altro c'è, ma questo basta. Ti sei scelto, va bene così".
Fabiana Della Valle per la Gazzetta dello Sport il 14 Ottobre 2019. Ci sono luoghi, e momenti, in cui tutto diventa possibile. Ilaria D'Amico e Gigi Buffon sono abituati a muoversi su un doppio binario: nel privato, che entrambi difendono gelosamente, sono una coppia che sta insieme da tanti anni, con un figlio piccolo e altri tre avuti da relazioni precedenti; sul lavoro capita spesso che s' incrocino nei ruoli di intervistatrice e intervistato. A Trento, in occasione del Festival dello Sport, per la prima volta la conduttrice e il portiere sono saliti insieme su un palco, per raccontarsi come non lo avevano fatto mai. Il risultato è una chiacchierata leggera e divertente senza più steccati, dove gli aneddoti della vita a due si mescolano coi ricordi della lunga carriera del portiere. L' imbarazzo provato nel trovarsi in una situazione insolita svanisce dopo i primi istanti: Gigi è a proprio agio quanto Ilaria, anche se fa un altro mestiere. Buffon entra per ultimo, accolto dal boato del pubblico. Saluta Ilaria con un bacio e ogni volta si rivolge a lei chiamandola "amore". Ilaria fa lo stesso: «C' è una cosa che non ti ho mai detto: tu la notte mentre dormi, pari. Ogni tanto mi arrivano delle botte». Gigi ha la risposta pronta: «Sono le parate che non ho fatto». Applausi e qualche "forza Juve", che il portiere apprezza. La scaletta c' è, ma non sempre viene rispettata: «È tutta la vita che vado a braccio, mi è sempre andata bene...», dice Buffon, che poi confessa la rigidità dell' inizio, quando s' incrociavano in tv: «Ero il capitano della Nazionale e farmi intervistare dalla mia compagna creava imbarazzo. Sei stata più brava di me. Eri una giornalista affermata e super partes». L' imbarazzo Buffon lo prova ancora oggi quando rivede certe interviste spericolate di parecchi anni fa: «Dice sempre che vorrebbe cancellarle tutte», racconta la D' Amico. «Una volta una giornalista russa mi chiese se puntavo a diventare come Lev Jascin. Io risposi: "Perché non addirittura meglio? Ho ancora vent' anni davanti, non poniamoci limiti"». Aveva visto giusto: la carriera è stata lunga e proficua e non è ancora finita. Gigi è cresciuto e maturato, però ancora s' emoziona quando vede la foto dell' esordio in Nazionale. Successe a Mosca, faceva un freddo cane ma lui aveva le maniche tirate su: «Non avete idea del caldo che sentivo dentro», ricorda. L' azzurro, la Juve, la famiglia, l' esordio in A, gli allenatori, il ritiro: Ilaria sa toccare i tasti giusti e Buffon regala un ritratto di sé a 360 gradi. «Sono perfezionista, dopo un errore mi torturo. Però non riesco a provare odio verso qualcuno. L' odio a priori nello sport umilia l' uomo. A Conte voglio un bene dell' anima, non potrò mai muovergli qualche appunto. Capisco che il tifoso ci sia rimasto male, ma va stimato a prescindere. Alla Juve ha dato tanto e ha ricevuto tanto». Conte è stato l' allenatore «più duro, Ulivieri e Allegri i più simpatici, Sarri il più pignolo, Scala il più severo e Ancelotti il tecnico cui devo di più». La BBC invece è stata qualcosa di unico: «Con Bonucci Chiellini e Barzagli c' è un legame di fratellanza, attrazione.Il segreto è volerci bene: con loro sento che nulla è impossibile». Anche con Ronaldo c'è stata immediata sintonia: «L' ho sempre stimato nonostante i gol pazzeschi che mi ha segnato. Dopo la rovesciata gli chiesi: "Ma quanti anni hai?". Lui: "Ne ho 32. Mica male no?". E io pensai: "Che figlio di una portoghese..."». Ilaria ricorda che fu CR7 a consolarlo dopo l' espulsione e l' eliminazione al Bernabeu: «Mi abbracciò e mi disse "Mi dispiace" - aggiunge Gigi. -. Ora che giochiamo insieme spesso ci dedichiamo 2-3 minuti di dialogo per approfondire certe cose. È stata una grande scoperta. Gli auguro di vincere il Pallone d' oro con la Juve: significherebbe che noi abbiamo vinto qualcosa di importante in Europa». Anche Gigi si diverte a fare l' intervistatore e torna sull' episodio D'Amico-Mourinho durante il Fifa Best Player, trattato dai social come una gaffe: «In realtà era tutto concordato - chiarisce la conduttrice - Mou stesso aveva suggerito la risposta, era previsto che lasciasse la sala». L' amore è ciò che tutto muove. Quello per la Juve e per la famiglia. «A Parigi ho fatto un' esperienza bellissima - dice Buffon - e grazie al Psg ho deciso di non smettere di giocare. Però a febbraio ha preso il sopravvento la parte del padre. Mi sono detto: che cosa ci sto a fare qui a 41 anni con tre figli? Credo di avere fatto la scelta più bella perché non li penalizzo. E poi era giusto chiudere il cerchio alla Juve, dove ho la stima di tutti». La D' Amico sfrutta l' assist: «Quindi ti ritiri?». «Macché, ho ancora 10-12 anni davanti...». «Allora Buffon smetterà a 55 anni...Ogni anno mi promette: vedrai, la prossima estate sarà diversa». Ilaria ride, Gigi ammicca: sul palco non c' è traccia di imbarazzo, insieme trasmettono solo complicità.
Da tuttomercatoweb.com il 14 Ottobre 2019. laria D'Amico, conduttrice televisiva e compagna del portiere della Juventus Gianluigi Buffon, ha parlato nella zona mista del "Festival dello Sport" di Trento. Questo quanto raccolto da TMW: "Lo sfogo di Buffon a Madrid? Gli dissi subito che aveva fatto una cosa sopra le righe. Gigi lo ha capito bene e, insieme al club, non ha fatto ricorso. Ha dato sfogo, a caldo, a un momento di frustrazione per una decisione arbitrale che non condivideva, ma sapeva anche che sarebbe stato giusto in qualche modo ricevere per questo una sanzione".
Stiamo vedendo una Serie A più equilibrata quest'anno?
"Sembra di sì, ci sarà battaglia fino alla fine. Anche se devo dire che ci sono stati campionati che ci hanno imbrogliato in passato da questo punto di vista. Non mi fiderei troppo del risultato di San Siro, frutto a mio giudizio anche dell'impegno dell'Inter col Barcellona: 60 minuti a un ritmo che ammazzerebbe anche il migliore dei cavalli da corsa".
D’AMICO E D’ALTRE FIGURACCE. Nanni Delbecchi per il “Fatto quotidiano” il 26 settembre 2019. Era dai tempi di Mike Bongiorno che non si vedeva un produttore di gaffe doc quale Ilaria D'Amico. In Mike però spirava il genio della topica, quindi il dubbio amletico ("È o non è voluta?"). In Ilaria, no. Le papere affiorano al suo microfono sorgive, a frotte, e il mondo ha potuto constatarlo quando l'astuta Fifa ha affidato il suo galà alla wonder woman del nostro giornalismo sportivo. Ilaria oltre Chiasso non la conosce nessuno? No problem. In compenso le star del calcio, il solo showbiz davvero globale, non conoscono confini (purtroppo per lei). Siccome le piacciono i bersagli grossi, eccola accogliere sul palco della Scala José Mourinho con uno scoop stellare: "Nel prossimo futuro incontreremo gli alieni e nascerà una Coppa Interplanetaria". Ciumbia. "Chi mai potrà allenare la Nazionale terrestre?". Quando Mou capisce di aver capito bene nonostante la domanda e nonostante l'accento (D'Amico deve avere lo stesso professore d'inglese di Matteo Renzi), prova a schermirsi: "Eh, ci vorrà un allenatore che non abbia già un'altra squadra". E qui Ilaria mette il turbo. "Ah sì? Suona come una candidatura, visto che lei è disoccupato!". Fermate le rotative: Mourinho si candida alla Coppa Intergalattica. "Grazie per la sua onestà. Ma dove va, mister?". Allo Special One non è rimasto che darsela a gambe di fronte alla Special Gaffeuse, però il siparietto ha già iniziato a fare il giro del mondo in Rete. Siamo alle solite: non ci conosce nessuno, però sappiamo farci riconoscere.
Ilaria D’Amico: «Io e Gigi non passiamo la vita avvinghiati». Pubblicato martedì, 17 settembre 2019 su Corriere.it da Chiara Maffioletti. La giornalista di «Champions League Show»: il calcio è la mia pelle ma ora voglio tornare a parlare di politica. I social? Non fanno per me. Parlando della sua carriera, Ilaria D’Amico ammette che per qualche anno ha alzato il piede dall’acceleratore. Oggi però, al debutto della nuova stagione di «Champions League Show» (in onda su Sky Sport da stasera, ogni martedì e mercoledì di Coppa), con la stessa serenità dice di sentirsi nuovamente pronta a correre.
«Quando nella mia vita è servito del tempo per far quadrare degli equilibri familiari, è stato spontaneo prenderlo. Ora che sento di aver raggiunto una certa armonia, sono pronta per immaginare nuovi progetti».
Iniziamo dalle certezze: l’impegno con la Champions. Il calcio è parte di lei...
«Non sarebbe nemmeno finta modestia dire il contrario. Il calcio è nella mia pelle. Lo racconto a Sky dal 2003 e la scorsa è stata una stagione d’oro. Il problema è che mi diverte ancora moltissimo e il mio editore mi consente di plasmare un prodotto in cui c’è attenzione per ogni dettaglio».
Quindi non sono veri i malumori tra lei e Sky per un presunto contratto ritoccato?
«No, assolutamente. Tra me e Sky non sarà mai un problema di numeri. L’unico problema che potrebbe verificarsi è se un giorno non ci fosse più la libertà intellettuale che ho respirato fino ad oggi».
Se il calcio è una sua nota passione, l’altra è la politica.
«Anche lì, quello che più amo è far emergere le sfumature, le contraddizioni. Non me ne occupo più dal 2015 ma non ho mai smesso di seguirla. Sono stati anni impegnati e impegnativi ma adesso vediamo».
Adesso vediamo?
«C’è in me l’idea di tornare ad occuparmene. Prima non potevo. Perché tutto funzionasse nella mia vita servivano energie e dedizione. Banalmente, altrimenti a Parigi come ci andavo? Per far funzionare il nucleo mio e di Gigi (Buffon, ndr.) bisognava fare così e la prova che le cose sono andate bene è che quando abbiamo detto ai bimbi che l’esperienza in Francia finiva (il portiere è tornato alla Juve, ndr.) erano tutti dispiaciuti: segno che eravamo riusciti nella nostra impresa. Ad ogni modo, ora che tutto si è ricomposto credo che le mie due passioni possano tornare a coesistere».
È una professionista apprezzata eppure di lei, specie negli ultimi anni, si parla soprattutto per la vita privata: le scoccia?
«Senza contare che stando alle foto che pubblicano di noi, io e Gigi passiamo la vita avvinghiati. Ci vogliamo molto bene ma non è esattamente così. Che dire, non è che l’abbia presa bene, no. Anche perché non sono mai stata una persona che ama molto raccontarsi: facciamo la nostra vita, usciamo, ma evitiamo i posti mondani e proviamo a vivere una vita piuttosto riservata. A questa indagine costante della mia vita, in cui ci si chiede ogni giorno se sono incinta o no, non mi ci sono ancora abituata. Capisco il gioco delle parti, ma non mi piace».
Anche come si veste in trasmissione diventa ogni volta un possibile tema, no?
«Eppure mi vesto sempre uguale, in fondo. Non rinuncio alla femminilità, penso si noti, ma come mi vesto non è mai stato per me un argomento su cui soffermarmi troppo».
Non è nemmeno molto attiva sui social. Perché?
«Per me sarebbe una fatica folle raccontare il mio privato. Poi, dover pubblicare quelle foto finto-naturali o dei momenti di gioia esibita... non fa per me. È quasi sempre una traslazione della realtà non si sa quanto veritiera».
E cosa pensa delle molte sue colleghe che lo fanno?
«Capisco che questa visibilità social possa avere un senso e diventare anche un’appendice della carriera, rispetto chi lo fa ma è un modo di raccontarsi che non mi appartiene per niente. Si sceglie di enfatizzare la parte estetica e si cerca consenso così. Sarà che ho sempre cercato di far parlare di me come professionista, a prescindere dal mio essere donna, che avere quello come manifesto non mi rappresenterebbe per niente».
Eppure li usano anche i calciatori, anche i politici...
«Almeno i calciatori hanno anche una componente di celebrazione delle loro gesta professionali. I politici ne fanno un uso ancora un po’ vecchiotto, fanno le dirette Facebook… anziché affidarsi alle storie di Instagram che, come dicono i nostri figli più grandi, sono decisamente più “giuste” (ride, ndr)».
Anche i figli suoi e di Buffon più grandi, a differenza di molti con genitori famosi, sono lontani dai social.
« Spero non siano sui social e dico spero perché non essendo io esperta la cosa potrebbe sfuggirmi... in generale vorremmo che rimanessero più a lungo possibile i figli di Gigi e di Ilaria, non i figli dei nostri cognomi».
Sarete per la prima volta insieme sul palco a ottobre, al Festival dello Sport. «In Gazzetta hanno convinto prima lui e poi me. Ma la cosa va ancora discussa nel dettaglio — ride —. I primi collegamenti con Gigi, durante Sky Calcio Show erano particolari... ora direi che anche incrociarci professionalmente è rientrato nella norma».
Ciclicamente rispunta la triste polemica sulle donne che non sarebbero brave quanto gli uomini a parlare di calcio. Cosa dice a chi la pensa così?
«Lo trovo un tema talmente superato... A Sky, per fortuna, nessuno la pensa così. Per me professionalmente il mondo si divide tra chi è in grado e chi non è in grado... e so solo io quanti uomini conosco inadeguati a fare il mestiere che fanno. Anche donne, ovviamente, per questo il discorso sul genere non mi scalda per niente».
Le è mancato spingere sull’acceleratore in questi anni?
«No, davvero, anche perché sono volati. Tra il nuovo affetto famigliare, traslochi, lavoro, cambiamenti e bambini in abbondanza la noia non c’è mai stata. Nel mentre non ho mai perso d’occhio la mutazione politica che stiamo vivendo. Ora, una volta assestata, sto ricominciando a sentire il richiamo della foresta».
· Alessia Marcuzzi, un impensabile aneddoto.
Alessia Marcuzzi, un impensabile aneddoto: "Quella notte in cui papà, in un bordello messicano..." Libero Quotidiano il 15 Maggio 2019. Tempo di confessioni, per Alessia Marcuzzi, Ai microfoni di Radio Deejay, infatti, promuove il suo libro, appena lanciato: In viaggio con Alessia. Si tratta di una guida alle sue quattro città preferite: Londra, Milano, Parigi e Roma. La Marcuzzi in radio spiega di aver ereditato la passione per i viaggi dai suoi genitori, grandi esploratori che la hanno portata in ogni parte del mondo. "Ho viaggiato con i miei fino ai 17-18 anni. L’ultima vacanza insieme è stata in Polinesia non mettendo mai piede per terra per quasi tre mesi", ha raccontato il volto noto di Mediaset. Su papà, ricorda: "Prenotava gli alberghi sempre all’ultimo momento, così in Messico finimmo a dormire in un bordello. Avevo 12 anni. Questo per dire quanto viaggiavamo all’avventura". E dopo aver spiegato di essere un poco più organizzata dei suoi genitori, la Marcuzzi spiega come il suo libro miri ad essere una guida per turisti italiani, utile per scoprire il meglio delle sue quattro città preferite. "Le dritte su Londra, per esempio, me le ha date mio figlio Tomaso che ha 18 anni e mi ha aiutata a scoprire il lato young della nuova City che nelle solite guide non c’è", ha rivelato la Marcuzzi, che insomma non ha lavorato da sola al suo libro.
· Isola dei Famosi 2019: Riccardo Fogli e la verità sul tradimento.
Isola dei Famosi 2019: Riccardo Fogli e la verità sul tradimento. Fabrizio Corona rivela al cantante che la scappatella della moglie dura da quattro anni. Jeremias Rodriguez fuori dall'Isola dei Famosi 2019 con il 64% dei voti, scrive Francesco Canino il 5 marzo 2019 su Panorama. Tradimento conclamato o gossip sfuggito di mano? È questo il dilemma attorno al quale ruota l'ottava puntata dell'Isola dei Famosi 2019, con Riccardo Fogli al centro - suo malgrado - dei rumors intercontinentali sulla presunta scappatella della moglie Karin, certificata anche da Fabrizio Corona. In attesa di capirci di più, il pubblico rispedisce in Italia Jeremias Rodriguez, protagonista di una love story isolana con Soleil Sorgé. È ancora una volta il cibo ad innescare le scintille e ad alzare la temperatura dell'ottava puntata del reality condotto da Alessia Marcuzzi, in onda lunedì 4 marzo. Al centro delle diatribe finiscono due dei tre nominati, ovvero il cantante Luca Vismara e Marina La Rosa, che in settimana hanno ceduto alla tentazione degli autori e si sono mangiati alla faccia dal gruppo un piatto di pastasciutta, rinunciando così a un barattolo di marmellata da dividere con gli altri isolani. "Tutti l'avrebbero fatto, ma non hanno il coraggio di dirlo", spiega serafica Marina, che tira dritta (nonostante le critiche feroci) e rivendica con orgoglio l'etichetta di stratega, che le pende sulla testa come una spada di Damocle. Poi esplode il caso Jeremias Rodriguez, accusato da Aaron Nielsel, il figlio di Brigitte, di aver minacciato Vismara: tra i due volano parole grosse, il modello non ritratta ma argomenta serafico mentre Jeremias non cela l'evidente nervosismo lasciandosi scappare diversi insulti. Al piccolo di casa Rodriguez non resta che consolarsi con la fidanzata in carica, Soleil Sorgé, con la quale continua a vivere la sua storia in modalità "laguna blu" (ma molto più burrascosa, visto che hanno tutto il gruppo contro e gli scontri con gli altri naufraghi sono continui). La loro luna di miele in anticipo viene però clamorosamente interrotta dal televoto: la prima a salvarsi, a sorpresa, è Marina poi arriva il verdetto del faccia a faccia tra Jeremias e Vismara e con il 62% dei voti il pubblico boccia il fratello di Belén Rodriguez che finisce senza saperlo sull'"isola che non c'è" lasciando Soleil in lacrime. Il momento più teso della puntata - ed è evidentemente in imbarazzo anche la Marcuzzi - è senza dubbi il capitolo dedicato al presunto tradimento della moglie di Riccardo Fogli, alimentata in queste settimane dai giornali di gossip e dai salotti tv. Barbara D'Urso ha ospitato il "terzo incomodo", l'imprenditore Giampaolo Celli, che tentenna ma non conferma la liaison. Fogli continua a difende a spada tratta "cuore mio", come chiama la moglie, e in diretta spiega alla Marcuzzi: "Non ho mai dubitato minimamente di lei". Le cose però si complicano perché nel frattempo sono spuntate altre paparazzate che mostrano Karin con il presunto amante, con cui avrebbe una storia da quattro anni. "Voglio sfidare a duello chi ha messo in giro queste foto", azzarda Fogli. E così spunta via videomessaggio Fabrizio Corona, che entra a gamba tesa nel "corna gate" (buscandosi come da previsione una valanga di tweet al vetriolo) contro Fogli: "Siamo stati a cena, li ho frequentati a lungo, ho le prove di ciò che dico: quando le cose diventano pubbliche è meglio accettarlo. In fondo siamo tutti un po' cornuti". Nell'imbarazzo generale, vista la delicatezza della situazione, Fogli cede alle lacrime ma non si scompone: "Non ci credo assolutamente", chiosa. "In ogni caso Corona non ha nessuna possibilità di arrivare alla mia età sano, integro, amato". "Ti manifesti come un gran signore, un nobile di animo. Il piacere con cui Corona ha continuato a ferirti è la cosa più disumana che abbia mai visto", lo sostiene a distanza Alda D'Eusanio. E a favore di Fogli si schiera anche Alba Parietti: "Questo signore, che è amico di Corona, smetta di andare in tv se davvero non ha a che fare di questa storia". Archiviate le beghe da cortile isolano tra Marina La Rosa e Stefano Bettarini - i personaggi più interessanti di questa edizione, diciamolo, e i loro battibecchi sono i meno prevedibili - e certificato l'addio di Jeremias Rodriguez (che ha perso anche il secondo televoto contro Kaspar Capparoni), scatta l'ora della prova leader che incorona per l'ennesima volta Soleil Sorgé "capitana della settimana". A colpi di prove fisiche, rischia di arrivare dritta in finale.
Isola dei Famosi, Corona è senza pietà con Riccardo Fogli: "Tutti siamo un po' cornuti". Fabrizio Corona manda un videomessaggio a Riccardo Fogli: "Ho le prove del tradimento di tua moglie", scrive Serena Pizzi, martedì 05/03/2019 su Il Giornale. E alla fine Fabrizio Corona è sbarcato (in modo virtuale) in Honduras. Più precisamente all'Isola dei Famosi. Il motivo? Il presunto tradimento della moglie di Riccardo Fogli. Stando a quanto sostiene l'ex re dei paparazzi, infatti, Karin Trentini da più di quattro anni avrebbe un amante. E di chi si tratterebbe? Dell'imprenditore Giampaolo Celli. Ma riavvolgiamo un attimo il nastro. Fabrizio Corona, qualche settimana fa, fa uscire sul suo magazine la bomba: Karin e Giampaolo sono amanti. Dice Fabrizio. La Trentini vola in Honduras e racconta tutto a Riccardo, Fogli si fida e non ci pensa più. Ma Corona va avanti con la storia e dice di avere prove del tradimento. Anche Giampaolo va avanti con questa storia e, facendo lo gnorri, si gira un po' tutte le trasmissioni. Nega di fronte a foto e video e dice di essere in buoni rapporti sia con Karin che con Riccardo. Ma nessuna storia d'amore. Peccato che in tutta questa storiella, Fogli non si riconosce e nega di sapere di questo bell'imprenditore. Ma sono dettagli. Ma finalmente arriviamo a questa sera. Dopo che Riccardo Fogli ha chiesto di andare a duello "con il bastardo che ha messo in giro quelle voci sulla mia famiglia", la produzione dell'Isola lo accontenta e gli fa arrivare un videomessaggio di Corona. "Sono io il bastardo - dice - lo stronzo, il pezzo di merda. Non mi dà fastidio, me lo dicono da anni. Sono anni che fai il cantante e se scegli di metterti in gioco devi accettare che la gente si faccia gli affari tuoi. E se tua moglie ti ha tradito per quattro anni devi accettarlo. Io ho le prove del tradimento con Giampaolo, per quattro anni". Ma Corona non si ferma qui. Nella piaga non ci mette solo il dito, ci infila tutto il braccio. "Io ho le prove del tradimento con Giampaolo Celli - continua imperterrito Corona -. Li ho frequentati insieme, alle cene, alle feste... Siamo amici. Nel momento in cui noi ci avviciniamo alla età anziana dobbiamo accettarlo. Quando ci mettiamo con donne più giovani dobbiamo accettarlo. Siamo tutti un po' cornuti". E dopo queste parole non troppo leggere e carine, Fabrizio mostra una cartelletta nera contenente tutte le prove del presunto tradimento. Riccardo Fogli, però, non ci crede. Lui crede a sua moglie, "a cuore mio". Karin Trentini la scorsa settimana lo ha tranquillizzato e lui è tranquillo. Più o meno. Ma dopo il video di Corona il suo volto è contorto dal dolore e i suoi occhi stanno per scoppiare. Un po' come il suo cuore. La tranquillità se ne sta andando. "Io non ci credo assolutamente - taglia corto anche perché parlare è difficile in questo momento -. Voglio solo capire se le notizie sono false. Sfido a duello chi ha messo in giro false notizie. Corona scelga. Coltello, pistola o pugni. Poi mi porto dietro Jeremias (tenta di scherzare, ma non ride manco lui, ndr)". E in tutto questo casino - diciamo anche - che quando Alessia Marcuzzi ha mostrato la foto di Celli, Fogli dice di non conoscerlo, nonostante l'imprenditore dica di essere suo amico. Oltre al danno pure la beffa, quindi. Giampaolo Celli esce con Karin? Cosa sta succedendo da quattro anni a questa parte? Forse un po' di chiarezza serve e ora Fogli la esige: "Non lo conosco (riferito a Celli, ndr), ma potrei conoscerlo in futuro. Ci conosceremo appena esco". Ma nonostante la cosa si faccia piuttosto intricata e forse imbarazzante, Riccardo Fogli ne esce pulito, da signore. Non una parola contro la moglie. "Ancora una volta ti comporti come un signore - fa notare Alda D'Eusanio -. Il piacere con il quale lui (Corona, ndr) ha continuato a ferirti dicendoti 'tu sei vecchio, cornuto', il piacere di vederti soffrire è stato il suo bene. Questa è la cosa più disumana. Dice di aver fatto galera? Ci dovrebbe stare più a lungo per imparare qualcosa". Alda D'Eusanio è durissima, ma sappiamo bene che lei con Corona non ci va a nozze. La Marcuzzi stempera i toni, "non posso parlare al posto di Corona visto che lui non c'è, serve un confronto con Riccardo". Tutti son tesi come delle corde di violino. Anche Alba Parietti cerca di chiudere questo capitolo piuttosto doloroso e si scaglia contro Celli: "Questa persona dice di non essere coinvolto e continua ad andare in tv. Visto che è amico di Corona mandi una diffida così non si parla più di lui". Il discorso è delicatissimo e Fogli lo chiude segando le gambe a Corona: "Vedendo bene Corona, lui non ha nessuna possibilità di arrivare alla mia età sano e integro". Probabilmente la battaglia è appena iniziata.
Mario Luzzatto Fegis per Il Corriere della Sera del 7 marzo 2019. Riccardo Fogli come Massimo Troisi nel film «Credevo che fosse amore e invece era un Calesse» quando amici e conoscenti lo mettono di fronte al tradimento dell’amata. Si limita a biascicare: «Ma io non v’ho chiesto gnente». Per lui andava bene così. Meglio non sapere. Sull’Isola’ Fogli Riccardo appare incredulo. Per lui tutto si chiarirà. Nell’immaginario collettivo Fogli è l’uomo che gettò alle ortiche denaro e fama mollando i Pooh per amore di Patty Pravo nel 1973. Un idealista? In un certo senso si: l’idea è quella corteggiare con tecniche varie qualunque donna si presenti al suo cospetto: giocando al cucciolo indifeso, marito incompreso, arista squassato da dilemmi interiori. Ma chi è realmente Riccardo Fogli e perchè abbandonò i Pooh nel 1973? Lo rifarebbe? Negli anni la risposta è sempre stata una sola: «Assolutamente sì. Ero innamorato di Patty Pravo e volevo poterle dedicare più tempo. Mi trovavo benissimo con i Pooh, ma la mancanza di libertà mi impediva di vivere la mia grande storia d’amore con Patty Pravo». Il produttore Giancarlo Lucariello arrivava ogni mattina con i giornali scandalistici che parlavano della vicenda Fogli-Patty Pravo, mescolandola con le foto dei Pooh. Lui considerava tutto ciò un danno di immagine per il quartetto. Doveva fare una scelta, era con le spalle al muro. «Piuttosto che rinunciare a Patty torno a fare il gommista – dichiarò all’epoca - Avevo continui malesseri, stavo male fisicamente. Tuttavia io mi allontanai gradualmente, dopo aver insegnato a Red le parti bassistiche. Fu un divorzio molto civile ma per me molto doloroso. Come lasciare dei fratelli maggiori cui ero legatissimo. Dovetti ricominciare daccapo, imparare a scrivere canzoni, costruire un mio repertorio. Internazionale. E, a fatica, ci sono riuscito: accendete oggi una radio in Russia e sentite sicuramente Malinconia o Storie di tutti i giorni». Ma quale fu la causa scatenante della separazione fra Fogli e i Pooh? «L’insistenza del produttore che mi assillava chiedendomi di scegliere fra i Pooh e Patty Pravo. Fu un errore: per Patty Avevo lasciato mia moglie, la cantante Viola Valentino figurati se non lasciavo i Pooh». La vita sentimentale di Fogli è stata poi abbastanza movimentata: una storia con l’attrice Stefania Brassi (un figlio di nome Alessandro), poi nozze con Karin Trentini, di trent’anni più giovane, e che l’ha reso padre di Michelle. L’anedottica dei tradimenti di Fogli, alimentata soprattutto dall’ex moglie Viola Valentino è ricca. A volte spariva. Arrivava a casa con 12 ore di ritardo (non esistevano ancora i cellulari) sporco di grasso, le mani nere, esageratamente sporche, di quello che aveva cambiato un pneumatico. «Scusami cara, ma ho avuto una gomma a terra (che per un ex gommista non avrebbe dovuto essere un gran problema). Altre scuse erano in ordine «Non trovavo le chiavi» «L’autostrada era chiusa» «Ho fatto benzina anziché gasolio».
Dagospia il 29 marzo 2019. “Prima di essere la ragazza del Piper, ero la ragazza che suonava il campanaccio alle partite di calcio”. Patty Pravo scherza con Fiorello e racconta il suo passato da ultrà a “Il Rosario della Sera” su “Radio Deejay”: “Mio padre mi portò a vedere un Venezia-Juve, impazzii per Sivori che menò l’arbitro e mi innamorai brutalmente di lui. Poi ho iniziato a fare qualche trasferta, ho scoperto il campanaccio. Ero piccolina e sugli spalti rompevo i coglioni”. A 15 anni già cantava “Ragazzo triste”, il primo brano pop ad essere trasmesso da Radio Vaticana. La Rai, invece, la censurò: il verso “scoprire insieme il mondo che ci apparterrà” diventò “scoprire insieme il mondo che ci ospiterà”. Trovate le differenze. 120 milioni di dischi venduti e il pensiero stupendo di Franco Califano: “Io so amare così”: "E' la canzone che Franco mi ha lasciato nel suo testamento. Prima che fosse resa nota l'eredità non sapevo che avesse scritto e lasciato questo pezzo per me…” Dalle canne in macchina con Jimi Hendrix all’amore con Riccardo Fogli (“Ma oggi non ci si incontra più”), la “Divina” tira fuori l’anima rock: “Con Keith Richards siamo amici, ogni tanto ci sentiamo e cazzeggiamo". E poi David Bowie: Ci siamo conosciuti a Roma quando venne a fare la versione di Space Oddity. Aveva affittato una villa sull’Appia. Siamo stati insieme una o due settimane, con altri amici musicisti. Rimasi in contatto con lui. Poi l’ho rivisto a Los Angeles quando vivevo lì...”. Una rivelazione su Vasco Rossi: "Quando mi portarono il nastrino di “Dimmi che non vuoi…’ con la canzone restai sorpresa: “Mi state prendendo per il culo?’ - dissi - c’era incisa la mia voce, ma io non l’avevo ancora registrata. Vasco mi imita perfettamente. Io? Al massimo posso imitare la Vanoni..."
Viola Valentino: "Riccardo fogli e i tradimenti? Ripagato con la stessa moneta", scrive il 4 marzo 2019 tvzap.kataweb.it. Ospite di Storie italiane la cantante commenta le voci sui presunti tradimenti di Karin Trentini ai danni del suo ex marito. La cantante Viola Valentino, in quanto ex moglie di Riccardo Fogli, interviene a Storie italiane nella puntata di lunedì 4 marzo per commentare le voci circa i presunti tradimenti di Karen Trentini ai danni del cantante attualmente naufrago a L’isola dei famosi. Così l’artista spiega nel salotto di Eleonora Daniele: “La calunnia è un venticello. Se questo venticello si trasformerà in tempesta, capirà che cosa significa aver fatto del male a delle persone […] Io non sono stata tradita una volta sola, sono stata tradita mille volte, diecimila, non lo so quante. Ripagato con la stessa moneta adesso voglio vedere, se fosse vera questa cosa, se l’accetterà con grandissima dignità come ho fatto io” (QUI il video da 1:17:00). Quando le viene fatto notare che Karin ha smentito tutto replica: “Lei può negare quello che gli pare! Ci sono delle prove […] O la mettono a tacere dimostrando che la cosa non è vera oppure va avanti e vedremo come andrà”. Infine un commento sulla foto pubblicata da Viola Valentino sui social risalente ai tempi della sua storia con Riccardo Fogli, sposato nel 1971. Nessuna implicazione sentimentale o nostalgia: “Assolutamente no. Io sono felicemente fidanzatissima […] Io sono nata sotto il segno del cancro, il cancro vive di ricordi, di romanticismo e di cose belle. E la vita che ho passato con Riccardo è stato un bel momento”.
Mattia Feltri per "la Stampa" il 6 marzo 2019. Lo spirito del tempo non va cercato nelle domande accondiscendenti di Fabio Fazio, o nell' ebbrezza da ora d' aria sovranista della Rai, o nell' amletismo di Mediaset, che ripudia la conduzione populistica dei talk, e poi ripudia il ripudio: lo spirito del tempo fiammeggia altrove, per esempio all' Isola dei famosi, là dove Riccardo Fogli, cantante di qualche portata, esibisce le caducità di settantenne a torso nudo e sandali di gomma. Dorian Gray aveva venduto l'anima al diavolo per l'eterna giovinezza e l'eterna bellezza, ribellione estrema al disastro mozzafiato di ogni essere mortale. Qui ci si vende per intero, pacchetto completo, al diavolo del circo: è tutto messo in conto, in cambio di un altro morso di celebrità ci si lascia pedinare dalle telecamere fin dietro i cespugli, e qualche anno fa un concorrente dalla fama declinante, come è la fama di ogni concorrente dell'Isola, per gettare la spugna dovette particolareggiare i sopraggiunti guai alle strutture vascolari del canale anale - ovvero l'epicentro della filosofia contemporanea. Fin qui saremmo semplicemente al trash, o allo stanco dibattito sulla contraddizione fra la petulante richiesta di privacy della società moderna intanto che è impegnata a squadernare al mondo, via social, l'andamento degli amori, delle malattie e del punto di cottura della torta: io sono in quanto condivido. Vabbè. Ma l'altra sera, all' Isola dei famosi, si è compiuto un passo ulteriore scandito dalla fissità del primo piano su Riccardo Fogli, al quale si comunicava che la moglie si intrattiene con un altro uomo. La notizia, diciamo così, era stata diffusa da Fabrizio Corona e inoltrata via studio in una precedente puntata al marito becco, senza rivelargli la fonte: lo spettacolo ha bisogno di suspense. E l'altra sera la conduttrice Alessia Marcuzzi, straziata di tormento, ha convocato Fogli per mostrargli la registrazione di un'elevata disputa da Barbara D' Urso a Domenica Live, dove si indagava l'infedeltà attraverso foto e altre prove documentali. Il clou doveva arrivare. Nuova clip, ora con Corona, determinato a rivelarsi: caro Riccardo, sono io che ho messo in giro la voce perché ne ho gli elementi, sono qua dentro (sventola una cartellina o un computer, boh), e dimostrano che tua moglie ti tradisce da quattro anni; vedi, Riccardo, tu sei vecchio, tua moglie è giovane, e quando un vecchio sposa una giovane deve mettere in conto che lei insegua la gioventù fra più robuste braccia. Questo il messaggio, in una sintesi nobilitata. Non è mica finita. Fogli rimane lì come uno spaventapasseri. E in studio si vibra di indignazione. Alda D' Eusanio suppone che a Corona il carcere non sia bastato e gliene augura ancora un po' (lei, che conobbe la gogna perché in una intercettazione sospirava all' idea di un bacino lì a Bettino Craxi). Alba Parietti rinverdisce la propria tradizione e spiega a Corona la vita attraverso le virtù terapeutiche del dolore, che evidentemente lui non ha assunto in dosi sufficienti (nel frattempo la cura continua a essere somministrata a Fogli). Marcuzzi assiste afflitta come un eterno riposo. Un ipnotico terzetto di fabriziecorona, ma più parassitarie, perché di Corona non hanno nemmeno lo spavaldo e spaventoso coraggio di sé: si buttano a mani basse sul bottino intanto che biasimano il ladro. Fogli tracolla in singhiozzi e buonanotte ai telespettatori. Eccolo qui lo spirito del tempo (e bastava cambiare canale per apprezzarlo ulteriormente, con le eroiche Iene a Parigi a chiedere il pizzo - ma per scherzo, eh - nel ristorante della figlia di Totò Riina). Viene in mente l'esperimento (vanno di moda) di un reality francese in cui il pubblico doveva punire con crescenti scariche elettriche il partecipante impreparato alle domande di cultura generale, fino alla scarica definitiva, con probabilità di morte, e che pure fu inferta. Era tutto finto, tranne il pubblico, perché si voleva vedere fin dove può arrivare. E lo si è visto. E basterebbe. Ma fra uccidere il concorrente e umiliarlo, subito dopo la pubblicità, dichiarandolo vecchio e cornuto fino alle lacrime per l'insaziabile godimento da casa, la strada è ancora lunga e molte tappe andranno compiute, in nome del pubblico, per il piacere del pubblico, perché lo vuole il pubblico, che poi è soltanto un altro modo di appellarsi al popolo, in nome del popolo, perché lo vuole il popolo. Poi, naturalmente, liberi tutti. Liberi di sfruttare, di essere sfruttati, di assistere allo sfruttamento, come si dice siamo tutti adulti e vaccinati, ognuno libero di spassarsela, di darsi un ruolo, uno stipendio o il senso di una leadership come crede; noi qui ricordiamo il finale di una vecchia canzone di Giorgio Gaber - «la lontananza è l'unica vendetta / è l'unico perdono» - sebbene non ci sia niente di cui vendicarsi e niente da perdonare, ma la lontananza, quella sì, è l'unico rimedio allo spirito del tempo.
Giada Oricchio per Il Tempo del 5 marzo 2019. L'ottava puntata dell'Isola dei Famosi si immerge nel fango del presunto tradimento di Karin Trentini ai danni del marito Riccardo Fogli. Alessia Marcuzzi annuncia con tono greve e serioso che Fabrizio Corona e Riccardo Fogli avranno un confronto, lo distilla come fosse un cognac d’annata. Invece è vino diventato aceto. Ogni mezz’ora, la Marcuzzi ricorda la vicenda e ogni mezz’ora vien da pensare: “È lecito maciullare il dolore di Riccardo Fogli per qualche punto di share?”. Diciamolo: è ladro tanto chi ruba che chi regge il sacco. Alle 23.30 mostrano al cantante l’RVM in cui Barbara d’Urso a “Domenica Live” parlava delle presunte corna e la Marcuzzi, che brama a ogni costo qualche punto di share in più, affonda: “Questa fotografia sul dondolo l’hai fatto tu Riccardo?”, “No, assolutamente no. Non conosco questo Giampaolo, lo conoscerò in futuro. Ci conosceremo appena esco”. Ed ecco il videomessaggio del (non) redento Fabrizio Corona per Fogli: “Sono io il bastardo, il pezzo di merda, la testa di cazzo. Nel momento in cui scegli di metterti in gioco devi accettare quello che viene fuori. Se tua moglie ti ha tradito devi accettare che i giornali lo dicano. Prima di sfidarmi a duello, ti dico che dentro questa cartellina ho le prove del tradimento di tua moglie con il mio amico Giampaolo non per uno o due anni, ma per quattro. Li ho frequentati, siamo andati in giro insieme. Nel momento in cui noi uomini di 70 anni decidiamo di stare con una donna più giovane certe cose si sanno, magari c’è un accordo. Ricordati Riccardo, siamo tutti un po’ cornuti. Un abbraccio”. Il cantante guarda il video strizzando gli occhi al pari di una talpa, un tram lo ha investito, ma si rialza nemmeno fosse di gomma: “Ma è vero o non è vero? Se la notizia è falsa ribadisco che sfido a duello chi l’ha messa in giro. Corona non lo conosco di persona, ma per sentito dire. Scelga lui l’arma, coltello, pistola o pugni. Io non ho paura di lui. Casomai porto dietro Jeremias. Ribadisco che mi fido di mia moglie. E da quello che ho visto Corona non ha alcuna possibilità di arrivare alla mia età, sano, integro e amato”. È Alda D’Eusanio a polverizzare Corona come fece Ilary Blasi al Grande Fratello Vip: “Sei un signore Riccardo. Il piacere con il quale questo signore ha continuato a ferirti, a dire che sei vecchio e cornuto, il piacere che aveva a dire il tuo male è il mio bene, è la cosa più disumana che ho visto. Ha detto che ha fatto la galera, dovrebbe farne ancora per imparare qualcosa”. Dinamite pura dalla quale Alessia Marcuzzi si affretta a dissociarsi. Alba Parietti è altrettanto severa: “Anch’io condivido il pensiero di Alda sul sadismo e sul modo di sbeffeggiare di Corona, evidentemente la vita non l’ha colpito abbastanza nei suoi affetti, eppure ha un figlio piccolo. Qui ci sono figli di mezzo e dovrebbe stare più attento. A quel Celli dico di smetterla di andare nei salotti tv e di mandare una lettera di diffida e non comparire più. E’ una storia dissonante”. Vorrebbe aggiungere altro, ma le chiudono il microfono. E’ matematico: ogni volta che Corona va in un reality, sulla sua strada trova una donna cazzuta che lo ridicolizza. Qualcuno si chieda se il gioco valeva la candela.
Da Adnkronos del 6 marzo 2019. L'intervento di Fabrizio Corona nella puntata di ieri dell'Isola dei Famosi, quando si è rivolto a Riccardo Fogli dandogli del "vecchio cornuto" e assicurandogli che lui avrebbe le prove di un tradimento della moglie del cantante che dura da quattro anni, ha scatenato una vera e propria rivolta social: contro Corona in primis, ma anche contro il programma, i suoi autori, la conduttrice Alessia Marcuzzi e la rete che lo ha mandato in onda. Mentre l'hashtag #corona è nella top five dei trend topics di Twitter da ieri sera (purtroppo verrebbe da dire, perché questo alimenta la notorietà di Fabrizio Corona e favorisce le sue 'ospitate' nei programmi tv), la pagina di televisione viene definita senza appello da moltissimi telespettatori sui social "vergognosa", quando non insultata. Anche sul profilo di Alessia Marcuzzi si moltiplicano insulti irripetibili e commenti durissimi del tipo: "Vergogna. Ti sei resa complice di una pagina ignobile di televisione". La puntata, fra l'altro, non ha ottenuto un grande successo di ascolti (2.846.000, con il 16,9% di share) contro il debutto seguitissimo de Il nome della rosa (6.501.000 telespettatori e il 27,4% di share). Anche Belen Rodriguez, che in passato ha avuto una relazione sentimentale con Corona, ha pubblicato sulle storie Instagram durante la diretta del programma di Canale 5 parole inequivocabili accanto ad una foto di Fogli in lacrime: "Dico solo... che schifo, non si gioca con la vita degli altri, la vita è una cosa sacra, come è che il rispetto non ha più valore? Che vergogna". Ma Corona non ha perso l'occasione di risponderle, sempre via Instagram: "Detto da una persona che finge di essere quello che non è e mostra una vita che non vive … non è male – ha scritto nelle sue storie di Instagram – Io, almeno, ci metto sempre la faccia, nel bene e nel male, dico sempre quello che penso, mi prendo le mie responsabilità e te lo ripeto ancora non fingo di essere anzi non mostro di essere quello che non sono". C'è chi chiede l'intervento di qualche autorità e c'è pure chi, non spiegandosi tanta "cattiveria" e "sadismo" nei confronti di Fogli, si augura che il cantante fosse d'accordo: "Spero sia stata una cosa organizzata anche con Riccardo Fogli, altrimenti gli autori dell'Isola, che infilano Corona per fare 2 punti di share e distruggere una persona di 71 anni in diretta tv, sono degli esseri ignobili, che cesso di televisione", scrive un telespettatore su Twitter.
Emiliana Costa per leggo il 6 marzo 2019. Fabrizio Corona e la notizia del presunto tradimento subito da Riccardo Fogli. Su Leggo.it le ultime novità. Dopo il video messaggio inviato dall'ex re dei paparazzi all'ex volto dei Pooh, non si placa l'ondata di sdegno esplosa sui social. Tanti volti famosi si sono espressi contro il comportamento di Corona. E adesso lui si difende su Instagram. In alcune stories, l'ex re dei paparazzi ha dichiarato: «Odio i falsi moralisti, quelli che dicono "Che schifo", che predicano bene e razzolano male. Lavoro nel mondo dello spettacolo dal 97-98 e funziona così. Se ti sacrifichi alla celebrità, devi accettare tutto quelle che viene. Sono le regole del giornalismo, anche se moralmente mi dispiace, perché in fondo non sono così. Ma lo sono diventato e non posso cambiare». Dopo le parole al vetriolo di Belen, sono arrivate anche quelle di Alba Parietti. Le polemiche non si placano. E intanto Riccardo Fogli, con grande dignità, continua a soffrire in Honduras.
Da Leggo del 6 marzo 2019. Nello spazio di Pomeriggio 5 dedicato al gossip e al talk è il momento di parlare dell'Isola dei Famosi e del presunto tradimento a scapito di Riccardo Fogli. Barbara D'Urso lascia intendere che il trattamento riservato all'ex membro dei Pooh non è stato rispettoso e delicato. Quello che la conduttrice e i suoi ospiti contestano è il modo con cui la produzione ha scelto di informarlo delle voci sulla relazione Karin Trentini con Giampiero Celli. Nel corso della puntata di ieri è stato trasmesso un video in cui Fabrizio Corona spiega di avere le prove del tradimento. «Se tua moglie ti ha tradito per 4 anni - ha detto l'ex re dei paparazzi - devi accettarlo visto che sei in un reality. Io ho le prove del tradimento di tua moglie con il mio amico Giampaolo Celli per 4 anni. E ti dirò di più io li ho anche frequentati, ho fatto cene, eventi con loro due. E se tu ti metti con una donna più giovane di molto devi anche aspettarti una cosa del genere e nel momento in cui diventiamo anziani dobbiamo accettarlo. Alla fine siamo tutti un po' cornuti». «Io non lo avrei fatto in quel modo. Purtroppo io conduco dei reality e so che quando una persona sceglie di entrare è consapevole che tutta la sua vita verrà scandagliata. Io sono amica di Riccardo e il cuore mi si è stritolato ieri. Lui andava protetto fuori e prima. Io ribadisco che non sono d'accordo sul modo con cui è venuto a sapere tutto. Ognuno sceglie come fare e io rispondo per i reality che conduco io», le parole di Barbara D'Urso.
Da ''Oggi'' del 6 marzo 2019. Il settimanale OGGI, in edicola da domani, pubblica le reazioni di tre ex dei Pooh alla gogna-tv cui è stato sottoposto l’amico Riccardo Fogli all’«Isola dei famosi». In un videomessaggio, Fabrizio Corona ha rivelato di avere le prove di una presunta relazione tra la moglie di Fogli e un suo amico, relazione da lei smentita: «Ho frequentato lei e Giampaolo Celli, ho fatto cene ed eventi con loro due», ha detto Corona. «Se ti metti con una donna più giovane devi aspettarti una cosa del genere. Nel momento in cui diventiamo anziani dobbiamo accettarlo. Siamo tutti un po’ cornuti». «Riccardo ha dimostrato di essere un signore, una persona splendida per l’eleganza con cui ha reagito», dice a OGGI Red Canzian. Che aggiunge: «Quando mi ha detto che aveva deciso di partecipare all’Isola, gli ho risposto che secondo me faceva una cavolata». Aggiunge Stefano D’Orazio: «Si sa che in questi casi, quando gli ascolti non decollano, si inventano di tutto. Non sono preoccupato, immagino che Riccardo abbia messo in conto di potersi trovare di fronte a una situazione del genere. È un uomo sicuro, se la caverà». Dello stesso tono la reazione di Dodi Battaglia: «Voglio bene a Riccardo come fosse un fratello. Sono scettico sulla questione del presunto tradimento e comunque non è questo il sistema di trattare certi argomenti.
Le lacrime di Riccardo Fogli a "L'Isola dei Famosi 2019", il momento più squallido di una televisione spazzatura, scrive il 5 Marzo 2019 Il Corriere del Giorno. L’ottava puntata del reality show di ieri sera trasmette un videomessaggio in cui il pluri-pregiudicato Fabrizio Corona accusa il cantante di essere tradito da sua moglie da più di quattro anni, dandogli del cornuto. Riccardo Fogli scoppia a piangere ed è chiaro a tutti che, questa volta, gli autori del programma e la direzione di CANALE5 hanno toccato veramente il fondo dello squallore televisivo. Quando di autori dell’Isola dei Famosi, con la complicità di una conduttrice Alessia Marcuzzi priva di carisma e personalità, danno spazio ad uno squallido personaggio televisivo, pluri-pregiudicato, come l’ex-carcerato Fabrizio Corona, cavalcando un tema caldo che aveva portato fortuna in termini di ascolto ai tempi in cui Simona Ventura annunciava in diretta all’inconsapevole Al Bano di essere stato lasciato da Loredana Lecciso, allora veramente non resta altro che spegnere il televisore o cambiare definitivamente canale. A pagare le conseguenze è stato Riccardo Fogli, senza alcun dubbio l’unico e vero famoso del programma, un artista che vanta una carriera di più di cinquant’anni e che un’umiliazione così proprio non se la meritava. Quando la tv “ammiraglia” del gruppo Mediaset si presta a squallidi eventi come quello a cui abbiamo assistito ieri sera, consentendo a Corona di fare pubblicità al suo solito giornaletto di turno pieni di fandonie, menzogne e diffamazioni, allora vuol dire che la parola “rispetto” verso il telespettatore e verso i protagonisti dei programmi non esiste più. E lascia senza parole vedere che delle società importanti dello Stato investano decine e decine di migliaia di euro di pubblicità in un programma così vergognoso, privo di qualsiasi etica, cultura e fini sociali come l’ISOLA DEI FAMOSI e la sua struttura autoriale, che si avvale della collaborazione di programmi come quello del pomeriggio condotto da Barbara D’ Urso che danno spazio a squallidi, loschi anonimi figuri. Un’edizione di un programma che non interessa più, come dimostrano gli ascolti in picchiata anche a fronte di concorrenti “morbidi” (la quarta puntata, a inizio febbraio, registrò solo 2.399.000 telespettatori, share del 13,8%, doppiato dal programma concorrente Che tempo che fa di Fabio Fazio su RAIUNO che portò a casa il 18.5% con 4.764.000 spettatori). Vedere un video di Corona che chiama Fogli “caro Riccardo” come se fosse il suo migliore amico dire “Devi imparare che, anche se hai fatto il cantante per settant’anni, nel momento in cui scegli di metterti in gioco in un reality, devi accettare tutto quello che viene pubblicato. E se tua moglie ti ha tradito per quattro anni, si tratta di informazione” ammiccando alla telecamera e sostenendo senza alcuna prova che ha frequentato la moglie di Fogli ed un presunto amante, sostenendo che nelle busta che stringe fra le mani ci sono le prove di tutto. “Noi che scegliamo di stare con donne giovani, dobbiamo accettarlo. Ormai, quando le cose diventano pubbliche, è meglio dire “ok, ci sta”. Alla fine siamo tutti un po’ cornuti, Riccardo”. La Marcuzzi invece di vergognarsi, prova persino ad incalzare Fogli: “Ti fidi di tua moglie, Riccardo?”. Riccardo Fogli non ce la fa più e scoppia a piangere singhiozzando un “sì, mi fido”. Tutto questo un artista come Fogli un trattamento del genere non se lo meritava proprio. Le stesse opinioniste, Alda D’Eusanio ed Alba Parietti accusano immediatamente lo squallido comportamento di Corona. Meravigliosa ed assolutamente la chiosa della D’Eusanio: “E’ stata una cosa disumana. Corona ha detto che ha fatto la galera. Ci dovrebbe stare più a lungo”. Un momento bassissimo di una televisione squallida e vergognosa, in nome di qualche punticino di share in più. Dimenticando l’importanza di un valore come la dignità, forse è arrivato il momento di per qualcuno a Canale5 di vergognarsi. Un editore serio, un programma del genere lo chiuderebbe immediatamente. Non è un caso se ieri sera il programma condotto da Alessia Marcuzzi è rimasto inchiodato al 16,86% (soltanto 2 milioni 846 mila spettatori). L’umiliazione del concorrente non ha funzionato.
Isola dei Famosi, Grasso contro Parietti e D’Eusanio. Corona-Fogli, tutti moralisti ma…, scrive Alberto Francavilla il 7 marzo 2019 9:03 su Blitz Quotidiano. Aldo Grasso, noto critico televisivo del Corriere della Sera, ha attaccato Alba Parietti e Alda D’Eusanio, opinioniste dell’Isola dei Famosi. Queste le parole di Grasso: “Non basta dissociarsi, dovete abbandonare la trasmissioni, altrimenti siete complici”. Complici di cosa? Dell’ormai celeberrimo intervento di Fabrizio Corona, che in un video messaggio ha detto a Riccardo Fogli (concorrente del reality) che la moglie (Karin Trentini) lo tradisce con un suo amico (suo di Corona, Giampaolo Celli) e che lui (sempre Corona) ha le prove del tradimento. Fogli durante la messa in onda del video ha retto (bisogna ammettere molto dignitosamente), prima di lasciarsi andare a un pianto sfrenato, nonostante la difesa d’ufficio nei confronti della sua donna. Ma la cosa non è finita lì, perché la decisione di mandare in onda questo filmato ha provocato un piccolo terremoto: critiche unanimi ricevute in primis dai big della tv (una su tutte Barbara D’Urso, le cui trasmissioni sono basate proprio sullo svisceramento dei sentimenti e delle emozioni dei suoi ospiti) e la decisione di Mediaset di allontanare i responsabili del progetto. Anche la Parietti e la D’Eusanio non hanno risparmiato critiche a Corona, ed è questo il punto su cui Grasso ha costruito la sua accusa: non bastano le parole, dovete andarvene per dimostrare di essere schifate da tutto questo. Grasso ha ragione? Secondo me no. Perché si confonde il piano etico con quello dello spettacolo televisivo o infotainment (da qualche anno questa parola va molto di moda). Chi vede l’Isola dei Famosi non si aspetta certo un dibattito sulla morale nel terzo millennio o sulle opportunità di una tv più eticamente sostenibile. Chi vede l’Isola vuole proprio questo: gossip e scandali sui partecipanti, il tanto amato spetteguless. E Corona (che piaccia o no) rappresenta al meglio questo palcoscenico. Si può discutere poi se sia stata giusta o meno la modalità di messa in onda del messaggio: trattandosi di un filmato registrato e non di diretta, la scelta è stata degli autori del programma. Per questo bisogna rispettare la decisione successiva di Mediaset, quella di allontanare i responsabili della messa in onda: è legittimo da parte dell’azienda allontanare dipendenti se ritengono che questi abbiano leso l’immagine dell’azienda stessa. Tornando al caso Corona-Fogli, bisogna anche dire che la storia era già nota da giorni: se ne sono occupati giornali e siti, di gossip e non solo. Chiunque ne parli e ne abbia parlato, lo ha fatto per cavalcare l’onda di una notizia seguita, dibattuta e cliccata. Anche chi si indigna.
Isola dei Famosi, il caso Fogli-Corona e l'ipocrisia del giorno dopo. Via gli autori, indignazione generale e provvedimenti in atto dopo la sceneggiata circense tra l'ex paparazzo e il naufrago in lacrime. Come se fosse una rivelazione improvvisa che si tratta di brutta tv, scrive Beatrice Dondi il 6 marzo 2019 su L'Espresso. Incredibile ma vero. L'Italia scopre che esistono dei programmi di cattivo gusto. Che in questi programmi vengono invitate persone di cattivo gusto. Che dicono cose di cattivo gusto. L'Italia scopre e, attenzione, si indigna. Tira fuori la bacchetta del maestro di Cuore, sgrida a più non posso e fa saltare le teste per saltare dalla parte dei buoni sulla lavagna. Tanto poi domani si ricomincia. Per i pochi che non l'avessero seguito la vicenda sui giornali, perché onestamente ormai la trasmissione di Canale 5 lo guardano in pochi, lo scorso lunedì mentre Guglielmo da Baskerville indagava nella biblioteca de Il nome della rosa, su Canale 5 avveniva un triste siparietto per cercare di racimolare briciole di ascolti perduti. Riccardo Fogli, naufrago a petto nudo, veniva torturato in diretta da supposizioni, pettegolezzi e inutilità di vario genere sul presunto tradimento della sua giovane moglie. Per provare il tutto Alessia Marcuzzi con la faccia contrita mostrava al cantante un video in cui Fabrizio Corona mentre agitava una cartellina contenente le foto dello scandalo, sentenziava: «Sono io il bastardo, lo stronzo e il pezzo di m... che ha detto tutto e l’ho fatto sul mio magazine. Detto questo, devi imparare che anche se hai fatto il cantante, quando vai a fare un reality devi accettare quello che accade. E anche se tua moglie ti ha tradito per 4 anni, devi accettarlo visto che sei in un reality. E se ti metti con una donna più giovane, devi anche aspettarti una cosa del genere. Nel momento in cui diventiamo anziani dobbiamo accettarlo. Alla fine siamo tutti un po' cornuti». A quel punto Riccardo Fogli ha iniziato a piangere e l'opinionista D'Eusanio ha sentenziato che l'ex paparazzo avrebbe dovuto stare in cella più a lungo. In poche parole il solito, terrificante circo isolano. Ma che a sorpresa questa volta ha suscitato un'indignazione generale come se fosse stata la prima. Al punto che Mediaset ha concordato l'uscita dal programma del capoprogetto Cristiana Farina e altri autori con effetto immediato. E si attendono provvedimenti contro la stessa Marcuzzi. Un po' come se si trattasse di un programma carbonaro, che prende decisioni all'insaputa di tutti, organizza porcherie di nascosto e approfitta del bello della diretta. Un po' come se questa manfrina non fosse stata annunciata da giorni, come se il coltello nella piaga del malcapitato ex Pooh non avesse cominciato girare da quel dì. E' l'ipocrisia, bellezza, direbbe qualcuno. Quella che scopre all'improvviso che L'Isola dei Famosi è un brutto programma, che si nutre di polvere e carne. Che sfrutta lo sfruttabile. E che l'utilizzo dell'onnipresente Corona, che presenzia in tv neanche fosse un detersivo in un spot e sulla sua gradevolezza di modi e contenuti si discute da tempo, forse non è un'idea brillante perché il tono, stranamente, si abbassa. Bene. E dov'è la notizia?
Isola dei Famosi 2019: caso Fogli, Mediaset caccia gli autori. Via il capo progetto Cristiana Farina. Il reality di Canale 5 sommerso della polemiche dopo il videomessaggio di Corona sul tradimento della moglie del cantante, scrive Francesco Canino il 7 marzo 2019 su Panorama. Una decisione così estrema non si era mai vista: Mediaset ha concordato l'uscita degli autori dell'Isola dei Famosi 2019. Tradotto in maniera brutale, sono stati licenziati - in parte e non in blocco - dopo lo scivolone clamoroso commesso durante il (non) confronto a distanza tra Riccardo Fogli e Fabrizio Corona, che aveva certificato in diretta tv il tradimento della moglie del cantante. Ecco le tappe di un caso mediatico che rischia di azzoppare il reality prodotto dalla Magnolia. "A seguito delle circostanze che nell’ultima puntata dell’Isola dei famosi hanno coinvolto il concorrente Riccardo Fogli, Mediaset ha concordato l’uscita dal programma del capoprogetto Cristiana Farina e altri autori con effetto immediato". È con questo comunicato secco e tranchant che Mediaset ha annunciato il cambio di rotta del reality vip: a quattro puntate dalla fine, esce dunque di scena Cristiana Farina - non l'ultima delle arrivate, ma una professionista con una lunga carriera alle spalle tra programmi e serie tv, tra cui La dottoressa Giò - e con lei una parte degli autori dell'Isola. Chi sono gli altri "epurati", non è dato saperlo per ora. Il reality ha sopportato parecchi scossoni, ma questa volta sono davvero troppo forti le polemiche scoppiate dopo che Fabrizio Corona - via videomessaggio - ha dato del "cornuto" (sintesi brusca, ma questo era il concetto) a Fogli, infierendo sulla questione anagrafica e annunciandogli che la moglie lo tradiva da quattro anni con l'imprenditore Giampaolo Celli. L'episodio non è piaciuto ai vertici Mediaset - stando a diverse fonti sarebbe intervenuto in prima persona lo stesso Pier Silvio Berlusconi - che ha scelto la linea dura. Ma la scelta è arrivata troppo tardi, visto che ormai le parole di Fabrizio Corona avevano provocato un clamoroso effetto valanga, travolgendo anche la conduttrice Alessia Marcuzzi, per altro visibilmente in imbarazzo durante la puntata di lunedì 4 marzo. L'umiliazione - questa è la parola più pronunciata sui social - subita da Fogli ha fatto in modo che tutti si schierassero compatti a suo favore, a cominciare dalle due opinioniste Alda D'Eusanio e Alba Parietti fino agli ex componenti dei Pooh. Nel frattempo il gossip sull'asse Honduras-Italia rischia di costare grosso all'Isola: la quattordicesima edizione, la quinta targata Mediaset, è in forte sofferenza sul fronte degli ascolti (anche a causa di scelte di palinsesto parecchio discutibili) e questo episodio rischia di fagocitare definitivamente le dinamiche del reality che, dopo questa stagione, forse ha bisogno di prendersi un po' di pausa.
Striscia la Notizia demolisce Alessia Marcuzzi per lo sfregio di Fabrizio Corona a Riccardo Fogli: "Forse...", scrive il 6 Marzo 2019 Libero Quotidiano. Non chiediamo ad Alessia Marcuzzi di essere una brillante conduttrice, è troppo per lei. Ma almeno che mostri un briciolo di empatia e umanità. In fondo ha anche lei un marito, degli affetti... Invece nulla: se la bella showgirl prende le parti di qualcuno, prende sempre quelle sbagliate. Vedi il caso di Francesco Monte. Qui è uguale: durante il penoso siparietto di Fabrizio Corona che ha dato del vecchio e del cornuto a Riccardo Fogli all'Isola dei Famosi, la Marcuzzi invece di solidarizzare con il povero naufrago, difende l'ex paparazzo amichetto di Lele Mora. Bisogna essere dei geni del male. Meno male che Striscia la Notizia se ne è accorta e ha confezionato su di lei un video in cui la chiamano "Frozen" Marcuzzi e sottolineano la sua figura di "merda" durante l'ultima puntata dell'Isola dei famosi. I rapporti tra Striscia e Alessia evidentemente non sono migliorati da quando le avevano dato della "svicolona" sull'affaire di Francesco Monte che fumava marijuana durante la passata edizione del reality show.
Fabrizio Corona, Selvaggia Lucarelli accusa Mediaset dopo l'agguato a Riccardo Fogli: "Quello schifo...", scrive il 6 Marzo 2019 Libero Quotidiano. Polemiche infinite per la (vergognosa) performance di Fabrizio Corona all'Isola dei famosi, dove ha di fatto bullizzato Riccardo Fogli per il presunto tradimento della moglie. Modi e tempi inaccettabili, che hanno scatenato un terremoto e una pioggia di critiche. E ora dice la sua anche Selvaggia Lucarelli, che con l'ex re dei paparazzi ha sempre avuto un pessimo rapporto. Ma Selvaggia mette nel mirino anche Mediaset, ritenuta corresponsabile per quanto accaduto. Il pensiero della Lucarelli corre su Twitter, dove ha cinguettato: "Ho visto ora la lezione di vita del pregiudicato che sta ancora scontando la pena al 72enne Riccardo Fogli", esordisce la blogger, che non degna Corona neppure del suo nome. Dunque punta il dito: "A parte lo schifo permesso da Mediaset, il pregiudicato non può neppure più uscire dalla Lombardia, Riccardo Fogli, corna o meno, è in Honduras, libero e incensurato". Insomma, l'accusa al Biscione è chiara. Ora, si attende la replica di Corona: scommettiamo che anche in questo caso ribatterà a Selvaggia?
Isola dei famosi, Pier Silvio Berlusconi ha voluto licenziare gli autori: la mannaia dopo lo sfregio a Fogli, scrive il 6 Marzo 2019 Libero Quotidiano. La decisione di rivoluzionare il gruppo di autori dell'Isola dei famosi sarebbe arrivata direttamente da Pier Silvio Berlusconi. Nell'ultima puntata del reality condotto da Alessia Marcuzzi, gli autori guidati dal capo progetto Cristiana Farina hanno fatto mandare in onda un video-messaggio di Fabrizio Corona che ha sostanzialmente insultato il naufrago Riccardo Fogli in diretta, facendogli sapere anche dei tradimenti subiti dalla sua attuale compagna. Una vera e propria umiliazione pubblica che, secondo quanto riportato da TvBlog, avrebbe spinto l'amministratore delegato di Mediaset a intervenire in prima persona, pretendendo la testa di tutto il gruppo di autori. Il reality avrebbe ora i giorni contati. Secondo le indiscrezioni raccolte da TvBlog, da tempo i risultati degli ascolti dell'Isola avevano fatto innervosire i vertici di Cologno Monzese. Le polemiche scatenate dal confronto Fogli-Corona sono state solo l'ultimo capitolo, in aggiunta al pessimo risultato sulla sovrapposizione del reality con Il nome della rosa su Raiuno, dove l'Isola ha ottenuto poco più del 13% di share. Il destino del programma sembra ormai segnato. Infatti i dirigenti Mediaset avrebbero deciso di archiviare il format dello show e tenerlo in frigo a lungo. Di sicuro il prossimo anno non ci sarà un'altra edizione dell'Isola.
Annalisa Grandi per I Corriere della Sera il 7 marzo 2019. Non si parlano da anni. Neanche si salutano, ci racconta lui. E adesso, Fabrizio Corona, in un’intervista al «Corriere della Sera», vuole chiedere scusa a Barbara D’Urso. Tutto risale al 2013, prima del carcere, prima dei guai giudiziari di lui. Corona pubblicò una foto del figlio della conduttrice, ipotizzando che stesse fumando uno spinello, ma era tabacco in realtà. Da allora, fra i due è il gelo.
«Voglio chiedere scusa a Barbara e a suo figlio». «C’è una cosa che non ho fatto da quando sono uscito dalla galera, ed è chiarirmi con Barbara D’Urso. Le devo delle scuse, a lei e a suo figlio - ci racconta Corona - Mi dispiace per le cose che avevo pubblicato su suo figlio, si possono avere discussioni reciproche ma i figli vanno lasciati fuori da tutto» ci dice in un’intervista. Da anni non si parlano, e anzi lei in passato ha detto: «Quella persona per me non esiste sulla faccia della terra, io uccido se toccano i miei figli e lui ha fatto del male a mio figlio, ha preso la faccia di mio figlio e l’ha sbattuta in prima pagina facendo credere che quello che aveva in mano fosse uno spinello e non una sigaretta. Sono una mamma, non posso accettarlo».
«Eravamo amici, ora neanche ci salutiamo più». Sei anni dopo, Fabrizio vuole chiedere scusa per quella foto, e per il dolore causato: «Eravamo molto amici, ora neanche ci salutiamo più, io vorrei che lei mi scusasse» dice».
E sull’affaire Fogli dice: «Se vai all’Isola, sai che si parlerà di te». Per poi tornare sull’affaire Fogli, sulle polemiche per aver svelato in tv il tradimento della moglie. «Se un uomo di 70 anni viene pagato per andare all’ “Isola dei Famosi” è normale che la sua vita personale venga fuori - ci dice Corona - Detto questo una volta che la moglie è andata a scusarsi, lui non ha voluto sapere né il perché né altro, ha semplicemente attaccato chi aveva dato la notizia ma si tratta di una persona che fa un lavoro giornalistico e basta».
«Mio padre a 70 anni non l’avrebbe fatto». «Credo di non essere stato eccessivo nei modi e nei toni - aggiunge poi - detto questo, se non vuoi se ne parli stai a casa. Sono sicuro che se mio padre fosse vivo non sarebbe andato all’ “Isola dei Famosi” a 70 anni».
Fabrizio Corona, l'agguato a Riccardo Fogli solo una farsa? "Avete notato che la moglie Karin...", scrive il 6 Marzo 2019 Libero Quotidiano. C'è qualcosa che non torna in quanto accaduto all'Isola dei Famosi, con il discusso e vergognoso agguato di Fabrizio Corona a Riccardo Fogli, al quale sono state spiattellate le prove del presunto tradimento subito da sua moglie. C'è qualcosa che non torna almeno secondo Il Tempo, che dedica alla vicenda un lungo articolo. In primis si mette in evidenza come Alessia Marcuzzi, conduttrice dell'Isola "ha visionato il videomessaggio di Corona prima di mandarlo in onda e non può certo cadere dal pero davanti all'indignazione del pubblico". Pacifico. Ma i sospetti, più che altro, riguardano Fogli stesso e la moglie Karin Trentini. Secondo Il Tempo, infatti, "non ci si può non chiedere che parte ha Riccardo Fogli in tutto questo". Il quotidiano capitolino rimarca come Fogli sia nel mondo dello spettacolo da ancor prima che Corona nascesse, insomma ne conosce insidie e meccanismi. Ci si chiede, allora: "È stato colpito a tradimento o è corresponsabile? Perché la moglie Karin ha sentito la necessità di pubblicare due foto capziose (di cui una con il presunto amante Giampaolo Celli) su Instagram proprio mentre l’adorato marito era all'Isola?". Osservazione tutt'altro che peregrina. Cosa ci potrebbe essere dietro? Presto detto, ciò che in molti sospettano in particolare sui social: che ci sia dietro una strategia per portare Riccardo Fogli alla vittoria finale del reality in Honduras. Anche perché, si sa, in televisione vale tutto...
Isola dei Famosi, il sospetto di un "accordo" dietro lo sfregio a Fogli: la bomba di Dandolo, scrive il 6 Marzo 2019 Libero Quotidiano. Sta facendo scalpore il caso Fogli-Corona scoppiato all’Isola dei Famosi 2019. L’ex re dei paparazzi, in un collegamento con l’Honduras, ha rivelato al naufrago Riccardo Fogli di essere in possesso delle prove che inchioderebbero la giovane moglie Karen Trentini e Giampaolo Celli, il presunto amante. Il faccia a faccia andato in onda è stato un pessimo momento di televisione a causa del fare arrogante e pretestuoso dell’ex fotografo che ha a dir poco umiliato Fogli. Se da un lato si è scatenato un vero e proprio tam tam solidale verso il concorrente dell’Isola, dall’altro c’è anche chi accusa il cantante e l’ex re dei paparazzi di aver architettato tutto. Di questo versante pare faccia parte il giornalista di gossip Alberto Dandolo che nelle ultime ore ha insinuato: "Dopo la bagarre dell’Isola “Furbizio” Corona sarà confermato come ospite d’onore nella prima puntata del nuovo serale di 'Barbarie' D’Urso, come già in scaletta? E soprattutto, siamo davvero sicuri che “Furbizio” e Riccardo Fogli non siano in realtà d’accordo per comunicare i presunti porcini tradimenti della di lui moglie sull’Isola dei morti di fama?". Di solito Dandolo è uno che la sa lunga. Se dovesse avere ragione a rimetterci qui sarebbe un'intera rete televisiva che minaccia di cancellare per sempre il reality show.
Veronica Cursi per Il Messaggero del 7 marzo 2019. «L'Isola dei Famosi è stata un flop, il programma non andava e l'unico modo per rialzare gli ascolti era mettere su questa messinscena. Io, la mia famiglia, Riccardo Fogli e sua moglie: siamo tutte vittime di questo linciaggio mediatico». Giampaolo Celli, stilista molto conosciuto ai Castelli Romani, titolare insieme alla famiglia di un atelier di abiti da sposa, sposato, tre figli, è l'uomo al centro del gossip. Da giorni il suo nome rimbalza da un programma all'altro per la storia della presunta relazione con la moglie di Fogli, la bella Karin Trentini, 30 anni meno del cantante, ma Celli continua a negare: «Conosco Karin da anni ma non siamo mai stati insieme». Il presunto tradimento, sbandierato con cattiveria gratuita da uno spietato Fabrizio Corona, hanno sollevato un vero e proprio polverone. Le lacrime di Fogli all'isola hanno fatto il giro del web, Mediaset ha rimosso capoprogetto e autori del programma e c'è chi chiede anche l'abbandono di Alessia Marcuzzi. Celli in un'intervista esclusiva al Messaggero accusa il programma: «Non hanno avuto dignità».
Ha visto le immagini di Fogli e Corona durante l'ultima puntata dell'Isola? Che effetto le ha fatto?
«E' stata la cosa più brutta che abbia mai visto in tv, una cosa orrenda a prescindere dal fatto che Fogli sia un personaggio pubblico. Non si fa una cosa del genere a nessun uomo. Mi è dispiaciuto per Riccardo, una persona cara ed educata come lui non merita questo».
Lei e Fabrizio Corona siete molto amici: perché un suo amico sarebbe dovuto andare in tv a dire che lei e la moglie di Fogli avete una relazione da 4 anni?
«Io conosco Fabrizio e non Corona che è cosa diversa da 20 anni. Se io parlo con un amico e mi confido rimane lì. Se poi tu metti la maschera Corona e travisi le cose è uno schifo. Feci un'intervista tramite lui 15 giorni fa poi ritrattai proprio perché non mi piaceva come erano stato affrontate le cose».
E di quelle foto che ritraggono lei è la moglie di Fogli insieme che dice?
«Quelle foto le ha fatte uscire la moglie di Fogli in buona fede, poi alcuni giornali di gossip l'hanno prese e fatte passare come tradimento. Se Fogli non fosse stato all'Isola quelle foto sarebbero valse un euro: così, travisate, invece valgono molto di più. L'isola è stata un flop: l'unico modo per attirare l'attenzione era metter in scena questo teatrino».
La moglie di Fogli l'ha sentita in questi giorni?
«Con Karin ho rapporti di lavoro e di amicizia, non ho parlato con lei negli ultimi giorni, sta passando momenti terribili come me. Conosco anche Riccardo, l'ho prodotto per Ariccia sotto le stelle».
Eppure Fogli non si ricorda di lei.
«Quando gli hanno fatto il mio nome era stanco e frustrato, è in una condizione difficile. Avrà avuto un vuoto di memoria».
Le piacerebbe parlare con lui?
«Quando Fogli uscirà ci prenderemo un caffè e ci faremo una risata. In studio all'isola non andrò mai, non mi è piaciuto come hanno condotto il programma».
E con Corona, sarete ancora amici?
«Ho querelato Fabrizio e mi dissocio da tutto quello che ha detto. Ho 3 figli e una moglie che ringraziando Dio mi crede, un'azienda da difendere e mandare avanti: devo pensare a queste cose, le uniche cose che contano».
Fabrizio Corona: «Il video contro Fogli? A Mediaset tutti sapevano», scrive giovedì, 07 marzo 2019 Il Corriere.it. Dice che è stato il punto più basso della sua carriera, Fabrizio Corona, e che dopo aver visto la reazione di Riccardo Fogli al suo video, non ha dormito «tre notti». Chiede scusa per aver detto al naufrago dell’Isola che sua moglie lo tradisce, ma lo rifarebbe anche, perché bisogna distinguere i piani: «Quello lavorativo e quello sentimentale». Se sul primo non ci sono rimpianti, nemmeno deontologicamente, perché ha dato una notizia «dopo averla verificata», sul secondo si pone qualche dubbio in più, ammettendo, per una volta, lui che di questo mondo si considera un po’ un demiurgo, di non aver «previsto, immaginato» che le sue parole avrebbero scatenato tutto questo. Corona ha anche fatto notare che «quel video era molto più lungo: è stato montato e tagliato. Se fosse stato montato e tagliato in altro modo, il risultato sarebbe stato diverso». E’ stata dunque, una «scelta editoriale. Volevano andassi in trasmissione, hanno molto insistito ma ho detto no, hanno registrato quel video sabato». I vertici Mediaset erano informati? «Immagino tutti, penso che il video sia stato visto, approvato: è una prima serata nazionale». E immagina bene: dall’azienda dicono che sapevano del video ma non del contenuto, la cui responsabilità era dell’autrice di Magnolia poi allontanata, Cristiana Farina. Ora che tutto ha preso questa piega, «anche Alessia Marcuzzi, secondo me, ha l’obbligo di schierarsi. Poi nessuno si aspettava questa reazione: se Fogli avesse sorriso non sarebbe accaduto nulla». Ci sono state conseguenze per le sue prossime collaborazioni previste con Mediaset? «Nessuna».
Isola dei famosi, viene giù lo show. Scandalo Corona-Fogli, parla l'autore: "Tutti sanno", bomba su Mediaset, scrive l'8 Marzo 2019 Libero Quotidiano. La slavina Fabrizio Corona-Riccardo Fogli alla fine pare aver travolto soprattutto lui, Gabriele Parpiglia, uno degli autori di punta dell'Isola dei famosi. Mentre la conduttrice Alessia Marcuzzi è stata solo sfiorata dalla valanga di critiche per la penosa scena delle "corna" rese note in diretta (e di cui lo stesso Corona ha dichiarato di essersi pentito), Mediaset ha annunciato la rimozione del capoprogetto del reality e di alcuni autori. E Parpiglia, giornalista di Chi e grande amico di Corona, ora si sfoga su Instagram con un lungo messaggio. "Non è stata mia l'idea di uno scontro Corona-Fogli - precisa -, non ho scelto io le modalità con cui il video è stato girato. L'idea di avere Corona vs Fogli è partita FORTEMENTE solo da due singole persone. E tutti sanno come è andata. E per tutti intendo le persone per cui lavoro. Quel filmato è stato visionato da chi aveva un ruolo di grado più alto rispetto me. E ovviamente io non ho alcun potere di decidere che cosa mandare in onda o meno (come voi da casa ho visto quel filmato in onda, in diretta tv). Chiaro o no! In questi giorni ho percepito ostilità nei miei confronti per una situazione dove, chiunque, sapeva e sa quale fosse stato il mio ruolo. Detto ciò al momento ci stiamo chiarendo tra le parti. E se oggi, stasera, domani mattina dovesse finire il rapporto di collaborazione con il programma, me ne farò una ragione anche se ... non ha una ragione. Ps: mi sento in nomination e a questo punto non vedo l'ora di lasciare l'Honduras".
· Antonio Zequila: Er Mutanda.
Dagospia il 4 novembre 2019. Da radiocusanocampus.it. L’ultimo lavoro. L’esperienza di Tale e Quale Show è andata male perché purtroppo non sono stato preso ma nel frattempo ho fatto qualcosa di meglio: sono appena tornato da Venezia ed ho appena finito di girare un film contro il femminicidio che uscirà a gennaio 2020, “Donne e donne”, un film low budget prodotto indipendentemente, per sensibilizzare la gente a questa piaga sociale: in Italia muore una donna ogni 72 ore per mano di qualche criminale ed è ora di inasprire la pena qui in Italia; io sono a favore della pena di morte per quelli che uccidono le donne e i bambini”. L’Isola dei Famosi 3. “E’ stata l’esperienza che mi ha portato a farmi conoscere a tutti, dopo anni di gavetta e di teatro anche a fianco di personaggi importanti come Zeffirelli. All’epoca l’Isola dei Famosi era il programma di punta della Rai, nella mia edizione partecipò anche Al Bano, per dire, quindi non era un programma avvilito come adesso in cui partecipano solo pornostar o reduci da Uomini e Donne, gente senza curriculum: in quel tempo questo reality era una sorte di approvazione e promozione”. Dopo l’Isola dei Famosi. “Ho fatto un altro reality che però non andò bene: era una sorta di esperimento di Italia 1, in cui mettevano delle persone chiuse in una casa, una sorta di Grande Fratello, al cui interno misero persone senza arte né parte salvo qualche eccezione tipo me. A proposito del GF, mi hanno contattato, ho avuto anche un colloquio ma le mie ambizioni sono altre, i reality si fanno solo per soldi. Non c’è bisogno di andare in una casa a raccontare la propria storia, si può fare in altri modi, come scrivere un libro come ho fatto io! Su Adriano Pappalardo. “Dopo la lite a Domenica In con Adriano Pappalardo, non mi è più capitato di incontrarlo. Non mi sono pentito per quella scenata perché toccò un tasto fondamentale della mia vita, che è la famiglia, la cosa più importante per me. Chi ci ha rimesso dopo questa lite? Soltanto io poiché ero in ascesa mentre Pappalardo era già carne morta. Al di là di questo, la vita va avanti, non provo alcun rancore nei suoi confronti”.
Antonio Zequila: "Er Mutanda? Basta, quel soprannome mi fa schifo". Dal lancio in autunno di una linea di abbigliamento e un profumo da lui creati, alla speranza di essere scelto come concorrente nella prossima edizione di Tale e Quale Show. Antonio Zequila, in partenza per Formentera con la fidanzata italo-spagnola Ines racconta di sé. Tiziana Bongiovanni, Sabato 27/07/2019, su Il Giornale. Antonio Zequila, gemello di professione e d’età, occhi celesti e lineamenti appena impolverati dal tempo è nato ad Atrani, sulla Costiera Amalfitana, ma residente a Genzano di Roma, “dove sta il Papa”, una delle qualità di cui va più fiero è il suo ottimismo. "Sono una persona solare, positiva - dice - questo mi ha sempre aiutato a guardare avanti nella vita". Ex modello, nasce come attore di fotoromanzi per poi approdare alla recitazione teatrale, non disdegnando programmi e ospitate tv. Di indole si definisce uno “snob inglese giramondo” amante dei profumi e degli abiti sartoriali. Eppure di snob non ha nulla, anzi, è molto alla mano. Certo, non verrebbe mai da pensare che quest’uomo elegante, a causa di una battuta detta durante il reality L’Isola dei Famosi da Elena Santarelli e ripresa dal tg satirico Striscia La Notizia, è stato soprannominato “Er Mutanda” per anni. Un accoppiamento degno di uno stigma.
Antonio, immagino lei sia davvero stufo di sentirsi chiamare ancora “Er Mutanda” dopo 13 anni...
“Lo scriva testualmente, la prego. Quel soprannome mi fa cagare! Il copyright di quel termine inappropriato appartiene ad Elena Santarelli, non a me. Tra l’altro io non indossavo un paio di mutande, ma un costume bianco e la cosa poteva essere giustificata nel 2006, quando successe, non certo ora che siamo nel 2019”.
In che rapporti é oggi con la Santarelli?
“Non ci siamo più visti, né sentiti. Lei ha fatto la sua strada, io ho fatto la mia. Nel mio curriculum vanto la piece teatrale Sei personaggi in cerca di autore con la regia di Zeffirelli, il Festival dei Tre Mondi, Bukowski. Io non vengo da Uomini e Donne o dalla scuderia di Lele Mora. Io sono un attore, le mutande le lascio da lavare agli altri in lavanderia”.
Lei è popolare al grande pubblico anche per una sfuriata che la vide protagonista in tv con Adriano Pappalardo.
“Fu un incidente di percorso. Sbagliammo entrambi ed entrambi ne subimmo le conseguenze. Io l’ho pagata molto duramente”.
L’anno scorso è stato poi di nuovo attaccato a Pomeriggio Cinque da Roger Garth che l’ha accusata di essere un omosessuale sotto copertura...
“Roger Garth? Un personaggio spuntato come un fungo che non esiste nemmeno all’anagrafe. Io ho un trascorso lavorativo di tutto rispetto, lui chi è? Ha detto delle sciocchezze che lasciano il tempo che trovano. Non so perché mi ha lanciato tali accuse, evidentemente voleva provocarmi. Io rispetto i gay e non avrei nessun problema a fare coming out se mi piacessero anche gli uomini, ma io adoro e amo le donne. Come ora amo Ines, e prima di lei ne ho amate altre”.
E chi è Ines?
“È la mia fidanzata. Si chiama Ines Muriel, è italo-spagnola ed è una mia coetanea. L’ho conosciuta a casa di amici a Roma, ci siamo piaciuti e abbiamo iniziato l’avventura dell’amore. Lei vive in Sardegna e lì lavora nel campo del design dentistico. Siamo una coppia da molti anni, nemmeno mi ricordo da quanto perché per me gli anniversari si fondono con la quotidianità. Ci vediamo nei weekend, lei viene a trovarmi a Genzano o vado io da lei in Sardegna. Facciamo assieme le vacanze estive, è un amore a distanza, ma solido. Quest’estate, ad esempio, andremo venti giorni a Formentera. Non programmo una convivenza perché i miei genitori sono malridotti e non me la sento di lasciarli da soli. Infatti, vivo ancora con loro”.
Sappiamo anche che ha da poco concluso i provini per Tale e Quale Show, lo spettacolo con Carlo Conti. Com’è andata?
“Ancora non so. Me lo comunicheranno a fine luglio. Io vorrei fare quel programma con tutte le mie forze, sarebbe un’occasione grandiosa per rientrare in Rai, dalla quale manco da ben nove anni. Stimo Carlo Conti. È molto rigoroso nel suo lavoro e l’ho potuto constatare di persona quando sono stato invitato a presentarmi alle audizioni”.
Ma come si svolgono i provini?
“Avviene tutto a porte chiuse alla presenza degli autori e dei coach. Bisogna portare tre pezzi a scelta e cantare senza microfono, il che rende il compito per un non-cantante ancora più arduo in quanto non si può estendere la voce. Non ci viene detto chi si è esibito prima o dopo, gli aspiranti partecipanti non sanno nulla gli uni degli altri. I nomi dei tuoi compagni li apprendi dalla stampa. Insomma, l’effetto sorpresa è assicurato”.
E se non dovesse essere scelto?
“Beh, ho comunque in cantiere il lancio di una mia linea di abbigliamento maschile il prossimo autunno. Saranno capi basici, che ogni uomo dovrebbe avere in guardaroba: la camicia bianca, i jeans, la giacca di cashmere, le scarpe. Uscirà in diversi punti vendita in tutta Italia e sarà prodotta da Angelo Pala. E farò partire anche un profumo, di cui ho scelto personalmente la fragranza. Per il lancio farò una grande festa”.
Per quanto riguarda gli altri programmi, come vanno le cose?
“Bene. Vado spesso ospite di Barbara d’Urso. E a Caduta Libera con Gerry Scotti sono stato campione. In quell’occasione ho potuto regalare in beneficenza 40 mila euro alla Fabbrica del Sorriso e ne sono molto fiero.
· Miriam Leone.
Da Vanity Fair il 30 luglio 2019. «Vengo da una famiglia a cui il cibo non è mai mancato, ma che durante la mia infanzia ha avuto importanti difficoltà economiche. In un certo periodo abbiamo dovuto tirare la cinghia. Era l’epoca in cui sembrava che per decreto divino ogni ragazzo dovesse indossare una maglietta Calvin Klein e a me, quella maglietta, i miei non potevano proprio comprarla. Alla fine agguantai un’imitazione che misi con la vergogna di chi può essere scoperto da un momento all’altro. Pensavo in continuazione che qualcuno mi avrebbe smascherato. Sembra stupido, ma si trattava di angosce terribili, angosce da insicurezza, angosce da batticuore». A Vanity Fair, che le dedica la copertina del numero in edicola da mercoledì 31 luglio, Miriam Leone confida un episodio inedito della sua adolescenza, quando era divisa tra la pressione a conformarsi e la sua congenita tendenza a distinguersi. Vinse la seconda: «Alla fine la maglietta l’ho buttata e ho continuato a vestire con gli abiti su misura che le mie zie, tutte sarte e ricamatrici, mi confezionavano. Fino a quel momento avevo avuto vestiti bellissimi, per i quali sceglievo anche l’ultimo bottone, ma con quella maglietta volevo essere semplicemente come tutti gli altri, non ci riuscivo e così ho tentato in vari modi di annullarmi. Poi, prima di perdermi, ho riabbracciato me stessa e quell’unicità non mi è sembrata più stranezza, ma forza». La trentaquattrenne attrice siciliana, che vedremo in autunno su Sky Atlantic in 1994, e poi nel Diabolik dei Manetti Bros, racconta a Vanity Fair che la sua idiosincrasia alle regole ha radici lontane: «All’asilo non volevo portare il grembiule e così architettai un piano. Andai in bagno, lo nascosi e tornai in classe come se niente fosse. Lo ritrovarono, mi rimproverarono e mi spiegarono seri seri l’importanza di indossarlo. Tornai a casa e capii subito che avrei dovuto fare di più: il giorno dopo lo ridussi in piccole strisce, lo buttai direttamente nel cesso e tirai lo sciacquone. Combinai un gran casino: si intasò tutto e l’acqua cominciò ad allagare pavimento e corridoi. Presa dal panico fuggii in strada. Avevo 4 anni. Anche lì, lezioni e mòniti: “Miriam, il grembiule serve a riconoscerci, a essere ordinati, puliti e tutti uguali”. Io uguale agli altri non volevo essere e grazie agli scarti delle mie zie avevo già un guardaroba pazzesco che ai miei occhi valeva più di tutte le divise che mi obbligavano a indossare, e delle quali già allora faticavo a capire il senso». La volta in cui non se la cavò con un rimprovero, spiega nell’intervista, fu il giorno in cui rischiò di morire: «Amo immergermi quando piove, ma una volta mi spinsi troppo al largo e non riuscendo ad andare controcorrente temetti davvero di non riuscire a tornare. Durante una mareggiata fortissima mi aggrappai a uno scoglio affiorante, ferendomi dalla testa ai piedi, tornando a riva esausta e senza fiato, prima di essere cazziata dai miei e prenderle al piano di sopra perché al tempo si usava così». La crisi, racconta a Vanity Fair, arrivò durante l’adolescenza. «Quando sei adolescente sei implicitamente invitato a uniformarti. Sai che non puoi permetterti stravaganze. Ne basta una e diventi quello strano. Essere considerati strani può essere duro, può farti sentire escluso. E io ero quella strana. Quella che a 14 anni leggeva Mallarmé e Baudelaire, si incupiva con Montale e con il male di vivere e nello scontro con la realtà soffriva. Stare da sola non mi dispiaceva, ma non riuscire a condividere il mio mondo con nessuno al tempo stesso mi pesava. Mi vergognavo. I miei interessi erano lontani da quelli del branco, quindi fingevo di essere chi non ero». Nell’intervista con il vicedirettore Malcom Pagani, Miriam Leone parla anche d’amore: «Ho sofferto per amore prima di capire cosa fosse l’amore. Le donne dei romanzi che leggevo, ovviamente, erano tutte sventurate. Sventurate loro e disgraziatissime le eroine dei cartoni animati della mia generazione, la generazione Bim Bum Bam. Pollyanna, Lady Oscar, Georgie. Tutte più o meno abbandonate o orfane, così abbandonate da farti sentire in colpa per essere stata felice, o addirittura di essere viva». Delle prime cotte platoniche: «Più mancava un contatto fisico, più mi struggevo. L’amore a una certa età era così: patimento e dolore. “Non sarò mai all’altezza”, mi dicevo mentre il bello di turno, ignaro, mi passava davanti in motorino». Delle poche storie importanti che ha avuto: «L’amore romantico, magari corrisposto, è una fortuna che capita poche volte. Quello fugace è tutta un’altra storia che non sempre vale la pena vivere». Del matrimonio: «Nel mio frigo non manca mai un limone da buttare. Nasce giallo, diventa verde, poi fa la muffa. La vita da single, signori, è così. Le zie però, il corredo di nozze tutto ricamato a mano, stupendo, lo hanno messo coscienziosamente da parte. Un giorno, dicono, me lo daranno: ma solo se mi sposo. Non demordono, loro».
Miriam Leone. Malcom Pagani per Vanity Fair il 3 settembre 2019. Idiosincrasia alle regole prestabilite, capitolo primo: «A scuola non volevo portare il grembiule e così architettai un piano. Andai in bagno, lo nascosi e tornai in classe come se niente fosse. Lo ritrovarono, mi rimproverarono e mi spiegarono seri seri l’importanza di indossarlo. Tornai a casa e capii subito che avrei dovuto fare di più: il giorno dopo lo ridussi in piccole strisce, lo buttai direttamente nel cesso e tirai lo sciacquone. Combinai un gran casino: si intasò tutto e l’acqua cominciò ad allagare pavimento e corridoi. Presa dal panico fuggii in strada. Avevo 4 anni e per la prima volta mi ritrovai da sola, sul corso del paese, senza sapere esattamente dove andare. Mi recuperò non so chi e anche lì, lezioni e mòniti: “Miriam, il grembiule serve a riconoscerci, a essere ordinati, puliti e tutti uguali”. Io uguale agli altri non volevo essere e grazie agli scarti delle mie zie, tutte indistintamente sarte e ricamatrici, avevo già un guardaroba pazzesco che ai miei occhi valeva più di tutte le divise che mi obbligavano a indossare e delle quali già allora faticavo a capire il senso».
Miriam Leone parla con i tassisti, mangia alici con le mani e ride spesso: «L’altro giorno a Trieste ho domandato all’autista cosa pensasse dei matrimoni misti e lui mi ha risposto che aveva sposato una ragazza di Benevento». Usa parole come «schiva» o «defilata», legge Bufalino, cita cantautori e strofe a memoria: «Per un lungo periodo l’unico capace di farmi venire i brividi è stato De André» e, forse per filologia, ha imparato a nuotare in mezzo ai pescatori.
A 34 anni, guadando il fiume non sempre tranquillo della sua infanzia: «Un luogo mitico, un mondo a sé», pesca ancora nostalgie: «Come protezione solare ci mettevano la Nivea, per telefonare usavamo i gettoni e bevevo l’acqua più gassata della regione solo per vedermela uscire dal naso», ironie: «Da noi la brioche si chiama brioscia, se va in Sicilia tenga a mente i fondamentali, la farà sentire subito local», massime: «La vita è un grosso forse», madeleine non scalfite dal tempo: «L’orizzonte delle lunghissime estati in cui non ci controllava nessuno, i pericoli erano ricci, murene o meduse e per almeno tre mesi andavo in giro a piedi scalzi, libera e felice».
Se le chiedi del suo aspetto, bolso sottofondo che la accompagna ovunque, racconta che da ragazza si vergognava di essere alta: «Quando sentivo dire “altezza mezza bellezza” pensavo segretamente che mezza significasse metà e i tacchi, almeno fino a quando non ho avuto più paura di essere me stessa, li ho messi solo nel corridoio di casa». Sul futuro, su 1994 e sul suo ruolo nel Diabolik dei Manetti svela quel che le interessa: «Come diceva mia nonna Angela, “avanti non si parla”».
Del passato, invece, non ha dimenticato niente. Ricorda esattamente il giorno in cui ha rischiato di morire: «Amo immergermi quando piove, ma una volta mi spinsi troppo al largo e non riuscendo ad andare controcorrente temetti davvero di non riuscire a tornare. Durante una mareggiata fortissima mi aggrappai a uno scoglio affiorante, ferendomi dalla testa ai piedi, tornando a riva esausta e senza fiato prima di essere cazziata dai miei e prenderle al piano di sopra perché, lo saprà, al tempo si usava così. Venivi avvertito, ma se andavi fuori dal seminato, erano affari tuoi».
E ha impresso a fuoco l’istante in cui ha deciso definitivamente di vivere: «È stato quando ho deciso di proteggermi. Se cerchi di rendere tutti felici ti metti da parte, ma quando cominci a dire di no, a scontentare gli altri e a pensare di più a chi sei e a cosa vuoi, allora, forse, stai imparando ad amarti».
È difficile amarsi assemblando valigie in continuazione?
«È difficile trasformarsi in inquilini modello. Nel mio frigo non manca mai un limone da buttare. Nasce giallo, diventa verde, poi fa la muffa. La vita da single, signori, è così. Le zie però, il corredo di nozze tutto ricamato a mano, stupendo, lo hanno messo coscienziosamente da parte. Un giorno, dicono, me lo daranno: ma solo se mi sposo. Non demordono, loro».
Ha detto «signori».
Si rivolge spesso a un uditorio immaginario?
«Ero una bambina molto distratta e sognante, perennemente alle prese con un universo parallelo fatto di canzoni inventate e poesie. Ero il manifesto vivente di quel verso di Cocciante: “Con i secchi di vernice coloriamo tutti i muri”. Non faccia quell’espressione. Non mi dica che non ha mai cantato a squarciagola Celeste nostalgia o Bella senz’anima. Sia onesto».
Le ho cantate.
«Allora eravamo in due. A me piaceva mettere insieme parole e musica. Fin da bambina creavo opere, balletti, canzoni, piccole sceneggiature».
Le ha conservate?
«Sono disordinatissima e non so cosa sia un archivio. A casa non ho neanche una mia vecchia foto e di datato ci sono solo le mura. Abito in un palazzo del secolo scorso: mi ostino a vivere in appartamenti decrepiti che ai miei occhi esercitano un fascino bohémien. L’impianto elettrico è spiritista. Si spostano le spine, esplodono le lampadine, ogni tanto si fa buio».
Quanta luce c’era nella sua adolescenza?
«Chi ha avuto un’adolescenza felice? Avvengono metamorfosi brutali che per le donne iniziano col sangue. È un impatto violento con la vita, con la sua parte animale e mentre ti dici: “Aspettate, calma, cosa sta succedendo?” improvvisamente intorno a te cambia ogni cosa. Cambia il tuo odore, cambiano i tuoi lineamenti, cambia la relazione con gli altri: “Attenta Miriam”, mi dicevano, “da questo momento puoi avere dei bambini”. Io a 12 anni non sapevo quasi come si facessero, i bambini».
E cosa sapeva?
«Che in questa lotta con l’idea del conformismo obbligato e con il nuovo sé avrei sofferto. Quando sei adolescente sei implicitamente invitato a uniformarti. Sai che non puoi permetterti stravaganze. Ne basta una e diventi quello strano. Essere considerati strani può essere duro, può farti sentire escluso».
Lei si sentiva strana?
«Non è che mi sentissi strana, io ero quella strana. Quella che a 14 anni leggeva Mallarmé e Baudelaire, si incupiva con Montale e con il male di vivere e nello scontro con la realtà soffriva. A quell’età fai tante cose. Alcune per farti male, altre perché non ti piacciono, ma ti affascinano comunque. Le fai per spostare l’orizzonte qualche metro più in là, per conoscerti, per capire quel che ami e quel che detesti. Sperimenti».
Sperimentare è stato importante?
«Fondamentale per crescere senza rimpianti».
Era solitaria?
«Molto. Stare da sola non mi dispiaceva, ma non riuscire a condividere il mio mondo con nessuno al tempo stesso mi pesava».
Perché non condivideva il suo mondo con i coetanei?
«Mi vergognavo. I miei interessi erano lontani da quelli del branco, quindi fingevo di essere chi non ero. Le racconto una cosa che non ho mai detto».
Dica.
«Vengo da una famiglia a cui il cibo non è mai mancato, ma che durante la mia infanzia ha avuto importanti difficoltà economiche. In un certo periodo abbiamo dovuto tirare la cinghia. Era l’epoca in cui sembrava che per decreto divino ogni ragazzo dovesse indossare una maglietta Calvin Klein e a me, quella maglietta, i miei non potevano proprio comprarla. Alla fine agguantai un’imitazione che misi con la vergogna di chi può essere scoperto da un momento all’altro. Pensavo in continuazione che qualcuno mi avrebbe smascherato. Sembra stupido, ma si trattava di angosce terribili, angosce da insicurezza, angosce da batticuore».
La maglietta che fine ha fatto?
«L’ho buttata e ho continuato a vestire con i miei abiti su misura. Fino a quel momento avevo avuto vestiti bellissimi, per i quali sceglievo anche l’ultimo bottone, ma con quella maglietta volevo essere semplicemente come tutti gli altri, non ci riuscivo e così ho tentato in vari modi di annullarmi. Poi, prima di perdermi, ho riabbracciato me stessa e quell’unicità non mi è sembrata più stranezza, ma forza».
Cos’altro o chi altro le faceva battere il cuore?
«C’era un ragazzo più grande che piaceva a me e alle mie amiche. Avevamo più o meno 13 anni, ma lui non si concedeva a nessuna. Ci incontravamo sul muretto, davanti a una fontana, facendo scorrere le ore nella speranza di rivederlo a tarda sera, dopo il tramonto, quando ogni cosa, a partire dai sogni, sembrava possibile».
E lo rivedeva?
«Avevo il coprifuoco e dovevo rientrare presto. Quindi tornavo a casa, aspettavo che i miei genitori si addormentassero e poi a quel solo e unico scopo uscivo furtivamente dopo la mezzanotte».
Sente di aver perso tempo?
«No, altro tempo è stato perso e per fortuna non lo ricordo quasi più».
Che famiglia è stata la sua? Sua madre Gabriella lavora ancora in comune, suo padre Ignazio era dirigente del Pci.
«Inesatto. Col carattere, l’onestà e il vizio di dire la verità che ha non avrebbe mai potuto fare il dirigente. In altri anni ha militato e ancora oggi se va sul suo profilo Facebook lo troverà impegnato a denunciare i palazzi pericolanti e le aiuole secche di Aci Castello. Ci ha sempre insegnato che la collettività è più importante del singolo».
Erano severi i suoi?
«Ho vissuto con grande libertà, ma forse, anche a causa del senso di colpa figlio di un riflesso cattolico, la filosofia di base era: “Non si chiede mai un favore a nessuno”. Me ne sono liberata da poco, prima dovevo fare tutto da sola. Adesso se ho una valigia da 800 chili domando aiuto: “Il mio bicipite come vedi non ce la fa, mi daresti una mano?”. A casa nostra era inconcepibile. Il mantra era chiedere sempre scusa, non disturbare, stare al proprio posto».
Esempi?
«Da noi la Coca-Cola era un lusso demandato alle sole feste. Nel frigo di Zia Graziella invece non mancava mai. Io lo sapevo ed ero contenta, ma i miei mi ammonivano: “Quando te la offre la prima volta tu di’ di no”, se torna a chiederti se la vuoi allora puoi accettarla. Naturalmente Zia Graziella dopo il mio no non tornava alla carica e io rimanevo a bocca asciutta. L’estremizzazione educativa ha rappresentato un limite, una piccola sofferenza».
Ha sofferto anche per amore?
«Ho sofferto per amore prima di capire cosa fosse l’amore. Sono cresciuta tra i libri e la letteratura e le donne dei romanzi che leggevo, ovviamente, erano tutte sventurate. Sventurate loro e disgraziatissime le eroine dei cartoni animati della mia generazione, la generazione Bim Bum Bam. Pollyanna, Lady Oscar, Georgie. Tutte più o meno abbandonate o orfane, così abbandonate da farti sentire in colpa per essere stata felice o addirittura di essere viva».
L’amore era sempre letterario, platonico e immateriale?
«Certo. Immaginato, blandìto, venerato e accompagnato da pianti infiniti verso persone con le quali, fuor di metafora, non ci sfiorammo neanche un dito».
Non è detto che turbi di meno.
«Anzi, più mancava un contatto fisico, più mi struggevo. L’amore a una certa età era così: patimento e dolore. “Non sarò mai all’altezza”, mi dicevo mentre il bello di turno, ignaro, mi passava davanti in motorino».
Poi cosa succedeva?
«Che grazie a dio, a un certo punto, arriva la stanchezza. Ti snebbi, ti stufi e un momento prima di cadere nel precipizio, come spesso mi capita, ti salvi. “Che lo aspetto a fare quello che non mi vede”, ti sussurri, “quando fuori c’è un mondo fatto da milioni di persone?”».
E oggi per amore soffre ancora?
«Non più perché riesco a volermi più bene. Non mi infliggo tormenti o inutili scomodità sentimentali. Esplodo prima e dico: “No, non fa per me”. Rifiuto l’offerta e vado avanti».
Quando si è innamorata l’ultima volta?
«Qualche tempo fa».
Qualche tempo fa suona come tanto tempo fa.
«E anche se fosse? A lei capita di innamorarsi ogni 10 minuti? A me no. L’amore romantico, magari corrisposto, è una fortuna che capita poche volte. Quello fugace è tutta un’altra storia che non sempre vale la pena vivere. In assoluto poi mi innamoro di tante cose, poche sere fa, in cielo c’era una luna da perdere la testa. Sono rimasta lì a guardare. Rapita, vinta, innamorata».
Cos’è rimasto della Miriam di ieri?
«Una certa inclinazione a non stare mai ferma. Ero e sono un fuoco perpetuo, per me ogni volta si ricomincia da zero. Nelle cose che faccio metto tutta me stessa e a volte capita anche di farsi male».
Ben nascosta dai capelli, si scorge una cicatrice sulla fronte.
«Me la sono spaccata, sempre nello stesso punto, per ben due volte. Purtroppo non c’è grande eroismo e i miei incidenti non sono poi così gloriosi. Con gli scarti delle zie, come le ho detto, mi facevo i vestiti da sola. Disegnai un tutù e cominciai a girare su me stessa nel ballatoio di casa. Avevo 4 anni e a forza di girare atterrai direttamente sulla porta della lavanderia, in ferro battuto.
Corsa all’ospedale e ricucitura del medico di turno. Con l’occhio vedevo l’ago e il filo, come un’onda, andare avanti e indietro. Avrei voluto dire basta, urlare, ribellarmi: ma la paura mi bloccò completamente. Quando sento giudicare le persone per la loro incapacità di reagire mi addoloro sempre un po’. Chi sale in cattedra non sa di cosa parla. Bisogna esserci passati. Il panico blocca, ti rende immobile, ti gela».
E la seconda volta?
«Era Carnevale, stavo ballando. Un bambino mi spinse e finii sul freno della bicicletta. Mi ricordo la corsa in ospedale e le raccomandazioni di mio padre: “Il fazzoletto bianco, Miriam, tienilo fuori dal finestrino”».
Quel bambino le chiese scusa?
«Macché. Venne scagionato con formula piena: i miei, credo per non produrre traumi a venire con il genere maschile, evitarono di eleggere un colpevole». (Sorride).
Era spericolata?
«Non lo ero e non lo sono neanche adesso, ma ho bisogno della mia libertà. E la libertà è anche pericolo, sfida, rischio, limite da superare. Quando eravamo bambini affrontavamo gli scogli buttandoci in mare. Da un lato avvertivo tanta paura e dall’altro sapevo che superato quel timore avrei provato qualcosa di bello. A giugno partivamo dalle rocce più basse e poi a settembre ci gettavamo dal quarto piano di un palazzo. Una volta uscii dall’acqua con una coscia totalmente striata di sangue. Sentii un vociare indistinto: “Non ha saputo fare il tuffo” e prima che diventasse lazzo trovai subito il guizzo: “Sono state le meduse”. Non era vero, però siccome ero adolescente e dovevo apparire invincibile e fichissima, perché a sembrare sfigati in certi contesti è sufficiente un solo attimo fatale, dissi una bugia. La rispettabilità sociale, purtroppo, è una cosa con cui fai i conti fin dal cortile delle scuole elementari».
Mentire fu un colpo di genio?
«Magari. Al massimo fu un riflesso istintivo».
In Amici miei Philippe Noiret sostiene che il genio sia fantasia, colpo d’occhio e capacità d’esecuzione.
«Se mancano le ultime due caratteristiche, far leva sulla fantasia è importante. Da sempre amo inventare storie».
Che cos’è per lei la libertà?
«La scomodità. Mantenermi fuori dalla mia comfort zone fa viaggiare la mente e stimola la fantasia. Pensare di non aver bisogno veramente di niente mi fa apprezzare tutto quello che ho, non mi fa disperare su ciò che non ho e soprattutto non mi spinge a provare invidia. Se vedo un bel giardino nella casa del vicino prendo la zappa e provo a crearne uno meraviglioso anche per me, ma non distruggerei mai quello dell’altro per star meglio. Se un altro è felice, io mi rallegro. Per me è libertà anche questa».
Emanciparsi dall’incubo delle passioni, diceva Battiato.
«Emanciparsi dall’incubo delle passioni va anche bene, a patto di trovare un equilibrio e mantenere la capacità di provare l’incanto. Nonostante le mazzate, le delusioni, le volte in cui ti sei fidata troppo di qualcuno e quelle in cui, sbagliando, ti sei invece fidata troppo poco, l’incanto è fondamentale».
Dove lo trova?
«Nel coraggio del cambiamento».
È difficile cambiare?
«Quando stiamo bene e siamo felici, difficilissimo. Ci diciamo: “Vorrei che questo momento durasse per sempre”. Ma per sempre non dura niente. Ne dubita anche quel gran filosofo di Baglioni: “Se c’è stato per davvero, quell’attimo di eterno che non c’è”, canta. Io sono d’accordo con lui».
Ricorda i suoi momenti di cambiamento?
«Esistono epifanie in cui ti guardi allo specchio e ti dici: “Devo cambiare”. A quel punto inizia una lotta interiore perché per cambiare è necessario essere disposti a lasciar andare la vita, accettare che passi e che le persone che hai amato non ci sono più così come non esistono più le cose che amavi di te. Orientarsi è complesso. Non servirebbero 5 sensi ma 65. Serve equilibrio, io lo trovo nella pulizia».
Quand’è che si sente pulita?
«Quando posso donare amore e quando mi arriva altro amore in cambio. Quando scambio qualcosa. Quando oltrepasso i miei limiti e sento brillare gli occhi come se mi bruciassero da dentro. Se devo parlare pubblicamente in una piazza, prima di salire sul palco, inizio il consueto soliloquio con me stessa. “Perché devo affrontare questo atroce supplizio?”. È un po’ come al mare: “Perché devo saltare da così in alto se rischio di sbattere?”».
E cosa si risponde?
«Che se sbatto mi curo le ferite. Quando cadi ti rialzi, quando ti fai male ti ricuci, quando ti perdi ti ritrovi. Finché non è il tuo momento, come dicono le nonne, c’è rimedio».
Non vorrà farci credere di essere timida.
«Esistono i timidi estroversi, so che lo sa».
Miriam Leone, timida estroversa.
«Senza creatività non sarei chi sono, ma non posso sostenere che essere creativa mi abbia aiutato a capire chi fossi. Sono tante cose insieme. Un ragazzo gay, un uomo, una donna, magari novecentesca, perché certe parenti che cucivano alla finestra per risparmiare sulla luce elettrica e certe radici, in qualche modo, mi sono entrate sottopelle. “Cosa farai da grande?”, mi chiedevo da ragazza. “Che ne so?”, mi dicevo, ma non mi rispondevo mai l’architetto o il medico. Ho sempre guardato a un mondo non definibile, lontanissimo dal luogo in cui ero nata e in cui mi sembrava che certe cose non potessero accadere. La mia famiglia con il cinema non c’entra niente, per decenni a casa Leone si è parlato in termini mitologici e ammirazione infinita di un lontano prozio che aveva avuto una mezza posa da monello ne La terra trema di Visconti e poi, così affascinato dal cinema, era emigrato a Roma per fare l’elettricista sul set».
Poi però lei attrice è diventata davvero.
«Ma il prozio non c’entra. Non l’ho mai conosciuto, a diventare attrice non mi ha aiutato nessuno. Nella finzione scenica c’è la ricerca di una verità molto più vera della realtà stessa. La costruisci e quindi la rendi imperfetta, ma spesso vai in fondo a un sentimento, studi un tema, racconti una psicologia. È come mettere insieme dei mattoncini che alla fine compongono un’identità immaginaria che sembra spaventosamente vicina alla realtà. Al vero o perlomeno al verosimile».
Cos’ha imparato in un decennio di cinema?
«La giusta distanza tra l’essere e il non essere. È un funambolismo delicato, ma essenziale perché il ruolo che interpreti non coincide con te e in fondo non ti riguarda. Dopo La dama velata, sei interminabili mesi di set per una fiction, il primo lavoro importante della mia vita in cui avevo investito molto in sentimenti e verità, mi ammalai. Oggi, anche se non mi sento mai sicura della mia capacità, della mia integrità, del luogo in cui sto andando, non accade più».
Cos’ha capito invece dei suoi 34 anni?
«Che non si smette mai di imparare».
· Dj Ringo.
Dj Ringo a Libero: "Insopportabile e fascista". Da Salvini a Carola e Greta, la verità sulla sinistra oggi. Leonardo Filomeno su Libero Quotidiano il 5 Settembre 2019. "La discografia ha fatto la stessa cosa di Rolling Stone Italia. Si è venduta al commerciale. Al trash. I trapper sono i Sandy Marton e le Tracy Spencer di questi tempi, senza dubbio più tristi rispetto ai bei fasti". Fare due chiacchiere con Dj Ringo è un'esperienza avvincente. È un tipo veramente alla mano. Avercene di persone come lui nel mondo radiofonico. Addetto ai lavori dal confronto energico, cresta da immaginario popolare puro, è un riferimento importante nel mondo rock italiano. Da oltre 20 anni è in onda col suo Revolver, ora nella Virgin Radio di cui è rodato timoniere, super ruggente con le sue chitarre. Tante domande. La radio a più riprese. C'è la sua visione del rock. È la persona più titolata per dirci che fine abbiano fatto i successi di qualità ed un certo mainstream.
Per intenderci quello più alternativo, oggi scalzato dall'onnipresente cattivo gusto.
"La gente è stata disabituata a scegliere la qualità. È altissimo il numero di persone che vanno sul commerciale, e che la qualità nemmeno più la accettano, perché costa troppo. I suoni e testi riflettono lo stato della società. Che oggi è trash. Uno che fa musica impegnata non emerge. E nessuno investe più su cose alternative. D'altronde, perché farlo, se una copertina con Greta Thunberg o Carola Rackete vende più copie?".
Dalla provocazione alla realtà più triste con certi personaggi è un istante.
"Sarebbe la dimostrazione che ormai funziona solo il personaggio del momento. Non importa se arrivi dalla politica, dal trash, o da qualcosa di negativo. Non ce l'ho con RS Italia per partito preso, ma ho sempre difeso il marchio americano, e la débâcle italiana per me è stata notevole. Hanno trasformato la bibbia del rock in quella del pop, del trap, del trash. È stata data loro la possibilità di esistere, e hanno rovinato un brand strabiliante. Se ti danno la Ford Mustang, devi fare quella, perché è storica, non puoi farla diventare una Bianchina. Mi sarei aspettato una conferenza stampa nella quale si diceva: Da oggi, questo giornale cambia pelle. Non si occuperà più di musica ma di politica. E sarà contro Salvini".
Quindi di sinistra, per forza di cose.
"Una sinistra ormai insopportabile. È ovunque, e usa ogni argomento per difendersi ed accusare l'altro. Da sinistra è diventata fascista. La copertina su Salvini, ad esempio, fu scandalosa. Lui, su molte cose, dagli immigrati al tema della sicurezza, ha completamente ragione, sbaglia a porsi male, a comunicare violentemente. Ma perché usare un giornale musicale per andare contro una persona e demonizzarla? Avrebbe avuto senso ai tempi di Hitler".
J-Ax ha detto che per colpa di Salvini fa meno concerti.
"E menomale. Voglio bene a J-Ax, ma che palle certi concerti... Per sentire poi il reggaeton fatto dai rapper? Dai (ride, ndr)".
Hai detto: "Il fatto che uno come Manuel Agnelli abbia accettato di prender parte ad un talent la dice lunga".
"In 15 anni, quanti nomi ricordi che hanno funzionato? Due, tre? Non è poco rispetto a migliaia di partecipanti? Sono artisti tarati per la tv, fuori dal programma non combinano niente. Ragioniamo: se hai una pizzeria gourmet e vendi la pizza a 20 euro, ma dopo un mese ne aprono 4 economiche affianco alla tua, che mozzarella ci metteranno sopra? Giocando a ribasso, ne paga tutto. Fate pure i vostri noiosi talent, ma non rompetemi le palle col fatto che non troviate qualità e talenti in Italia".
Chi segue serie tv e canali tematici è già un'élite a confronto.
"Vero, ma se andiamo avanti a serie, i film e gli attori spariranno. Non essendoci più la possibilità di pagare attori veri, chiami quelli da quattro soldi. E, a pagare il prezzo più alto, sarà il talento. Riabituiamo i brand ad investire sulla qualità. Non possono esserci 2 spot in tv in cui vedi o senti Rovazzi. Non ce l'ho con lui, ma con ciò che rappresenta. Uno spot, un tempo, lo facevano Patty Pravo o Mina, star vere. Adesso lo facciamo fare ad uno che ha fatto una canzone demenziale e poco altro nella musica. Su quali basi lo fai diventare una star milionaria? Cerchiamo delle rockstar vere!".
Che non sono certo i tristi trapper.
"Trasgressione zero. Fanno le stesse cose che facevamo noi nel '78. Si tingono i capelli, si tatuano, indossano spille ed orecchini. Solo che, quarant'anni fa, il punk cantava la ribellione, la voglia di esplodere. La ribellione odierna sta ne calarsi di MDMA per sentirsi meglio? (sorride, ndr)".
Musicalmente cosa più t'infastidisce?
"Non sopporto questi fiumi di reggaeton americano ed inglese. Ma sopratutto, quello degli italiani, che, per tenere la nota identica ai suoni del genere, che non ci appartiene, storpiano le voci, facendo finta di cantare in inglese, ma poi sono parole italiche. Ricordano Frank Sinatra, quando cantava in italiano e ci pigliava per il culo. Un cantilena terribile, che le radio non ci risparmiano, ovviamente".
Nelle generaliste di flusso, anche per una questione di tempi, nessuno emerge o si distingue. E la crescita di quelle di genere (come la tua) inizia ad a darci un chiaro segnale.
"Beh, quasi 3 milioni di ascoltatori, per una radio di genere, come quella che faccio, che sarebbe per certi versi 'di nicchia', ne valgono almeno 10 di una generalista. Mi impongo di ascoltare gli altri, spesso mentre viaggio. Le notizie si ripetono, e non esiste ricerca nel differenziare l'informazione in onda. Molti speaker si sono ridotti a dare ricette: le ho sentite a mezzogiorno, poi alle 15, e alle 18. Quando pongono quesiti più seri, il testimonial non c'entra niente con l'argomento, del tipo: parlano di legge e chiamano uno chef a rispondere. L'importante è che sia un personaggio celebre".
Molti speaker fanno errori grossolani, ad esempio sulle date, e di musica non sanno niente.
"Il trend, negli ultimi anni, è stato mandare in onda gente a cui non frega un cazzo della musica, ossia pseudo attori, ex veline, influencer. La radio paga chi porta click. Vedo tanti giovani che, anziché cercare notizie diverse o inventare slogan, cosa che non fa più nessuno, perdono tempo a fare i selfie davanti al microfono. Torniamo, piccoli e grossi, a creare vivai di talenti! Arrivano in onda ragazzi che non sanno muovere un cursore o aprire un microfono, non sanno cosa sia un campo vibrante. Un ragazza, anni fa, mi chiese: Cosa sono i Larsen, una piccola band? (risata amara, ndr)".
Lamenti l'assenza di veri direttori.
"Gente che vigila sul serio non ne vedo. Se una canzone è una tamarrata, non devi programmarla. A Virgin sto attento, e più di qualche artista l'ho lanciato, anche se non italiano, potrebbe obiettare qualcuno. Non è vero che seguiamo tutti 'gli algoritmi'. Nella mia radio, a scegliere ci sono professionisti come Alex Benedetti, Pf Colombi e Barbara Terrile, tra gli altri. Quando arrivano i dischi nuovi, ci sediamo tutti assieme ad ascoltarli. C'è il contributo umano di ognuno di noi. Siamo lì 'tutti'. E questo manca in molte radio, oggi. Ecco perché, alla fine, vengono soverchiate dal marketing, dal commerciale, dalla più becera richiesta popolare. La tv, per finire, disturba. Chi fallisce da quelle parti, ce lo ritroviamo spesso in onda".
La moda del vinile fa bene?
"Non è manco revival. Il ragazzino che compra maglietta e vinile degli Iron Maiden e posta la foto su Instagram. È uguale a Chiara Ferragni. È solo un poser. Prova a fargli delle domande su quel disco senza Wikipedia alla mano. Non sa un cazzo".
Il rock funziona meno. Pare la dance, ormai schiava del revival.
"Soprattutto in America, roba forte ce n'è. Dunque ti dico che il rock sta benissimo. La nostra programmazione è nuova, mettiamo gruppi in crescita. Non so se saranno all'altezza degli AC/DC, o i nuovi Guns. Però è gente che fa musica di qualità. Penso a Gary Clarck Jr e Fantastic Negrito, bluesman americani di livello, ai Greta Van Fleet, e poi Yungblud, Travis Barker, Simple Creatures. Quanto ai concerti, Firenze Rock Festival ha fatto 60mila persona a sera. Slash, al Rock The Castle Festival di Verona, ha sbancato. Vasco ha riempito per 5 volte San Siro. Il reggaeton fa grandi numeri solo nelle discoteche".
E gli italiani?
"Non mi interessano. Non mi danno nulla, non voglio manco parlarne. L'unico italiano che, a testa alta, mi ha regalato delle emozioni, è Edoardo Bennato, che ha fatto davvero la storia della musica italiana. Piero Perù è un amico".
Le più grandi rockstar di sempre?
"Elvis Presley negli anni '50, i Beatles nei '60. Per il punk, i Ramones. Ottanta e Novanta direi David Bowie. Gli altri sono arrivati perché c'erano loro".
Indimenticabile l'incontro con Marilyn Manson.
"Negli anni '90, lo portai a Radio 105, nel mio programma, per parlare di un suo libro. La sua tesi era: se hai avuto un rapporto orale con un uomo, non sei gay. Ma come?, obiettai (ride, ndr). Lo diventi il giorno dopo, nel momento in cui ripensi a lui, ed hai voglia di rifarlo. Lì scatta l'omosessualità, rispose. Ridendo, dissi: Cazzo, allora ho un bonus'".
L'esplosiva Bloodhound Gang e Re Leone.
"Fuori dallo studio, in attesa di intervistarli per il loro successo The Bad Touch del 2000, chiacchieravo col compianto Leone Di Lernia. Mi chiesero chi fosse, e provai a spiegarglielo. Risero, facendo notare la somiglianza col classico personaggio cotonato, uscito dai film mafiosi italiani degli anni '60. Alla fine, Leone entrò nello studio durante l'intervista, e si spogliò davanti a loro".
Slash e Ringo Starr li ha rivisti di recente.
"E mi ha fatto molto piacere... Con Slash si parla sempre di grande musica. E, soprattutto, è una bella persona. L'anno scorso, Ringo Starr mi ha detto: Tu sei mio figlio. Allora gli ho risposto: A 13 anni suonavo la batteria in una cover band ed eseguivo (male) i tuoi pezzi. È dal '73 che mi faccio chiamare come te. Mi ha chiesto le royalities (ride, ndr)".
Che significato ha avuto per te la parola "ribellione"?
"La mia ribellione fu vivere a Londra. Studiavo inglese e scaricavo gli strumenti dai camion durante i concerti dei Sex Pistols per vederli gratis. In Italia Lotta Continua menava tutti. Concerti non ce n'erano. Gli autonomi tiravano moto in faccia a tutti. Non ci facevano vivere. Un chiodo di pelle per strada, per loro, era nazista, lo massacravano di botte. Oggi molti di quei personaggi sono tutti politici ultra impegnati nelle file della sinistra radical chic o imprenditori col soldo pesante".
Quando è finito tutto?
"Milano da bere, anni '80, ritorno del consumismo, tanti soldi. Più ne hai, meno combatti. Manu Chao cantava potere al popolo e volava con l'aereo privato. Gli stessi Clash credo sarebbero cambiati. Quando intervisto certi artisti, lo percepisco: forse musicalmente e nel sangue sono sempre loro, ma intanto arrivano con 8 manager e aereo privato. Come fai a dire che sei ancora un ribelle, quando sei così ricco?".
Prima console?
"A 14 anni, al Cox, il primo gay club di Milano. Lavoravo nella taverna al piano di sotto, sopra c'erano i gay che ballavano la disco. Io suonavo il punk e la new wave, appena esplosi. Infatti poi scendevano tutti sotto da me, in quei mitici pomeriggi".
Ultima moto?
"Il Nuovo Caballero 500, che negli anni 70 amavo. L'hanno rifatto".
"12 anni di Virgin", scrivevi tempo fa in un post.
"Virgin è stato il primo network rock italiano nazionale, e nacque in un periodo di crisi nera. Facciamo tanto, anche con la tv, ed è tutto gratis. Non è facile sopravvivere. A molti gliela spegnere, e farei ascoltare loro altre radio, per vedere cosa pensano del resto. Tra l'altro, i cari amici di Spotify Italia hanno copiato la mia Macchina del tempo da Revolver. Perché le cose non le facciamo assieme? (ride, ndr)".
Quasi 59 anni, quali pensieri e quali piani?
"So benissimo che non posso andare avanti all'infinito, ma fino a quando non esce qualche giovane che mi spodesti, io vado avanti. Mi vedo molto come Clint Eastwood e Iggy Pop. Vecchi ma bastardi. Il corpo è invecchiato, l'anima resta rock and roll e famelica. Vorrei tornare a lanciarmi col paracadute. Mai dire mai".
Revolver in onda pure ad agosto. 20 anni senza respiro.
"È come una gara del MotoGP. Ogni giorno metti la benzina, cambi le gomme, a volte fa il miglior tempo, altre sta nei primi 10. Ma resta una moto da gara. Finché il motore regge, io i campionati li voglio correre".
· Luca Argentero.
Enrica Brocardo per “GQ” il 5 settembre 2019. «Vado a cambiarmi e arrivo». Luca Argentero è stato generoso. Ha appena posato per l’ultima fotografia di questo servizio con un guardaroba maschile molto più forte rispetto alla sua classicità: «Ho imparato ad apprezzare la moda, l’enorme lavoro creativo che ci sta dietro, ma continuo a far fatica a osare». In autunno esce al cinema Io, Leonardo, e Argentero interpreta lui, il genio del quale quest’anno si celebrano i 500 anni dalla morte. Un paio di settimane e, il 10 ottobre, nelle sale arriva un altro film, Brave ragazze, di cui «sono coprotagonista, al servizio della regista Michela Andreozzi e di quattro attrici, Ambra Angiolini, Ilenia Pastorelli, Serena Rossi e Silvia D’Amico». Interpreta, questa volta, un poliziotto, «il genere di uomo che piace a me, un maschio alfa che, al tempo stesso, capisce e rispetta le donne». Sobrio negli abiti, spericolato nella vita. Non è da tutti, arrivato a un punto della carriera in cui la parte del protagonista un po’ ti spetta di diritto, fare un passo indietro e dire di sì a un ruolo di secondo piano. Ma ci vuole ancora più coraggio a interpretare Leonardo. «Quando riguardo le foto sul cellulare di me con addosso una parrucca bionda e un abito del Quattrocento mi chiedo anch’io come ho fatto. Però, alla fine, è in linea con le scelte di tutti questi anni: non mi sono mai privato dell’opportunità di sperimentare. Quando ho deciso di presentare Le iene o di fare il giudice ad Amici in tanti mi hanno detto: “Ma perché? Sei un pazzo”. Se c’è un merito che mi riconosco è una sana dose di follia».
La prima pazzia?
«Fare l’attore. Non ho studiato per fare questo lavoro. È capitato. Dopo il Grande fratello, mi chiesero di fare Carabinieri. E io: “Siete sicuri? Per carità, volentieri, ma non so recitare”. Mi risposero di non preoccupami. In effetti, il cast era composto in parte da attori veri in parte da personaggi televisivi. Bastava non provare imbarazzo davanti alla telecamera e quello avevo già capito che non era un problema. Dal primo momento che ho messo piede sul set mi sono detto: “Okay, ci voglio provare sul serio”. E, nel giro di poco, mi sono arrivate altre proposte incredibili: A casa nostra di Francesca Comencini, Saturno contro di Ferzan Özpetek»».
Inizialmente aveva in mente un altro piano dopo l’uscita dalla casa del GF?
«Un obiettivo preciso, pragmatico, un po’ cinico se vuole: andare in giro tutta l’estate a fare eventi e ospitate per racimolare soldi. Mi ero appena laureato in Economia e con alcuni compagni di università avevamo parecchie idee. Mi serviva il denaro per finanziarle».
Che idee?
«Per esempio, avevamo intuito che avrebbero funzionato le pubblicità sui taxi quando ancora non c’erano».
Si butta anche nella vita?
«Tantissimo. Ho lasciato casa dei miei a 19 anni e sono andato a vivere con la mia compagna. Dopo la laurea non ho mai pensato di trovarmi un posto da impiegato, di fare il commercialista. Un sacco di volte ho preso su lo zaino e sono partito senza soldi, ho girato il mondo in questo modo. La regola alla base di tutte le mie scelte è sempre stata: “Nel dubbio, lo faccio”».
In una cosa, però, è cambiato. Lei che è sempre stato molto geloso del suo privato, di recente si è lasciato andare. Almeno questa è l’impressione guardando i suoi post su Instagram.
«Alla fine, tutti facciamo un uso dei social piuttosto paraculo: fai vedere solo quello che vuoi».
Però ha pubblicato alcune immagini molto romantiche di lei con la sua compagna Cristina Marino.
«Sto con una donna della quale sono follemente innamorato. Trovo giusto dichiararlo. Altrimenti potrebbero pensare che si tratta di una relazione di facciata o che non sono del tutto convinto. E, poi, si tratta anche di un gioco affettuoso tra noi due, di carinerie, piccole dediche».
Ha pensato di risposarsi?
«Sicuramente sì. Anche il matrimonio è una dichiarazione d’intenti che condividi con le persone alle quali vuoi bene e che ti vogliono bene. Per quanto mi riguarda, non ho bisogno di conferme del mio sentimento, ma penso sia giusto mettere a parte del mio legame chi mi sta a cuore. Quando sei molto innamorato, il matrimonio è una scelta naturale, ovvia. Cri e io abbiamo alle spalle famiglie tradizionali, unite. I miei genitori sono insieme da quarant’anni e ancora si vogliono bene, si scambiano tenerezze. Credo che siamo portati a replicare quello che abbiamo vissuto».
Quindi il divorzio con Myriam Catania lo ha percepito come un fallimento?
«No, anche se la fine di un matrimonio non è facile per nessuno. Chiudere, cambiare, ricominciare. Certo, parti con l’idea che duri per sempre, ma sono convinto che tutte e due abbiamo fatto del nostro meglio. Purtroppo non è andata bene. E se c’è una situazione che non ti rende felice, sereno è meglio cambiare. Non ci sono rancori fra di noi. Sono contento che Myriam abbia trovato la sua strada, che abbia avuto un figlio. Io, da parte mia, sto vivendo una bellissima storia d’amore».
Avete mantenuto un buon rapporto?
«Sì, anche se non è che ci sentiamo o ci vediamo. Non abbiamo figli, non c’è nulla che ci tenga legati. Ognuno ha preso la sua direzione. Lo trovo molto più sano, e ripartire diventa più semplice».
Glielo chiedono sempre, ma vorrebbe diventare padre?
«E io rispondo sempre allo stesso modo: penso di aver capito come si fa. Se non è successo fino a oggi vuol dire che non doveva ancora succedere. Ad alcuni capita quando non se l’aspettano, altri ci mettono di più. Ma avere un figlio è coerente con il mio percorso».
E con l’età? Ha compiuto 41 anni.
«E non mi sono mai sentito meglio. Dal punto di vista della mia vita sentimentale, della mia condizione fisica, psicologica e per la mia carriera. Sono felice, consapevole, equilibrato. Però, quando mi guardo allo specchio, faccio un po’ fatica a riconoscermi. Io mi vedo ancora trentenne, in quella fase in cui hai già intrapreso una strada ma tutto è ancora possibile. Non riesco a entrare nell’ordine di idee che sto vivendo il secondo atto della mia vita».
Sappiamo tutti che Cristina ha capito che lei era l’uomo giusto quando nel suo frigo ha trovato solo cibi salutisti. E lei?
«Fin da subito. È una ragazza speciale, sana sotto tutti i punti di vista, non solo per quello che mangia».
Sana dentro e fuori. Che per lei significa?
«È affettuosa, ha un modo anche un po’ antico di prendersi cura. È molto poco femminista. Mi spiego meglio: è un’imprenditrice, superimpegnata nel suo lavoro ma, al tempo stesso, le piace occuparsi della casa e ricevere le attenzioni che sono dovute a una donna, farsi coccolare. L’ossessione per la gender equality ha rovinato il romanticismo e ha inibito l’uomo che deve aver a che fare con donne sempre più forti, affermate. Voglio dire, ti trovi davanti una che “ci prova”».
È contrario?
«No, a volte è pure comodo (ride, ndr). Ma preferisco continuare a essere l’uomo della coppia, il maschio. Portarti un fiore, invitarti a cena... Non mi va di scontrarmi con una che si offende che se le apro la portiera della macchina o le verso l’acqua a tavola».
Romantico e galante.
«Come i torinesi di una volta. Sono sabaudo. Lo affermo con orgoglio. C’è un detto: Piemontesi falsi e cortesi. Be’, meglio che essere sinceri e stronzi. Credo nel rispetto e nella gentilezza, soprattutto nei confronti di chi non conosci: se sei di cattivo umore non c’è bisogno di farlo sapere a tutti».
È interessante questo mix di fedeltà alle tradizioni e di slancio verso l’ignoto.
«È genetico. Vengo da una famiglia di opposti: borghesia piemontese da parte di mio padre, classe operaia dal lato materno. Quando ero piccolo, trascorrevamo una domenica a pranzo in collina dai nonni, tutti vestiti eleganti, con il cameriere che ci serviva a tavola, e l’altra nelle case popolari, dalla nonna siciliana: lasagne in tavola, nove nipoti, un mucchio di parenti. E i miei genitori hanno saputo creare un’armonia fra questi due mondi, non ci sono mai stati pregiudizi, fastidi né da una parte né dall’altra. Risultato: mi sento a mio agio in smoking a una cena di gala come in mezzo alla folla alla sagra della porchetta. Ordine e caos. Dove mi metti, sto».
I suoi non erano esattamente contenti quando ha deciso di mettere da parte la laurea e di dedicarsi allo spettacolo.
«Erano comprensibilmente preoccupati, ma adesso sono felicissimi. Sempre a chiedermi: “Allora, quando esce il film? Quando va in onda la serie?”. E sono critici sinceri. La più onesta di tutti, però, era nonna Fernanda, la madre di papà. Le commedie più sciocchine me le smontava».
Lei in che direzione vuole andare?
«Spero di continuare a lavorare, magari con un ritmo meno forsennato. Passo duecento giorni all’anno fuori casa. Che, poi, magari, è anche il motivo per cui un bambino non è ancora arrivato. Adesso inizio a girare una serie, sarò via per cinque mesi. Mi piace, ma sento che col tempo dovrò rallentare un po’».
Di che serie si tratta?
«Genere E.R., andrà in onda su Raiuno. Sono un primario di medicina interna. Per prepararmi ho passato un po’ di tempo in ospedale. Fare l’attore è bellissimo anche per questo, impari un sacco di cose: tirar di spada, andare a cavallo. Oppure devi modificare il tuo corpo e passare sei ore al giorno in palestra, come quando ho perso dieci chili per interpretare un pugile in Il permesso».
Tra le cose che ha fatto c’è anche un calendario.
«“Il calendario maschile". Prima di me, per Max, avevano posato Raoul Bova e Alessandro Gassmann. Allora mi sembrò una proposta lusinghiera. Avevo un’altra età e il fisico per permettermelo».
Come si vede fra vent’anni?
«Non lo so. Non ho mai fatto progetti a lungo termine».
Il prossimo?
«Cambiare casa. Da Torino abbiamo deciso di trasferirci a Milano. Ci piace l’idea di dedicarci insieme alla scelta dell’arredamento e io sono davvero eccitato alla prospettiva di cambiare di nuovo. Milano è la città di Cristina, io la conosco molto poco».
Altre cose che avete in comune?
«Due modi di intendere la vita molto simili, che già è tanto. Abbiamo obiettivi molto semplici, pratici. A differenza della maggior parte delle donne, Cristina, ha poche insicurezze, non è cervellotica, sa discernere tra quello che è un problema e quello che non lo è. Insomma si fa poche pippe come me, che non me ne faccio quasi mai. Ci godiamo le giornate, è molto raro che ci siano malumori immotivati: il maltempo, il ristorante che non va bene, la fase lunare, le scarpe, i capelli».
Il complimento più bello che Cristina le ha mai fatto?
«Mi dice sempre che sono un brav’uomo. La mia più grande preoccupazione nella vita è guardarmi allo specchio e poter essere orgoglioso di me stesso per il fatto di aver cambiato qualcosa in meglio, nel mio piccolo. Essere la miglior versione di me stesso. Sto portando in scena un monologo, È questa la vita che sognavo da bambino?, e giusto qualche giorno fa, a teatro, uno spettatore mi ha urlato: “Luca, sei migliorato!”. Ho avuto un attimo di incertezza, poi sono scoppiato a ridere. Ho pensato: è vero, è proprio così».
· Camila Raznovich.
Camila Raznovich, a 10 anni in un regime militare vittima di un esperimento: "Piangevo tutte le notti". Redazione Tvzap il 25 settembre 2019. La conduttrice ritratta il giudizio sulla sua infanzia alternativa vissuta in comunità hippy e racconta dell’esperienza traumatizzante che aveva rimosso. Tredici anni fa Camila Raznovich aveva pubblicato un libro dal titolo “Lo rifarei!” in cui raccontava della sua infanzia alternativa che vedeva come una ricchezza. Adesso quel libro è stato ripubblicato con una nuova prefazione in cui cambia completamente idea. La conduttrice de Il Borgo dei Borghi e Kilimangiaro, su Rai3 è figlia di una coppia di seguaci di Osho e fin da piccola ha vissuto in comunità tra India, Inghilterra e Milano, dove i bambini erano spesso lasciati in autogestione. Sul settimanale F di Cairo Editore in edicola il 25 settembre in una intervista spiega i motivi di questa ritrattazione “Tredici anni fa ero giovane e quando si è giovani leggi tutto in maniera positiva. Il fatto di diventare madre (10 anni fa di Viola e 7 anni fa di Sole, ndr) ha cambiato radicalmente la percezione del mio passato. “Non lo rifarei” nasce da una nuova consapevolezza: non è una esperienza che farei fare alle mie figlie”.
Camila Raznovich e l’esperienza traumatizzante. Qual è stata l’esperienza che l’ha segnata di più nel corso della sua infanzia? “Senza dubbio i quattro mesi nella sperduta campagna inglese in un regime militare. Ero in quinta elementare e fui selezionata per questo esperimento che prevedeva che trecento bambini vivessero con nove adulti, questa era la proporzione. Nel libro lo raccontavo quasi divertita: con l’analisi ho capito di esserne stata fortemente traumatizzata tanto che uno dei miei compagni, da grande, mi ha raccontato che piangevo tutte le notti, l’avevo rimosso. Il sentimento più forte che ho provato era la paura“.
· Selvaggia Lucarelli.
Selvaggia Lucarelli sul figlio Leon: “Racconta un sacco di palle e fa le firme false”. Ospite della trasmissione I Lunatici, l’irriverente giornalista ha raccontato del suo difficile rapporto con il figlio quattordicenne nato dal matrimonio con Laerte Pappalardo. Katiuscia Oliva, Lunedì 20/05/2019, su Il Giornale. La sua lingua pungente è ormai nota ai più, ma anche Selvaggia Lucarelli ha le sue gatte da pelare. Intervenuta ai microfoni della trasmissione in onda su Rai Radio 2, non ha nascosto infatti di avere molte difficoltà a gestire il figlio ormai adolescente. A differenza di quanto si possa pensare, con lui non riesce ad avere lo stesso rigore che l’ha fatta diventare famosa sui social network e in tivù. “Come madre sono una sorpresa per me stessa. Pensavo che sarei stata molto intransigente, mentre con lui faccio molta fatica a gestire la questione punizioni. Cerco sempre di dargli un’altra occasione”, sono state le sue parole. Durante la lunga intervista ha rivelato agli ascoltatori della fase particolarmente delicata che Leon sta attraversando: “Sta avendo il suo momento ribelle, è uno che racconta un sacco di palle con il volto da angelo. Dite che l’abbiamo fatto tutti? E ho capito, tutti tranne mio figlio lo possono fare”. Ma quali bugie racconta il ragazzino? È stata la stessa Selvaggia a parlarne: «Fa cose del tipo che ti chiama la scuola e ti chiede se hai firmato tu la verifica in cui ha preso 4 in matematica. Fa le firme false". Per Selvaggia, tuttavia, la situazione è ancora più complicata a causa della sua popolarità: "Appena scrivo qualcosa il giorno dopo c'è un compagno di scuola che va a dirglielo”, ha concluso, sottolineando così quanto il mestiere di genitore, nel suo caso, possa essere messo a dura prova dal fatto di essere un personaggio di spicco.
Giampiero Mughini per Dagospia il 29 novembre 2019. Caro Dago, succede che al mio caro amico e avvocato di fiducia Enzo Paolini arrivi una comunicazione giudiziaria da cui risulta che la giornalista Selvaggia Lucarelli mi querela accusandomi di diffamazione nei suoi confronti per un articolo apparso sul tuo sito. I fatti. Un anno fa mi invitano a una puntata domenicale della trasmissione condotta da Mara Venier. L’argomento principe ne è la sorte della povera Desirée Mariottini, la ragazza romana martoriata da una gang di delinquenti che prima l’hanno stuprata e poi l’hanno lasciata morire. Il talk parte da una scheda redazionale pronunciata da una voce femminile dove quella sventurata ragazza viene descritta come “una principessa guerriera”. Allibisco, o per lo meno mi si legge in faccia che allibisco ad ascoltare una tale assurdità e una tale bugia tanto che Mara Venier mi dà subito la parola. Come accade in televisione dove non è che uno pronunci chissà quale orazione princeps e bensì interloquisce con quello che stanno dicendo quelli che gli stanno accanto. In quella definizione di “principessa guerriera” sento una tale deformazione della verità da costituire un’offesa alla memoria e alla verità della povera ragazza assassinata. E dunque dico che non si trattava di “una principessa guerriera” e bensì di una ragazza per mille ragioni fragile e indifesa. Il suo retroterra familiare era a dir poco debole, quando Desirée andava a scorrazzare per le notti di Roma, era alla nonna che diceva che non sarebbe tornata per tempo e non alla madre più lontana. Era una ragazza che non aveva una lira e che però tossicodipendeva dall’uso della droga, il che vuol dire che avrebbe fatto di tutto pur di averla. Inutile dire che una volta entrata nel reame della sua tossicodipendenza, lei poteva cadere nelle mani del primo delinquente di turno: in parole povere era “una predestinata”, esattamente la parola che ricordo di avere usato. Una parola drammatica. All’indomani, sulla prima pagina di un quotidiano che compro ogni giorno appare il seguente titolo “Ovvio, tutta colpa di Desirée” e relativo occhiello “Come far sparire lo stupro e condannarla”. Sotto queste due leccornie giornalistiche sta un articolo di Selvaggia Lucarelli che spiega come ci siano “Ricostruzioni che fanno male ai morti e fanno male ai vivi. Fanno male ai morti perché sono ingiuste e fanno male ai vivi perché sono false”. Agli occhi della Lucarelli un esempio palmare di queste “ricostruzioni” era per l’appunto il mio intervento alla tv domenicale: “Chi scomoda la droga e il presunto allarme sociale della serie ‘signora mia, questi giovani d’oggi’, chi come Mughini a Domenica in afferma ‘Si drogava, era nata e cresciuta in un reame di droga, dove non puoi trovare carmelitani scalzi’ ”. Lessi l’articolo incredulo che mi si potessero attribuire simili porcate, ovverossia che in definitiva la povera Desirée se l’era cercata. No, assolutamente no, nemmeno per l’anticamera del cervello poteva essermi passata per la testa una tale boiata, di “dimenticare lo stupro” e pensare che fosse tutta colpa di Desirée com’era indicato in quel titolo cialtronesco. Avevo detto quale era la terribile condizione oggettiva di quella ragazzina pressoché inerme, essere una tossicodipendente e dunque trovarsi a portata di mano di delinquenti e assassini. Nessuno del salotto televisivo presieduto da Mara Venier aveva avuto un soprassalto o aveva obiettato alcunché alle mie osservazioni, atte al comprendonio di uno che avesse fatto la terza elementare. Per l’appunto - e non era una diffamazione, ma un giudizio morale e intellettuale - mi veniva da dubitare che la Lucarelli l’avesse superata la terza elementare. Il giudizio di un gentiluomo. Giudizio che ho espresso in un articolo su Dagospia. Solo che c’era un antefatto, necessarissimo a comprendere lo scambio polemico di cui sto dicendo. Qualche mese prima la Lucarelli, sempre dalla prima pagina, forte del suo notevolissimo curriculum intellettuale aveva puntato il dito contro quanti avevamo partecipato a una sciagurata puntata di “Non è l’Arena” sulla 7. Secondo la Lucarelli, eravamo tutti in ginocchio innanzi a un Fabrizio Corona che sproloquiava alla sua maniera. Non rispondo degli altri ospiti della puntata. Solo che io e Corona ce n’eravamo dette e ridette di tutti i colori, o meglio era lui che insultava me perché io a prendermela con un tale “semianalfabeta” sentivo di sporcarmi la bocca. Insulti e insulti e insulti. Ebbene la Lucarelli scriveva che ero riuscito a farmi “dileggiare per il mio aspetto” e si riferiva al fatto che Corona mi aveva tacciato di vestire “come un pagliaccio”. (Avevo indosso quella volta una giacca di Yoshij Yamamoto e un paio di scarpe di Martin Margiela, stilisti cui i musei dedicano delle mostre.) E dire che a un certo punto a Corona che insultava la Lucarelli, gli avevo obiettato che lei era “un’ottima giornalista”. Solo che la Lucarelli non aveva visto nulla di nulla di quella puntata. Era in vacanza, probabilmente qualcuno gli aveva riferito qualcosa . Lei, forte ancora una volta del suo formidabile curriculum intellettuale, si era messa a menare fendenti a dimostrare che se ci fosse stata lei, Corona lo avrebbe fatto a pezzi. (Non sto qui a dire che cosa Corona dice di lei, solo che la parola di un semianalfabeta per me non conta nulla.) Allibito com’ero, scrissi subito al “Fatto” una lettera di rettifica che venne immediatamente pubblicata il 20 giugno 2018. La Lucarelli rispose così: “Caro Giampiero, mi scuso per averti inserito a torto nel gruppo misto di chi non ha tentato di arginare l’arroganza dell’ospite”. S’era sbagliata. Solo che qualche mese dopo purtroppo ci ha riprovato.
Dagospia il 29 novembre 2019. Riceviamo e pubblichiamo: Gentile Dago, vedo che il signor Mughini continua a scomodare Dagospia per parlare di me. Non replicherò alla sua lettera, mi limito però a specificare che le espressioni utilizzate dal giornalista per bollare me e il mio articolo sul Fatto da lui generosamente definite " Il giudizio di un gentiluomo" furono "mucchietto di sterco", "insieme inenarrabile di porcate", "pensavo che l'esame di terza media lo avesse passato" e così via. Per il resto, non credo sia utile a nessuno citare precedenti, anche perchè dovrei ricordare articoli quali quello in cui il signor Mughini- sempre da gentiluomo, ça va sans dir - si chiedeva cosa c'entrassero le mie tette con il giornalismo. Selvaggia
· Barbara Chiappini.
Massimo Galanto per tvblog.it il 12 ottobre 2019. La conduttrice, attualmente impegnata in radio, lavora per rientrare nel giro televisivo: "Gli autori vogliono sempre un motivo per ospitarti, certe volte bisogna crearlo..." "Alcuni anni fa ho scelto consapevolmente di allontanarmi dalla tv, desideravo calarmi nel mio ruolo di mamma fino a fondo. Ho deciso di staccare la spina e di dedicarmi ai miei bambini. Ora vivo in campagna, lontano dalla città, con la mia famiglia, i miei due figli e i nostri animali. In questi anni sono stata tante volte ospite di Barbara d'Urso, raccontando il mio privato. Poi ho continuato a presentare serate, premi e convention. Ma adesso che Sveva ha 5 anni - ha iniziato le scuole elementari - e Folco 4, ho pensato di riprendere in mano la mia carriera". Barbara Chiappini annuncia così a Blogo la sua intenzione di tornare in televisione, dopo un progressivo e quasi integrale allontanamento. La conduttrice, ospitata ieri da Eleonora Daniele a Storie italiane su Rai1, intanto sta potenziando la sua immagine social e si è lanciata in una inedita avventura radiofonica:
«Ho iniziato l'anno scorso, potenziando i miei social. Su Instagram ho un buon numero di follower - sono tutti veri. E da qualche settimana sono su Radio Yes con Gabriele Manzo, dove conduco un programma la mattina - conciliando così gli impegni da mamma. Con lui mi trovo benissimo, mi sta insegnando tantissimo».
È pronta a tornare a pieno ritmo nel mondo dello spettacolo?
«Devo ponderare distanza e durata dei progetti, scelgo sempre cose che si possano conciliare con il mio ruolo di mamma. Le lunghe tournée teatrali che facevo prima, adesso, per esempio, le evito. Per il momento, poi più avanti vedrò».
La soluzione ideale quale sarebbe per lei?
«L'ideale adesso sarebbe avere un programma tutto mio, un salotto, una trasmissione di intrattenimento. Sto cercando di rientrare in Rai, forse a Capodanno condurrò una produzione su Rai1 dopo il Concertone della mezzanotte».
È complicato rientrare?
«Lo è, molto. Prima di tutto bisogna capire chi sono le persone che decidono - capistruttura e direttori; poi bisogna avere un agente che ti spinga. E poi servono le notizie, devi far parlare di te in maniera forte, con dei fatti di gossip... anche se io preferisco puntare sulla professionalità. Gli autori televisivi vogliono sempre un motivo per chiamarti, certe volte bisogna crearlo».
In questi anni è riuscita a conservare amicizie nel mondo dello spettacolo?
«Non ho tantissimi amici nel mondo dello spettacolo, ho un carattere un po' chiuso. Non sono capace di fare le pubbliche relazioni. Non mi va di andare ad un compleanno se il festeggiato non è un mio amico vero. Le poche amiche che ho nel mondo dello spettacolo sono Adriana Volpe e Carmen Russo, che vive accanto a me. Con entrambe ci vediamo anche per via dei bambini».
E qualche delusione l'ha dovuta affrontare?
«Non avendo grandi amicizie, non ho nemmeno grandi delusioni. Per un periodo mi aiutò molto un direttore di tg, un uomo di potere, mi invitava nelle sue trasmissioni, poi però mi ha inserito nella sua black list. Forse la sua gentilezza era mirata ad altro».
Parteciperebbe ad un altro reality, dopo L'Isola dei famosi del 2003?
«Dipende dal reality. L'Isola l'ho già fatta, mi piacerebbe molto fare Ballando con le stelle, anche se la Carlucci non prende personaggi che hanno già fatto altri reality. A Temptation Island Vip non ci andrei, non voglio mettere a rischio il mio rapporto, la mia vita vera. Grande Fratello Vip lo farei... me lo proposero l'anno successivo alla mia partecipazione all'Isola, ma avevo altri progetti. Ora potrei candidarmi, non per la prossima edizione, perché è già chiusa, ma per la successiva ancora...»
Nella prossima potrebbe esserci la sua amica Adriana Volpe...
«Non lo so, quando ci siamo sentite qualche settimana fa lei era ancora indecisa».
A proposito della Volpe, a lei un rapporto complicato come il suo con Magalli è mai capitato?
«Premetto che io sono d'accordo con Adriana, che in questa storia è l'unica che ci ha rimesso lavorativamente. Io ho un carattere diverso dal suo, lei non ha voluto passarci sopra, ne ha fatto una battaglia, io, invece, ho un carattere più remissivo. Se una cosa mi fa star male, io me ne allontano, non la affronto. È un mio difetto, mi piacerebbe essere più grintosa».
· Alba Parietti: “Alla camomilla dei buoni preferisco l’adrenalina dei cattivi”.
Anteprima Stampa da “Oggi” il 12 dicembre 2019. In un’intervista a OGGI, in edicola da domani, Alba Parietti ripercorre le storie familiari che sono alla base del suo libro «Da qui non se ne va nessuno» e parla anche di sé: «Io posso perdonare tutto. Per esempio, un’amica che aveva perso la testa per un uomo con cui stavo… Il tradimento c’è stato, se così lo si può chiamare. Ma mi sarebbe mancata troppo l’amica. Il fatto è che si può perdonare la debolezza di una persona». Ma lei ha perdonato il traditore? «Sì, ma chiaramente non è stato più un mio fidanzato, anzi è stata la conferma che non lo poteva essere». E sul presente aggiunge: «Frequento delle persone, non sono diventata una santa, ma ho capito che è meglio tenere la vita privata riservata. Se parli di una relazione, quando quella relazione finisce devi spiegarne i motivi alla stampa prima ancora di averli chiari tu stessa».
Da adnkronos.com il 10 dicembre 2019. Giampiero Mughini è "scrive bellissimi libri che non vende" e "occupa il posto della soubrette". Alba Parietti, su Instagram, si esprime così riaccendendo lo scontro con lo scrittore dopo il round andato in scena a Vieni da me. Mughini, scrive Parietti in un lungo post su Instagram, "offende da anni senza mai , argomentare solo sulla base di pregiudizi, io argomento senza offendere. Semplicemente mi difendo e difendo la memoria storica che mi è stata lasciata in eredità da una famiglia di intellettuali antifascisti. Se vogliamo poi, Carofiglio, Elena Ferrante, Claudio Magris, non mi sembra di averli visti con me fare le 'sfere' dalla D’Urso. O trovati alla Vita in diretta a parlare di Albano. Mughini sarà un grande intellettuale che scrive bellissimi libri, sicuramente, ma putroppo non li vende, occupa il posto della "soubrette"". "Poi -prosegue- non si lamenti se la soubrette che vende anche più di lui, scrive libri che hanno pure una buona critica e recensione da intellettuali più accreditati di lui: Gad Lerner, Ferraris, Elvira Serra ecc ecc. I libri non basta scriverli, bisogna anche che qualcuno li legga e soprattutto li compri. Mi sono macchiata, secondo Mughini che da sempre mi critica, mi offende, mi tratta come la bella scema senza motivare e argomentare mai. Pur di darmi addosso ha attribuito l'intera riuscita della liberazione dal nazifascismo agli Americani, giusto per mortificare il mio povero papà Partigiano e antifascista". "O la questione dei 9 miliardi a cui rinunciai che lui mette in dubbio -dice facendo riferimento alla proposta di Mediaset respinta-. Io oso pensare, io oso scrivere, avere pure critiche decisamente lusinghiere e non rimanere ghettizzata. Oso pensare, oso documentarmi, oso progredire, oso usurpare il ruolo di persona pensante a uno scrittore, come lui, mentre lui che io non mi permetto di giudicare, occupa spazi in trasmissioni che si dedicano a pettegolezzi e intrattenimento leggerissimo". "Per uno che aspira a paragoni alti non credo che Neruda , Tolstoj, Pasolini si sentirebbero a loro agio in trasmissioni televisive in cui lui è giornalmente. Si chiama coerenza. Sono io che voglio fare l’intellettuale e non ne ho le competenze o Mughini che aspira al ruolo di soubrette senza averne il phisique du role? La sentenza a chi leggerà "Da qui non se ne va nessuno" e potrà giudicare con cognizione di causa , scevro da pregiudizi e munito di onestà intellettuale indispensabile per essere una guida morale come lui si ritiene", conclude.
Giampiero Mughini e Alba Parietti, lite a Vieni da Me: "Vali quattro soldi", "Sai chi era mio padre?" Libero Quotidiano il 10 Dicembre 2019. A Vieni da Me Giampiero Mughini e Alba Parietti non se le sono di certo mandate a dire. Durante il programma di Raiuno condotto da Caterina Balivo, il giornalista ex direttore di Lotta Continua ha risposto a una domanda sulla soubrette: "Non penso che Alba Parietti sia la grande pensatrice del nostro secolo, che lei pensa di essere. Come quando parla della seconda guerra mondiale". Una dichiarazione non gradita dalla showgirl che ha ben pensato di replicare con una telefonata in diretta. "Faccio molta fatica a mantenere la calma… - esordisce lei -. Non accetto che Mughini dica che non conosco la storia della Seconda Guerra Mondiale, non è un argomento qualsiasi. È un tema che fa parte delle ragioni della mia vita". E ancora: "Mughini ha fatto la Seconda Guerra Mondiale? Ha partecipato? In che veste? Mio padre partigiano, antifascista, la Resistenza l'ha fatta non solo combattendo a rischio della propria vita. L'ha fatto anche da bambino non indossando la divisa da Balilla e prendendo botte. Mughini dice che la resistenza non sarebbe servita a niente senza gli americani". Ma il botta e risposta non finisce qui, perché Mughini definisce quello di Alba "un comizietto da quattro soldi". A riportare la pace in studio, solo la sigla che sancisce una momentanea tregua.
Alba Parietti ancora contro Giuseppe Mughini: "Ecco a cosa vorrebbe ridurre le donne". Libero Quotidiano l'11 Dicembre 2019. Alba Parietti contro Giampiero Mughini, atto II. Dopo la lite a Vieni da me di Caterina Balivo, la Parietti rincara la dose in radio, a La Zanzara. “Non sopporto il fatto che una persona debba essere per forza intellettualmente disonesto e sputtanare gli altri senza motivo, cosa che fa da anni, tra l’altro senza argomenti…”. "Mi attacca da anni senza argomentare". aggiunge, "solo sulla base di pregiudizi tra l’altro machisti, maschilisti. Sono anni che dice che io non capisco nulla, che sono una non in grado di esprimere concetti”. Secondo Alba, viene attaccata perché donna: "E’ proprio da Mughini. Perché io credo che Mughini faccia parte di una categoria di persone per cui le donne dovrebbero stare relegate e ghettizzate dentro certi ruoli. A lui da fastidio che io esprima delle idee, dei pensieri di senso compiuto, senza offendere mai, perché non ho mai offeso né lui né altri”. Mughini si pone dunque come fosse superiore agli altri?: “Beh, lo dice in modo esplicito. Come Sordi: Io so’ io e voi non siete un cazzo”. Ma perché ce l’ha con te, te lo sei spiegato?: “Questo bisognerebbe chiederlo a lui o al suo psicologo. Io non sono in grado di dare una risposta. Ieri ha messo in dubbio anche la storia che io abbia rifiutato nove miliardi da Berlusconi. Prima l’ha detto, dopo se l’è rimangiato. Altrimenti ero pronta a querelarlo. Se non fosse vero il primo a smentire tutto sarebbe stato Berlusconi stesso”. “Evidentemente – prosegue – lo infastidisce che ci siano persone che sono in grado, pur non avendo probabilmente la sua così raffinata cultura, di fare meglio di lui le cose che lui fa. Perché lui scrive ma i libri bisogna anche venderli, oltre che scriverli. Vende poco? I dati sono evidenti”. Vende più il tuo libro?: “Anche qui i dati sono evidenti. Ma il punto non è questo. E’ assurdo che che lui dica che io non posso argomentare senza portare degli argomenti”. Poi parla delle Sardine: “Fossi a Roma andrei in piazza pure io con loro. Mi piace che scendano in piazza, in tutte le piazze, civilmente e con il sorriso, per dire che c’è un’altra Italia che non vuole l’esclusione, per dire che non sono tutti contro gli immigrati, per dire che in Italia non tutti la pensano come Salvini”.
Dagospia l'11 dicembre 2019. Da La Zanzara – Radio 24. “Non sopporto il fatto che una persona debba essere per forza intellettualmente disonesto e sputtanare gli altri senza motivo, cosa che fa da anni, tra l’altro senza argomenti…”. Così Alba Parietti a La Zanzara su Radio 24 contro Giampiero Mughini dopo il litigio l’altro giorno su Rai 1. Perché dici intellettualmente disonesto, chiedono i conduttori: “Per il semplice fatto che una persona mi attacca da anni senza argomentare solo sulla base di pregiudizi tra l’altro machisti, maschilisti. Sono anni che dice che io non capisco nulla, che sono una non in grado di esprimere concetti”. Ma mica lo dice perché sei donna, dicono ancora Cruciani e Parenzo: “Per me sì. E’ proprio da Mughini. Perché io credo che Mughini faccia parte di una categoria di persone per cui le donne dovrebbero stare relegate e ghettizzate dentro certi ruoli. A lui da fastidio che io esprima delle idee, dei pensieri di senso compiuto, senza offendere mai, perché non ho mai offeso né lui né altri”. “Come fa a dire – prosegue ancora la Parietti - che io non conosco la storia, soprattutto la Seconda Guerra Mondiale quando io ho appena scritto un libro su questo, peraltro studiando, andando sui luoghi della Resistenza, documentandomi da quando sono nata”. “Lui – prosegue – esprime sempre una sorta di senso di superiorità, come se io non fossi in grado di parlare di queste cose. Ma i grandi intellettuali, come lui crede di essere, per esempio non li trovo mai…come Carofiglio, Ferrante, Magris, non mi è mai capitato di vederli con me in televisione a parlare di Al Bano e Romina dalla D’Urso, andiamo tutti molto felici e contenti. Quindi andiamo lì a fare le soubrette tutti quanti. Ci sono stati dei grandi intellettuali che andavano ovunque, però non disprezzando gli altri. Un grande intellettuale tanto per incominciare dovrebbe stare al passo con i tempi e adeguarsi ai linguaggi e non parlare con quel birignao ridicolo, con quelle giacche ridicole con cui si presenta sempre”. Mughini si pone dunque come fosse superiore agli altri?: “Beh, lo dice in modo esplicito. Come Sordi: Io so’ io e voi non siete un cazzo”. Ma perché ce l’ha con te, te lo sei spiegato?: “Questo bisognerebbe chiederlo a lui o al suo psicologo. Io non sono in grado di dare una risposta. Ieri ha messo in dubbio anche la storia che io abbia rifiutato nove miliardi da Berlusconi. Prima l’ha detto, dopo se l’è rimangiato. Altrimenti ero pronta a querelarlo. Se non fosse vero il primo a smentire tutto sarebbe stato Berlusconi stesso”. “Evidentemente – prosegue – lo infastidisce che ci siano persone che sono in grado, pur non avendo probabilmente la sua così raffinata cultura, di fare meglio di lui le cose che lui fa. Perché lui scrive ma i libri bisogna anche venderli, oltre che scriverli. Vende poco? I dati sono evidenti”. Vende più il tuo libro?: “Anche qui i dati sono evidenti. Ma il punto non è questo. E’ assurdo che lui dica che io non posso argomentare senza portare degli argomenti”. Poi parla delle Sardine: “Fossi a Roma andrei in piazza pure io con loro. Mi piace che scendano in piazza, in tutte le piazze, civilmente e con il sorriso, per dire che c’è un’altra Italia che non vuole l’esclusione, per dire che non sono tutti contro gli immigrati, per dire che in Italia non tutti la pensano come Salvini”.
Stefania Rocco per tvfanpage.it il 17 dicembre 2019. “Non potrà mai esserci un scontro tra noi perché a questo livello non scenderò mai”: così Giampiero Mughini, prima ancora che Alba Parietti aprisse bocca, ha commentato lo scontro in divenire con la showgirl nello studio di “Live – Non è la D’Urso”. Dopo la telefonata in diretta da Caterina Balivo, i due si sono rivisti faccia a faccia nella trasmissione condotta da Barbara D’Urso. La questione è uno scontro improbabile il cui unico fine consiste nel determinare chi dei due sappia di più di partigiani e Resistenza durante la Seconda guerra mondiale.
La famiglia di Alba Parietti che ha fatto la Resistenza. “Mi spiace molto che Mughini non abbia argomenti, tanto per cambiare. L’ho sempre considerato un intellettuale raffinato e al suo livello di cultura non posso aspirare. Lui gratuitamente ha sempre sminuito la mia carriera. La cosa che mi preme di più è che come cittadina che ha avuto genitori antifascisti, io mi arrogo il diritto di potere parlare della storia della mia famiglia” ha esordito Alba rivendicando il diritto di parlare della storia italiana, anche in virtù del contribuito fornito dalla sua famiglia alla Liberazione dal fascismo. “Mughini ha contestato anche il fatto che io potessi parlare della Seconda guerra mondiale, che non ha fatto nemmeno lui. Io credo di averne titolo in quanto depositaria di diari di persone che hanno fatto parte della Resistenza. Negare la mia capacità di dare una lettura della Seconda Guerra mondiale mi pare un negazionismo assurdo e fuori luogo”. È sull’utilizzo di certi termini che Mughini articola la sua risposta: Mi sento male di fronte a ciascuna parola che sento perché non ha contenuto. Tutto è nato da una maledetta puntata del MCS dove eravamo un gruppo di amici a parlare del più e del meno. Nel mezzo di questa chiacchierata, lei entra con una tiritera in cui non credo ci sia granché. Si parla di resistenza e poi lei conclude con una affermazione che non ha alcun valore, che sono stati i partigiani che hanno liberato l’Italia. Parla di negazionismo, che è un termine che viene utilizzato per definire la corrente di pensiero che nega la Shoah.
Gli insulti tra i due, poi la pace. Il confronto tra i due prosegue sul piano degli inulti reciproci. Alba lo accusa di essere un uomo “violento e misogino con aspirazioni da soubrette”. Mughini replica azzardando un riferimento poco elegante alle labbra chirurgicamente ritoccate dalla Parietti. Poi conclude: “Non sai nulla, hai imparato 4 sciocchezze a memoria. Non avevo voglia di fare questo confronto, non è un confronto”. La pace scoppia inaspettata pochi minuti dopo quando, terminato il ring, i due si siedono l’uno accanto all’altra ripromettendosi di leggere i rispettivi libri prima di giudicarsi nuovamente.
Scontro Mughini e Parietti, volano parole grosse e offese personali. Durissimo scontro a "Live non è la d'Urso" tra Giampiero Mughini e Alba Parietti, tra offese personali, e attacchi sulla seconda Guerra Mondiale. Roberta Damiata, Martedì 17/12/2019, su Il Giornale. Scontro durissimo a “Live non è la d’Urso” tra Alba Parietti e Giampiero Mughini, faccia a faccia per la prima volta dopo essersi attaccati via social e con una telefonata nella trasmissione della Balivo. I due, su posizioni completamente diverse, dopo un’inizio pacato, quasi negando la diatriba “Non potrà mai esserci un scontro tra noi perché a questo livello non scenderò mai”dice Mughini, esplodono nel peggiore dei modi, dicendosene di tutti i colori. L’argomento su cui si scontrano duramente è la seconda guerra mondiale, e Mughini racconta quando da Maurizio Costanzo è cominciata la loro diatriba: "Tutto è iniziato al Maurizio Costanzo Show - spiega Mughini - dove parlavamo tra amici, lei è arrivata con una tiritera parlando di Resistenza e dicendo cose che non stanno nè in cielo nè in terra. Ha detto che la Resistenza ha salvato l'Italia. Non sei in grado. La Resistenza è stato importantissima, ma non hanno vinto loro la guerra». Sentendosi toccata Alba, per niente intimorita risponde a tono: «Mi dispiace che Mughini non abbia argomenti. L’ho sempre considerato un grande intellettuale. Io non posso aspirare al suo livello. Lui invece ha sempre sottostimato me. Io ho tutto il diritto di parlare, di averne titolo in quanto depositaria di diari di persone che hanno fatto parte della Resistenza. Negare la mia capacità di dare una lettura della Seconda Guerra mondiale mi pare un negazionismo assurdo e fuori luogo”. Le “offese” reciproche vanno poi sul personale, con Mughini che la attacca dicendole: “Stai zitta, sei il nulla - e continua dicendole - Io però non sono stato sotto i ferri di un chirurgo del silicone” toccandola in maniera poco educata sui ritocchi estetici di cui la Parietti non ha però mai fatto mistero. La cosa indigna molto tutte le altre donne presenti soprattutto la Mussolini che commentando la scena non si rende conto di avere il microfono aperto e dice “Che figura di merda”. Alba ha bisogno di un bicchiere d’acqua perché non riesce neanche a rispondere “Sei un violento e misogino con aspirazioni da soubrette dovresti vergognarti”. I toni si accendono ancora davanti ad un parterre di opinionisti, soprattutto femminili, che fremono per poter rispondere a quelle che verranno poi considerate delle parole fuoriluogo e maschiliste. E così si interrompe l’incontro-scontro tra i due che vanno a sedersi in mezzo agli altri. Ma Alessandra Mussolini non ci sta, e ad alta voce dice a Mughini: “Io neanche ti saluto” e da opposta fazione si alza in piedi per abbracciare Alba Parietti mostrandole un’estrema solidarietà femminile, che viene molto apprezzata. “Vedere la Parietti che si abbraccia con la Mussolini è tanta roba” commenta Barbara d’Urso, ma è proprio ora che avviene il “miracolo televisivo” quando Mughini si alza e porge la mano ad Alba. I toni si abbassano e sfumata la rabbia, i due si abbracciano a favore di telecamera: “Abbiamo deciso che prima leggeremo i nostri rispettivi libri e poi nel caso riprendiamo a litigare”, commentano riportando la pace, ovviamente temporanea, in studio.
Dagospia il 22 novembre 2019. Da I Lunatici Rai Radio2. Alba Parietti è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino. Alba Parietti ha raccontato alcuni aspetti della sua famiglia attraverso il libro 'Da qui non se ne va nessuno': "Un lavoro molto complesso, la storia della mia famiglia attraverso il '900 ripercorsa dai diari di mio padre, mia madre e mio zio. Mia madre e mio zio, suo fratello, che è finito in un manicomio che lo ha distrutto psicologicamente e fisicamente, soffrivano di una grave patologia. La schizofrenia. Mio zio è entrato in manicomio ed è diventato una larva. Io l'ho conosciuto solo in quelle condizioni, ma prima era una mente eccelsa, un intellettuale straordinario. Mia madre è morta dopo un ictus, i suoi organi sono stati donati. Il libro inizia da qui. Purtroppo mio zio l'ho conosciuto solo quando era già entrato in manicomio. Non era più una persona, era stato ridotto in uno stato assurdo. Prima di entrare in manicomio era un genio assoluto".
Sul rapporto con la madre: "L'ho conosciuta più dopo la sua morte che quando era viva, purtroppo. Nessuno è in grado di tornare indietro nel tempo, tutti ci rendiamo conto di certe cose solo quando è tardi. Le malattie e i problemi dei genitori sono troppo dure da affrontare quando da piccolo vuoi più essere protetto che proteggere. Mia madre definiva se stessa una povera schizofrenica. Ha vissuto grazie a mio padre una vita normale. Dignitosa. La follia molto spesso è un dono di persone troppo intelligenti che a fatica riescono a gestirla in un mondo pieno di atrocità. E' stata una madre difficilissima, ma quando riusciva a non essere la strega che poteva risultare a causa della sua patologia era la persona più meravigliosa del mondo. Aveva una sensibilità, una intelligenza e una cultura fuori dalla norma. Mio padre è riuscito a contenere nelle mura domestiche la sua follia. E' riuscito a me a dare una madre e a lei ad avere una vita".
"Una cena col premier Conte? Sì...": Parietti si racconta senza freni. A Un giorno da pecora, Alba Parietti si è raccontata a 360 gradi tra uomini e politica, svelando retroscena inediti sugli uomini che nel corso degli anni sono letteralmente impazziti per lei. Francesca Galici, venerdì 29/11/2019, su Il Giornale. Alba Parietti è stata ospite di Un giorno da pecora, il programma radiofonico di Radio1. Presente in studio nel corso della puntata, la showgirl è intervenuta nel programma condotto da Geppi Cucciari e Giorgio Lauro, dove ha presentato il suo ultimo libro Da qui non se ne va nessuno. L'intervista è stata molto ampia e ha toccato numerosi temi, con Alba Parietti che ha ripercorso gran parte della sua vita, anche e soprattutto sentimentale. Sono pochi quelli che sanno della passione di Alain Delon nei confronti di Alba Parietti. Lui era uno degli uomini più belli e affascinanti del mondo, lei una giovane modella e showgirl con il fisico statuario e pare che l'attore, vedendola, sia letteralmente svenuto. “Si, è vero. È una storia un po' lunga e complicata”, ha dichiarato la Parietti confermando questo gossip. Allo stesso modo, l'ex opinionista dell'Isola dei Famosi ha confermato che Yannick Noah, uno dei più grandi tennisti degli anni Ottanta, si fermò in mezzo al campo durante una partita al Foro Italico di Roma per ammirarla. Sono tanti i piccoli e grandi aneddoti che Alba Parietti potrebbe raccontare sul suo rapporto con gli uomini, ogni tanto complicato ma sempre travolgente e passionale. La showgirl ha avuto una lunga relazione con Christopher Lambert, anche lui idolo femminile tra gli anni Ottanta e Novanta. L'uomo ha da sempre la fama di essere galante e cavaliere e infatti A Un giorno da Pecora, Alba Parietti ha raccontato di quando la fece sentire unica e di come la corteggiasse di continuo anche davanti alle più belle donne del mondo. “Eravamo ad una festa a Parigi, c'erano Naomi Campbell e Claudia Schiffer. Davanti a queste donne, le più belle del mondo, Christopher mi diceva che ero io la più bella in assoluto. E io ci credevo”, ha detto in tutta sincerità la Parietti ai microfoni di Radio1. È tornata a parlare anche della misteriosa liaison con Gianluca Vialli, uno dei più forti calciatori italiani degli anni Novanta. Sulla loro relazione circolano moltissime leggende metropolitane, spesso alimentate dalla stessa Parietti che ama mantenere un'aurea di mistero. Alla Cucciari e a Lauro ha raccontato di quando l'Avvocato Agnelli la chiamava per sapere se era stata col “pelato”, il vezzeggiativo amorevole con il quale il patron della Juventus usava chiamare uno dei suoi giocatori di punta. Fin dal 1990 si racconta delle fughe dal ritiro della nazionale ai mondiali di Gianluca Vialli per incontrare Alba Parietti, che a distanza di quasi trent'anni continua a mantenere uno stretto riserbo si questa vicenda. L'amore per gli uomini ha sempre fatto il paio con quello per la politica in Alba Parietti, che non ha mai nascosto le sue idee e il suo orientamento. A Un giorno da pecora ha dichiarato di non sentirsi affascinata da Matteo Salvini ma ha ammesso di studiarlo nelle sue apparizioni televisive e di Giuseppe Conte ha detto che accetterebbe una cena in sua compagnia ma "solo se fosse lui a pagare il conto". Il più grande errore della sua vita è forse legato proprio alle sue ideologie politiche. Tantissimi anni fa, Alba Parietti rifiutò un'offerta di 9 miliardi di lire pur di non lavorare per Silvio Berlusconi a Mediaset: “All'epoca pensavo che prendere soldi da Berlusconi sarebbe stato un po' come vendermi al diavolo. Fu una cazzata enorme. Avrei potuto rimanere fedele a me stessa anche accettando quella offerta.”
Alba Parietti, quel "no" a Silvio Berlusconi: "La più grande cazzata della mia vita". Libero Quotidiano il 29 Novembre 2019. Gli ammiratori come Alain Delon, le telefonate di Gianni Agnelli, la simpatia per il movimento delle Sardine e quello che, oggi, ritiene il più grande errore della sua vita. Alba Parietti ha rilasciato una lunga intervista a Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, nel corso della quale ha parlato di sé a 360°. Partiamo dai molti uomini che l'hanno desiderata: ha raccontato che una volta, davanti a lei, Alain Delon quasi svenne... ”Si, è vero. Ma quella è una storia lunga e complicata...”. E Yannick Noah, durante una partita di tennis al Foro Italico, si fermò in mezzo al campo per guardarla. “E' vero anche questo”. Si dice che una volta il suo ex, Christophe Lambert, le fece un complimento inarrivabile davanti alle donne più ambite del pianeta. “Eravamo ad una festa a Parigi, c'erano Naomi Campbell e Claudia Schiffer. Davanti a queste donne, le più belle del mondo, Christophe mi diceva che ero io la più bella in assoluto. E io ci credevo”. Tra quelli che la cercavano al telefono c'era anche Gianni Agnelli...”La prendeva larghissima. Mi chiamava, parlava amichevolmente, dando sempre del lei e facendomi dei complimenti. E alla fine mi chiedeva se ero stata con Gianluca Vialli, che lui chiamava 'il pelato'...” La leggenda vuole che Vialli scappasse dal ritiro della nazionale, ai mondiali del 1990, per incontrarla. “E' una cosa che parte della mitologia, ma non lo dirò mai. Ci sono giorni in cui dico di si e altri in cui dico il contrario...”. Ora è fidanzata? “No, ma frequento delle persone”. Ha mai avuto una relazione con un politico? “Assolutamente no”. Qual è il politico che le oggi le piace di più? “Emma Bonino”. E cosa ne pensa di Matteo Salvini? “Lo studio con grande attenzione quando lo vedo in tv, ha grandi capacità ma onestamente non ne sono affascinata”. Sarebbe curiosa di andare a cena con uno come il premier Giuseppe Conte? “Solo se mi pagasse lui la cena”, ha ironizzato la Parietti a Un Giorno da Pecora. Le piace il movimento delle Sardine? “Si, mi danno l'idea di una piccola rivoluzione fatta col sorriso, hanno voglia di pace, di uguaglianza, di fraternità”. Come ricorda, oggi, quella volta in cui rifiutò nove miliardi di lire pur di non lavorare per Silvio Berlusconi a Mediaset, per una questione ideologica? “Si, all'epoca pensavo che prendere soldi da Berlusconi sarebbe stato un po' come vendermi al diavolo. Fu una cazzata enorme”. E' stato quello il più grande errore della sua vita? “Forse sì. Avrei potuto rimanere fedele a me stessa anche accettando quella offerta", ha concluso la Parietti a Rai Radio1.
Dagospia il 29 novembre 2019. Gli ammiratori come Alain Delon, le telefonate di Gianni Agnelli, la simpatia per il movimento delle Sardine e quello che, oggi, ritiene il più grande errore della sua vita. Alba Parietti ha rilasciato una lunga intervista a Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, nel corso della quale ha parlato di sé a 360°. Partiamo dai molti uomini che l'hanno desiderata: ha raccontato che una volta, davanti a lei, Alain Delon quasi svenne...”Si, è vero. Ma quella è una storia lunga e complicata...”. E Yannick Noah, durante una partita di tennis al Foro Italico, si fermò in mezzo al campo per guardarla. “E' vero anche questo”. Si dice che una volta il suo ex, Christophe Lambert, le fece un complimento inarrivabile davanti alle donne più ambite del pianeta. “Eravamo ad una festa a Parigi, c'erano Naomi Campbell e Claudia Schiffer. Davanti a queste donne, le più belle del mondo, Christophe mi diceva che ero io la più bella in assoluto. E io ci credevo”. Tra quelli che la cercavano al telefono c'era anche Gianni Agnelli...”La prendeva larghissima. Mi chiamava, parlava amichevolmente, dando sempre del lei e facendomi dei complimenti. E alla fine mi chiedeva se ero stata con Gianluca Vialli, che lui chiamava 'il pelato'...” La leggenda vuole che Vialli scappasse dal ritiro della nazionale, ai mondiali del 1990, per incontrarla. “E' una cosa che parte della mitologia, ma non lo dirò mai. Ci sono giorni in cui dico di si e altri in cui dico il contrario...” Ora è fidanzata? “No, ma frequento delle persone”. Ha mai avuto una relazione con un politico? “Assolutamente no”. Qual è il politico che le oggi le piace di più? “Emma Bonino”. E cosa ne pensa di Matteo Salvini? “Lo studio con grande attenzione quando lo vedo in tv, ha grandi capacità ma onestamente non ne sono affascinata”. Sarebbe curiosa di andare a cena con uno come il premier Giuseppe Conte? “Solo se mi pagasse lui la cena”, ha ironizzato la Parietti a Un Giorno da Pecora. Le piace il movimento delle Sardine? “Si, mi danno danno l'idea di una piccola rivoluzione fatta col sorriso, hanno voglia di pace, di uguaglianza, di fraternità”. Come ricorda, oggi, quella volta in cui rifiutò nove miliardi di lire pur di non lavorare per Silvio Berlusconi a Mediaset, per una questione ideologica? “Si, all'epoca pensavo che prendere soldi da Berlusconi sarebbe stato un po' come vendermi al diavolo. Fu una cazzata enorme”. E' stato quello il più grande errore della sua vita? “Forse sì. Avrei potuto rimanere fedele a me stessa anche accettando quella offerta", ha concluso la Parietti a Rai Radio1.
Alba Parietti ricorda la fidanzata del figlio morta a 25 anni: "Capii cos'è l'inferno". Libero Quotidiano il 18 Ottobre 2019. Nel 13esimo anniversario della morte della fidanzata del figlio Francesco, Alba Parietti ha affidato ad un post Instagram tutto il suo dolore. A corredo di una bellissima foto in bianco e nero di Luana, la showgirl ha lasciato un lungo messaggio per dar sfogo a tutto quel male che le ha cambiato irreversibilmente la vita. "Era la notte tra il 17 e 18 ottobre del 2006. Era il giorno del tuo 25esimo compleanno. Era un giorno in cui tu ti aspettavi sorprese bellissime e sulla strada, per non investire un uomo in bicicletta trovasti la morte. Rimarrai nel mio cuore, con quel tuo sorriso, con la tua bellezza con quel senso di ingiustizia che non riuscirò mai a placare. Una ferita per sempre il dolore più forte del mondo per tua madre e per Francesco, mi figlio che ti amava. E nessuna parola o gesto non riuscì a dare conforto e consolare", si legge nel post. "Quel giorno e nei giorni, nei mesi successivi io capii cos’è l’inferno e per me è stato quel senso di impotenza rispetto a tutto ciò che era accaduto e il dolore lo strazio senza fine che ne conseguì. Nulla è stato più uguale. Anche il mio modo di vedere la vita. Tutto sembrava così inutile. Ma tu sarai sempre Luana bellissima, dolce e sorridente generosa nel ricordo di noi tutti. Nelle lacrime che verso ancora oggi ogni volta che penso alla tua vita tragicamente e ingiustamente spezzata. Ora che Franca tua madre ti ha raggiunto spero abbia con te trovato pace amore bellissima. Indimenticabile tesoro, adorata Luana nei miei occhi per sempre".
Dagospia il 29 settembre 2019. Estratti dall'intervista ad Alba Parietti da “IO e TE di Notte”, il programma condotto da Pierluigi Diaco su Raiuno nella seconda serata del sabato.
DIACO: La sensazione che ho è che pur essendo naturalmente intelligente…, non hai bisogno che qualcuno te lo riconosca… è come se tu ti impegnassi da sempre a dimostrare di esserlo. Perché? C’è una sudditanza psicologica? Nei confronti di chi?
PARIETTI: " Di mio padre e mia madre. Perché io avevo veramente delle montagne da scalare. Avevo un nonno genio che sapeva dipingere, fare delle sculture meravigliose, autodidatta, una madre grande intellettuale, scrittrice, pittrice… un padre che non ti permetteva l’ignoranza. E io davanti a loro ero una pulce. Mi ricordo che una delle più grosse umiliazioni è stato un 3 in chimica. Mio padre era un chimico… Per mio padre lo studio era un dovere, un diritto e una scelta di libertà. E io mi sentivo quella che non era stata all’altezza".
DIACO: Solitamente le donne che subiscono il fascino delle persone intelligenti … solitamente se questa cosa la respirano in famiglia, la vanno a cercare anche negli uomini che poi incontreranno nella loro vita. Ho la sensazione che la tua passione non sia animata dalla carne ma più dalla passione per l’intelligenza altrui...
PARIETTI: "Ho cercato sempre un uomo che potesse dominarmi sul piano intellettuale e l’ho anche trovato. Mi piace anche subire, tra virgolette e sotto un certo aspetto, da un uomo molto molto intelligente. Più passano gli anni più la sfida diventa alta, non tanto per intelligenza quanto per esperienza. Spesso gli uomini molto intelligenti, soprattutto i geni, quelli che ho avuto la fortuna di conoscere nella mia vita, sono anche dei narcisi pazzeschi.
DIACO: Lo sei anche tu però...
PARIETTI: "A forza di frequentarli… io però ho una forma di narcisismo bonario. Li intercetto, ci riconosciamo e gli uomini con un forte narcisismo quasi sempre sono attratti da me: o vengo attratta da loro e ovviamente fingo di credergli".
DIACO: Un’altra cosa che ti attrae secondo me è il potere...
PARIETTI: "Beh, insomma… Agnelli mi telefonava spesso, chiacchieravamo molto… quando chiamava Agnelli, tu rimanevi a parlare con lui anche se stavi per prendere l’aereo. Hai presente Agnelli che ti telefona a casa? Mi chiamava Agnelli e io rimanevo con il telefono così...
DIACO: Perché Agnelli voleva conversare con te?
PARIETTI: "Perché era curiosissimo, di tutto, voleva sapere soprattutto i pettegolezzi e si divertiva a capire quale potere esercitava. Devo dire però che non siamo mai andati oltre delle piacevoli telefonate. Io non ho mai avuto un uomo veramente di potere. Non mi sarebbe piaciuto essere la donna di un uomo di potere. Di un artista sì, di un uomo di potere no. Non ho mai avuto un uomo veramente molto ricco. Io sono attratta soltanto dall’intelligenza e dal senso dell’umorismo. Non sono mai stata l’amante di un uomo di potere...
DIACO: E di una donna di potere?
PARIETTI: "No, però sono stata affascinata da una donna di potere che credo fosse anche molto affascinata da me e la trovavo molto affascinante… io sono la persona più curiosa del mondo soprattutto oggi che mi sono liberata dall’idea del sesso. Nel senso che il sesso non è più una priorità, quindi non ho un problema morale nei confronti del sesso. Siccome io riesco ad amare le persone su un piano proprio intellettuale… le più belle scopate si fanno con la testa, sempre!
DIACO: Ti sarebbe piaciuto nascere uomo?
PARIETTI: "Mi sarebbe piaciuto essere uomo per essere come mio nonno, che è stato veramente un uomo straordinario: i suoi ideali erano così forti, un uomo che per la libertà poteva morire. Perché la libertà è l’unico valore per cui si può morire. Io sono una donna libera a 58 anni, e quando la gente non mi rispetta e mi dice “Che lavoro fa?”, dovrebbe ricordarsi che una donna di 58 anni senza padrini, senza padroni , che alla fine non deve niente a nessuno, ha avuto tutto guadagnandoselo, va rispettata. … Io sono riuscita a fare il lavoro più bello del mondo, chiamiamolo anche non lavoro".
DIACO: Tu di mestiere fai Alba Parietti , che è un mestiere, perché la televisione si nutre delle tue partecipazioni, si nutre dei tuoi racconti e si nutre anche del tuo talento… ma essere Alba Parietti oggi , nel 2019… ti va ancora o ti sei stufata?
PARIETTI: "No, non cambierei la mia vita con nessun’altra. Con tutti i miei anni non potrei uscire dal mio corpo".
PARIETTI: "Da giovane ero una persona difficile, avevo una situazione difficile in casa, da gestire era difficile, difficilissima da raccontare, avevo uno zio (fratello della madre ndr) a Collegno in ospedale psichiatrico e non ne potevi proprio parlare, era devastante perchè arrivava una volta all’anno a Natale, io non lo conoscevo per niente (…)"
DIACO: Hai mai sofferto di depressione?
PARIETTI: "Ho avuto dei piccoli tratti depressivi ma in generale sono sempre stata una ragazza molto allegra come per altro era allegra mia madre nonostante la sua patologia che probabilmente era una forma di schizofrenia mai diagnosticata, quindi era mio padre che gestiva la situazione, subendola, perche’ era difficilissimo vivere con quel tipo di persona in casa, con quel tipo di patologia e non poterne parlare a nessuno. Quando mia madre aveva questo tipo di crisi e spariva, andava via, scappava di casa, io e mio padre dovevamo andare a riprenderla: improvvisamente questa donna che sembrava la donna più splendida della terra per me diventava un mostro, ma non lo potevo dire. Andavo a scuola e avevo dei comportamenti anomali, poi ero molto esibizionista, avevo bisogno di essere al centro dell’attenzione, gli altri non lo capivano e mi prendevano in giro (…) io credo che quasi tutte le persone che poi hanno avuto grande successo siano stati bambini bullizzati, perche’ erano bambini sicuramente diversi. Anche Vasco lo racconta in una sua canzone"
Diaco fa ascoltare solo in audio una voce che la Parietti riconosce immediatamente, è don Andrea Gallo e di lui Alba dice: "Credo sia stato l’incontro più prezioso che mi sia capitato in vita mia, lui diceva che ero la sua fidanzata e quando lo incontravo davanti a tutti diceva: signori, io ogni notte mi sogno questa donna, cosa dite, farò peccato?" Diaco a questo punto riferendosi a quanto detto poco prima dalla Parietti dice: certo passare da Agnelli a don Gallo...sei trasversale.
PARIETTI: "Con tutto il rispetto per Agnelli che e’ stato un emblema davanti al mondo, Andrea era… io pensavo di essere speciale per lui ma al suo funerale ho scoperto che Andrea persone come me ne aveva migliaia, lui era speciale per tutti, allo stesso modo quanto lui lo era per me, e quindi ho pensato ma quante vite ha vissuto quest’uomo per dare tanto così’"
PARIETTI: "Sono invidiosa del tuo rapporto con il tuo cane, perchè lui ti segue come un’ombra..."
DIACO: E il tuo?
PARIETTI: "Il mio no, lui ama tutti, è un ruffiano, lui va da tutti..."
DIACO: Secondo te assomiglia alla padrona?
PARIETTI: Non credo, spero che il mio cane non assomigli alla padrona perchè è un puttano…lui va da tutti, piace a tutti ed è un narciso, è un cane narciso...
DIACO: Fermiamoci qua perchè se no facciamo paragoni con i nostri animali domestici erischiamo purtroppo di vederci allo specchio, sia io che te cara Parietti...
PARIETTI: "Scusa ma praticamente mi hai dato della puttana... ma va bene, va bene...Ascoltando dal juke-box la canzone “Hurt” di Cristina Aguilera la Parietti si commuove: PARIETTI: Dopo una serata passata con gli amici, poi salgo in macchina, accendo lo stereo a tutto volume e ascolto questa canzone o delle altre canzoni che mi ricordano mia madre, mio padre e piango da sola ricordando le persone che ho amato…(con gli occhi lucidi) è bello…è bella la malinconia perchè vuol dire che hai vissuto dei momenti magici nella vita, io sono contenta di essere piena di…la gente mi accusa di essere troppo ridanciana...di far vedere il culo…ma il mio mondo interiore non lo voglio dare a tutti, perchè è qualcosa di molto personale e di molto privato: la sofferenza e il dolore sono cose talmente intime, talmente dolorose..."
Alba Parietti confessa: "Ho avuto un tumore a 37 anni". Il toccante messaggio di Emma Marrone sui suoi problemi di salute ha colpito profondamente Alba Parietti. La conduttrice, nel far forza alla cantante, ha svelato di esser stata colpita a 37 anni da un tumore all'utero. Novella Toloni, Sabato 21/09/2019, su Il Giornale. Siamo abituati a vederla solare, ironica e irriverente. Alba Parietti nasconde, però, anche un passato doloroso, che ha svelato sui social network. La Parietti ha voluto inviare un messaggio via Instagram a Emma Marrone, per dimostrarle appoggio e affetto in questo difficile momento per la cantante salentina. La popolare conduttrice ha, così, svelato di esser stata colpita, molti anni fa, da un tumore all'utero. Una confessione choc che l'ha riportata indietro nel tempo. "Bisogna avere il coraggio di fare e dare coraggio - scrive Alba Parietti nel suo post social - di poter dire che davanti alla malattia, alla vita alla morte, al dolore, alla gioia all’amore siamo tutti uguali. Ho avuto una neoplasia grave a 37 anni al collo dell’utero. Sono stata operata d’urgenza grazie alla solerzia del mio ginecologo e Jessica, che mi costrinse con dolcezza a sottopormi a un’accurata prevenzione". La conduttrice racconta delle amiche che le sono state vicine subito dopo l'intervento chirurgico e della paura di confessare ai suoi cari del male: "Non lo dissi né ai miei genitori né a mio figlio per non spaventarli. Ho risolto senza grandi traumi. Ma la diagnosi fu atroce da sentire: cancro. Sì, il suo nome era cancro generato dalla degenerazione del papilloma virus. Quando ti pronuncia questa parola il medico, tu pensi non stia parlando di te o a te. Invece accade. Esiste per tutti la possibilità. Esistono anche cure portentose, operazioni, terapie risolutive come lo è stato nel mio caso grazie a una prevenzione e un’immediatezza che avevo di operarmi, pagando". Un racconto che Alba Parietti ha voluto fare per dare coraggio a quanti stanno conducendo la loro personale battaglia contro una malattia, soprattutto a Emma Marrone. La cantante non ha spiegato quale problema di salute l'abbia colpita, ma la Parietti ha voluto incoraggiarla a lottare: "Tu sei un emblema di forza, di capacità di comunicare con coraggio. Le cose brutte devono avere un senso. Il senso della tua malattia sarà la tua battaglia perche tutte le donne abbiano eguali diritti , rispetto a prevenzioni e cure".
"Cara Emma, davvero forza , davvero ti sono vicina , davvero come tante donne ci sono passata e so , esattamente cosa si prova. Emma hai fatto tante battaglie , rischiando di tuo , mettendoci la faccia e anche questa volta sarai un esempio di coraggio. Il coraggio di chiamare le cose che possono accadere con il nome che hanno. Il coraggio di dire che siamo in mano al destino e siamo solo esseri umani fragili e vulnerabili come tutti e tutte . Il coraggio di fare e dare coraggio , di poter dire che davanti alla malattia , alla vita alla morte, al dolore , alla gioia all’amore siamo tutti uguali. Ho avuto una neoplasia grave a 37 anni al collo dell’utero , sono stata operata d’urgenza , grazie alla solerzia del mio ginecologo e Jessica che mi costrinse con dolcezza a sottopormi ad un’accurata prevenzione Il giorno dell’operazione arrivarono tutte le mie amiche , una “compagnia barbarica “, riuscimmo persino a riderci su .Non lo dissi ne ai miei genitori ne a mio figlio per non spaventarli . Ho risolto senza grandi traumi . Ma la diagnosi fu atroce da sentire : Cancro il suo nome era cancro, tra parentesi generato dalla degenerazione del papilloma virus. Quando ti pronuncia questa parola il medico, tu pensi non stia parlando di te o a te. Invece accade. Esiste per tutti la possibilità. Esistono anche cure portentose, operazioni, terapie risolutive come lo è stato nel mio caso grazie a una prevenzione e un’immediatezza che avevo di operarmi , pagando , che dobbiamo pretendere e ottenere per tutte come un diritto alla vita e alla salute gratuitamente . Tu sei un emblema di forza , di capacità di comunicare con coraggio. Le cose brutte devono avere un senso. Il senso della tua malattia sarà la tua battaglia perche tutte le donne abbiano eguali diritti , rispetto a prevenzioni e cure. Forza Emma forza donne ....Ci sono , ci siamo passate in tante molte hanno vinto alcune no è proprio per quelle dobbiamo far sentire la nostra voce , che garantisca a tutte uguali possibilità di cure, ripeto di prevenzione e rispetto per la propria salute e dignità".
“PIÙ CHE ALBA SEI UN TRAMONTO”. Da corriere.it il 10 settembre 2019. L’opinionista e critico d’arte Daniele Radini Tedeschi rivolge una domanda ad Alba Parietti durante la puntata «Vieni da Me» di Caterina Balivo, su Rai Uno, ma la showgirl non sente e replica: «Con i miei 58 anni portati orgogliosamente sono diventata sorda». Radini Tedeschi replica: «Allora più che un’alba sei un tramonto». Gelo in studio e la Parietti risponde piccata: «Tu sei un nobile? Ti manca un po’ di nobiltà, potrei darti delle lezioni...». A quel punto arriva la vera domanda del Criticone che chiede: «Come mai non ci sono state più pellicole come il Macellaio, è diventata vegana?». Caterina Balivo prova a smorzare i toni: «Se è una battuta, non l’ho capita...». Ma il danno è fatto e la tensione in studio è latente.
Da I Lunatici Radio2 il 12 settembre 2019. Alba Parietti è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino.
Sui segreti della sua forma fisica: "Dormo nel congelatore da molti anni, recupero nel sonno la metà degli anni. Scherzi a parte, non sto neanche troppo attenta all'alimentazione. Sono una buona forchetta. Col mio fisico ho sempre avuto un buon rapporto, se c'è una cosa di cui non mi sono mai potuta lamentare è il mio fisico, devo essere sincera. Ero molto carina da piccola, sono felice di esserlo ancora oggi a 58 anni. Ogni tanto mi scrivono vecchia, ritirati, ma non capisco perché. Io rispondo a chi scrive queste cose facendo notare la maleducazione più sfacciata. Quelli che cercano di offendere vanno trattati come loro trattano me. Uno ha il diritto di rispondere e di trattare come viene trattato. Se mi dici o mi scrivi una cattiveria ti tratto come meriti. Proposte indecenti sui social? Ne arrivano tante, da sempre. C'è di tutto".
Sul rapporto con gli ex: "In generale è buono. Franco Oppini? Lui ha detto una cosa molto poco signorile, anche se fosse stata vera. Il suo racconto, come l'ha raccolto il giornalista, era di una tale volgarità che mi ha lasciato basita. La nostra è stata una storia importante, sono la madre di suo figlio, il suo racconto è poco credibile e anche un po' ridicolo. Ma anche fosse stato credibile non andava fatto in quel modo. Io ho risposto, si è creato un caso mediatico dove anche lui è stato poi a sua volta ha ricevuto insulti che mi sono dispiaciuti. Gli voglio bene, è il padre di mio figlio, ma se avesse evitato di dire ciò che ha detto in quella intervista non sarebbe accaduto. E non era la prima volta".
Sul rapporto con le altre donne: "Tra donne c'è poca solidarietà, questo è il problema numero uno tra le donne. Le donne godono sempre della sconfitta delle altre donne. Pensano di essere sempre in competizione, in qualsiasi circostanza. Se qualcuna è invidiosa? Io ho un pubblico che si divide tra quelli che mi amano alla follia e quelli che mi detestano. Io posso essere o non essere rappresentativa di un certo tipo di mondo, sono una donna che ha fatto tutto da sola, che non è mai stata in vendita, ho il massimo rispetto delle donne che si sono costruite la propria identità in questa maniera. Non criticherei mai una collega gli haters mi divertono quasi e tra questi ci sono uomini e donne allo stesso modo".
Su Conte-Bis: "In Italia ormai immagino tutto, i ribaltoni sono classici nella politica italiana. Tutto si può dire degli italiani tranne che siano un popolo di rivoluzionari. In tanti seguono l'ultimo politico che prende potere. In quello che è accaduto ultimamente vedo una grande confusione, una confusione che è andata a favore di chi non la pensa come Salvini. Se quello di adesso è il Governo più a sinistra di sempre? Io sono contenta in fondo di come siano andate le cose, ma contenta nella mia ormai perenne rassegnazione. Per me la politica era un'altra cosa. Tutti mi hanno chiesto per quale motivo non mi sia mai dedicata a una carriera politica pur essendomi schierata sempre dalla stessa parte, ma in questo momento non vedo una ideologia in cui potersi riconoscere".
Luana Rosato per il Giornale il 10 settembre 2019. Solita ricevere commenti sprezzanti nei suoi confronti, questa volta Alba Parietti non è riuscita a rimanere in silenzio davanti alla critica feroce di un hater ed è esplosa con rabbia dando dello “stron.. senza allegria” al suo detrattore. Tutto è nato da una succulenta colazione in camera da letto che la Parietti ha voluto postare sul suo profilo Instagram elogiandone le qualità. “La mia colazione con le marmellate biologiche fatte in casa... Ospitalità siciliana gattopardesca della famiglia Tasca”, ha scritto la showgirl ringraziando lo staff per la cortesia dimostratale e per le fantastiche ore che le stavano facendo trascorrere. Lei, che si trovava in Sicilia in occasione della gara canora di Vallelunga, mai avrebbe immaginato che un utente della rete avrebbe usato quell’immagine per accusarla di essere una finta sostenitrice della sinistra italiana. “Se avesse vinto il comunismo in Italia col ca..o che facevi la colazione biologica a letto in una tenuta nobiliare, al massimo due cipolle contaminate alla Chernobyl – ha tuonato l’hater della Parietti - . Buongiorno compagna Alba evviva la resistenza, evviva la libertà e sempre bella ciao. Che adorabile farabutta”. Offese che la Parietti non ha accettato e che l’hanno fatta sbottare: “Si farabutta? Lei lo sa che rinunciai a nove miliardi delle vecchie lire per non dovere mai rinunciare al mio libero pensiero? Farabutto lei non è . Lei mi sembra solo un frustrato da poco, irrisolto e non stupido ma proprio per questo il suo pensiero violento pieno di risentimento la rende ancora più squallido. Lei è lucidamente un povero st....o senza allegria”. Una replica che ha istigato ancora di più l’hater della Parietti: “Dolce Alba quanta violenza verbale e quanta acrimonia: “adorabile farabutta” è un commento ironico e simpatico equivale a dire che adorabile canaglia – ha aggiunto ancora l’utente - . E poi parlare di soldi è molto volgare e non va proprio bene, non si addice ad una donna bella e intelligente come lei. La saluto compagna Alba e si prenda meno sul serio (non mi risultano sue opere, degne di nota che hanno segnato la storia di questo paese). Buona vita e si rilassi, mi scusi, dimenticavo che alla storia passeranno certamente le sue lunghe gambe e il suo gran c..o... Eh, e non è poco, anzi”. Davanti all’ennesima provocazione, però, la Parietti ha lasciato scivolare nel vuoto le critiche.
Novella Toloni per il Giornale il 19 agosto 2019. Alba Parietti non è tipo da mandarle a dire e oggi sfoga tutta la sua rabbia contro l'ex marito, Franco Oppini. La sua colpa? Aver rilasciato dichiarazioni poco carine sulla sua ex moglie in un'intervista al "Quotidiano.net". La coppia, separata da anni, è da sempre in ottimi rapporti ma questa volta Alba Parietti ha deciso di lavare i panni sporchi in piazza, raccontando la sua versione dei fatti. La popolare showgirl 58enne non ha affatto gradito alcune affermazioni di Oppini su come i due si siano conosciuti agli inizi degli anni '80 e ha deciso di rispondere, e rimproverare pubblicamente, l'ex attraverso i social network:
Dal profilo Instagram di Alba Parietti il 19 agosto 2019. Caro Franco, ti scrivo in risposta all’intervista di Degli Antoni. Purtroppo, non è la prima volta e non ne capisco il motivo, essendo noi in ottimi rapporti, che tu, racconti l’inizio della nostra storia dicendo che arrivai a teatro, andammo a cena tu mi snobbasti, mi chiedesti di accompagnarti in albergo e io tipo groupie ti segui. Per rispetto a nostro figlio , a mio padre che tu adoravi , a me trovo , che anche se tutto ciò fosse stato vero, 9 anni passati insieme ,una vita di rispetto reciproco, dovrebbero indurre chiunque dall’evitare simili poco verosimili ricostruzioni, perché ledono non solo la mia dignità ma anche la tua. Innanzi tutto conoscevo già voi “ gatti” , venni a cena invitata da Jerry ed entrambi in modi diversi mi faceste la corte. Avevo 19 anni e avevo appena rifiutato di partecipare alla finale di Miss Universo scatenando le ire dell’organizzazione che mi aveva eletto, perché non interessata a una carriera di Miss mondiale , più al teatro e alle radio e tv. Ero determinata e ben consapevole di ciò che valevo . Alla fine della cena , tu educatamente mi proponesti di accompagnarti. Girammo tutta la notte per Torino , come due ragazzini innamorati e alle 5 tra baci e risate ti lasciai sotto al tuo albergo. Mi chiamasti tutti i giorni. Mi invitasti a Sassuolo dove iniziò la nostra storia. Tra passione e dolore perché tu lasciasti una ragazza con cui stavi da 15 anni. Venisti a conoscere i miei e gli annunciammo l’arrivo di Francesco e il nostro matrimonio dopo solo 3 mesi. Non capirò mai perché , soprattutto gli uomini che più mi hanno amato e sofferto mi hanno denigrata... Spesso per mia manifesta superiorità, capisco la vostra debolezza e ci rido, ma anche la più solida pazienza ha dei limiti. Non mi piace essere descritta come non sono mai stata “ una facile”. Non lo sono in nessun modo e ho rispetto delle storie e dei sentimenti, anche di frustrazione che spesso gli uomini hanno provato nei miei confronti perché so di essere ingombrante , nei ricordi e con le nuove compagne. Ma ci vuole rispetto. Non è la prima volta che capita con te ed è successo anche con altri. Voi uomini siete fragili e avete l’ego poco strutturato. Ti perdono. Baci
Alice Penzavalli per "Libero Quotidiano" il 26 agosto 2019. Se c'è una donna del mondo dello spettacolo che non ha paura di esporsi, quella è sicuramente Alba Parietti. 58 primavere e 40 anni di carriera, ha sempre detto ciò che pensa, senza mai nascondere le proprie idee. «Avrei potuto essere una ruffiana, ma dico sempre quello che penso. Non sono salita sul carro dei vincitori nemmeno con Renzi», dichiara.
Si rispecchia ancora nei valori della sinistra?
«Bisogna fare i conti con la situazione attuale del Paese. Molto spesso il proletariato si trova molto più vicino a Salvini perché non si vede riconosciuti i diritti. Lo Stato non garantisce il welfare, l'ascensore sociale è inesistente e sembra che per crescere sia necessario fare qualcosa di illecito e non passare attraverso lo studio».
Crede nella meritocrazia?
«No. Mi domando come faccio a fare questo mestiere senza avere avuto un padrino. Chi fa una bella carriera solo per meriti personali viene sottovalutato e superato da chi ha gli amici più potenti».
Ha esordito negli anni '80. Erano tempi migliori?
«C'era la possibilità di imparare un mestiere, ma bisognava studiare. Adesso la gavetta da cosa è rappresentata, dai reality? Chi ha delle qualità e fa queste trasmissioni viene bruciato senza possibilità di crearsi una vera carriera».
Si riconosce nella tv di oggi?
«Poco, soprattutto perché le persone che veramente sanno fare bene televisione sono il 10%. Molto spesso la gente è intercambiabile, a seconda dello schieramento politico, e questo abbassa il livello generale».
L'incontro che le ha cambiato la vita.
«Quello con Ricardo Pereira, che mi diede la grande possibilità di Galagol a TeleMonteCarlo. Mi mise sullo sgabello a parlare di calcio e disse: "Accidenti, questa non capisce niente di calcio, ma non importa". Imparai e cambiai velocemente le regole del gioco nelle trasmissioni sportive».
Esporsi le è costato caro?
«È la mia natura. I miei nemici politici mi rispettano perché sanno che sono coerente».
Cosa pensa delle critiche rivolte alla Cuccarini?
«Penso che ognuno risponda di se stesso. Se ha sentito di esprimere un suo un parere e le è convenuto ha fatto bene, ma non mi permetto di giudicare. Preferisco essere giudicata».
Infatti a Ballando con le Stelle è stata giudicata.
«E anche querelata. Lì ho trovato assurdo ricevere insulti davanti a milioni di italiani da una signora che fa questo di mestiere. Mi ha offeso e poi mi ha pure querelato. Cosa che ho ricambiato, obtorto collo, ma avrei evitato questa terrificante buffonata».
Le manca avere un programma tutto suo?
«È evidente, ma non mi piace lamentarmi. Credo che la vita sia stata molto generosa con me e qualche piccola ingiustizia mi fa pareggiare i conti».
Nei giorni scorsi ha risposto al suo ex marito, Franco Oppini, in seguito alle sue dichiarazioni sul vostro primo incontro.
«Non sono disposta per amor di pace familiare a sopportare di essere offesa. L' unico intervento serio e risolutivo sarebbe stato quello di scusarsi, cosa che non c' è stata. L' ho sottoposto a una gogna mediatica che non immaginavo e ho chiesto scusa, ma ho difeso con tono educato la verità dei fatti e il valore più importante al mondo, la mia dignità».
È una donna forte.
«Lo sono sempre stata, ma anche diventata. Sono cresciuta con una madre complicata, ho imparato a difendermi fin da piccola. Ma le lagne non portano a niente, bisogna prendere la propria vita in mano.
Le donne lo devono ancora imparare?
«Per una donna che si ribella a un uomo ce ne sono mille pronte ad accoglierlo per paura di non essere all' altezza. La cosa che mi disgusta di più è che noi donne non siamo capaci di farci rispettare. Veniamo cresciute nella cultura di tenerci un uomo a qualsiasi costo, ma io di un uomo che non mi rispetti non so cosa farmene».
Alba Parietti attaccata dall'ex marito e dalla De André. Nel cinque contro tutti a "Live non è la d'Urso", Alba Parietti viene pesantemente attaccata da Francesca De André e dall'ex marito, ma alla fine la spunta lei. Roberta Damiata, Lunedì 14/10/2019, su Il Giornale. Due delle opinionisti più graffianti della tv arrivano contro cinque "sferati", contro di loro: Franco Opini, Karina Cascella, Caterina Collovati, Giuseppe Cruciani. Sono contro di loro ognuna per qualcosa che ha fatto parlare a lungo la stampa. Si inizia da Alba Parietti e della polemica con l’ex marito Franco Oppini. I due si sposano nel 1991, e come molte altre coppie si sono però separati mantenendo poi ottimi rapporti. Fino a questa estate in cui Franco rilascia un’intervista in cui sostiene che fu Alba a “provarci” con lui. Alba non ci sta e tramite social intima all’ex marito di farle delle scuse per non farla passare per una donna che va a letto la prima sera. Si girano le sfere e in una di queste c’è proprio Franco Oppini. I due si salutano, ma poi Franco parlando con Alba dice che ha fatto tutto da sola. Lei con il sorriso sulle labbra dice però che ha soltanto risposto a quello che lui a dichiarato, e che non è la prima volta che dichiara queste cose che non corrispondono alla verità. Ma Oppini le spiega che lui ha dato la sua versione, e che nonostante le abba già chiesto scusa, non si sente in colpa perché quello che ha dichiarato è quello che pensa e che non ha detto nessuna scemenza, rispondendo alle “accuse” di Alba. “Ti sei presentata - le dice Franco - come fossi la Regina d’Africa, e io usando una tattica maschile ho evitato giocando poi il Jolly chiedendoti di accompagnarmi in hotel”. “Ma poi abbiamo girato per tutta Torino e solo alla fine ti ho accompagnato sotto l’hotel” puntualizza la Parietti. “Il resto è stato tolto dal giornalista” precisa Oppini. Ma lei non ci sta mettendo in chiaro che è già la seconda volta che racconta queste cose”. Ma non è l’unico attacco che riceve nella serata, perché c’è una sfera volutamente rimasta girata che ha qualcosa da dire ad Alba. Si tratta di Francesca De André, con il cui padre Cristiano, Alba ha avuto una breve relazione. La Parietti aveva scritto tempo prima una lettera aperta a Francesca dicendo di comprenderla e di andare avanti con il suo intento contro il padre, ma di essersela poi “rimangiata” quando ha invece fatto pace con Cristiano. Francesca è fuori di sé e attacca Alba su qualsiasi cosa mettendo a dura prova la sua pazienza. Sul fatto di aver avuto tanti uomini, su quello di essersi rimangiata le belle parole che aveva scritto. Alba cercando di contenerla le racconta che Cristiano, è uno sei suoi migliori amici, e che comunque le vorrà sempre bene ma questo non vuol dire che si è rimangiata le parole. Alba ammette che suo padre ha fatto tanti errori, ma Francesca è implacabile. Alba risponde, che ha sbagliato a mettersi in mezzo a la storia tra lei e suo padre, e dice che sta facendo del male a se stessa e che lei sta sbagliando peggio del padre, e che per avere un minimo di scena butta “merda” gratuitamente. Volano parole grosse ma alla fine è il pubblico che sceglie e Francesca De André, risulta quella meno gradita da tutti.
“HO ACCECATO MOLTE GENERAZIONI E FORSE ANCORA 'JE L'AMMOLLO'...” Da I Lunatici Radio2 il 14 giugno 2019. Alba Parietti è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", il programma condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta ogni notte dall'1.30 alle 6.00 del mattino. Alba Parietti ha commentato una foto che ha pubblicato su Instagram, in bikini, in cui mostra ancora un fisico perfetto: "Ho accecato molte generazioni e forse ancora 'je l'ammollo'. La foto su Instagram? L'Italia è già impazzita da un pezzo e io gli sto dando una mano in peggio. I grandi interrogativi di questa nazione sono trovare Mark Caltagirone e capire se io ho usato Photoshop. Devo dare una delusione, ho visto quanti esperti e rosiconi sono apparsi a dire che la foto era ritoccata. Vorrei pubblicare l'originale per far rosicare. Qualsiasi donna se si vede un difetto cerca un po' di eliminarlo, ma quello scatto è molto simile all'originale. E poi non è che la vecchiaia può accorciarmi le gambe. Non toccatemi le gambe. Ho avuto tante volte a che fare con l'invidia nella mia vita, io mi amo molto e mi amo anche in questa fase, nella sfida col tempo e nella sua accettazione. Invece una delle più grandi tragedie dell'umanità è proprio l'invidia. Le donne sono le peggiori nemiche di sé stesse, non riescono a solidarizzare, è facile metterle l'una contro l'altra giocando sulla vanità". Alba Parietti ha aggiunto: "In tutta la mia vita non ho fatto nulla agli altri che non avrei accettato fosse fatto a me. Può capitare di fare del male involontariamente, ma una cosa subdola non l'ho mai fatta. Ad esempio, se sono amica di una donna, se anche avesse il marito più speciale della terra, per me quell'uomo diventa trasparente. Invece a me le amiche hanno spesso provato a rubare il compagno. E io le ho anche perdonate. Anche perché loro ci hanno provato con i miei uomini, ma non ci sono riuscite". Alba Parietti e Mughini ultimamente hanno avuto dei battibecchi. La Parietti commenta così: "Prima c'è stato un confronto sulla Resistenza al Maurizio Costanzo Show, poi dopo qualche giorno ha tirato fuori la polemica scatenata da Collovati con quelle parole sulle donne che non capiscono di calcio, facendo un articolo dove prendendo le difese di Collovati buttava merda su quelli che erano stati i miei pregressi nel mondo del calcio, dicendo che io avevo avuto successo solo perché accavallavo le gambe. Io ho inventato un nuovo modo di fare televisione, ho rivoluzionato il mondo di fare tv, che in quel momento con il calcio faceva la messa cantata. Galagol ha salvato le sorti di Telemontecarlo, che era un tv straordinaria ma che nessuno conosceva. Io ho creato un nuovo modo di vivere il calcio imitato e riportato da altri grandissimi. Non riconoscermi questo e darmi solo della scosciata è veramente riduttivo. Se Mughini ha un problema con me vorrei capire da cosa dipende. Non capisco da dove nasca questo suo rancore mal gestito nei miei confronti, non è né una ex bella figa della mia età, né abbiamo mai avuto fidanzati in comune". Sull'escalation politica della Lega: "Salvini attinge molti voti soprattutto dalle paure che capisco possano prendere le persone. La sinistra dovrebbe essere più attenta e vicino alla gente. Ad esempio come parla Sala a Milano dei rom, dimostra che è bravissimo. Bisogna trovare un modo di comunicare che si comprensibile. Salvini parla in italiano, altri politici sembrano come l'avvocato che parla con termini incomprensibili. Bisogna dar modo all'elettorato, anche quello più semplice, di capire cosa si comunica. Bisogna modificare il linguaggio, andare più verso il cuore e le esigenze della gente".
Alba Parietti a ''Belve'' con Francesca Fagnani il 31 maggio 2019. E' risaputo che ad Alba Parietti, showgirl tra le più amate in Italia, vengano attribuiti molti amori e, ospite di Belve, il programma di Francesca Fagnani in onda sul Nove, venerdì 31 maggio, alle 22,45, non ne risparmia neanche uno. E' nota la lunga relazione che la legò al filosofo Stefano Bonaga, di cui si conosce la fede politica “rossa”, forte al punto che convinse la conduttrice torinese a rifiutare ben 9 miliardi offerti da Silvio Berlusconi: non meno famosa è però la militanza della Parietti che negli anni si è guadagnata l'appellativo di “coscia lunga della sinistra”. Impossibile non sapere dell'amore con Franco Oppini, con cui ha avuto suo figlio Francesco. Un recente ritorno di fiamma c'è stato con l'attore francese Christopher Lambert, che l'attrice ha commentato così: “Eravamo gli Albano e Romina de noantri che sembrava brutto dire: 'Veramente non c'entriamo più una mazza'”. Eppure ci sono delle altre relazioni più nascoste e dei corteggiatori che non le si attribuirebbero. “E' stata una grande fascinazione e io sono stata sedotta in una maniera totale da questo uomo che ho trovato irresistibile”, ammette l'ex concorrente della XII edizione di Ballando con le stelle parlando del pianista e compositore Ezio Bosso: “E' un grandissimo, immenso artista – continua Alba - ed è un uomo che ha una capacità seduttiva immensa, che unità all'arte è un siero”. Nel raccontare la loro storia, Alba non omette la malattia neurodegenerativa di cui il musicista soffre dal 2011, sopraggiunta in seguito all'asportazione di una neoplasia: “E' grandioso anche nel rappresentarsi nella sua fisicità”. “Senta ma è vero che tra i suoi corteggiatori c'è anche Saviano?”, incalza la conduttrice Francesca Fagnani. “Questa è una bella notizia! Me la sta dando lei - risponde sorpresa la Parietti -. Mi piacerebbe molto: è un grande scrittore. Sarebbe molto divertente, piacevole”, conclude divertita la showgirl. E da scrittori impegnati si passa ai rapper del calibro del milanese Alessandro Aleotti, in arte J-Ax: “Ma io neanche lo conosco!” smentisce la Parietti. Alba invece non si nega alla domanda che riguarda l'ex calciatore Gianluca Vialli: “Sì, certo: è stato un mio flirt. Dopo 20 anni diciamolo!”. Quello che la Parietti definisce “un peccato di gioventù” è stato un innocente tradimento durante i mondiali del 90: “Ho grande rispetto per la fidanzata dell'epoca, che secondo me lui amava tantissimo. Dai Gianluca diciamolo: è caduto in prescrizione, non ci mettono manco più in galera!”.
“E' molto difficile per una persona che ama veramente il sesso fingerlo, o meglio, per una persona che amava il sesso. Adesso sono più contorta sul piano intellettuale e meno sul piano fisico. Faccio meno fatica. Ho corteggiatori dai 23 ai 90: tanto non facendo sesso posso fare quello che voglio”. Alba Parietti, ospite della terza stagione di Belve, il programma di Francesca Fagnani in onda su Nove, venerdì 31 maggio alle ore 22,45, rivela questa nuova sfumatura della sua vita. Eppure la showgirl tra le più amate in Italia, volto della Rai di Boncompagni, giudice e opinionista nei reality più famosi, nonché ex ballerina di Milly Carlucci nel programma Ballando con le stelle viene ricordata oggi anche per la sua parte nel film erotico Il Macellaio di Aurelio Grimaldi, del 1998, a cui l'attrice prese parte dopo aver rifiutato di entrare a far parte del cast di Così fan tutte di Tinto Brass. Purtroppo però la pellicola al cinema non soddisfò le pulsioni del pubblico: “Facemmo addirittura fatica a farci dare il divieto ai minorenni. Ci volevano dare i 14 anni”, racconta la Parietti che non risparmia un simpatico episodio del backstage: “Mi resi conto che eravamo molto poco erotici quando girando una delle scene di sesso più forti la troupe disse ad Aurelio: "A Dottò ce sta la partita". E lì ho pensato: 'Se questi della troupe preferiscono vedere la partita che me, che all'epoca ero “l'icona del sesso”, in un amplesso pazzesco, questa scena, di sesso, non ne farà a nessuno. E così è stato”. Un difetto non da poco per un film sui generis, forse da attribuire al troppo pudore: “Le persone non lo sanno, ma nelle scene di sesso – rivela la Parietti - usavamo la pelle di daino per non avere un contatto fisico”. Il film infatti, per stessa ammissione di Alba, è passato rapidamente dalle sale cinematografiche alle televisioni degli italiani, dove invece sembrò trovare maggiore consenso: “Il Macellaio è andato in onda più della Passione di Cristo!”, commenta divertita.
Parietti: “Alla camomilla dei buoni preferisco l’adrenalina dei cattivi”, scrive Antonella Grippo su ilgiornaleoff.ilgiornale.it il 14/04/2019. Alba Parietti ancora una volta non le manda a dire. A “Vieni da me”, ospite di Caterina Balivo su Rai 1, Alba ricorda quel siparietto/ scontro frontale con Selvaggia Lucarelli (pur senza nominarla) a Ballando con le stelle, per il quale poi finirono in tribunale. Quando c’è una rissa televisiva – spiega la Parietti – di solito si conclude lì; in quel caso invece (con la Lucarelli) si finì in tribunale con tanto di querela. Per l’occasione, vi proponiamo dunque la nostra intervista all’indomabile Alba di Antonella Grippo. Lei è l’indizio più assertivo della “verità” di Aristotele: corpo e anima in perfetta indissolubilità. Anche se gli irriducibili cultori di Platone (ossessivamente attenti ai distinguo tra l’eterno e le frattaglie di questo mondo), più che l’anima non le perdonano quel corpo indomito e felino, «di cui amo essere ostaggio perché nasconde il più inamovibile dei calcinacci del mio inconscio: l’incompiuta maschietà». La incontri e capisci subito che, forse, i tuoi pregiudizi titanici sulle donne potrebbero ingracilirsi. Alba Parietti spariglia, è l’inedito, persino quando pensi di supporLa, avendo consuetudine con le sue parole. Ti conduce in mare aperto.
Parietti, non dirmi che mediti di ormeggiare, altrimenti mi tocca riscrivere il prologo.
«No, non medito di ormeggiare, anche perché detesto indulgere alla tentazione ipnotica della noia, che, come sai, avverso da sempre. La mia erranza in mare aperto continua. Del resto, non ho mai eluso la seduzione del rischio, che però oggi valuto sempre con estrema lucidità, considerandone ogni insidia. In amore, alla camomilla di uomini buoni ho sempre preferito l’adrenalina di quelli cattivi, inquieti, che, pur avendo arrecato “lividi all’anima”, mi hanno restituito traiettorie seducenti da esplorare. Ho giocato d’azzardo, tra onde tempestose. Ho attraversato passioni divoranti. Cosa vuoi, la materia oscura del sentimento… Ho l’indole omerica del viaggio tormentoso».
La stessa indole che non sopporta le prigioni semantiche del “politicamente corretto”? Ed in nome della quale, ad esempio, invece di proclamarti femminista, ti descrivi come “femmina libera”?
«Tutto ciò che finisce in “ismo” non mi affascina. Mi suggerisce cose ferocemente ideologiche. Preferisco la forza del “femminile” declinato in modo non fondamentalistico. D’altro canto, sono cresciuta in una famiglia in cui i modelli maschili erano protettivi, ma non dispotici. Mio padre e mio nonno, dolcemente forti. Mia madre, invece, era controversa. Artista, forte nella sua fragilità. Non ho regolamenti di conti postumi con i maschi della mia infanzia. Non posso dire lo stesso degli uomini con i quali ho poi condiviso relazioni amorose tutt’altro che idilliache. In ogni caso, ho sempre preferito il dialogo alle dichiarazioni di guerra fra sessi. Anche se devo riconoscere che, ancora oggi, siamo distanti mille anni luce dalla parità tra generi. Penso alle molestie sessuali. Spesso, certa stampa, rispetto a chi è accusato di aver violato, in qualche modo, il corpo di una donna, mostra indulgenza, ricordandoci che il “malcapitato” ha famiglia e privacy che devono essere tutelate dall’assalto mediatico. Un occhio di riguardo, insomma. Penso al mondo del lavoro e delle opportunità in cui, da donna, non hai ancora diritto compiuto di cittadinanza. Insomma: la strada è tutta in salita. Tuttavia, non amo gli integralismi femministi».
Anche la tua bellezza è simbolicamente eversiva?
«Sì, la mia bellezza non è mai stata rassicurante. Per molti uomini, destabilizzante e selvaggia. Non tradizionalmente sedante. Da Musa inanimata. Un oltraggio, insomma. Ora la ritrova in giovani donne e giovani uomini che “invidio”. Sia chiaro: la mia invidia non è da intendersi in senso classico. Uso il termine nell’accezione più sana e positiva: si tratta di ammirazione. Rapimento contemplativo. Puro gusto estetico».
Appare sempre più eretico il tuo rapporto con la sinistra, cosiddetta ortodossa, che hai spesso criticato. Diciamola tutta: Renzi non ti ha mai entusiasmata granché. O no?
«La sinistra, la cui traccia resta nel mio Dna, è quella delle origini, attenta alla giustizia sociale, alla distribuzione equa della ricchezza, alle ragioni degli ultimi. Quella che avversa i privilegi. Non è un caso che Papa Francesco abbia coperto uno spazio pubblico, ormai disertato dalla politica, che evidenzia una sua oggettiva debolezza. La sinistra, nella sua versione di governo, ha smarrito potere di seduzione popolare e di persuasione. Lo dico spesso. Ecco perché Renzi, forse, non mi ama. Vedi, il mio rapporto con Berlusconi è stato sempre molto chiaro. Non ho mai votato per lui. Proprio per la leale contrarietà che ho espresso nei confronti della sua politica, posso contare sulla sua stima. In ogni caso, resto anarchica: non m’intruppo. Solo così sei credibile come professionista. Non chiedo la protezione o il patrocinio di chi comanda».
Stai dicendo che Berlusconi è meglio di Renzi?
«No, dico che non sono salita sul carro di Renzi quando tutti erano a bordo anche per interesse. Avrei potuto essere anch’io della partita, nessuno l’avrebbe trovato strano, stante la mia biografia politica di sinistra. Invece, non ho rinunciato al mio spirito critico. In sintesi: l’affollamento che ogni volta si crea nei dintorni del potere non mi piace. Nella stanza di chi non vince c’è sempre più spazio. Si sta da Dio. Non condivido la teoria di Vespa secondo cui la Rai è naturalmente e fisiologicamente contigua al potere. Mi chiamo fuori. Costi quel che costi. Sono una vincente sul carro dei perdenti».
Ho capito che l’obbedienza cortigiana non è il tuo forte. Per questo non hai un programma in tv? A proposito di televisione, non dirmi che non ti piacerebbe essere travolta dal fiotto popolare del Grande Fratello!
«Mi hanno chiesto più volte di essere protagonista del Grande Fratello. Ho sempre rifiutato. E non perché nutra pregiudizi rispetto a questo tipo di programma, che, proprio grazie alle sue caratteristiche, spesso invise ai radical-chic, raggiunge e convince milioni di telespettatori. Non entrerei mai nella Casa per un’altra ragione. Sono incapace di travalicare il limite che tutela la mia dignità. L’intimità delle mie liturgìe quotidiane. Lo sguardo del pubblico non deve inoltrarsi in tutti gli anfratti della mia vita. Detto ciò, rispetto chi sceglie di partecipare al Grande Fratello, che, dietro le fattezze del format trash, riesce a veicolare anche qualche idea sana. La tv non deve evangelizzare le masse, attraverso un’operazione verticale e spocchiosa. Inutilmente aristocratica. C’è spazio per linguaggi diversi tra loro. La tv è speculare alla vita. E la vita non è un cenacolo permanente di filosofi. La vita gronda di sentimenti veri, di bruttezze, insulti, conflitti. Nasconderli significa censurare la vita. Quanto all’eventualità di un mio programma in tv, ti dico che non lo farei mai in modo da ossequiare la linea del potente di turno».
Con Dio hai risolto?
«Ho una visione laica del rapporto con Dio. E non potrebbe essere altrimenti. Sono certa che, dopo la morte, mi trasformerò in energia pura che viaggerà lungo l’universo. In ininterrotta erranza. Così come ho vissuto».
COSCELUNGHE CONTRO. Da I Lunatici Radio2 il 17 gennaio 2019. Alba Parietti è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta ogni notte dall'1.30 alle 6.00 del mattino. Alba Parietti ha commentato le parole di Lorella Cuccarini sulla situazione politica in Italia: "Ha detto che questo Governo ha fatto più cose di sinistra degli altri governi? Non sapevo che Lorella si occupasse di politica...Interessante questo suo spunto sociologico e politico. Quindi dopo Gramsci e Berlinguer c'è Salvini. E' veramente una teoria molto molto interessante che mi fa capire quanto sia attenta alla politica e alla storia...Mi sembra evidente che il pensiero di Lorella sia ben allineato con Salvini e mi sembra che lo esprima addirittura evocando la sinistra. Salvini è talmente bravo a fare la propria politica che non credo abbia ulteriormente bisogno di sostenitori. Mi sembra ne abbia già abbastanza. Il carro dei vincitori è sempre molto pieno. C'è sempre molto poco posto. Io non riesco a star comoda su questo carro. Trovo che tutta questa rincorsa a soccorrere il vincitore, che è lo sport nazionale più praticato, sia poco divertente. E' molto meglio in questo momento, per fingere almeno di essere ancora in democrazia, provare ad esprimere un pensiero contrario. Salvini in questo momento è vincitore a tutti gli effetti, definirlo addirittura più di sinistra di quelli di sinistra mi pare veramente azzardato. Se vogliamo paragonare Salvini a Che Guevara, a questo punto Berlusconi era Trockij, Mi divertirebbe un confronto in un talk con la Cuccarini, vorrei capire qual è la sua concezione della sinistra. Salvini ha bisogno di tutto tranne che di soccorritori, vorrei capire come si formano certi pensieri. Cosa ci vede di sinistra la Cuccarini nella politica di Salvini?". Su Berlusconi: "Devo spezzare una lancia per lui, una delle persone che ci ha regalato in fondo veramente vent'anni di grande democrazia. Certi atteggiamenti da parte sua non erano mai aggressivi. I suoi toni magari sono stati discutibili, ma io gli ho sempre detto di non averlo mai votato e non ho mai avuto problemi a lavorare nelle sue reti. Su questo, più in buona fede di me, penso non ci sia nessuno". Sulle polemiche che hanno riguardato Baglioni e il prossimo Festival di Sanremo: "Condivido il pensiero di Baglioni per quanto riguarda l'odio dilagante. Non mi pare che Baglioni abbia detto nulla di grave. Se siamo arrivati al punto che un artista non possa esprimere un pensiero controcorrente è finita. La gente dovrebbe apprezzare chi ha il coraggio di andare controcorrente, a meno che non abbia un pensiero stragista o incitante all'odio. Il paradosso è che i fans di Salvini sono molto più salviniani di Salvini stesso. Salvini è più aperto al dialogo rispetto ai suoi fans. I cortigiani son sempre più realisti del Re. Sono dalla parte di Baglioni, sarò sempre sul carro che viaggia in direzione contraria al potere. Le opinioni a favore della maggioranza mi fanno quasi ridere. Un partito politico non è squadra di calcio, che senso ha inneggiare a un partito nel momento in cui vince?". Alba Parietti sarà opinionista della prossima edizione dell'Isola dei Famosi: "Sono pronta, sarò con Alda D'Eusanio e la fantastica Alessia Marcuzzi, le voglio un gran bene e non lo dico per piaggeria. Si prepara un'edizione pazzesca, Brosio è scatenato, credo sarà quello che ci regalerà più sorprese, ha l'ormone e il testosterone a mille, non sa se riuscirà a tenerlo a bada nonostante la fede. Pare che ce ne siano diversi scatenati, c'è una bella mandria di tori, tutti scatenati. E anche molte donne pazzesche. Ne vedremo delle belle".
Valerio Palmieri per “Chi” il 17 aprile 2019. Sono nata sotto i riflettori. Mio padre fu uno di quei genitori che, con l’arrivo del benessere, comprarono le prime videocamere per avere ricordi dei figli: mi ha fatto vivere subito da protagonista», racconta Alba Parietti, l’unica donna a finire ogni giorno su tutti i media per qualcosa che ha detto.
Come funziona?
«Mi chiamano per chiedermi un parere su qualunque argomento e, ogni cavolata che dico, diventa un caso. Forse è per questo che mi chiamano (ride, ndr), in realtà penso di non essere banale e questo grazie alla mia frequentazione con gli intellettuali che perdono tempo volentieri a parlare con me».
Domanda. È esplosa in un programma di calcio che si chiamava Galagoal: sono più interessanti sessualmente gli intellettuali o i calciatori?
Risposta. «Che domanda, non c’è paragone. Gli intellettuali sono molto più perversi, i calciatori sono basici. Altrimenti mi sarei fidanzata con un calciatore».
D. Le attribuiscono, però, flirt con Vialli e con Mourinho.
R. «Mi fa piacere perché loro sono i più grandi di tutti. Avrei tanto voluto che fosse vero con Mourinho, anzi, sono disponibile a fare in modo che questa fantasia diventi realtà: se torna all’Inter posso vendere l’anima alla sua squadra».
D. Anche se suo figlio, Francesco, è il numero uno fra i commentatori televisivi juventini?
R. «Le dico solo che, quando tifavo Mourinho e andavo allo stadio a vedere le partite, l’Inter ha vinto nello stesso anno scudetto, Champions League e Coppa Italia. La leggenda narra che io mandi una foto di mia madre che raccoglie margherite alle persone alle quali voglio bene come portafortuna, non posso rivelare i destinatari, ma hanno goduto tutti di ottima sorte».
D. Marco Maddaloni, vincitore dell’Isola, l’ha ringraziata.
R. «Lui, posso svelarlo, è uno dei possessori di quella foto: l’ho mandata la mattina stessa della finale a sua moglie, Romina, che me l’ha chiesta dopo aver saputo questa storia».
D. L’Isola è stata un “inferno” come dice Alda D’Eusanio?
R. «Ma no, con Alda è questione di giornate, dipende da come si sveglia. Posso testimoniare, però, che i nostri interventi erano centellinati, ho parlato di più a Sanremo con Pippo Baudo che non mi faceva leggere nemmeno il numero verde».
D. Lei, però, si prendeva la parola lo stesso.
R. «Cercavo di dire il mio pensiero in tempo reale, ho fatto la stessa cosa anche dopo il video in cui Corona parlava del presunto tradimento subìto da Fogli. Ci siamo resi conto tutti dell’incidente ma, se mi fossi presa la scena e mi fossi alzata per uscire dallo studio, sarei stata disonesta. Non abbandono mai la squadra per la quale gioco».
D. Era sbagliato riportare a Fogli quel gossip sulla moglie?
R. «Chi sta sull’Isola vive una condizione di stress e di sofferenza e, quindi, appare indifeso. Certo, un messaggio violento come quello in altre trasmissioni è scontato, ci sono programmi che vivono di quello, la differenza è che negli altri casi il destinatario è seduto in salotto e può anche alzarsi e andarsene, lì no».
D. Alda è stata ingenerosa?
R. «Ci siamo sentite frustrate. Abbiamo incassato e reagito con il sorriso, lei ha voluto esternare il proprio malcontento, io l’ho fatto direttamente in trasmissione quando qualcuno ha provato a zittirmi. Ma sono sempre grata a chi mi sceglie, al massimo ripenso a una frase di Groucho Marx: “Ho passato una serata meravigliosa, ma non era questa”».
D. Dice sempre quello che pensa, è per questo che in Rai non ha potuto mettere piede per anni?
R. «Quando Mauro Mazza era direttore di Raiuno si alzò un muro clamoroso, non potevo mettere piede in nessun programma. Oggi non so cosa faccia Mazza, ma in Rai ci vado spesso e volentieri. I direttori passano, le Parietti restano».
D. La sua amica Paola Ferrari ha detto che Diletta Leotta, con i ritocchi che avrebbe fatto per essere più sexy, non è un modello.
R. «No, guardi, premesso che Paola per me è più di una sorella, non posso rispondere anche di quello che dice lei. Si diverte a provocare, se lo può permettere».
D. Quindi le piace la Leotta?
R. «È ovvio che la odio, come tutte le donne della mia età di fronte alle strafighe, come le viene in mente solo di pensare che possa piacermi? (ride, ndr)».
D. Ai suoi tempi bastavano le gambe, fu soprannominata “la coscia lunga della sinistra”.
R. «Bastavano le gambe e 18 anni di gavetta. La cosa che mi fa più arrabbiare è che la Leotta sa anche palleggiare, quando l’ho vista con il pallone attaccato al piede ho preso il Maalox come Beppe Grillo».
D. Torniamo alle gambe.
R. «Il New Yorker e Le Figaro dedicarono una pagina alla mia bellezza, era un periodo in cui non solo facevo girare la testa agli uomini, li facevo proprio svenire, come accadde ad Alain Delon».
D. Quando?
R. «Eravamo ospiti di un programma di Maria De Filippi e, prima di andare in scena, abbiamo avuto una conversazione che lo innervosì così tanto che svenne».
D. Cosa gli disse?
R. «Quello lo scriverò un giorno nella mia autobiografia, se vuole saperlo deve cominciare a prenotarla».
D. Con i francesi è peggio di Salvini: Delon, Lambert...
R. «Parliamo di narcisisti ad altissimi livelli, e comunque amo Delon».
D. A proposito di narcisisti, ha rilanciato il ruolo dell’opinionista.
R. «L’ho fatto per necessità perché non mi facevano più condurre, ma adesso vorrei di nuovo un programma mio. Ho partecipato a trasmissioni geniali e innovative come Galagoal, Macao, Grimilde, scritto da me e Giovanni Benincasa, che hanno copiato in Francia mentre in Italia è stato accantonato. Ma non dispero, sono come la goccia cinese».
D. Qual è la sua abilità?
R. «Guglielmi, direttore storico di Raitre, mi ha detto: “Vedi Alba, tu puoi parlare un minuto di politica e un minuto dopo di cazzate, ma così non annoi e non ti annoi”. Tutti abbiamo bisogno di leggerezza, guarda i 30 anni di Blob, bisogna passare dal dramma alla farsa, non fossilizzarsi sullo stesso argomento».
D. Non si rischia di diventare tuttologi?
R. «Se sei la Parietti o Sgarbi no».
D. Che cosa pensa di Salvini e Di Maio che mostrano le loro conquiste femminili sui rotocalchi?
R. «Sul piano della comunicazione Salvini ha preso il posto di Berlusconi che, bisogna ammetterlo, era geniale perché sapeva mettersi in contatto con tutti, e lo fa ancora. Di Maio temo sia scuola Casalino».
D. Ha detto che è difficile avere amiche in tv, perché?
R. «Ho poche amiche storiche come Paola Ferrari e Mara Venier, che hanno una vita interessante da raccontare, e vado molto d’accordo con le fidanzate dei miei ex perché mi piace capire: se hai amato una persona ti piace anche chi ha fatto parte della sua vita».
D. Ha amicizie trasversali, è vero che una volta propose al produttore Bibi Ballandi un programma con lei, Morgan, Sgarbi e Cristiano De Andrè?
R. «All’inizio mi disse: “Mi ripeti i nomi? Lo sai che mi piacciono le tue idee”. Poi capì, e aggiunse: “Ah, ma Albina, per questo programma devi rivolgerti direttamente alla Asl, servono i dottori”».
D. Ha visto il Gf?
R. «Guglielmi dice che in tv tutto è cultura tranne la cultura. Guardando il Gf capisci le ambizioni di una parte dei ragazzi di oggi, e non sono troppo alte. Il mio sogno è quello di fare un programma che avvicini i giovani e i grandi attraverso la cultura, l’arte, la musica, il dibattito. È un format che si ripete ogni anno il 2 luglio a casa mia, è la mia festa di compleanno».
D. In amore segue sempre storie impossibili?
R. «Ho passato una vita a dare la caccia agli psicopatici, mi piace fare la vittima che diventa carnefice. Poi, certo, mi piacciono anche gli uomini come mio padre che sono bravi, perfetti, indistruttibili. Ma mi attira la follia. Julio Cortázar, un intellettuale francese, diceva: “Per parlare d’amore bisogna parlare con i pazzi, che ne sanno di più, perché gli intelligenti amano intelligentemente, che è come non aver amato mai”».
Alba Parietti: “Non amo gli integralismi femminili!”. Antonella Grippo il 02/07/2019 su Il Giornale Off. Oggi è il compleanno di Alba Parietti. La conduttrice, modella, attrice e showgirl è nata il 2 luglio 1961 a Torino ed è una tra le personalità più discusse dello spettacolo italiano. La festeggiamo proponendovi questa intervista della nostra grintosa Antonella Grippo….(Redazione) Lei è l’indizio più assertivo della “verità” di Aristotele: corpo e anima in perfetta indissolubilità. Anche se gli irriducibili cultori di Platone (ossessivamente attenti ai distinguo tra l’eterno e le frattaglie di questo mondo), più che l’anima non le perdonano quel corpo indomito e felino, «di cui amo essere ostaggio perché nasconde il più inamovibile dei calcinacci del mio inconscio: l’incompiuta maschietà». La incontri e capisci subito che, forse, i tuoi pregiudizi titanici sulle donne potrebbero ingracilirsi. Alba Parietti spariglia, è l’inedito, persino quando pensi di supporLa, avendo consuetudine con le sue parole. Ti conduce in mare aperto.
Parietti, non dirmi che mediti di ormeggiare, altrimenti mi tocca riscrivere il prologo.
«No, non medito di ormeggiare, anche perché detesto indulgere alla tentazione ipnotica della noia, che, come sai, avverso da sempre. La mia erranza in mare aperto continua. Del resto, non ho mai eluso la seduzione del rischio, che però oggi valuto sempre con estrema lucidità, considerandone ogni insidia. In amore, alla camomilla di uomini buoni ho sempre preferito l’adrenalina di quelli cattivi, inquieti, che, pur avendo arrecato “lividi all’anima”, mi hanno restituito traiettorie seducenti da esplorare. Ho giocato d’azzardo, tra onde tempestose. Ho attraversato passioni divoranti. Cosa vuoi, la materia oscura del sentimento… Ho l’indole omerica del viaggio tormentoso».
La stessa indole che non sopporta le prigioni semantiche del “politicamente corretto”? Ed in nome della quale, ad esempio, invece di proclamarti femminista, ti descrivi come “femmina libera”?
«Tutto ciò che finisce in “ismo” non mi affascina. Mi suggerisce cose ferocemente ideologiche. Preferisco la forza del “femminile” declinato in modo non fondamentalistico. D’altro canto, sono cresciuta in una famiglia in cui i modelli maschili erano protettivi, ma non dispotici. Mio padre e mio nonno, dolcemente forti. Mia madre, invece, era controversa. Artista, forte nella sua fragilità. Non ho regolamenti di conti postumi con i maschi della mia infanzia. Non posso dire lo stesso degli uomini con i quali ho poi condiviso relazioni amorose tutt’altro che idilliache. In ogni caso, ho sempre preferito il dialogo alle dichiarazioni di guerra fra sessi. Anche se devo riconoscere che, ancora oggi, siamo distanti mille anni luce dalla parità tra generi. Penso alle molestie sessuali. Spesso, certa stampa, rispetto a chi è accusato di aver violato, in qualche modo, il corpo di una donna, mostra indulgenza, ricordandoci che il “malcapitato” ha famiglia e privacy che devono essere tutelate dall’assalto mediatico. Un occhio di riguardo, insomma. Penso al mondo del lavoro e delle opportunità in cui, da donna, non hai ancora diritto compiuto di cittadinanza. Insomma: la strada è tutta in salita. Tuttavia, non amo gli integralismi femministi».
Anche la tua bellezza è simbolicamente eversiva?
«Sì, la mia bellezza non è mai stata rassicurante. Per molti uomini, destabilizzante e selvaggia. Non tradizionalmente sedante. Da Musa inanimata. Un oltraggio, insomma. Ora la ritrova in giovani donne e giovani uomini che “invidio”. Sia chiaro: la mia invidia non è da intendersi in senso classico. Uso il termine nell’accezione più sana e positiva: si tratta di ammirazione. Rapimento contemplativo. Puro gusto estetico».
Appare sempre più eretico il tuo rapporto con la sinistra, cosiddetta ortodossa, che hai spesso criticato. Diciamola tutta: Renzi non ti ha mai entusiasmata granché. O no?
«La sinistra, la cui traccia resta nel mio Dna, è quella delle origini, attenta alla giustizia sociale, alla distribuzione equa della ricchezza, alle ragioni degli ultimi. Quella che avversa i privilegi. Non è un caso che Papa Francesco abbia coperto uno spazio pubblico, ormai disertato dalla politica, che evidenzia una sua oggettiva debolezza. La sinistra, nella sua versione di governo, ha smarrito potere di seduzione popolare e di persuasione. Lo dico spesso. Ecco perché Renzi, forse, non mi ama. Vedi, il mio rapporto con Berlusconi è stato sempre molto chiaro. Non ho mai votato per lui. Proprio per la leale contrarietà che ho espresso nei confronti della sua politica, posso contare sulla sua stima. In ogni caso, resto anarchica: non m’intruppo. Solo così sei credibile come professionista. Non chiedo la protezione o il patrocinio di chi comanda».
Stai dicendo che Berlusconi è meglio di Renzi?
«No, dico che non sono salita sul carro di Renzi quando tutti erano a bordo anche per interesse. Avrei potuto essere anch’io della partita, nessuno l’avrebbe trovato strano, stante la mia biografia politica di sinistra. Invece, non ho rinunciato al mio spirito critico. In sintesi: l’affollamento che ogni volta si crea nei dintorni del potere non mi piace. Nella stanza di chi non vince c’è sempre più spazio. Si sta da Dio. Non condivido la teoria di Vespa secondo cui la Rai è naturalmente e fisiologicamente contigua al potere. Mi chiamo fuori. Costi quel che costi. Sono una vincente sul carro dei perdenti».
Ho capito che l’obbedienza cortigiana non è il tuo forte. Per questo non hai un programma in tv? A proposito di televisione, non dirmi che non ti piacerebbe essere travolta dal fiotto popolare del Grande Fratello!
«Mi hanno chiesto più volte di essere protagonista del Grande Fratello. Ho sempre rifiutato. E non perché nutra pregiudizi rispetto a questo tipo di programma, che, proprio grazie alle sue caratteristiche, spesso invise ai radical-chic, raggiunge e convince milioni di telespettatori. Non entrerei mai nella Casa per un’altra ragione. Sono incapace di travalicare il limite che tutela la mia dignità. L’intimità delle mie liturgìe quotidiane. Lo sguardo del pubblico non deve inoltrarsi in tutti gli anfratti della mia vita. Detto ciò, rispetto chi sceglie di partecipare al Grande Fratello, che, dietro le fattezze del format trash, riesce a veicolare anche qualche idea sana. La tv non deve evangelizzare le masse, attraverso un’operazione verticale e spocchiosa. Inutilmente aristocratica. C’è spazio per linguaggi diversi tra loro. La tv è speculare alla vita. E la vita non è un cenacolo permanente di filosofi. La vita gronda di sentimenti veri, di bruttezze, insulti, conflitti. Nasconderli significa censurare la vita. Quanto all’eventualità di un mio programma in tv, ti dico che non lo farei mai in modo da ossequiare la linea del potente di turno».
Con Dio hai risolto?
«Ho una visione laica del rapporto con Dio. E non potrebbe essere altrimenti. Sono certa che, dopo la morte, mi trasformerò in energia pura che viaggerà lungo l’universo. In ininterrotta erranza. Così come ho vissuto».
L’AVVOCATO DI SELVAGGIA LUCARELLI SCRIVE A DAGOSPIA. Dagospia 13 aprile 2019. Egregio Dr. D’Agostino, con riferimento a quanto dichiarato dalla signora Alba Parietti nel programma "Vieni da me" (e da voi riportato) e in particolare: “Sono amareggiata che una rissa che si poteva risolvere come tutte le risse televisive che da 40 anni si risolvono con una stretta di mano il giorno dopo… abbiamo dovuto scomodare magistratura giudici, se uno mi querela io rispondo con altrettante querele..” ritengo oltremodo doveroso fornire alcune precisazioni. La mia assistita, Selvaggia Lucarelli, proprio al fine di scongiurare l’eventualità di rivolgersi a un Tribunale, sia nel periodo in cui andava in onda "Ballando con le stelle", sia a trasmissione conclusa, ha incaricato il sottoscritto in molteplici occasioni di diffidare la signora Parietti dal reiterare interviste e post diffamatori proseguiti per circa sei mesi a danno della signora Lucarelli. Tali diffide sono state puntualmente ignorate dalla signora Parietti, costringendo la mia assistita, in extrema ratio, a chiedere aiuto alle autorità competenti. Inoltre, contrariamente a quanto affermato, non corrisponde al vero che l’azione legale sia la conseguenza di “risse televisive” come si vuole far credere. L’azione civile e quella penale riguardano soprattutto il contenuto di decine di post su facebook e di numerose interviste su stampa e tv rilasciate dalla signora Parietti, proseguite per mesi anche dopo la fine del programma televisivo “Ballando con le stelle”. L’idea, quindi che la magistratura sia stata coinvolta per dirimere una semplice lite bagatellare nata in una trasmissione televisiva (come vuole far intendere la signora Parietti) rappresenta, nella migliore delle ipotesi, una mera strategia per distogliere l’attenzione dalla portata della propria condotta della quale sarà tenuta a rispondere. Restando a disposizione per ulteriori eventuali chiarimenti colgo l’occasione per mandare i miei migliori saluti. Avv. Lorenzo Puglisi
CI SCRIVE L’AVVOCATO DELLA PARIETTI. Riceviamo e pubblichiamo: Dagospia 13 aprile 2019. Egregio Dr. D'Agostino, in nome e per conto della Sig.ra Alba Parietti, sono costretta a replicare all'inopportuno comunicato diramato sul Suo portale dal legale della Sig.ra Selvaggia Lucarelli la quale tenta di sovvertire, attraverso precisazioni inesatte, la realtà dei fatti così come formatasi in modo inequivocabile e connotata da offese reiterate e post denigratori gravemente lesivi dell'onorabilità e professionalità della mia assistita, come tutti i telespettatori di "Ballando sotto le stelle" hanno potuto constatare. E' altresì vero che la Sig.ra Selvaggia Lucarelli ha adito le vie legali ben prima delle richiamate diffide, anzi da lei utilizzate solo al fine di tacitare la Sig.ra Alba Parietti e disincentivarne il diritto di replica: la mia assistita ha assunto le iniziative di difesa unicamente per rispondere agli altrui attacchi e tutelare la propria immagine lesa da offese ben più gravi di quelle lamentate. A margine di quanto sopra, la Sig.ra Selvaggia Lucarelli dimentica che proprio uno dei Giudici del Tribunale da lei adito, letti gli atti di entrambe le parti, ha suggerito di definire in via amichevole la vicenda, prospettiva accettata dalla Sig.ra Alba Parietti - in adesione ad una prospettiva transattiva volta a fornire un segnale di positività - ma rifiutata da chi oggi pretende di costruirsi un ruolo di vittima del tutto disancorato dalla realtà. Dunque, non condividendo l'intempestiva sortita legale della Sig.ra Selvaggia Lucarelli, ci si dissocia da questa sviante modalità comunicativa e si rimettono alle sedi giudiziarie già adite le valutazioni del caso, ivi esattamente ricostruito. Cordiali saluti Avv. Daniela Missaglia
· Lorella Cuccarini e Heather Parisi. Nemiche amatissime.
Lorella Cuccarini racconta del tumore: ora vive senza tiroide. Lorella Cuccarini ha raccontato quando le fu diagnosticato il cancro: "Una visione della vita che va in frantumi". Di Lei 18 aprile 2018 - Lorella Cuccarini è tornata a parlare del tumore che l’ha sorpresa all’improvviso anni fa. Nel 2002 è stata costretta ad asportare la tiroide a causa del cancro. “Una visione della vita che va in frantumi… Da allora vivo senza tiroide“, ha spiegato in tv. Un’esperienza spaventosa. La scoperta del male è avvenuta durante un controllo di routine, Lorella aveva compreso che qualcosa non andava, perché stava dimagrendo eccessivamente senza motivo. E poi soffriva di una strana tachicardia ed era nervosa fuori dall’ordinario. Inoltre aveva sempre delle profonde occhiaie. Sintomi che diventarono chiari quando l’endocrinologo le disse: “Signora Cuccarini, ha un nodulo alla tiroide. Lo spessore è già di alcuni centimetri: deve sottoporsi ad altri accertamenti. Con urgenza”. L’unica soluzione fu l’asportazione della ghiandola. Oggi la presentatrice, che ha 53 anni ed è in splendida forma, vive senza tiroide con l’aiuto di un farmaco che ne svolge le funzioni. La Cuccarini comunque non tace il fatto che il recupero è stato lento e non facile. Ha dovuto seguire anche una dieta rigida per recuperare il peso-forma dopo che era ingrassata a seguito dell’asportazione. Tempo fa Lorella aveva dichiarato: “La storia della mia tiroide perduta la racconto con il sorriso sulle labbra”. La ballerina, che è stata recentemente ospite di Fabio Fazio, ha scelto di raccontare la sua difficile esperienza, per condividerla con quanti stanno affrontando un percorso simile. Proprio come Carolyn Smith, giudice a Ballando con le Stelle, che per la seconda volta sta lottando contro il cancro e con forza racconta la sua battaglia su Instagram.
“Lotta da anni contro la sclerosi multipla”. Lorella Cuccarini e la malattia: l’intervista a Domenica In. Redazione LettoQuotidiano il 03/03/2019. Lorella Cuccarini è tornata a far parlare di sè e della sua storia partecipando a Domenica In. Solo qualche giorno fa la showgirl ha parlato del suo dramma. Lorella Cuccarini oggi è ospite di Domenica In. Qualche settimana fa però, ha raccontato per la prima volta a Vieni da me della malattia che l’ha colpita, un tumore alla toroide che l’ha tenuta per un po’ lontana dai riflettori.
Lorella Cuccarini, il dramma della malattia. Non parla volentieri della sua malattia. Lorella Cuccarini è stata sempre molto discreta e ha toccato il tumore che l’ha colpita con molta delicatezza, per evitare strumentalizzazioni. Adesso che il peggio è passato però, ha voluto parlare. Lunedì scorso ne ha parlato a Vieni da me, la trasmissione condotta da Caterina Balivo. Sul suo tumore ha rivelato: “UNA VISIONE DELLA VITA CHE VA IN FRANTUMI… DA ALLORA VIVO SENZA TIROIDE”. L’intervento per l’asportazione della tiroide l’ha subito ben 17 anni fa, ma è una ferita quella, soprattutto emotiva, che non si rimarginerà mai.
Lorella Cuccarini e la lotta alla sclerosi multipla. Da 25 anni, Lorella Cuccarini è testimonial dell’associazione "Trenta ore per la vita", che in è in prima linea nella lotta alla sclerosi multipla. Lei stessa, nei programmi che l’hanno ospitata, ha raccontato:
“CON AISM IN QUESTI ANNI ABBIAMO REALIZZATO INSIEME 338 PROGETTI, MA LA COSA PIÙ BELLA È CHE NEL 1994 ABBIAMO SFRUTTATO 30 ORE DI TELEVISIONE PER FA CONOSCERE AL GRANDE PUBBLICO LA SCLEROSI MULTIPLA UNA MALATTIA ALLORA ANCORA POCO CONOSCIUTA. OGGI DOPO 25 ANNI POSSIAMO VEDERE COME L’AISM ABBIA FATTO TANTI PASSI AVANTI E ANCHE NOI DI TRENTA ORE SIAMO CRESCIUTI”. Una malattia, la scelrosi multipla che colpisce in particolar modo le persone giovani e in maggioranza le donne. La Cuccarini, infatti, ha ribadito: “ANCORA OGGI SOLO L’8% DEGLI ITALIANI SA CHE LA SM È UNA MALATTIA CHE COLPISCE SOPRATTUTTO LE DONNE E IN UN PERIODO DELLA LORO VITA CHE DOVREBBE ESSERE QUELLO PIÙ BELLO TRA I 20 E I 40 ANNI, QUANDO UNA DONNA SI AVVICINA AL LAVORO, COSTRUISCE IL SUO FUTURO E DESIDERA AVERE UN FIGLIO ED È PROPRIO ALLE MAMME E ALLE FUTURE MAMME CHE SI RIVOLGE IL NOSTRO PROGETTO”. Molte persone evitano di parlare di questa malattia o evitano persino le persone che ne sono affette. Ma la conduttrice, showgirl e attrice ha sottolineato che della sclerosi bisogna parlarne senza temerla e senza considerare i malati come contagiosi.
La sclerosi e la battaglia di Lorella. Tra poco, Lorella concederà anche una bella intervista a Mara Venier nella sua seguitissima Domenica In in cui sicuramente racconterà ancora una volta della malattia che in passato l’ha colpita e della lotto contro sclerosi invitando tutti a contribuire nel progetto a sostegno delle persone colpite dalla malattia. Durante l’intervista la conduttrice ha fatto vedere anche il video di una donna, di nome Giorgia, una mamma che ha questa terribile malattia.
Lorella Cuccarini: età, figli e tumore. La carriera da attrice. Adriana Moraldo il 10/04/2019 su termometropolitico.it. Chi è Lorella Cuccarini e tumore.
Lorella Cuccarini, da più di 20 anni, ha stregato il pubblico italiano. Attrice, conduttrice televisiva, cantante, ballerina, showgirl, l’ elenco delle sue attività sembra infinito. L’artista romana ha lottato in questi anni contro un terribile tumore alla tiroide, ma grazie anche al sostegno della sua famiglia è felice e non accenna a cambiare il carattere solare che l’ha sempre contraddistinta. Quali sono stati i passi che hanno portato la showgirl ad un successo che dura da più di 20 anni?
Età e prime apparizioni. Lorella Cuccarini nasce il 10 agosto del 1965 a Roma da padre ragioniere e madre sarta. Appassionata di danza dall’età di 9 anni, frequenta la scuola di ballo di Enzo Paolo Turchi. Ottiene il primo incarico a solo 12 anni nel varietà Ma che sera condotto da Raffaella Carrà.
Il successo con i varietà: da Fantastico a La notte vola. La carriera della giovane Lorella inizia davvero con alcuni varietà che la rendono nota al pubblico. Voluta fortemente da Pippo Baudo, sarà infatti la showgirl di Fantastico 6 e 7 in onda su Raiuno. Il grande successo arriva però quando passa in Fininvest con Odiens, il varietà di Antonio Ricci, la cui sigla cantata dalla Cuccarini è La notte vola che le regala grande notorietà diventando un classico della musica italiana. Da questo momento la carriera dell’esuberante artista subisce una veloce impennata. Dagli anni ‘80 entra nelle case degli italiani con una serie di spot per l’azienda di cucine Scavolini.
La carriera da attrice da Grease a L’amore è sordo. Con Piazza di Spagna nel 1992 Lorella Cuccarini compie il grande passo da showgirl ad attrice. Straordinario popolarità ottiene in ambito teatrale con Grease – il musical in scena fino al ‘99. Il 2002 è l’anno di Uno di noi, varietà in onda su Raiuno in cui Lorella è affiancata da Gianni Morandi. Prende parte ad alcuni film e serie televisive come Amiche nel 2004, Lo zio d’America nel 2006 e L’amore è sordo.
Le ultime prove attoriali: "Non mi hai mai detto ti amo" e "L’isola di Pietro". Nonostante i problemi di salute Lorella continua a lavorare. Nel 2011 riceve il prestigioso titolo di Commendatore della Repubblica. Il 2017 e 2018 è l’ anno del teatro con la commedia Non mi hai mai detto ti amo affiancata da Giampiero Ingrassia già suo partner in Grease. Nel 2018 entra nel cast di L’isola di Pietro 2 in onda su Canale 5, in cui torna a recitare con Gianni Morandi nelle vesti di vesti di Isabella, madre di Matteo che stringe una grande amicizia con Pietro.
La vita privata di Lorella: i suoi 4 meravigliosi figli. Lorella Cuccarini ha spesso dichiarato di avere la vita che ha sempre desiderato. L’attrice romana è felicemente sposata dal 1991 con Silvio Testi. Dal loro matrimonio sono nati 4 figli: Sara di 24 anni è la più grande, Giovanni 22 anni è il secondogenito, vive a Londra e studia filosofia. Infine ci sono i gemelli Giorgio e Chiara. Più volte la Cuccarini ha rivendicato la scelta di continuare il lavoro nonostante le 4 gravidanze.
Il tumore alla tiroide. Lorella si definisce una donna felice, tuttavia la sua vita non è stata sempre facile. Nel 2002 ha rischiato di morire a causa di un tumore alla tiroide. Solo recentemente l’attrice ha raccontato i momenti terribili vissuti 16 anni fa. Dal 2002 la Cuccarini vive senza tiroide che le è stata asportata a causa del cancro. La sua vita da quel momento è completamente cambiata dopo quella spaventosa esperienza.
La scoperta del tumore. L’ attrice romana ha spiegato poi come avesse percepito che c’era qualcosa che non andava. Era dimagrita eccessivamente, aveva forti sbalzi d’umore, profonde occhiaie e una strana tachicardia. Questi malesseri Lorella li ha descritti all’endocrinologo, che dopo alcuni esami ha scoperto un nodulo alla tiroide di alcuni centimetri. Lorella si è dovuta sottoporre così ad un intervento d’urgenza per asportare la ghiandola.
La vita di Lorella dopo la malattia. Nonostante il tragico momento vissuto, grazie al suo coraggio e al calore del marito e dei suoi figli, Lorella Cuccarini oggi parla di questa storia con il sorriso. Mai fiaccata dalle difficoltà, ha rivelato il suo travagliato male alla trasmissione di Fabio Fazio con l’intento di condividere e sostenere quanti stanno affrontando il suo stesso percorso come Carolyn Smith, giudice a Ballando con le Stelle.
Da Tiscali.it il 15 luglio 2019. Una rivalità che dura da qualche decennio e che non si placa. Fra molti veleni. E' da sempre così il rapporto tra Heather Parisi e Lorella Cuccarini. E di fronte alla notizia che Lorella torna a lavorare nella Rai in quota Lega-5Stelle, la ballerina americana twitta al vetriolo: "Non scherziamo! Per avere la conduzione di un programma sulla TV pubblica italiana non bastano un paio di dichiarazioni sovraniste. Però, di questi tempi, aiutano. Molto. #heatherparisi #sovranismo". La rivalità fra le due è riesplosa con il programma Nemicamatissima, che le vedeva comprimarie sulla Rai. La Parisi ha accusato di aver avuto i suoi spazi e numeri messi in secondo piani e tagliati, rispetto a quelli della Cuccarini. A spiegare tanta tensione fra le due è stato colui che le ha lanciate entrambe, Pippo Baudo su Tv Sorrisi e Canzoni: "Heather l’ho creata io. Alla fine degli anni ’70 era in vacanza in Calabria dove vivevano i suoi parenti. Le feci un provino. Era un po’ grassottella ma bravissima". In quel corpo di ballo c'era una ballerina italiana, molto brava, impossibile non notarla, e più giovane di cinque anni. Baudo se ne accorse e la lanciò. Era Lorella Cuccarini. La reazione fu avvelenata: "Lei non mi ha mai perdonato la proposta di far coppia con Lorella: 'Io sono la Parisi e non posso esibirmi con questa ballerinetta disse. Non ho potuto farci niente". Da allora è guerra senza quartiere. Poi ci sono le parole di Presta contro Heather Parisi. "Questa è la storia di Lucio e non di Presta. Racconto la metà di me che non si vede". E nel libro Nato con la camicia, il potente manager televisivo Lucio Presta, marito di Paola Perego, non solo si svela in modo inedito ma parla anche dei numerosi personaggi alla cui fortuna ha contribuito, ma pure di quelli che rischiava di farsi sfuggire, come Bonolis. Ma a far scalpore sono le sue dichiarazioni su Heather Parisi, di cui si occupa come fa della sua maggiore rivale, Lorella Cuccarini. Una persona, la Parisi, che Presta non esita a definire "una persona malata". La malattia della Parisi, stando a quanto dichiarato da Presta in un live ospitato da AdnKronos, "è una tipica sindrome dei nostri tempi, il complottismo compulsivo". Ancora nelle parole di Lucio Presta: "Vede che il mondo è quasi sempre schierato dalla parte opposta a dove si trova lei. Non era così, ho cercato di dirglielo con parole dolce e non ci sono riuscito. Poi lei ha fatto una cosa che non avrebbe dovuto fare non a me ma ai miei figli, che l’hanno chiamata zia per tutta la vita, e i ragazzi hanno ritenuto che fosse giusto che questa cosa finisse in un’aula di tribunale. E lì che sta".
Da Dagospia il 13 aprile 2019. Riceviamo e pubblichiamo: Carissimo Roberto D’Agostino, devo confidarti che per chi, come me, vive al di fuori dell’Italia il tuo sito rappresenta, spesso, uno spaccato insostituibile della società italiana e dei personaggi che a vario titolo ne occupano le cronache. Io oramai non ne faccio più parte, e quindi la mia voce rispetto a quella di altri è molto flebile, ma consentimi ugualmente di riportati alcuni mie pensieri così come li trovi sul mio blog in risposta al tuo titolo “Heather Parisi è malata” riferiti alle dichiarazioni di Lucio Presta. Io a replicare non ci avrei mai pensato, ma come posso rispondere alla domanda innocente dei miei figli che mi chiedono se e di cosa sono “malata”? Con immutata stima, Heather Parisi
Dichiarazione di Lucio Presta ad Adnkronos del 09 Aprile 2019: "Heather è ammalata di una tipica sindrome dei nostri tempi, il complottismo compulsivo. Vede che il mondo è quasi sempre schierato dalla parte opposta a dove si trova lei. Non era così, ho cercato di dirglielo con parole dolce e non ci sono riuscito. Poi lei ha fatto una cosa che non avrebbe dovuto fare non a me ma ai miei figli, che l'hanno chiamata zia per tutta la vita, e i ragazzi hanno ritenuto che fosse giusto che questa cosa finisse in un'aula di tribunale. E lì che sta". Cosa si fa per vendere un libro. Lucio Presta ha ben chiara l’importanza del marketing e ha anche il gusto per l’iperbole, ma applica entrambi con lo stile del parvenu. Sa benissimo l’eco che crea l’utilizzo del mio nome e pur essendo consapevole di essere lontano anche dalla semplice sembianza di “amicizia” nei miei confronti, la ostenta, come farebbe una mantide con il suo partner, solo per staccare a morsi la testa e nutrirsi dei resti. È proprio vero che l'amicizia di alcuni uomini è più funesta e dannosa del loro odio o della loro avversione. (Mariano José Pereira da Fonseca) Peraltro, i sintomi del parvenu sono evidentissimi:
il ricorso sistematico alla commiserazione dell’avversario, descritto come “malato” (di complottismo compulsivo nel mio caso) per delegittimarne l’attendibilità;
le allusioni a misteriosi e terribili misfatti che non vengono mai spiegati per non svelarne l’infondatezza;
le minacce velate da perbenismo che tanto fanno presa presso la stampa adorante.
Chiariamo i fatti una volta per tutte così come risultano dalle carte processuali e non da fantasiose dichiarazioni. Ecco cosa “sta” nelle aule di tribunale. Il tribunale di Roma ha dichiarato provvisoriamente esecutivi i decreti ingiuntivi emessi per il mancato adempimento (pagamento) degli obblighi contrattuali derivanti dalla trasmissione Nemicamatissima da parte della Arcobaleno Tre (non della RAI con la quale non è mai esistita nessuna vertenza), condannando la stessa Arcobaleno Tre di Lucio Presta a pagare il dovuto. A seguito della pubblicazione sul mio profilo Instagram di una foto che mi ritrae con Manuela Contessi, ex moglie di Presta, alla quale sono stata legata, mentre era in vita, da profonda amicizia, la famiglia Presta mi ha citato davanti al Tribunale Civile di Roma chiedendomi un cospicuo risarcimento per pretesi danni morali che sarebbero loro derivati dalla pubblicazione della foto. In realtà la stessa identica foto (molto sobria, che ritrae la mia persona e Manuela strette in un abbraccio di sincera amicizia), era presente sul mio blog, da molto tempo prima della trasmissione Nemicamatissima, addirittura dal 2008. Ma evidentemente per Lucio Presta esistono due periodi storici e due diversi atteggiamenti: quello ante Nemicamatissima dedicato al corteggiamento e quello post Nemicamatissima (e post decreti ingiuntivi) dedicato a lavare l’onta subita e alla vendetta. La foto, pur non avendo alcun contenuto che potesse ledere in alcun modo l’immagine della mia amica, che anzi io intendevo onorare nell’anniversario della sua morte, a seguito delle “gentili” richieste di Presta (“Se non rimuove la foto di Manu entro 5’ e si scusa la denuncio …. Giuro su quello che ho più caro al mondo che la sputtanerò ovunque per il suo privato”), è stata da me immediatamente rimossa. Questi i fatti (non le fantasie) e questa la terribile “cosa che non avre(i) dovuto fare non a me (Presta) ma ai figli, che (mi) hanno chiamata zia per tutta la vita e che hanno ritenuto che fosse giusto che questa cosa finisse in un’aula di tribunale” (cit. Lucio Presta ADNKronos). Non sarà certo il delirio di onnipotenza di chi crede di avere l’esclusiva anche sui sentimenti altrui a privarmi del ricordo di una persona speciale con la quale ho condiviso momenti e pensieri indimenticabili che nessuno potrà né smentire né sottrarmi.
Da Il Fatto Quotidiano il 10 aprile 2019. Heather Parisi “è un’amica” ma è “ammalata di una tipica sindrome dei nostri tempi, il complottismo compulsivo“. Lo ha detto Lucio Presta, agente di tanti personaggi dello spettacolo, ospite di AdnKronos Live. “Heather è ammalata di una tipica sindrome dei nostri tempi, il complottismo compulsivo. Vede che il mondo è quasi sempre schierato dalla parte opposta a dove si trova lei. Non era così, ho cercato di dirglielo con parole dolce e non ci sono riuscito. Poi lei ha fatto una cosa che non avrebbe dovuto fare non a me ma ai miei figli, che l’hanno chiamata zia per tutta la vita, e i ragazzi hanno ritenuto che fosse giusto che questa cosa finisse in un’aula di tribunale. E lì che sta”, ha concluso Presta. Non si è fatta attendere la replica di Heather Parisi, che su Twitter si è scagliata contro il manager dei vip: “Ma lo scribacchino che mi definisce ‘un’amica alla quale ho detto parole dolci senza riuscire’ è lo stesso di ‘giuro su quello che ho più caro che la sputtanerò ovunque per il suo privato?’ E ci credo che non è riuscito! L’amicizia di questi personaggi è più marcia del loro odio”, ha scritto in un tweet. Lucio Presta è stato per anni agente di Heather Parisi, oltre che della sua eterna rivale Lorella Cuccarini, e la vicenda giudiziaria a cui fa riferimento nell’intervista è una causa tra l’Arcobaleno Tre, agenzia del manager, e la showgirl in seguito alla decisione dell’agenzia di non mandare in onda il film Blind Maze, ideato e scritto dalla Parisi. In seguito la stessa Arcobaleno Tre intentò causa per diffamazione nei confronti di Parisi.
Heather Parisi a "Live Non è la d'Urso": "Violentata per 7 anni". Arrivata a "Live Non è la d'Urso" per parlare della sua maternità, Heather Parisi si lascia andare ad una confessione che lascia tutti a bocca aperta. Roberta Damiata, Martedì 19/11/2019, su Il Giornale. Super esclusiva a “Live non è la D’Urso, dove è presente per la prima volta in Italia Heather Parisi insieme ai figli e al marito Umberto Maria Anzolin, per parlare della loro famiglia e del fatto di essere diventata mamma dopo i cinquanta anni. Heather e suo marito hanno di fronte cinque sfere che sono lì per attaccarli o per essere a loro favore. Parte subito un'accesa discussione tra Alessandra Mussolini che si dice super favorevole al fatto che Heather sia diventata mamma dopo una certa età, perché se gli uomini possono farlo fino a 60/70 perché non una donna, e Paolo Brosio che sostiene invece che la Parisi poteva insieme al marito, avendo già in due quattro figli, adottare un altro ragazzo invece di fare l’inseminazione artificiale. C’è chi è da una parte e chi dall’altra fino a che prima di far entrare i due gemelli, Barbara comunica che Heather ha qualcosa che vuole raccontare e non ha mai fatto prima. Nessuno immagina cosa sta per accadere. Heather si siede sul divano insieme a Barbara e visibilmente emozionata tanto da non riuscire a parlare bene confessa: “Sono stata vittima di violenza domestica. Non sono orgogliosa di questo argomento, non voglio passare per quella che usa la tv per raccontare queste cose, ma sono qui per dare coraggio alle altre donne". Barbara la ascolta in silenzio mentre Heather continua nel racconto: "Sono stata picchiata per setta anni dal mio ex compagno, mi rivolgo alle donne a casa: dovete essere forti, io da un giorno all’altro ho preso il borsone di danza sono uscita di casa e non sono più tornata. Mi ha ospitato una mia amica". La Parisi ha deciso di raccontare la sua vicenda, perché è una cosa successa molti anni fa ed ora con il nuovo compagno si sente molto protetta, anche se: "Le ferite rimangono”. “Tu non ti sei ribellata?” le chiede Barbara D’Urso, “All’inizio avevo paura mi minacciava, diceva che ero straniera che nessuno mi avrebbe creduto, mi chiamava addirittura gallina. Quando ho deciso di andare via non me ne fregava più niente dei soldi o della carriera o della televisione. Probabilmente quando domani questa storia verrà raccontata ci sarà gente frustrata e invidiosa che non crederà alle mie parole, ma chi se ne frega, io ho deciso insieme a mio marito di raccontare solo a te - dice rivolgendosi a Barbara - e l’ho fatto solo per cercare di aiutare qualcuno nella mia stessa situazione".
Da "tvzap.kataweb.it" il 20 novembre 2019. Lunedì sera a Live non è la d’Urso è stata ospite Heather Parisi che ha rivelato in modo coraggioso come ben sette anni sia stata vittima di un compagno violento. Poi in studio sono entrati il Umberto Maria Anzolin e i due figli gemelli, Dylan ed Elizabeth. I quattro vivono da anni a Hong Kong. Nello stesso momento però su Instagram Jacqueline Luna Di Giacomo, secondogenita di Heather Parisi, ha pubblicato una storia con la frase “Perché non chiedete alla Heather dove sono le altre due figlie?”. Già perché nelle recenti interviste di Heather Parisi si parla molto dei due gemelli, ma mai delle due figlie più grandi Rebecca, 25 anni e Jacqueline, 19 anni.
Heather Parisi, le figlie Rebecca e Jacqueline. Rebecca è la primogenita di Heather avuta dall’ex marito l’imprenditore Giorgio Manenti, sposato nel 1993, mentre Jacqueline è la secondogenita avuta con l’ortopedico Giovanni Di Giacomo. Le due sorelle sono molto unite come testimonia spesso Jacqueline su Intagram, ma non solo. Insieme ai rispettivi padri si frequentano spesso, tanto che la ragazza subito dopo la domanda rivolta alla d’Urso su che fine avessero fatto le altre figlie, ha pubblicato uno scatto dei 4 insieme a tavola con la scritta “La mia vittoria più grande”. Jacqueline vive tra l’Italia e gli Stati Uniti e assomiglia tantissimo alla madre, con cui però sembra non avere più rapporti da molto tempo, mentre il padre appare spesso nei suoi scatti accompagnato da frasi d’amore. Per ora però né lei né Heather hanno spiegato i motivi di questo allontanamento.
Tiziana Lapelosa per “Libero quotidiano” il 20 novembre 2019. Archiviati i memorabili balletti in tv, le sigle che insistono nella nostra memoria, da «Disco Bambina» a «Cicale» passando per «Crilù» (la sua preferita). È un' altra Heather Parisi quella che sta venendo fuori nei giorni nostri. Si scopre, ad esempio, che dietro ai suoi mitici costumi, tra cui quel body aderente a strisce colorate trasversali senza una gamba e senza una manica che indossava per cantare «Disco disco sono io sono veemente io è fantastico super fantastico...», dietro a quel tutte noi che volevamo essere lei e trascorrevamo le ore davanti allo specchio nell' improbabile impresa di imitare almeno una delle sue spaccate, si nascondevano bulimia e anoressia e solitudine. Dietro a tutto questo c' era una ragazza che si imbottiva di girelle, di pasta, di filetto e di dolci. Salvo poi correre in bagno e vomitare tutto, come di recente ha confessato l' artista nel salotto di Silvia Toffanin a Canale 5. E in tante che lottano contro le malattie che hanno a che fare con il cibo si sono riconosciute in lei, 1,63 centimetri di altezza, e 42 chili all' epoca, eppure si sentiva dire che era grassa. E nei suoi panni si sono ritrovate, qualche giorno fa, anche le numerose donne vittime di violenza domestica. Che, per la verità, sono rimaste un po' interdette quando la Parisi ha «vomitato» nel salotto di Barbara D' Urso, sempre su Canale 5. Ha detto, la Parisi, di essere stata malmenata da uno dei suoi uomini. Non per un mese o due, ma per sette anni. «Gallina americana» la chiamava il compagno, oltre a riempirla di sberle, calci, pugni. un pugile legato «Mi sentivo come un pugile legato - ha confessato, - ma dalle violenza fisica una persona guarisce. Sono le minacce, il modo di parlarti e di buttarti giù a farti diventare complessata, ti portano a non amarti più e questo è ancora più pericoloso per una donna». Non fa nomi, l' ex showgirl, non contestualizza le violenze. Non sappiamo chi l' abbia riempita di botte né quando. E però, dopo questa rivelazione senza nome, ora ci sarà la gara a scavare nella sua vita privata e a puntare il dito contro questo e quell' ex compagno - in questo senso, gli altri fidanzati di Heather non saranno certo contenti. Sappiamo, però, che con le prime due figlie, una avuta a 30 anni e l' altra a 40, i rapporti non sono idilliaci. «Perché non chiedete alla Heather dove stanno le altre due figlie?», aveva scritto la secondogenita Jacqueline (nata dalla relazione con l' ortopedico Giovanni di Giacomo) taggando la conduttrice Barbara d' Urso. E, in effetti, la Parisi evita di parlarne, ma ha tante parole per i gemelli Dylan ed Elizabeth, avuti a 50 anni dopo aver incontrato l' amore della sua vita, Umberto Anzolin.
Reazione dei fan. I suoi fan si chiedono perché Heather abbia parlato solo ora. Perché non ha denunciato? E come possono le altre donne trovare il coraggio di farlo se lei, così famosa, non lo ha fatto? Per «vergogna», si sfoga la Cicala della nostra adolescenza, simbolo di femminismo e di forza che ne ha superate di ogni: una madre assente, un padre andato via che lei aveva due anni, la scelta di andare a vivere da sola a 13, il trasferimento a 15 a New York, fino a trovare la rivincita professionale in Italia, dove il provino per la tv lo ha improvvisato sulla scrivania di un dirigente Rai. Lei, che abbiamo imparato a conoscere come una donna diventata suo malgrado un simbolo del femminismo per la sua forza, perché ce l' ha fatta da sola, perché l' abbiamo immaginata come una che non si fa mettere i piedi in testa. Una tosta, insomma, ora arruolata quasi di diritto al movimento #MeToo. Una che non si è mai trattenuta (celebri le invettive contro Lorella Cuccarini, che a Fantastico faceva parte del suo corpo di ballo per poi diventarne la protagonista), una che non ha avuto paura di ridiventare mamma in una età che le ovaie ti mandano a quel paese. Insomma, da lei questa confessione «tardiva» non si aspettava. Speriamo solo che serva a qualcosa.
Heather Parisi: «I regali in camerino? Fiori, ciambellee mozzarella di bufala». Pubblicato lunedì, 22 luglio 2019 da Elvira Serra su Corriere.it. Il suo primo ricordo in Italia è la Nutella spalmata sul pane. «Per noi americani, al tempo, era stranissimo. Ero abituata al Peanut Butter, la crema di arachidi che mangiavamo con la marmellata». I suoi miti venivano dal mondo del cinema. «Sono sempre stata appassionata di film: andavo a guardarli anche tre volte alla settimana, da sola con il mio pick up, al Drive In di Sacramento. Ammiravo Sophia Loren, Gina Lollobrigida e Marcello Mastroianni: li avevo visti ne La Ciociara, in Come September, in Otto e mezzo e La dolce vita». Dei parenti materni a Terravecchia, nel Cosentino, conosceva poco. «La prima tappa la feci in Sardegna, con i miei amici della Stanford University». Sapeva di avere talento. «Baryshnikov mi voleva a tutti i costi in pianta stabile nella compagnia dell’American Ballet Theatre di New York e a 12 anni avevo vinto una borsa di studio al San Francisco Balletsenza aver sostenuto, unica nella storia dell’accademia, alcuna audizione, ma semplicemente con la fotografia di un mio développé!». Quello che Heather Elizabeth Parisi non si aspettava, quando è arrivata in Italia nel 1978, appena diciottenne, era di apparire fin da subito come un’aliena. Ce lo racconta via email da Hong Kong, dove vive con il compagno Umberto Maria Anzolin e con i gemelli che hanno avuto insieme nel 2010, Elizabeth e Dylan, per lei arrivati dopo Rebecca Jewel Manenti (25 anni) e Jacqueline Luna Di Giacomo (19). «Venivo guardata come un’aliena, forse per via degli occhi azzurri o per via dei capelli lunghi fino al sedere, per la mia esuberanza o per il mio accento. Questo mi faceva sentire ammirata e mi affascinava». Regina incontrastata della tv degli anni Ottanta e Novanta, oggi ripensa al primo decennio trascorso nel nostro Paese con tenerezza. «C’era gioia di vivere ed entusiasmo, e sincera ammirazione per chi veniva da un mondo diverso. C’era voglia di copiare stili di vita nuovi, c’erano rispetto e curiosità». La prima casa in cui visse a Roma era a Porta Pia. «Abitavo con la fotografa Vittoria Amati». Quando il successo esplose, non fu facile. «Ero inseguita in continuazione e per sfuggire all’abbraccio troppo caloroso dei fan dovevo nascondermi nei negozi: soffro di agorafobia e la folla mi mette paura». A Milano e a Napoli era diverso. «Lì i fan erano come guardie del corpo e mi proteggevano se mi spostavo per la città: li chiamavo i miei pretoriani». L’ammiratore più generoso lo incontrò a Napoli, negli anni Novanta. «A ogni recita di Letto a tre piazze, con Zuzzurro e Gaspare al Teatro Diana, mi faceva recapitare in camerino la mozzarella di bufala, le ciambelle e un mazzo di fiori». Ha capito di aver «spaccato» durante Fantastico 1. «Ogni mercoledì ero in copertina sui giornali. Più scrivevano di me e più la gente mi cercava e più la gente mi cercava e più scrivevano di me. Era come un volano di notorietà che sembrava non finire mai. Ricordo che una mattina il giornalaio dietro a Corso Sempione mi disse: “Sei più famosa di Papa Wojtyla, non ho mai visto nessuno così popolare come te”». Con quel successo, adesso si sente «pari e patta». Perché ha pagato un prezzo. «Mi ha dato fama, visibilità e tranquillità economica, ma mi ha tolto, per tutti gli anni della carriera, la possibilità di avere rapporti umani veri e sinceri. Troppa ipocrisia e opportunismo e ne ho sofferto molto». Il primo cantante che ha imparato ad amare è stato Lucio Battisti. «Ascoltavo Una donna per amico in continuazione, in maniera maniacale: tutte le persone che frequentavo ne erano ossessionate! Purtroppo è forse l’unico artista italiano di quel tempo che non ho avuto la fortuna di incontrare». Dei «suoi» Fantastico, ha bellissimi ricordi di quelli con Beppe Grillo e con Celentano. Ma se deve dire qual è il personaggio che ha conosciuto e che le manca di più, il nome è uno solo: «Corrado. Un vero signore, ricco di umanità, con una ironia sottile e mai volgare, educato, umile e intelligente. Nessuno come lui, né prima né dopo». Città del cuore: Venezia. «Quando cammino per le calli, specie nelle giornate di pioggia, sono convinta di vivere nel ‘700». Piatto italiano che le riesce meglio: risotto. «Rigorosamente preparato con il brodo di gallina!».
Verissimo, Heather Parisi agghiacciante su Lorella Cuccarini: "Cosa provo per lei". Libero Quotidiano il 26 Ottobre 2019. “Dalla bulimia si può guarire. Chi ne soffre deve trovare la serenità nel cuore”. Heather Parisi parla per la prima volta a Verissimo del delicato periodo in cui da ragazza, nel pieno della sua carriera, ha sofferto di disturbi alimentari. “Ho sofferto di bulimia. Nel periodo in cui a Milano facevo Fantastico 4 con Gigi Proietti, ero talmente infelice della mia vita privata che mangiavo di tutto e poi vomitavo l’anima. Sono riuscita a pesare 43 chili e più mi dicevano che ero troppo magra, più continuavo a mangiare e poi a vomitare. Il mio problema – prosegue – è che avevo accanto delle persone terribili che mi hanno portato a prendere decisioni sbagliate. Grazie a mio marito Umberto Maria, senza medicinali e senza terapie mentali, piano piano ne sono uscita”. Ripercorrendo, invece, i momenti più belli della sua vita professionale, a Silvia Toffanin che le chiede se l’incontro con Pippo Baudo sia stato la sua fortuna, la ballerina americana risponde: “La mia fortuna? No, la mia fortuna sono stati il mio talento e la gavetta che ho fatto. Secondo me, senza la gavetta e il sacrificio non vai da nessuna parte”. Ai microfoni del talk show Heather chiarisce il rapporto con la sua “nemica amatissima” Lorella Cuccarini: “Perché dobbiamo parlare di 'santa subito'? Non abbiamo mai litigato. Dietro le quinte del programma Nemica Amatissima non l’ho mai incontrata, neanche in sala prove e per me è stato molto strano. E’ stata un’esperienza che potevamo vivere in un altro modo. Lei non è niente per me. E a Silvia, che le fa notare che non "provare niente" è brutto da dire, la ballerina chiosa: “Provo indifferenza. Non fa parte della mia vita”.
Infine, riguardo l’attuale situazione politica ad Hong Kong, dove vive con la sua famiglia, Heather afferma: “Sono mesi complicati ad Hong Kong, ma non abbiamo paura. La violenza c’è, ma basta evitare alcune zone. Durante il weekend succede sempre qualcosa, ma poi tutto torna normale. Viviamo con la speranza di un futuro migliore, sono ottimista”.
Giada Oricchio per iltempo.it il 27 ottobre 2019. Heather Parisi si definisce ironica, sarcastica e dispettosa. In effetti lo è, a volte centra l’obiettivo, altre ottiene l’effetto opposto sembrando antipatica e polemica. E’ divisiva come tutte le persone di personalità e veramente libere dalle convenzioni sociali: “Io sono molto diretta, impulsiva, dico sempre in faccia quello che penso” ha detto a Silvia Toffanin aggiungendo: “Mi trovo molto bene in Asia perché sono molto riflessivi, pazienti, siamo all’opposto. Sono naturalizzata cinese, per ora la mia vita è a Hong Kong anche se non credo che finirà lì”. Il coreografo Franco Miseria è stato il suo pigmalione: la scoprì mentre ballava al Jackie ‘o, nota discoteca di Roma. In Italia il successo fu immediato e travolgente, ma sotto i lustrini c’era una sofferenza e una malinconia così forte da portarla alla bulimia: “Mio padre è andato via quando avevo 2 anni (l’ha incontrato da grande, nda) e mia madre non era mai a casa, passavo il mio tempo nei ristoranti di mio nonno oppure danzavo e credo che la danza mi abbia salvato da una vita non bella, dalla droga o strade simili. Ho cominciato a ballare a sei anni e sono andata a vivere da sola a 13 anni a San Francisco, mentre a New York alle 5 e mezzo del mattino incontrai per strada John Lennon e Yoko Ono. La figura del padre mi è mancata come guida, mi sono fidata delle persone sbagliate sia nel lavoro sia nella vita privata. Mi hanno fatto passare per quella che non ero. Prima non parlavo volentieri della mia vita privata, ora sì perché vivo tranquilla. Ho conosciuto l’uomo della mia vita a 45 anni, mio marito Umberto Maria mi ha cambiata, amo la mia vita perché lui mi ama moltissimo e mi ha dato serenità, mi ha dato la pace nel cuore. Prima ero talmente infelice che mangiavo 12 girelle al giorno, bevevo coca cola, mangiavo penne all’arrabbiata con il parmigiano, filetto al pepe e l’immancabile creme caramel. Poi andavo in bagno e vomitavo l’anima. Era l’epoca di Fantastico 4 a Milano, un ricordo allucinante, pesavo 42 kg, ero anoressica, mentre soffrivo di bulimia già durante Fantastico 2. Romina Power mi portava tutte le cose buone da mangiare dalla base americana, ma avevo intorno persone terribili. Non me ne sono mai lamentata però non bisogna vergognarsi di parlare della bulimia. Ne sono uscita con l’amore e con il piacere di fare la vita che voglio. Umberto non è l’amore della mia vita, è la mia vita, è la mia luce! Ci siamo sposati a Hong Kong dopo 15 anni di fidanzamento”. La famiglia originaria è un amaro ricordo: “Mio padre era solare, sarcastico e ironico, caratteristiche che ho preso da lui. Sì sono anche dispettosa”, quella di oggi ruota intorno ai gemelli (non approfondisce il rapporto con le prime due figlie, nda) avuti a 50 anni: “Sono diventata mamma a 30, 40 e 50 anni, fare una gravidanza a 50 anni non è facile, ma è meraviglioso, il ginecologo voleva che tenessi solo uno dei due gemelli perché riteneva che fosse pericoloso, dissi di no. Sono un maschio e una femmina e hanno caratteri opposti. Tra di loro parlano mandarino quando non vogliono che suo padre e io li capiamo”. Ma è l’argomento lavoro a tirare fuori la lingua affilata di Heather Parisi: “Perché non ero presente ai 70 anni di carriera di Pippo Baudo? Solo perché avevo degli impegni a Bejing, non era possibile esserci fisicamente. Se ho litigato anche con lui? Nooo, ha detto che ero grassa all’inizio? Beh pesavo 52 kg, diciamo che non ha buona memoria, che non ricorda bene. Chi ha fatto la mia fortuna in Italia? Il mio talento unito alla vera gavetta, ho fatto grandi sacrifici beccando bastonate a destra e sinistra, senza sacrificio non vai da nessuna parte e se ci vai è per poco. L’unica persona che ringrazio è mio marito”. La Parisi si difende come Jessica Rabbit: “Non sono polemica o estrosa, semplicemente non riesco a star zitta. Non faccio nomi, ma una volta una dietro le quinte mi disse "sei il mio idolo, che onore ballare con te" e poi davanti alle telecamere faceva altro. Come fai a essere così falsa? Come fai a dormire la notte?”. Silvia Toffanin porta la chiacchierata su Lorella Cuccarini, nemica amatissima, anzi no: “Di chi vuoi parlare? Di Raffaella? Lorella ovvero Santa subito? Davvero non abbiamo mai litigato, certo però è stato strano che dietro le quinte del programma del 2016 non ci siamo mai incontrate, quella esperienza poteva essere un’altra cosa, invece mai vista. Quando ho lavorato con Mina o Raffaella Carrà eravamo inseparabili. Io comunque non ho mai litigato con quella persona là. Per fare quel programma, non ho potuto fare Saturday Night, se ci penso mi mangio i gomiti!”. La Toffanin cavicchia, inziga, ma la Parisi strizza la faccia, stira le labbra e le bandelle del collo per trasmettere tutto il suo “orrore”: “Non la considero, non la vedo, lei non è niente per me, perché devo provare qualcosa per questa persone? Affetto?? Indifferenza, ecco sì indifferenza. Lei non fa parte della mia vita. I messaggi su Twitter? Mi diverto, quello sulla ballerina sovranista ha fatto 13.000 like, non ho parlato male, ho detto la verità! Se possiamo essere amiche?? Di un’amica ti puoi fidare, è una persona che non può farti del male, ma con lei non c’è mai stato niente. E comunque ultimamente non scrivo mai di Santa subito”. Heather Parisi, sposa da sempre le battaglie LGBT (“io sono frocia, frocia, è bello, è stimolante e quando mi dicono che sono anormali, rispondo "voi siete anormali!") e ha un sogno nel cassetto: “Camminare a piedi nudi, visitare il Vietnam, la Cambogia e insegnare inglese e danza ai bambini senza essere pagata”. Altro che “cicale”, altro che “disco bambina”.
· Viola Valentino.
Viola Valentino: "Riccardo fogli e i tradimenti? Ripagato con la stessa moneta", scrive il 4 marzo 2019 tvzap.kataweb.it. Ospite di Storie italiane la cantante commenta le voci sui presunti tradimenti di Karin Trentini ai danni del suo ex marito. La cantante Viola Valentino, in quanto ex moglie di Riccardo Fogli, interviene a Storie italiane nella puntata di lunedì 4 marzo per commentare le voci circa i presunti tradimenti di Karen Trentini ai danni del cantante attualmente naufrago a L’isola dei famosi. Così l’artista spiega nel salotto di Eleonora Daniele: “La calunnia è un venticello. Se questo venticello si trasformerà in tempesta, capirà che cosa significa aver fatto del male a delle persone […] Io non sono stata tradita una volta sola, sono stata tradita mille volte, diecimila, non lo so quante. Ripagato con la stessa moneta adesso voglio vedere, se fosse vera questa cosa, se l’accetterà con grandissima dignità come ho fatto io” (QUI il video da 1:17:00). Quando le viene fatto notare che Karin ha smentito tutto replica: “Lei può negare quello che gli pare! Ci sono delle prove […] O la mettono a tacere dimostrando che la cosa non è vera oppure va avanti e vedremo come andrà”. Infine un commento sulla foto pubblicata da Viola Valentino sui social risalente ai tempi della sua storia con Riccardo Fogli, sposato nel 1971. Nessuna implicazione sentimentale o nostalgia: “Assolutamente no. Io sono felicemente fidanzatissima […] Io sono nata sotto il segno del cancro, il cancro vive di ricordi, di romanticismo e di cose belle. E la vita che ho passato con Riccardo è stato un bel momento”.
Storie Italiane, Viola Valentino rivela: «Ho un tumore ma a settembre mi sposo». Marco Leardi mercoledì 3 aprile 2019 su Davide Maggio. Storie Italiane, Viola Valentino. “Circa tre o quattro anni fa mi hanno detto che avevo un carcinoma e bisognava operare d’urgenza“. Sofferta e inaspettata, la rivelazione di Viola Valentino è avvenuta ieri su Rai1, a Storie Italiane. Ospite di Eleonora Daniele, la cantante ed ex moglie di Riccardo Fogli ha svelato in tv la propria battaglia contro la malattia. “Circa tre o quattro anni fa mi hanno detto che avevo un carcinoma e bisognava operare d’urgenza. Non mi ero resa conto, è una malattia subdola, quando arrivano queste cose neanche te ne rendi conto. Normalmente lo prendi in ritardo, invece io ho avuto la fortuna di prenderlo in tempo, ma questo non esclude che ci sia metà e metà di sicurezza che non si propaghi (…) E’ un problema, però dipende caratterialmente come sei fatto, se sei una persona che nutre speranze nella vita ed è capace di lottare o che si abbandona“. ha dichiarato Viola Valentino. “Le persone forti possono fare in modo che le più deboli assorbano la loro energia e si tirino su” ha aggiunto la cantante, attribuendo in qualche modo una valenza pubblica alla propria disarmata rivelazione. Poco prima, del resto, era stata la stessa conduttrice a sottolineare: “Facciamo tante battaglie sociali su tante persone che vivono questo problema (…) Se tu mi hai raccontato questo, magari qualcuno che ci sta ascoltando da casa si sente meno solo“. A Storie Italiane, Valentino ha però anche dato una notizia positiva: quella del suo matrimonio con il nuovo compagno, fissato per settembre. “È arrivato il divorzio dal mio secondo marito. Era la famosa carta che stavo aspettando per sposare Francesco, con cui sto da otto anni“.
· Carolyn Smith.
Carolyn Smith continua a lottare contro il cancro: "Il tumore si è risvegliato un po”. Redazione Tvzap il 25 settembre 2019. La presidentessa di giuria di Ballando con le stelle informa i fan che la malattia non è stata ancora sconfitta. La lotta contro il cancro per Carolyn Smith continua. La coreografa e presidentessa di giuria di Ballando con le stelle rende noti i risultati della PET a cui si è sottoposta e informa i fan che dovrà continuare a curarsi perché il tumore che è tornata a colpirla dopo una prima guarigione non ha ancora mollato la presa. In alcuni video su Instagram dunque la danzatrice spiega: “Ecco le notizie ufficiali (che do io) riguardo la mia salute. Risultato del PET: the show must go on… Good news positive: non ho cellule in giro per il corpo. Ero emozionata! Good news meno positive: il tumore non è andato via e si è risvegliato un po’. Speravo di sentire le parole magiche "È finita la lotta". Sarà per un’altra volta. Io continuerò a combattere in modo positivo e con un sorriso (da domani). Buona serata a tutti!”.
Il sostegno dei vip. Tanti i fan ma anche i colleghi vip che esprimono vicinanza e sostegno a Carolyn Smith: da Valeria Marini a Paola Perego, Alessia Marcuzzi, Giulia Salemi, Selvaggia Lucarelli, Fabio Canino, Elena Sofia Ricci che scrive: “Carolyn sei una guerriera… un esempio! Noi tutti ti siamo grati per questo. Tu così dai tanta forza a chi come te è costretto a lottare. Grazie per la persona che sei e di cui ci fai dono. Mai arrendersi”.
· Paola Ferrari.
Da ilmessaggero.it il 14 Novembre 2019. Paola Ferrari, ospite a Storie Italiane, la trasmissione televisiva di Ra1 condotta da Eleonora Daniele, ha raccontato il suo «doloroso segreto». La giornalista sportiva, da anni volto noto della televisione pubblica, aveva anticipato la sua presenza attraverso Instagram. Poco fa aveva infatti pubblicato uno scatto sui social con l’aggiunta di una didascalia misteriosa: «Alle 10.40 su Rai Uno in diretta da Eleonora Daniele a Storie Italiane. Se volete conoscere un mio doloroso segreto». Quattro anni fa, Paola Ferrari ha infatti scoperto di avere un fratello, che però è morto all'età di 35 anni. La giornalista ha anche parlato dell'operazione che ha dovuto affrontare qualche settimana fa per rimuovere un tumore benigno. Il racconto. «Sono venuta da te perché ci conosciamo da tempo – ha esordito la Ferrari parlando con la Daniele – sei una splendida giornalista e collega. Ne ho parlato molto in famiglia e sono stati loro che mi hanno detto “E ora che tu cominci a parlarne”. So di essere nel posto giusto, non mi piace fare la tv del dolore, e chi mi conosce lo sa, ma mi sembra giusto venirne a parlare. È una parte della mia vita che mi ha dato grande sconvolgimento e dolore, l’impossibilità ad andare oltre. Io sono una mamma e sono una figlia unica: ho avuto sempre voglia di avere un fratello. Poi improvvisamente, 4 anni fa, ho scoperto di avere un fratello, non dirò tutto ma solo perché voglio proteggere le persone emotivamente coinvolte. È un ragazzo splendido, quando vedo le foto mi si ferma il cuore perché ha la mia faccia e i miei occhi. Quando l’ho saputo ho fatto delle indagini per averne la certezza, ma purtroppo ho scoperto che era morto quando aveva circa 35 anni, avrebbe una decina di anni in meno di me». «Come l’hai scoperto?», ha domandato la Daniele. «Tramite una persona a cui era stata fatta questa confessione che non ce l’ha fatta a tenerla dentro e me l’ha detto. Era figlio di mio padre, e un ragazzo che ha avuto anche qualche difficoltà economica, e mi è dispiaciuto molto non averlo potuto aiutare. Quando l’ho saputo è stata un’emozione fortissima. Tra l’altro lui era figlio unico come me: il mio grande dolore è che lui non ha saputo di me, io di lui». La Ferrari ha anche detto di sentire il desiderio di andarlo a trovare al cimitero, ma che è frenata dalla possibilità che la riconoscano: “Ho sofferto molto, l’ineluttabile è orribile”. La voglia di maternità. La giornalista sportiva poche settimane fa aveva confessato ai microfoni del settimanale di gossip “Nuovo”, di avere un forte desiderio di maternità e di voler avere altri due figli dopo Virginia e Alessandro, rispettivamente di 21 e 20 anni: «Ho pensato di ricorrere all’aiuto di una madre surrogata – disse in quell’occasione – ma quando ho parlato del progetto in famiglia c’è stata una grande discussione. E così io ho fatto un passo indietro». Il tumore. La Ferrari ha svelato di aver pensato anche all’affido, una soluzione alternativa: «L’affido è la più grande scelta d’amore che si possa fare perché un genitore affidatario sa fin dall’inizio che i ragazzi non rimarranno con lui». La giornalista qualche settimana fa è stata sottoposta ad un intervento chirurgico per rimuovere un cancro benigno: sembrava un semplice brufolo sul naso e invece era un tumore. Fortunatamente il tutto si è risolto in maniera positiva, ma solo grazie a un tempestivo intervento chirurgico.
Paola Ferrari mostra la foto con il carcinoma al viso: "La prevenzione salva la vita". Paola Ferrari torna a sensibilizzare sulla prevenzione. Serena Granato, Venerdì 27/09/2019, su Il Giornale. Dopo essere stata a lungo al centro del gossip, per via di alcune dichiarazioni al vetriolo lanciate sul conto di Diletta Leotta, Paola Ferrari fa di nuovo parlare di sé. Questa volta, a far tornare al centro dell'attenzione mediatica la nota conduttrice di casa Rai è un motivo molto serio. Recentemente, nel corso di un suo intervento registratosi a La vita in diretta, la Ferrari aveva parlato della sua battaglia personale affrontata contro il cancro, spiegando che all'inizio era certa di avere un banale brufolo sul viso: "In realtà si trattava di un carcinoma, una cosa piuttosto seria". "Si trattava di un carcinoma nodulare infiltrante- aveva poi precisato la conduttrice- necessitava di un intervento importante di rimozione". Quel tumore che l'aveva colpita le stava mangiando i nervi e gli occhi, a detta della stessa Ferrari, che, in occasione della Maratona Rai di Telethon, confidò di aver subito 40 punti segnati dall'intervento chirurgico e che in pochi mesi le avrebbero potuto diagnosticare una paresi al volto.
Paola Ferrari e il messaggio sulla prevenzione. Diverse ore fa, Paola Ferrari ha destinato ai suoi follower un nuovo messaggio, anticipando in rete di essere stata invitata al format Porta a porta. Parole, quelle scritte in un nuovo post condiviso su Instagram, che la Ferrari ha riportato a corredo di una foto, in cui mostra con coraggio il carcinoma che l'aveva colpita in passato: "Oggi sono stata invitata a Porta a Porta per parlare di tumore e prevenzione. Purtroppo non posso esserci. Grazie a tutti e non dimenticate mai che La Prevenzione salva la vita.
STAPPA UNA FERRARI. Stella Dibenedetto per Il Sussidiario.net il 2 luglio 2019. Prima di trovare la propria strada, la vita di Paola Ferrari non è stata facilissima. “Sono una guerriera perché ho avuto un’infanzia molto complessa di cui parlo con difficoltà. Sono uscita di casa a 15 anni, mi ha salvata Enzo Tortora che mi diede il primo lavoro. Ho smesso di studiare molto presto e ho dovuto riprendere in seguito. Ho dovuto combattere in un ambiente maschile come quello del calcio e tutto questo mi ha portato ad essere quella che sono“, racconta Paola Ferrari ai microfoni di Io e Te. Dopo aver lasciato la propria casa a soli 15 anni, con il sogno di diventare una giornalista, comincia a lavorare per mantenersi. Diventa così un volto dei fotoromanzi fino a quando non arriva l’incontro con Enzo Tortora che le offre un lavoro nel suo programma storico “Portobello”. Dopo aver lavorato per altri tre anni con Enzo Tortora, Paola Ferrari continua a lavorare per realizzare il sogno di diventare una giornalista sportiva che si realizza solo quando l’Italia vince i Mondiali del 1982. Nonostante non abbia molta voglia di parlarne, Paola Ferrari racconta i dettagli del suo rapporto con il padre, ormai novantenne. “Mio papà è un personaggio un po’ particolare. E’ un papà che era molto poco presente fino a quando poi è mancata mia mamma. Solo in quel momento il rapporto con mio padre è rinato ed oggi mi occupo molto di lui e mi sta dando quel legame con la famiglia che prima non avevo” – racconta la giornalista. “Cosa ti suscita vedere un papà anziano che ha bisogno di te?”, chiede Pierluigi Diaco. “Quando vedo i ragazzi che provano dolore in seguito alla perdita dei genitori, io mi chiedo: che cosa si proverà? Io quel sentimento non l’ho mai provato e mi sarebbe piaciuto provarlo”, confessa la Ferrari che, dopo essere cresciuta con un vuoto emotivo, sta lentamente recuperando ora che il papà è diventato anziano. Oltre ad essere una delle giornaliste più apprezzate, Paola Ferrari è anche mamma di due figli e moglie. Schietta e sincera, la Ferrari è esattamente così anche nella vita privata. “Anche con mio marito dico tutto quello che penso al punto che quando litighiamo gli altri pensano che stiamo per separarci”– confessa e poi aggiunge – “Quando ho conosciuto mio marito, il direttore di un giornale mi ha detto che sarebbe finita dopo sei mesi e, invece, dopo sei mesi eravamo sposati ed oggi stiamo insieme da 23 anni” – racconta Paola Ferrari che poi svela i segreto della durata del suo matrimonio – “non ci annoiamo mai”, conclude.
· Maurizio Costanzo e Maria De Filippi.
Dago spia il 29 settembre 2019. "Sono tutta bagnata, tocca!". A "Domenica In" Mara Venier e Maurizio Costanzo non si sono fatti mancare nulla: battute, doppi sensi, amori, confessioni, il ricordo dell’attentato di via Fauro.“Mi occupai molto di mafia in quel periodo”. Poi un giorno Totò Riina disse “questo Costanzo mi ha rotto i coglioni”, il giornalista riavvolge il filo della memoria. La maratona tv con Santoro, le interviste al giudice Falcone, la maglietta con la scritta “Mafia made in Italy” bruciata in diretta tv e quella sera del 14 maggio 1993. “L’autobomba venne fatta esplodere fuori dal teatro Parioli con qualche secondo di ritardo. Era venuto un altro autista, avevo cambiato la macchina… Ci fu un’esitazione nello schiacciare il pulsante del telecomando. Il botto fu pazzesco, ci siamo salvati tutti, io, Maria, l’autista e il cane, nessuno è morto. Un miracolo. Io quelli che stavano lì fuori li ho poi visti dietro le sbarre: io ero vivo, loro stavano dietro le sbarre”. Rifarei tutto quello che ho fatto? Se mi garantissero che finisce così, sì”, chiosa Costanzo. “Dopo l’attentato ho promesso a Maria che mi sarei occupato meno di mafia“. La De Filippi, per una promessa fatta al padre, da quella sera non è più voluta salire in macchina con Costanzo. “Per fortuna ce ne possiamo permettere due altrimenti uno andava con il tram…”. I due l’anno prossimo festeggeranno i 25 anni di matrimonio. "Mi sono sposato quattro volte e l’unico matrimonio che ha retto è quello con la De Filippi, mi sento in debito con lei e sì, sarà la donna che mi terrà la mano quando morirò. Maria è l’amore della mia vita. Dormiamo in stanze separate perché io russo. L’intimità non è dormire insieme. Pure in treno se dorme con sei sconosciuti. .. ”. Il giornalista – scrittore, che da domani sarà su Isoradio con ‘Strada Facendo’, ha realizzato oltre 45mila interviste, ma nessuna prevale sull’altra: “Sul piano dell’intelligenza pura mi è rimasto impresso Andreotti. Mi disse di aver fatto la dichiarazione d’amore alla moglie al cimitero e mi disse che suoi tre compagni di scuola avevano fatto carriera diventando cardinali. Io gli risposi che pure lui non era mica un disoccupato...”Tra una gag con Mara Venier che si rovescia addosso un bicchiere d’acqua (“Maria guarda, Mara è tutta bagnata! Il problema è che lei essendo veneziana ama l’acqua alta”) e il rifiuto della pensione ("Cosa voglio fare da grande? Lavorare e fare cose, non essere considerato il padre della patria”), Costanzo lancia una stoccata alla Rai per la mancata ospitata di Alberto Urso: “Gli volevo fa i complimenti dietro le quinte ma non l’ho visto. ’Ndo sta’ Alberto Urso?”. Vorrei saperlo anche io”, replica la Venier. Non è un caso isolato. Lo scorso maggio è stata bloccata pure l’ospitata di Maria De Filippi...
Giuseppe Candela per ilfattoquotidiano.it il 22 novembre 2019. Il pubblico la chiama per nome, Maria. Per i fan è la Regina del piccolo schermo, agli esordi solo la moglie di Costanzo. La De Filippi, ora per tutti, è il nome simbolo della tv di oggi. Con pochi filtri, qualche sorriso e senza pause si racconta in una lunga intervista al FattoQuotidiano.it.
Tu si que vales fa ascolti da evento televisivo, più di 5 milioni con oltre il 30% di share. Come se lo spiega?
“E’ un programma scacciapensieri con una giuria fatta di persone che si conoscono e che non sono contrapposte. Ci divertiamo perché siamo più vicini al ruolo dello spettatore che a quello del giudice, il rapporto che si è creato arriva a casa.”
Sabrina Ferilli è la rivelazione di questa edizione, come l’ha convinta?
“Ci ho messo quattro anni, ho dovuto faticare tantissimo. Il mio rapporto con Sabrina è nato a C’è poste per te dove era venuta ospite per incontrare il suo primo amore, siamo diventate amiche ed ero sicura potesse far bene. E’ una donna intelligente, passionale, estremamente spiritosa, una donna preparata che non smette di stupirsi.”
E’ stata ospite di Adriano Celentano, ha praticamente condotto la puntata. Era la prima volta che incontrava il Molleggiato?
“Non lo conoscevo, quando sono andata a fare le prove mi sono messa a sua disposizione. Ho visto un uomo importante, ho cercato in tutti modi di far vedere quello che sentivo per lui. Ho visto una persona ferita per quello che è stato scritto. Diventi un ‘mito’ per il pubblico ma un mito è anche fragile. Dietro c’è una persona che può avere anche momenti di difficoltà”.
“Essere il primo a tutti i costi davvero stanca”, canta Renato Zero. Alle dieci in punto arriva il bollettino auditel, la vive con ansia?
“L’ansia nasce quando mi attribuiscono necessariamente il dato di ascolto alto. Rivendico la libertà di sbagliare, sbaglierò tante volte e ho sbagliato tante volte. Non è l’ansia dello sbaglio ma quello che comporta quell’errore. Io l’ansia del bollettino auditel delle 10 l’ho imparata presto, non solo per me ma perché ho una azienda dove lavorano 300 persone.”
Se le dico che è la Regina della tv le fa piacere o si irrigidisce?
“Mi irrigidisco perché so cosa comporta, perché ogni passo falso che faccio non viene preso con clemenza. Arriveranno altri flop, in passato li ho fatti e li ho pagati. A volte uno se li dimentica ma io non me li dimentico.”
Ogni tanto si alza dal letto e dice “Mollo tutto e scappo via”?
“Mi capita spesso, come credo possa capitare a chiunque.”
Scappa anche dalla definizione di donna potente, perché?
“E’ l’immaginario che c’è intorno che ti attribuisce questo, io sinceramente non mi sento potente e non mi ci sono mai sentita.”
X Factor è in crisi di ascolti, The Voice non ha mai sfondato. Amici è ripartito con ottimi risultati, non teme però la saturazione per il genere talent?
“Io penso che gli ascolti per un talent puro sulla tv generalista siano quelli di The Voice. X Factor è un programma particolare che si basa unicamente sulla giuria, Amici si basa sui ragazzi. C’è una edizione che può andar bene, una che può andar male a seconda del cast. Non voglio dire che il cast del Grande Fratello fa il programma ma lo penso abbastanza.”
Amici Celebrities lo considera un esperimento riuscito o da rivedere?
“A fronte dei dati che sta ottenendo Canale 5 lo considero un grande successo, da parte mia e nemmeno della rete c’erano grandi aspettative. Ad Amici Celebrities manca la dimensione del sogno, del sacrificio, del potercela fare. Mostri la passione e non il talento, avessero avuto talento nel canto e nel ballo forse avrebbero fatto quello.”
Tornerà con una nuova edizione?
“Non lo so. Quando hai una società di produzione e ti chiedono di fare un programma difficilmente dici di no. Ho detto di no a The Winner Is quando me l’hanno riproposto, ho detto no al Summer Festival. In questo caso hai una struttura già in piedi e fai molta fatica a dire no.”
Michelle Hunziker, protagonista della staffetta alla conduzione, ha ricevuto moltissime critiche. I programmi della De Filippi può condurli solo la De Filippi?
“Non è vero, c’è una abitudine a vedere me in quel programma da anni. Se Michelle avesse potuto condurlo dall’inizio tutto questo non ci sarebbe stato. Il problema è stata la contemporaneità con Striscia la notizia, C’è posta per te è venduto in venticinque paesi e non ci sono io a condurlo.”
Amici Celebrities lo ha visto anche Milly Carlucci che tramite i legali ha inviato una lettera per presunte somiglianze con Ballando con le stelle. Le è dispiaciuto?
“Sì, un po’ mi è dispiaciuto. Capisco che Milly difenda Ballando con le stelle che è il suo programma storico ma mi è sembrato esagerato contestare il ballo del vip con il professionista. Magari non lo aveva ancora visto e ora ha cambiato idea. Adesso Mara (Venier, ndr) parte con un programma che si chiama ‘La Porta dei Sogni’, la richiesta di storie è assolutamente similare a C’è posta per te. Non mi sognerei mai di dare mandato ad un avvocato di scrivere alla Rai o a Mara. Oltretutto Ballando con le stelle ha un titolare del format, se si fosse sentito leso avrebbe potuto difendersi.”
Restando in tema Amici. Emma ha dovuto fare i conti nuovamente con un problema legato alla sua salute. Cosa le ha detto, anche di fronte ai vergognosi attacchi degli haters?
“Emma ha un carattere forte, è una che sopporta molto. Non la chiamo per dirle fregatene, cerco di farle capire che ci sono. Non con i modi classici perché con lei sono abbastanza inutili, le ho fatto una sorpresa e sono andata a una data dell’instore a cui non sarei mai andata in vita mia. Lei sa che ci sono anche se non mi chiede mai nulla.”
E’ vero che C’è posta per te è nato nel 1999 dopo una visita al Ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer?
“E’ vero, all’ingresso del Ministero mi avvicinano delle persone e mi consegnano una lettera da dare al ministro. Quando torno in macchina ci ragiono e nasce C’è Posta per te. Per un caso, è successo anche per Amici che è nato dopo che avevo ballato a C’è posta per te. Lì ho scoperto che c’era un mondo dietro le coreografie e che si poteva fare un programma.”
C’è posta per te continua a ottenere ascolti record e forse racconta l’Italia meglio dei talk show. Ci sono le difficoltà economiche, le corna sono diventate social.
“Che C’è posta per te sia lo specchio dell’Italia secondo me è vero. Tante storie che abbiamo raccontato incrociavano la crisi economica, aspetto che è un po’ diminuito nell’ultimo periodo con l’accesso di alcuni al reddito di cittadinanza, a volte motivata l’appartenenza a volte assegnato senza che ci siano le condizioni per averlo. Sulle corna social ha ragione, non c’è una storia che non è iniziata in chat. E’ vero che ci accorgiamo dei cambiamenti grazie a chi ci scrive e si racconta.”
Fassino incontrò la tata, Greggio e Iacchetti mandarono la posta a Salvini. E’ vero che nel 2005 Berlusconi declinò l’invito?
“E’ vero, quella volta saltò la sua partecipazione. Lo abbiamo invitato tante volte.”
Lo inviterà ancora?
“Dipende da chi ci scrive, dipende sempre dalla lettera. Non ho mai invitato pretestuosamente qualcuno. Tranne per alcuni casi, per esempio Greggio e Iacchetti con Salvini.”
E’ nella memoria di tutti Renzi ad Amici con il giubbotto di pelle, pochi sanno che Alessandro Di Battista si presentò ai casting per partecipare come attore.
“E’ vero anche se io non l’ho mai visto, all’epoca si presentavano in 50 mila. Non so se era capace o meno, da noi si sono anche presentati cantanti bravi, diventati famosi, che non sono stati presi.”
Non parla mai di politica, una scelta precisa?
“Assolutamente sì, è una scelta precisa. Parlo già troppo e ci sono già troppo, ci manca solo che parlo di politica.”
Il trono over di Uomini e Donne ottiene numeri da prima serata, 3 milioni e il 25% di share, meglio anche del trono classico. Un programma molto amato dal pubblico ma anche il più criticato. Giusto così o esagerano?
“Io lo rivendico il fatto che faccio Uomini e Donne, se pensassi che quello che dicono è giusto smetterei di condurlo. La verità è che mi diverto con il trono over, per il trono classico pensano troppo a quello che accade sui social e si fanno condizionare perdendo naturalezza”.
A Uomini e Donne è nata Giulia De Lellis, ora influencer da 4 milioni di follower. Ha scritto un libro sulle sue corna che ha venduto 100 mila copie e ha fatto storcere il naso a molti scrittori. Lei lo ha letto?
“Giulia me lo ha regalato ma non l’ho letto, c’ero quando gliel’hanno proposto perché mi ha chiesto cosa pensavo. Non è stupida, su di lei c’è un pregiudizio perché arriva da Uomini e Donne. Che il libro abbia avuto successo ci sta, è conosciuta e la sua storia d’amore è stata molto vista in tv. Non deve far storcere il naso agli scrittori, pensano che per arrivare si sono fatti il mazzo e ora una ragazza di Uomini e Donne è in cima alla classifica con la storia delle sue corna. Chi va in libreria a comprare il libro di Giulia magari prima non ci andava, non avrebbe comprato un libro diverso e forse ora, dopo averlo letto, proverà con un altro.”
Puntano troppo alla nicchia?
“Gli scrittori non si limitassero ad andare solo in alcuni programmi, aggiungessero altri programmi. Venissero anche a Uomini e Donne, se Cazzullo, per dire un nome, venisse a Uomini e Donne raggiungerebbe un tipo di pubblico che non ha. Se uno va solo nei programmi di nicchia si rivolgerà sempre a una nicchia allora non si può arrabbiare se la De Lellis vende centomila copie.”
Temptation Island Vip, altro programma di successo, ha mostrato una Marcuzzi più convincente. Era già successo con Ventura e Venier. Fa lifting rigeneranti alla carriere delle colleghe?
“La verità è che non c’è un conduttore o una conduttrice in grado di assicurare un risultato se dietro il programma non esiste. E’ molto più importante quello che accade dietro la telecamera che quello che può fare un volto tv. Se Alessia conduce un programma che non c’è sembra vuota, se dai un programma a chi è in grado il conduttore esce. Io avevo sperimentato Temptation Island personalmente nel modo sbagliato.”
A cosa si riferisce?
“Feci ‘Vero amore’ con lo studio e con la mia conduzione, avevo paura che all’epoca il pubblico non fosse pronto per un linguaggio diverso. La versione originale durava solo 45 minuti con i falò. Quando l’ho riproposto con Filippo (Bisciglia, ndr) mi guardavano tutti come se avessi fatto la scelta più assurda dell’anno. L’ho scelto perché volevo una faccia e un percorso simile a quello del concorrente, aveva fatto il Grande Fratello, era andato a riprendersi la fidanzata a La Talpa e mi sembrava la persona giusta.”
Ha visto lo show di Fiorello?
“Non l’ho ancora visto ma Fiore è bravissimo e capisco perché va a cercarsi un posto più protetto oppure quatto serate evento. Uno istrionico così non può essere quotidiano, è la differenza tra una utilitaria e una macchina sportiva.”
Quest’anno il Festival di Sanremo è nelle mani di Amadeus. Lei lo ha condotto nel 2017, cosa gli consiglierebbe?
“E’ nelle sue mani come era in quelle di Carlo quando l’ho fatto io nel 2017. Sono arrivata cinque giorni prima quando era già tutto pronto, quello che consiglio ad Amadeus è di essere se stesso. E’ bravo, non avrà alcun problema. La fregatura di chi fa il direttore artistico è la scelta dei brani, quella fa sempre discutere. Lui ha un passato radiofonico e una conoscenza musicale invidiabile, penso che saprà difendere ogni pezzo che avrà scelto.”
Lei ritornerebbe sul palco dell’Ariston?
“Sì ma con uno spirito totalmente diverso, ci tornerei solo per quello. Quando l’ho fatto ero appanicata come mai nella mia vita.”
Il suo rapporto con Mediaset è molto solido, ha detto che non riesce a dire no a Piersilvio Berlusconi. Lui le dice qualche no?
“Assolutamente sì, me ne ha detti tanti. Ogni volta che me li dice un po’ mi scoccia poi mi passa. Il ragionamento che fa quando mi dice no ha una base logica e lì sto zitta. Quando ho deciso di dare Amici a Discovery l’ho fatto sull’onda di una arrabbiatura, Mediaset per motivi economici voleva ridurre la parte della scuola, per me era importante perché la differenza tra Amici e gli altri talent è proprio quella. Lì un po’ mi offesi ma non sono una che mette sul piatto prime time, successi e scambi vari.”
La Rai a fasi alterne le blocca le ospitate.
“Lo trovo assurdo. Quella di Domenica In mi ha lasciato senza parole, ero stata inviata ed era tutto tranquillo. Queste cose non le capisco.”
La tv oggi deve avere degli steccati o non ha più senso?
“Quando la Rai stoppa le ospitate fa un errore, della concorrenza parliamo io, lei e altre trenta persone. Quando c’è un evento come Sanremo Mediaset si ferma ed è giusto che si fermi. Il pubblico guarda semplicemente la tv. Invidio alla Rai la capacità di creare gli eventi e la collaborazione tra tutti per la promozione di un prodotto. Noi a Mediaset siamo un po’ con i feudi. E’ un errore da parte di tutti, non mi escludo, perché un gioco di squadra ci deve essere.”
Non pagava le multe, rubava l’argenteria, truccava la vespa, chiamava i colleghi di sua madre per superare un esame. Che effetto le fa ripensare alla sua infanzia e adolescenza da ribelle?
“Sorrido, è una fase che devono vivere tutti. Potessi tornare indietro lo farei subito, rinuncerei a tutto per rivivere il periodo del liceo o dell’università. Lo rivivrei tutto facendo sempre le stesse cose.”
A 28 anni ha iniziato una relazione con un uomo, ai tempi sposato, che ne aveva 52. Anche quella è stata una forma di ribellione?
“Maurizio rappresentava un punto fermo, centrale. Io ero meno solida, vivevo una relazione con un ragazzo in qualche modo trascinata da sei anni. Sono arrivata a Roma ho visto un uomo intelligente che mi capiva ed era profondamente buono, mi ha conquistato. Non è stato facile spiegarlo ai miei genitori ma la mia non era una forma di ribellione.”
Costanzo ha detto: “Maria è l’amore della mia vita. Avrei voluto amarla non solo per sempre ma da sempre.”
“Lui è un gran paraculo (ride, ndr). Non è vero ‘da sempre’, il nostro matrimonio è durato più di tutti gli altri perché io ho rispettato il suo lavoro. A un certo punto ho iniziato a lavorare come lui perché era l’unico modo per stare con lui, lo guardavo e pian piano ho imparato.”
Ora per tutti è la De Filippi ma agli inizi era “la moglie di Costanzo”. Tra le righe le davano della raccomandata, ne soffriva?
“Non tra le righe, mi davano proprio della raccomandata. Ricordo la mia prima intervista su Sette con Sabelli Fioretti e la domanda fu proprio questa. Non soffrivo perché era la verità, quando feci il numero zero di Amici se non ci fosse stato Maurizio io non sarei andata in onda. Non sarei mai passata.”
Gabriele è arrivato nella sua vita quando aveva dieci anni, ha avuto paura di diventare madre di un bambino in parte formato?
“Ho avuto tantissima paura, il giorno prima di conoscerlo ero terrorizzata. Quando la prima volta ho visto la sua foto mi sono detta: ‘Adesso cosa faccio se non sono capace?’. Non ci si nasce madri, si impara con il tempo e si cresce insieme.”
Oggi lavora con lei?
“Sì, ogni tanto mi arrabbio quando non è puntuale sul lavoro. Non lo riprendo io ma ci sono persone deputate a farlo. Quando non si svegliava al mattino per andare al lavoro lo svegliavo, adesso non lo sveglio più perché è giusto che prenda un cazziatone.”
Fa il suo lavoro con successo, ha l’amore del pubblico, una bella famiglia e una stabilità economica. Cosa le manca?
“A volte la leggerezza, la leggerezza di fare delle cazzate. Vorrei non essere troppo pignola con me e con altri.”
Maria De Filippi si confessa: "Maurizio Costanzo lavorava sempre, mi ero stancata di non fare le vacanze". Libero Quotidiano l'11 Agosto 2019. Maria De Filippi è finalmente in vacanza ad Ansedonia, là dove ha creato una routine fatta di piccole cose, cene con gli amici più stretti e anche tanto sport: "Qualunque cosa faccia al pomeriggio – ha raccontato a Di Più –, torno ogni sera verso le 19, ceno con Maurizio e sto con lui per il resto della serata. Non stiamo quasi mai soli, comunque: c'è Gabriele quando ci viene a trovare, ci sono mio fratello Giuseppe e sua moglie…". E anche i suoi cagnoni, Ugo e Filippa. Non solo: "A dare un tocco di varietà alle nostre giornate – ha poi aggiunto – sono gli amici che vengono a trovarci: persone che non sono note al pubblico ma che, per i motivi più diversi, sono entrate nella vita di Maurizio e nella mia". "Maurizio le vacanze non le faceva proprio: per lui esisteva solo il lavoro. La prima estate che abbiamo trascorso insieme, nel 1991, mi è toccato seguirlo freneticamente in giro per l'Italia perché lui portava il Maurizio Costanzo show in tournée di città in città […] Ora, tutto questo non mi rendeva pazza di gioia: non è che io avessi una band e dovessi fare concerti. E allora, l'estate successiva, ho iniziato ad abituare Maurizio al concetto di vacanza". La conduttrice di Amici ha anche parlato del figlio: "Il nostro legame è stato cementato dal fatto che, quando lui era ragazzo, ci siamo parlati molto […] io per Gabriele sono una certezza nella vita: lui sa che io ci sono sempre". E sulla fidanzata: "L'ho vista – ha raccontato – una sola volta. Non sono una mamma impicciona […] Sono molto serena: quella è la vita loro, sono i fatti loro, non devono essere i miei. Mio figlio ha il diritto e la capacità di scegliere la persona di cui innamorarsi".
Amici, Maria De Filippi e quel momento di panico: "Ero terrorizzata, senza saliva". Libero Quotidiano il 24 Luglio 2019. In un’intervista esclusiva al settimanale Oggi, in edicola da giovedì 25 luglio, Maria De Filippi racconta moltissimo dei suoi esordi, del suo lavoro, dei suoi progetti e anche del suo rapporto con Pier Silvio Berlusconi, il "boss" di Mediaset. Si parte dalla dalla gavetta: "Sono stata seduta sei anni in una sala riunioni non avendo il diritto di parola". E dagli esordi ad Amici: "Ero terrorizzata, senza salivazione, e le labbra mi si incollavano mentre parlavo. Da lì partì la mia dipendenza dalle caramelle: ancora adesso uso le stesse, le Leone al limone, me le manda una telespettatrice che non ho mai conosciuto". Ai molti che le attribuiscono un futuro ruolo di direttore di rete risponde: "Mi vengono attribuite cose in cui non c’è il minimo fondo di verità. E io ci resto malissimo… Ho visto Maurizio essere direttore di rete: ed è finito in ospedale! Io non lo farei mai e poi mai. Dire sì o no ai tuoi colleghi deve essere fra le cose più tremende che ti possano succedere: ma perché dovrei mettermi in una situazione del genere?". Si è detto che ha visto Marina Berlusconi proprio per parlarne... "Vede? La colazione con Marina è stata una soffiata fatta da chissà chi. Abbiamo parlato soltanto, pensi un po’, di integratori, cani e libri, ma nessuno mi ha creduto…". "Quando non condurrò più, magari continuare ad avere un ruolo!", conclude la conduttrice, "ma dipende dove e con chi, perché io sono abituata a lavorare in modo autonomo. Ho un rapporto bello e molto vero con Pier Silvio Berlusconi. Io non gli ho mai detto balle, il nostro rapporto è cresciuto piano piano… Ci siamo ritrovati a crescere insieme, lui con un ruolo, io con un altro. Non lo sento certo tutti i giorni, però quando lo sento o lo vedo, lui sa che le cose che dico le mantengo. E lo stesso vale per lui… a Pier Silvio faccio fatica a dire no!".
· Maurizio Costanzo. Uno di Noi.
MAURIZIO COSTANZO, UNO DI NOI. Da Un Giorno da Pecora il 10 maggio 2019. “Ho sofferto più per la Roma che per amore. Ma la Roma è una fede”. A parlare è Maurizio Costanzo, giornalista, conduttore e grande tifoso romanista, ai microfoni del programma di Rai Radio1 Un Giorno da Pecora, condotto da Giorgio Lauro e Geppi Cucciari. La As Roma la sta facendo ancora soffrire molto? “Porca Miseria, si”. Perché non le piace mister Claudio Ranieri? “Non è quello il problema. Non mi piace che abbiano venduto dei calciatori bravi che avevamo, tipo Nainggolan. E non mi era piaciuto che Spalletti non facesse giocare Totti: si è visto poi che bella fine ha fatto Spalletti, come va bene con l'Inter...” James Pallotta le piace? “Non lo conosco”. Lei diresse anche il quotidiano 'Il Romanista'. “Si, per un paio di anni. Che mal di fegato che avevo quando lo dirigevo...” Guarda tutte le partite dei giallorossi? “No, le guardo poco, perché mi incazzo. Guardo sempre i risultati”. Chi vorrebbe come allenatore della Roma? “Conte”. Ma non viene. Le piacerebbe Totti sulla panchina della Roma? “Non credo che lui ne abbia voglia, mi pare che abbia trovato un suo ruolo da dirigente”, ha concluso Totti a Un Giorno da Pecora. Ospite di Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, Maurizio Costanzo ha raccontato l'amore con Maria De Filippi, che dura da molti anni ed è quello che il popolare conduttore aspettava da sempre. Partiamo da uno dei format più fortunati della sua compagna: 'Amici'. Lei lo segue con attenzione? “Si, perché poi vengo interrogato la mattina successiva. Mi piace, lo vedo tutto. E vedo anche 'C'è posta per te' seguo tutto”. Segue anche 'Uomini e Donne'? “No, perché a quell'ora ho da lavorare. Ma fui io ad insistere per fare 'Uomini e Donne Over', pensai che per i non più giovani poteva essere una bella iniezione di vita”. Se dovesse indicare i più grandi errori della sua vita, cosa indicherebbe? “I primi tre matrimoni, prima di arrivare al quarto”. Si dice che la relazione con Simona Izzo finì perché lei era troppo gelosa. “Si, guardava le tasche, guardava i foglietti”. Forse lei aspettava Maria De Filippi da tutta la vita. “Evidentemente sì: c'è sempre un appuntamento ma tu non sai quando sarà. Con lei l'ho riconosciuto perché dopo un po' che eravamo insieme ho capito che quello poteva essere 'IL' matrimonio. Maria mi ha insegnato cos'è il matrimonio, mi ha insegnato il rispetto e l'amicizia”. E' geloso della De Filippi? “Si, ma dato che lei è una donna intelligente non mi ha dato motivo di esserlo. Stiamo per celebrare le nozze d'argento: si può esser gelosi di una donna con cui stai da così tanto tempo”.
· Pippo Baudo: «Non rimpiango niente (anzi, due cose)».
Dagospia news il 3 novembre 2019. ESTRATTI INTERVISTA DI PIERLUIGI DIACO A PIPPO BAUDO. DA “IO E TE DI NOTTE” SU RAI UNO
DIACO: ti emoziona ancora venire in uno studio televisivo?
BAUDO: Se non mi emozionasse, sarebbe tutto finito. L’emozione si trasmette attraverso la telecamera, la gente la percepisce a casa. Se tu sei troppo disinvolto, se non te ne frega niente, la gente dice: “ma perché devo seguire questo Pippo Baudo al quale non gliene frega niente? Io lo seguo se lui mi mostra interesse!”. Quindi io ogni volta che appaio in televisione, guardo la telecamera e quando si accende la lucetta rossa, io provo dei sentimenti.
BAUDO: Ma sai, adesso c’è il sentimento della terza quarta età, è un sentimento bello che devi affrontare con molta sicurezza, con molta tranquillità, senza drammi.
DIACO: (…) CHE RAPPORTO HAI TU CON LA SOLITUDINE?
BAUDO: La solitudine è un momento triste della vita. Se però lo traduci in riflessione, la solitudine diventa un fatto formativo. La solitudine significa tristezza, malinconia, ricordo del passato. Invece, se la solitudine ti serve per pensare che cosa sei, che cosa hai fatto e che cosa ancora puoi fare, allora la solitudine è produttiva.
DIACO: (…) HAI FATTO DELLA CULTURA IL MEZZO PER SEMPLIFICARE E PER SPIEGARE COSE GRANDI IN MANIERA SEMPLICE ALLA GENTE…
BAUDO: Io sono stato accusato da un presidente della Rai di fare del nazionalpopolare. Fu un incidente di percorso che mi costò, poi abbiamo chiarito tutto. Vedi, la cultura non va strombazzata. Tu devi dire le cose più importanti nella maniera più leggera, e quindi pian pianino tu accresci il tuo bagaglio culturale e non te ne accorgi. La vera cultura è quella gramsciana, che è nazionalpopolare, che quindi viene recepita dall’alto e dal basso. Se tu fai questo fai crescere tutto il paese. Cresci tu e il paese!
DIACO: IN QUESTA FASE DELLA TUA VITA TI NUTRI Più DI MUSICA, LETTERATURA, CINEMA… COSA TI APPASSIONA DI PIU'?
BAUDO: Vado molto al Cinema, seguo sia il cinema italiano sia straniero. Devo dire che mi interesso molto. Leggo, ovviamente, tutti i giorni, sono informatissimo… i giornali per me sono un patrimonio del quale non posso fare a meno. Giornali cartacei, mi raccomando! La gioia di sentire l’odore della carta, sfogliare, leggere le notizie. Non puoi essere fuori dal mondo se non sei informato.
DIACO: CHE ITALIA ERA QUELLA DELLA TUA INFANZIA?
BAUDO: Era un’Italia semplice, un’Italia paesana, anche se nel paese ci sono tanti sentimenti belli. Avevamo soltanto un Cinema, venivano le compagnie di varietà, la compagnia di prosa. E io ho cominciato a odorare il sapore del palcoscenico. Venne una compagnia che rappresentava la vita di Santa Rita da Cascia. Santa Rita da Cascia aveva un figlio. Cercavano un bambino che potesse interpretare il ruolo di Santa Rita e hanno scelto me. Sono salito sul palcoscenico, ho provato una gioia di stare in palcoscenico e di avere un pubblico davanti a me che non me ne sono andato più via e sono ancora qua! Avevo sei anni! Ho una carriera che parte in fasce.
DIACO: MI RACCONTI LE GIORNATE TIPO NEGLI ANNI DELLA TUA INFANZIA IN SICILIA?
BAUDO: Noi si andava sempre nel pomeriggio all’oratorio…(ndr guardando la sua foto sul led) …vedi come sono bellino vestito da chierichetto! Dunque, si andava all’oratorio, si studiava e si provava teatro, facevamo delle compagnie e poi si recitava. Sono nato, cresciuto, impastato con questa gioia dello spettacolo, della rappresentazione. La vita era una vita semplice perché si andava a passeggiare in paese per le strade, poi si passeggiava in piazza la domenica. La domenica si indossava il vestito della festa. Mi ricordo che mia madre mi aveva regalato un pullover. Io nervosamente lo masticai e lo bucai. Mio padre mi schiaffeggiò in piazza davanti a tutti e fu una bella lezione.
DIACO: CHE COSA HAI IMPARATO?
BAUDO: Io ho imparato il rigore da mio padre. Io ho fatto un patto con mio padre e con la mia famiglia. Io volevo fare questo mestiere e lo sapeva. Gli avevo comunicato: “papà, una volta laureato tenterò di fare lo spettacolo!”. Papà mi disse: “Va bene, tu ti laurei con una buona votazione e poi ti do tre mesi di tempo!”. Infatti mi sono laureato…
(ndr guardando una foto insieme con i suoi genitori a Militello sul led) … qui stiamo vedendo papà e questa bellissima mamma alla quale io assomiglio… (RIDE DI CUORE) … e appena mi sono laureato ho preso subito un treno di terza classe. Papà e mamma mi hanno accompagnato alla stazione. Mamma piangeva perché pensava che questa partenza non avrebbe avuto poi ritorno. Papà era un po’ più fiducioso, diceva: “ma no, farà un tentativo a Roma, passeranno pochi mesi ma poi ritorna!”. Sono arrivato qui a Roma, sono stato ospite da mia zia, Giorgina, che abitava a Monte Sacro. Dormivo nella sua stanza. Lei aveva un piccolo difetto: russava in una maniera pazzesca… erano dei tuoni! Poi sono venuto qui a Via Teulada, e mi sono presentato all’ingresso. Io avevo un’illusione… credevo che via Teulada fosse Hollywood! Mi aspettavo grandi luci, una specie di palcoscenico bellissimo, invece, come tu sai, è una specie di carcere! Sono andato lì, sono andato in portineria e ho detto: “Senta, io vorrei fare un provino.” Dice: “Va bene, la metto in contatto con la signora Manenti” – sono nomi che non si dimenticano – e mi passò la signora Manenti. “Pronto signora Manenti, io sono Pippo Baudo, sono laureato in giurisprudenza, vengo da Catania, vorrei fare un provino”. Dice: “senta, i provini ci sono dopodomani. Lei in che cosa lo vuol fare?”. Ed io: “in tutto! Presentatore, cantante, pianista, faccio tutto!”. Mi sono presentato, e i miei giudicanti erano niente po’ po’ di meno che: Lino Procacci e Antonello Falqui, il massimo!
DIACO: I TUOI AMICI DELL’EPOCA COME REAGIVANO RISPETTO A QUESTE TUE DOTI NATURALI?
BAUDO: Bene, bene! I miei amici lavoravano con me, facevamo spettacoli insieme. Un mio compagno, Tuccio Musumeci, col quale ci sentiamo tutti i giorni, era il comico della compagnia. Io facevo delle riviste goliardiche… (ndr guardando una foto insieme con Tuccio Musumeci sul led) Ecco, ecco, quello è Tuccio Musumeci, accanto a me! … poi ho creato il Centro universitario teatrale all’Università, quindi ero anche stipendiato dall’Università. Insomma, cercavo di arrangiarmi in qualche modo. Fino a quando dissi a mio padre: “papà, non darmi la paghetta domenicale perché io me la cavavo da solo”. E, infatti, facendo il buffone – come diceva lui e soprattutto mia madre – riuscivo a racimolare quello di cui avevo bisogno per i piccoli divertimenti.
DIACO: (MOSTRA FOTO DI PIPPO A 11 ANNI AL PIANO)
BAUDO: Quel pianoforte, vedi, è di mia madre. Mio nonno materno era un commerciante di agrumi e esportava agrumi in Germania. Fece un accordo col suo collega tedesco, e disse: “Io ti mando un vagone di agrumi gratis e tu mi mandi in cambio un pianoforte”. Quel pianoforte è ancora qui a Roma, a casa mia nel mio studio. Appena ho visto quel pianoforte mi sono catapultato, vedi, avevo ancora i pantaloni corti.
DIACO: COL SENNO DEL POI, COSA TI SENTI DI DIRE AL BAMBINO CHE ERI?
BAUDO: Al bambino che ero vorrei dire: “Hai fatto bene a insistere. Volevi raggiungere la felicità in un mondo strano, per allora… il mondo dello spettacolo, e non sei stato codardo. Sei stato testardo e ce l’hai fatta, complimenti!”
DIACO RACCONTA UN ANEDDOTO: NEGLI ANNI IN CUI PIPPO HA CONDOTTO LE EDIZIONI DEL FESTIVAL DI SANREMO INVITAVA GLI ARTISTI A CASA SUA DOVE HA IL PIANOFORTE (…) E SENZA INGERENZE E CON MOLTA UMILTà DAVA LORO SUGGERIMENTI (…) E BASTAVA UN SUGGERIMENTO DI UN DETTAGLIO, UNA NOTA, UN VERSO, UN’ARMONIA A CAMBIARE IL PEZZO E A RESTITUIRLO Più FRUIBILE AL GRANDE PUBBLICO.
BAUDO: Sì, io praticamente collaboravo alla stesura, ma senza imposizioni. Non ho mai firmato niente, per carità! Per la grande passione che avevo volevo che il cantante avesse successo. Il pezzo spesso non era completo nella sua estensione, non esprimeva tutta la gamma dei sentimenti che voleva esprimere, come per esempio accadde con Giorgia. Giorgia presentò un pezzo che si chiamava Il sole giallo…“Sì, ma che canzone è questa? Ma non hai qualche altra cosa?”. Lei era con Leonarduzzi, un bassista e chitarrista molto bravo. Disse: “Abbiamo un attacco di una melodia…”. Dissi: “Fammela sentire!”. “E poi, e poi…”. Dico: “C’è la canzone, è questa! Manca un pezzetto. Allora, ci mettete un bel ponte, un bell’inciso, un refrain, una strofa, e domani mattina ci vediamo e la canzone è fatta!”. E così nacque E poi!
DIACO: LA MANO DI PIPPO DAL PUNTO DI VISTA AUTORIALE SI è FATTA SENTIRE IN TUTTI I PROGRAMMI CHE HA CONDOTTO. MA NON TI SEI FATTO MAI PORTAVOCE DI QUESTO TUO TALENTO, è UNA COSA CHE TU TENEVI TRA TE E GLI ARTISTI?
BAUDO: Quello era un rapporto mio privato con gli artisti…
DIACO: (…) TU HAI SEMPRE RICOMINCIATO, MA QUELLA VOLTA CHE HAI RICOMINCIATO RITORNANDO IN UN PROGRAMMA POMERIDIANO DI RAI TRE IN SORDINA, PIANO PIANO…
BAUDO: Alle tre di pomeriggio, un programma di 15 minuti, pazzesco!
DIACO: QUALE ERA IL TUO STATO D’ANIMO QUANDO TI HANNO DETTO: “PIPPO, PER TE ABBIAMO 15 MINUTI ALLE TRE DI POMERIGGIO SU RAI TRE?
BAUDO: Io ho detto: “Ho capito che voi non mi volete! Poi aspettate che io vi dica di no ed io a dispetto vi dico di sì!”. Poi addirittura mi fecero chiamare dal capo dell’ufficio scritture che mi offrì 1.500 Lire a puntata. Ho detto: “io pensavo che fosse molto meno. Accetto!”. E andavamo tutti i giorni a registrare, giorno dopo giorno, e facevamo 5 puntate al giorno di un programma di 15 minuti. Poi a un certo punto, un grande direttore di Rai Tre, Francesco Pinto, mi disse: “C’è uno slargo di 25 minuti prima del telegiornale. Possiamo allungare questo giorno dopo giorno?”. Risposi: “Certo, direttore!”. Io lo allungai ed ebbe un successo enorme. Fui richiamato e mi disse: “allora facciamolo di un’ora!”, poi l’abbiamo fatto di due ore ed è diventato un programma enorme. Diventò Novecento!
DIACO: (…) PER QUANTO MI RIGUARDA è IL PROGRAMMA Più BELLO CHE HAI FATTO. UN PROGRAMMA LEGGERO MA RICCO DI CULTURA. UN PROGRAMMA BELLISSIMO!
BAUDO: Ti ringrazio perché lo penso anch’io! Novecento mischiava divertimento, spettacolo e tanta tantissima cultura. Ricordo i grandi che sono venuti, Franco Zeffirelli, tutti venivano…
DIACO: (…) AL NETTO DELLE CELEBRAZIONI (…) TU SEI UNO GENEROSO… SECONDO ME, SE TI CHIEDESSERO ADESSO DI RICOMINCIARE A FARE UN PROGRAMMA TUTTI I GIORNI ALLE TRE DI POMERIGGIO, TU ACCETTERESTI!
BAUDO: Certo! Chiamatemi e arrivo!
DIACO: CHE PROGRAMMA MANCA ALLA TELEVISIONE GENERALISTA DI OGGI?
BAUDO: Eh… manca tanto, eh! Purtroppo manca tanto. Non vorrei fare il critico in poltrona, però… il sevizio pubblico Rai non deve essere una serie di programmi che assomigliano alla televisione commerciale. La televisione commerciale, con tutto il rispetto che ho, è una cosa, la Rai è servizio pubblico, quindi alto, livello alto, alto!
DIACO: (…) HAI UN’IDEA CHE TI BALENA IN TESTA?
BAUDO: Ci penso ci penso, certo, la voglia di stare sempre nell’arena c’è! Caro Diaco, quando uno nasce torero, deve fare il torero per tutta la vita, non c’è niente da fare!
DIACO: DA PARTE DI TUTTI NEI TUOI CONFRONTI C’è UN’ATTENZIONE, UN RISPETTO, COME SE ANDASSI IN ONDA TUTTI I GIORNI. (…) NELLA MEMORIA COLLETTIVA, LO VEDO NELLE TECHE RAI, QUANDO PASSANO LE TUE COSE, INSOMMA, PIPPO, NON CE NE è PER NESSUNO
BAUDO: (ndr Baudo ride) io ho passato la giornata più bella della mia vita quando fui chiamato da Guido Sacerdote che mi disse: “Tu sei il quarto presentatore per studio 1, devi partecipare assieme a Corrado, Mike, Tortora con Mina a una puntata di Studio 1. (ndr guardando la foto sul led) Ecco stiamo vedendo già la foto…
DIACO LANCIA UNA CLIP DI “SABATO SERA” PROGRAMMA DEL 1967 DI ANTONELLO FALQUI CONDOTTO DA MINA IN CUI BAUDO, BONGIORNO, CORRADO E TORTORA SI INCONTRANO FACENDO FINTA DI NON CONOSCERSI.
BAUDO: Io ero emozionatissimo… quando mi hanno chiamato ho detto: “Ma veramente? Ma io come faccio a stare insieme a loro?”. Poi quando ci siamo schierati, Enzo, Enzo Tortora, che era molto spiritoso, mi ha detto: “Senti, tu quando stai accanto a Mike, tu stai un po’ sulle punte, così lui sembra ancora più piccolo”. Gli ho detto: “ma io sono un pivellino, sono appena arrivato, non posso fare una scortesia del genere”. E sono stato accanto a Mike, del quale poi sono diventato un grandissimo amico, grande amico!
DIACO: SE II MICROFONI AVESSERO IL POTERE DI ARRIVARE LASSU', DOVE SONO CORRODO, BONGIORNO, TORTORA, COSA DIRESTI LORO?
BAUDO: Direi, guardateci attentamente e dateci una mano, ne abbiamo bisogno.
DIACO: QUAL è IL TUO RAPPORTO CON LA FEDE IN QUESTO MOMENTO DELLA TUA VITA?
BAUDO: La fede è una cosa che non bisogna mai dichiarare, bisogna sentirla dentro. La fede significa avere fiducia, avere un rapporto d’amore nei confronti del prossimo, e guardare il domani con grande fiducia, con grande speranza. Ed essere anche religiosi, ma non necessariamente cattolici. La religiosità è qualcosa di spirituale, avere un rapporto con se stesso e con gli altri.
DIACO: (…) QUANTE VOLTE I DUBBI SI SONO IMPOSSESSATI DI TE FACENDOTI PERDERE LA BUSSOLA?
BAUDO: Di dubbi ne ho avuti tanti… accettare dei programmi, fare delle cose, scelte di vita. La vita purtroppo ci porta sempre davanti a bivi, a dover scegliere la strada da prendere. Qualcuna l’ho azzeccata, qualcuna l’ho sbagliata. Interessante è fare un consuntivo finale nella speranza – e quello me lo auguro tanto – che siano state più le giuste che quelle sbagliate.
DIACO FA ASCOLTARE SOLO IN AUDIO LA VOCE DI PIPPO CARUSO
BAUDO: La voce di un grande direttore d’orchestra, di un grande compagno, di un grande amico. Ci siamo conosciuti a scuola, facevamo insieme il ginnasio, una parte del liceo poi lui è partito, ha fatto l’orchestrale, poi direttore d’orchestra. Poi, guarda Pierluigi, i casi della vita. Io sono a New York, e improvvisamente a New York vedo una persona, dico: “Ma tu sei Pippo Caruso, io son Pippo Baudo! Ciao ciao. Ma che fai qua?”. “Io ho un’orchestra e animo con la mia orchestra delle crociere dei ricchi americani che vanno ai Caraibi”. Ho detto: “E solo questo fai? Allora, vieni con me a Roma e lavoriamo insieme!”. Da allora non ci siamo più lasciati. Io devo dire una cosa (ndr rivolgendosi a Pippo Caruso) “te la dico, Pippo, perché tu lo sai: “io ti penso tutti i giorni”. Io a Pippo Caruso ce l’ho nel cuore!
DIACO DEDICA A BAUDO ALMENO TU NELL’UNIVERSO DI MIA MARTINI
BAUDO: Voglio raccontarti la storia di questa canzone. Allora, Maurizio Fabrizio, un grande autore, aveva questa musica. È venuto a trovarmi in ufficio e mi ha detto: “Senti, io ho scritto questa musica, ma non trovo le parole. Mi sembra difficile trovare le parole adatte”. Gli ho detto: “Non ti preoccupare, chiamiamo un amico”. E chiamo Bruno Lauzi: “Pronto, ho qui con me Maurizio Fabrizio, che ha scritto una canzone bellissima. Ti faccio sentire, avevo un registratore, soltanto l’attacco del ritornello”. Lui ha sentito… e mi ha detto: “Un capolavoro. Mandamela in fuori sacco domani subito a Genova”. Ho mandato il nastro a Bruno Lauzi e dopo 24 ore la canzone c’era fatta. Ed è nata Almeno tu nell’universo.
DIACO: ESSENDO UN AMANTE DELLA MUSICA, MI PIACEREBBE VEDERE IN TELEVISIONE UN PROGRAMMA DAL TITOLO “COME NASCE UNA CANZONE” CONDOTTO DA PIPPO BAUDO
BAUDO: Mi scusi, dottore, La ritengo questa una proposta di scrittura?
DIACO: Ne sarei onorato.
BAUDO: Ho già firmato!
ALESSANDRA COMAZZI per la Stampa il 15 settembre 2019. Pippo Baudo, lei è il recordman di Domenica in, ne ha condotte ben tredici edizioni. Il programma ha debuttato nel 1976, e adesso siamo ancora lì che la annunciamo, la aspettiamo, la guardiamo, chiamiamo «zia» Mara Venier. 1976-2019: non è veramente troppo?
«I titoli dei programmi vanno mantenuti, sono un po' come le testate dei giornali.
Quelle mica cambiano. Solo che bisognerebbe rinnovarsi, e molto velocemente».
Cominciò a condurre «Domenica in» giusto 40 anni fa, nel 1979, e lei, di anni, ne aveva 43: che cosa fece?
«Il programma nacque ai tempi dell' austerity, l' idea era intrattenere gli italiani davanti alla televisione, poiché non potevano viaggiare in auto. Il primo conduttore fu Corrado, che naturalmente diede al programma la sua forte connotazione. Io dovevo fare qualcosa di diverso. E allora pensai a un rotocalco. Guardare Domenica in doveva essere come sfogliare una rivista, trovando politica, attualità, cultura. Cominciarono le presentazioni dei libri, venivano da me scrittori normalmente refrattari al video, ricordo Fruttero e Lucentini, o Montanelli. Pure tra i politici: mio fiore all' occhiello fu Berlinguer, che era parecchio timido e non si metteva mai volentieri davanti alla macchina da presa. E ricordo uno degli incontri con Andreotti: per preparare l' intervista mi ricevette alle 7 del mattino nel suo studio di corso Vittorio a Roma, in veste da camera. Parlammo di tutto, ma non di quello che gli avrei chiesto l' indomani.Onorevole, gli chiesi alla fine: ma, e l' intervista? E lui: domani improvvisiamo. Il fatto è che i politici non avevano l' attuale dimestichezza con la telecamera, figuriamoci i social».
Un altro mondo, certamente: però si potrebbe ancora definire Domenica in» un rotocalco?
«Ma, cosa vuole, il rotocalco è stato sostituito dal cazzeggio. Si va sul facile. Si pensa agli ascolti: anche se... Io realizzavo ascolti molto importanti con i libri, non mi si venga a dire che la cultura non fa ascolto. Certo, bisogna prepararsi perfettamente, leggere tutto, informarsi. L' Unione Editori aveva fatto uno studio: un passaggio a Domenica in valeva in automatico 50 mila copie di vendita. Volevano persino istituire un "comitato editoriale" per valutare quale volume dovesse essere presentato e quale no. Ovviamente dissi: se fate una cosa così mi dimetto. E non la fecero. Insomma, ogni tanto bisogna anche ribellarsi».
Questo suo ruolo è stato ereditato da Fabio Fazio?
«Lui lo fa bene, il suo lavoro, certo».
Però la sua rivoluzione fu parlare diffusamente di libri con gli scrittori dopo il pranzo domenicale italiano, giusto?
«Quella fu la scommessa. E realizzare una trasmissione che andasse avanti dalle 14 alle 20. Mi hanno sempre preso in giro tutti per la mia tv-maratona, tv-messa cantata. Ma la sua logica ce l' ha».
O ce l' aveva?
«Bisogna porsi delle asticelle, come nel salto: sempre più in alto. E tu conduttore devi portare il pubblico a saltare, quindi ad elevarsi, con te. Ci vuole tempo, il tempo non c' è più, e la volontà è quindi quella di abbassare tutto. Che peccato».
«Tanti show, vecchie idee. Questa tv non sa inventare». Pubblicato mercoledì, 18 settembre 2019 su Corriere.it da Renato Franco. Il conduttore: «10 stagioni per un programma sono troppe. Aumentano i canali, aumentano i programmi, ma non aumentano le idee».
Declinante, moribonda, viva ma non vegeta: Pippo Baudo, che momento vive la televisione?
«È un periodo di crisi, perché non c’è varietà e ideazione di programmi. I palinsesti sono tutti uguali».
Da cosa dipende quest’omologazione?
«È anche colpa dei reality e dei talent che condizionano le reti perché è più facile proporre elementi familiari per il pubblico piuttosto che rischiare con un programma ex novo. Aumentano i canali, aumentano i programmi, ma non aumentano le idee».
La «sua» Rai come sta?
«Da quando ha il canone in bolletta vive una condizione economica fortunata grazie a un incasso garantito. Avrebbe maggiori possibilità e avrebbe l’obbligo, come servizio pubblico, di variare l’offerta. Invece...».
Colpa di?
«Un po’ della pigrizia e un po’ dell’incertezza di dirigenti che sono emanazione di forze politiche cangianti: i vertici Rai hanno la sedia che balla sotto di loro, non sono sereni. La tv di Stato dovrebbe creare gruppi di lavoro con il solo scopo di inventare e sperimentare programmi, come accadde con la Rai3 di Guglielmi».
Il genere televisivo che non regge?
«Non sopporto più la cucina in tv, si mangia a tutte le ore e i programmi sono tutti uguali».
I talk politici?
«Non mi divertono perché non c’è polemica dialettica e idee su cui scontrarsi, è un bla bla bla sterile. I talk dovrebbero alimentare la circolazione e il dibattito di opinioni, invece si punta sul sicuro, vuoi per sonnolenza, vuoi per pigrizia: quattro interviste, quattro concetti, e via».
Tra le sfide del pomeriggio c’è quella tra Cuccarini e D’Urso...
«Lorella è quasi una mia parente, per lei ho un debole. Barbara D’Urso debuttò con me come valletta a Domenica in: diceva al massimo 10 parole, ora ne dice 10 milioni. È inarrestabile. Rimango meravigliato dalla sua capacità di creare dal nulla un discorso lunghissimo, che varia dalla commozione alla risata, una ricchezza degna di Paola Borboni e delle grandi attrici del passato».
In tv ci sono i soliti noti: Conti e Bonolis, De Filippi e Carlucci, Scotti...
«Tutti personaggi di carisma, che però si affezionano a programmi che vanno avanti per 10 e più stagioni. Una volta dopo due anni al massimo mi chiamavano e mi dicevano: guarda che il programma lo devi cambiare».
Il suo erede?
«Io eredi non ne voglio, né mi auguro che ci siano. Un conduttore deve avere caratteristiche fisiche, gestuali, vocali che siano proprie. Io arrivai ultimo, dopo Mike, Corrado e Tortora e quindi tentai in ogni modo di non somigliare a nessuno di loro. Mike faceva il quiz, Corrado il varietà, Tortora il giornalismo. Mancava la musica e io mi buttai lì con Settevoci».
Come vede Amadeus a Sanremo?
«Se lo merita, ha lavorato tantissimo, è una soddisfazione giusta. La difficoltà maggiore per lui sarà fare il direttore artistico perché adesso le canzoni hanno la scadenza come il latte, durano un mese, che significa che non hanno profondità. Oggi chi scrive come Modugno o Battisti?».
La manca condurre un programma o è arrivato il momento di dire basta?.
«Non ho nostalgia di avere un programma mio. L’età c’è, come potrei concorrere con la Balivo? E poi anche il pubblico mi rimprovererebbe questo attaccamento morboso alla tv. Quindi va bene così. E come diceva Marcello Marchesi: tutto è perduto tranne l’ospite d’onore. Le ospitate mi divertono, ma anche lì non devi esagerare, l’ospite fisso alla fine puzza come il pesce».
Oggi sarà il protagonista della serata inaugurale della Festa del libro «pordenonelegge»» (alle 21 al Teatro Verdi). L’occasione è anche parlare dell’autobiografia «Ecco a voi. Una storia italiana» (Solferino) scritta con Paolo Conti. In 50 anni di carriera qual è la cosa più incredibile che le è capitata?
«Il primo Sanremo fu davvero indimenticabile. Era il 1968, l’anno dopo la morte di Tenco e io non ero preparato ad affrontare il mio primo festival proprio dopo la tragedia. Levai di bocca la tromba a Louis Armstrong; a Lionel Hampton — che doveva riassumere le canzoni in gara — dovetti suggerire le canzoni all’orecchio; Dionne Warwick aveva una canzone meravigliosa, La voce del silenzio».
Cosa poteva evitare invece?
«L’ultimo Sanremo, nel 2008. Era un papocchio, meno male che c’era Chiambretti. Le canzoni non erano granché e senza soldati la guerra non si vince. Però almeno mi sono portato a casa il record dei 13 Sanremo. Mi sa che è difficile batterlo».
Si è mai sentito onnipotente?
«La malattia di Napoleone era un rischio alla portata, ma non mi ha sfiorato. Quando azzecchi due o tre cose di fila, puoi pensare: non sbaglio più. Ma poi arriva un bell’errore a darti il senso della tua fragilità».
Striscia la notizia festeggia Pippo Baudo tra Tapiri d’Oro e polemiche. Massimiliano Carbonaro su tvzap.kataweb.it il 5 giugno 2019. Il tg satirico di Canale 5 con tre servizi in onda fino al 7 giugno rende omaggio, alla sua maniera, al decano della tv italiana
Striscia la notizia a cominciare dalla puntata in onda il 5 giugno festeggia per tre serate fino al 7 giugno Pippo Baudo con un augurio particolare: sono 83 anni e 60 di televisione per uno dei più importanti personaggi del piccolo schermo del nostro Paese nato il 7 giugno 1936 a Militello in Sicilia. L’omaggio del tg satirico di Antonio Ricci a Baudo, composto da 3 servizi (fino al giorno del compleanno del conduttore), ripercorre la carriera e quella che viene definita da Striscia la sua particolare sensibilità. Viene ricordata la volta in cui per il Sanremo 1996 Pippo Baudo accusò Striscia di aver distribuito un manifesto che annunciava la sua morte. Si ricordano, inoltre, le 3 edizioni del Sanremo condotto da Pippo Baudo (1995,1996 e 2003) in cui Striscia anticipò i nomi dei vincitori: rispettivamente Giorgia, Ron e Alexia. Si parlerà anche dei suoi sponsor e dei messaggi promozionali. Non mancano i Tapiri d’Oro e perfino un Lama d’oro per aver sputato ad un autore nel 1997. Infine un’intervista inedita all’ex manager Armando Gentile, che ammette le debolezze di Pippo Baudo come uomo.
Pippo Baudo: il compleanno, 60 anni in tv e la divisa de Le Iene. Le Iene il 7 giugno 2019. Il 7 giugno, Pippo Baudo compie 83 anni e taglia il traguardo dei 60 in tv. Una volta ha condotto una puntata de Le Iene e un’altra ancora ha indossato la nostra divisa con Giulio Golia. Pippo Baudo compie 83 anni e taglia il traguardo dei 60 nella sua carriera in tv. Oggi 7 giugno è una giornata ricca di significati per il conduttore televisivo. Anche noi de Le Iene abbiamo conosciuto il Pippo nazionale. Una volta ha presentato una nostra puntata al fianco di Ilary Blasi ed Enrico Brignano. Era il 2012, quando ha trascorso un’intera sera alla conduzione de Le Iene su Italia1. Un anno prima invece ha provato a vestire direttamente la nostra divisa. Pur avendo un contratto con mamma Rai, a Pippo mancava un programma tutto suo. Tutto ciò lo incupiva, allora il nostro Giulio Golia è andato a trovarlo per risollevargli un po’ il morale, come potete vedere nel servizio qui sopra). Gli abbiamo proposto di vestire i panni della Iena. Ci siamo presentati a casa sua con tanto di divisa su misura. Decide che la sua prima intervista l’avrebbe fatta a Renato Zero. Dopo poche ore però fa retromarcia ricordando alcune clausole nel contratto con viale Mazzini che non gli consentivano di lavorare per altri. Sono passati 8 anni da quella volta, ci auguriamo che a Pippo le cose stiano girando meglio. Gli mandiamo intanto i nostri auguri per questo suo traguardo!
Pippo Baudo, 83 anni e 60 di carriera: tutti i suoi momenti «cult». Mario Manca il 7 giugno 2019 su vanityfair.it. Il conduttore siciliano, simbolo della televisione italiana, festeggia 60 anni di carriera e spegne 83 candeline, festeggiate anche in tv. Dal salvataggio al Sanremo del '95 al ballo «tête-à-tête» con Sharon Stone, ecco i momenti più iconici che ci ha regalato. La radio la ascoltava per ore, e per un motivo preciso: voleva parlare l’italiano senza accento, dosando le «e» strette e le «o» chiuse sul modello dei radiocronisti che affollavano la programmazione di quegli anni. Al suo primo provino a Roma, Antonello Falqui era sorpreso da come parlasse correttamente e, quando gli chiese se avesse frequentato qualche corso di dizione, Pippo Baudo rispose secco: «No, ho ascoltato la radio». Da lì Giuseppe Raimondo Vittorio Baudo, questo il suo nome all’anagrafe, non si è più fermato. Per sessant’anni diventa il simbolo della televisione italiana, il «seratante», come ama definirsi lui, che regge uno spettacolo di tre ore con piglio sicuro, gestendo imprevisti e solleticando l’euforia delle piazze. Venerdì 7 giugno compie 83 anni e la Rai, al quale ha dedicato gran parte della sua vita, lo omaggia con una serata-evento dal titolo Buon Compleanno Pippo, con ospiti del calibro di Fiorello e Gigi D’Alessio a tributarlo come merita. Ma Pippo le cerimonie ha sempre preferito condurle anziché viverle come turista. In sei decenni ha collezionato esperienze e aneddoti che potrebbero riempire nove vite: al tempo di Settevoci, per esempio, lo chiamavano per inaugurare i circhi e lui non si è mai tirato indietro. Faceva le foto con i bambini, con il pony e con il clown e non si vergognava ad ammettere che era solo «perché pagavano bene, allora non c’era Iva, tutto in contante». Grazie a programmi come Scanzonatissimo, invece, ha girato l’Italia, ha capito i sentimenti che animavano il paese e anche che cosa chiedeva: leggerezza, impegno, professionalità, eleganza. Tutti principi che fanno parte della sua conduzione, impeccabile anche davanti alle difficoltà più spinose. Come l’intervista a Ugo Tognazzi che, accusato su Il Male di essere il capo delle Brigate Rosse, iniziò a insidiare Baudo dicendo in diretta che aveva una bomba in tasca. O come l’ultima telefonata di Delia Scala che, pochi giorni prima di morire, telefonò a Novecento che quella sera le aveva dedicato la puntata dicendo a Pippo «Simpatico, sei tu». Di via Teulada lui, che arrivava da Catania, conserva il fascino della conquista: fu lì che vide per la prima volta le Kessler, Panelli, Luttazzi e Noschese. Tuttavia è il Festival di Sanremo a conferirgli quella monumentalità che, grazie ai siparietti e, soprattutto, agli incidenti, lo consacra come una persona perbene, buona e generosa: su tutti, il contestatore che salì sul palco nel 1992 dicendo che il Festival era truccato e l’uomo che tre anni dopo si arrampicò sugli spalti minacciando di buttarsi di sotto e che Pippo raggiunse abbracciandolo forte e aiutandolo a scendere senza che intervenissero le forze dell’ordine. Certo, non mancarono i momenti di puro divertissement, come Roberto Benigni che, nel 2002, gli tastò i «gioielli di famiglia» annunciando all’Italia che «non è rimasto più niente». Fra le tante soddisfazioni, però, c’è anche un velo di amarezza: il passaggio a Fininvest nell’87, per esempio, è ravvisato dallo stesso Pippo come il passo falso della sua carriera. Festival con la Cuccarini (che ha «inventato» lui!) ma, soprattutto, Tu come noi non funzionarono ed è per questo che il conduttore decise di rescindere il contratto e pagare una penale salatissima per poter ritornare in Rai, la sua casa, che lo riaccolse a braccia aperte. Il pubblico lo identifica con la televisione cosiddetta «leggera» anche se lui, Pippo Baudo, ha una preparazione culturale invidiabile, messa in discussione, per sua stessa ammissione, solo davanti a Umberto Eco. In un’intervista a Sette ammette che la televisione di oggi gli piace poco perché «non c’è più programmazione». Apprezza Alessandro Cattelan, «che è il più colto di tutti, ma non ha il phisique», e sul suo futuro scherza così: «Non mi pongo il problema perché, guardando l’età, dico: “Che succede? Quando arriva?”». Sulla morte, infatti, ha una teoria che rivendica con una assoluta certezza: «Speriamo tardi, ma non troppo. Speriamo arrivi quando sono ancora pensante. Quando uno deve andare via è meglio che se ne vada via un’ora prima». E noi, prima di augurargli altri 83 anni di vita, ci sentiamo di dire che i miti della nostra televisione meritano di essere tributati fino a quando sono con noi, seguendoli per mano e ringraziandoli per averci «cresciuti» con la sicurezza e il calore della propria voce. Anche per questo, tanti auguri Pippo.
Buon compleanno Pippo: la festa per i 60 anni di carriera di Baudo. Rai 1 celebra il conduttore con una doppia festa - per gli 80 anni di tv e l'83esimo compleanno - in onda venerdì 7 giugno. Fiorello e Jovanotti tra gli ospiti. Francesco Canino il 7 giugno 2019 su Panorama. Senatore della tv, decano del piccolo schermo, istituzione dello spettacolo, reuccio di Festival, mattatore di una televisione che non c'è più. Comunque lo si definisca, non c'è possibilità di sbagliare errore: da qualunque prospettiva lo si guardi e lo si etichetti, Pippo Baudo resta l'inarrivabile istituzione vivente della tv italiana. Anche per questo Rai 1 gli dedica una doppia festa - per i 60 anni di televisione e per l'83esimo compleanno da poco celebrato - dal titolo Buon compleanno Pippo!, in onda venerdì 7 giugno, quattro ore di grande show e ospiti blasonati.
Buon compleanno Pippo!, la grande festa di Rai 1 per Baudo. Nell'aprile del 1960, Antonello Falqui, che lo aveva appena provinato, scrisse di lui: "Baudo Giuseppe di anni 24. Fantasista. Buona presenza. Buon video. Discreto nel canto. Suona discretamente il pianoforte. N.B.: può essere utilizzato per programmi minori". 60 anni dopo Pippo Baudo - nato Giuseppe Raimondo Vittorio Baudo -ancora ruggisce (anche se oggi ha la dolcezza di una tigre stanca), complici sei decenni vissuti da protagonista assoluto della tv italiana, sempre fantasista e mai mediano. Baudo non si è accontentato di surfare sul successo - benché qualche tonfo clamoroso ci sia stato, come l'approdo all'allora Fininvest da cui scappò con in mano un contratto da direttore artistico, pagando una penale altissima - ma ha lanciato format, inventato personaggi ("l'ho inventato io!"), si è sporcato le mani (quando è stato necessario), è caduto e si è rialzato (dopo l'esperienza a Mediaset tornò da Mamma Rai "accontentandosi" di Rai 3), sempre imprimendo il suo stile sfumato di orgoglio nazionalpopolare.
Baudo, la storia della tv e della Rai. Insomma, Baudo ha intrecciato la sua storia professionale e umana con quella della Rai e dunque con quella dell'Italia intera, conquistandosi sul palco i galloni da "reuccio del piccolo schermo" cui Rai 1 tributa il dovuto omaggio con Buon compleanno Pippo!, in onda della 20.35. E in fondo la tv di Stato omaggia a se stessa perché perché Baudo e pochi altri incarnano l'essenza della tv pubblica, con una sovrapposizione a tratti visibilmente identitaria. "Crescevo io, crescevano i miei programmi. Io studiavo e ciò che studiavo lo mettevo nei miei programmi che sono stati tantissimi", ha raccontato il conduttore incontrando i giornalisti e il direttore di Rai 1, Teresa De Santis, per lanciare lo show evento. Sessant'anni di carriera, dal bianco e nero al colore, l'attitudine innata a mescolare l'alto e il basso, le feste in piazza (dove ha conosciuto e conquistato la pancia del paese reale) e i fasti dei grandi Festival di Sanremo, il varietà come non si fa più, Domenica In e il preserale (che gioiello Luna Park!), gli ascolti stellari dei Fantastico e la nicchia artigianale con Novecento, che considera il suo programma più riuscito. "Tutto quello che ho volevo fare, l'ho fatto. Sono sempre stato accontentato. Non ho rancori, amarezze o rimpianti. Ho solo gioie. Se c'è qualcuno che mi ha deluso? Io faccio le cose per farle, se arriva la riconoscenza, è qualcosa in più". Il suo desiderio per la Rai? "Che continui ad offrire la vera televisione. La Rai deve mantenere l'orgoglio di essere la prima tv".
Buon compleanno Pippo!, tutti gli ospiti. C'è anche Fiorello tra gli ospiti di Buon compleanno Pippo!, lo show evento in onda venerdì 7 giugno su Rai 1 dalle 20.35 dagli studi Fabrizio Frizzi di Roma, dove saranno presenti molti artisti famosi da Jovanotti, a Michelle Hunziker, da Albano e Romina Power a Gigi D’Alessio e ancora Tullio Solenghi, Massimo Lopez, Anna Tatangelo, Giancarlo Magalli, Ficarra e Picone. Non potevano mancare Lorella Cuccarini, Giorgia e Laura Pausini, due "creature baudiane", che ripercorreranno con lui le tappe principali della sua lunga e strepitosa carriera, tra aneddoti ed esibizioni dal vivo con l’orchestra diretta dal maestro Bruno Biriaco. Buon compleanno Pippo sarà anche l’occasione per rivedere filmati storici e memorabili gag con colleghi del mondo dello spettacolo.
Marcello Veneziani per “la Verità” il 7 giugno 2019. L'Italia televisiva e nazionalpopolare si appresta domani a rendere onori solenni al suo vecchio Re, Pippo Baudo, per il suo 83° compleanno. Una ricorrenza non particolare né tonda, ma serve a ricordare il tempo in cui la Rai era ancora al centro del sistema solare, prima di Internet e nonostante le tv commerciali. Correvano gli anni Sessanta, e poi i Settanta, e gli Ottanta soprattutto, e i Novanta. Insomma, eravamo nel millennio scorso e Pippo Baudo era il regime televisivo in persona, la versione antropomorfica del tubo catodico, l' inventore di programmi, format e personaggi. Il monarca televisivo regnò sulla Rai per lunghi decenni e alterne fortune, compresa una fuga e un armistizio con l' avversario, come si conviene ai reali nostrani. L'addio di Baudo alla Rai fu particolarmente brutto e amaro perché si chiuse tra insulti, malori e querele, con richieste pesanti di danni. Il regno sa-Baudo finì tra litigi e carte da bollo. Ora che il tempo ha leccato le ferite e spento le polemiche e molti suoi protagonisti, si può riconoscere che Pippo Baudo dominò un' era televisiva con alta professionalità e con grande padronanza, forse troppa. La tv ha pippato per un ventennio e più, alla grande. La sua presenza in video si avvertiva anche quando era assente. Baudo ha svezzato gli italiani che oggi hanno quasi 40 o oltre 70 anni e ha traghettato l' Italia dal bianco e nero al colore, come alcuni presidenti e dittatori del terzo mondo. Una specie di Nasser e Peron della tv, perfino un po' Gheddafi o gran sultano di Sicilia. La mentalità era un po' simile ma resa lieve dall' ironia e dalla leggerezza del regime tv. Col passare degli anni il regnante siculo non accettò l' implacabile legge del tempo e dell' usura, l' inevitabile ricambio e non accettò di compiere il passo indietro o al lato che l' età e il mutato paesaggio televisivo gli imponevano. E reagì come un leone ferito e avvelenato, da re della foresta di antenne, accusando sudditi e usurpatori. Ma eravamo passati dalla monarchia alla Repubblica del video, con premier multipli e cangianti. Baudo si sentiva maltrattato dalla Rai a cui aveva dato tanto (ricevendo però altrettanto); ma le leggi della riconoscenza hanno scarso peso in un mondo fondato sulle leggi del mercato e degli ascolti, dell' impietoso e vorticoso mutamento. Lui stesso ha ripetuto infinite volte che lo spettacolo deve andare avanti, passando a volte sui corpi e sulle disgrazie. Prima o poi tocca a tutti uscire dal video o acconciarsi a ruoli più defilati. Rifiutò sdegnoso di condurre programmi diurni; voleva la serata, dove le sue ultime performance non erano state esaltanti sul piano degli ascolti e della critica, anche se condotte sempre con grande maestria. Dissero che, in preda alla rabbia, Re Pippo avesse auspicato un piazzale Loreto per i vertici della Rai, appesi a testa in giù, con relativo scempio e pisciate sui corpi indegni dei nuovi gerarchi televisivi; dubito che l' episodio sia vero, ma se lo fosse, a parte il cattivo gusto, mostrerebbe la sindrome ducesca, più che partigiana, del Bravo Presentatore. Vellicando il suo rancore con Silvio Berlusconi, gli sciacalletti e le iene del piccolo politicantismo nazionale tentarono di usarlo come vittima del berlusconismo e ariete della sinistra. Ma lui che da giovane militò anzi militellò, visto il paese d' origine e il breve impegno, nella destra universitaria, si prestò solo in parte. Baudo non poteva accettare di restringere la sua audience, il suo target, alla minoranza di sinistra, non era un Fabio Fazio ma aspirava all' ecumenismo televisivo, voleva essere il re di tutti gli italiani. Molti ricordano il suo primo rientro in Rai, dopo la sfortunata parentesi nelle reti berlusconiane, grazie a una fattura di morte annunciata da una vecchietta all' onnipotente e superstizioso Biagio Agnes incontrato nel cimitero del suo paese, in caso non avesse rimesso Pippo sul trono della Rai. Lo ricordiamo un' altra volta, più recente, in feroce competizione con Bruno Vespa in un programma celebrativo della Rai e ciascuno dei due voleva primeggiare sull' altro perché si sentiva l' erede universale e legittimo al trono. Umberto Eco scrisse la fenomenologia di Mike Buongiorno; nella fenomenologia di Pippo Baudo dovremmo dire che per anni ha incarnato nel tempo della partitocrazia l' uomo forte del Paese, domatore e tuttofare; una specie di prosecuzione del ducismo con altri mezzi (televisione e ricreazione). Un conducator più che un conduttore, bravo e inappellabile che dominava la scena e distribuiva le parti, contenendo ogni protagonismo dentro il suo. Per anni il consenso al regime democristiano è passato attraverso la tv baudesca: la dc era la mamma e Baudo il babbo, U' Patrinu. Baudo ha davvero incarnato il nazional-popolare come disse una volta Enrico Manca, ma non in senso spregiativo, come riteneva l' allora presidente della Rai. Non il nazional-popolare di Antonio Gramsci e di Giuseppe Bottai, naturalmente, ma una versione leggera e giocosa come si addiceva all' epoca televisiva del riflusso e del divertimento. Re Pippo fu anche l' involontario precursore della discesa in campo di Berlusconi in politica: con Re Pippo la tv diventò il potere forte del Paese. Come un re in esilio Baudo rifiutò rapporti continuativi con altre emittenti e ha sfidato i millenni nell' attesa del suo ritorno in Rai. Ha atteso il ritorno, come i seguaci di Stella e Corona. Corsi e ricorsi, Baudo e Rimbaudo. Ha sfidato i tempi, i traumi e le malattie, e ora è lì re per una sera. La storia conobbe un re, Pipino il Breve, lui invece è Pippone il Lungo, in tutti i sensi. Lunga vita al re.
Buon compleanno Pippo Baudo. Laura Pausini piange in diretta: “che roba!”. Stella Dibenedetto l'08.06.2019 su Il Sussidiario. Buon compleanno Pippo Baudo: serata evento su Raiuno per i suoi 83 anni. Laura Pausini rende omaggio al conduttore e piange in diretta. Laura Pausini piange in diretta durante l‘omaggio a Pippo Baudo in occasione del suo 83esimo compleanno, festeggiato su Raiuno con tanti amici. Tra i tanti vip che hanno fatto gli auguri al Pippo Nazionale non poteva mancare la Pausini che ha cominciato la propria carriera con Baudo. Nel ricordare quell’esordio sul palco del Festival di Sanremo, l‘artista non è riuscita a trattenere le lacrime. “Che roba, dopo così tanti anni”. La Pausini che ha ricevuto anche i complimenti del pubblico per l‘umiltà che non ha mai perso nonostante il grandissimo successo, ha svelato anche il consiglio che ricevette da Baudo: “Mi hai detto che dovevo pensare a perché avevo scelto quella canzone e non dovevo pensare alle telecamere. E infatti, a Sanremo ho fatto così“. Pippo Baudo ha concluso: “E infatti a Sanremo hai cantato tranquillamente, hai entusiasmato i professori d’orchestra, per la prima volta si sono alzati per applaudirti. Così è nata una stella mondiale” (aggiornamento di Stella Dibenedetto).
La voce fuori campo interpella Pippo Baudo sulla sua lunga carriera televisiva. “Il più bel programma che ho condotto in 60 anni? Non è facile trovarlo. Anzi è difficilissimo scegliere quello che mi sta più a cuore. Ma forse sforzandomi l’ho trovato. Per i 50 anni di televisione avevo diramato un sacco di inviti, realizzando uno spettacolo di quattro ore. Fu una cosa bellissima, straordinaria, veramente merita di essere ricordata. ’50 Anni di Televisione’ con la regia e la coreografia di Gino Landi”. Vengono trasmessi diversi spezzoni dell’epoca, prima dei saluti finali di Baudo. La voce fuori campo lo chiama dottore: “Io Dottor Baudo? Finalmente. Mia madre è stata accontentata”. E in chiusura canta “Il suo nome è donna Rosa”. Baci al pubblico e titoli di coda. (Aggiornamento di Jacopo D’Antuono)
C’è anche Anna Tatangelo a Buon Compleanno Pippo Baudo. Lui le chiede di raccontarsi, la cantante parte da Sanremo e della sua prima volta al Festival con la febbre. Aveva quindici anni la Tatangelo quando vinse l’edizione dedicata ai giovani. Per la cantante l’amore arrivò subito dopo, con Pippo che fece un discorso da uomo a uomo con Gigi D’Alessio: “Se le tue intenzioni non sono serie, lascia stare subito perchè è come una figlia”. “Però si è comportato bene se ci pensi, io e Gigi stiamo insieme da 14 anni e abbiamo anche un figlio” la risposta di Anna. Si procede coi ringraziamenti del conduttore rivolti a Luca Biagini, la produzione e tutti i professionisti della trasmissione. Ma mancano ancora altri ospiti, tra cui Michelle Hunziker, in arrivo dopo la pubblicità. (Aggiornamento di Jacopo D’Antuono)
A Buon Compleanno Pippo Baudo arriva Fiorello. I due rivangano il passato, poi il conduttore inizia a cantare: “Io sono stonato ma…canto”. Ed eccoli insieme, come ai vecchi tempi. Fiorello è come sempre in vena di battute: “Tu caro Pippo Baudo hai scoperto tutti e a te ti ha scoperto un cane? Comunque tu poi hai scoperto Grillo, che ha scoperto Di Maio: insomma, se abbiamo questo governo è colpa di Rin Tin Tin”. Il pubblico in studio se la ride, Baudo manda un video tratto dalla trasmissione ‘Stasera Pago io’, quando insieme a Fiorello era vestito da salamandra: ” Quella volta io sono andato in un posto dove non dovevo andare”. Si va avanti con un sentito omaggio all’attore Massimo Troisi, scomparso all’età di 41 anni: “Che grande! I nostri dialoghi erano completamente improvvisati”. (Aggiornamento di Jacopo D’Antuono)
Lopez ospite in studio da Baudo, Solenghi invece si collega direttamente da Siracusa dove è al lavoro per “Lisistrata”. Subito dopo vengono trasmessi dei filmati storici con Domenico Modugno e Beppe Grillo. Poi l’arrivo di Al Bano, che ha l’obiettivo di scatenare una standing ovation per Baudo. L’artista pugliese menziona il famoso applausometro: “Sicuramente stasera toccherà livelli alti!”. Dopo l’esibizione, una dedica: “Sei stato una guida in tutto, sei stato un po’ padre, a volte lo sono stato io, questa è una serata importante per te, vale il tuo ventiduesimo compleanno. Ho massima stima per te”. Pippo Baudo chiede ad Al Bano di Romina Power, che a sorpresa (ma non troppo!) fa il suo ingresso in studio. Arriva il duetto? (Aggiornamento di Jacopo D’Antuono)
Una voce fuori campo dialoga con Pippo Baudo e introduce il terzo ospite della serata: Lorenzo Jovanotti. Grande accoglienza per il cantante capitolino, che ha subito un messaggio per il padrone di casa: “Pippo…buon compleanno! Che cosa pazzesca quella prima volta in tv con te e Adriano Celentano. Ricordo che quella serata rappresentava il tuo ritorno in Rai dopo Mediaset, mi ricordo che ti aspettavano il varco…”. Baudo sottolinea l’intesa immediata con Jovanotti: “Tra di noi è subito scatta un’amicizia profonda”. Lorenzo conferma e gli riconosce una dote importante: “Hai sempre aperto le porte alle nuove generazioni, è una cosa che ti va riconosciuta. Tu sei nato con la poltrona, e l’hai ceduta ai giovani valorizzandoli. Questo è stato un grandissimo regalo che mi hai fatto”. (Aggiornamento di Jacopo D’Antuono)
Subito protagonista Pippo Baudo nella puntata speciale a lui dedicata su Raiuno, in occasione dei suoi 83 anni. “Buon Compleanno Pippo Baudo” comincia con il sorriso inconfondibile del conduttore, che entra in studio quasi commosso per l’accoglienza. Poi scherza, ma non troppo: “Chi bacia il rosario bacia solo Salvini”. Pippo dialoga con se stesso, prima di vedersi in un filmato con Magalli per la sua prima volta in Rai. E il primo ospite della puntata, infatti, è Giancarlo Magalli. Insieme a lui arriva la cantante Giorgia, che si siede di fronte a Baudo e canta ‘Come Saprai’. Prima del gran finale del brano, Giorgia chiede aiuto al pubblico: “Facciamo insieme l’ultimo pezzo?”. Baudo è sbalordito per il duetto tra l’artista e tutto lo studio: “Mi fate impazzire con questa nota”. Standing ovation del pubblico. Tutti in piedi per applaudire Giorgia. Baudo chiama l’applauso anche per lo staff: “Sono tutti capitanati da un grande regista. Vorrei ringraziare anche loro!”. (Aggiornamento di Jacopo D’Antuono)
Pippo Baudo, che oggi compie 83 anni, in un’intervista concessa al settimanale Gente, ha parlato di Michelle Hunziker e Barbara D’Urso. Parole al miele per entrambe le colleghe, iniziando dalla Hunziker: “Lei è una forza della natura! Sportiva, spigliata, sorridente: sa cantare, presentare, è una eccellente tuttofare. Affettuosissima, affronta ogni cosa con quella precisione svizzera che le appartiene, condita dalla sua straordinaria sensibilità”. Per quanto riguarda invece la D’Urso la definisce una grande sorpresa: “Lei è una grande sorpresa. Quando ho lavorato con lei era una ragazza di poche battute. Da tempo è esplosa nella sua empatia e nella sua capacità di stare al centro delle telecamere”. Delle parole che sicuramente hanno riempito d’orgoglio le due conduttrici che hanno avuto il grande privilegio di affiancare Baudo nella loro carriera. (Aggiornamento di Anna Montesano)
Venerdì 7 giugno, la Rai celebra un evento speciale: il compleanno di Pippo Baudo. Il conduttore ha illustrato il suo percorso lavorativo ricordando quando andava a cercare personaggi particolari alle sagre paesane. Queste alcune dichiarazioni raccolte dal portale del ilgiornaledisicilia: “Ero curioso, andavo a cercare personaggi carini nelle sagre paesane. Allora la tv era da fondare, l’Italia, all’epoca, era generosa nella provincia. Un’Italia che andrebbe rivisitata.” Il conduttore ancora racconta: “Anni fa feci Il Viaggio, un programma molto bello. Qualcosa da scoprire ancora c’è e questo è il compito principale della Rai, deve scovare i nuovi, gli altri possono prendere i prodotti già pronti ma la Rai no. La Rai è servizio pubblico, è la Rai, deve mischiare la cultura popolare, l’alto e il basso. Non è vero che la cultura fa paura: se si allargano i concetti, se si popolarizza la cultura, può diventare un elemento indispensabile”. (Aggiornamento di Anna Montesano)
Pippo Baudo sarà il protagonista assoluto della serata evento “Buon compleanno… Pippo” per festeggiare i 60 anni di tv e gli 83 di età. Teresa De Santis, direttore di Rai 1, non nasconde la grande emozioni per un evento di grande rilevanza. Queste alcune dichiarazioni raccolte dal portale gazzettadelsud: “Essere arrivata alla direzione di Rai1 è il momento più alto della mia carriera e farlo, festeggiando questo compleanno di Pippo… non ci avrei mai creduto”. Un evento che racconta la storia infinita di un personaggio da sempre amato dal pubblico a casa: “Domani sera sarà un momento di storia e un momento di identità. Pippo Baudo ha inventato la cultura pop, ha avuto la capacità di coniugare alto e basso, ha fatto la storia. La curiosità di Pippo è straordinaria, Pippo ha scovato grandi artisti, è una garanzia. Con lui porteremo avanti altre idee”. (Aggiornamento di Anna Montesano)
Tra i ricordi e le tappe fondamentali della vita e della carriera di Pippo Baudo non ci può non essere posto per lei, Laura Pausini, una delle sue “creazioni”. Anche lei sarà negli ospiti della puntata di questa sera di Buon Compleanno di Pippo Baudo per rendere omaggio ai suoi 60 anni di carriera con tanto di celebrazione nel prime time di Rai1. Proprio poco fa, anche sui social, Laura Pausini ha deciso di usare un piccolo video in cui fa gli auguri a quello che è stato il suo mentore: “Oggi è il 7 giugno, è il compleanno del mio amato Pippo Baudo, questa sera ci vediamo tutti nel programma su Rai1”. Una grande celebrazione è quella pensata per il noto conduttore e per il suo pubblico che in questi anni lo ha seguito con affetto e che questa sera potrà ricordare alcune tappe importanti del suo percorso. Clicca qui per vedere il video del momento. (Hedda Hopper)
Venerdì 7 giugno, la Rai celebra un grande evento: il compleanno di Pippo Baudo. Il pioniere della televisione italiana, il conduttore storico della televisione di Stato che, nel corso della propria carriera ha portato in tv tantissimi programmi scoprendo anche nuovi talenti, compie 83 anni. Un evento importante per Pippo Baudo che, avendo trascorso la maggior parte della propria vita in tv, festeggerà insieme al proprio pubblico e a tantissimi amici che, nel corso degli anni, hanno incrociato la propria strada con quella di Baudo. Alla festa di Pippo Baudo, infatti, parteciperanno personaggi del mondo della televisione e della musica che hanno cominciato la propria carriera anche grazie a Pippo.
Quali amici festeggeranno gli 83 anni di Pippo Baudo? Negli studi Fabrizio Frizzi di Roma saranno presenti molti artisti famosi come Fiorello, Jovanotti, Albano e Romina Power, Giorgia, Michelle Hunziker, Gigi D’Alessio, Tullio Solenghi, Massimo Lopez, Anna Tatangelo, Lorella Cuccarini, Giancarlo Magalli, Ficarra e Picone, Laura Pausini. Tutti gi invitati di Baudo ripercorreranno con lui le tappe principali della sua lunga e strepitosa carriera, ricorderanno aneddoti e si esibiranno da vivo insieme a’orchestra diretta dal maestro Bruno Biriaco. Sono tante le trasmissioni che Pippo Baudo ha condotto nel corso degli anni, ma qual è quella a cui è più legato? Sicuramente Novecento, trasmissione televisiva andata in onda dal 2000 al 2010 con quattro edizioni. “Il mio programma del cuore è Novecento, riuscimmo a coniugare cultura e spettacolo. Era inizialmente un esperimento nel pomeriggio di Rai3 ed è diventata una grande trasmissione. Tutti i più grandi venivano ospiti spontaneamente”, ha raccontato Baudo ai microfoni dell’Ansa. E sulla serata evento dedicata al suo compleanno, ha detto: “Sarà una festa con tanti ospiti, tantissimi. Purtroppo non tutti perché il posto non c’era dalla ristrettezza del tempo”.
Pippo Baudo, compleanno amarcord. Lorella Cuccarini svela: «La sera prima di Fantastico ebbi un brutto incidente in auto». Venerdì 7 Giugno 2019 Veronica Cursi su Il Messaggero. Li ha scoperti davvero tutti lui. Almeno a guardare la serata evento che Rai 1 ha dedicato a Pippo Baudo, monumento della tv italiana, che festeggia 83 anni ma soprattutto 60 di televisione: due ore dal sapore amarcord che ripercorrono la storia dello spettacolo del nostro paese e ci fa sentire (diciamolo) tutti un po' più vecchi.
A «presentare il presentatore» è Fiorello, siciliano doc come lui, in una sorta di passaggio di testimone. Uno dietro l'altro scorrono i personaggi inventati da super Pippo, gli artisti che lui ha scoperto: da Giorgia a Jovanotti a Gigi D'Alessio. E scorrono video in bianco e nero, ricordi di personaggi che non ci sono più, Sandra e Raimondo, Anna Marchesini. Un vero e proprio tuffo nel passato è l'arrivo di Lorella Cuccarini che balla come se avesse 20 anni sulle sigle più famose degli anni '80 e svela alcuni aneddoti divertenti: «Dovevo debuttare con Fantastico - racconta Lorella - la sera prima andai a una festa con alcuni ballerini e verso le 2.30 di notte avemmo un incidente in macchina. Mi feci malissimo, e dovetti mettere moltissimi punti in fronte. Il giorno dopo mi presentai in conferenza stampa con un cerotto enorme e gli occhiali scuri, Pippo mi fece una ramanzina che neanche mio padre». Poi però la trovata: «Decisero di tagliarmi la frangia per coprire la cicatrice e da allora quel taglio di capelli spopolò nei parrucchieri di tutta Italia». Ma non fu tutto. Perché l'anno dopo, durante la sigla di apertura del secondo Fantastico, Lorella ebbe un altro piccolo incidente in diretta. «Ballando mi volò una scarpa e sapete chi colpì in testa? L'allora direttore di Rai1 Emanuele Milano perché io quando punto, punto bene», scherza la Cuccarini. Pippo talent scout, ma anche combina-matrimoni: ad augurare buon compleanno a Pippo arrivano infatti anche Albano e Romina (che si stuzzicano persino in studio) e poi Gigi D'Alessio e Anna Tatangelo. E proprio Anna racconta di quando giovanissima conobbe Gigi dopo Sanremo e svela che fu proprio Baudo ad avvisare d'Alessio: «Se non hai intenzioni serie con quella ragazzina lasciala stare», disse. Come andò poi è storia (e non solo televisiva).
Gigi d’Alessio e quel ricordo con Pippo Baudo: “Molti non vollero venire al mio concerto, lui sì”. Nella serata d’omaggio al conduttore 83enne, il cantante napoletano racconta il ricordo che più lo lega a Baudo. Nel 2000, a piazza del Plebiscito, quando a differenza dei tanti artisti che avevano rifiutato, Baudo accettò di partecipare gratuitamente: “Non volle nemmeno il rimborso del biglietto del treno”. Andrea Parrella il 7 giugno 2019 su Fanpage. Nella serata omaggio dedicata a Pippo Baudo, andata in onda su Rai1, sono stati tanti i personaggi del mondo della musica e dello spettacolo che hanno raggiunto il Pippo nazionale sul palco per offrire il proprio personale ricordo legato alla carriera di un autentico monumento televisivo. Tra questi Gigi d'Alessio, che nei confronti di Baudo è molto riconoscente, in particolare per un evento risalente al 2000, quando l'artista partenopeo tenne un concerto in piazza del Plebiscito a Napoli. L'evento, decine di migliaia di spettatori nella principale piazza partenopea, certificava definitivamente il successo di D'Alessio, che in quello stesso anno aveva fatto il suo debutto a Sanremo. Successo che fu anche frutto dei consigli di Baudo. Pippo racconta che il nonno, commerciante di agrumi, voleva che la figlia imparasse il piano. Se ne innamorò Pippo, che accendeva la radio per sentire le canzoni e imitarle, oltre che per imparare l'italiano in dizione. E c'è Gigi D'Alessio, di cui subito Pippo sottolinea il diploma al Conservatorio. "Ma io quante volte devo dirti grazie? Mi hai dato la chiave giusta: ti portai tutti i dischi che avevo fatto in napoletano. Mi dicesti di italianizzarne una, lasciando una frase in dialetto…". La ricetta di "Non dirgli mai", che portò all'Ariston. Tornato da Sanremo fui accolto da un grande calore dei napoletani, che mi organizzarono una festa. Pippo Baudo non era stato conduttore di quel Sanremo (era l'edizione del Fazio bis), ma mostrò nei confronti di Gigi d'Alessio un grande affetto accettando di partecipare all'evento di piazza del Plebiscito. Soprattutto la sua disponibilità si dimostrò in netta controtendenza rispetto a quanto fatto da molti artisti, partenopei e non solo, che evidentemente rifiutarono di partecipare all'evento per la stigmate da "neomelodico" che ha segnato i primi anni della carriera di Gigi d'Alessio: "Chi diceva di avere la gastrite, chi non aveva fatto il bollo della macchina", racconta divertito D'Alessio a Baudo: Mi sentivo un po' circoscritto, ghettizzato. Poi decisi di chiedere a lui e Pippo accettò di venire, rifiutando anche il rimborso dei soldi del treno, per venirmi a portare il caffè sul palco davanti a 200mila persone. Il video mostra quindi il momento di 19 anni fa, con Baudo sul palco e Gigi d'Alessio al pianoforte a cantare una "‘A tazza ‘e cafè" improvvisata. D'Alessio chiude così la sua presenza sul palco: "La televisione dovrebbe dire mille volte grazie a Pippo Baudo, perché tu sei la televisione".
Oggi su 7, Veltroni intervista Pippo Baudo: «Non rimpiango niente (anzi, due cose)». Pubblicato venerdì, 31 maggio 2019 su Corriere.it. Questo è l’inizio dell’intervista che Walter Veltroni ha fatto a Pippo Baudo per 7, il magazine del Corriere che torna in edicola venerdì 31 maggio. Nel colloquio il presentatore — un uomo che ha fatto la storia della tv italiana — ricorda quando ebbe ospite in trasmissione la signora del porno italiano: «Mi meravigliò il modo, la classe, con cui rispose alle domande». Eppoi la lite con Tognazzi che voleva parlare in diretta dei brigatisti, il mito delle sorelle Kessler, l’amicizia con Delia Scala, con Sandra e Raimondo Vianello, il suicidio di Alighiero Noschese, l’avventura (per nulla soddisfacente) del passaggio a Mediaset. Trovate l’intervista integrale su 7 in edicola (da oggi fino a giovedì prossimo) e in Pdf sulla Digital Edition del Corriere della Sera.
Pippo, la prima volta che tu hai visto la televisione è stata a Trieste. Ti ricordi che trasmissione era?
«La trasmissione era quello che io vedevo dal vivo: l’arrivo degli alpini e bersaglieri a Trieste quando, nel ‘54, tornò italiana. C’era il sindaco Bartoli che parlava dal Palazzo del Governo. Io sapevo tutto di Trieste perché Vola colomba, che conoscevo a memoria, era un inno al ritorno di Trieste all’Italia. Sono arrivato con un mio amico da Catania. Davano il biglietto di terza classe scontato se si andava a Redipuglia a vidimarlo, cosa che abbiamo fatto. Poi mi sono fermato appoggiato all’entrata della stazione ferroviaria di Trieste. Vedevo sulla destra la piazza dell’Unità gremitissima, i bersaglieri che passavano, tutti a piangere e accanto, sulla sinistra, c’era un negozio di televisori. E sui vari televisori c’erano, in bianco e nero, le stesse immagini che i miei occhi vedevano a colori. Quel giorno mi sono detto: porco Giuda io dentro questo televisore ci devo entrare. E prima o poi ci entrerò».
Pippo Baudo. Il presentatore è nato a Militello in Val di Catania il 7 giugno 1936. Ha due figli: Alessandro, avuto da Mirella Adinolfi nel 1962, e Tiziana, nata nel 1970 dal matrimonio con Angela Lippi. Nel 1986 ha sposato in seconde nozze Katia Ricciarelli, da cui ha divorziato nel 2007
Quindi tu vedevi, in contemporanea, la realtà e la rappresentazione...
«Ecco, praticamente la realtà e la fantasia. Quella era realtà, Trieste tornava ad essere italiana. La fantasia era il sogno di un ragazzo di Militello che sognava di andare in televisione».
Fammi la telecronaca di quel giorno.
«Io non ho mai visto tanta gente piangere, i bersaglieri correvano come dei pazzi e poi si staccavano in due perché c’erano i più anziani che avevano strumenti più pesanti e non reggevano il ritmo degli altri. Però era tutta una festa. Il sindaco Bartoli è stato padre di un’attrice»...
Michela Auriti per OGGI il 31 maggio 2019. Pippo, 83 anni il 7 giugno e 60 di carriera. Come festeggia?
«Senza particolari clamori, ma con una grande serata che la Rai ha organizzato in mio onore (Buon compleanno...Pippo, su Rai 1 il 7 giugno, ndr). Ci saranno ospiti illustri, Fiorello, Al Bano, Eros Ramazzotti, Lorella Cuccarini, Gigi D’Alessio... tanta roba e tutti hanno accettato con affetto».
Riavvolgiamo il nastro della memoria. Il suo esordio in video fu con Primo piano. Che ricordi ha di quel periodo?
«Bello. Avevo coronato il sogno della mia vita, apparire in televisione. E non pensavo che potesse realizzarsi così presto. Invece, appena arrivato a Roma, incocciai la funzionaria che si occupava dei provini. Ne feci uno, lo superai ed eccomi subito al lavoro».
Dalla Sicilia a Roma, dove era ospite di sua zia.
«Una cosa tremenda, zia Giorgina! Russava come un contrabbasso, la notte era una specie di elefante. Appena ho potuto, ho cercato una pensione».
Il momento più bello della sua carriera?
«Sono stati tutti belli. Mai avrei pensato di incontrare Gassman, Sordi, Manfredi, la Vitti. E a Sanremo cantanti come Annie Lennox, Madonna, Bruce Springsteen, Elton John. Posso dire di aver lavorato con i più grandi. Ogni occasione mi ha lasciato qualcosa e non lo dico per buonismo. Per esempio, sono diventato un grande amico di Mike. M’invitava a casa sua a cena, aspettava che moglie e figli andassero a letto e cominciava a raccontarmi la sua vita. Disse: “Dobbiamo cominciare a sfotterci. Agli italiani piacciono i dualismi, diventeremo i Coppi e Bartali della tv”. Così ero costretto a inanellare battutacce su di lui: mi veniva difficile, mi sembrava incoerente con l’affetto e la stima che ci univa. Ma Mike mi obbligava a farlo».
Da Berlusconi non ha funzionato.
«A Mediaset ho avuto una breve esperienza di sei mesi. Coronata da una trasmissione, Festival, che andò benissimo. Così Berlusconi non capiva perché me ne volessi andare. Ma fui nominato direttore artistico e trovai dei rivali. Corrado, Costanzo, Ricci. Gli unici a essere felici del mio arrivo furono Mike e i miei cari amici Sandra e Raimondo. Sentivo la mancanza di quella cuccia che per me è, e rimarrà, la Rai. Rinunciai a miliardi di lire e a un palazzo sull’Aventino che cedetti a Berlusconi per pagare la penale. Tempi tristi. Sono rimasto disoccupato per quasi due anni. Passavo la giornata nella mia casa di Morlupo, dove mi ero ritirato, sperando che il telefono squillasse. E non capitava mai».
Nella sua autobiografia, Ecco a voi. Una storia italiana, Pippo racconta divertito come fu richiamato in Rai.
«Ogni 2 novembre, per i defunti, Biagio Agnes andava a Serino, suo paese natio, per onorare la tomba di famiglia. Quell’anno fu avvicinato da un’anziana compaesana che gli disse: “Tu sssi Biagio Agnes? Chillo ca cumanda in televisione? Tu addà fa turnà Pippo Baudo, se no muori”. Biagio, che era molto superstizioso, rimase sconvolto. Fatto sta che mi riprese».
Pippo, lei ha siglato 13 Sanremo.
«Uno più bello dell’altro. Ho avuto la fortuna di incrociare il momento in cui gli autori italiani scrivevano magnifiche canzoni. Cristicchi, Fabrizio Moro e il Trio Morandi-Ruggeri-Tozzi, che vinse nel 1987 con Si può dare di più. Era l’anno della morte di Claudio Villa, interruppi il Festival per dare la notizia. Gianni, che era suo tifoso, mi disse piangendo: “È la vittoria più triste della mia vita”».
Pare che Sharon Stone l’abbia accolta nella sua stanza completamente nuda.
«Eh no, gli slip ce li aveva! Ma è una donna molto libera, voleva mettermi alla prova: vediamo un po’ se questi italiani sono così provinciali e assatanati come vengono descritti. Invece mi sono comportato da gentleman e questo lei l’ha molto apprezzato. Una volta sul palco mi diede un bacio, come riconoscimento per la mia galanteria».
Perché non ha mai presentato un reality?
«Non mi piacciono, sono tutti finti. Roba scritta e montata in studio, presentata come fosse realtà. No, io non li vedo nemmeno. Sono irreality. Ma ho presentato il primo talent della Rai, Settevoci. Un programma nato per scoprire nuovi talenti, che era poi la mia fissazione. Ne ho scovati tanti. Ho preso solo una clamorosa toppata: Fiorello. Lo scartai a un provino nel 1986 perché parlava troppo».
Lanciò anche Grillo.
«Una mia bella scoperta. Gli ho trovato autori bravi come Stefano Benni e Luca Goldoni. Poi però è stato aggredito dal morbo della politica, dal quale morbo mi pare si sia ora un po’ liberato. Il suo vero habitat è quello teatrale, io preferisco il Beppe comico. Non avrei mai accettato un suo invito politico, come sono sicuro che non me lo avrebbe mai proposto. Mi conosce».
Dia un voto alle signore della tv. Barbara d’Urso.
«È una furbona, eh. L’ho avuta come valletta a Domenica in, diceva due parole soltanto. Ora ne dice 2 milioni al minuto, chi l’avrebbe mai pensato!»
Maria De Filippi.
«Rimane la più furba e la più brava di tutte».
Milly Carlucci.
«Da figlia di militare è una mitraglia. Brillante e sicura, non accusa mai un minimo di stanchezza. Sotto questo aspetto è imbattibile».
Raffaella Carrà: ha firmato interviste eccellenti per Rai 3.
«Mi ha fatto piacere il suo ritorno in tv. La guapa, com’è chiamata nei Paesi ispanici dove anche oggi è la numero uno, ha ancora frecce al suo arco».
Pippo, esiste un suo erede?
«No e non lo vorrei nemmeno, ma non per invidia. Ognuno deve avere la sua personalità e i suoi difetti. Se avessi scimmiottato Mike, Tortora o Corrado, sarei stato solo una pallida imitazione. Invece mi buttai subito sulla musica che era un campo scoperto. Tra i giovani, oggi, Cattelan non è male».
Per lei hanno coniato il termine «baudismo».
«La cosa comica è che esiste un trattato sul “baudismo” all’Accademia della Crusca a Firenze. Il termine richiede presenza, preparazione e poliedricità. Faccio tante cose ma ballare proprio no. Sono troppo alto e ho le gambe lunghe: cadrei».
Le donne importanti della sua vita: Angela Lippi, Maria Grazia Grassini, Adriana Russo, Alida Chelli e Katia.
«Con Angela ho un ottimo rapporto, è la mamma di mia figlia Tiziana. Abbiamo due nipoti, i gemelli Nicole e Nicholas. Sono anche bisnonno, lo sa? Alessandro (il figlio che Pippo ha riconosciuto nel 2000, ndr) è a sua volta nonno. Adriana Russo invece la incontro spesso al Salone Margherita: è sempre molto affettuosa».
Racconti di Alida.
«Sono stati sette anni di amore bello e pazzo, nato quasi per scherzo. Ho visto crescere suo figlio Simone (avuto dalla Chelli con Walter Chiari, nel 1970, ndr). L’ho seguita negli ultimi giorni della sua vita, è stata una cosa molto penosa».
È la donna che più le è rimasta nel cuore?
«Sì, indubbiamente sì».
Katia la sposò nel 1986.
«Con lei ho avuto un matrimonio durato molti anni, è stato importante... ora basta però».
Mi tolga una curiosità: com’è andata la storia con le Kessler? Le gemelle non confermano il suo ricordo.
«Lo ripeto: eravamo a Sanremo, avevamo mangiato e bevuto. Io un po’ troppo Tocai e sono crollato. L’indomani mattina mi sono trovato con il pigiama a letto, quindi qualcuno mi aveva riaccompagnato in camera, svestito e messo a dormire. Se non sono state le Kessler, sarà stato il loro segretario. Ma io l’episodio lo ricordo benissimo».
Pippo, qual è il pensiero che più spesso le tiene compagnia?
«Nella mente rivivo il film della mia vita. Incontri, spettacoli, coreografie, ballerine, ballerini, ospiti. Vedo tutto scorrere nel campo della mia memoria, più e più volte... E non mi stanco mai».
· Smaila & Company. Le avventure dei Gatti di Vicolo Miracoli.
LE AVVENTURE EROTICHE DEI “GATTI DI VICOLO MIRACOLI”. Da I Lunatici Radio2 il 26 giugno 2019. Umberto Smaila è intervenuto ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta ogni notte dall'1.30 alle 6.00 del mattino. Smaila ha raccontato: "Noi italiani all'estero? Siamo caciaroni ma buoni, esagerati ma simpatici. A Sharm, ad esempio, quando aprono i negozietti siamo quelli che spendono di più. Noi italiani siamo italiani, non c'è niente altro da dire, siamo fatti così, nel bene e nel male, però alla fine direi che siamo positivi al massimo". Sull'estate più bella della sua vita: "E' quella che sto vivendo adesso. Intanto perché sono in vita. Viviamo nel migliore dei modi e nel migliore dei mondi, non si può sempre dire che una volta era meglio. Sì, forse alcune estati da bambino o da ragazzo, o quelle che vivevo con i Gatti di Vicolo Miracoli i primi anni, quando andavamo in giro senza pensieri, mutui, figli e mogli, eravamo molto spensierati. Però ora ci sono altri valori. L'estate più bella della mia vita sarà questa, senza dubbio". I Gatti di Vicolo Miracoli presto torneranno al cinema: "Torniamo a settembre. Abbiamo finalmente dato alla luce questo film che si chiama 2019 Odissea nell'Ospizio. E' una storia simil vera, ci siamo ritrovati insieme. Gerry ha fatto la regia, io la colonna sonora. Ho scritto la canzone che canteremo tutti insieme. Sicuramente è un film che in televisione sarà visto da tanta gente. Ritrovarci è stato bellissimo, siamo gli stessi stupidi di una volta, siamo rimasti dei goliardi impenitenti, non cresceremo mai. Siamo fatti così. Io oggi festeggerò il mio compleanno con Gerry Calà, a Verona". Ancora sui Gatti di Vicolo Miracoli: "Chi andava più forte con le donne? Numericamente Gerry Calà, qualitativamente io. Oppini era un sognatore. Prendeva la ragazza, la portava in camerino e le cantava delle canzoni dolci. Chi proprio non ci sapeva fare era Nini Salerno. Aveva i tempi lunghissimi. Quando tiravamo su i pantaloni, Nini dava la prima carezza".
Sulle Olimpiadi del 2026: "Sono felice perché vivo a Milano da 45 anni ma sono veneto. Ovviamente sono contento. Mi fa un po' sorridere vedere tutti questi personaggi importanti che dicono che andrà tutto benissimo, ma non si rendono conto che probabilmente non saranno più sindaci e presidenti".
Su Salvini: "E' molto giovane, si dà da fare, lui nel 2026 ci sarà ancora. Quando ho detto che in Italia non possiamo accogliere tutti ho avuto migliaia di manifestazioni di solidarietà. Non possiamo accogliere tutti, chiunque sia un po' intelligente se ne rende conto. Oggi ho visto che la corte di Strasburgo ha detto allo sbarco della Sea Watch. Su questo la penso come Salvini. Detto questo, ho una collaboratrice domestica marocchina, le vogliamo bene, la aiutiamo. Chi lavora è il benvenuto".
Jerry Calà: «Lavora solo chi è di sinistra». E la dirigente Pd: «Non fai ridere, sei un cretino senza talento». Pubblicato venerdì, 26 luglio 2019 da Antonio Crispino su Corriere.it. Calogero Calà, in arte Jerry, non è nuovo a incursioni nella politica. Niente di memorabile, come del resto le sue ultime apparizioni in televisione e al cinema (a dire la verità un po’ datate). E così, l’attore - icona degli anni ‘80 - ha colto l’occasione di un’intervista al Giornale per spiegare la sua assenza da grandi e piccoli schermi: «Se non lavoro più è perché non odoro di sinistra e non invoglio i registi. Non è una lamentela, soltanto una amara considerazione». L’altra uscita «politica» di Jerry Calà risale a un anno fa. Forse preso dall’entusiasmo per le lezioni da poco archiviate si lanciò in un endorsement del governo legastellato: «Tutti in tv si chiedono dove troverà questo governo i soldi per mantenere le promesse elettorali. Basterebbe che il precedente governo gentilmente svelasse dove ha preso tutti quei miliardi per salvare le banche». E lo scrisse proprio cavalcando l’onda delle polemiche per Banca Etruria e la famiglia di Maria Elena Boschi, la sottosegretaria del Pd, fedelissima di Matteo Renzi. In quel caso fu il vicepremier Luigi Di Maio a retwittarlo citando la battuta più celebre del comico in Vacanze di Natale: «Libidine, doppia libidine, libidine coi fiocchi». Questa volta, invece, si è attirato gli strali di Anna Rita Leonardi, renziana di ferro e dirigente provinciale dei Democratici a Salerno. Che su Twitter non è andata tanto per il sottile: «Quella sottospecie di comico fallito di Jerry Calà ci dice che il cinema non lo vuole perché «non odora di sinistra». Tranquillizzatelo. Il cinema non lo vuole semplicemente perché è un cretino senza talento». A telefono, la Leonardi rincara la dose ma al tempo stesso precisa: «La parola «fallito» è riferita al comico non certo all’uomo. Mi scuso se ho esagerato però Calà rifletta su una cosa: nel nuovo palinsesto Rai ci sono tutti quelli che si sono detti sovranisti, dalla Cuccarini alla Pavone, di certo non sono di sinistra. Se non lavora si facesse due domande». In realtà, dopo le polemiche di questi giorni e dopo la cancellazione del tweet polemico si profila una cena conciliante tra l’attore e la dirigente del Pd. «Abbiamo amici in comune e credo che a breve ci incontreremo. A me non fa ridere per niente ma a mio marito piace. Magari davanti a un buon calice di vino riuscirà a strapparmi una risata» chiude il caso la Leonardi.
Buon compleanno Jerry! Moreno Amantini il 28/06/2019 su Il Giornale Off. E due giorni dopo il compleanno di Umberto Smaila, oggi è la volta dell’altro “gatto” dei Gatti di Vicolo Miracoli: Jerry Calà. Attore, regista, comico, cabarettista, sceneggiatore e cantante, compie oggi 68 anni. anche lui ha raggiunto la popolarità negli anni ’80 interpretando numerose commedie di successo e divenendo uno dei volti più noti della commedia italiana dell’epoca, dando prova di sé anche in alcuni ruoli drammatici (nel 1993 ha vinto il Premio del Gotha della Critica italiana come miglior attore al Festival internazionale del cinema di Berlino per il suo ruolo nel film Diario di un vizio). Festeggiamo anche lui proponendovi questa intervista. Calogero Alessandro
Augusto Calà, ma per tutti è Jerry Calà. L’eterno ragazzo degli anni ’80, continua a farci ballare e cantare anche nell’estate 2018! Quanto c’è ancora di Calogero in te?
«Oggi moltissimo. C’è la fierezza di essere nato in una terra meravigliosa come la Sicilia e il rispetto per le mie origini».
Nel 1995 hai avuto un grave incidente e per sei mesi hai vissuto su una sedia a rotelle. Cosa ti ha insegnato quell’esperienza?
«Che prima del successo, del lavoro e dei soldi c’è una cosa molto più importante che si chiama vita».
Come hai vissuto la disabilità?
«Con tutte le difficoltà del caso di chi vive questa condizione, soprattutto in una grande città. Fortunatamente oggi ci sono molte meno barriere architettoniche rispetto ad allora, ma si può e si deve sempre migliorare».
Ci racconti un aneddoto OFF della tua carriera?
«Ti posso raccontare di quando ai tempi dei Gatti di Vicolo Miracoli vivevamo tutti insieme in un appartamento che era un po’ un porto di mare. Eravamo così compagnoni che le chiavi di casa nostra ce le avevano tutti: una sera rientrammo a casa e i nostri letti erano tutti occupati!»
Un’altra estate che va è il tuo nuovo singolo che ironizza molto sulla differenza generazionale…
«Questa canzone nasce da un mio monologo in cui prendo di mira, con ironia, i giovani di oggi, rispetto a quelli che eravamo noi. Noi ci fidanzavamo ballando i lenti, loro si fidanzano su Whatsapp e si lasciano su Facebook. Meno selfie, “meno “chatto” e più contatto”, questo è il mio consiglio».
Che papà sei?
«Sono un papà vero che ha voglia di godersi suo figlio e stare con lui più tempo possibile. So che tanti genitori che non vedono l’ora di mandare i loro figli all’estero, magari per studi o in vacanza. Io sarò anomalo, ma ho voglia di fare le vacanze con mio figlio e di divertirmi insieme a lui».
Hai partecipato a film diventati cult. Quale è stato secondo te il successo di alcune pellicole come Sapore di mare o Vacanze di Natale?
«Intanto la bravura del grande Carlo Vanzina che, insieme al fratello Enrico, hanno saputo fotografare e rappresentare uno spaccato di vita reale. Vedo tanti registi che inventano, creano e immaginano storie. Carlo le storie le verificava e da lì, per esempio, il grande talento di raccontare le vacanze degli italiani. Sai che molti giovani rivedendo “Sapore di Mare” mi dicono che avrebbero voluto vivere quegli anni? Sono film che hanno rappresentato bene un’epoca, soprattutto con verità».
Mara Venier, con sui sei stato sposato dal 1984 al 1987, dichiarò che tu la tradisti persino il giorno delle nozze. Verità o leggenda?
«Mara è una burlona e ama scherzare. Nessun tradimento. Diciamo che io ero un po’ birichino! Oggi siamo come fratello e sorella e ci vogliamo un gran bene».
Quanta nostalgia c’è in te?
«La nostalgia non produce niente di buono. Il ricordo si. Avere memoria e esperienza da poter comunicare agli altri e vivere con ricchezza maggiore il domani».
"Io, Bud e le serate con Chiari e Tognazzi". Paolo Giordano, Giovedì 25/07/2019 su Il Giornale. Jerry Calà è tale e quale. Sul palco o fuori dal palco lui scherza, ride, ragiona, filosofeggia, insomma è un attore nato che sta per festeggiare cinquant'anni di una carriera senza limiti. Ha creato slogan («Libidine», «Doppia libidine»), ha anticipato il futuro (Il ragazzo del pony express), ma ha saputo anche raccontare il passato (bisogna ricordare Sapore di mare?). Ora è un simbolo transgenerazionale, alla faccia dei critici che lo consideravano solo una meteora da cinema di serie B. Non ci credete? L'altra sera, alla Capannina di Forte dei Marmi, tra il pubblico c'erano molti più ventenni che suoi coetanei (ha 68 anni) e lui, da vero entertainer stile Las Vegas, è salito sul palco alle 2 di notte, mica dopocena al momento dell'ammazzacaffè. «In effetti sta andando benissimo, solo a giugno mi sono esibito con la mia band 16 o 17 volte, sono sempre in tour come i Nomadi», sorride lui mentre gli chiedono l'ennesimo selfie, a conferma che è uno degli attori più popolari in circolazione.
Però, Jerry Calà, come attore drammatico lei ha debuttato con Pupi Avati e ha vinto anche un premi al Festival di Berlino (Diario di un vizio di Ferreri, 1993). Poi?
«Gli attori non possono scegliere i ruoli e io non ho ricevuto tante proposte».
Perché?
«Sembra quasi che a Roma ci sia una compagnia di giro che prende tutti i ruoli. Alla luce degli incassi, sembra che il pubblico si sia stancato».
Nei cast non si legge il nome Jerry Calà.
«Forse perché non odoro di sinistra e non invoglio i registi. Per carità, non è una lamentela, soltanto una amara considerazione».
Che fine ha fatto il suo progetto di film su di un «proto leghista»?
«Intende Il Longobardo? Con il grande Dino Manetta si pensava di raccontare una storia che poi ho rivisto molto simile nel film Benvenuti al Sud. All'inizio avevo voglia di fare causa a quella produzione perché c'erano scene realmente uguali, poi ho lasciato perdere».
Se il cinema non la cerca, c'è comunque la tv.
«Invece niente. Siamo nell'epoca in cui una fiction ce l'hanno tutti».
Tranne lei.
«Sono un indie del cinema e della tv. Non a caso film come I ragazzi della notte oppure Vita Smeralda me li sono fatti da solo, anche in sala di montaggio».
Adesso si dice che si girerà Yuppies 3.
«In realtà non credo si farà mai. C'è di mezzo il mio amico Aurelio De Laurentiis che in questo momento pensa più al Napoli che al resto. Ma mai dire mai».
In ogni caso c'è un suo film in uscita.
«Odissea nell'ospizio che uscirà in esclusiva su Chili Tv e dal 2 ottobre presenteremo a Roma, Milano e Verona. I Gatti di Vicolo Miracoli si sono riuniti dopo tanti anni e qualche litigio, ma la magia è sempre la stessa. Umberto Smaila, Franco Oppini, Nini Salerno ed io in un ospizio che però non è così sganciato dalla realtà perché facciamo anche i conti con l'immigrazione e l'integrazione. Noi siamo un gruppo che ha litigato e si ritrova in un ospizio in crisi».
Autoironici.
«Ci propongono di fare una reunion per raccogliere fondi e salvare la struttura... Però intercettiamo anche l'attualità. Ad esempio, quando c'è la prospettiva che nell'ospizio arrivino anche gli immigrati, fuori dalla struttura c'è una protesta con i cartelli Prima gli italiani... Quando è stato proiettato in anteprima, molti mi hanno detto di non avere mai visto il pubblico ridere così tanto per tutta la durata di un film».
È la prima volta che si ritrova al completo un gruppo storico del cabaret italiano.
«Sono una parte fondamentale della mia vita. Sono nato come musicista in quella che è stata forse la band più giovane in Italia perché io avevo 15 anni e gli altri 13, ci segnalò anche il settimanale Giovane. Poi sono arrivati i Gatti».
Però li ha lasciati.
«Quando giravo il film Bomber con Bud Spencer facevo ancora serate con loro perché mi spiaceva deluderli. Una mattina all'alba, torno in albergo distrutto appena prima di iniziare a girare e mi ritrovo Bud Spencer davanti alla mia stanza, grande e grosso».
Perché?
«Mi fece un discorso chiaro: stai crescendo, devi scegliere, non puoi stare dappertutto. Bud è stato un mio grande amico, mi ha insegnato l'abc, quando è morto per me è stato un dolore profondo e vero. Non a caso in Odissea nell'ospizio ho voluto una sua gigantografia: un omaggio che gli dovevo».
Jerry Calà ha conquistato altri grandi del cinema.
«Beh, nel film la casa di riposo è intitolata a Walter Chiari. Lui mi voleva bene, d'estate condividevamo lo stesso albergo sulla riviera romagnola. Facevamo le serate e poi ci ritrovavamo lì di notte. C'erano Dario Fo, Gino Bramieri...».
Ma è vero che il comico fuori dal palco è sempre triste?
«È una cazzata pazzesca. L'idea del clown triste che piange a me fa ridere. Per me fare la battuta è una vera schiavitù, sia sul palco sia nella vita di tutti i giorni».
Con quali colleghi ha vissuto momenti indimenticabili?
«Gigi e Andrea senza dubbio. Avevamo una casa insieme a Riccione d'estate, quante risate. Ma anche con Ugo Tognazzi avevo un rapporto speciale. Lui mi affidò suo figlio Gianmarco durante le riprese del film Vacanze in America e poi abbiamo iniziato a frequentarci. Al festival di San Sebastián volle accompagnarmi alla proiezione di Colpo di fulmine di Marco Risi dell'85. Poi mi ricordo un 31 dicembre spettacolare».
Cioè?
«Avevo litigato con l'allora mia moglie Mara Venier, ero disperato, l'ho chiamato e lui mi ha detto di andare subito a casa sua a Velletri. C'erano Paolo Villaggio, Michele Placido e altri. Tognazzi si è inventato di andare all'improvviso in un ristorante durante il veglione. Abbiamo fatto un'improvvisata e ci siamo tutti divertiti da pazzi. Tognazzi era strepitoso, un grande uomo, oltre che un grande attore».
E Jerry Calà come si considera?
«Un attore che pensa di essere un artista a tutto tondo. Canto, suonicchio, recito, faccio one show con una band strepitosa (Giovanni Pepe, Sabino Barone, Dante Zoccolo), sono regista e, se capita, faccio anche il produttore. Insomma, ci metto tutto me stesso».
Jerry Calà fa uno spettacolo senza limiti. Musica, battute, improvvisazioni.
«Canto i grandi classici come quelli di Battisti per raccontare la nostra storia e la mia epoca. E dire che da ragazzo ero appassionato di rock inglese, di spirituals mentre oggi mi piacciono i Thegiornalisti, Ultimo, J-Ax con il quale ho fatto un video diventato virale. E Venditti, con il quale poco tempo fa siamo andati a cena e ci siamo divertiti tanto. Ah, e poi mi piace pure Umberto Tozzi, uno di quelli che hanno fatto grande la canzone italiana nel mondo. Pensi che lui veniva a casa dei Gatti di Vicolo Miracoli in via Venini a Milano e ogni sera ci suonava i Beatles: li conosce a memoria».
Rimpianti?
«Nessuno, ho una carriera meravigliosa. Ma ora sento il desiderio di andare oltre il one man show, ho un nuovo aspetto, un'altra maturità, penso di potere dare ancora molto al cinema, molto di più di quanto abbia dato finora».
"Comico fallito", "cretino". Jerry Calà, violenza senza pari dalla Big del Pd. Libero Quotidiano il 26 Luglio 2019. "Quella sottospecie di comico fallito di Jerry Cala ci dice che il cinema non lo vuole perché 'non odora di sinistra'. Tranquillizzatelo. Il cinema non lo vuole, semplicemente, perché è un cretino senza talento". Per qualche minuto di celebrità, la piddina Anna Rita Leonardi si diletta a sputare fango contro il popolare comico e attore. Reggina, napoletana di adozione, dirigente Pd, Anna Rita si definisce "juventina, baglioniana, troisiana...". Aggiungiamo: spocchiosa. Di cosa è colpevole Calà? Di un'intervista al Giornale in cui ha parlato di come funziona il cinema in Italia. "Sembra quasi che a Roma ci sia una compagnia di giro che prende tutti i ruoli. Alla luce degli incassi, sembra che il pubblico si sia stancato". ha detto. Nei cast non si legge il nome Jerry Calà. "Forse perché non odoro di sinistra e non invoglio i registi. Per carità, non è una lamentela, soltanto una amara considerazione". Parole misurate e di buon senso. Il contrario di quelle della feroce piddina.
Le scuse a Jerry Calà: "Mi scuso per il cretino, ma confermo sei un fallito". Colpo basso dell'esponente PD. Libero Quotidiano il 31 Luglio 2019. La querelle tra l'attore Jerry Calà e Anna Rita Leonardi, esponente del Partito Democratico, sembra essere arrivata ad un epilogo. Parole al vetriolo avevano dato il la alla diatriba. "Non lavoro perché non odoro di sinistra" aveva dichiarato Jerry, ricevendo come risposta: "Non lavori perché sei un comico fallito e un cretino". La bandiera bianca è stata sventolata dalla politica, che si è scusata con l'attore, ai microfoni della trasmissione radiofonica L’Italia s’è desta, condotta dal direttore Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus, emittente dell’Università Niccolò Cusano. Ai microfoni la Leonardi ha spiegato: "Ho chiesto scusa a Jerry Calà per averlo definito cretino, ma confermo il giudizio sull’attore. Ci siamo chiariti al telefono. Lui ha detto che non ce l’aveva con la politica, ma parlava dei registi di sinistra. Però mi hanno ricordato amici e colleghi, che lui fu oggetto delle simpatie del ministro Di Maio quando disse che i soldi per le riforme potevano essere trovati se si chiedeva al governo precedente come avevano salvato le banche. Il problema delle sue simpatie politiche non mi tocca. Ad esempio a me piace Lino Banfi, che simpatizza per il M5S. Banfi per me non è un comico fallito. Quello che è strano è che personaggi che sono spariti dalla scena del mondo dello spettacolo, si accodino a una tendenza, dalla Cuccarini alla Pavone, di accusare la sinistra di chissà quali malefatte". L'esponente del PD ha poi detto la sua in merito ai commenti del comico sui registi di sinistra. "Che i governi influenzino in qualche modo l’opinione pubblica mi sembra una cosa abbastanza banale. Tant’è che mi sono accodata poco alla polemica che adesso in Rai stanno lavorando i salviniani, è una cosa che abbiamo già visto. Non c’è niente di strano. La meritocrazia la fa il pubblico. Mio marito è un fan di Jerry Calà e mi ha detto che lui rappresenta una parte di cultura popolare. In quel caso è il pubblico che l’ha premiato, non è sicuramente la carriera che si è interrotta per motivi vari alla fine degli anni ’90". Le scuse sono dunque arrivate, anche se probabilmente non hanno avuto la forma che Calà si aspettava, ma a consolarlo ci hanno pensato i tanti fan che lo hanno coperto di valanghe di messaggi di solidarietà.
Jerry Calà contro la piddina che lo insulta: "Dice che mi ha telefonato? Menzogna da querela". Libero Quotidiano il 2 Agosto 2019. Jerry Calà è arrabbiato davvero. Come forse mai nella vita. Dopo una serie di botta e risposta, stavolta va davanti alla telecamera e si sfoga contro la piddina che lo ha insultato pesantemente dandogli del "cretino" e del "fallito". "Non volevo risponderle, ma questa signora oltre ad avermi gravemente offeso inventa anche conversazioni telefoniche tra di noi mai avvenute", dice su Facebook l'attore ad Anna Rita Leonardi. La sua voce sembra rotta dal pianto. "Parole da querela, parole ingiuriose, molto pesanti", dice Jerry. "Qualcosa devo dire questa signora che continua a dire delle falsità. Io non l'ho mai conosciuta questa signora, mai nessun contatto. Lei ha avuto un contatto con il mio agente che ha chiamato piagnucolando; si è spaventata perché lo stesso odio le si stava ritorcendo contro da una grande quantità di persone che protestavano per avermi offeso e gratuitamente". Jerry dice altro, poi. "Questa signora ha detto poi alla radio che ha parlato con me al telefono ribadendo che lei quello pensa di me. Ma secondo voi sono delle scuse? Alla radio ha detto che la mia mia carriera interrotta negli anni Novanta? Forse non sa la mia storia: io dal '90 a oggi fatto migliaia di spettacoli in giro per Italia, e sette otto film. Cosa sta dicendo?". Ci sarà un nuovo round? Vedremo.
Gianluca Veneziani per “Libero Quotidiano” il 30 luglio 2019. «Per dirla con Emilio Fede, la Leonardi ha fatto una figura di m». Umberto Smaila è appena arrivato a Sharm el-Sheikh, dove ha appena riaperto il suo Smaila's, ma ha seguito con attenzione le dichiarazioni ingenerose rivolte dalla dirigente del Pd Anna Rita Leonardi contro Jerry Calà, da lei definito un «comico fallito» e un «cretino senza talento». Calà è un collega e un amico di Smaila, e soprattutto è stato suo partner di comicità nella gloriosa esperienza de I Gatti di Vicolo Miracoli, gruppo cabarettistico e musicale attivo negli anni '70 e '80. Attaccare la storia professionale di Jerry significa quindi anche colpire il percorso umano e lavorativo di Umberto.
Smaila, che ne pensa dell' attacco subito da Calà?
«È stata un' uscita fuori dal seminato, una figura di merda da parte di questa signora del Pd. Le sue frasi non sono state solo offensive, degne di querela, ma dimostrano anche quanto lei non sappia nulla dello straordinario successo di Calà e dei Gatti. Siamo stati un gruppo storico del cabaret, tra i più apprezzati in tutto il Dopoguerra, abbiamo ricevuto parecchie onorificenze, lanciato Diego Abatantuono, favorito il successo dei fratelli Vanzina, avuto una liaison professionale con Woody Allen, e in più abbiamo fatto dei film in testa alle classifiche, come Arrivano i gatti e Una vacanza bestiale. Mi sono sentito molto toccato da quelle parole perché, se insulti Calà, allora stai dicendo che anche i Gatti sono stati una nullità...».
Crede che abbia ragione Calà quando sostiene che «a Roma c' è una compagnia di giro che prende tutti i ruoli» e che non c' è spazio per lui nel mondo del cinema «perché non odoro di sinistra e non invoglio i registi»?
«Penso sia la verità. In Italia possono fare film e trovare spazio in teatro quanti appartengono ai comitati cultura dei partiti di sinistra, quelli che vanno a presentare il concertone del Primo Maggio e fanno capo alla giusta compagnia di giro. Coloro che non fanno parte di questo mondo vengono emarginati. Ma il paradosso è che i film di questi raccomandati, presunti progressisti, profeti di un politicamente corretto che mette i brividi e persone che prima facevano politica attiva e poi si sono date al cinema, non li vede nessuno e finiscono nel dimenticatoio, mentre il personaggio di Jerry Calà continua a essere amatissimo dal pubblico e rappresenta un' icona pop nazionale».
A lei è mai capitato lo stesso? Di essere discriminato o ignorato dal mondo dello spettacolo perché di idee non conformi al pensiero dominante?
«Il mio caso è diverso da quello di Calà perché non faccio cinema e porto i miei spettacoli in giro per il mondo. Ma anche io sono stato inserito nella lista di proscrizione di coloro che dovevano essere messi al bando perché simpatizzanti di Berlusconi prima e Salvini poi. Penso alla mia trasmissione Colpo Grosso odiata da intellò come Concita De Gregorio, convinta che la superficialità della tv italiana si debba a quel programma. Amaramente devo ammettere che in televisione l' andazzo continua a essere lo stesso: Urbano Cairo ad esempio, pur figlio di una costola di Berlusconi, ha messo su con La7 una tv tardocomunista».
Pensa che la censura ideologica sia più forte ora dei politicizzati anni '70, quando lei e Calà giravate l' Italia coi Gatti?
«Le dico che in quegli anni venivamo continuamente ospitati alle Feste dell' Unità perché noi eravamo figli del '68, della cultura hippie, e il nemico comune semmai era la Dc e il mondo retrogrado che essa incarnava. Ma cosa vuole che ne sappia la Leonardi?».
Alla luce di tutto ciò, crede che i cretini senza talento semmai stiano a sinistra?
«Sì, sono degli snob autolesionisti che hanno perso il consenso popolare e non capiscono che più fanno così e più regalano voti a Salvini. In quel mondo ci sono anche persone in gamba, ma parlo di gente come D' Alema che aveva un ruolo quando la politica era ancora una cosa seria».
Intanto i Gatti si sono riuniti per prendere parte al film Odissea nell' ospizio, diretto proprio da Jerry Calà. Potrà essere il punto di partenza di una reunion che durerà nel tempo?
«Il film andrà in onda il 2 ottobre sulle piattaforme Chili Tv ma, se ci fosse qualche produttore interessato a trasformarlo in una fiction o a farci un sequel, perché no!».
Il film tratterà anche del tema dell' immigrazione, parlando delle proteste contro l' arrivo di alcuni immigrati in un ospizio, al suon di «Prima gli italiani». Nessuna paura di essere troppo politicamente scorretti?
«No, abbiamo fatto un riferimento al mondo attuale con un tocco leggero e intelligente, in punta di penna...».
Altri progetti in cantiere per lo Smaila che il prossimo anno spegnerà le 70 candeline?
«Innanzitutto un cd che raccoglierà tutte le mie colonne sonore, in uscita a Natale. Mi piacerebbe anche rifare l' inno degli ultras del Milan, da me creato, in un versione stile We are the world, cantata da tutti i milanisti celebri. Ma il vero sogno sarebbe vincere l' Oscar come migliore colonna sonora in un film diretto da Calà e sceneggiato da Anna Rita Leonardi (sorride)».
Se le proponessero di scendere in politica invece accetterebbe?
«Finora non me lo ha chiesto nessuno. Ma se proprio dovessi impegnarmi in politica fonderei un mio movimento, lo Smaila' s Action, partito della musica e del sesso libero...».
A settembre si festeggeranno i 100 anni dall' impresa di D' Annunzio a Fiume. Lei è figlio di genitori fiumani e in quella città ha trascorso parte della sua infanzia. Tornerà lì per celebrare quell' anniversario?
«Sì, ci andrò, magari portando con me il libro scritto da mia mamma su Fiume. E in quell' occasione vorrei ricordare il ruolo avuto da mio nonno. Aveva un' officina meccanica ed era uno dei pochi ad avere un telefono in città. Lo mise a disposizione di D' Annunzio e dei suoi legionari per permettere loro di fare chiamate in quei giorni convulsi. In seguito il Vate si sdebitò con lui dandogli un attestato di riconoscenza. Io mi sento figlio di quella storia: come D' Annunzio vedo in Fiume un grande porto franco, patria di spiriti liberi come me...».
Quel Vicolo Miracoli fra l’ufficio delle imposte e una casa di tolleranza…Emanuele Beluffi il 10/08/2019 su Il Giornale Off. E’ uno dei volti più amati dello spettacolo italiano. Con Jerry Calà, Franco Oppini e Ninì Salerno ha fondato “I Gatti di Vicolo Miracoli”. Lui è Umberto Smaila e il prossimo 2 ottobre lo rivedremo insieme ai Gatti nel film “Odissea nell’ospizio”, diretto da Jerry Calà.
E’ vero che Woody Allen aveva scritto uno spettacolo per i Gatti?
«Sì. Aveva scritto due atti unici e voleva fare il terzo per chiudere una trilogia. Doveva essere uno spettacolo su misura per i Gatti di Vicolo Miracoli, da presentare al Festival di Spoleto: una commedia surreale, in stile Woody Allen ma firmata Allan Stewart Konigsberg, cioè il suo vero nome. Magari a settembre quando lo becco a Venezia gli dico «Ehi Woody, quello spettacolo per il Festival di Spoleto…facciamolo all’Arena di Verona!». Può succedere».
Ma questo “vicolo Miracoli” esiste per davvero?
«Fai una cosa: vai a Castelvecchio, nel centro di Verona. Di fronte al castello c’è un vicolo, non proprio di passaggio: il vicolo Miracoli. Ci piaceva quel nome così “strano”. Lì c’erano da un lato l’ufficio delle imposte e dall’altro una casa di tolleranza: “cabarettisticamente”, da entrambe le porte uscivi con le tasche vuote!»
Perché i Gatti si sciolsero?
«Le cose finiscono perché finiscono. Ci sono dei momenti nella vita in cui bisogna provare strade nuove.
Sei un nottambulo ma hai detto di essere un “vampiro alla buona”: cioè?
«Sono un nottambulo perché vado sempre a letto tardi, ma non per trasgressione, anzi: sono un romantico, tipo “vecchio frac” e cabaret».
Hai interpretato Fred Buscaglione a teatro: come per i vampiri, ti senti anche un po’ un “duro alla buona”?
«Era il 1992, lo spettacolo si intitolava “Fred”, per la regia di Gino Landi, scritto da Umberto Simonetta e Italo Terzoli, colonne dello spettacolo italiano. Non male questa definizione, “duro alla buona”: me la devo ricordare. Questa mattina mi sono incazzato come una bestia qui all’aeroporto! (Fiumicino. Smaila deve raggiungere Porto Rotondo per il suo live show, n.d.r.)».
Cos’è successo?
«Sono in una saletta tipo carcere di Sing Sing, con un distributore d’acqua alla tenente Sheridan e sto aspettando il mio volo per Olbia, che ha un ritardo di un’ora (per il momento): per questo mi vedi così rilassato! Speriamo di arrivarci, a Olbia…mi attende un agosto ”mostruoso”!»
Fra i tanti personaggi che hai conosciuto c’è anche il mitico Dogui (Guido Nicheli)…
«Ogni estate si trasferiva armi e bagagli a Poltu Quatu, dove io avevo lo Smaila’s. Lo invitavo sul palco a declamare le sue massime intrise di umorismo alla Ionesco. Era ospite del ristorante “L’oblò”, dove mangiava in cambio di niente: gli volevamo tutti bene. All’ora dell’aperitivo chiedeva sempre: «Ci sono convocazioni per stasera? Taac!»».
La cultura è in mano alla sinistra?
«Lo sanno anche i muri! Una volta avevamo Monicelli e Scola, le loro opere erano intrise di un grande afflato popolare, stavano a sinistra ma tenevano per sé le loro idee. Oggi invece viviamo un periodo da “guelfi contro ghibellini”. C’è molta arroganza in giro. Da ragazzo avevo coniato uno slogan, “Vietato vietare”: avevo un’attitudine sessantottina, “di sinistra”, ma ora vedo che sono proprio quelli di sinistra a vietare tutto. Il mondo si è rovesciato. Ora non riesco a identificarmi con la destra o la sinistra, potrei essere scambiato per un nichilista o un anarco/insurrezionalista, ma me ne sbatto!»
Un anno e un mese fa è mancato Carlo Vanzina: che ricordo hai di lui?
«Una persona di grande cultura e classe: mai fuori posto, anche quando dirigeva era un vero gentleman. Lui, ma anche suo fratello Enrico, amava molto una canzone dei Gatti, “Verona beat” e ci chiedeva sempre di cantargliela. Insieme ai Gatti ho fatto la colonna sonora di “Arrivano i Gatti” e “Una vacanza bestiale”, ma anche le musiche di “Sognando la California”, “I mitici. Colpo gobbo a Milano” e “I miei primi 40 anni” sono mie, quindi ho collaborato con lui in cinque film. Inoltre ho scritto le musiche di “Animali metropolitani”, l’ultimo film diretto da suo padre Steno e anche di questo sono molto orgoglioso».
Suoni un repertorio che va dai 50 a oggi ma adori Chopin e Liszt: è mai capitato di suonarli a una delle tue serate?
«Sì, al Teatro Nuovo di Milano, dove portai tutto il mio repertorio: iniziai proprio con Chopin. Ma per suonare certi compositori ci vuole un certo allenamento!»
Umberto Smaila: “Quella sera a N.Y. cantando col capo del Mossad...” Emanuele Beluffi il 26/06/2019 su ilgiornale.it. Umberto Smaila oggi spegne 69 candeline. Nato a Verona il 26 giugno del 1950, lo ricordiamo tutti con I Gatti di Vicolo Miracoli insieme a Jerry Calà, Franco Oppini e Nini Salerno. Dopo lo scioglimento del gruppo si afferma come conduttore televisivo, presentando molti programmi tra i quali ricordiamo Colpo Grosso, C’est la vie e Buona Domenica. Dagli anni Novanta in poi si è concentrato sulla sua carriera di attore e sulle attività d’imprenditore musicale (e musicista lui stesso). Nel video qui in alto lo rivediamo mentre si racconta a Edoardo Sylos Labini in un’imperdibile intervista per il mensile #CulturaIdentità in una tappa del suo infinito tour che lo ha visto e lo vede tuttora far ballare e cantare generazioni di italiani. Festeggiamo il suo compleanno con l’intervista che il grande Umberto ha concesso tempo fa a Emanuele Beluffi, dimostrando fra le altre cose una certa passione per i libri, visto che a un certo punto dice, citando Oscar Wilde, che lui in fondo s’accontenta di poche cose…basta che siano il meglio che offre il convento. Umberto Smaila è infatti un uomo còlto e in questa intervista, oltre che della sua storia televisiva e musicale, ci parla anche del suo passato e ci dà un insegnamento niente male…Umberto Smaila anche educatore! Sembra Honorè De Balzac ma il suo scrittore preferito è Marcel Proust (sì, “La recherche” l’ha letta tutta). E’ un seguace di Ken Follett e nella sua biblioteca non mancano pepite come l’opera omnia di Casanova. Ha fatto cinema, teatro, musica e da pochi giorni ha ripreso alla grande i suoi show a Milano insieme al figlio Rudy. Lui è Umberto Smaila, uomo di teatro e cabaret con I Gatti di Vicolo Miracoli; di cinema con innumerevoli film; di TV con il fortunatissimo (e copiatissimo poi) “Colpo grosso“. E uomo di musica, naturalmente: ha firmato trenta colonne sonore, inciso dischi e dagli anni Novanta ha rivoluzionato il concetto di “intrattenimento” esibendosi al pianoforte con un repertorio molto coinvolgente.
“Il talento fa quello che vuole, il genio fa quello che può” (Carmelo Bene): caro Umberto, quanto conta essere talentuosi e quanto geniali?
«La persona talentuosa è anche geniale. Per essere un genio devi avere talento, ma se non hai talento…Oggi ce n’è molto poco, quindi non si vede quasi nemmeno l’ombra di un genio. E quando ciò accade, il genio è molto celebrato: siamo pronti a “genializzare” più facilmente che in passato. Siamo a corto di geni!»
Se tu avessi vent’anni e volessi fare esattamente le cose che ha fatto Umberto Smaila, come ti muoveresti oggi?
«Beh, tutto sarebbe “riadattato” all’oggi: sono nato in quella che una volta era una città di provincia [Verona, n.d.r.], mentre adesso è una città molto importante, sdoganata da quall’aura di città “rurale”. All’epoca c’era l’esigenza di andarsene e di “sbarcare” a Roma o a Milano, le città-faro per il mondo dello spettacolo: non potevi pensare di far qualcosa rimanendo a Verona. Ora invece è diverso, forse oggi farei a meno di trasferirmi a Milano e magari lavorerei vivendo a Verona. Però creerei lo stesso “il gruppo”: ho sempre amato fare le cose assieme, sono sempre stato un ”capoclasse”, una “guida”, ma ho anche sempre voluto condividere questa esperienza. Avrei fatto felice Gaber, che diceva “la libertà è partecipazione”. All’epoca non avrei mai pensato di fare la carriera da solo: l’idea di farla con i miei amici mi dava gioia ed energia. Ed è la stessa cosa che rifarei oggi: rifarei quel “gruppo di lavoro” (anche se poi ho proseguito con una carriera solista, scuola di recitazione e studio del pianoforte). Quindi oggi farei alcune cose e altre no: forse, dicendo una cosa che non ho mai detto fino in fondo, perché non mi è mai stata posta la domanda in questi termini, avrei contato fino a 100 prima di accettare di fare “Colpo grosso”. Forse la mia carriera avrebbe avuto una svolta diversa. Non lo so, ma se rinascerò te lo saprò dire!»
Sei (anche) un autore di colonne sonore: potendo scegliere, quale sarebbe la colonna sonora della tua vita?
«E’ la musica degli anni Sessanta, i Rolling Stones e i Beatles, il rock, il beat, il jazz. Il mio primo disco fu Rapsodia in Blu: avevo undici anni, mi chiudevo in camera e dirigevo Gershwin!»
E se dovessi sintetizzarla con un aforisma?
«Ho dei gusti semplicissimi: mi accontento sempre del meglio (Oscar Wilde). E’ uno dei miei scrittori prediletti, con Celine, Proust, Casanova».
Che libro c’è oggi sul comodino di Umberto Smaila?
«Ken Follett, La colonna di fuoco. L’ho comprato una settimana fa, sono stato uno dei primi. Adoro i suoi romanzi intrisi di storia, li ho letti tutti. Ma mi piacciono molto anche i romanzi polizieschi e ho letto buona parte di Dostoevskij e tutta la La recherche: in Proust c’è quella modernità che hanno solo i grandi».
Quando è stato in cui ti sei detto: “Ok. Ce l’ho fatta“?
«Mai. Sono ancora alla recherche…Ed è una delle ragioni per cui, quando mi vedo allo specchio, non vedo un uomo di sessantasette anni, ma un ragazzo. E’ un mistero che io abbia sessantasette anni… »
E c’è stato un momento in cui ti sei sentito in pericolo?
«C’è una frase, cui penso quando sono in aereo (ne prendo cento all’anno, ogni volta mi rendo conto di essere su un pezzo di ferro sospeso per aria). Questa frase è di Papa Wojtyła: “Non abbiate paura di avere paura”. E’ una frase bellissima e ogni volta che sono in volo mi dico: “Non aver paura di avere paura….”. Noi abbiamo paura dello stato d’animo, non di “qualcosa”. Quando succede “qualcosa”, non fai in tempo ad aver paura. Non sono un “pauroso”…»
Raccontaci un episodio OFF della tua vita.
«A New York da Cipriani: dopo cena inizio a cantare “Nessun dorma” di Pavarotti. Faccio un acuto strepitoso , entro nel climax e…inizio uno spettacolo “suonando”con forchette e coltelli! Mentre canto “Satisfaction” la manager dei Rolling Stones si mette a ballare e intanto un capo del Mossad mima gli ombrelloni cantando “Per quest’anno non cambiare stessa spiaggia stesso mare”…Sembrava di essere in un film di Frank Capra. Lì ho capito che non ero un genio, ma avevo talento!»
Da uno a dieci quante probabilità avremo di rivedere i Gatti tutti insieme?
«Abbiamo appena fatto un film! [“2017. Odissea nell’ospizio”, n.d.r.]. Certo, quando riusciranno a distribuirlo vedrete di nuovo i Gatti tutti insieme…Mi auguro che avvenga presto il parto. Never say never.
Finiamo con un sogno ancora da realizzare…
«Notte degli Oscar, Michael Douglas che dice: «And now, I am happy to present the Academy Award for the best original score: mr Umberto Smaila!». E io che dedico il premio a mia madre e a mia moglie e concludo con un: «W l’Italia!»»
Franco Oppini: "Ero un Gatto, oggi faccio l’anfitrione". Fra palcoscenico e tv: "Il successo? Lo dobbiamo a mago Zurlì". Piero Degli Antoni il 18 agosto 2019 su Il Quotidiano.net. Franco Oppini, 69 anni, ex Gatto di Vicolo Miracoli, ex marito di Alba Parietti, sta girando nei teatri d’Italia con L’anfitrione di Plauto, insieme con Debora Caprioglio.
È vero che la passione per il palco le venne quando un professore di liceo portò la sua classe a vedere “I giganti della montagna” di Pirandello con Turi Ferro?
"Lì venne piantato il seme, che poi ha fruttificato".
Lei e Umberto Smaila eravate compagni di classe...
"Non solo di classe, proprio di banco. Io, così magrolino, ero l’unico che poteva stare accanto a lui... Poi assorbimmo anche Ninì Salerno, che era stato bocciato l’anno prima".
Come erano quegli anni?
"Mi ero iscritto all’ultimo momento al prestigioso liceo classico di Verona, frequentato da figli di ingegneri, avvocati, industriali... Il preside formò una sezione con tutti gli ‘scarti’, una specie di ‘sporca dozzina’. Ma c’erano cervelli di prima qualità. Era il ’68. Il primo sciopero lo proclamammo io e Umberto perché in aula faceva freddo. Il bidello ci fece rientrare a calci".
Come nacquero i Gatti?
"Alla sera andavamo in piazza Dante a suonare la chitarra e cantare, dire qualche stupidaggine, avevamo voglia di far ridere. Una sera passò il regista Dore Modesti, marito di Gabriella Farinon, che ci propose di andare a Roma per girare una campagna sulla sicurezza stradale. Partimmo d’inverno in cinque più il contrabbasso – ci portavamo sempre dietro il contrabbasso – su una Mehari con la capote rotta. Era pieno inverno, arrivammo congelati. Poi della campagna non si fece nulla, ma intanto che eravamo a Roma giravamo per locali cercando di incontrare produttori, registi... Non avevamo più soldi, mangiavamo liquirizia per far passare la fame. Una sera incocciammo in un agente che ci disse: “Non siete adatti a Roma. Voi dovete andare a Milano”. E ci portò a casa di Cino Tortorella".
Il mago Zurlì...
"Dobbiamo molto a lui. Era amico di Gianni Bongiovanni, il patron del Derby. Facemmo il provino un pomeriggio e alla fine Bongiovanni ci disse: “Va bene, stasera salite sul palco”. Restammo dieci anni".
E la tv?
"Ancora grazie a Cino Tortorella. Eravamo in Rai per parlare di una trasmissione che non si fece mai. Quattro porte più in là c’era lui che discuteva con un altro dirigente di un programma. Il dirigente gli disse: “Ci vorrebbero dei comici nuovi”. Tortorella non sapeva che pesci prendere. Ma quando uscì in corridoio ci vide, e rientrò subito nell’ufficio. “Eccoli”, disse. Fummo ingaggiati per Gioco città e poi per Non Stop. Cosa vuol dire essere al posto giusto nel momento giusto. Non stop fu una fucina di talenti: La Smorfia con Troisi, Verdone, Beruschi, Messeri, i Giancattivi con Nuti".
Cosa ricorda di Troisi?
"Era molto riservato, timido. Verdone in pratica lo ingaggiammo noi. Dopo il primo anno di Non Stop qualcuno del programma ci disse: andate a vedere questo comico romano, dicono che sia bravo. Era Verdone. Andammo al suo spettacolo e tornammo entusiasti".
Diego Abatantuono era il vostro tecnico delle luci...
"Avevamo un faro solo, il lavoro non era molto. Diego in macchina dormiva sempre, e quando arrivavamo non voleva mai scendere, così ci autorizzava a svegliarlo anche in modo sbrigativo. Una volta, alle tre di notte, stavo guidando di ritorno da uno spettacolo, in mezzo a un nebbione terribile. Gli altri dormivano. Per la noia mi venne un’idea. Mi fermai in una piazzola, svegliai Diego piuttosto bruscamente e gli dissi: “Siamo arrivati, dai, scendi”. Per la nebbia non si vedeva nulla. Abatantuono, mezzo imbambolato dal sonno, sbarcò dall’auto e cominciò a camminare lungo la corsia di emergenza. “Ma dove è la casa?” chiedeva. “Avanti, vai avanti”, gli dicevo io. Lo recuperai dopo un centinaio di metri prima che succedesse un incidente".
Alba Parietti come l’ha conosciuta?
"È lei che ha conosciuto me. Già lavorava per una tv privata di Torino. Era venuta a Non Stop, che allora si registrava negli studi piemontesi, con una sua amica. L’amica la portò a cena con noi, ma io la snobbai per tutto il tempo. Solo alla fine le proposi di accompagnarmi in albergo, e da lì è nato tutto. Siamo rimasti insieme nove anni. Adesso nostro figlio ha 37 anni".
Oggi è sposato con Ada Alberti, astrologa...
"Fu lei a insistere perché invitassi Alba al nostro matrimonio. E ancora adesso Alba ogni tanto la consulta per qualche questione d’amore riguardanti i suoi fidanzati. Un giorno, parlando di uno che mi assomigliava, le ha detto: “Ma come hai fatto a sposare mio marito”?".
Novella Toloni per il Giornale il 19 agosto 2019. Alba Parietti non è tipo da mandarle a dire e oggi sfoga tutta la sua rabbia contro l'ex marito, Franco Oppini. La sua colpa? Aver rilasciato dichiarazioni poco carine sulla sua ex moglie in un'intervista al "Quotidiano.net". La coppia, separata da anni, è da sempre in ottimi rapporti ma questa volta Alba Parietti ha deciso di lavare i panni sporchi in piazza, raccontando la sua versione dei fatti. La popolare showgirl 58enne non ha affatto gradito alcune affermazioni di Oppini su come i due si siano conosciuti agli inizi degli anni '80 e ha deciso di rispondere, e rimproverare pubblicamente, l'ex attraverso i social network:
Dal profilo Instagram di Alba Parietti il 19 agosto 2019. Caro Franco, ti scrivo in risposta all’intervista di Degli Antoni. Purtroppo, non è la prima volta e non ne capisco il motivo, essendo noi in ottimi rapporti, che tu, racconti l’inizio della nostra storia dicendo che arrivai a teatro, andammo a cena tu mi snobbasti, mi chiedesti di accompagnarti in albergo e io tipo groupie ti segui. Per rispetto a nostro figlio , a mio padre che tu adoravi , a me trovo , che anche se tutto ciò fosse stato vero, 9 anni passati insieme ,una vita di rispetto reciproco, dovrebbero indurre chiunque dall’evitare simili poco verosimili ricostruzioni, perché ledono non solo la mia dignità ma anche la tua. Innanzi tutto conoscevo già voi “ gatti” , venni a cena invitata da Jerry ed entrambi in modi diversi mi faceste la corte. Avevo 19 anni e avevo appena rifiutato di partecipare alla finale di Miss Universo scatenando le ire dell’organizzazione che mi aveva eletto, perché non interessata a una carriera di Miss mondiale , più al teatro e alle radio e tv. Ero determinata e ben consapevole di ciò che valevo . Alla fine della cena , tu educatamente mi proponesti di accompagnarti. Girammo tutta la notte per Torino , come due ragazzini innamorati e alle 5 tra baci e risate ti lasciai sotto al tuo albergo. Mi chiamasti tutti i giorni. Mi invitasti a Sassuolo dove iniziò la nostra storia. Tra passione e dolore perché tu lasciasti una ragazza con cui stavi da 15 anni. Venisti a conoscere i miei e gli annunciammo l’arrivo di Francesco e il nostro matrimonio dopo solo 3 mesi. Non capirò mai perché , soprattutto gli uomini che più mi hanno amato e sofferto mi hanno denigrata... Spesso per mia manifesta superiorità, capisco la vostra debolezza e ci rido, ma anche la più solida pazienza ha dei limiti. Non mi piace essere descritta come non sono mai stata “ una facile”. Non lo sono in nessun modo e ho rispetto delle storie e dei sentimenti, anche di frustrazione che spesso gli uomini hanno provato nei miei confronti perché so di essere ingombrante , nei ricordi e con le nuove compagne. Ma ci vuole rispetto. Non è la prima volta che capita con te ed è successo anche con altri. Voi uomini siete fragili e avete l’ego poco strutturato. Ti perdono. Baci
· Enrico Vanzina.
Da adnkronos.com il 15 ottobre 2019. "Ormai i produttori sono dei poveracci che fanno i film con i soldi degli altri. Anche per questo non abbiamo più il cinema popolare". Parola di Enrico Vanzina che, da sceneggiatore e produttore cinematografico, conosce la materia direttamente. Vanzina, che esordì firmando nel 1976 la sceneggiatura di 'Oh, Serafina!'diretto da Alberto Lattuada, insieme a Giuseppe Berto e allo stesso Lattuada, nella giornata finale della seconda edizione del Terni Pop Film Fest – Festival del Cinema Popolare, ha tenuto una masterclass intitolata "Viaggio nella storia del cinema popolare", lamentando l'allontanamento reciproco fra cinema e giovani, rivendicando il ruolo della commedia all'italiana e ricordando lo scomparsi fratello Carlo. Vanzina ha poi sostenuto che "negli ultimi quindici anni non abbiamo più una rappresentazione di questo Paese attraverso i giovani", sottolineando che "i giovani si sono molto allontanati dal cinema. Non solo sono diffidenti nell’andare in sala ma anche nel raccontare il cinema. Si sta creando un enorme vuoto generazionale che non riusciamo a riempire in nessun modo. Un cinema così diventa formalista, sparisce. Questa è davvero una cosa drammatica". "La commedia all’italiana - ha rivendicato Vanzina - ha raccontato il nostro Paese molto meglio anche della letteratura. Abbiamo avuto grandi scrittori e sceneggiatori come Flaiano, Steno, Age, Scarpelli, Sonego, Scola. Se nelle scuole, invece di studiare sempre e solo Dante e Manzoni si studiasse un po’ di commedia all’italiana, i nostri ragazzi saprebbero meglio chi siamo e da dove veniamo". Durante l’incontro non sono mancati altri riferimenti ai grandi nomi del cinema italiano: "Dino Risi è il regista che forse amo più di tutti - ha proseguito Vanzina - è così incredibilmente semplice. Pensiamo a 'Il sorpasso', in quel film c’è tutto, c’è il senso della vita. Risi riesce a darci un ritratto perfetto dell’Italia, anche attraverso l’uso delle canzoni del tempo, cosa che all’epoca era qualcosa di molto innovativo. Una vita difficile è un film struggente. Un ritratto meraviglioso di come vorremmo cambiare il mondo, ma alla fine è il mondo a cambiare noi". Vanzina ha ricordato anche suo padre Steno regista di classici come 'Febbre da cavallo': "La forza della commedia sta nell’osservazione e non solo. A parte mio padre erano tutti di sinistra ma nessuno moralista. Nostro padre ci ha insegnato ad osservare e ad ascoltare le ragioni dell’altro. E’ importante stare in mezzo alla gente per capire come mangiano, come parlano". Il suo libro dal titolo 'Mio fratello Carlo', dedicato al fratello scomparso lo scorso anno, è stato l'ultimo argomento toccato da Vanzina: "Volevo scrivere la storia d’amore di due fratelli. Tra i vari aneddoti c’è un momento in cui eravamo in ufficio Carlo ed io. Lui stava male, lui lo sapeva ed anche io ovviamente, ma nonostante la malattia continuava a venire in ufficio come se niente fosse e con una forza incredibile". "Un giorno c’è stato un lunghissimo silenzio - ha proseguito Enrico Vanzina sempre riferendosi al fratello Carlo - E’ venuto verso di me, mi ha sfiorato i capelli e mi ha detto "non ti preoccupare, ho avuto una vita meravigliosa". E’ vero, ha avuto una vita meravigliosa. Abbiamo girato il mondo cercando di lavorare con tutti i più grandi attori italiani e non solo. Bisogna innamorarsi degli attori quando si fa cinema e bisogna innamorarsi anche delle donne. Carlo nutriva un fortissimo amore nei confronti delle donne". Il cineasta ha concluso con una citazione di Flaiano: "Scrivere serve a sconfiggere la morte, me lo disse Flaiano quando da ragazzo gli chiesi a cosa servisse scrivere. Mi piace pensare che un giorno una ragazza giovane di Terni o di qualunque altra città entrerà in libreria e toccherà questo libro. Così scoprirà Carlo ed io avrò sconfitto la morte". Il Terni Pop Film Fest si è concluso con l’anteprima del film 'Yuli – Danza e libertà' di Icíar Bollaín scritto dallo sceneggiatore Palma D’Oro, Paul Laverty, alla presenza dell’attore Santiago Alfonso,in uscita nelle sale cinematografiche dal 17 ottobre distribuito da EXITMedia.
Michela Greco per leggo.it il 15 ottobre 2019. Ora è in lavorazione il film Sotto il sole di Riccione, di cui ha scritto la sceneggiatura; come nel caso di Natale a 5 stelle (di cui aveva firmato il soggetto con Carlo), il film è destinato a Netflix.
È il secondo film che fa per Netflix. Il cinema sulle piattaforme streaming le piace?
«Al di là di tutte le polemiche che si possono fare sul cinema che non va in sala, Netflix e le altre piattaforme sono tra gli strumenti di diffusione dell’immagine e del racconto più importanti attualmente. Bisogna abituarsi culturalmente a tutto questo. Un film italiano che arriva in 190 Paesi non si era mai visto. Carlo ne sarebbe stato contento».
Come sarà Sotto il sole di Riccione?
«Una specie di Sapore di mare 36 anni dopo, ambientato nel presente. Si racconta un’estate di alcuni ragazzi giovani: la scoperta dell’amore, le delusioni, il tradimento, la seduzione e la crescita».
Recentemente è uscito il suo libro Mio fratello Carlo: vi racconta un uomo che ha fatto soprattutto commedia, ma parla della sua morte. Che colore ha questo libro?
«È un libro emozionante che, raccontando il dramma della sua malattia, potrebbe sembrare grigio, addirittura nero, invece è splendente di vita».
Racconta che Carlo poco prima di andarsene le ha detto “Tranquillo, ho avuto una vita meravigliosa”. Un dolce addio.
«Ho cercato sempre di proteggere Carlo, ma quando mi ha detto così ho capito che era lui a proteggere me. È vero che ha avuto una vita meravigliosa in cui ha fatto esattamente ciò che voleva: ha fatto il cinema, e l’ha fatto sul serio, dal primo giorno in cui ha iniziato a lavorare fino al momento in cui se ne è andato.»
Dopo la sua morte ha mai avuto un momento in cui ha pensato di smettere?
«Mai. Io lavoravo con Carlo, ma prima di noi c’era nostro padre Steno e sento la responsabilità di continuare: è come una piccola ditta la cui insegna resiste, perciò bisogna andare avanti».
Ripercorrendo a ritroso la sua carriera, c’è qualcosa che cambierebbe?
«L’unica cosa che cambierei è che vorrei essere andato via prima di Carlo».
SAPORE DI VANZINA (ENRICO). Paolo Bricco per il Sole 24 Ore il 29 Agosto 2019. «La domenica cenavamo tutti insieme da Suso Cecchi D' Amico, nella casa di Via Paisiello. Eravamo sempre una quarantina. Tutte le volte si componeva la grande famiglia del cinema italiano. I registi e gli sceneggiatori, i produttori e gli attori. Era qualcosa di speciale. Nessuno parlava di soldi, a differenza di quello che fanno quelli del cinema oggi, che parlano in continuazione di incassi e ingaggi, una cosa molto cafona. Nessuno, allora, diceva male degli altri. Tutti si rispettavano. Perché Luchino Visconti e Michelangelo Antonioni sapevano che fare recitare Totò e i grandi caratteristi della commedia all' italiana, come Tina Pica e Tiberio Murgia, era altrettanto difficile che girare Senso e Rocco e i suoi fratelli, Il grido e Deserto rosso». Enrico Vanzina, settant' anni, ha i capelli grigi che virano al candido, l' educazione affettuosa verso gli altri della borghesia romana non troppo amaramente cinica e una storia da raccontare che è insieme sua, di una città e di un Paese. Siamo da Settimio all' Arancio, vicino a San Lorenzo in Lucina, uno dei ristoranti dove per mezzo secolo si sono incontrati tutti: i politici provinciali inurbati nella Roma grande dispensatrice di santità e di debolezze, i giornalisti sospesi fra il potere politico e l' influenza culturale di quando esistevano i giornali, il potere e la cultura, le figure vitalmente mortuarie delle nobiltà romana che, dai Ruspoli ai Colonna, ha qui intorno i suoi palazzi. Come antipasto prendiamo scampi e gamberoni, tartare di ricciola all'avocado e carpaccio di tonno. Più un vino bianco freddo, il trebbiano Spoletino Arneto 2016 della Tenuta Bellafonte. Vanzina è il figlio di Steno - all' anagrafe Stefano Vanzina - e di Maria Teresa, una impiegata del ministero degli Esteri che per lui avrebbe desiderato la carriera diplomatica («ho fatto Scienze politiche per quello»). Suo fratello era Carlo. Enrico ha scritto 102 film, che hanno incassato un valore attualizzato di 470 milioni di euro. I 60 film scritti insieme da Enrico e Carlo hanno incassato l' equivalente di 300 milioni di euro. «Carlo è morto un anno fa. Ho sempre avuto molta malinconia, mista a una allegria che si è spaccata in due quando lui è mancato. Mio fratello non aveva una comunicazione fisica. Un giorno, stavamo lavorando all' ultimo film Natale a 5 stelle, che poi ha diretto Marco Risi, a un certo punto lui, che era eroso dal male, si alza, viene da me, mi tocca i capelli e mi sussurra: "stai tranquillo, ho avuto una vita meravigliosa"». Ogni solennità dolorosa, quando Roma non è cafona e fine a se stessa ma perpetua la sua anima distante da tutto e dunque vicina al cuore di ogni cosa, si stempera nella quotidianità: parlare, sorridere, bere, mangiare. Racconta Enrico, di fronte a una millefoglie di calamari e carciofi con scaglie di pecorino: «In una di quelle serate, avrò avuto diciassette anni, ero seduto a fianco di Age, lo sceneggiatore del duo Age & Scarpelli. Age mi chiede che cosa avrei voluto fare da grande. Io non so come, rispondo che avrei voluto fare lo scrittore. Allora lui mi fa "vieni che ne parliamo con Ennio", ci sediamo vicino a Flaiano che inizia a scherzare, con la voce tutta impostata e riferendosi a sé in terza persona, "allora caro ragazzo, adesso che hai la possibilità di parlare con un grande scrittore come Ennio Flaiano che ha vinto il primo premio Strega, fagli pure una domanda", io divento tutto rosso, inizio a grattarmi il collo e, non so come, mi viene fuori "che cosa serve scrivere?". A quel punto lui torna Ennio Flaiano, cambia espressione dietro alle lenti degli occhiali, mi guarda e dice: "Scrivere serve a sconfiggere la morte"». Gli amici scrittori erano appunto Flaiano, Mario Soldati, Leo Longanesi ed Ercole Patti. «Ho frequentato a Roma lo Chateaubriand. L' estate della maturità andai in pellegrinaggio nella campagna francese a fare passeggiate interminabili organizzate dalla Société des Amis de Marcel Proust, con questi illustri cattedratici che leggevano e commentavano Alla ricerca del tempo perduto». E, tu, ti immagini il giovane Vanzina che si aggira per Illiers-Combray, con l' eleganza acchittata di un diciottenne, immerso nella lettura o nell' ascolto, rigorosamente in lingua originale, di tutto ciò che segue la frase "Per molto tempo, mi sono coricato presto la sera. A volte, non appena spenta la candela, mi si chiudevano gli occhi così subito che neppure potevo dire a me stesso: "M' addormento"". Intanto, arriva in tavola una orata al sale. «Volevo fare lo scrittore, ma poi ho fatto il cinema. E ne sono contento. Ho seguito il percorso opposto di quello che ho visto fare agli scrittori, che per vivere dovevano lavorare per il cinema: oltre a Flaiano, penso a Carlo Cassola, Giorgio Bassani, Mario Soldati e Alberto Bevilacqua. E, poi, sono felice di non avere fatto parte della corporazione degli scrittori. Gli scrittori si odiano tantissimo. Adesso, io mi diverto a scrivere libri, come La sera a Roma che ho pubblicato un anno fa e Mio fratello Carlo che uscirà a settembre, e articoli. Da vent' anni ho una rubrica la domenica sul Messaggero, "Che ci faccio io qui?". Dal 1990 al 1998 ho scritto per le pagine romane del Corriere della Sera». Tutto nasce nell' Italia degli anni Cinquanta e negli anni Sessanta. Ce ne accorgiamo adesso, in cui il presente rinsecchito di speranze e il futuro insterilito di progetti rendono fecondo il pensiero di quello che siamo e di quello che, nonostante il fossato del tempo, vogliamo. I tre più sottovalutati sono Sergio Corbucci ("un grande talento, ma un casinaro"), Lucio Fulci ("non lo ricorda più nessuno, è l' autore di Paura nella città dei morti viventi, un mito nei B-Movies") e Sandro Continenza ("è uno degli autori della sceneggiature di Un americano a Roma, di mio padre"). I tre più amati sono Marcello Marchesi, Mario Monicelli e Dino Risi. «I funerali di mio padre si svolsero il 15 marzo 1988 nella chiesa di San Lorenzo in Lucina. Alberto Sordi stava nascosto dietro una colonna e piangeva come un bambino. Usciti sul sagrato, Dino Risi mi abbracciò e mi disse: "Se ti serve un vicepapà, io ci sono"». Vanzina non ha la solitudine del satiro. Non giudica moralisticamente, ma osserva il presente: «Il Paese è incartato e rassegnato. L' ignoranza e l' incompetenza sembrano diventati dei valori. La classe dirigente di oggi non è misurabile con i vecchi metri di giudizio», dice mentre usciamo a prendere il fresco della sera. «Guarda questi sacchi di immondizia, qui alle quattro del mattino passano a prenderli, ma in periferia la condizione di Roma è disastrosa». Roma e il Paese. Che, adesso, è nel pieno di una crisi di governo. «Un anno fa è morta la politica. Nella Seconda repubblica esistevano ancora degli ideali e delle pratiche in qualche modo di matrice socialista, liberale e socialdemocratica che arrivavano dalla Prima repubblica. La disaffezione della gente per la politica ha creato un vuoto che è stato riempito con il governo Lega-Cinque Stelle. Soltanto che, quando erediti, devi pagare le tasse di successione. Che, in questo caso specifico, sarebbero consistite in una manovra in autunno pesante, per scongiurare la tassa di successione più onerosa di tutte, cioè l' aumento dell' Iva dal 1° gennaio dell' anno prossimo. Salvini ha deciso di rinunciare all' eredità per non pagare la tassa di successione». Le differenze fra Lega e Cinque Stelle erano eccessive: «Woody Allen diceva che l' inattività sessuale è pericolosa perché produce corna. Lo stesso si può dire per la politica. Se tu non fai politica, perché non sei d' accordo con il tuo partner praticamente su nulla e dunque non riesci a fare un granché, è inevitabile che tu vada a cercare altrove quello che non trovi nella coppia. E, così, ecco che va in crisi il governo». Rientrati nel ristorante, dopo avermi consigliato una sbriciolata di millefoglie con crema Chantilly, frutti di bosco e cioccolata, Enrico ricorda la capacità di anticipazione della commedia all' italiana, di cui lui e suo fratello Carlo sono stati eredi e continuatori. Qualcosa nato fra Roma e Milano. «Mio fratello era aiuto regista di Monicelli in Romanzo popolare, ambientato a Milano. Sui dialoghi lavorarono Beppe Viola e Enzo Jannacci. Io feci l' aiuto regista di mio padre in La poliziotta, girato a Bergamo con Mariangela Melato e Renato Pozzetto. È allora che siamo diventati amici della gente del Derby. Da Massimo Boldi a Teo Teocoli, da Pozzetto a Diego Abatantuono. Fino a personaggi lunari come Guido Nicheli, il Dogui». La Milano dove - nella Patata bollente - lavora in una fabbrica di vernici il Gandi, interpretato da Pozzetto, operaio comunista che diventa amico di Claudio, interpretato da Massimo Ranieri, un omosessuale picchiato da fascisti ma anche avversato dai compagni del Pci, allora moralista e omofobo. La Milano dove si creano i personaggi degli anni Ottanta - tristemente vitali e felicemente volgari - di Vacanze di Natale e dove si gira la prima serie per la tv commerciale di Silvio Berlusconi, I ragazzi della terza C. Niente caffè. Mezza vodka. Ghiacciata, come è di ghiaccio l' ultimo ricordo del padre Steno: «Quando morì, volevamo seppellirlo al cimitero del Verano, ma non ci riuscivamo. Scrissi a Giulio Andreotti. Dopo un mese, suona al portone di casa un messo della presidenza del Consiglio, che mi consegna un suo messaggio. Poche righe scritte di suo pugno: "La lobby del Verano è più potente del presidente del Consiglio"». Il ghiaccio, però, si scioglie subito. Nello sguardo ironico e amorevole di Vanzina su un Paese fatto così. Ieri, oggi, domani. Nella consapevolezza che non solo, come scriveva Flaiano, "la felicità è desiderare esattamente ciò che si ha", ma che la felicità è anche desiderare ciò che, nonostante tutto, si è.
"DURANTE UN DERBY DISSI A VERDONE: HO PRESO LO XANAX MA SONO SEMPRE TESO. E LUI…" Francesco Persili per Dagospia il 14 settembre 2019. “Non si mischia il Tavor con gli alcolici, non lo fare mai più, una mia amica è morta…”. Carlo Verdone, neo-farmacista ad honorem, snocciola prescrizioni mediche e aneddoti. Enrico Vanzina gli ricorda un derby di qualche anno fa e una battuta, meravigliosa: “Ho preso lo Xanax ma sono sempre teso”, gli dissi. E lui: “Sai, la pillola bisogna saperla accogliere…”. All’Aniene è la serata del libro “Mio fratello Carlo (Harper Collins), un “romanzo” nel quale Enrico Vanzina racconta il suo rapporto con il fratello scomparso l’8 luglio scorso. “Hai fatto un grande omaggio a Carlo, gli hai fatto il dono più grande”, scandisce Verdone. “Io e lui avevamo un rito, ci sentivamo ogni domenica mattina. Era l’unica persona che mi domandava come stessi. Mentre tutti in genere mi chiedono favori, lui non l'ha mai fatto..”. L’attore e regista romano riavvolge il nastro della memoria. “Con Carlo ci siamo conosciuti in un locale da playboy a Roma, poi siamo diventati amici e passammo un’estate bellissima a Venezia. Arrivammo all’Excelsior, scendemmo in spiaggia e trovammo un bagnino che ci accolse dicendo: ‘O sior Verdone, o sior Vanzina, voi avete facce simpatiche non come quel maledetto di Sordi che non ci ha mai lasciato la mancia’. Ci guardammo, Carlo chiese due pattini e gli mollò ventimila lire. E così andò avanti fino alla fine della vacanza. Quella che allora era mia moglie mi disse: "Cerca di dargli qualcosa anche te". Come andò a finire? Tornammo senza una lira…”. “Tristezza per Carlo? No, dobbiamo ringraziare Dio di avercelo dato”, prosegue Verdone. “Era un uomo d’altri tempi. Il suo modo di fare lo rifletteva nel suo cinema, dove alla fine trovi sempre un'umanità buona. I difetti vengono raccontati in maniera veniale, e non c'è mai cinismo". “E’ un libro sull’essere impreparati a morire e sul senso di colpa che abbiamo nel sopravvivere alle persone che amiamo”, spiega Giuseppe Tornatore. “Per la prima volta Carlo e Enrico non sono riusciti a realizzare un happy end “, si rammarica. “Ci resta il ricordo di una persona speciale come lo sono tutti quelli che dedicano la vita a far ridere gli altri e allora forse poi scopriremo che alla fine l’happy end c'è stato lo stesso". Vita reale e cinema. Enrico Vanzina che la mattina quando passeggia al Parco dei Daini di Villa Borghese cerca ancora con lo sguardo il fratello, come fosse una scena di “Ghost”, uno dei film preferiti da Carlo. E ancora, il valore dell’amicizia. Aurelio De Laurentiis che stacca un assegno per aiutare Carlo a estinguere un debito con l’erario. “Vedi sono sempre gli amici veri quelli che non ti abbandonano mai”, sussurra il regista ricoverato in clinica al fratello. E poi Roberto Gervaso che consiglia a Enrico “Le lettere di Seneca a Lucilio”: “Lì troverai tutto quello che ti serve…” "Ho voluto scrivere una storia d’amore, questo è il mio film d'amore per Carlo", Enrico Vanzina parla con Dagospia quando la sala è ormai vuota e dal Tevere arriva quel ponentino di malinconia che solo certe sere di fine estate. “All’inizio è partita come un’urgenza di metabolizzare il dolore. Poi ho capito che questa storia struggente poteva trasformarsi in una storia universale. Una storia di amore disperato, come quello in cui si conosce già il finale, però con una leggerezza di fondo. La forza dell’amore che prevale sulla morte. E qui torniamo alla frase che mi disse Flaiano: “Perché scrivi? Per combattere la morte”. E tutto il resto è vita: cinema, musica, cazzeggio, libertà, ricordo di quelle estati lì. “Come si fa a spiegare il mare a chi lo guarda e vede solo acqua?” Con un film, “Sapore di Mare”, la “prima scintilla” della loro travolgente carriera. “Quel film è costruito sui nostri ricordi autentici: situazioni, canzoni, amori…”. In “Vacanze di Natale”, lo stesso. Il personaggio di Luca Covelli è ispirato a Malagò, amico d’infanzia dei Vanzina. E dietro al pianista “Billo” chi c’è? Enrico Vanzina? “Non sono io…E’ vero che da ragazzo il primo lavoro in cui presi dei soldi fu quando feci il pianista da piano-bar a Cortina. Mi ero innamorato di una deejay. Non avevo il denaro per pagarmi l’albergo, per fortuna mi presero a suonare e cantare, così per un mese riuscii a stare vicino a lei. Ma nel film “Billo” è più cinico di me, io ero innamorato pazzo di quell’inglesina. Si chiamava Jane. Più che alla Sandrelli, assomigliava a Karina Huff…” Il cinema dei Vanzina è la nostra ricerca del tempo perduto tra sceneggiature che hanno saputo cogliere (e spesso anticipare) i mutamenti del costume italiano e battute che ormai fanno parte dei nostri modi di dire. “Come lo passerà il 31 dicembre Cerezo? Secondo me dorme, perché è un professionista”. “Ma questa non è una battuta di Malagò, l’abbiamo inventata noi - chiarisce Enrico - Un suo amico mi ha rivelato che Toninho è disperato perché il 31 riceve continue telefonate da Roma di gente che gli chiede come passa l’ultima notte dell’anno. E lui si diverte moltissimo…”. Dopo Cerezo, c’è un altro amarcord giallorosso. Un’altra storia d’amore che (al momento) si è interrotta. Quella tra Totti e la Roma. “C’è sempre un secondo tempo e lui lo sa…”
Pino Corrias per “Robinson - la Repubblica” il 13 agosto 2019. Il sapore del mare per Enrico Vanzina è un viaggio dentro al tempo. Il tempo è una lunga estate che dura da almeno cento film che ha scritto, prodotto, immaginato con il fratello Carlo, il regista, sceso un anno fa all' ultima fermata della vita. «Questa è la mia prima estate senza di lui», dice, lasciando che il vuoto riempia la stanza- studio romana dei Parioli, arredata dai copioni, dalle fotografie, dai premi, dai quadri, come si addice alle dinastie che hanno fabbricato il cinema italiano, cominciando dal grande Steno, il padre, che fu burattinaio della commedia comica, muovendo le maschere di Totò, Aldo Fabrizi, Albero Sordi, Ugo Tognazzi, fino a Paolo Villaggio e Renato Pozzetto. Una eredità diventata una fortuna di ricordi. E con i ricordi anche la malinconia. «Il mio amico Leo Benvenuti, sceneggiatore di Amici miei, una volta mi disse una cosa fulminante: la vita sono venti estati utili. È vero. Dai venti ai quarant' anni accade tutto quello che deve, il resto sono piccoli dettagli o grandi remake». Compresi l' amore che brucia e gli occhi che incantano. Tutto indimenticabile. Come l' incontro con Federica, la sua futura moglie, un agosto del 1975 davanti al mare di Forte dei Marmi. O la prima volta che ha visto il sorriso di Mariangela Melato, a una cena d' estate, a Castiglioncello, con il padre capotavola e Gassman mattatore. O l' indimenticabile Sylva Koscina a Fregene. O la giovanissima Isabella Ferrari. Racconta: «L' altra sera ero in Versilia. Proiettavano sulla spiaggia una copia restaurata di Sapore di mare che fu l' inizio della nostra carriera. C' erano trecento persone sulle sedie a sdraio. C' erano le stelle, un po' di vento e la risacca. Mi sono emozionato tantissimo a rivederlo. Erano passati 36 anni, ma sembrava girato ieri » . Dice: « Il film è una fotografia che cristallizza l' estate e le sue scoperte». Con la tavola narrativa disposta al gran completo: l' amicizia, la scoperta dell' amore, l' indipendenza dai genitori, il dolore del tradimento, il primo bacio, la felicità, la sconfitta. Fino alla scena in cui Virna Lisi balla con il figlio e, quando lui le chiede: «Mamma com' era ai tempi vostri?», lei gli risponde: «Mi pare di ricordare che ci batteva forte il cuore». Tutto semplice, il racconto, come qualche volta va la vita. Magari un attimo prima di svelarsi per intero. «Per me e Carlo il film capolavoro dell' estate è sempre stato Il sorpasso di Dino Risi. Se ci pensi c' è tutto in uno spazio piccolissimo, ma molto profondo: due giorni, due amici, l' automobile, la strada, il mare, il senso della vita». Con il nero dell' incidente finale a illuminarla. Cambiando in un istante il destino dei due protagonisti, Gassman e Jean- Louis Trintignant, transitati dalla solitudine del Ferragosto in una Roma deserta, fino alla spiaggia dove la giovinezza ancora ignara di Catherine Spaak balla il twist di Guarda come dondolo, in mezzo alla folla estiva. E la bella Italia del Miracolo economico profuma di crema solare e di avvenire. Per concatenazione di ricordi Enrico Vanzina arriva a Ennio Flaiano, amico e maestro del padre, ospite fisso la domenica a pranzo. Racconta: «C' erano Age e Scarpelli. Io ero un adolescente presuntuoso e avevo detto che da grande avrei voluto fare lo scrittore. Così Age mi disse bè hai davanti a te il premio Oscar Flaiano, fagli una domanda. E io, rosso di vergogna, gli chiesi: perché si scrive? Allora Flaiano cambiò faccia, si tolse gli occhiali, si prese un tempo per guardarmi dritto, mi disse: per sconfiggere la morte» . Aggiunge: «Non l' ho mai dimenticato da allora. E oggi che se ne sono andati così tanti, so quanto sia vero».
Dunque, la vitalità dell' estate che porta nuvole nere.
«In mezzo a tante nuvole bianche, questo è il suo fascino. Perché è un tempo in cui si concentrano i sentimenti, le emozioni e anche la noia. È d'estate che diventi grande, quando il mondo ordinario si allarga, conosci persone nuove, leggi Tolstoj, respiri a pieni polmoni».
È la vita che si mette in viaggio.
«Riviste oggi le mie venti estati utili sono state una giostra».
Iniziate con i viaggi veri?
«I più veri e i più belli. A diciotto anni con Claudio Risi e una Giulietta Sprint scassatissima che per noi era una Ferrari, fino in Scandinavia a caccia di svedesi».
Un classico della commedia.
«Diventata una divertente catastrofe. In panne tre volte con la macchina e in bianco con le avventure: le prime ragazze le abbiamo rimorchiate al ritorno a Imperia».
Anche il ritorno fa parte del viaggio.
«In quel caso salvò il nostro secondo tempo. L' anno dopo con il furgone a Capo Nord per guardare il sole a mezzanotte. E quello successivo, finalmente in America. Avevo ventun anni, mi ero appena laureato in scienze politiche. Era il regalo di mio padre».
Come nel "Laureato". Tu eri Dustin Hoffman.
«Purtroppo non c' era con me Anne Bancroft, la favolosa signora Robinson. In compenso avevo in tasca Sulla strada di Kerouac e quella era la mappa del mio viaggio da New York a Los Angeles su una Chevrolet con musica e paesaggi indimenticabili».
Quando torni tuo fratello Carlo è diventato assistente di Mario Monicelli sul set dell'"Armata Brancaleone".
«E lì inizia la nostra avventura nel cinema».
Dice Dino Risi, nelle sue memorie, che si fa cinema per tante ragioni, la principale sono gli occhi delle donne.
«È vero. Anche se il cinema l' ho respirato dall' inizio. Ha coinciso con la mia vita, cominciando dal primo amore, che era Barbara, la figlia di Mastroianni, lei tredici anni, io quindici».
Il cinema è stata la tua comunità?
«Tutto il cinema italiano era una comunità. Oggi ci sono autori solitari e piccolissimi gruppi separati tra loro. Nanni Moretti non parla con nessuno. Sorrentino e Garrone non si fanno mai vedere e non si frequentano. Mentre prima c' era uno scambio continuo. A Castiglioncello avevano casa Sordi e Gassman. Noi andavamo tutte le estati. C' erano Monicelli, Marcello Marchesi, Gina Lollobrigida. Passavano Tognazzi e Raimondo Vianello con Sandra Mondaini. Nino Rota certe sere suonava il pianoforte. E veniva Federico Fellini, alto alto, che quando incontrava mio padre lo prendeva in braccio gridando: Stenino!».
Si conoscevano da prima della guerra.
«Dai tempi del Marc' Aurelio, la rivista. Mio padre se lo vide arrivare un giorno in redazione senza una lira, senza un lavoro: mi chiamo Federico. Cosa sai fare?
Disegno. Fammi vedere. Fellini fece vedere. E mio padre gli disse: sei assunto. Federico non se lo è mai dimenticato».
Fellini aveva casa a Fregene.
«Sì, al villaggio dei pescatori. Lui e Flaiano presero casa per primi. Li seguirono Moravia, Suso Cecchi d' Amico, Lina Wertmüller, Nanni Loy, Gillo Pontecorvo. Tutto il cinema di sinistra era lì. C' erano discussioni, nascevano idee, nascevano copioni».
E il grandissimo principe De Curtis?
«Totò girava in Cadillac con le tendine. Aveva comprato una barca, ma siccome aveva paura, la seguiva in macchina guardandola navigare da lontano. Lui era un solitario suo malgrado. Un giorno la città di Napoli gli diede un premio. Mio padre andò alla cerimonia in teatro e lo trovò in camerino che piangeva perché di tutto il cinema italiano c' era solo lui in sala».
Fu grande solo a futura memoria.
«È stata la nostra ultima maschera nazionale. Ma gli hanno fatto i monumenti solo post mortem».
Le estati di oggi ti ispirano?
«Ma esistono ancora? Facciamo tutti vacanze brevissime, isteriche, attaccati al telefono e alle mail, sempre reperibili. Quella lunga parentesi della villeggiatura cechoviana non esiste più».
È il mondo parallelo che ci assedia e ci inghiotte.
«Un tempo d' estate potevi pure recitare la vita di un altro, dire che eri scapolo anche se eri sposato, oppure ricchissimo, anziché uno spiantato».
La pura commedia all' italiana, come "La spiaggia" di Alberto Lattuada, un piccolo capolavoro sulle identità nascoste.
«Esatto. Oggi verresti scoperto in un minuto grazie ai social».
Estati senza più misteri.
«Estati piene solo di grottesco. Sabaudia è passata da Moravia a Totti e Malagò. Capri è diventata un quartiere di Napoli. Castiglioncello un Autogrill. In spiaggia i ragazzi si stordiscono di house music, spritz e applaudono al tramonto. A me quell' applauso un po' mi fa ridere e molto mi fa incazzare».
Sarà che passati i sessant' anni ogni tramonto è un piccolo presagio.
«Forse. Ma preferisco ancora guardarlo in silenzio, con l' amore accanto. E pensare che a quelle estati utili ne manchi ancora qualcuna».
«Fratello, sei stato la mia metà»: Enrico Vanzina racconta Carlo. Pubblicato martedì, 10 settembre 2019 da Aldo Cazzullo su Corriere.it. In un inglese sporcato da un leggero accento yiddish, il professore mi disse: «Suo fratello è in ottime mani. Conosco il professor Maio. Ogni nostro nuovo protocollo di ricerca viene immediatamente condiviso con lui e con un altro ospedale in Germania. Siena è come New York». Il professore fece una pausa e aggiunse: “Con una sensibile differenza, però. Per le stesse cure che fa a Siena, venendo qui da noi a New York, suo fratello dovrebbe spendere centinaia di migliaia di dollari. In Italia, invece, viene curato gratis. Mi lasci dire che il vostro è un grande Paese”. Le parole di quel medico di New York rimarranno per sempre impresse nella mia memoria. Diciamolo anche noi, ogni tanto, seppure sottovoce: l’Italia è un grande Paese». Tra i mille spunti da cui si potrebbe partire per sintetizzare questa storia, scegliamo pagina 80, quella dell’orgoglio e della speranza. È anche una storia di speranza, in effetti. Ma è anche una storia di panico, disperazione, dolore. Il racconto di «quei lunghi momenti in cui ogni cosa ti diventa ostile. Hai paura di tagliarti con una forchetta, di scivolare sul lembo di un tappeto. Senti la tua casa che scricchiola. Temi che intorno a te tutto possa crollare. L’ignoto soffia come un vento in tempesta». È un libro scritto benissimo, tutto fatti, senza una parola di troppo. Del resto è scritto da uno sceneggiatore, ora finalmente rivalutato anche dalla critica, che per decenni ha pensato i film che il fratello ha realizzato, divertendo il pubblico e pure commuovendolo con vicende piene di poesia, da Sapore di mare a Il cielo in una stanza. Anche qui c’è poesia. E di tanto in tanto si sorride. Ma è anche un libro molto duro. È la storia della malattia e della morte di Carlo Vanzina, raccontata nei minimi dettagli, psicologici e clinici, dal fratello Enrico (e pubblicata da HarperCollins: Mio fratello Carlo è il titolo). Una storia crudele, e non tanto perché l’ospedale di Siena, per il quale Vanzina ha solo buone parole, alla fine rifiuta il ricovero, forse perché — ipotizza l’autore — teme che la morte di una persona famosa possa nuocere al buon nome della struttura. Crudele perché il fratello maggiore non riesce a proteggere il più piccolo. Perché Carlo spira nella stessa clinica dove trent’anni prima è morto il padre, il grande regista Steno (e non si può non ripensare alla splendida fotografia in cui Alberto Sordi tiene in braccia Enrico e Carlo bambini). Perché è crudele la scena delle tre figlie del malato, Virginie, Isotta e Assia, distrutte al suo capezzale, dopo aver realizzato che è stata loro raccontata una pietosa bugia, e papà non si sta riprendendo da una polmonite; sta morendo. Solo leggendo il libro se ne potranno scoprire le sfumature e gli aneddoti. La preparazione di un funerale che non sarà celebrato, perché Carlo cui sono stati dati pochi giorni di vita miracolosamente si riprende. Il rosario donato da Papa Francesco (la fede conforta le giornate dei due fratelli). L’assegno staccato da Aurelio De Laurentiis per «lavori futuri» che Carlo non potrà più fare, in modo da consentirgli di pagare i debiti e andarsene sereno. Roberto Gervaso che fa leggere a Enrico il passo delle lettere a Lucilio di Seneca sulla necessità di «lasciare serenamente la vita, alla quale molti si avvinghiano e si aggrappano allo stesso modo in cui chi è trascinato via dalla furia delle acque si aggrappa ai rovi e alle rocce...». Il rifiuto della sedazione: Enrico non vuole «staccare la spina» a Carlo, che del resto non lo chiede, chiede semmai di guarire, e spera in una pillolina prodigiosa che è in realtà un placebo. I giorni passati a lottare e la paura che arriva con la notte, perché «la notte può essere una prigione. Impossibile evadere. Di giorno non ci accorgiamo del pericolo che comporta il fatto stesso di vivere». E allora l’autore lenisce il dolore scrivendo. Anche scrivendo il necrologio di un fratello ancora vivo. E che resterà vivo nel ricordo di chi l’ha amato e nei sorrisi che sempre susciterà il suo cinema. ENRICO saluta come ha fatto tutti i giorni della sua vita CARLO Sei stato il fratello migliore del mondo. Eri la mia metà. Mi lasci disperato e tagliato a metà, con il cuore a metà. Ma ti prometto di continuare, come mi hai chiesto tu, quella leggera e fantastica avventura nel cinema che abbiamo vissuto insieme. Conservo nell’anima il ricordo del tuo umorismo, del tuo immenso talento e della tua bontà. Dammi la forza per andare avanti. Per andare avanti, Enrico Vanzina ha scritto questo libro.
TUTTO SU MIO FRATELLO. Malcom Pagani per Vanity Fair il 25 settembre 2019. Carlo che si chiude in bagno a quattro anni e non sa più come uscire, Carlo che gioca con i soldatini e nasconde gli incursori sotto al letto, Carlo che assiste al gol di Rivera in Italia-Germania di Mexico ’70 mentre la voce di Nando Martellini riempie la stanza: «4-3, gol di Rivera, che meravigliosa partita ascoltatori italiani!» e Raimondo Vianello esulta al suo fianco, Carlo che ascolta Bob Dylan e i Beatles leggendo Kerouac e sulla strada, a un dato punto, incontra il male, combatte, perde, spera, cade e se ne va. Suo fratello si è ribellato all’inattesa piega degli eventi mettendo sulla pagina, in un libro intimo e rivelatorio, il film della sua vita. Dice Enrico Vanzina che l’esistenza non è altro che «una finzione tra la voglia di capire e la paura di capire» e che per dare forma a Mio fratello Carlo ha dovuto consegnarsi alla prima e dimenticare la seconda. Una mattina racconta: «Mi sono svegliato e ho deciso che dovevo liberarmi dal dolore. In stato di trance, per 50 giorni, ho scritto la storia di un uomo. Se scrivendo avessi parlato soltanto di Carlo senza mai accennare al suo cognome sarebbe stato identico». Più che un diario, un romanzo, doloroso e bellissimo che parla di amore alternando ricordo e cronaca, sogno e referti medici, speranza e disperazione, delicatezza e abissi: «Anche se quando tutto sembra finito, finito non è mai. In questo momento lei è seduto sulla sedia di Carlo, sul tavolo ci sono ancora i suoi appunti e se mi impegno riesco a risentire la sua voce, le sue imitazioni, il suo umorismo gentile. Continuo a parlare con lui ogni giorno. Come prima. Accadrà domani e per sempre».
Scrivere un libro su suo fratello è il tentativo di rendere eterno ciò che eterno non è stato?
«Wilde diceva che nessun uomo è tanto ricco da potersi ricomprare il passato, ma quello che sembra svanire tra le dita in verità è ben saldo nelle nostre mani. Io e Carlo abbiamo vissuto in simbiosi trovandoci a reinventare ogni mattina il presente. Al di là del tangibile, qualcosa è rimasto».
Chi era Carlo Vanzina?
«Una persona che ha sceneggiato la sua vita fino a farla diventare un film. Era James Stewart in un affresco di Frank Capra, sapeva voler bene, amava la sua famiglia e il cinema più di ogni altra cosa. Da ragazzo voleva diventare critico: “Così magari mi danno la tessera e entro in sala gratis”. Con Claudio Risi, il figlio di Dino, inforcavano la Vespa e volavano insieme in direzione dell’Euclide o dell’Ambra Jovinelli, verso quei luoghi magici in cui si spengono le luci, all’improvviso si fa silenzio e sul grande schermo scorrono le immagini».
Ora che la luce si è spenta definitivamente a lei che immagini vengono in mente?
«Il sorriso di Carlo. Ottimista per natura e per scelta. Gli piacevano i colori e rifiutava il grigio intorno a sé. “Amo il lieto fine”, diceva sempre, “forse perché nella vita non esiste quasi mai”. Non si prendeva sul serio, Carlo. Nostro padre Steno ci aveva sempre ammonito: “Non operiamo a cuore aperto, facciamo soltanto cinema”».
Cosa significa fare cinema?
«Osservare il contesto e immaginare, misteriosamente e in totale libertà, quel che accadrà domani. Io e mio fratello lo abbiamo fatto per decenni. L’idea che non accadrà più mi fa impazzire. È come se mi avessero tagliato a metà».
È stato difficile parlare di suo fratello raccontando anche la malattia?
«La vita è semplice da descrivere solo quando non c’è niente in ballo. Qui c’era ogni cosa. Ma sulla sua fine, Carlo ha sceneggiato un meraviglioso film drammatico. Fino all’ultimo, era convinto di guarire, sicuro che quel che gli stava accadendo era soltanto il passaggio di una storia universale, che può toccare a tutti. “Io ne esco”, diceva e non aveva nessuna remora nel raccontare agli amici il calvario dei medicamenti, della immunologia, dei consulti, delle speranze che prima volano e poi precipitano. D’altra parte, con la medesima capacità di negare il dramma, Carlo aveva accolto la notizia della morte di nostro padre. Non voleva considerare che non ci fosse più, non riusciva ad ammetterlo a se stesso perché non accettava la tristezza. La morte di papà non era il film che voleva vedere: “Voglio parlarci, devo parlarci”, mi diceva. Ma papà non c’era più».
Quando seppe che Carlo stava male?
«La prima volta? Nel 1992. Mi telefonò mentre con i membri della commissione stavamo decidendo chi ammettere al Centro Sperimentale di Cinematografia. “Ho fatto dei controlli”, disse, “temono sia un melanoma”. Non avevo idea di cosa fosse: “È un cancro, uno dei peggiori”. Tutt’a un tratto mi sentii malissimo. Provai a reagire. A uno degli esaminandi chiesi se sapesse chi era Rossellini, poi prima che il ragazzo rispondesse, iniziai a piangere».
Dopo cosa accadde?
«Accadde una specie di miracolo. Carlo si curò e poi il male si arrestò. Per venticinque anni. Giorni guadagnati, anni di felicità».
Le date in questa storia hanno la loro importanza.
«Carlo era nato a Roma il 13 marzo. Esattamente 37 anni prima che nello stesso giorno morisse mio padre. Da quel 13 marzo 1988 non abbiamo più festeggiato il suo compleanno. Pensavo che papà fosse morto giovane, a 71 anni, Carlo non ci è arrivato. Già malato, sognava piccoli traguardi che erano solo una maniera di irridere il destino: “Mi mancano solo dieci film per raggiungere quelli di Steno, dici che riuscirò a superare papà?”. Non ci è riuscito».
Nel suo libro la durezza dà la destra alla poesia.
«Se accade è perché Carlo sapeva vederla. Aveva sempre amato il mare, si fermava incantato, a guardarlo per ore. “Come si fa a spiegare il mare a chi lo guarda e vede solo uno specchio d’acqua?”».
Cosa vede oggi Enrico Vanzina nei riflessi di ieri?
«Le differenze che cementano un’unione. Io e Carlo non avremmo potuto essere più diversi, eppure ci amavamo. Lui timido, preciso, animato da una delicata malinconia. Io fastidiosamente estroverso, confusionario, sempre pronto a ridere facendo rumore».
Chi o cosa faceva ridere Carlo Vanzina?
«A comando, quasi per automatismo, riusciva nell’impresa solo Gigi Proietti. Iniziava con una barzelletta e a quel punto veniva giù anche la pudica continenza di Carlo. Accadeva con Gigi e forse allo stadio. Era tifoso della Roma. In tribuna gli rideva il cuore. Andammo a vedere insieme la semifinale di Champions League con il Liverpool e Carlo stava già malissimo. Un involucro con gli occhi vispi e il corpo assente. Ci abbracciammo dopo un gol, sentii le ossa e all’improvviso ebbi paura. C’è un filmato di quella serata, girato con il mio telefonino. In mezzo alle bandiere c’è Carlo che canta. Credo sia l’ultima immagine, l’ultimo video che ho di lui».
Rimane tutto il resto.
«Non sempre lo voglio ricordare. Del suo ultimo mese ho in testa un groviglio di tubi, di flebo, di martirio. Fu un mese infelice in cui mi separai persino da me stesso. Come aveva scritto quel genio di Marcello Marchesi, il mio padrino di battesimo: “Non ho caldo. Non ho freddo. Non ho sonno. Come sono infelice”».
Non ci si arrende mai all’idea di abbandonare un fratello.
«Sempre Marchesi, che era una miniera di saggezza, diceva: “Speriamo che la morte ci trovi vivi”. Per non perdere la rotta e sopravvivere alla scomparsa di Carlo ho dovuto scrivere di lui. Anche il suo necrologio, quand’era ancora in vita, per un funerale che credevo si sarebbe svolto poche ore dopo e che invece il destino scelse di rimandare. Carlo avrebbe fatto lo stesso con me. Il cinema insegna che le scene bisogna immaginarle prima che vengano realizzate. È un modo per esorcizzare la realtà, per renderla meno agra».
La vita di Carlo non lo era stata.
«Per niente, ma sarebbe stato sciocco e disonesto negare che, come tutti, anche Carlo aveva delle fragilità e proprio nelle fragilità era stato grandioso. Anche nella malattia. Somerset Maugham, che la sapeva lunga e che alla vita sapeva guardare con l’ironia che allevia anche le ferite più profonde, diceva: “La morte è un brutto affare, il mio consiglio è non averci niente a che fare”.
Carlo si è trovato di fronte alla morte e per non cederle il passo l’ha affrontata con un coraggio che forse io non avrei avuto. Io mi sono trovato di fronte alla scomparsa della mia metà, alla dipartita della persona con la quale avevo deciso di condividere tutto e ho cercato di mostrare cosa accade in una famiglia quando si manifesta un dolore. È accaduto a tutti, non c’è scampo, ma il ricordo di Carlo vuole essere un dono per infondere coraggio a chi soffre».
L’ha scritto per questo in fondo?
«Mio padre era un ottimo amico di Ennio Flaiano. Lo incontravamo da piccoli in quella sorta di arca del talento letterario che da Leo Longanesi a Ercole Patti, fino a Mario Soldati era casa nostra e lo rividi da adulto. Tradito dalla confidenza azzardai e gli rivelai che da grande avevo deciso di fare lo scrittore. Fu spiritoso e mi disse che avendo la fortuna di avere di fronte uno scrittore avrei potuto fargli una domanda sul mestiere. Mi schermii e poi, balbettando, la domanda la feci davvero».
Quale domanda?
«Apparentemente, una domanda da Candide. Ma a ripensarci, in verità, una domanda gigantesca. Gli chiesi: “A cosa serve scrivere?”.
Sull’ilarità generale del gruppetto calò un silenzio grave. Ennio attese qualche istante e poi sibilò: “A sconfiggere la morte”».
Opinabile, ma bellissimo.
«Non ho scritto questo libro perché sia venduto, ma l’ho scritto per me. Per tornare alla purezza del sentimento che nutro per Carlo. Nel percorso esistenziale di due fratelli, qualche piccola discussione o screzio c’è sempre, ma nell’addio svanisce tutto e torni all’essenziale. Sa qual è stato il momento più felice della nostra vita insieme? Il momento in cui abbiamo capito che eravamo una cosa sola? La grande celebrazione di nostro padre alla Galleria d’Arte Moderna di Roma. Carlo non lo trovavi mai, era sempre impegnatissimo. Non è che non volesse ricordare, gli mancava proprio il tempo. In quell’occasione diede tutto se stesso nell’organizzazione perché si rese conto che farlo era importante e che la nostra vicenda umana era parte di una storia che era iniziata molto prima di noi e sarebbe continuata anche dopo. Quel giorno, davanti a migliaia di persone in pellegrinaggio laico, io e Carlo ci guardammo negli occhi. “Papà sarebbe stato contento”, mi disse e dentro gli brillava qualcosa».
Avete lavorato insieme a decine di film, fatto incassare centinaia di milioni di euro ai produttori, convissuto con il pregiudizio della critica, assistito al revisionismo della stessa.
«Carlo, che da fratello minore aveva dovuto rincorrere fin dall’inizio la vita partendo per età da una posizione svantaggiosa, si era rifatto con gli interessi lavorando sul set fin da quand’era minorenne. Critica a parte, anche sul piano degli incassi, al principio non andò tutto bene. Per Figli delle stelle, il suo secondo film, andammo carbonari fuori dal cinema Empire. In fila c’erano tre persone e, in mezzo a loro, Aurora Santuari, spietata critica di Paese Sera. Carlo la prese a ridere: “C’è la Santuari, è meglio che torniamo a casa”. A casa andò quasi peggio. A tarda sera ci telefonò un esercente di Cagliari: “Signori, a vostro modo avete battuto ogni record, allo spettacolo delle otto di sera in sala non c’era neanche uno spettatore”».
Poco dopo il pubblico vi ripagò.
«Con gli interessi, mentre con la critica il rapporto nei primi anni fu buono e divenne poi difficile con l’avvento prima dell’edonismo craxiano e poi di Berlusconi. Venivamo identificati tout court con la fauna che descrivevamo, come se nelle nostre satire feroci sulla decadenza della borghesia ci fosse totale aderenza e non ironica rappresentazione o distanza abissale tra l’oggetto della nostra feroce presa per il culo e l’osservazione».
Ci restavate male?
«Eravamo vaccinatissimi. Papà in fondo aveva esordito con le ovazioni di Cannes per Guardie e ladri ed era finito a fare film popolari. Io e Carlo ci arrabbiavamo soltanto se dalla critica si esondava sul personale. Una volta Mereghetti, con il quale oggi ho ottimi rapporti, scrisse una cosa sgradevole e gratuita. Lo cercai. Non lo trovai. Gli mandai a dire che se lo avessi incontrato, come si dice a Roma, gli avrei menato. E il brutto è che lo avrei fatto davvero».
Enrico Vanzina, il ragazzo cresciuto sulle ginocchia di Longanesi e Ugo Pirro?
«Chi di noi non ha una parte coatta? Poco dopo, quasi subito, mi vergognai di quell’atteggiamento e chiesi scusa a Mereghetti. Continuiamo quasi sempre a non essere d’accordo, ma coltiviamo ottimi rapporti».
Un riflesso dell’educazione borghese?
«Forse solo della carta di identità. Siamo due vecchietti. Gente venuta su in altre epoche. In altri tempi, meno ignoranti e barbari. Guardi la politica. Oggi ci manca persino Berlusconi. Rispetto ai contemporanei, Silvio sembra uno statista».
Ora che ha scritto il libro, come si sente?
«Come uno che ha fatto l’azione più giusta che potesse fare. È un libro sull’amore, sull’amicizia, sul mistero della speranza, sulla fratellanza e sulla famiglia. È una cosa che dovevo fare. La migliore della mia vita».
La vedova di Carlo Vanzina: «Tra mio marito ed Enrico solo rapporti professionali». Pubblicato venerdì, 25 ottobre 2019 su Corriere.it da Elvira Serra. Lisa Melidoni: «Era un uomo riservato, il suo dolore non andava raccontato. È falso che fosse inseguito dal fisco, ci ha lasciati in totale serenità economica». «Mi ha fatto molto male. Per me è stato un secondo funerale. Ho rivissuto tutta una parte della mia vita che non tornerà mai più. Ma ringrazio Giampaolo Letta per aver dimostrato ancora una volta il suo affetto, peraltro ricambiato, verso mio marito decidendo di produrre il documentario di Antonello Sarno come un omaggio alla sua carriera». Lisa Melidoni è la vedova di Carlo Vanzina. Insieme hanno avuto due figlie, Isotta e Assia, di 24 e 21 anni, ma il regista è sempre stato legatissimo anche alla primogenita di Lisa, Virginie, nata dal precedente matrimonio con Jean Claude Marsan. Nonostante le sia costato molto, non è potuta mancare alla proiezione di Carlo Vanzina. Il cinema è una cosa meravigliosa all’Auditorium Parco della Musica.
Cosa le ha fatto più male?
«Il dolore che provo non è mai cambiato dall’8 luglio del 2018. Diventa ancora più grande quando guardo le mie figlie e penso che sono rimaste senza il loro papà».
E a lei cosa manca di più?
«Tutto. Eravamo talmente in simbiosi che è come se mi avessero tolto gli organi, come se fossi in una camera dove manca l’aria. Faccio degli sforzi incredibili per andare avanti, perché ho tre figlie e delle responsabilità e non posso cedere. Ma per fortuna non sono mai stata lasciata sola dalla mia famiglia e dagli amici di Carlo».
Chi sono?
«Tanti. Giovanni Malagò, Luca Montezemolo, Vincenzo Salemme, Carlo e Polissena, Frances e tante altre amiche generose e riservate che ci hanno circondato di amore. Ma non solo loro. A me fa un immenso piacere sperimentare ogni giorno l’affetto delle persone comuni, il giornalaio, la cassiera, gli sconosciuti che mi fermano per strada per dirmi che grande perdita sia stata la scomparsa di Carlo. Sono le risposte a quelle righe non veritiere scritte su mio marito».
A cosa si riferisce?
«Carlo era una persona talmente riservata che mai avrebbe voluto che la sua intimità nella sofferenza e nel dolore finisse alla mercé di tutti. Così come non meritava di essere raccontato come un uomo inseguito dal fisco, lui che ha fatto più di sessanta film e che ci ha lasciati in totale serenità economica».
Sta parlando di quello che ha scritto suo cognato Enrico nel libro «Mio fratello Carlo» pubblicato a settembre con HarperCollins?
«Io Enrico non lo commento, si commenta da solo e la gente che ci conosce ha capito tutto».
Ma non avete avuto occasioni per incontrarvi e chiarirvi?
«No. E comunque noi non ci siamo mai frequentati con Enrico, mai fatto un compleanno di Carlo o delle mie figlie con lui, mai un Natale o un pranzo o una cena».
Enrico e Carlo, però, lavoravano insieme.
«Sì, appunto. Era solo una frequentazione professionale. E poi si vedevano da Malagò per guardare la partita della Roma. Carlo era un tifoso sfegatato, innamorato di Totti. Quando la Roma perdeva mi dovevo sorbire un’ora di umore nero».
Suo marito le parlava mai dei film ai quali stava lavorando?
«Certo, mi chiedeva sempre, anzi io ero la musa ispiratrice più che bacchettatrice».
Quale film ha amato di più?
«Io ho adorato Il pranzo della domenica, perché è biografico sulla mia famiglia, che ormai Carlo considerava la sua. I miei genitori erano diventati i suoi genitori».
Cosa vi piaceva fare insieme?
«Andare al cinema e comprare i popcorn, più di qualsiasi viaggio».
Dove vi eravate conosciuti?
«A Montecarlo, al compleanno di Rocky Agusta, il 20 ottobre 1987. Eravamo seduti vicini e non mi ha più lasciata. Anche se prima di fidanzarci ci sono state lunghe telefonate tra Roma e Montecarlo, io sono all’antica. Ci siamo fidanzati il febbraio successivo a Cortina, dove abbiamo concepito tutte e due le bambine. Ormai non voglio più tornare lassù».
Qual è il regalo più bello che le ha fatto suo marito?
«I cani trovati per strada. Maria Golia, Aldo Moro, detto Willie, Didolina, Lucianina, Snowie e John John Kennedy detto Jojo. Tre sono morti di dolore per Carlo».
Se potesse trascorrere un’ultima ora con lui cosa gli direbbe?
«Mi prenderei tutto il suo tumore». E piange.
È mai andata a trovarlo in cimitero?
«Carlo è nel cimitero di Prima Porta, dove sono anche i suoi genitori. Non ci vado, non ci riesco. Preferisco pensare che sia partito per girare un film».
Dal ''Corriere della Sera'' il 27 ottobre 2019. «Avendo vissuto tutta la vita in simbiosi con mio fratello Carlo, non commento le dichiarazioni rilasciate da mia cognata Elisabetta Melidoni. Penso di avere scritto una meravigliosa storia d' amore dedicata a mio fratello Carlo. Ricevo ogni giorno decine di lettere e email di nostri amici e di lettori comuni che mi ringraziano per avere testimoniato cosa significa avere amato profondamente». Così Enrico Vanzina sulle dichiarazioni di Elisabetta Melidoni, che al Corriere della Sera , a proposito del libro «Mio fratello Carlo», aveva parlato di «righe non veritiere». La vedova del regista scomparso l' 8 luglio dello scorso anno aveva aggiunto che i due fratelli (nella foto, insieme) avevano tra loro soltanto rapporti professionali e non si frequentavano.
Stralcio – Intervista a Enrico Vanzina da “Oggi” il 26 ottobre 2019.
Domanda: A proposito di conti, nel libro lei racconta anche di difficoltà economiche…
“Mio fratello spendeva il triplo di quello che guadagnava. Non per sé, ma per felice chi aveva intorno. E di difficoltà ce ne sono anche adesso. Io per sostenerlo in alcuni momenti mi sono quasi rovinato. Tre anni fa, per far fronte ai suoi debiti, abbiamo venduto il vecchio ufficio di nostro padre. Era fatto così: pensava che lavorando poi avrebbe guadagnato quanto gli serviva per mettere a posto tutto. Durante la malattia era molto preoccupato dai conti. Luca (Montezemolo, ndr) si è comportato da amico, e ha comprato una casa a Londra per cui Carlo aveva speso una follia”.
Alessandra Paolini per ''la Repubblica'' il 26 ottobre 2019. Il dolore unisce. Ma a volte produce strappi difficilissimi da ricucire. Come quello che l' accendersi delle luci - finita la proiezione di Carlo Vanzina , il docufilm diretto da Antonello Sarno con cui la Festa del cinema di Roma ha reso omaggio al regista scomparso poco più di un anno fa - fotografa nella sala Petrassi dell' Auditorium immersa nella commozione. Perché tra la gente che applaude in piedi mentre scorrono i titoli di coda ci sono tra gli altri, stretti alla famiglia, Aurelio De Laurentiis, Walter Veltroni, Massimo Ghini, Nancy Brilli, Vincenzo Salemme. Ma non il fratello di Carlo, Enrico. Sullo schermo si sono succeduti i voti e le voci degli attori che con Carlo Vanzina hanno scritto pagine popolarissime del cinema italiano, da Claudio Amendola a Carol Alt, da Sabrina Ferilli a Christian De Sica, testimoni del suo lavoro dietro alla macchina da presa. Ma Lisa Melidoni, la moglie dell' autore di Vacanze di Natale , è andata via poco prima della fine. «Troppa sofferenza - dice - ma sono veramente grata a un vecchio amico come Giampaolo Letta per aver voluto rendere omaggio in questo modo a Carlo. Voltando pagina su un capitolo molto ingiusto, ingrato, ingeneroso: nel film ho ritrovato Carlo come era davvero, e non come è stato raccontato ».
Si riferisce a "Mio fratello Carlo", il libro recentemente pubblicato da Enrico Vanzina?
«Preferisco non commentare. Quel che so è che Carlo non avrebbe mai voluto che la sua intimità, la sua sofferenza, la mia e quella delle nostre figlie venissero rese pubbliche questo modo. Se c' era una persona discreta, che nemmeno in casa si è mai fatta vedere spettinata, era proprio mio marito. Non avrebbe mai avrebbe voluto che la sua malattia, il suo modo di combatterla, le sue paure venissero rese pubbliche. E poi quei riferimenti al fatto che sarebbe stato inseguito dal fisco figuriamoci! Pensi che a casa lo chiamavo "la Camusso", per quanto era pignolo con i conti».
Sapeva nulla del contenuto del libro?
«Assolutamente no, anche perché da quando è morto Carlo con Enrico non ci siamo mai più visti. Ma devo dire che non ci siamo mai molto frequentati neanche prima».
I due fratelli si vedevano ogni giorno, però.
«Solo per lavorare. Poi ognuno faceva la sua vita. Enrico con sua moglie e Carlo con me e le nostre tre ragazze, e i sei cani che adorava. Ne abbiamo persi tre dopo la sua morte, come se anche loro non avessero retto a un vuoto così terribile. Io sono devastata, le mie figlie anche».
Il libro si apre con un' immagine: lo studio dei Parioli, Carlo che dopo un lunghissimo silenzio si alza dalla sedia dove sta seduto di fronte al fratello e sfiorandolo con la mano gli dice "Non ti preoccupare per me, ho avuto una vita meravigliosa".
«Che Carlo abbia avuto una vita meravigliosa è vero, ma non credo possa aver mai detto una frase simile. Carlo era pieno di progetti, era convinto che sarebbe rimasto in clinica per un paio di settimane e poi sarebbe tornato a casa Vede, Carlo nella famiglia ci credeva davvero e con noi lo ha dimostrato ogni giorno. Ha amato la mia famiglia d' origine come se ne fosse stato un altro figlio. Noi Melidoni siamo fatti così, conglobiamo, includiamo. Se soffre uno soffrono tutti, e così la felicità di uno è la gioia per tutti. Carlo in questa tribù si è trovato benissimo. E si è lasciato abbracciare. In clinica, nel letto accanto al suo, la notte ha voluto sempre mia sorella Elena. L' amava tantissimo, come amava tantissimo suo figlio Niccolò, che considerava il maschio che non aveva mai avuto».
· I Montesano.
Marco Valerio Montesano: "Non volevo recitare poi a teatro papà..." Un figlio d'arte giovanissimo, ma con le idee chiare e tanta voglia di fare e migliorarsi. Marco Valerio Montesano è l'ultimo dei sei figli di Enrico. Un amore, quello della recitazione, nato per caso sul palco del Teatro Sistina. Andrea Conti, Lunedì 26/08/2019 su Il Giornale. Ultimo di sei figli, 22 anni, voce profonda e sorriso da conquistatore. Marco Valerio è un figlio d'arte, il papà infatti è l'attore brillante e mattatore Enrico Montesano. Marco Valerio si è diplomato in recitazione all'Accademia Silvio D'Amico di Roma e già alla sua giovane età vanta un curriculum ricco di esperienze teatrali, anche al fianco del padre. La folgorazione per la recitazione arriva all'improvviso, ma qualche avvisaglia compare a soli 11 anni dopo aver visto Marlon Brando ne “Il padrino”. “Riesco anche ad imitarlo benissimo e conosco diverse scene a memoria”, ci racconta l'attore.
Hai passato la tua infanzia tra casa e teatro, cosa ricordi di quegli anni?
“Ero molto curioso, spesso con mio fratello Massimo andavo nel backstage del Sistina per la preparazione dello spettacolo e rimanevo pure quando calava il sipario e i tecnici smontavano la scena. Ogni volta si crea una atmosfera magica”.
Quando hai deciso di diventare un attore?
“In realtà non volevo fare l'attore. Poi è arrivata la commedia di papà 'C'è qualcosa in tè e in quel momento, a 17 anni, ho scoperto che mi piaceva stare sul palco. Perciò terminato il Liceo, mi sono iscritto all'Accademia”.
Che rapporto hai con tuo papà Enrico?
"Bello! E' stato il mio primo maestro di recitazione ed era inevitabile succedesse. Da lui ho preso sicuramente qualcosa, anche inconsapevolmente, guardandolo e osservandolo sempre. Lo studio molto anche ora. E' successo con l'ultimo tour del “Conte Tacchia”. Mi piace molto come si muove sul palco ed è impressionante la sua capacità di reazione rapidissima. Ha la padronanza dei tempi e riesce a darti delle indicazioni, mentre recita, se qualcosa non sta andando bene..."
Il più bel complimento e la critica costruttiva che ti ha fatto tuo padre?
“Lui è molto misurato sia per le critiche che complimenti, ma c'è una frase che mi ha detto in occasione di un mio debutto importante: 'Molto bravo, sei passato da 0 a 1' (ride, ndr)”.
Hai realizzato un sogno nel cassetto recentemente?
“Sì con mio fratello Michele e Francesco Pietrella abbiamo scritto uno spettacolo teatrale che si intitola 'Sul divano'. Sul palco ci sono due ragazzi, un divano, il tempo che scorre e le bottiglie di birra vuote. E' una convivenza difficile, regolamentata da una Costituzione ideata al solo scopo di evitare qualsiasi mansione. Poi entra in gioco il vicino di casa con una bottiglia di birra in mano e... Ma non voglio spoilerare nient'altro! Debutteremo a Roma il 14-15-16 ottobre”.
Qual è il tuo prossimo obbiettivo?
“Far nascere una mia compagnia teatrale”.
Oltre al teatro c'è anche il cinema all'orizzonte?
“Sì un film, di cui per ora non posso dire nulla però. Ho sostenuto il provino a novembre scorso e per fortuna sono stato chiamato. Adesso siamo in fase di montaggio e dovrebbe uscire nei prossimi mesi. E' una storia incentrata su un uomo e una donna, il protagonista ha dei flashback e io sono lui da giovane. E' stata una esperienza molto bella e anche diversa rispetto al teatro. Il set cinematografico è un'esperienza totalizzante e si crea come una bolla, un mondo a parte con i silenzi e i ciak. Diverso è il teatro dove si ha un rapporto stretto e di scambio con il pubblico in sala. Sono due dimensioni affascinanti e non vorrei mai scegliere tra uno o l'altra. Se potessi farei sia cinema che teatro”.
C'è un ruolo estremo che vorresti interpretare?
“Un serial killer (ride, ndr) al cinema a teatro invece amo molto i classici quindi direi anche 'Romeo e Giulietta'. In realtà faccio quello che serve, mi piacciono sia ruoli comici, tanto quelli drammatici”.
E' difficile essere figli d'arte?
“Non ho alcun problema, vado per la mia strada cercando di dare il massimo e migliorarmi sempre”.
· Lando Buzzanca.
Buzzanca: “Mi sono prostituito per vivere…” Il Giornale il 23/12/2019. La critica cinematografica lo relega alla schiera dei caratteristi e degli interpreti del cinema di serie B, ma la sua vena comica e la sua recitazione spontanea incontrano un vasto consenso di pubblico. Nel 1970 interpreta in televisione Signore e signora, in coppia con Delia Scala, che riscuote enorme successo. Anche sull’onda del grande consenso televisivo i suoi film cominciano a riscuotere un rilevante successo commerciale. La notorietà internazionale gli arriva con Il merlo maschio, commedia erotica all’italiana del 1971 diretta da Pasquale Festa Campanile. Negli anni seguenti si trova così a recitare al fianco di famose attrici del momento come Claudia Cardinale, Catherine Spaak, Barbara Bouchet. Ma non si adatterà alla moda della commedia erotica all’italiana degli anni 70, rifiutandosi di comparire nelle pellicole che renderanno famosi personaggi quali Alvaro Vitali ed Edwige Fenech, Gloria Guida e Gianfranco D’Angelo, preferendo lavorare in radio. Dopo alcuni anni di attività in teatro, torna nel 2005 a lavorare per la televisione con la fiction Mio figlio, nel ruolo del padre di un ragazzo omosessuale che ottiene uno straordinario successo di pubblico. Nel 2007 recita nel lungometraggio cinematografico I Viceré di Roberto Faenza, per il quale viene candidato al David di Donatello per il miglior attore protagonista e vince il Globo d’oro al miglior attore. Nel 2016 prende parte all’undicesima edizione di Ballando con le stelle. Nel 2017 compare nell’apprezzato Chi salverà le rose?, di Cesare Furesi, al fianco di Carlo Delle Piane. Oggi a 84 anni si gode la storia d’amore con una donna più giovane di lui (la giornalista Francesca della Valle) e noi di off vi proponiamo questa intervista cult (redazione).
Ci racconti un episodio OFF dei tuoi inizi?
«Quando sono arrivato a Roma da Palermo, durante il mio solito tragitto dalla Stazione Termini a Piazza Colonna, sono entrato in un bar. Vidi un signore che divorava famelicamente un maritozzo accompagnato da un cappuccino. Non mangiavo da giorni e in preda alla fame – dopo essermi accertato che il costo fosse di 15 lire – mi sono avvicinato alla tazza della mancia poggiata sul bancone e ho preso 20 lire. Ho ordinato la colazione, ho pagato e ho riposto il resto nella tazza della mancia».
I tuoi inizi sono stati difficili, mi sembra di capire…
«Ho mollato l’ultimo anno di liceo scientifico perché volevo fare l’attore e avevo poco interesse per gli studi. Sono stati inizi estremamente difficili».
Nella fiction Il Restauratore, il protagonista da te interpretato è in grado di vedere eventi futuri. È successo anche a te?
«La sera prima di partire per Roma, andai al cinema. Durante la pausa tra primo e secondo tempo, mi sono alzato in piedi e ho urlato: «Guardatemi bene perché un giorno dovrete pagare per vedermi!». Tutta la sala ha iniziato a inveire dandomi del cretino».
Ci credevi, eh?
«Molto. Avevo bisogno di fare questo mestiere».
Era anche una voglia di riscatto?
«Forse dalla miseria: ero il primo di otto figli, ma soprattutto avevo voglia di emulare gli attori che in teatro parlavano un italiano perfetto, affiancati da donne bellissime e lisce».
Lisce?
«Sì, non sapevo che si depilassero.
Insomma, la tua vita è affollata da episodi OFF…
«Posso raccontartene un altro?»
Certo.
«Qualche volta a Roma andavo al cinema Odeon di piazza della Repubblica, perché mi avevano detto che c’era sempre qualche donna sui quaranta in cerca di ragazzi più giovani. L’ho fatto soltanto per mangiare e dormire».
Sii più chiaro, ti pagavano per andare a letto con loro?
«Certo. Mi presentavo come un universitario che non poteva dedicare loro più di un’ora a causa di un esame imminente. Mi davano 250 o 300 lire. Una volta sono stato scelto da una signora strabica, ma con un corpo di una bellezza disarmante.; Dopo aver fatto l’amore, quando cercavo il pretesto per intascare i soldi e andare via, mentre cercavo di uscire dalla stanza dell’hotel nel quale mi portò, tirò fuori una pistola. Mi sono detto: «Se vuoi fare l’attore, devi levarti da questo imbroglio». Dopo essermi ulteriormente intrattenuto con lei, ho intascato le 300 lire e ho definitivamente archiviato quel genere di esperienze.
Non nascondi il tuo passato, non rinneghi i tuoi esordi…
«No, assolutamente. Sullo schermo ho portato una serie di personaggi vicini al prototipo di maschio che – se pur apparentemente emancipato – era soltanto un poveraccio privo di potenza cerebrale».
Hai raccontato un processo negativo in maniera grottesca e divertente.
«Esattamente. E oggi non sarebbe più possibile, perché ci sono attori ai quali poco importa. Quando negli anni Ottanta le commedie sono precipitate nell’obbrobrio e nella vergogna, mi proposero Adamo ed Eva in cui io e la Fenech dovevamo recitare nudi ma con una foglia di fico strategicamente posizionata. Era davvero troppo, dissi di no e ho iniziato a fare teatro. Qualche anno più tardi sono venuto fuori con Io e mio figlio, perché i film di Ferzan Ozpetek – dopo un primo tempo straordinario – sbracavano in una serie di luoghi comuni. Ho pensato allora a un commissario di polizia che durante un’indagine scopre l’omosessualità del figlio».
E poi sei stato anche attaccato politicamente. Dunque, cosa pensi delle unioni civili?
«Penso bene. Ci può essere un amore tra due sessi uguali. Solo l’amore ci rende umani. Non sono più di destra, vengo da una famiglia di socialisti. Ma l’odio della sinistra borghese che predica bene e razzola male e le dinamiche dei radical-chic sono intollerabili. Si sono tutti imborghesiti».
Anche Edwige Fenech?
«In realtà lo è sempre stata, anche lei non è mai stata di sinistra. È stata usata male dal cinema: era ed è intelligente e colta».
Cos’è il dolore?
«Il dolore del digiuno e delle notti al freddo dei miei inizi, non è niente a confronto della perdita di mia moglie. Ho urlato come un animale ferito. Ho capito che avevo lavorato una vita solo per lei. Abbiamo trascorso insieme 55 anni nei quali mi ha protetto, accudito e amato. È questa la forza delle donne».
Un anno fa, è rimbalzata la notizia di un tuo presunto tentato suicidio…
«Poteva sembrare, ma non lo è stato. Quando mia moglie se n’è andata, volevo morire anche io. Non lo nascondo. Per fortuna sono ancora qui».
Ami ripetere di non sapere niente di te.
«Non so un cazzo di me. Non so chi sono. Non mi sono mai piaciuto».
E allora che succede?
«Tra un anno sarò un signore di 80 anni. Andrò avanti, poiché «Del futur non v’è certezza»».
VITA, DONNE, AMORI E DOLORI DI LANDO BUZZANCA. Antonio Gnoli per Robinson – la Repubblica il 26 agosto 2019. Quando ha accettato di vedermi mi ha chiesto: è sicuro di voler venire? Certo che sono sicuro, gli ho detto. E lui ha detto sarà dura. E io ho chiesto perché dovrebbe essere dura? Perché non mi ricordo quasi più un cazzo, ha detto. Brutalmente. E io ho detto: per essere uno che non ricorda un cazzo mi sembra abbastanza in sé. Beh allora proviamo. Va bene e ho pensato che “il merlo maschio” aveva ancora tutte le penne. In effetti Lando Buzzanca, 84 anni compiuti oggi, conserva un’invidiabile forma fisica: asciutto, elegante nella sua camicia bianca aperta. Ha sandali ai piedi. È un signore curato che dimostra meno degli anni che ha. La stanza che mi accoglie è piena di libri e di tracce dei suoi film. Ci sono le immancabili foto di scena. Le donne che hanno attraversato la sua carriera. Qualche premio.
Le piace essere ricordato come una delle ultime versioni del maschio latino?
«Non mi piace, anzi no. Non me ne frega niente. Di che stavamo parlando?».
Vorrei fare una prova con lei.
«Che prova?».
Vorrei che lei mi dicesse che cosa prova in questo momento?
«Ho come la sensazione di un muro dentro la testa. Le parole ci sono ma devono arrampicarsi sul muro e scavalcarlo. A volte non ce la fanno a salire e poi a scendere».
Le parole sono importanti?
«Sono la risorsa principale in un uomo. Fino a quando sono rimasto in Sicilia parlavo solo dialetto. Mi uscivano le parole, ma non mi bastava».
Cosa non le bastava?
«Volevo di più, volevo la lingua italiana».
In quale parte della Sicilia è nato?
«A Palermo. Presi il nome di mio nonno, Gerlando, che era un uomo straordinario. Chissà poi perché tutti i nonni hanno qualcosa di straordinario».
E suo padre?
«Un uomo comune. Non ricordo segni particolari. So che quando smisi il liceo prima della maturità, mi guardò inorridito. Non capiva quel gesto che per me era pura ribellione».
Si ribellava a cosa?
«Ai confini dentro i quali ero destinato a restare. Ero magro, prestante, agile. Non uno sportivo. Ma qualcuno che nei propri sogni si vedeva già attore».
Cosa fece?
«Lasciai Palermo e venni a Roma. Fu la fame a segnare quel periodo. Abitavo in una pensioncina vicino alla stazione. Ma poi finii i soldi e le panchine divennero letti poco accoglienti. Mi aggiravo come un disperato con le piaghe ai piedi. Avevo 17 anni e addosso un odore insopportabile. Però ero bellissimo. Seppi che in un cinema non distante dalla stazione c’erano delle donne un po’ avanti nell’età che ti pagavano».
Si scoprì gigolò.
«Non avevo soldi e non c’era lavoro. Entrai in questo cinemino loschissimo. Si accontentavano di qualche bacio furtivo. Poi una sera una donna di cinquant’anni, lo sguardo lievemente strabico, mi chiese di accompagnarla in albergo. La seguii».
Cosa accadde?
«Lei si spogliò nuda. Mi sorprese perché aveva ancora un corpo bellissimo. Sentii una specie di attrazione. Mi chiese di dormire con lei tutta la notte. Accettai. Poi fui preso da un’ansia fortissima. Pensavo: ma che sto a fare qui? Sono scappato da Palermo per ridurmi a questo? Mi rivestii e feci il gesto di salutarla. Dalla borsetta estrasse una scacciacani e me la puntò addosso. Le dissi: ma che fai? Tu devi restare qui tutta la notte, gridò. Tutta la notte!».
Si spaventò?
«Forse sì, non me lo ricordo. Tentai di calmarla. Inventai che la mattina seguente avevo degli esami all’università. Le parlai a lungo. Si convinse a lasciarmi andare. E quella fu l’ultima volta che feci il gigolò».
Al cinema come arrivò?
«Feci tre anni di scuola di recitazione, una scuola americana che da anni non c’è più. Proprio gli americani stavano preparando il film Ben-Hur riuscii a farmi prendere per una particina. Interpretavo il ruolo di uno schiavo e dovevo chiedere da bere a Charlton Heston. Furono 4 giorni di lavorazione a 15 mila lire a giornata. Mi sembrava di essere diventato ricco».
Lo è diventato quando giunse a recitare ruoli importanti. Chi le offrì la prima occasione?
«Fu Pietro Germi che nel 1961 mi diede una parte secondaria in Divorzio all’italiana. Gli piacque il mio modo un po’ stralunato di recitare. Interpretavo il ruolo del fidanzato e poi marito della sorella del barone Fefè interpretato da Mastroianni. L’anno dopo feci I giorni contati di Elio Petri, ricordo un grandissimo Salvo Randone. Poi nuovamente Germi mi volle per Sedotta e abbandonata e infine mi offrì una parte per Signore e signori. Ma ero impegnato e gli dissi no a malincuore. Il film ebbe un successo straordinario, ottenendo perfino il Grand Prix a Cannes e quella fu la sola volta che mi pentii per un rifiuto».
Com’era Germi sul set?
«Non sprecava molte parole, a volte era duro e curava maniacalmente i dettagli. Mi dispiace che alla sua bravura non sia corrisposta l’attenzione della critica. Fu bollato come un regista di destra. Liquidato come un uomo d’ordine. Non c’era accusa peggiore negli anni sessanta per un artista».
Anche lei è stato considerato un uomo di destra.
«È vero, dicevano che i miei film incoraggiavano il peggiore sessismo. Poi quando, non tanti anni fa, ho interpretato il ruolo di un padre il cui figlio è gay, da destra hanno cominciato a dire che ero diventato di sinistra. La verità è che ho avuto la fortuna di poter scegliere».
E lei scelse “Il merlo maschio”, 1970.
«Le femministe insorsero senza capire che quel film era la tomba del machismo. Pasquale Festa Campanile aveva preso spunto da un racconto di Luciano Bianciardi. Mica l’ultimo arrivato».
La sua partner era Laura Antonelli.
«Fu scelta all’ultimo momento. Non sapevo nulla di lei. All’inizio ero contrariato, poi si dimostrò una grande professionista. Il merlo maschio ebbe un successo clamoroso in Francia e so che Jean-Paul Belmondo si innamorò di Laura vedendo quel film».
Cosa pensa del suo declino?
Terribile. Vidi le sue ultime foto, imbruttita in una maniera che non si poteva immaginare. Della donna bellissima che aveva avuto un ruolo nel Merlo maschio non c’era più traccia».
Quel film le ha lasciato appiccicata la fama di maschio latino.
«A me le donne sono sempre piaciute e non mi sono quasi mai tirato indietro. Però quando mi proposero la commedia sexy all’italiana ho rifiutato e sono passato a fare televisione e poi teatro».
Perché? In fondo l’erotismo pecoreccio di quegli anni divenne un fenomeno molto popolare. Un genere come gli spaghetti western.
«Ma erano commediole insulse. Le inquadrature di tette e culi superavano di gran lunga quelle del resto del corpo».
Eppure da lì uscirono attori come Lino Banfi.
«Mica parliamo di Lawrence Olivier. E poi Banfi si sarebbe imposto a prescindere».
So di un suo Don Giovanni tanto per restare in tema.
«Feci nel 1967 il film Don Giovanni in Sicilia per la regia di Lattuada. Poi, molto più tardi, portai a teatro la commedia di Molière. Tre anni in giro per l’Italia. Quello fu un momento di grande consapevolezza».
Che intende?
«Non lo so, non mi vengono le parole».
Pensava di essere maturato come artista?
«Esatto».
È diventato un attore completo.
«Mi hanno chiamato anche per ruoli drammatici e credo di non aver mai sfigurato».
Quanti film ha fatto?
«Più di novanta, non ho il conto preciso».
Quante donne ha avuto?
«Ci risiamo. Comunque tante, ma una sola ha contato veramente».
Chi?
«Mia moglie, siamo stati insieme per più di cinquant’anni. Non mi ricordo, scusa, quando è morta. Aspetta, aveva 73 anni. Ha sofferto molto e mi sono sentito un verme per tutti i tradimenti, le bugie, le implorazioni. Veniva da una famiglia ricca. Di gioiellieri. Suo padre le disse che aveva sposato un morto di fame. Forse era vero. Forse non doveva. Ma lei se ne è fregata».
Ho letto che da questa storia ne uscì con un tentativo di suicidio.
«Ma non è vero. Lo hanno scritto, ma non è vero. Stavo male, questo sì. Ma sono tutte minchiate. C’ho pensato. Ma sono tornato indietro. Non mi ricordo la dinamica. Ma sono tornato indietro. Come arretrare e poi uscire da un brutto sogno».
Torna mai in Sicilia?
«Tutto quello che ho dentro mi viene da lì. Ma non ci torno. Mi piace stare a Roma. Nonostante i topi, le buche, la mondezza è ancora la città che amo di più».
Ama anche qualcos’altro?
«Se è alle donne che pensi, ho una relazione con una che ha 40 anni meno di me. Le dico, lascia stare. Non vedi come sono ridotto? Non c’è verso. Si ostina a pensarmi come a una persona fondamentale».
Forse lo è.
«Forse la sposo, si chiama Francesca».
Fa ancora cinema?
«No, non sono in condizioni e poi, dico la verità, mi fanno proposte indecenti. Però c’è una cosa che se ci riesco mi piacerebbe dirti».
Quale cosa?
«Mi presento una mattina da Francesca e lei è davanti a me vestita da sposa. Io le dico: ti ho portato dei fiori. Lei mi guarda e con disappunto nota che sono vestito male. Poi dice: ma lo sai che dobbiamo sposarci e i testimoni sono nell’altra stanza che attendono? Io tiro fuori un foglietto dalla tasca dei pantaloni, lo leggo e le dico: qui non c’è scritto che dovevamo sposarci».
È un sogno?
«Non lo so più. Forse è un sogno, forse è la scena di un film che mi piacerebbe girare e interpretare».
Sogna spesso?
«Non molto, ma quando sogno in genere sono i personaggi che ho interpretato. È come se mi fossero restati attaccati addosso. Io ho una mia teoria sugli attori».
Quale?
«O ti cali nel personaggio fino a diventarlo interamente; oppure reciti una parte e allora sei un semplice attore».
Le viene in mente un esempio?
«Marcello Mastroianni era personaggio. Era come se non recitasse. In Divorzio all’italiana era veramente il barone Fefè. Vittorio Gassman fu più attore, con l’eccezione di due film in cui fu personaggio: Il sorpasso e Profumo di donna. Le piace la mia teoria?».
È stato più attore o personaggio?
«Io spero più personaggio, anche se non spetta a me dirlo».
Com’è una sua giornata?
«Non lo so, non ci penso. Però stamane mi sono alzato con la paura di doverti incontrare. Dal 2017 è come se nel mio cervello avessi innestato la retromarcia o il freno tirato. Non lo so. Mi prescrivono farmaci. Dicono: servono per la memoria. Ma quale memoria? Il futuro non mi spaventa. Il passato sì. Non riesco più a starci bene. È come un abito troppo stretto. Se morissi sarei contento, che cazzo mi significa più questa vita? Francesca è convinta che arriverò a cento anni. Ma a che mi serve, non è più vita è solo una stronzata».
· Andrea Giordana.
Andrea Giordana: «Mi voleva Orson Welles, ma non sapevo l’inglese». Pubblicato domenica, 22 settembre 2019 da Emilia Costantini su Corriere.it. «Quando mia madre ci vide recitare insieme nella Signora delle camelie con la regia di Giorgio De Lullo, fu molto critica. Era la sera della prima, venne in camerino dopo lo spettacolo ed esclamò: “Padre e figlio: non vi ho mai visto recitare così da cani!”». Si diverte Andrea Giordana ricordando l’episodio. Figlio di due attori famosi, Claudio Gora e Marina Berti, ma anche fratello di attori e padre di un attore. «Sì, praticamente una dinastia, come la famiglia Barrymore», scherza l’ex Edmond Dantès oggi settantatreenne. «Per favore non ricominciamo dal Conte di Montecristo. È stato un grande successo che oggi, con i social e l’esplosione mediatica, si sarebbe decuplicato, ma io ero acerbo, un ragazzo di 19 anni, prima di allora avevo fatto solo piccoli ruoli...».
Sì, però il celebre sceneggiato del 1966, diretto da Edmo Fenoglio, fu il suo trampolino di lancio.
«Certo! Benedetto sia il Conte che mi ha facilitato la carriera, facendomi esordire da protagonista! Nonostante fossi contornato da colleghi già famosi al cui cospetto ero un pulcino principiante, riuscii a tenergli testa. A pensarci bene era un personaggio western che tornava da lontano, sotto mentite spoglie, e riusciva a vendicarsi di tutti coloro che gli avevano fatto del male. Detto questo, punto e a capo».
Ma il giovane principiante, grazie a due genitori importanti, fu in qualche modo raccomandato?
«Per carità, non volevo assolutamente sfruttare la parentela! Proprio per porre una distanza tra me e loro, avevo mantenuto il cognome vero, Giordana, e non Gora, che mio padre aveva scelto come pseudonimo per un motivo particolare».
Quale?
«Era figlio di un generale, eroe di guerra e, quando intraprese la carriera da attore, la madre gli intimò: “Tu non infangherai l’onore di tuo padre col cinema”».
Insomma, non è stato facilitato, aiutato dalla sua nota ascendenza?
«I miei genitori non mi hanno mai spinto a percorrere la loro strada, ne conoscevano la precarietà: momenti di gloria e ricchezza che si alternano a momenti difficili quando non capita la scrittura giusta. Io ho cominciato per caso, non ho frequentato scuole, ho imparato il mestiere direttamente in palcoscenico e davanti alla macchina da presa. Da piccolo però frequentavo spesso i set o i teatri dove lavoravano loro e il mio primo ruolo mi capitò a 12 anni: un amico di papà mi vide e gli chiese se poteva utilizzarmi per interpretare il re Daniele nel film Erode il grande».
Consigli, suggerimenti da parte loro?
«Nemmeno mezzo e io non mi sono mai preoccupato di piacere a loro, bensì di piacere a me stesso».
E quando esplose il successo in tv erano contenti oppure critici?
«Rimasero molto sorpresi dalle migliaia di lettere che mi arrivavano: si resero conto che il loro ragazzo era entrato nel sistema».
Bello e famoso: chissà quante donne avrà avuto ai suoi piedi.
«Le ammiratrici mi inviavano lettere con i baci, le labbra rosse stampate sulla carta. Addirittura ricordo che una volta, mentre passeggiavo per via Veneto in attesa di un collega, venni letteralmente assalito da un gruppo di ragazzette di una scolaresca, che mi strapparono quasi gli abiti di dosso... ma io non mi sono mai gonfiato come un tacchino, sapevo che tali manifestazioni, piuttosto esagerate, erano dovute esclusivamente al successo momentaneo... Non mi sono mai cullato su certi allori e poi all’epoca ero già fidanzato con colei che sarebbe diventata e che è tuttora mia moglie Nanda: ci siamo conosciuti adolescenti, ci siamo messi insieme mentre andavano in onda le prime puntate del Montecristo e lei ha sempre sopportato le mie fan con grande intelligenza. Non a caso siamo sposati da oltre cinquant’anni, nonostante i nostri mestieri siano all’opposto: io la fatuità dello spettacolo, lei la profondità della psicoanalisi».
Va bene, marito fedele. E magari, una moglie psicoanalista può servire a un attore...
«Non ci ho mai riflettuto, però forse serve... Comunque sono io a coinvolgerla di più nel mio lavoro: ogni copione che mi viene proposto, lo leggo sempre con lei prima di accettare un nuovo impegno».
Ma nel corso della carriera, quanto è stato facilitato dalla bellezza?
«Non nego che l’aspetto fisico abbia avuto il suo peso, ma non è sempre stato vincente e ho addirittura perso parecchie occasioni proprio perché, per determinati ruoli, ero troppo piacente. Certe volte, poi, sono riuscito a ottenere delle parti imbruttendomi molto. Mi sono sempre sentito un attore operaio, costruendo la mia professionalità mattone su mattone. Il cemento della costruzione è costituito dalla mia insaziabile curiosità».
E pensare che voleva fare il direttore d’orchestra...
«È vero. Da ragazzino papà portava me e mio fratello nel suo studio, ricavato nella soffitta della nostra casa a Grottaferrata: era appassionato di musica classica e ci faceva ascoltare i pezzi che amava di più, da Verdi a Puccini, a Mahler... Io mi divertivo a prendere in mano i ferri da lana, con cui mia madre ogni tanto sferruzzava, e facevo finta di dirigere un’orchestra invisibile».
Lasciando da parte Edmond Dantès, quali i personaggi più amati?
«Bè... il Conte Rostov in Guerra e pace e Sant’Ambrogio in Sant’Agostino, due capolavori: prodotti televisivi d’altri tempi, quando si attingeva alla grande letteratura, non le fiction di oggi che, spesso, hanno un risicato spessore culturale. Purtroppo, anche il cinema italiano oggi risente dello stesso problema e stenta a riempire le sale».
Non è un caso, infatti, che attori e registi del grande schermo si convertano al teatro: tra questi, Ferzan Ozpetek debutta nella prossima stagione con la trasposizione drammaturgica del suo film Mine Vaganti.
«È concorrenza sleale, disonesta. Quando sono in declino, invadono il nostro territorio e, diciamo la verità, certi attori che lavorano solo in tv o sul grande schermo, quando esordiscono sul palcoscenico sono spesso imbarazzanti. Ora non dico che questo sia il caso di un regista importante come Ozpetek, ma certo la cosa fa pensare. Un dato è certo: nonostante il disinteresse totale da parte dei politici per la cultura, le sale teatrali sono affollate. Ma si sa, la politica attuale è avvilente sotto tutti gli aspetti: basta assistere a certi deprimenti spettacoli dove i nostri illustri rappresentanti politici litigano, si aggrediscono, prendendosi a parolacce. E allora dico a mia moglie: andiamocene all’estero, poi prende il sopravvento la rassegnazione».
E intanto, torna in teatro nel prossimo inverno con Le ultime lune di Furio Bordon, con Galatea Ranzi e con il suo unico figlio Luchino, quarantenne...
«Gli abbiamo dato questo nome, perché il suo padrino al battesimo fu Visconti: mio grande amico».
Condividere il palcoscenico con un parente tanto stretto può essere un rischio?
«Al contrario: quello che non ho goduto di lui quando era piccolo, lo godo adesso. Sono stato un genitore poco presente, lo ammetto: il lavoro, le tournée mi portavano lontano da casa ed è stata Nanda a fungere da padre e da madre. Tra me e Luchino un dialogo aperto, assoluto... anche se, quando per la terza volta gli ripeto un consiglio tecnico, sbuffa dicendo “papà ho capito, non rompere!”».
Insomma, la dinastia continua.
«Sì, ma lui fa il suo percorso, io il mio... ogni tanto guardandomi indietro».
L’occasione mancata?
«Quando Orson Welles mi voleva in un suo film. Non conoscevo l’inglese: un po’ perché non avevo mai tempo di applicarmi e un po’ per pigrizia, non l’ho mai studiato seriamente e questo era un grosso ostacolo. Mi consolò il fatto che poi comunque quel film non si fece mai».
L’errore più imperdonabile?
«Mi voleva Strehler: sembra una battuta ripresa dall’ormai famoso spettacolo cult che si intitola proprio così, ma è la verità. Il maestro del Piccolo mi voleva nel Campiello... declinai l’invito. In quel periodo avevo talmente tante proposte che... ma mi sono amaramente pentito».
Un sogno ancora irrealizzato?
«Forse avere un teatro, una “casa” da poter gestire e, magari, prima di esalare l’ultimo respiro, riesco a esaudire questo mio desiderio».
Le ultime lune parla di un uomo nella sua stanza: attende, osserva, ricorda, sogna. È solo, stanco, privato del suo futuro. È un uomo vecchio.
«Già... la vecchiaia. Quando si va avanti negli anni e si raggiunge la sospirata pensione, si esclama: che bello, adesso posso fare viaggi, mi iscrivo al circolo di golf, oppure gioco a carte con gli amici... Ed ecco che piombano gli acciacchi: che puoi fare più? Io penso alla mia vecchiaia come a un periodo in cui dare un senso alla vita, ma domani ci sarò ancora? Aveva ragione Carmelo Bene che diceva: la vita è il coma prima della morte».
· Carlo Verdone.
Verdone tra i set e le farmacie: «Le diagnosi? Ci prendo quasi sempre». Pubblicato sabato, 19 ottobre 2019 su Corriere.it da Paolo Fallai. Su Facebook le foto del regista e attore in camice bianco dietro al bancone: con lui, l’pocondria è diventata uno stile. Da più di quarant’anni Carlo Verdone ci fa sorridere mostrandoci le nostre peggiori inclinazioni, vizi e manie in una carrellata di maschere di ogni età. Da quando ha cominciato, quasi per scherzo, nel 1977 al teatro Alberichino di Roma, portando in scena «Tali e quali», dodici personaggi che sarebbero finiti pochi mesi dopo in onda su Rai Uno nella serie «Non stop» destinata a consacrare il suo successo. L’ipocondriaco è una delle sue maschere preferite. «Vabbè, la mattina un betabloccante serve, sartanico per la pressione serve, la folina pe’ mette a posto l’omocisteina serve, il pomeriggio l’omeprazolo serve, la sera un antireumatico primavera-autunno serve sempre». Ci sono artisti che rimangono schiacciati dal rapporto con le maschere che hanno creato, altri le fuggono perché non riescono a scrollarsele dalle spalle. I migliori ci ridono su. Carlo Verdone ha passato una vita a rispondere «non sono ipocondriaco». Certo la sua passione per la medicina e i farmaci è nota, al punto che della sua laurea in Lettere con una tesi dal titolo «L’influenza della letteratura italiana nel cinema muto» non parla nessuno. In compenso tutti ricordano il riconoscimento ricevuto nel 2007 dall’Università Federico II di Napoli: «Una laurea doloris causa» ricevuta scherzando ma anche dando prova della sua competenza da medico mancato davanti a tremila studenti. Sono leggendarie le diagnosi che Verdone regala ad amici e colleghi che lo chiamano a ogni ora, il genio sta nel rivendicare «ci prendo quasi sempre — ripete ogni volta — non mi sbaglio. Poi, ci mancherebbe, dico di chiedere conferma al proprio medico. Ma questa passione mi ha dato grandi soddisfazioni». Così nessuno si è stupito pochi giorni fa quando gli è stata consegnata la tessera numero 1 «honoris causa» dell’Ordine dei Farmacisti del Lazio. «Sono nato in una famiglia dove mia madre aveva un comò pieno di medicine — ha detto davanti a una platea estasiata —. In una casa frequentata da grandi medici come Pietro Valdoni e Paride Stefanini. È nato tutto dalla volontà di imitarli». Carlo Verdone ha raccontato molte volte che quel ragazzo si fece comprare l’enciclopedia medica Curcio e cominciò a leggerla tutta, in rigoroso ordine alfabetico. Forse abbiamo un debito con quella lettura, se medicine e medici si affacciano nei suoi primi siparietti televisivi — «Farmacia notturna» è un cult su YouTube — e soprattutto nei film. Dalle prime scene in «Bianco, Rosso e Verdone» al pediatra in «Manuale d’amore 1», il dentista in «Italians», l’indimenticabile professor Ranieri Cotti Borroni del tormentone telefonico «no, non mi disturba affatto» di «Viaggi di nozze». È l’ipocondria come stile, come segno di riconoscimento, timbro dell’attore a rendere inconfondibile la maschera. Altro che ipocondria dell’uomo Carlo Verdone. Lui, con estrema onestà culminata nel 1992 con il film «Maledetto il giorno che t’ho incontrato» ha combattuto con l’ansia, crisi di panico, la difficoltà a dormire, e il corredo di pillole e gocce per superarla, ha fatto i conti con la paura. Molto più comune di quanto si pensi e nei confronti della quale non molti avrebbero avuto il suo coraggio e la determinazione ad affrontarla, specialmente vivendo al centro di un successo travolgente. Ecco che il riconoscimento dei farmacisti, arrivato oggi che Carlo Verdone la sua battaglia con l’ansia l’ha superata da anni, diventa l’occasione di un gioco, di un ennesimo sorriso. È stato lui stesso a raccontarlo su Facebook. «Sono andato a distrarmi in farmacia. Il mio regno», ha confidato. Si è messo un camice intrattenendo i clienti tra risate e stupore generale. Il siparietto è avvenuto presso la farmacia Pamphili di via Bolognesi, a Roma. Ora non ci resta che aspettare pochi mesi per goderci il nuovo sguardo di Carlo Verdone sul mondo della medicina, nel prossimo film che uscirà nelle sale all’inizio del 2020. Si intitola «Si vive una volta sola», è stato girato interamente in Puglia e Carlo Verdone vestirà i panni di Umberto Gastaldi, un famoso chirurgo oncologo, a capo di un’équipe composta dal suo aiuto Max Tortora, dall’anestesista Rocco Papaleo e dalla ferrista Anna Foglietta, che danno vita a un quartetto legatissimo nella vita professionale e in quella privata, campioni di amicizia e protagonisti di beffe, goliardate, battutacce in sala operatoria e scherzi, anche piuttosto pesanti. Ancora maschere, quelle che da sempre Carlo Verdone e la commedia italiana usano per farci vedere come siamo veramente.
Da I Lunatici Radio2 il 25 settembre 2019. Carlo Verdone è intervenuto ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino. Verdone ha rivelato: "Alcune tra le battute più celebri dei miei film sono nate grazie all'improvvisazione sul set. Ad esempio, da Borotalco, quella sulle olive greche fu improvvisata. Non era scritta così. E' nata grazie a Brega che si inventò che queste olive erano greche. E io lo rimarcai, venne fuori una cosa che ha fatto molto ridere. Con me sul set c'è sempre spazio per l'improvvisazione. Anche nell'ultimo film abbiamo improvvisato molto, è importante farlo, quando capita vuol dire che gli attori si divertono, stanno nella parte, si sentono a loro agio. La maggior parte delle risate che il pubblico si è fatto con i miei film è frutto di improvvisazione". Poi ha aggiunto: "Ieri sono andato a controllare il restauro di Compagni di Scuola, che sarà presentato il 18 ottobre al Festival del Cinema di Roma. Ho visto la correzione del colore, di come è stato restaurato. Me lo sono rivisto tutto, in religioso silenzio. Ho capito la fatica immane che ho fatto, è stato veramente un miracolo quel film. Fatto di energia, equilibri, sinergia tra gli attori, che si sono sempre voluti bene. Non c'è mai stato un momento di gelosia o di frizione. Oggi posso dire che 'Compagni di Scuola' è sicuramente il mio miglior film. L'ho capito ieri pomeriggio. Ero indeciso tra questo, Maledetto il Giorno che t'ho incontrato e A Lupo a Lupo. Oggi invece ho capito che il migliore è Compagni di Scuola. Ho capito che questo film resterà immortale. E questo mi fa molto piacere". Sull'ultimo film, che Verdone ha girato in Puglia: "Avevamo due opzioni. Il film aveva bisogno di un viaggio estivo, era molto importante avere una costa, degli scogli, un certo di mare e un certo tipo di resort. O si andava sul lato tirrenico oppure si andava dall'altra parte. A quel punto, non avendo mai girato in Puglia, ho fatto un sopralluogo lunghissimo, ho trovato tutti i luoghi e comunicato al produttore che la Puglia avrebbe potuto darci delle soddisfazioni anche a livello fotografico. Mi sono trovato molto bene, ho incontrato persone che amano il cinema e la propria terra. Sono molto orgogliosi quando vai a girare da loro. Sono stati premurosi e affettuosi. Serberò un bellissimo ricordo. Io fatico molto durante i film, questo l'ho iniziato con tantissime paure, ma alla fine devo dire che è scivolato bene, mi sembra che è finito presto, anche se è durato nove settimane. Ho sentito poco la fatica, grazie anche al cast che avevo. Sull'autunno: "E' la mia stagione preferita. Sono i miei colori, non amo molto le stagioni calde. Fosse per me l'estate la cancellerei, molti vorrebbero vivere sempre in estate mentre io non potendo prendere il sole perché non mi fa bene preferisco il fresco. Non è un caso se sono andato in Belgio a girare Iris Blond, o a Praga per Maledetto il Giorno che t'ho incontrato". Sulla Roma, squadra di cui è da sempre tifoso: "Fonseca mi piace. E' un bell'allenatore. Dopo anni di passaggi orizzontali e di lentezza estrema, siamo passati a un gioco verticale e veloce. Mi pare un tecnico molto intelligente, i giocatori lo seguono e si divertono. Siamo partiti con mille dubbi, ma vedo giocatori che corrono, erano anni che non vedevamo la Roma correre. Se firmerei per il quarto posto? Non poniamo limiti, siamo solo agli inizi, Bologna era un campo molto tosto, la Roma è stata brava e fortunata, per segnare all'ultimo secondo serve anche la buona sorte. Voglio essere fiducioso".
Malcom Pagani per Vanity Fair il 22 settembre 2019. Forse non lo sai ma pure questo è amore: «Ho 14 anni e sono invitato a una festa in un quartiere popolare di Roma. Dopo aver ascoltato i Beatles, Celentano e i primi Rolling Stones, nell’appartamento di Valle Aurelia è l’ora dei lenti: sto ballando con una ragazza che mi piace molto e tutt’a un tratto qualcuno spegne la luce. Lei mi dà un bacio in bocca. È la mia prima volta. “Dammene un altro”, le dico. “Dammelo te stavolta”, risponde. Eseguo timidamente e lei si ritrae: “O me lo dai bene o non me lo dai per niente”. Ubbidisco e in quel momento scopro l’eros, il sesso e tutto un mondo meraviglioso. Prima di andarmene le chiedo il numero di telefono, lei me lo nega: “Ci dobbiamo fermare a questi baci, siamo troppo giovani”». Carlo Verdone sostiene di avere un’ottima memoria selettiva: «Sono fortunato, ho rimosso le cose brutte, ma non ho dimenticato nulla delle belle», e un rapporto quasi olfattivo con la nostalgia: «Ogni tanto sento un odore e mi riappare il passato. Il profumo dei nostri armadi, quello della casa che mia madre faceva riverniciare durante l’estate o l’altro, inconfondibile, dei libri di mio padre». Mario, il professor Verdone: «L’uomo grazie al quale ho visto e conosciuto ambiti davanti ai quali da solo non sarei mai arrivato. Papà mi diceva sempre: “Mettici la poesia, Carlo. Mettici un po’ di poesia”».
Cosa intendeva?
«Che la commedia, senza la poesia, non vale niente. “Ridere non basta”, diceva».
Aveva ragione?
«Completamente. La poesia è l’anima della commedia, anche e soprattutto quando restituisce alla commedia un sapore malinconico».
La solitudine, l’amore non corrisposto, le città deserte d’estate, l’incomunicabilità. Nei suoi film, fin dagli esordi, al sorriso si accompagna la malinconia.
«Perché la malinconia è un mio tratto caratteriale e, come la memoria, può essere una carezza dolcissima. Quando sono da solo, magari in Sabina, circondato dal silenzio, dai libri e dalla tranquillità, nel ricordo scorre un film meraviglioso».
1977, Teatro Alberichino, al suo esordio dopo gli anni dei teatrini off, lei va in scena per un solo spettatore.
«Il critico Franco Cordelli. Non sapevo chi fosse, ma un paio di giorni dopo uscì sul giornale un articolo entusiasta. Iniziò tutto lì. Lo spettacolo non avrebbe dovuto neanche prendere il via. Mancava il denaro e io mi ero indebitato per 200.000 lire, tanti tanti soldi, una cifra enorme».
Come mai?
«Daniele Formica, il mio compagno d’avventura, avrebbe dovuto dividere i costi con me, ma si tirò indietro a pochi giorni dal debutto. Anni dopo venne a chiedermi scusa sul set di Bianco, rosso e Verdone. Non ce n’era bisogno. “Non preoccuparti”, gli dissi, “sono decisioni che si prendono in un istante”. Ho sempre considerato il rancore il più inutile dei sentimenti».
Chi la convinse a recitare comunque in Tali e quali?
«Mia madre: “Se non sali sul palco ti prendo a calci in culo”, sibilò. Per quel che riguarda il mio lavoro, nel trovare il coraggio di fare scelte importanti, devo tutto a lei. La persona più importante della mia vita. Una donna che aveva tante fragilità e debolezze, ma sapeva anche essere forte e aveva intuito che possedevo un talento. Con affetto, baci, ironia e qualche invito secco mi incoraggiava ad andare avanti e mi diceva implicitamente “dai che ce la fai”. Mamma possedeva un’arte affabulatoria ed era molto creativa. Andavamo insieme al cimitero, e camminando per i viali mi raccontava ogni cosa delle donne e delle famiglie che lì erano ospitate. La accompagnavo a pagare i conti dal fornaio, dal panettiere, dal lattaio e lei, che era anche una formidabile osservatrice, posava sempre lo sguardo su qualcuno: “Carlo, guarda che faccia buffa che ha quello”, e io guardavo. Se sono stato un pedinatore di italiani restituendone tic, nevrosi e manie, la prima pedinatrice in famiglia è stata sicuramente lei».
Suo padre invece?
«Mio padre è stato una figura importante, mi ha donato lo stupore, mi ha fatto viaggiare, mi ha insegnato tanto. Prendeva me e mio fratello e ci portava all’Accademia d’arte: “Adesso vi spiego cos’è un quadro astratto”. E lo faceva davvero. Ci ha fornito strumenti fondamentali, ma ci ha anche portato allo stadio e a giocare a pallone al Circo Massimo sotto il sole cocente. Era un padre vero, nostro padre».
Un padre severo?
«Giusto. È vero che all’università mi bocciò in Storia del cinema, che io gli avevo chiesto di interrogarmi su Fellini e che lui mi chiese di Dreyer e Pabst, ma è pur vero che io di Pabst non sapevo nulla e che in aula la gente aveva cominciato a mormorare severa: “È parente, è parente, è uno schifo, è uno schifo”. Il clima era, per così dire, viziato (Ride). Tornai a casa e gli dissi “Papà, mi hai fatto fare una figura di merda”, e lui, senza emozione: “Carlo, abbi pazienza, non volevo si pensasse a un trattamento di favore”. Una volta andammo in viaggio a Praga. Lui non aveva la tessera del Pci, ma era uno studioso molto apprezzato per il suo rigore, amava il cinema bulgaro, quello cecoslovacco e russo e con quel mondo aveva ottimi rapporti. Finito il viaggio, vidi una fila di bandierine sul cornicione dell’albergo e decisi di rubarne una. La misi in valigia, scesi nella hall e venni fermato da un agente in borghese. “Open the baggage”, mi disse con tono metallico. Aprii il bagaglio e spuntò la bandierina. Avrei potuto passare un guaio serio, ma intervenne papà».
Mise una buona parola?
«“Sei stato uno stronzo”, disse alzando la voce, “sali e rimettila immediatamente al suo posto”. Poi mi tirò uno schiaffone mostruoso. Sentivo che stava esagerando per aumentare la drammaticità, che si incazzava platealmente per far capire all’altro che era indignato. Il rumore dello schiaffo me lo ricordo ancora. Così bene che misi la scena anche ne Il mio miglior nemico, circa trent’anni dopo».
E l’Alberichino, quella foto sgranata di quarantadue anni fa, se la ricorda?
«Mi ricordo le cantine umide di piazza Cavour all’alba degli anni ’70, i Bergman portati in scena con il vapore che usciva dalla bocca per l’umidità e il freddo, i chiodi arrugginiti finiti dentro i piedi durante la recita senza potersi fermare, le tasche vuote e i tranci di pizza freddi mangiati appoggiando la Lambretta accanto a qualche trattoria a buon mercato. Naturalmente ricordo anche l’Alberichino. A volte mi sembra incredibile. E mi chiedo: Ma chi resiste per 42 anni? Chi riesce a lavorare per quattro decenni di seguito provando sempre a reinventarsi senza cadere?».
Si è rivelato il segreto?
«Semplice. Non mi sono mai sentito arrivato. Ho sempre visto i miei film come esami da affrontare e superare volta per volta. È stato faticoso. Logorante. La tentazione di dire “ma io cosa devo ancora dimostrare?” era forte».
E come l’ha allontanata?
«Capendo che era proprio così: devi sempre dimostrare qualcosa. Vai avanti con l’età e la tua maschera muta esattamente come cambia tutto intorno a te. Non sono più quello di Borotalco o di Bianco, rosso e Verdone, mi sono dovuto adattare alle epoche anch’io».
Ha mai temuto di non farcela?
«Ogni santa volta. Negli ultimi otto anni, poi, mi è venuta proprio una gran paura. Mi sussurravo sempre: “Forse questa volta non ce la faccio”, “Forse questa volta il film lo sbaglio”».
Il pubblico l’ha rassicurata con i risultati.
«Credo mi abbiano visto come uno della porta accanto. Una persona capace di raccontare le emozioni che provavano anche loro. Tante cose del successo rimangono oscure a partire proprio dal meccanismo che si instaura tra te e il pubblico, però c’è una cosa che tiene in piedi tutto».
Cosa?
«Chi ti osserva deve vedere oltre l’attore. Sentire che ha di fronte a sé una persona sincera, onesta e magari, anche se dirlo suona un po’ anacronistico, umile. Non ho mai osato sostenere di essere l’erede di Alberto Sordi per esempio, non mi sarebbe mai venuto in mente».
Lo disse lui.
«Lo disse a me, che resterò sempre uno spettatore incantato dalla sua arte. Sordi era un attore fantastico. Addirittura superbo nei film in bianco e nero, quelli che amo di più».
Cosa gli invidia?
«L’aver attraversato tanti decenni veramente importanti dal punto di vista storico: la guerra, il dopoguerra, il boom economico, le tensioni sociali degli anni ’70».
Lei ha iniziato in un altro quadro.
«Mi sono trovato davanti alla crisi della coppia, al crollo della famiglia, alla donna che prende il potere nel sodalizio e costringe il maschio definitivamente in un angolo. Il mio non era più il cinema dei seduttori alla Gassman o alla Tognazzi, ma quello degli uomini sconfitti che hanno di fronte una donna che non capiscono più. Noi siamo diventati adulti con un dramma, con un trauma».
Quale trauma?
«Il femminismo è stato una scossa che ci ha destabilizzato. Ha stravolto i ruoli. Ecco perché poi siamo stati gli impacciati. Non era un’interpretazione, né una scelta: era la realtà. Ci sentivamo veramente così: goffi, sorpresi, detronizzati».
Sordi sullo schermo non era certamente percepito come tale. Lei gli offrì in Troppo forte uno dei suoi ultimi ruoli felici: un avvocato dal nome farsesco, Pignacorelli in Selci, che difende il protagonista coatto del film e poi improvvisamente perde il senno e lo manda in malora. «Anche se forse Sordi sulla parte aveva calcato troppo la mano esagerandone il carattere. Provai in tutti i modi a farglielo capire, ma non ci fu verso. Allora chiesi aiuto a Sergio Leone, il produttore di quel film e di Un sacco bello, il mio esordio cinematografico. “Guarda il materiale Sergio, poi dimmi che ne pensi. A me sembra troppo macchiettistico, deve far ridere sì, ma non in quella maniera”. Sergio vide il girato, disse: “Così non va, sta a ffà Oliver Hardy”, e poi assicurò: “Ce penso io, nun te preoccupà”. La mattina dopo prese da parte Alberto e Sordi apparentemente gli diede retta: “Hai ragione, va bene, cambio impostazione”».
E la cambiò?
«Neanche per sogno, anzi accentuò il carattere che gli aveva dato. A quel punto cedemmo. Sordi era comunque Sordi».
Negli ultimi anni il grande Sordi recita in film che non sono all’altezza della sua parabola. Come mai secondo lei?
«Non aveva una moglie, non aveva un’amante, aveva qualche amico sì, ma non poi così stretto. Non aveva altro, Sordi: soltanto il suo lavoro e il suo pubblico, cosa altro avrebbe potuto fare Alberto? Stare in casa e fare una vita da monaco? No, era chiaro che sarebbe morto facendo film fino alla fine dei suoi giorni. Non poteva pensare minimamente di fermarsi. Ci sono persone che hanno passioni tra le più diverse: a chi piace scrivere, a chi pitturare, a chi andare in barca, in campagna o sulle vette. Lui no. Sordi ha vissuto per la gente e per se stesso».
Quante persone del mondo del cinema ha conosciuto con una propria interiorità capace di bastare a se stessa?
«Poche, per non dire pochissime. Mi viene in mente un amico di mio padre, Manoel De Oliveira, ma parliamo di un regista coltissimo che ha girato fino a cent’anni, un uomo di un’altra epoca, di un altro periodo. L’altro giorno parlavo con Rocco Papaleo e riflettevo ad alta voce: “Però che storia triste ha il mondo del cinema, tutti i grandi autori muoiono in una disperazione che sa di solitudine o depressione”. Come raccontano quelle belle monografie trasmesse da Sky su Bergman o Mastroianni, a essersene andati così sono stati in molti».
Come mai secondo lei?
«Non hanno coltivato altre passioni o hanno trascurato famiglia o figli. Un errore fatale. Quando ho archiviato C’era un cinese in coma, un film che con mio grande dispiacere, magari per un titolo sbagliato, non era stato compreso, mi resi conto che per anni ero stato troppo preso dal mestiere e stavo per commetterlo anche io. Capii che non c’era miglior modo di non perdere più una battaglia che non parteciparvi proprio e saltai un giro. Non avevo paura di aver smarrito il talento, ma temevo di essere a un passo dal perdere qualcosa di molto più importante. Mi fermai per due anni e mi dedicai alle persone che amo. Mi aiutò Gianna, la mia ex moglie, con un consiglio prezioso: “Parti con Paolo e Giulia, solo voi tre, nessun altro. Ritroverai i tuoi figli e ti ritroverai”. Aveva ragione, Gianna. Facemmo un viaggio lungo e magnifico alla scoperta di noi stessi e del nostro rapporto. Tornammo cambiati, da allora non ci siamo più persi».
Ha mai pensato al momento dell’addio?
«Ci ho pensato e ne ho parlato anche con i miei figli. “Guardate”, ho detto, “non so quando finirà questa cosa mia, però non voglio che sia il pubblico a dirmi basta, sarò abbastanza intelligente da capire quando è il momento di togliere il disturbo”».
E sarà un giorno triste?
«Sarà un gran giorno. Sarà una festa. Per prima cosa ringrazierò dio. Volevo girare e interpretare dei film, l’ho fatto, sono stato veramente fortunato». (Sul telefono di Verdone arriva la notizia della nomina a membro dell’Academy. Verdone accoglie il tutto senza enfasi: timidezza e pudore).
Nella sua vita è stato coraggioso?
«Penso di sì. Quando mia madre è stata colpita da una bruttissima malattia neurologica, per esempio, sono stato costretto a esserlo, e mi sono riscoperto leonino. Ho lottato, non sono riuscito a ottenere un risultato e alla fine ho perso. Ero distrutto, ma sereno. Ce l’avevo messa tutta. In quel periodo persi totalmente le fede, vedendo come il destino si era accanito su una donna di una bontà infinita. Mi aiutò molto monsignor Tonini, che conobbi per un’intervista a due. Ci frequentammo e mi illuminò sul mio smarrimento. Grande uomo di fede vera».
Se dovesse scegliere un aggettivo per descriversi?
«Sensibile. Ed essere sensibili non è una passeggiata. È faticoso. Ha un prezzo. Servono impegno e pazienza. Non c’è un artista che sia in totale equilibrio. La sensibilità porta anche alla sofferenza».
Parla anche di lei?
«Certo. A volte mi sento molto fragile e debole, altre strano o diverso. La persona sensibile è destinata a essere inquieta di più perché percepisce tutto in maniera maggiore, gode per piccole cose che gli altri magari non vedono, ma prova contemporaneamente dolori intensi e instabilità».
Anche in amore?
«Il dolore fa parte della dinamica amorosa e soffrire per amore, anche se non in modo parossistico, è importante. Significa che hai un’anima, una sensibilità, un cuore che non è solo un muscolo. Quelli che fanno i duri, i playboy che fanno la raccolta delle figurine e delle scopate dicendo “questa me l’ha data, questa non me l’ha data” sono persone mediocri, di una solitudine straziante».
Sofferenze amorose memorabili?
«Quasi tutte a sfondo platonico. Livia Azzariti non mi si filava di pezza, ma da ragazza era veramente di una bellezza sconvolgente, da perdere la testa. Mi ricordo i patemi d’animo, le insicurezze, i vani piani per conquistarla. Una sera uscimmo e la portai al circo. Partimmo male. Mi chiese: “Perché siamo venuti al circo?”. Risposi minimizzando: “Non è divertente?”, e lei secca: “Non mi pare”. Io avevo un padre patito del circo e vedevo acrobati e domatori come parte di un fenomeno storico, lei molto meno».
Come finì?
«Perso per perso tentai di stringerla, di allungare il braccio intorno al collo, di cercare un contatto. Alla seconda volta che mi scostò la mano capii che non era aria. Ci ho sofferto perché mi piaceva tanto, Livia. In un certo senso, mi innamoravo sempre dello stesso fototipo di ragazza. Bionda o castana chiara, di aria gentile, di bell’aspetto. Un’altra che mi fece soffrire come un cane fu Paola Zanuttini che ora è una brava giornalista di Repubblica. Il teatro del disastro fu Anzio».
Mare, tramonti, isole sullo sfondo.
«Paola era un tipo difficilissimo e io cercavo di essere simpatico e rampante, scimmiottando i figli della Roma bene che ad Anzio villeggiavano per mesi e mesi. La portavo sull’Ital-Jet e intanto aspettavo, fremendo, di dichiararmi. La sera in cui finalmente mi decido elaboro una strategia minuziosa: “Andiamo davanti al porto”, le dico. “Sentiamo le onde e le rivelo tutto, poi come va, va”, mi ripeto. Arrivo in banchina con il motorino lanciato a tutta velocità, freno e la ruota slitta sul brecciolino. I sassi ci fanno cadere per terra e l’orologio del mio padrino della Cresima va in acqua. Ma il peggio, se un peggio a quel punto era possibile, è che Paola si sbucciò un ginocchio. “Mi fa troppo male la gamba”, stabilì, “riportami a casa”. Storia finita così, senza gloria».
Ogni tanto si è innamorato anche delle sue attrici.
«Sono stati dei colpi di fulmine: passando tanto tempo insieme capita. Io e Claudia Gerini abbiamo avuto un flirt, ma eravamo soli tutti e due ed eravamo entrambi abbastanza incasinati. È finita ma siamo rimasti molto amici: di sicuro io e Claudia siamo due persone che per carattere non avrebbero assolutamente potuto stare insieme a lungo. Lei non la freni».
Di coppie e villeggiatura parla anche il suo nuovo film.
«L’ho girato in Salento, tra il bianco accecante delle masserie, le scogliere a picco sul mare e i colori stupendi di quest’angolo di Italia che conoscevo pochissimo. È un film corale e dalle sensazioni che ho mi sembra di aver fatto un bel film. Potrebbe far ridere e potrebbe far riflettere: sono le stesse sensazioni che avevo prima di Maledetto il giorno che t’ho incontrato e di Compagni di scuola».
Sensazioni buone.
«Il solo fatto che sia andato fuori Roma per girare è un buon segno. Ogni tanto per non morire e non rompersi troppo i coglioni c’è bisogno di cambiare scenario. Al cinema è più facile che nella vita privata. Sa qual è il problema di oggi? Che le coppie durano molto poco e sembra sempre che i sentimenti si debbano aggiornare come si aggiorna un’applicazione scaduta. Ma l’amore non è un telefonino. Amare una persona è un lavoro. Anche impegnativo. Se non lo consideri anche così si romperà presto tutto».
È stato più importante l’amore o l’amicizia?
«A volte tra amore e amicizia ho scelto la seconda opzione. A 15 anni persi il mio migliore amico, Francesco Anfuso, un ragazzo di estrema destra figlio di un ambasciatore vicino al ventennio, amico intimo di Mussolini... La mia fidanzata dell’epoca era di sinistra e mi chiese di scegliere tra lei e lui. Scelsi lui. E le dissi sul muso: “Non solo preferisco Francesco, ma di fronte a questi ricattucci, a te lo preferisco mille volte”. Ci volevamo molto bene io e Francesco e avevamo stretto un patto: nella nostra frequentazione non avremmo mai parlato di politica. Così avvenne. A lui piacevano lo stesso cinema underground e la stessa musica che amavo anche io e andavamo veramente d’accordo. Quando ero in vacanza mi dissero che era morto in Jeep, per salvare un cucciolo di cane lupo. La macchina su cui viaggiava nel Parco Nazionale d’Abruzzo era andata fuori strada, e per proteggere il cane Francesco era finito con la testa sull’unico spunzone di roccia di tutto il prato. È stato il mio primo enorme dolore giovanile».
Quanti amici veri ha Carlo Verdone?
«Tanti. Oddio, forse tanti è la parola sbagliata. Perché quando dici che hai tanti amici poi significa che non ne hai nessuno. Diciamo che una decina di veri amici li ho e mi sono preso il lusso, la libertà e il piacere di mantenerli nel tempo».
Cos’è per lei la libertà?
«Il testo di una canzone. Un’utopia. Un’illusione. La vera libertà non esiste e nessuno di noi è veramente libero. Non sono libero io e non è libero lei. E poi c’è sempre l’imprevisto, l’agguato del destino, l’imponderabile. Per me, da questo punto di vista, tra amici scomparsi all’improvviso e malattie inattese di persone a cui voglio bene, è stato un anno terribile. Sa qual è la verità?».
Qual è?
«Che fare progetti è necessario per coltivare una speranza. Ma è purtroppo ridicolo e infantile. L’unica cosa seria che si può fare è vivere alla giornata come se fosse il tuo ultimo giorno. Così si dovrebbe fare e così provo a fare io».
· Francesca Manzini.
Francesca Manzini: “Quella volta con Carlo Verdone, che tragicommedia!”. Gabriella Cantafio il 16/10/2019 su Il Giornale Off. Una voce camaleontica, prestata ai personaggi più stravaganti; un corpo che, dopo aver sofferto, si è imposto in tv: Francesca Manzini, giovane imitatrice rivelatasi un’artista a 360 gradi, si racconta ad OFF, fresca dell’avventura ad Amici Celebrities.
Cresciuta a pane e calcio (figlia di un dirigente della Lazio), quando è iniziato l’interesse per il mondo dello spettacolo?
«In famiglia si respirava pure arte. Da piccola, ero affascinata dai racconti di mia zia doppiatrice con Fellini ma non sono stata sostenuta in questa passione che ho coltivato da sola».
Si reputa un’autodidatta della risata?
«Eh già, mi sono fatta scorpacciate di film di Gassman, Anna Magnani, Totò ma anche di varietà anni ‘60. Questa è stata la mia scuola!
Quando ha debuttato sul piccolo schermo?
«Nel 2009, a Festa Italiana, su RaiUno, imitando Sandra Mondaini, Maria Venier e Sabrina Ferilli».
Qual è il personaggio a cui è più affezionata?
«Maria De Filippi, Monica Bellucci e Simona Ventura, personaggi particolari che personalizzo con forti contrasti, mantenendo i loro tratti definiti, senza mai essere banale».
Ha prestato la voce anche a politici nel programma Sky Gli Sgommati. Ha mai infastidito nessuno?
«Soltanto la Gelmini fece cancellare il suo personaggio troppo libidinoso ma poi l’abbiamo ripreso in versione soft».
E’ anche speaker di RDS. La voce che valore ha per lei?
«Per me la voce è fondamentale come il corpo per un ballerino: mi permette di esprimere al meglio la mia arte».
Il suo corpo ha fatto capolino sul grande schermo. Com’è nata l’opportunità del ruolo in Benedetta follia?
«Avoja a corpo! E’ stata un’esperienza unica con un immenso Verdone e un cast rivelatosi una famiglia».
Ad Amici Celebrities è stata apprezzata anche come ballerina. Cosa rappresenta per lei la danza?
«E’ una valvola di sfogo. Come se fluttuassi nel mare, do voce al mio corpo».
Nonostante i successi artistici, mantiene un lavoro di consulente finanziaria. Come mai?
«Mi piace restare coi piedi per terra, adoro la mia famiglia artistica ma lo spettacolo è un mondo con un futuro incerto».
Ha raccontato sui social il suo passato da anoressica e bulimica. Come ne è uscita?
«Circa 5 anni fa, dopo un lungo periodo di sofferenza, mi sono accorta di aver toccato il fondo e di dover risalire. Ora, finalmente sono felice e ringrazio la bambina che è in me perché mi permette di essere molto più seria di prima».
Cosa consiglia a chi sta combattendo la stessa battaglia?
«Non posso che augurargli di svegliarsi da questo male, spesso non riconosciuto. Il corpo ci avvisa ripetutamente ma poi crolla e bisogna correre ai ripari, convincendosi che la mente è più potente di ogni farmaco».
Che ne pensa del bodyshaming?
«Ad Amici ho mostrato l’importanza di essere contenuto e non immagine. Sono convinta che ognuno ha il corpo che si merita per il vestito che deve indossare. E non c’è leone da tastiera che tenga».
Ci racconta un episodio off della sua carriera?
«Cosa ci può essere di più tragicomico di trovarmi davanti Carlo Verdone che parla alla mia “lei” fingendo che ci sia dentro un telefono?»
Francesca Manzini: "Amici Celebrities, le critiche, i nuovi progetti". Intervista all'attrice e imitatrice, protagonista del talent di Canale 5, la cui finale va in onda mercoledì 23 ottobre. Francesca Manzini sarà in un nuovo show di Italia 1. Francesco Canino il 23 ottobre 2019 su Panorama. Francesca Manzini è tra le rivelazioni assolute di Amici Celebrities. La prima imitazione, nella sua cameretta, l’ha fatta quando aveva otto anni e da quel momento non si è più fermata. Ha cominciato nei villaggi turistici, come Fiorello, poi ha esordito in tv grazie a Caterina Balivo e Piero Chiambretti, limando il suo talento e affrontando le inaspettate curve a gomito della vita. La vera svolta è arrivata grazie a Rds prima e alla Gialappa’s Band poi, che l’ha voluta in Mai Dire Talk, e nell’ultimo anno è passata dal set con Carlo Verdone, nel film Benedetta follia, al talent vip di Maria De Filippi. “Lei mi ha insegnato a credere di più in me stessa”, spiega a Panorama.it, rivelando anche di essere stata appena ingaggiata per un nuovo programma di Italia 1.
Francesca, tra poche ore è tempo di finale di Amici Celebrities: avresti voluto esserci?
«Certo che sì. Ma non ho vissuto come un dramma l’uscita alla quarta puntata: se fossi stata eliminata alla seconda, non me la sarei perdonata, invece ho fatto il mio percorso e sono uscita dopo aver dimostrato ciò che sono e chi sono».
Amici Celebrities è la consacrazione che aspettavi da tempo?
«È un altro passo nella mia carriera, un gradino in più. Più che una celebrità, mi sono sentita una “ragazza di Amici” e l’eliminazione è stata un’uscita di scena con ovazione».
In tanti hanno scritto sui social che meritavi tu la finale e non Emanuele Filiberto di Savoia.
«Emanuele ha saputo fare show. Gli voglio bene, mi sono affezionata perché è una brava persona».
Sei la Manzini in versione buonista?
«No, semplicemente la competizione non mi ha toccato in questo percorso. M’interessava essere lì per poter lavorare con professionisti di primo livello: è stato come un master accelerato, un privilegio assoluto».
Come sei arrivata ad Amici Celebrities?
«Dopo il quarto no di fila a Tale e Quale Show. Ho beccato l’ennesima bocciatura, accompagnata da un “ci vediamo l’anno prossimo”. Ero delusa e sono partita per Ischia con la mia migliore amica, Manuela. Mentre ero lì mi è arrivato un messaggio di Luca Zanforlin, l’autore di Amici, che mi dice: “Non ti prometto nulla ma sei disponibile per un incontro?”. Il giorno dell’appuntamento ero lì con un’ora di anticipo».
Com’è finita già lo sappiamo.
«Sono arrivata carica come una valanga, piena di pezzi da cantare e con due coreografie di ballo. Pensavo di essere ridicola, invece Giuliano e Veronica Peparini si sono innamorati di me».
Hai mai studiato danza?
«No, ho fatto tutto da autodidatta davanti al muro di camera mia. Eppure sono riuscita a essere credibile. La spinta a credere di più in me stessa me l’ha data Maria De Filippi».
Sei riuscita a intrecciare un dialogo con lei?
«Sì, c’è stata una complicità inaspettata. Me l’avevano decritta come dura e algida, invece ho scoperto una donna allegra e generosa, che dà molta liberta. "La tua forza è essere te stessa anche sul palco, senza finzioni”, mi ha ripetuto spesso».
La piaceva davvero l’imitazione che fai di lei?
«Sì, è stata Maria stessa a chiedermela. Quando passava nei corridoi, le dicevo: “È arrivata l’ottava sotto”».
Non tutte le tue imitate però hanno gradito. È vero che hai avuto un diverbio pesante con Mara Venier a causa di uno scherzo radiofonico?
«Se la prese per uno scherzo che le feci imitando proprio la De Filippi, nel programma Tutti pazzi per Rds, che per altro non andò mai in onda. Poi l’ho incontrata in Campidoglio, in occasione di un premio, mi sono avvicinata e le ho detto: “Possiamo chiarirci?”. La sua risposta è stata gelida: “No”».
Chi sono le altre che si sono offese?
«Non voglio fare il nome, ma una conduttrice che qualche anno fa lavorava a Rai 2 si offese a tal punto da ostacolarmi pesantemente. In passato la Rai mi ha bistrattato ingiustamente, mi ha chiuso le porte e devo molto a Caterina Balivo perché grazie a lei lo scorso anno sono tornata su Rai 1: è stata molto generosa».
A proposito di screzi, c’è stata una scintilla con Al Bano, che ad Amici Celebrities ha detto: “Sei stata brava anche con quei 15 grammi in più”.
«Mi spiace per com’è andata perché non l’ho fatto finire di parlare. Ho intuito dove voleva andare a parare e gli ho risposto secca: “Me ne frego del peso”. Ma non mi sono offesa con lui, sia chiaro. E nemmeno con Platinette quando sottolineava la questione fisica, tanto che le ho detto: “Chiamami pure pata negra”».
In passato hai sofferto di disturbi alimentari: non ti toccano queste battute?
«Ora non più. Purtroppo ho conosciuto sia l’anoressia che la bulimia, ho abbracciato il male, l’ho abbracciato forte e l’ho sconfitto. Poi l’ho metabolizzato e sono risorta».
E a chi devi dire grazie?
«Ai medici che mi hanno curata, in parte a mia mamma ma soprattutto a me stessa. La vita mi ha costretto a contare soprattutto su di me anche in momenti difficili, come nel 2011, quando ebbi un incidente e sono stata in coma per tre giorni. Non ricordo tunnel e luci varie, ma solo un senso di sonno profondissimo da cui non riuscivo a uscire. Per questo ancora adesso ho paura a dormire».
Oggi che rapporto hai con la tua famiglia?
«La mia famiglia sono io. Purtroppo sono arrivata a non aver bisogno di nessuno. Ho toccato il fondo, ho capito che dovevo vivere e solo a quel punto ho conosciuto davvero i miei genitori. Mia mamma inseguiva la sua bellezza e la sua libertà, mio padre (storico team manager della Lazio, Maurizio Manzini, ndr) ha inseguito la sua carriera, con mia sorella i rapporti sono altalenanti».
Perché nei giorni scorsi hai deciso di postare sui social una foto di te nuda?
«Era uno schiaffo agli uomini che mi hanno offesa e denigrata, perché purtroppo ho avuto diverse storie negative. Anche quando ho cantato Gli uomini non cambiano, ad Amici, volevo lanciare uno schiaffo metaforico a mio padre e a un mio ex che di qualche anno fa che mi ha fatto soffrire parecchio».
Ornella Vanoni ti ha fatto i complimenti dopo quell’esibizione.
«È stata stupenda. Durante una pubblicità mi ha chiamato e mi ha detto: “Ho molta passione per te, credo in te. Non dimagrire però”».
Chi è la tua imitatrice icona?
«Loretta Goggi, perché dà vita ai personaggi. Alessia Marcuzzi una volta mi disse: “Sei quasi fastidiosa perché prendi l’anima del personaggio”. Un complimento bellissimo».
Nel tuo personale olimpo chi ci metti?
«Gabriella Germani, che fa anche satira con le sue imitazioni. Paola Cortellesi, che punta più sulla caricatura, e Virginia Raffaele, la Chaplin dell’imitazione».
Radio, tv, cinema. Ma in pochi sanno del tuo “piano b”: ti occupi ancora di mediazioni finanziarie?
«(ride) Sì. Collaboro con uno studio legale internazionale e cerchiamo di creare una rete di collaborazioni tra i nostri i contatti. In questo momento sto gestendo due importanti operazioni».
I clienti ti riconoscono?
«Alcuni sì, altri glissano. Ma in quel contesto mi trasformo totalmente, divento un po’ una Miranda Priestley».
Il tuo dopo Amici Celebrities cosa prevede?
«Un nuovo programma su Italia 1, nel 2020. Sono una donna da varietà e potrò far vedere chi sono a 360 gradi. Poi mi sono arrivate diverse proposte e a breve inizierò la collaborazione pubblicitaria con un’azienda importante».
Il tuo grande sogno?
«Un varietà tutto mio, un one woman show.
Il prossimo anno rifarai il provino per Tale e Quale Show?
«Perché no? Ad Amici ho fatto vedere me stessa, ora il pubblico e gli addetti ai lavori sanno chi sono. A Tale e Quale sono pronta a indossare la maschera».
· La Super Simo.
Francesco Fredella per Il Tempo il 17 aprile 2019. La sua nuova vita. Innamoratissima del suo nuovo compagno, pronta per una sfida lavorativa su Rai2 con la conduzione di The Voice. Super Simo sta vivendo un momento d’oro sotto tutti i punti di vista. Ospite di Eleonora Daniele, la Ventura entra in studio e si scatena ballando sulle note dei Coldplay (di cui è fan accanita). Dall’altra parte dello studio di “Storie italiane” c’è anche Giovanni Terzi, il compagno della super conduttrice che è uno degli opinionisti del programma mattutino di Rai1. Interviene anche Riccardo Signoretti, il direttore di “Nuovo”, in collegamento con lo studio romano che dice alla coppia: “Vogliamo il bacio in diretta”. Simona e Giovanni ci vanno vicino appena parte “Chiaro di luna” di Jovanotti, la loro canzone del cuore. Gli animi si “sciolgono”. I due si guardano e si commuovono. La Ventura racconta di aver incontrato ad una cena con amici Terzi. La sera stessa, dopo poche ore da quell’incontro, arriva il “Ti amo” via sms. Terzi non si trattiene. Manda un semplice messaggio. Così, inizi la loro storia d’amore. Il resto è storia di questi giorni. “Avevo chiuso da poco una storia di otto anni, ma dietro quegli occhi da cucciolone c’è un uomo molto intelligente”, racconta Super Simo (pronta per la nuova sfida televisiva su Rai2 dal 23 aprile in prima serata) che svela di essere stata contatta da Pamela Prati per il suo matrimonio (che si tinge di giallo perché nessuno conosce Mark Caltagirone). “Mi ha anche chiesto di fare da testimone”, rivela la Ventura. Poi il nastro dei ricordi si riavvolge e parte il lungo viaggio con le immagini più belle della sua vita. “I miei figli sono la mia priorità. Mi rendo conto della mia fortuna e mi rendo conto che sono diventata ancora più mamma da quello che è successo”: la Ventura si commuove facendo riferimento all’aggressione subita da suo figlio Niccolò (nato dalla relazione con l’ex calciatore Stefano Bettarini), accoltellato per ben undici volte la scorsa estate all’uscita da un locale milanese. “Ho avuto il privilegio e la fortuna di avere ancora mio figlio al mio fianco. Non smetterò mai di ringraziare Dio perché sono credente”. Simona Ventura parla di quell’episodio come uno schiaffo, un segnale, della vita. “Adesso mi accontento ancora di più delle piccole cose quotidiane. Quando ho ricevuto quella chiamata di notte, ero all’aeroporto di Lamezia Terme, mi si è ghiacciato il sangue. Ho sentito mio figlio durante il viaggio e quando l’ho visto era trasfigurato dalle botte prese. Ma vederlo vivo per me è stato tutto. Niccolò è una roccia. Ha superato con grande forza questo momento”, conclude Simona.
Simona Ventura accusata di "dichiarazione infedele dei redditi". Simona Ventura è imputata a Milano per "dichiarazione infedele dei redditi" a causa di alcuni contratti relativi al triennio 2012-2015, ma gli avvocati respingono le accuse di evasione. Francesca Galici, Lunedì 14/10/2019 su Il Giornale. Simona Ventura è al centro di una questione giudiziaria che si preannuncia piuttosto intricata. Pare, infatti, che la conduttrice torinese sia imputata a Milano per dichiarazione infedele dei redditi, ma la difesa respinge ogni accusa. I fatti risalirebbero al triennio 2012-2015 e sarebbero relativi ai compensi derivanti dai contratti per lo sfruttamento dei diritti di immagine di Simona Ventura. Secondo l'accusa si tratterebbe di una cifra nell'ordine di alcune centinaia di migliaia di euro. L'inchiesta è stata condotta dal pm Silvia Bonardi e se ne è avuta notizia solamente in data odierna, lunedì 14 ottobre, a seguito della prima udienza del processo che la vede imputata. Ovvia e netta è stata la difesa dei legali rappresentati di Simona Ventura, Jacopo Pensa e Federico Papa, che rigettano con forza le accuse di evasione. “Non si tratta in alcun modo di evasione ma di una scelta fiscale operata dai professionisti che l’Agenzia delle Entrate non ha ritenuto efficace”, riferiscono i due difensori di Simona Ventura. Adesso è loro compito seguire l'iter giudiziario e trovare la miglior soluzione per la loro assistita. Per il momento Simona Ventura non ha ancora rilasciato alcuna dichiarazione in merito ma ha giustamente lasciato che a parlare fossero i suoi avvocati. Il processo è solo al suo primo step e si prevede che la strada per giungere alla conclusione definitiva sia ancora lunga. La notizia giunge a pochi giorni dalla denuncia ai danni di suo figlio Nicolò Bettarini per diffamazione da parte del suo ex legale nella vicenda dell'aggressione fuori dalla discoteca di Milano. Quel processo lo vede coinvolto come unica vittima di quella folle notte di un anno fa, quando il giovane erede di Stefano Bettarini e Simona Ventura fu raggiunto da diverse coltellate.
Da repubblica.it il 14 Ottobre 2019. La conduttrice tv Simona Ventura è imputata a Milano per dichiarazione infedele dei redditi, tra il 2012 e il 2015, per alcune centinaia di migliaia di euro in relazione a contratti sullo sfruttamento dei diritti di immagine. In sostanza, secondo le indagini della Gdf e della Procura milanese, tra il 2012 e il 2015 la conduttrice avrebbe addebitato parte dei suoi ricavi e dei suoi costi ad una società, la Ventidue srl, quando, invece, avrebbe dovuto addebitarli a se stessa come persona fisica e avrebbero dovuto, dunque, entrare nella sua dichiarazione dei redditi e non in quella della società. Dell'inchiesta della pm Silvia Bonardi si è saputo oggi con la prima udienza del processo. "Non si tratta in alcun modo di evasione - hanno detto i legali Jacopo Pensa e Federico Papa - ma di una scelta fiscale operata dai professionisti che l'Agenzia delle Entrate non ha ritenuto efficace. Simona Ventura nulla ha a che fare con questa scelta fiscale operata dai professionisti, ha da subito aderito all'avviso dell'Agenzia delle Entrate e sta pagando il debito tributario, essendo comunque lei la titolare dei diritti e dei doveri tributari". Al centro dell'indagine che contesta un'evasione di imposte per qualche centinaia di migliaia di euro, in particolare, i compensi relativi a contratti sullo sfruttamento dei diritti di immagine per la sua attività professionale. Contratti di questo genere - con una parte dei compensi pagata direttamente agli artisti e un'altra parte a società riconducibili - che negli ultimi anni hanno spesso fatto finire nei guai col Fisco diversi vip. Per la difesa, a Simona Ventura non può essere contestata alcuna evasione fiscale, perché da parte sua non c'è stato alcun dolo e lei, in sostanza, ha soltanto utilizzato uno schema fiscale predisposto dai professionisti. Oggi alla prima udienza, davanti al giudice Sandro Saba della seconda sezione penale del Tribunale milanese, è stato ascoltato come testimone un investigatore della Gdf e il processo proseguirà a gennaio.
Il figlio di Simona Ventura denunciato dall’ex avvocato per diffamazione. Pubblicato giovedì, 10 ottobre 2019 da Corriere.it. Niccolò Bettarini, il figlio 20enne dell’ex calciatore Stefano e della conduttrice tv Simona Ventura, è indagato per diffamazione nei confronti del suo ormai ex legale, l’avvocato Alessandra Calabrò, che lo rappresentò come parte civile nel processo di primo grado a carico dei quattro giovani che, il primo luglio 2018, lo hanno colpito con coltellate, calci e pugni fuori dalla discoteca milanese «Old Fashion». Lo scorso marzo, infatti, dopo che uno degli aggressori, condannato a 9 anni, era passato dal carcere ai domiciliari, Bettarini si era lasciato andare su Instagram ad un duro «attacco» non solo nei confronti del giudice, ma anche dell’avvocato Calabrò, lamentandosi, tra le altre cose, delle parcelle. Il legale, dunque, che aveva già rimesso il mandato perché il giovane non aveva pagato i compensi che le doveva (l’avvocato ha ottenuto, nel frattempo, anche un decreto ingiuntivo), lo ha denunciato per diffamazione. Del fascicolo se ne occupa il pm di Milano Elio Ramondini.
Niccolò Bettarini indagato per diffamazione: offese su Instagram la sua avvocata per la parcella. Il figlio di Simona Ventura e dell'ex calciatore Stefano denunciato dal suo ex avvocato per le frasi ritenute offensive: il legale aveva già rimesso il mandato proprio per i compensi non saldati, e per i quali ha ottenuto un decreto ingiuntivo. La Repubblica il 10 ottobre 2019. Niccolò Bettarini, il 20enne figlio dell'ex calciatore Stefano e della conduttrice tv Simona Ventura, è indagato per diffamazione nei confronti del suo ormai ex legale, l'avvocata Alessandra Calabrò, che lo rappresentò come parte civile nel processo di primo grado a carico dei quattro giovani che, il primo luglio 2018, lo hanno colpito con coltellate, calci e pugni fuori dalla discoteca milanese 'Old Fashion'. Lo scorso marzo, infatti, dopo che uno degli aggressori, condannato a 9 anni, era passato dal carcere ai domiciliari, Bettarini si era lasciato andare su Instagram ad un duro 'attacco' non solo nei confronti del giudice, ma anche dell'avvocata Calabrò, lamentandosi, tra le altre cose, delle parcelle. Il legale, dunque, che aveva già rimesso il mandato perché il giovane non aveva pagato i compensi che le doveva (l'avvocato ha ottenuto, nel frattempo, anche un decreto ingiuntivo), lo ha denunciato per diffamazione. Del fascicolo se ne occupa il pm di Milano Elio Ramondini. Da quanto si è saputo, il fascicolo è ancora in fase di indagini preliminari e se arriverà, poi, una citazione a giudizio Niccolò Bettarini dovrà affrontare un processo per diffamazione, scaturito da quella vicenda dell'aggressione, dopo una nottata passata con gli amici, che i giudici hanno qualificato come un tentato omicidio. L'avvocata Calabrò nella sua denuncia ha raccolto sia le frasi pronunciate dal giovane su Instagram che ciò che è stato riportato, poi, su alcuni media. Secondo il legale, tra l'altro, il 20enne nel suo 'attacco' sulle parcelle parlava di importi non veritieri. Nel frattempo, l'avvocato ha ottenuto un decreto ingiuntivo sui compensi che le spettavano nell'ambito di un'azione civile. Intanto, il 2 ottobre scorso è iniziato in appello il processo ai quattro aggressori condannati in primo grado a pene comprese tra i 5 e i 9 anni di reclusione. In particolare, la pena più alta era stata inflitta a Davide Caddeo, 30enne difeso dal legale Robert Ranieli e accusato di aver sferrato le otto coltellate. A marzo, il gup Guido Salvini aveva concesso a Caddeo i domiciliari, ma con "l'obbligo" di frequentare un centro di cura per tossicodipendenti e una comunità dove lavorare. Poi, il 30enne è tornato in carcere per scontare un cumulo di pene definitive per altri fatti.
Simona Ventura: «Mi sposerò con Giovanni Terzi. E l’incidente a mio figlio Niccolò mi ha cambiato la vita». La conduttrice torna in Rai con un programma sul calcio: «Ero andata in apnea e venivo considerata un problema e non una risorsa». Pubblicato giovedì, 12 settembre 2019 da Maria Volpe su Corriere.it. «Sto vivendo un momento molto felice della mia vita e della mia carriera. Sono finalmente uscita da un periodo difficile, dove non seguivo più il mio istinto, e questo mi ha fatto deragliare». Simona Ventura è raggiante, ma pacata. Ripete spesso nell’intervista che lei ha cambiato pelle dopo l’incidente accaduto al figlio Niccolò (accoltellato davanti a una discoteca milanese) e si capisce che non sono solo parole le sue. Si capisce che ha visto in faccia i contorni di una tragedia che ti può rovinare la vita in modo irreversibile e avere scampato la tragedia ti dipinge attorno una vita diversa.
Può spiegare che momento complicato ha vissuto?
«Ero andata in apnea. Non mi apprezzavo, non avevo più fiducia in me stessa. Non avevo più il coraggio di rischiare. Io, che ho sempre gettato il cuore oltre l’ostacolo ,non venivo considerata una risorsa ma un problema . Si preferiva scegliere personalità più gestibili. E piano piano mi chiudevo in un angolo».
Che cosa ha spezzato questo flusso negativo, dal punto di vista professionale?
«Prima “Amici” e “Temptation Island Vip” e poi la telefonata di Freccero a gennaio. Mi chiedeva di tornare su Rai2 per “The Voice”. Senza garanzie sul futuro, però. Senza sapere cosa avrei fatto dopo. Io ho seguito il mio istinto, sono tornata ad ascoltare il cuore e ho detto sì».
Da quel momento è cambiato tutto?
«Sì. “The Voice” è andato bene e il fatto di essere riconfermata mi ha fatto piacere. Ho lasciato a Mediaset una persona come Maria De Filippi che mi ha aiutato tanto. Le sarò sempre grata. La Fascino (la sua società di produzione), mi ha valorizzato in questi anni, ma per me era tempo di cambiare».
Mediaset e De Filippi hanno tentato di farle cambiare idea?
«Sì certo, erano dispiaciuti che me ne andassi, ma hanno capito le mie esigenze, il mio bisogno di rimettermi in gioco» .L’anno scorso di questi tempi conduceva con grande successo “Temptation Island Vip”«Sì, è vero, l’inizio del cambiamento. Un bellissimo ricordo. L’altro giorno ho fatto un post con gli auguri ad Alessia Marcuzzi. Nella mia nuova vita non c’è posto per invidie o rancori. Sono talmente felice che non ho tempo da perdere con le polemiche».
La chiamata di Freccero per tornare in Rai ha significato tornare a casa, dopo i lunghi anni tra «Quelli che il calcio» e «L’Isola dei famosi»?
«Sì certo Rai è casa, anche se un po’ lo è anche Mediaset. La Rai è complicata, ma ha un grande senso di appartenenza che mi mancava tanto. C’è un forte spirito di squadra e la squadra è più importante del singolo. E la passione per la squadra viene dalla mia cultura sportiva».
E infatti domenica 15 debutta con “La domenica Ventura” su Rai2 a mezzogiorno. Proprio perché il primo amore non si scorda mai...
«Sì, il giornalismo sportivo è il fil rouge della mia vita e della mia carriera. Non ho mai smesso di leggere tre quotidiani sportivi ogni giorno. Mi appassiona e mi diverte. Sono felice perché c’è molta collaborazione con Rai sport e non succedeva da anni: per me includere è fondamentale».
Paola Ferrari ha detto di lei: «Sicuramente Simona è la più brava conduttrice che ci sia per alcuni programmi, ma devo vedere come affronterà questa sfida. Di certo sarà divertente, ma non riesco a capire la connessione fra “Temptation Island Vip”, che ha condotto lo scorso anno, e un programma sul calcio».
«Paola Ferrari è un’amica. Disse la stessa cosa quando passai dal calcio all’intrattenimento: nel ‘94 mi portò fortuna e spero faccia altrettanto oggi. Del resto Paola mi ha aiutato all’inizio della carriera: mi vide a un concorso di bellezza e fece il mio nome a Telenova. Insomma questi endorsement mi divertono. E comunque, per rispondere alla domanda di Paola: glielo faccio vedere domenica come si fa a passare da Temptation al calcio..,»
A proposito di calcio: la sua collega e amica Antonella Clerici, grande professionista, è in un periodo di stallo con la Rai. Cosa le direbbe?
«Conosco questi momenti.. Le sono molto vicina . Ma lei è una tale professionista che le arriverà l’occasione».
Da qualche tempo è ufficiale il suo legame con Giovanni Terzi, giornalista e scrittore. Quanto ha contribuito lui in questa “mutazione”?
«Insieme ai miei figli è stato il motore del cambiamento. Dopo l’incidente di Niccolò sono tornata ad essere una persona positiva. Certi eventi arrivano per farti capire tante cose, i traumi sono segnali. E Giovanni è stato un dono del cielo. È un amore bello e inaspettato. E’ un uomo colto e profondo. E soprattutto non ci giudichiamo, ci accettiamo così come siamo».
Nozze in vista?
«È un grande amore ed è nei nostri piani».
Nei suoi post ci sono tante immagini di famiglia: cene, momenti di relax con i suoi figli, Giovanni, i suoi genitori, sua sorella Sara, il suo ex marito Stefano.
«E’ vero vivo delle belle domeniche familiari. Sono tornata ad avere un bel rapporto con la mia famiglia. Voglio godermi i miei genitori, entrambi ottantenni, sono tornata ad avere mia sorella accanto e sono felice; i miei figli mi sono vicini e provano a realizzare i loro sogni. Quanto a Stefano vorrei averlo opinionista nel programma: Stefano è il mio amuleto, in Temptation é stato fondamentale»
Lei ha condotto per due anni su La7 «Miss Italia», tornato in Rai per questa edizione. Che ne pensa? Ha ancora senso o è anacronistico?
«Non è anacronistico. E’ leggero, ma “Miss Italia” crea lavoro e opportunità alle miss che vincono e che perdono. Io l’ho fatta da concorrente come miss Muretto, da madrina di giuria , da conduttrice e ho cercato di dare una spinta innovativa al programma. Probabilmente con il pubblico de La7 centrava poco, ma in Rai può funzionare. Però, occorre svecchiarlo un po’ magari con l’uso dei social».
Lei sarà la voce narrante del programma «Il collegio» su Rai2 e ci sarà una parte anche per suo figlio Niccolo farà «Il collegio off” sul web.
«Io non ho perorato la causa, ha fatto tutto da solo. Non mi sono intromessa».
Lo spinge o lo dissuade dal fare tv?
«Né uno né l’altro. Lascio che lui faccia la sua strada come vuole».
E anche l’altro suo figlio Giacomo sogna il mondo dello spettacolo?
«Lui vorrebbe entrare nel centro sperimentale di cinematografia di Roma: fin da bambino aveva un amore pazzesco per il cinema. E a Londra ha fatto una scuola di teatro».
Infine la “piccola” Caterina che va in terza media. Com’è l’adolescenza di una figlia femmina?
«L’adolescenza può essere tosta , ma lei è eccezionale, aiuta me e i suoi fratelli . Siamo una famiglia unita , comunque nessuno ti dà la patente di buon genitore. Facciamo del nostro meglio».
Il momento più alto e quello più basso della sua carriera?
«Il più alto è sempre il prossimo. Bassi ce ne sono stati diversi, ma tutti sono serviti ad essere la persona che sono adesso».
Ha mai pensato di mollare?
«Sì, l’ho pensato. Quando esci dal giro è difficile rientrare. Ci hanno anche provato in molti a mettermi i bastoni tra le ruote: sono sempre stato un personaggio che divide. Ma la gente ha captato quanto ho sofferto e ha capito che sono stata leale e non ho mai giocato sporco».
Aveva un piano B?
«Sì, aprire un ristorante. Anche ora ho un piano B, aiuta sempre nella vita. Ora per esempio ho aperto una mia società di produzione e magari sarà il mio futuro».
Qual è la sua ambizione professionale?
«Tornare a coprire le mie posizioni di un tempo».
Ce la farà?
«Una cosa è certa: io non mollo mai. I miei detrattori mi devono abbattere».
Cristina Rogledi per “Oggi” il 21 novembre 2019. I «primi due giorni li abbiamo passati a dormire ma questa vacanza è davvero il nostro piccolo angolo di Paradiso», racconta Simona con la voce squillante di chi è felice. È nell'Oceano Indiano, a Mauritius per la precisione, con il fidanzato, Giovanni Terzi, ed è il loro primo vero viaggio insieme. «Siamo arrivati qui stanchissimi per il lavoro, per la gestione delle nostre rispettive tribù di figli, per le mille cose da fare e finalmente abbiamo un po' di tempo tutto per noi. È una vacanza meravigliosa arrivata al momento giusto», dice Simona entusiasta.
È anche un momento speciale per te e Giovanni, vero?
Simona «Sì, molto speciale. Siamo pazzi di gioia perché festeggiamo il nostro primo anno d'amore e capita proprio qui a Mauritius con Oggi che ci è testimone dopo che, proprio un anno fa, fu il vostro direttore a farci incontrare a una cena. È bello festeggiare con voi questo anno fantastico, intenso, pieno di cambiamenti. Essere qui è il regalo più bello che potessimo desiderare».
Giovanni. «Il nostro è stato un incontro speciale, unico. Per capire: il giorno dopo la famosa cena in cui ci siamo rivisti dopo anni, Simona mi ha scritto un messaggio con la scusa di farmi i complimenti per il mio libro e io non aspettavo altro, ero emozionatissimo. Mi era successa una cosa magica: dentro di me sapevo che l'avrei amata. Infatti da quel momento non ci siamo più lasciati e ci siamo baciati solo un mese e mezzo dopo perché era quasi superfluo, era un di più che coronava un sentimento che è stato subito forte. Io dovevo ancora baciarla e già sapevo che non ci saremmo più lasciati. È lei che aspettavo».
È il primo viaggio esotico che fate insieme?
S. «È in assoluto il primo viaggio che facciamo insieme perché abbiamo sempre fatto vacanze di due, massimo tre giorni. Non potevamo allontanarci per impegni di lavoro. Ci sembra ancora un sogno avere una settimana tutta per noi. Oggi andremo a fare snorkeling perché Giovanni non l'ha mai fatto. Poi cominceremo a giocare a tennis, a fare lunghe passeggiate e fare palestra. Io sono diplomata Isef e gli farò da coach. È bello avere la possibilità di prenderci cura di noi stessi in mezzo a questa natura meravigliosa».
È una sorta di luna di miele, avete detto. Quindi avete già fissato la data delle nozze?
S. «No, non ancora, sappiamo solo che sarà nel 2020 e siamo tutti e due dell'idea che succederà all'improvviso. Sarete i primi a saperlo perché siete i testimoni di quello che è nato tra me e Giovanni».
G. «È vero, posso giurare che non c'è una data, che sarà nel 2020, anche se per me è come se già fossimo sposati».
Simona lei ha fatto il primo passo verso Giovanni dopo la cena galeotta. Chi ha chiesto a chi, di sposarlo?
S. «Ma, non saprei, forse è meglio che lo racconti Giovanni».
G. «Io sono un uomo vero, ci tengo a certe cose: gliel'ho chiesto io, ci mancherebbe! Anche se a dire il vero dopo pochi giorni che stavamo insieme, un po' scherzando, un po' no, ho cominciato a parlare di nozze perché ho subito perso la testa per Simona. Quello che sento per lei è talmente importante che desidero tutto: lei è l'amore travolgente della mia vita. È arrivata e ha messo ordine, la sua presenza ha sistemato la mia esistenza. Sento che posso fare l'uomo vero ma, dall'altra parte, mi sento anche protetto da una donna forte e genero-sa come lei».
Giovanni la sua allora è stata una richiesta con tanto di anello e frase di rito pronunciata in ginocchio?
G. «No, l'anello ancora non c'è ma, naturalmente, arriverà».
E che cosa vi siete regalati per il primo anno insieme?
S. «Non potevamo farci regalo più bello che essere qui. A costo di sembrare smielata voglio dire che ancora oggi, dopo dodici mesi insieme, mi sveglio ogni mattina e non mi capacito come la vita abbia potuto farmi un regalo così grande. Mi sento una donna fortunata. Dopo questa vacanza magari ci faremo anche un regalo ma non è così importante, siamo felici di trascorrere del tempo insieme».
Quando si parla di nozze o si abita già insieme o nei progetti c'è una casa insieme. A che punto siete?
S. «Abbiamo già trovato la casa in cui abiteremo. E a brevissimo faremo il trasloco del secolo», ride Simona. «Sarà da ridere unire due case ma non vedo l'ora».
Vi fa paura l'idea di convivere? È una svolta decisiva.
S. «No, anzi, mi piace l'idea di poter tentare di avere una vita con Giovanni. Non mi aspettavo di innamorarmi ancora e di trovare l'uomo della mia vita. So che ci saranno dei momenti di adattamento, anche per i nostri rispettivi figli, ma so anche che potrò appoggiarmi a lui a 360 gradi perché è la mia quercia. Ci aiutiamo a vicenda e condividiamo tutto, non credo che scoprirò lati inediti. Con Giovanni ci diciamo tutto, parliamo delle nostre difficoltà, dei reciproci malesseri, delle gioie, dei nostri bisogni... So che posso fare affidamento su di lui. Non dico che sarà tutto sempre semplice perché io ho un carattere particolare e, come dico sempre, sono una locomotiva con molti vagoni, ma io e Giovanni siamo alleati, remiamo dalla stessa parte, e le difficoltà le affrontiamo assieme, non ci chiudiamo ciascuno nel suo mondo. Saremo abbastanza forti da poter affrontare tutto. E poi Giovanni ama i miei figli e li rispetta, è un uomo che unisce, che riconcilia, che ci aiuta a stare tutti insieme. Di questo gli sarò sempre grata».
G. «No, io non ho paura di Simona perché è una donna di una dolcezza e di una generosità incredibile con chi ama. Non mi interessa molto cosa sceglierà di mettere in casa, se il mio mobile o il suo, mi interessa stare insieme. Sono altrove in questo momento: il nostro progetto vale di più di ogni criticità anche perché nella mia testa l'amore vero supera tutto ».
Lei è un uomo romantico d'altri tempi Giovanni.
G. «Sì! E lo è anche Simona nel privato. È una donna che dà moltissimo amore. Mi sono innamorato di lei anche per come ama i suoi figli e la sua famiglia. Una donna così non poteva non essere speciale. Da lei mi sento amato in tutto e per tutto. È forte, è intensa, è presente, è affettuosa...».
I vostri figli come hanno preso il vostro progetto di matrimonio?
S. «I miei tre figli sono felici di vedermi finalmente serena e contenta. Sanno che c'è questo progetto ma non abbiamo ancora parlato a tu per tu con loro proprio perché non abbiamo ancora organizzato nulla. Io parto dal fatto che i miei figli adorano Giovanni e lui li ricambia, quindi casa nostra sarà una casa inclusiva, dove ognuno di loro avrà il suo spazio. La cosa bella è che anche i miei genitori e mia sorella, persino il mio ex marito, Stefano, tutti vogliono bene a Giovanni e questo rende tutto semplice. Ogni cosa sta andando altre ogni più rosea aspettativa».
G. «Io ci tengo ad aggiungere che anche Simona ha un bellissimo rapporto con i miei figli e con la mia ex moglie. È importante perché se tutti stiamo bene, se i rapporti sono di rispetto reciproco, le cose girano bene e tutti possono essere felici, non soltanto io e Simona. È importante».
Più che una casa, allora, vi servirà un castello...
S. «Io e Giovanni vogliamo davvero preparare una casa in cui tutti saranno inclusi. I miei figli maschi sono maggiorenni e sceglieranno da soli dove stare e per quanto tempo, ma avranno la loro stanza, sempre. Giacomo è tornato in Italia dopo due anni trascorsi a Londra a studiare teatro e adesso frequenterà una scuola di recitazione italiana. Niccolò ha appena finito di lavorare al Collegio off ( spin-off del programma che ripercorre le esperienze dei protagonisti della scorsa edizione, ndr) e dovrà decidere per altri progetti. Caterina è ancora piccola e naturalmente starà con noi. Per me si avvera il più grande sogno: avere vicino tutte le persone che amo e tutte in armonia.
G. «Mio figlio Lodovico ha 26 anni, Giulio io, e anche loro stanno bene con Simona. Non vedo alcuna criticità all'orizzonte».
Simona sui social è stato annunciato che chiude Domenica Ventura. Sono di più le gioie personali in questo momento...
«Sono disinformati, semplicemente la trasmissione cambia titolo, si chiamerà Settimana Ventura e ci saranno alcune belle novità nel format. Abbiamo fatto un punto e mezzo in più di ascolti, stiamo crescendo piano piano, come ogni nuovo programma. Tra l'altro la trasmissione si è sempre fermata quando non c'è il campionato, non è una novità. E poi le fake news non mi toccano minimamente. Va tutto bene e dal 24 novembre ci rivedremo su Rai 2. Sono soddisfatta del lavoro anche perché in questi giorni è uscito in tutte il mio nuovo libro Codice Ventura, dedicato agli Anni 80. Affronto tutti i temi, dall'amicizia all'amore, visti attraverso gli Anni 8o e le mie esperienze».
Adesso che vi conoscete bene, che cosa amate in particolare uno dell'altro?
S. «Io di Giovanni adoro la capacità di proteggermi e il suo essere inclusivo con tutta lamia famiglia. Amo il suo non aver paura di quella che sono e che rappresento. E poi lui è una persona calda, accogliente, dolcissima, so di potermi fidare. Ero certa che non mi sarebbe più successo di avere fiducia e, invece, è arrivato lui. Con Giovanni posso essere me stessa, il più grande dono che possa farmi ogni giorno. E poi abbiamo gli stessi obiettivi e abbiamo vissuto difficoltà simili, ci capiamo al volo».
G. «Io amo Simona perché oltre a essere bellissima per me rappresenta la fedeltà e l'affidabilità. Il pubblico la vede come la donna di spettacolo, in realtà lei è una donna d'altri tempi. Mi sono innamorato di lei anche per come ama i suoi figli: una donna così sa amare profondamente. Io l'ho sentito subito, non mi ero sbagliato».
LA BUONA VENTURA. Alessio Poeta per Gay.it il 28 giugno 2019. Da piccola era una bambina piuttosto timida, poi che da grande sia diventa una delle conduttrici più amate ed esplosive del piccolo schermo è un’altra storia. Una delle tante che Simona Ventura ha raccontato e continuerà a raccontare nella prossima stagione televisiva. «I progetti? Tanti, ma dobbiamo aspettare il 9 luglio, giorno della presentazione dei palinsesti Rai, per poterne parlare.» Quel che è certo è che stasera Super Simo, come la chiamano i suoi aficionados, ritirerà dalle mani di Lorenzo Bosio, al Padova Pride Village, il premio “Persona LGBT dell’anno“. Un riconoscimento speciale per chi, nell’anno, si è contraddistinto per la difesa dei diritti delle persone gay, lesbiche, bisessuali e trans.
Si è mai chiesta del perché il mondo gay sia da sempre così vicino a lei?
«Potrei dirle mille cose, ma sono fortemente convinta che chi mi segue sa perfettamente che non ho mai avuto un pregiudizio in tutta la mia vita. Non ho mai vissuto la sessualità come un problema e le persone, di qualunque orientamento fossero, le ho sempre valutate in base alle loro azioni».
Il Gay Pride, come manifestazione, le piace?
«La verità? Molto! È una manifestazione pacifica, colorata e divertente dove non si celebra solo l’orgoglio gay, ma anche la libertà di amare e di essere se stessi».
Pensa sia ancora utile, quindi, marciare sulle note di "I Will Survive"?
«Non è utile: è doveroso. E poi, per alleggerire, con questo caldo, ci marcerei subito anch’io! Non sia mai perdessi qualche kg.. (ride, ndr)»
Rimprovera qualcosa alla comunità LGBT?
«Non rimprovero nulla, ma penso che il mondo gay non debba più sentirsi e considerarsi una minoranza. C’è ancora molto da fare e questo lo sappiamo bene, ma non possiamo far finta che grandi passi, tutto sommato, siano stati fatti».
Pensa che il mondo gay pecchi di vittimismo?
«No, ma una cosa è certa: dovrebbe pretendere di contare molto di più. La comunità deve pretendere gli stessi diritti e, naturalmente, anche gli stessi doveri. Siamo tutti uguali, ed è arrivata l’ora di finirla con tutte queste differenziazioni. Anche se poi, guardandomi attorno, vedo ancora gente che usa e strumentalizza l’omosessualità per i propri affari, e a me, questo, in tutta sincerità, non è mai piaciuto».
Voci più che attendibili dicono che una sua collega abbia fatto il diavolo a quattro per impedire che le venisse dato, stasera, il premio come "Persona LGBT dell’anno".
«Non voglio crederci, ma se così fosse sarebbe grave. Molto più grave di quello che si può pensare».
Lei, per sua stessa ammissione, è una donna pop e il pubblico pop, si sa, ama i dualismi. Secondo lei, per il pubblico, chi è la sua antagonista?
«Nella mia storia professionale ne ho avute diverse, anche se poi, da una parte ci sono io e, dall’altra, quelle che “venturizzano”. Ho creato, involontariamente, tante piccole creature che tributano la mia carriera ogni giorno e le dirò: ne vado orgogliosa. Vorrà dire che sono un ottimo esempio, e poi la verità è che non ho mai avuto molto tempo libero per stare a pensare a chi mi odia e chi mi ama».
C’è una leggenda sul suo conto che conosce e che avrebbe voglia di smentire?
«Ho delle simpatiche colleghe che si sono divertite a dire in giro che sono una grande stronza, piuttosto che una brutta persona. E c’è stata gente che, senza avermi mai incontrata, gli ha anche creduto. Poi, conoscendomi, fortunatamente, questi boccaloni, nell’accezione bonaria del termine, si sono ricreduti subito, ma non mi chieda di farle i nomi: non sono come loro».
Voltiamo pagina. “Quelli di sinistra pensano che io sia di destra e quelli di destra pensano che io sia di sinistra. Che pensino quel che vogliono, a me piace arrivare a tutti”. Ha mai pensato di scendere in politica?
«No, mi voglio ancora troppo bene per poter fare un passo del genere. Battute a parte, a me la politica piace. La seguo con un certo interesse, essendo una cittadina attiva, ma anche qui, il vero problema, è che non mi interessano gli schieramenti, quanto le persone. Ho sempre preteso di fare una tv che non avesse né padri, né padrini, ma che fosse indirizzata solo ed esclusivamente al pubblico».
Ci dica almeno se gliel’hanno mai proposta.
«Sì, è capitato, ma per come vivo la vita, sarebbe davvero difficile stare lì ed attendere tutti i tempi che la giustizia richiede. Io, se c’è da fare, voglio fare tutto e subito. E poi, onestamente, penso che la politica si possa fare anche lontana dai palazzi».
Ragionando per assurdo e ipotizzando il suo ingresso in Parlamento, quali sono le prime cose alle quali si dedicherebbe?
«Mi occuperei subito dell’affido e delle adozioni. Due temi che conosco molto da vicino».
Pensa che sia arrivato il momento per aprire le adozioni a single e a coppie dello stesso sesso?
«È una battaglia che porto avanti da anni, anche se so che è già capitato che alcuni Tribunali dei Minori abbiano affidato a coppie dello stesso sesso dei bambini. La cosa ancora più assurda, indipendentemente dal sesso dei genitori, è che i tempi per adottare arrivino a toccare anche i tre anni. I tempi di adottabilità devono stringersi e bisogna farlo subito».
Se uno dei suoi figli le dicesse: “Mamma sono gay”, lei, in tutta sincerità, come reagirebbe?
«L’unica cosa che mi preme è che i miei figli siano persone perbene».
E allora come si spiega certe chiusure da parte di alcuni genitori a ridosso di un coming out?
«Purtroppo non esiste una patente per essere dei bravi genitori, ma sono certa che il buon senso e l’amore vincano sempre su tutto».
Voltando pagina, il suo motto è sempre stato "Crederci sempre, arrendersi mai", ma c’è mai stato un momento, in così tanti anni di carriera, dove ha pensato di mollare tutto?
«Tantissime volte, ma credo sia normale. Spesso, per amor di battuta, l’ho detto anche ai miei figli chiedendogli di non venirmi a cercare nemmeno a "Chi l’ha visto?". A ogni modo, da un anno a questa parte, tutto è cambiato. Mi sono liberata da tante cose negative e infatti oggi, all’orizzonte, vedo solo tanta positività».
Spesso chi ha vissuto e chi vive i suoi ritmi lavorativi perde di vista il contatto con la realtà. A lei è mai capitato?
«Non mi è mai capitato perché quando andavo benissimo nel lavoro, avevo una vita privata che lasciava piuttosto a desiderare, mentre quando accadeva il contrario, puntualmente, succedeva qualcos’altro che scombussolava, di nuovo, tutti i miei piani».
Delirio di onnipotenza?
«Ne ho visto tanto, soprattutto ultimamente, ma nel mio caso no, mai. E poi sono fortemente convinta che il delirio di onnipotenza sia solo l’inizio della fine».
Pochi giorni fa, ospite di Marco Marra nel programma "La Mia Passione", ha parlato dell’infelice esperienza, non come conduttrice, ma come naufraga, a L’Isola dei Famosi. Ha detto: “Non l’ho mai più guardata per tutto le cose che sono successe e che ho saputo dopo. Sinceramente non mi aspettavo ci fosse un odio così viscerale nei miei confronti. Hanno tentato di farmi del male.” Con la sincerità che la contraddistingue, chi è che ha provato ha far del male a Super Simo?
Tutto passa, tutto passa, tutto passa. Perché rivangare?
Tergiversa. «Ho detto che dopo quell’esperienza non ho più guardato nulla, ed è la verità. È stata una parentesi della mia vita molto difficile e di grande sofferenza. Sono una persona perbene e quando mi fanno del male, come tutti, soffro, ma ora è il momento di guardare avanti».
Allora ci dica la verità. A settembre tornerà alla guida di "Quelli che il calcio" come si vocifera?
«No comment!»
Pechino Express: sì o no?
«No!»
In un’intervista ha fatto sapere che le piacerebbe riportare in Rai i reality show. Pensa che riuscirà a portare a casa quest’ennesima sfida?
«Credo di sì e sono certa che i reality, in Rai, possano avere ancora grandi occasioni. Cosa vuole che le dica? Magari accadrà tutto prima di quello che il pubblico da casa può pensare».
L’Isola?
«No: ha ancora un anno di contratto con Mediaset e poi non è più il programma, da 40% di share, che facevo io».
The Voice of Italy: sfida vinta?
«Direi di sì. Tutti i target di pubblico sono cresciuti esponenzialmente, ho riportato i più giovani davanti la tv e abbiamo fatto il pieno di sponsor, cosa da non sottovalutare. È stato un piccolo gioiello di questa stagione televisiva e io sono molto contenta».
Nell’ultima puntata ha lasciato intendere che il suo percorso con il talent musicale di Rai2 non finisce qui.
«Chi può dirlo? Bisogna aspettare il 9 di luglio».
Morgan, uno dei quattro giudici del suo talent, pochi giorni fa ha dovuto abbandonare, per uno sfratto esecutivo, la sua abitazione. Lasciandola ha dichiarato che nessun amico o collega ha mosso un dito per aiutarlo. Una come lei, in certe situazioni, cosa pensa?
«Morgan ha tanta gente che gli vuole bene e questo posso assicurarglielo. Spesso esagera con le esternazioni, ma sono certa che tornerà più forte di prima. Io, dal mio, lo supporto e lo continuerò a supportare».
C’è stato un periodo in cui alcuni dei suoi programmi venivano appellati come trash. Oggi, invece, gode di una di beatificazione. Gli stessi critici che le davano della trashona, la rimpiangono. È cambiata lei, sono cambiati loro o è l’asticella del trash ad essersi alzata notevolmente?
«L’asticella si è abbassata, altro che alzata! Direi che si è alzata, invece, quella della violenza verbale. Nei miei programmi c’erano delle emozioni ed erano comprensibili certe discussioni, ma non si è mai sconfinato e quando è stato fatto sono sempre stati presi i dovuti provvedimenti».
Lei ha lanciato tanti personaggi. C’è qualcuno al quale, tornasse indietro, toglierebbe volentieri le batterie?
«Non tutti mi sono stati riconoscenti, ma poco importa. Se qualche mia collega, oggi, si diverte a chiamare tutti i personaggi che ho lanciato io, vuol dire che ho fatto un ottimo lavoro e che sono sempre stata avanti nelle scelte fatte».
Lunedì è partita una nuova edizione di Temptation Island. Lei ha condotto l’edizione vip che, ancora oggi, sembrerebbe essere il programma più visto della scorsa stagione. Chi le piacerebbe che ereditasse il suo posto?
«Tutti e nessuno. Quando prendo un programma in mano succede sempre la stessa cosa: me lo cucio addosso e quindi, inevitabilmente, per chiunque arriva dopo, è molto più difficile del previsto. Temptation è un programma che mi manca molto, così come il gruppo di Maria. Filippo è centratissimo e io tifo per lui».
Nessuna domanda sul suo privato, ma una domanda ce l’ho. Vista la morbosità che ha subito, prima con Bettarini e poi con Gerò, come mai non ha deciso di tutelare la sua nuova storia d’amore con Giovanni Terzi?
«I media, nelle mie precedenti relazioni, mi hanno fatto penare un po’, ma oggi sono così forte e felice che non ho nessun problema a dire e a mostrare, pubblicamente, quello che sento».
"SUPERSIMO" IS BACK: "IN TANTI MI VOLEVANO MALE E ASPETTAVANO SOLO CHE IO MOLLASSI. Maria Volpe per il Corriere della Sera il 30 aprile 2019. Eccoci al nuovo capitolo della terza/quarta vita di Simona Ventura: «The Voice of Italy» su Rai2, stasera (2a puntata). «Sono felice: nella prima puntata abbiamo recuperato un pubblico giovanissimo che si era perso. Nella fascia 8-14 anni e laureati siamo andati bene e questa è una grande soddisfazione. Il racconto è moderno e veloce».
Prime sensazioni che ha provato tornando in Rai?
«Come se 8 anni non fossero mai passati. Ho ritrovato un affetto straordinario, un senso di appartenenza».
Ha scelto 4 coach - Morgan, Gigi D' Alessio, Gué Pequeno e Elettra Lamborghini - molto diversi tra loro.
«Scelte precise per coprire l' arco dei diversi gusti musicali. Alcuni di loro li conoscevo già, altri li ho scelti a istinto».
Poche parole per descrivere ciascuno di loro dal punto di vista umano. Morgan?
«È un seduttore, si viene rapiti dalla sua cultura».
Gigi D' Alessio?
«Un grande musicista che ha subìto troppi pregiudizi, e io voglio essere un coltello nel burro dei pregiudizi».
Elettra Lamborghini ?
«Donna di grande umanità, inaspettatamente dolcissima, simpatica, protettiva».
Gué Pequeno?
«Duro e puro. È un uomo di grande maturità, che fa scelte razionali».
Di talent e reality ne ha condotti davvero tanti e diversi tra loro, ma «L' Isola dei famosi» resta un trofeo.
«Per me è una storia di vita, una scommessa vinta. L' idea di prendere personaggi noti e metterli su un' isola per la lotta alla sopravvivenza fu un grande successo. E da lì sono venuti fuori vari personaggi, penso a Francesco Facchinetti e Belén».
«L' Isola» lei l' ha vissuta anche da concorrente, unico caso nella storia della tv...
«Mi ha fatto dimagrire 10 kg e disintossicare dagli smartphone. Non è poco..»
Diplomatica... Simona: la rivendica come esperienza o non la rifarebbe più?
«La rivendico: in quel momento per me rappresentava l' opportunità per tornare a Mediaset e l' ho sfruttata fino in fondo».
L' onestà le fa onore. E che è successo poi?
«Maria De Filippi mi ha chiamata e mi ha fatto fare "Selfie - Le cose cambiano" e poi "Temptation Island vip" che a oggi è il reality più visto della scorsa stagione».
De Filippi poi l' ha voluta anche ad «Amici».
«Una bellissima esperienza perché entrambe abbiamo l' idea di voler dare un' opportunità ai ragazzi, soprattutto dopo, quando finisce la trasmissione».
Il rapporto con Maria ?
«Di amicizia stretta. Le sarò sempre riconoscente per l' opportunità che mi ha dato».
A «Quelli che il calcio» scoprì molti talenti.
«È vero, penso a Crozza, Max Tortora, Virginia Raffaele, Cattelan. C' era un modo di trattare il calcio che non c' è più: finita la poesia, tutto appiattito sui soldi, sui diritti televisivi. Il calcio spezzatino rende tutto impossibile. Domenica hanno fatto il 5 e mezzo di share e non è certo colpa di Luca e Paolo. È difficile».
Lei ha condotto anche «Le Iene», che oggi divide.
«Io li ho contro il martedì e mi dispiace... perché hanno una forza incredibile. Sono autorevoli e l' autorevolezza non si compra, si guadagna sul campo».
C' è stato un momento in cui ha pensato di mollare?
«No, perché non volevo darla vinta a tutti quelli che mi volevano male e aspettavano solo che io mollassi. Più mi fai male, più mi rendi forte. Io sono fortunata perché la vita mi ha ripagata di tutto».
Com' è questa fase della sua vita?
«Colorata, piena, risolta».
Ha fatto pace con il suo ex marito Stefano Bettarini, ha un nuovo amore, Giovanni Terzi. Ha una grande famiglia allargata .
«Il cerchio si è chiuso. Con Stefano abbiamo recuperato un rapporto importante, è il padre dei miei figli. E poi è arrivato l' amore del tutto inaspettato. Ci siamo subito capiti e fusi: siamo uno, non due. E abbiamo tanti sogni da realizzare insieme».
· Antonella Clerici, pop e imperfetta.
La fake news su Antonella Clerici: “Consiglierei investimenti in bitcoin, ma non so cosa siano”. Antonella Clerici protagonista di una notizia falsa che la conduttrice ha prontamente smentito sui social: "Consiglierei investimenti in Bitcoin, ma non lo farei mai". Luana Rosato, Mercoledì 13/11/2019, su Il Giornale. Come molti altri personaggi noti del mondo dello spettacolo, anche Antonella Clerici è finita al centro di una fake news che ha voluto prontamente smentire sui social. La conduttrice Rai ha spiegato quanto accaduto tramite il suo profilo Instagram e sottolineato di non essere assolutamente a conoscenza degli investimenti in Bitcoin di cui si sarebbe fatta promotrice. “Gira su vari social la fake ews che io consiglierei investimenti di bitcoin o affini( non so neanche cosa sono) – ha sbottato la Clerici allegando una sua immagine in primo piano – . È falso. Diffidate non consiglierei mai una cosa del genereÈ falso. Diffidate non consiglierei mai una cosa del genere”. In tanti, dunque, si sono riversati sul suo profilo social per sostenerla e spiegarle di non aver mai creduto a questa notizia sul suo conto. “Conoscendoti Antonella non ho minimamente pensato che fosse vero”, “Lo sappiamo che sono solo falsità, tu devi stare tranquilla, ma devi denunciare alla polizia postale”, le hanno scritto alcuni follower, “Ne ero certa. Ma hai fatto bene a scrivere questo post”, “Grazie Antonella per averci allertati da questi imbroglioni brava”, “È una truffa, non avrei mai creduto che ne eri coinvolta perchè sei pulita, sincera e altruista”, hanno continuato a commentare alcuni fan della conduttrice.
Sul suo conto, intanto, iniziano a circolare delle voci che potrebbero essere fondate e non delle fake news, e che riguarderebbero il suo futuro professionale. Si dice, infatti, che Antonella Clerici potrebbe tornare al timone de La Prova del Cuoco: dopo essere stata lasciata momentaneamente in panchina dalla Rai, i rumors raccontano che la conduttrice sarebbe in trattative con i vertici di Viale Mazzini per il ritorno al programma culinario attualmente nelle mani di Elisa Isoardi. Da quando La Prova del Cuoco ha cambiato conduzione, sono tanti coloro che auspicano ad un ritorno della Clerici ai fornelli, che aveva deciso di abbandonare il programma per dedicarsi alla famiglia e agli affetti. “Mi manca un po’ la tv perché mi è stata tolta in maniera ingiusta, brusca e senza motivazione – aveva detto ai microfoni di Verissimo - . Mi manca di non poter avere della progettualità, se non per cose piccole, quando ero abituata a cose più importanti”. “Lavorare tutti i giorni per 18 anni a Roma quando la vita mi riportava di nuovo al nord mi ha portata a fare le scelte – aveva aggiunto - .Se penso a Fabrizio quando è venuto a trovarmi il giorno del mio compleanno, il 6 dicembre, e che dopo tre mesi lui non c’era più, ecco questa cosa mi ha forse fatto scegliere, ancora più velocemente, una vita più privata”.
Antonella Clerici, pop e imperfetta: "Sono andata in onda con le corna e con le coliche". La conduttrice, da "La prova del cuoco" a "Portobello", protagonista di un intenso incontro al Festival della tv e dei nuovi media di Dogliani: "Sogno una trasmissione di cucina dal mio bosco". Silvia Fumarola il 3 maggio 2019 su La Repubblica. Orgogliosamente pop, top giallo e giacca fucsia, le sneaker che sono un arcobaleno di colori. "Le ho comprate online, sono numero 39. Io porto il 40 ma erano così belle che non ho resistito". Il ciclone Antonella Clerici conquista il Festival della Tv e dei nuovi media di Dogliani. Pubblico in delirio, le signore in fila per farsi il selfie, l'editore Urbano Cairo che le urla: "Quando vieni a La7?", la conduttrice si racconta nell’incontro con Alessandra Comazzi e si leva qualche sassolino dalle scarpe: "Il Sanremo del 2010? Sì, è stato un successo ma so che molti cantanti non sono voluti venire proprio perché lo presentavo io, perché ero troppo pop ‘sapevo troppo di sugo’". Qualcuno si sarà pentito visti gli ascolti, certo quell’edizione passò alla storia della tv perché i professori d’orchestra strapparono gli spartiti. "Fu bellissimo, io ci sguazzo in quelle cose lì, mi piace molto l’anello che non tiene perché mi piace la diretta. La diretta è la vita che passa in quel momento. Con la protesta dell’orchestra sarei andata avanti per ore. Sanremo non mi ha fatto paura, ho pensato a mia madre – che ho perso da giovane – lei che mi diceva: fai come se fosse La prova del cuoco". Laurea in Giurisprudenza, giornalista sportiva, poi conduttrice da La prova del cuoco al Treno dei desideri, da Ti lascio una canzone a Portobello. "Scelgo sempre con la pancia, d'istinto - racconta Clerici - ma non sono ipocrita, oggi si fa presto a dire che una trasmissione è un successo, ma Portobello non lo è stato. Quando mi sono trovata a farlo ho capito che era superato. Tutti i programmi contenevano già Portobello". Della sua lunga carriera è soddisfatta, ma ha tenuto sempre a mente l’insegnamento di Pippo Baudo. "Pippo mi disse: Antonella, inizia facile. Non complicare, non dire troppe cose. L’ho fatto anche all’Arena di Verona, ho detto: Scatenate l’inferno". Primadonna, ma sempre con ironia, confessa che non ama condurre in coppia "perché ho il mio ritmo, il mio sentimento. Sono sempre me stessa, nel bene e nel male". Poi fa ridere tutti "sono solo leggermente più magra ‘da viva’ (non dice ‘dal vivo’, ndr), io non so perché, ma la tv mi ingrassa". Lo ripete con semplicità, "io sono sempre più avanti. Adesso, per esempio, ho in mente un programma di cucina trasmesso dal mio bosco, dove si cucina, si chiacchiera, si va nell’orto. Io sono orgogliosamente provinciale, so cosa vuol dire nascere in un piccolo centro, conquistare il mondo e poi tornare indietro. Non sono un’imprenditrice, ma televisivamente mi piacerebbe fare qualcosa da casa". Ha condotto per diciotto anni La prova del cuoco, ma la cucina era nel destino. "Quando ero a Mediaset dissi a Giorgio Gori: facciamo un programma di cucina. Mi rispose: Non funzionerà mai. Per la legge del contrappasso ora ha la cognata (Benedetta Parodi, ndr) che impazza. Se l’avessi fatto a Mediaset ora avrei comprato mezza Roma". Spiega ridendo che è stata l'unica ad aver restituito i soldi quando lavorava a Mediaset, perché decise di lasciare. "Veramente lo fece anche Baudo, lui restituì un palazzo. Poi Marco Bassetti mi propose il format della Prova del cuoco, io sono molto legata alla Rai - spiega - per me la tv è la Rai. Vorrei smettere un attimo prima di stufare le persone e me stessa". Oggi che vive in Piemonte col compagno Vittorio Garrone, in un casale che è anche azienda agricola, in mezzo al bosco, ha l'aria felice. "Ho una passione quasi sessuale per il cibo - confessa - per me quelli che non amano il cibo fanno male anche tutto il resto. Ho costruito tutta la mia carriera sulle imperfezioni, non mi piace la perfezione. Il rapporto col pubblico è vero, diretto. Sono andata in onda con le coliche, con le corna, e la gente mi chiedeva: Antonella, che hai? Tutti i grandi conduttori devono passare per un programma quotidiano". Non ama i social, spiega che con Elisa Isoardi non c'è nessun attrito, "anzi la sprono". Della nuova generazione di conduttori le piace molto Alessandro Cattelan "ma deve sporcarsi un po' di sugo, perchè è un po' troppo fighetto". Lei, orgogliosamente popolare, è felice quando la fermano per strada "perché la notorietà è bella. Non ha senso mettersi la parrucca e gli occhiali neri. La mia amica Laura Pausini mi dice che per andare a fare shopping si mette la parrucca e non la riconoscono, finché non parla. A me non dà fastidio se la gente mi ferma, ma mia figlia Maelle protesta. 'Fai come Laura', mi dice". A 56 anni ha l'aria di una donna appagata: "Io sono una persona normale che fa un lavoro eccezionale", dice salutando, mentre il pubblico corre ad abbracciarla.
Simonetta Sciandivasci per “la Verità” il 19 giugno 2019. Meglio del posto alle Poste c'è quello al ministero e meglio di quello al ministero c'è il posto in Rai, che però spesso è traballante, osteggiato e assediato e conteso come e più del Trono di spade. Antonella Clerici, quindi, la capiamo, pur dal basso delle nostre grame carriere che, monetizzate, non valgono una stagione della Prova del cuoco, neanche intera. Tuttavia, da quando i palinsesti sono stati decisi, giorni fa, la reazione di Antonella è diventata un feuilletton melodrammatico a puntate insostenibile, un Clarissa di Samuel Richardson minore (molto minore). Non se ne può più. Dov'è finita la dolorosa ma reattiva sportività (finta, va bene, ma esiste qualcosa di vero, a questo mondo?) che sfoggiava quando si faceva fotografare nella sua nuova vita dopo che le era succeduta Elisa Isoardi? Non erano molti mesi fa, si diceva felice di fare la mamma (ed era facile leggere tra le righe quanto non le bastasse, e quanto fosse incazzata, ed era più facile provare un po' d'empatia, se non proprio simpatia). Adesso invece è tutto esploso, e sarà l'estate, che non è bella per niente e nessuno mai, altrimenti non esisterebbero mica gli acqua park, e Clerici ha perso i freni inibitori e dice cose come «Ho la sensazione che qualcosa si sia rotto» e «Non voglio fare da tappabuchi» (così al Corriere, quando le è stato domandato se le abbiano effettivamente proposto la conduzione dello Zecchino d'oro). Naturalmente, non manca il miserere del rinfaccio: io ero «un soldato», io avrei potuto chiedere di più ma non ho mai puntato i piedi, io non mi sono mai tirata indietro. Lo spettacolo invecchia male, in Italia, la Rai ammuffisce, il futuro è altrove, però capiamo che per una che considera il pubblico «il solo sovrano possibile», sedere sul soglio di Rai 1 sembri ancora un elisir di vita eterna. Tuttavia, quando gli amori s' allentano, la maniera migliore per riacciuffarli è lasciarli andare a fare i loro lunghi infiniti giri, alla fine dei quali, secondo le statistiche, poi tornano e stringono i lacci di nuovo. E se anche così non dovesse succedere, diamine, al popolo sovrano vengano date le brioche e le baguette e risparmiate le poste del cuore delle conduttrici pensionabili. Purtroppo, la riconoscenza per i soldati non esiste, è una orribile verità, e la dice sempre il pubblico sovrano.
Renato Franco per il “Corriere della sera” il 18 giugno 2019. Antonella Clerici è fuori dai palinsesti Rai della prossima stagione, a dispetto di un anno di contratto e nonostante in giro non si vedano tutti questi fenomeni della conduzione.
È più delusa, arrabbiata o dispiaciuta?
«Prevale il dispiacere che è un sentimento più profondo dell' arrabbiatura: la rabbia si accende e si spegne, il dispiacere rimane. Ho la sensazione che si sia rotto qualcosa: mi sento sopportata piuttosto che supportata».
Che spiegazione si dà?
«Ci sta che un direttore decida di cambiare. Ma qui ci sono anche due aspetti da valutare: c' è un contratto in corso e dovrebbe valere anche quello che uno ha fatto per l' azienda. Sono sempre stata un soldato per la Rai, ho sempre detto di sì, non mi sono mai tirata indietro, anche quando dopo il Sanremo del 2010 potevo permettermi di puntare i piedi: ma non fa parte del mio carattere e non l' ho mai fatto».
Manca la sintonia con la direttrice di Rai1 Teresa De Santis?
«Ci siamo viste a lungo, abbiamo parlato di un emotainment, valutato l' ipotesi di un Sanremo Kids ... Ma dall' ultimo colloquio che ho avuto con lei sono uscita con l' idea che non fosse uno scambio di progetti ma di opinioni. Ho capito che vengo vista come una che deve essere messa da qualche parte, non come un cavallo su cui puntare».
Si parlava di un progetto sulle Teche Rai...
«Penso che la Rai dovrebbe guardare avanti piuttosto che al passato. La Rai ha un marchio fortissimo come Sanremo ma lo usa solo 5 giorni l' anno per il Festival. Sanremo Young o Sanremo Kids possono essere una chiave, però bisogna crederci, con una striscia quotidiana, con provini diffusi, con il coinvolgimento dei social... Il primo anno di Sanremo Young è stato ottimo, il secondo meno, ma è stato fatto di corsa, senza supporto».
C' è chi le rinfaccia pure «Portobello»...
«Mi aspettavo di più anche io, ho ammesso - e non sono in tanti a farlo - che è stato un errore farlo, non mi tiro indietro. Ma ha avuto una media del 16,5% di share, miglior risultato di un programma di intrattenimento al sabato negli ultimi 3 anni».
Le hanno proposto lo Zecchino d' oro.
«Ma non un progetto complessivo. Non voglio fare da tappabuchi, anche perché non penso di meritarlo. E sono anche stufa di fare come in passato: partivo lancia in resta e mi trovavo da sola con la spada sguainata».
Mediaset, La7, Discovery: chi l' ha cercata?
«In tanti, ma non faccio nomi. Mi ha fatto molto piacere, come quando stai con un fidanzato che non ti guarda più e incontri persone che ti fanno un sacco di complimenti. Ho ancora un anno di contratto, ma non mi piace ricevere il bonifico mensile senza fare niente: io voglio lavorare».
Rai1 punta molto sulla fiction e meno sull' intrattenimento...
«Mi sembra comunque strano che non si trovi con 7 sere a disposizione una collocazione per me: significa che non vuoi trovarla».
È da 33 anni in Rai, la prima crisi?
«Nel 1998, non volevo fare più Unomattina , rimasi ferma e feci 6 mesi a Mediaset. Avevo il pallino della cucina, e quando tornai riuscii a fare La prova del cuoco che fu una svolta per la mia carriera».
La seconda?
«La più dura. Quando ero incinta mi fecero fuori dalla Prova del cuoco , ma poi arrivò Sanremo: pensavano fosse una anno di transizione per il Festival, invece fu un successo. E per me una rivincita».
E ora?
«È sempre stato così: da una crisi è nato qualcosa di bello. La mia prima scelta rimane la Rai, ma vedremo. Mi piace la Serie A, non i campetti di provincia».
Essere sovranisti magari avrebbe aiutato ad avere un posto in prima serata?
«Pensare che sono di Legnano, cresciuta in piazza Carroccio... Io sono sempre voluta rimanere fuori dalla politica, l' unica cosa sovrana per me è il pubblico. Quando ti schieri hai il tuo momento, ma se non vali poi torni dove eri. E comunque a tutti fa comodo che tu sia bravo piuttosto che schierato».
Rai, Antonella Clerici: perché non è uno scandalo se sta ferma un turno. Giampiero De Chiara il 20 Luglio 2019 su Libero Quotidiano. Il primo pensiero che viene in mente, sapendo di guadagnare in un anno oltre un milione di euro (1.2 per la precisione) senza dover lavorare, è scontato: tutti vorrebbero essere nei panni di Antonella Clerici, snobbata dalla Rai rea secondo la presentatrice di non averle affidato nessuna trasmissione nel palinsesto autunnale e di pagarla per non farla lavorare. Per lei la direttrice di Rai Uno Teresa De Santis, ha previsto "soltanto" la conduzione dello Zecchino d' oro (che la stessa Clerici ha fatto sapere di non gradire) e l' ipotesi solo accennata di un Sanremo Kids. Ora per una che ha presentato il Festival di Sanremo, prima come spalla del conduttore Paolo Bonolis (2005) e poi in solitario (2010) con successo e con ottimi ascolti, ed essere anche stata uno dei volti del sabato sera della rete ammiraglia di Viale Mazzini (Ti lascio una canzone - 2008/20015), vedersi offrire una versione baby di Sanremo e la serata finale dello spettacolo del Coro dell' Antoniano di Bologna, deve essere, per i suoi canoni, frustrante. il suo sfogo Lei non ha fatto nulla per nasconderlo. «Ho capito che vengo vista come una che deve essere messa da qualche parte, non come un cavallo su cui puntare. Non voglio fare da tappabuchi, anche perché non penso di meritarlo. Mi piace giocare in Serie A, non mi accontento dei campetti di provincia. E sono anche stufa di fare come in passato: partivo lancia in resta e mi trovavo da sola con la spada sguainata», ha spiegato al Corriere della sera. Uno sfogo che non è passato inosservato in Rai e che deve aver fatto smuovere qualcosa. TvBlog ha infatti anticipato che la finale di Miss Italia, dopo la rinuncia di La7 a trasmetterla, potrebbe sbarcare su Raiuno il 6 settembre probabilmente proprio con la conduzione di Antonella. Una sorta di compensazione che però non soddisferebbe completamente la Clerici, vogliosa di avere un programma tutto suo a cadenza settimanale e in prima serata, ma che potrebbe chetarla. Lei però non sente la fiducia della nuova dirigenza Rai: «Io e la direttrice di Rai Uno abbiamo parlato, ma dall' ultimo colloquio che ho avuto con lei sono uscita con l' idea che non fosse uno scambio di progetti ma di opinioni». tradimento L' ansia di dover restare ferma un giro, non la rende tranquilla. Dal 1987, anno del suo esordio in Rai, ha sempre lavorato crescendo di anno in anno con una lunga gavetta. «La mia prima scelta rimane la Rai, ma vedremo. Essere cercata da altre reti mi ha fatto molto piacere, come quando stai con un fidanzato che non ti guarda più e incontri persone che ti fanno un sacco di complimenti. Ho ancora un anno di contratto, ma non mi piace ricevere il bonifico mensile senza fare niente: io voglio lavorare», ha rivelato al Corriere della sera adombrando la possibilità di «tradire» Mamma Rai. Certo è che dopo oltre trent' anni di onorato servizio con la tv di Stato, stare ferma un giro (con la possibilità comunque di condurre tre prime serate) non sarebbe certo scandaloso. Il rischio di finire come il protagonista di Un ragazzo, il romanzo di Nick Hornby in cui il protagonista guadagnava milioni senza mai lavorare con il solo timore di annoiarsi, è una prospettiva che certo potrebbe succederle, ma che molti al suo posto vorrebbero tanto avere. Giampiero De Chiara
· Fabio Volo.
Da La Repubblica il 17 settembre 2019. "Non voglio parlare di Fabio Volo o a Fabio Volo. Ho una lettera per Ariana Grande. Ariana". La scrittrice Michela Murgia interviene così, nel TgZero di Radio Capital, nella polemica sollevata da Fabio Volo che nel corso della sua trasmissione radiofonica “Il Volo del mattino” aveva criticato i video della cantante pop Ariana Grande, giudicandoli - senza mezzi termini - troppo provocanti. Travolto dalle critiche sui social, Volo ha in seguito replicato, difendendo la sua posizione e dichiarando che il suo intento non era quello di offendere né Ariana Grande né le donne in generale, bensì - al contrario - di condannare una visone sessista del corpo femminile.
Fabio Volo: "Molestie? Quando facevo il cantante un produttore gay si fece avanti". Fabio Volo protagonista dell'irriverente intervista de Le Iene: l'autore e conduttore ha risposto a tutte le domande, anche le più scomode, svelando il segreto del suo successo in libreria. Luana Rosato, Mercoledì 20/11/2019 su Il Giornale. Autore, scrittore, conduttore radiofonico e televisivo, Fabio Volo si è prestato per una intervista de Le Iene, programma di cui è stato volto storico e al quale ha rimproverato il fatto di non averlo mai “cag..o tanto”. “Sono Fabio Volo, conduco un programma alla radio, scrivo libri, sceneggiature...faccio tutto, tranne che lavorare”, ha esordito lui, invitato dall’inviato in giacca e cravatta a presentarsi prima di sottoporsi alle sue irriverenti domande. Ammettendo che vent’anni fa non si vedeva come è oggi, lo scrittore ha ricordato i suoi venticinque anni quando “dormiva poco, si faceva le canne e non pensava alle conseguenze delle cose”. Oggi, invece, quel modo di essere è completamente svanito e Volo ha ammesso di essere cambiato: “Sono più attento a tutto, mi spaventano più cose”. Lui, che da piccolo voleva fare il panettiere, che ha frequentato la scuola fino alla terza media e che non ha mai ambito all’università, è autore di dieci libri, l’ultimo uscito poche settimane fa. “Il mio ultimo libro, ‘Una gran voglia di vivere’, dovrebbe essere letto perché vi aiuta a vivere meglio – ha detto lui, che ha spiegato cosa lo spinge a scrivere - . Scrivo libri non per rispondere, ma per chiedere”. Felice per essere riuscito a vendere 8 milioni di copie con i suoi libri, è certo che un tale successo dipenda dal fatto che “scrivo per la gente, non ho le seghe mentali che può avere un intellettuale che deve piacere al suo amico così gli dà il premio”. Proprio questo riscontro di pubblico, però, ha reso Fabio Volo uno degli autori meno amati dai colleghi. “C’è qualcuno che mi odia, anche se poi mi saluta – ha raccontato lui - . Baricco una volta mi ha detto: ‘Vendo abbastanza per non odiarti’. Di solito, quelli che non mi odiano tanto, sono quelli che vivono di scrittura”. Dopo aver passato in rassegna i suoi difetti fisici e commentato il gossip da cui è spesso assente perché “lui che spinge i figli sull’altalena è troppo noioso”, Fabio Volo si è prestato per le domande Le Iene “che imbarazzano tutti”. “Ho avuto un centinaio di donne, quasi tutte perché sono famoso, tranne quelle all’estero – ha iniziato a rivelare - . Non ho mai ricevuto lavoro in cambio di sesso, non mi è mai capitato ma, in tal caso, avrei accettato”. Volo, inoltre, ha confessato di essere stato molestato all’inizio della sua carriera: “Mi è successo una volta, quando facevo il cantante. Un produttore gay mi chiese ‘se ce n’era’...ma ho rifiutato”. Oggi legato a Johanna Hauksdottir e padre di due figli, Fabio Volo ha ammesso che “per quello che spende, potrebbe anche non lavorare”. “I lussi che mi concedo sono l’analista e il personal trainer – ha spiegato, ricordando di aver buttato i soldi solo in un’occasione - . Una sera, non so perché, ho preso una birra analcolica. Forse quelli sono i soldi spesi peggio”.
Da Trendit.it il 17 settembre 2019. Ieri Fabio Volo è stato accusato dai social di aver fatto un discorso inopportuno in riferimento ad Ariana Grande, la celebre cantante “colpevole” di aver realizzato un video, a detto di Volo, troppo esplicito e con riferimenti sessuali: un pessimo esempio quindi per le migliaia di ragazzine che seguono la star. Centinaia di commenti e decine di articoli sono stati scritti per puntare il dito contro lo scrittore, che su Instagram, attraverso qualche commento, aveva respinto qualunque accusa ed aveva dato appuntamento ad oggi, col suo programma in radio, per dare la sua versione dei fatti. Ecco cosa ha detto poco fa Volo in radio, dopo aver mandato in onda il brano incriminato, 7 rings. Mi fanno ancora male le ginocchia perché ero a quattro zampe come lei che la volevo imitare e ieri, per aver detto che mi sembra strano che sia tutto ok che una persona che parla ai ragazzi giovani usi comportamenti esplicitamente di riferimenti sessuali, in un momento in cui c’è il Me Too ecc… mi sembrava di aver fatto un bel discorso per le donne. Ieri ho subito una shitstorm, una tempesta di merda. Ero a casa e stavo correggendo il mio libro… Vedo sotto l’ultima foto che ho messo centinaia di commenti tipo “muori, morite tu e i tuoi figli di cancro”… Quando uno mi insulta cancello e lo blocco. Se critichi e basta, puoi stare lì. Per come sono educato io, se mio padre avesse letto cose del genere scritte da me, mi avrebbe dato delle pacche. Però siccome adesso i figli imitano anche i genitori…Poi ho anche pensato “meno male sia successo a me, perché ho capito i ragazzini che subiscono questa violenza che poi si buttano dal balcone… perché è una cosa talmente aggressiva… poi con quel linguaggio…” Io cercavo anche di rispondere “non ho mai detto a una donna puttana”. Era a favore delle donne…Ma poi arrivano quelli seri, Repubblica, Corriere…Ma poi qui a Il Volo del Mattino siamo come una famiglia, e ad esempio in famiglia uno si permette di dire cose che vanno un po’ fuori, perché certo io ho detto “per come è vestita, uno che la guarda direbbe “chi è ‘sto puttanun?”, ma io lo dico perché voi siete un po’ la mia famiglia. Ieri mi son trovato accusato di qualcosa che non ho fatto, ho detto il contrario. Io chiedo scusa ai fan di Ariana, ma io non ho mai detto che è una puttana. Poi capisco che voi avete bisogno di amare fortemente qualcuno perché siete lì su un’isola da soli… I vostri genitori dovrebbero fare una riunione e dire “ma dove eri dove quando tuo figlio augurava la morte a una persona?”. È stata solo una seccatura per me, ma se cagano così davanti ad una persona che non ha gli strumenti per reggere, quella cosa lì ti soffoca… Guardate quello che scrivono i vostri figli.
Giorgia Iovane per tvblog.it l'8 novembre 2019.Botta e risposta, a distanza e su mezzi diversi, tra Fabio volo e l'ex direttore di Rai 3 Andrea Vianello. "In questa intervista a Libero di oggi, Fabio Volo si stupisce ancora oggi che il suo programma su Raitre venne sostituito da Gazebo senza motivo. Ammetto, sono io il colpevole. Ho puntato su Zoro, Makkox e company, e ne sono orgoglioso. Mi sa che era un buon motivo. Eh, sì...". Così Andrea Vianello 'risponde' via Twitter a una frecciatina arrivata da Fabio Volo a mezzo intervista rilasciata a Libero, in edicola oggi, 8 novembre 2019. Un'intervista sulla sua attività di doppiatore, di scrittore e di autore tv (che non si trova con la tv attuale, rea di non dar spazio alla sua voglia di innovare, dice) nella quale torna sull'esperienza di Volo in diretta, in onda per due stagioni su Rai 3, dal marzo 2012 al febbraio 2013 in seconda serata, con 33 puntate quotidiane nella prima e 43 nella seconda e un ascolto oscillante tra un minimo di 309.000, 2,06% (13 dicembre 2012) e un massimo di 1.507.000, 10,54% (settima puntata, 3 aprile 2012). Il direttore di Rai 3 all'epoca era Andrea Vianello. Nell'intervista a Libero, a Volo viene chiesto "come si spiega" che nonostante - o proprio per - le tante vendite stia "sulle scatole a parecchia gente". E nella risposta arriva la frecciatina alla Rai 3 "che fu": "Dà fastidio proprio il fatto che io venda sempre oltre 1 milione di copie. Per questo tutti mi aspettano al varco. Quando feci il programma su Rai Tre, scrissero che fu un flop. Mi sostituirono con Gazebo che faceva meno ascolti, ma nessuno ha più detto niente" riferendosi essenzialmente a chi ha i fucili puntati contro di lui, in primis critici e giornalisti. La risposta, infatti, prosegue così: "Comunque le critiche sono colpi a salve: non mi feriscono perché i giornalisti non sono una comunità che frequento o alla quale voglio appartenere. Io parlo alla gente: è da lì che vengo".
Il passaggio sulla cancellazione di Volo in Diretta non sfugge ad Andrea Vianello, che replica a mezzo Twitter. Chiamato in causa - verrebbe da dire nella doppia veste di giornalista e di direttore di rete all'epoca -, Vianello non si tira indietro, anzi rivendica la bontà della sua scelta. "Era un buon motivo", aggiunge, facendo intendere che la natura e qualità dei due programmi fossero decisamente diversi. "Eh, sì". Forse gli ascolti non erano la principale causa del mancato rinnovo. Per la precisione, l'esperienza di Gazebo su Rai 3, iniziata il 3 marzo 2013, è durata fino al 2017 tra spazi di seconda serata e promozioni in prime time. Col passaggio di Andrea Salerno su La7 anche il programma ha traslocato sulla rete di Cairo dove continua a fare opinione e community nel prime time del venerdì. Dal canto suo, sempre nell'intervista a Libero, Volo lamenta la mancanza di spazio in tv, nonostante le idee proposte: "Avrei qualche idea per nuovi programmi di intrattenimento ma da quando in tv i manager hanno sostituito gli imprenditori non mi riconosco più nelle logiche di lavoro. Io voglio innovare" e anche più di Fiorello, visto che "Fiorello fa Fiorello. È bravissimo e usa, da numero 1, tutti i suoi talenti ma la grammatica di cui si avvale è quella di Alighiero Noschese. Io vorrei sperimentare linguaggi nuovi". I manager tv sono avvertiti.
Francesca D'Angelo per Libero Quotidiano l'8 novembre 2019. Il pubblico lo adora. La critica decisamente meno. Lui, a conti fatti, pare che se ne freghi. Fabio Volo tira dritto perché, più che compiacere, vuole spaziare tra i generi e giocare con i linguaggi. Proprio la voglia di innovare lo ha portato a cimentarsi con un doppiaggio audace: è la voce narrante di Ailo. Il film, in sala dal 14 novembre, è un documentario pensato per sensibilizzare i bambini sul mondo animale e sull' emergenza climatica. Al centro, il viaggio tra i ghiacci di un piccolo cucciolo di renna. Si dice che le nuove generazioni siano molto sensibili alle cause ecologiche.
«Speriamo che duri. All' epoca anche i NoGlobal con Manu Chao ci sembravano una gran cosa e poi, alla fine, abbiamo detto: "Manu, ciao!"».
Qui però saremmo davanti a un cambio di mentalità.
«In realtà è un cambiamento che arriva dall' alto: è una questione di business, più che di sensibilità. Siamo in un' epoca consumistica e molte aziende, prima di Greta, hanno intravisto un business, iniziando a investire sul Green. A noi consumatori piace perché comprare prodotti bio ci fa sentire meno in colpa».
Ma alla fine chi è più insensibile alla causa: i cittadini o i politici?
«Su certi temi una parte di italiani è più avanti dei politici.
Chi ci governa sta però attento a parlare, perché cerca il consenso. Vale per tutti, sia destra che sinistra».
Per questo c' è chi ha proposto di togliere il voto alle persone più anziane?
«Non ho mai capito questi distinguo anagrafici, nemmeno quando si dice "Fate largo ai giovani" o "Fate largo alle donne". Io direi: "Largo ai bravi!".
Non penso che Renzo Piano valga meno di un 20enne poiché anziano. Quanto al voto, al massimo farei distinzione tra persone informate e non: se serve la patente per il motorino, è giusto che chi va a votare sia minimamente preparato».
Dovrebbe valere in primis per chi governa.
«Chi governa conta poco: i poteri forti che decidono sono altri e quando entri in certi meccanismi o ti adegui o sei fuori. Non si possono cambiare le regole».
A proposito di «largo ai bravi», il suo nuovo libro Una grande voglia di vivere spopola ma lei sta ancora sulle scatole a parecchia gente. Come se lo spiega?
«Dà fastidio proprio il fatto che io venda sempre oltre 1 milione di copie. Per questo tutti mi aspettano al varco. Quando feci il programma su Rai Tre (Volo in diretta, ndr), scrissero che fu un flop. Mi sostituirono con Gazebo che faceva meno ascolti, ma nessuno ha più detto niente. Comunque le critiche sono colpi a salve: non mi feriscono perché i giornalisti non sono una comunità che frequento o alla quale voglio appartenere. Io parlo alla gente: è da lì che vengo».
Peggio i critici o gli haters?
«Il disagio è lo stesso: se la società ti impedisce di esprimerti, costruisci la tua identità dando un giudizio sul lavoro altrui. Non è invidia ma mancanza di espressione».
Ultimamente, dai libri ad Untraditional, lei gioca a mischiare finzione ed esperienze personali. Non teme di risultare autoreferenziale?
«No: parlo di me per parlare degli altri. La mia esperienza è solo uno spunto, che poi amplifico. La riprova è che in passato mi chiesero di scrivere la mia autobiografia ma rifiutai».
Quando tornerà in tv?
«Sto sviluppando una serie ispirata ai miei libri. Avrei qualche idea per nuovi programmi di intrattenimento ma da quando in tv i manager hanno sostituito gli imprenditori non mi riconosco più nelle logiche di lavoro. Io voglio innovare».
Come Fiorello?
«Fiorello fa Fiorello. È bravissimo e usa, da n° 1, tutti i suoi talenti ma la grammatica di cui si avvale è quella di Alighiero Noschese. Io vorrei sperimentare linguaggi nuovi».
Il Volo confessa: "In valigia non mancano preservativi per il sesso sicuro". Il Volo racconta i primi dieci anni di carriera in giro per il mondo e il trio di tenori svela quel particolare che non manca mai quando sono in giro per lavoro: i preservativi. Luana Rosato, Mercoledì 06/11/2019, su Il Giornale. Piero Barone, Ignazio Boschetto e Gianluca Ginoble avevano solo 14 anni quando hanno iniziato la carriera di tenori e, per festeggiare il loro decimo anniversario, hanno preparato un album celebrativo, mentre a gennaio partiranno per un tour in America del Nord e accoglieranno i fan italiani nelle date dei due concerti-evento del 30 agosto all’Arena di Verona e del 4 settembre al Teatro Antico di Taormina. Ed è proprio durante i lunghi viaggi in giro per il mondo, che i tre tenori de Il Volo hanno confessato di portare sempre con sé in valigia dei preservativi. Intervistati da Il Fatto Quotidiano, Barone, Boschetto e Ginoble hanno rivelato: “Cosa non deve mai mancare? Preservativi per il sesso sicuro (Ignazio si definisce ‘un ragazzo protettivo’, ndr), il completino da palestra con le scarpe, le mutande, le cuffiette e i medicinali”. I tre ragazzi, che non risultano essere sentimentalmente legati a qualcuno, hanno ammesso che trovare una persona che possa accettare il lavoro che li porta in giro per il mondo può essere molto difficile. “Il rapporto d’amore è la cosa più difficile da concretizzare per noi. Ma se è un amore sincero e vero, non ci sono barriere né distanze che tengano – hanno detto, raccontando di sentire molto spesso la mancanza della famiglia e degli affetti - .Sentiamo il senso di solitudine, paradossalmente anche nei momenti di grande confusione, in cui c’è tanta gente… In quei momenti può capitare che ci si sente soli. Per fortuna noi siamo in tre ed è il lato positivo di essere un gruppo, quindi ci sosteniamo a vicenda in quei momenti difficili”. “Siamo legatissimi alla famiglia. Non è facile stare tanto tempo lontani dai nostri affetti perché siamo cresciuti insieme e tutto è iniziato con loro a ‘Ti lascio una canzone’Siamo legatissimi alla famiglia. Non è facile stare tanto tempo lontani dai nostri affetti perché siamo cresciuti insieme e tutto è iniziato con loro a "Ti lascio una canzone" – hanno continuato a spiegare - . Per quanto bene ci possiamo volere noi tre, niente potrà sostituire la nostra vera famiglia, che spesso ci manca quando siamo in viaggio… Non si riesce ad avere un contatto diretto con loro”. Consapevoli che spesso il successo abbia anche un prezzo molto caro da pagare, il trio de Il Volo è pronto a continuare a raccogliere riconoscimenti in tutto il mondo facendo musica. “[...] Questi primi dieci anni sono solo una piccola virgola, un giro verso i prossimi dieci insieme – hanno detto, spiegando di aver imparato a farsi scivolare addosso anche le critiche degli hater - . Ognuno è libero di poter esprimersi, però tutto è più semplice dietro la scrivania e davanti a un computer. Sono le stesse persone che non avrebbero il coraggio di alzare la voce, quando si trovano faccia a faccia. È anche il rovescio della medaglia degli haters. Col tempo abbiamo imparato a farci scivolare le cose da dosso. Accettiamo i consigli, le critiche e pure le offese perché consentono di farci crescere e intercettare quello che pensa la gente di noi”.
· Marisa Berenson.
Valerio Cappelli per il “Corriere della Sera” il 26 giugno 2019. Marisa Berenson e l’incarnazione dello chic. A casa dei suoi genitori a Natale c’erano Greta Garbo e Audrey Hepburn. E’ stata fra le prime top model, amica di Dali, ha lavorato per Visconti e Kubrick. E nell’immaginario, a 72 anni, continua a rimanere la moglie malinconica di Barry Lyndon. Appartiene a una famiglia importante che ha vissuto in maniera esagerata privilegi e drammi: ha perso sua sorella l’11 settembre del 2001 nell’attacco terroristico alle Torri Gemelle. Il 29 giugno al Festival di Spoleto porta Berlin Kabarett di Stephan Druet, che ha de- buttato con grande successo (tre riprese) a Parigi. «Una esperienza del tutto inattesa».
Perchè?
«Per la prima volta ballo e canto. Sono la proprietaria di un cabaret nella Repubblica di Weimar. Donna tremenda, marcia; una ex prostituta disposta a tutto per sopravvive- re. Si concede ai nazisti in un mondo dominato da decadenza dei costumi e miseria economica».
Cosa vedremo in scena?
«Il mio ufficio, il diario dove annoto tutto, una scatola con i soldi, le sigarette, il rossetto. In scena siamo in sette, un attore interpreta mio figlio che e un travestito che detesto. Poi i musicisti. Fuori c’e l’Apocalisse, dentro il locale invece la liberta più sfrenata, un mondo a parte».
Non aveva mai cantato.
«No, soltanto un disco con Tom Jones, pensare che amo il jazz, Ella Fitzgerald, Billie Holiday. E ho sempre studiato il ballo. E’ una cosa diversa da tutto quello che ho fatto finora, anche se per l’epoca e le atmosfere ricorda molto Cabaret, il film che feci con Liza Minnelli, di cui sono molto amica: malgrado tutto ciò che ha vissuto, e divertente, gene- rosa, piena d’amore. Ha un coraggio pazzesco. In questo spettacolo realizzo il mio sogno di una commedia musicale».
Oggi si può essere seducenti a ogni età.
Sorride: «In scena porto le calze a rete. La sensualità ce l‘hai dentro, non dipende dall’anagrafe, in giro vedi ragazze fredde come ghiaccioli. Ballare per me è una cosa naturale. Mi tengo in forma con le diete e l’esercizio, lo yoga. Ho una filosofia olistica che pratico da anni, mi suggerisce come devo essere all’interno del mio corpo e all’esterno, nell’anima».
I suoi incontri leggendari.
«Andy Warhol scherniva la gente ricca, Truman Capote era un piccolo uomo complessato. Il cinema...Visconti lo conobbi attraverso Helmut Berger, in Morte a Venezia mi diede un ruolo non sapendo se potevo recitare. Ha creduto in me. Hai la mia benedizione, mi disse. Kubrick non era difficile come si dice. Sono persone fuori dalla norma. Barry Lyndon fu una sorta di incantesimo, di cui pero re- stai prigioniera. Per un’attrice e importante anche uscire da una immagine. Quella donna e rimasta dentro di me per molto tempo».
Ma Lady Lyndon sembrava il suo ritratto...
«Rispecchiava la mia malinconia. Ora lo sono molto meno. Fa parte della vita, liberarsi di certe cose. Sono cresciuta in un ambiente severo e aristocratico, ho perso mio padre che avevo 16 anni, ho cominciato a fare la fotografa, a cercare la mia indipendenza. Sono cresciuta accanto a donne molto forti, mia madre e mia nonna...».
La celebre stilista Elsa Schiaparelli.
«Per truccarsi usava la punta nera del cerino. Si oppose quando Salvador Dali, che vi- veva circondato da ghepardi, chiese di ritrarmi nuda».
Si e alleggerita malgrado il dramma di sua sorella.
«Berry e rimasta vittima dell’11 settembre. Era sul primo volo che si e schiantato sulle Torri Gemelle. Io ero su un altro aereo, che dopo l’attentato fu dirottato su un’isola dell’Oceano Atlantico e mi ritrovai bloccata per una setti- mana in una base navale. Mi restituirono un anello appartenuto a Berry, l’unico oggetto rimasto di lei, che era la moglie di Anthony Perkins. Sono tragedie che pesano. Mi ha aiutato la fede».
L’ha scoperta allora?
«No, l’ho sempre avuta. Da adolescente pensai di fare la suora in convento. Poi sono stata proiettata in un mondo che era tutto il contrario. Sen- za psicoterapeuti ho capito che si può essere spirituali e affacciarsi al mondo, dove e piu difficile vivere che in un monastero. Nella maturità, ho cercato la luce. Ho voluto evolvere. Mia figlia mi ha fatto diventare nonna di Luna».
Una nonna che la sera a teatro mette le calze a rete.
«Ho diversi corteggiatori, ma non esco con uomini giovani, dipende da cosa vuol di- re essere giovane. Sto benissimo da sola, non ho bisogno di avere un uomo nella vita, e anche bello fare la nonna. Poi se un altro amore verrà...».
· Helmut Bergher: il diavolo.
Fabrizio Barbuto per “Libero quotidiano” il 26 giugno 2019. «Durante un viaggio in Germania fui aggredita da mio marito in preda ad una crisi etilica. Era il '96, ma se ci penso mi vengono ancora i brividi perché rischiai di rimanere sfigurata. Mi salvai scappando dalla camera dell' hotel e correndo seminuda per chiedere aiuto. In Austria fu perfino peggio». È dopo due ore di dialogo che Francesca Berger - moglie di Helmut Berger dal quale è separata dal 1999 - arriva a farmi questa confessione. Ma partiamo dall' inizio, e cioè da quando la donna - che in base alle informazioni in mio possesso immagino essere furiosa verso il coniuge - mi spiazza esordendo con queste parole: «Helmut è uno dei più grandi artisti viventi». L' ammirazione di Francesca verso l' Helmut Berger personaggio non è poi così diversa da quella della stampa inglese che lo definì «Il più bello del mondo», ed ella non dissente nemmeno dal parere di personaggi come Quentin Tarantino ed Andy Warhol che, su di lui, dissero: «È il più grande attore vivente».
Più ombre che luci. Ma quando la si invita a parlare del Berger marito si adombra: «Fino ad oggi ho custodito gelosamente i retroscena della nostra vita coniugale, ma ho capito che la discrezione non paga, e me lo ricorda lui medesimo quando ricambia i miei silenzi con le più disonorevoli diffamazioni. A suo dire sarei una ladra che l' ha ridotto al vagabondaggio, ma a me risulta ben altro: mi deve alimenti per un ammontare di circa 650mila euro. Ecco perché si è fatto immortalare sulle panchine come un barbone. Dato che è così povero mi piacerebbe domandargli come giustifica le foto delle vacanze a Ibiza e Gstaad in compagnia di Vittorio Emanuele di Savoia? È ora che capisca che la "ragazza del sud", come era solito chiamarmi per porre l' accento sulla mia ingenuità di fanciulla meridionale, è cresciuta». È il loro primo incontro ad incuriosirmi, così la sollecito a narrarne le circostanze: «Ci siamo conosciuti al Jackie O' nel 1978. Quella sera entrò come il dio Apollo e, dopo avermi puntata, venne nella mia direzione invitandomi a ballare. La sua classe aristocratica esercitava un magnetismo incredibile, fu per questo che me ne innamorai, ma quando mi dissero che era gay infransero l' incanto. Una notte condividemmo il letto in un residence e, svegliandomi, me lo ritrovai addosso, capìi allora che le chiacchiere sul suo conto erano vere solo in parte». Francesca racconta di come Berger, a detta di molti, vivesse liberamente una sessualità che lo portò a concedersi le trasgressioni più spinte, tra orge e promiscuità. La sua disinibizione l' avrebbe indotto perfino ad intrattenere rapporti carnali con la colf che l' ha cresciuto e che lui, nel presentarla, definiva «una seconda madre». «Quando lo seppi era l' 87, e per poco non svenni. A raccontarcelo fu la colf stessa: si trovavano a Parigi, in casa del marito di Romy Schneider, ed Helmut la raggiunse in mansarda... Perpetuare quegli incontri ebbe conseguenze terribili visto il ruolo madre-figlio nel quale si identificavano: divenne una relazione tirannica in cui la donna, avendo un grande potere su di lui, estrinsecò il gusto perverso di ferirlo. Per non perdere la supremazia su Helmut ricorse all'occultismo». È inevitabile domandarsi perché Francesca abbia deciso di convolare a nozze con un uomo così inquieto: «Trascorsero sedici anni dalla nostra conoscenza prima che accettassi di sposarlo, nel frattempo ebbi una relazione con Joao Batista da Silva, padre di mia figlia Salomè. Poi ebbi un legame stabile con Gerald Bruneau. Quando lo lasciai, Helmut mi rivelò del rapporto poliamoroso avuto con lui e la moglie e non si fece scappare l' occasione per legarmi definitivamente a sé: accettai di sposarlo perché in fondo, quella simbiosi che mi vincolava a lui, la sento pulsante perfino oggi. Per convincermi a diventare sua moglie finse di aver smesso di bere, ma la messa in scena decadde la sera stessa delle nozze quando l' ubriachezza lo portò ad aggredire sua madre; la salvai per l' ennesima volta. Non fu l' unica occasione in cui diede il meglio di sé: durante una cena, con un uovo di struzzo, ruppe il labbro ad un noto giornalista. Perpetuò la sua insana gelosia anche dopo il matrimonio: sempre per ostentare il monopolio sulla mia persona, ruppe un dente ad un giornalista turco».
E con visconti... La Berger giunge ad uno dei temi più controversi attorno alla figura del marito: la relazione omosessuale con il suo pigmalione: «Helmut ebbe un legame di forte dipendenza da Visconti, ma tutti gli attori coinvolti nelle produzioni del regista sembrano marchiati a vita: ebbi una storia con Renato Salvatori, il quale manifestava la stessa subordinazione affettiva da Luchino. Se vuole sapere di più circa la passione tra Berger e Visconti, mi risulta che Helmut non sia stato il solo a condividere l' alcova col regista, fu piuttosto l' unico ad esporsi tanto da rivelarlo. Uomini e donne che hanno lavorato con Visconti, per l' idea che mi sono fatta, hanno "pagato il dazio"». Helmut Berger, il Dorian Gray del cinema europeo, è oggi un uomo appesantito dagli anni e dagli eccessi, va da sé che gli si rimproveri di essere invecchiato male. Francesca dissente: «Equivale ad un uomo di 300 anni, non posso che rimanere estasiata dal modo in cui si porta i suoi tre secoli. Non ha mai dormito, ha abusato di droghe, di sesso e di alcool; il vero traguardo, con simili presupposti, è riuscire ad invecchiare, non farlo per come il pubblico vorrebbe».
«Ma lei, piuttosto», le domando sorpreso, «come fa ad avere quest' aspetto così giovanile con quello che ha passato? Non avrà mica fatto un patto col diavolo!». «No, il diavolo l'ho sposato».
· Elisa Isoardi.
Anticipazione stampa da OGGI il 26 giugno 2019. «I sei mesi di solitudine passati dalla fine della relazione con Matteo mi sono serviti a realizzare cosa voglio e dove voglio andare. Se alle 6 del mattino mi voglio alzare e andare a fare un giro in bici, prendo e ci vado. Se voglio farmi un bagno al mare, lo faccio. Se voglio mangiare, mangio. Se voglio digiunare, idem. Io prima mica ero capace di stare così bene con me stessa», confida Elisa Isoardi al settimanale OGGI in edicola da domani, commentando la fine dei cinque anni d’amore con Salvini. Il futuro? La conduttrice sente che «sarà positivo, perché ho energia positiva in me. E guardo con serenità al mio passato, come fosse una bella biblioteca». E di Alessandro Di Paolo, con cui è stata fotografata negli ultimi tempi, dice: «È un amico come molti. Io sto così bene che un uomo adesso proprio non lo voglio».
Elisa Isoardi: “Non sono una preda: io ho sempre conquistato..” Michele Vanossi il 12 ottobre 2019 su Il Giornale Off. Da piccola faceva la chierichetta nella chiesa del suo paese in provincia di Cuneo e il suo sogno era quello di diventare una brava insegnante di Lettere; non per caso poesia, filosofia e letteratura sono i suoi interessi principali.
Poeti e scrittori che predilige?
«Sono curiosa e leggo molto, ovviamente alcuni scrittori parlano di più alla nostra essenza rispetto ad altri. Uno su tutti è Goethe. Credo che Le Affinità Elettive sia un romanzo fantastico».
Ci racconta un episodio OFF che le è capitato nella vita o nella professione?
«Me ne sono capitati tanti! Quando conducevo Linea Verde gli imprevisti erano all’ordine del giorno: cadute sui campi e trattori che non partivano (con me alla guida!). Poi c’è una cosa che non dovrei dire, ma che mi capita spesso: quando sono a casa da sola, se inizio a cucinare è meglio che nessuno mi telefoni: mi distraggo e non solo faccio bruciare i condimenti, ma anche le pentole!»
Che rapporto ha con le bugie?
«Pessimo, perché non me le ricordo e poi diventa faticosissimo raccontarle. Per me è più facile, o meno pericoloso, raccontare la verità, anche se a volte ci vuole coraggio».
E’ una “preda” difficile da conquistare?
«Ho sempre conquistato, quindi non mi riconosco nel ruolo di preda. Ma mai dire mai, potrebbe essere un’esperienza nuova».
Da 1 a 10 quanto si sente sexy?
«Direi zero. Non è un pensiero che mi occupa la mente».
Dalle foto in costume dove mostra un fisico strepitoso non si direbbe!
«È tutto frutto dell’abbinamento tra sport e buon cibo, come già in epoca romana predicava Lucio Licinio Lucullo, il primo buongustaio sportivo della storia».
Cosa sono per lei fascino, bellezza e sensualità?
«Un misto tra anima, cervello e buona genetica».
Ha appena ripreso la conduzione de La Prova del Cuoco: novità?
Innanzitutto sono contenta che accanto a me ci sia Claudio Lippi, poi sono felice anche per il ritorno di molti cuochi delle stagioni precedenti. In studio un altro protagonista è il mio adorato cagnolino Zen: nella scaletta del programma è prevista una rubrica settimanale di ricette per preparare le pappe ai nostri amici a quattro zampe utilizzando gli avanzi di cucina».
Sta anche scrivendo il suo primo libro …
«È il primo libro della Prova del Cuoco da me condotta. Sarà diverso dagli altri finora pubblicati e ricalcherà un po’ il format della trasmissione: ricette, sfide, prodotti e soprattutto cultura del cibo».
Se la cava bene ai fornelli?
«Ci provo. Mi piace cucinare per gli amici, che di solito chiedono di essere re-invitati».
Meglio farsi invitare a cena da un politico, da uno sportivo, da uno chef o da un giornalista?
«Da uno chef, almeno sai a cosa vai incontro».
Da cosa si fa conquistare a tavola?
«Da tutto ciò che è succulento, filante e gustoso. Amo anche le novità, ma sono una donna dai sapori forti».
Dagospia da Raiplayradio.it il 18 ottobre 2019. “Se con Matteo siamo rimasti amici? Si si, i nostri rapporti sono rimasti civili e cordiali. Se l'altro giorno quando non è stato bene gli ho scritto? Certo, ci mancherebbe”. A “Un Giorno da Pecora”, su Rai Radio1, Elisa Isoardi, ospite in studio della trasmissione condotta da Geppi Cucciari e Giorgio Lauro, ha parlato della relazione col suo ex, il leader della Lega Matteo Salvini, raccontando alcuni aneddoti e spiegando come la sua vita, oggi, non sia cambiata. “La mia vita è come prima: ho sempre fatto quel che dovevo fare, ho sempre lavorato. Le storie finiscono e si va avanti, non è un problema”. Quando si è personaggi pubblici come lei e Salvini è quasi impossibile non sapere che l'altro si è di nuovo fidanzato. “Secondo me se è pubblico fai ancora più attenzione, e specie uno come lui”. Non è parso che abbia fatto proprio mola attenzione...”E vabbé, le ho portate bene, cosa volete che vi dica...”, ha detto scherzando la Isoardi a 'Un Giorno da Pecora'. Quando eravate insieme, le capitava mai di 'spiare' il telefono di Salvini? “Beh si, conoscevo la sua password ma lui non lo sapeva”. E cosa ci ha trovato dentro? “Ci ho trovato quel che dovevo trovare e ho fatto le scenate che dovevo fare, come fanno tutte le coppie e come fanno le donne gelose”. E lui? “Calmo...” Ha anche 'spaccato' qualcosa quella volta? “Di tutto. A me quando vengono i cinque minuti...” Il telefonino glielo ha mai spaccato? “Si, troppe volte”. Oggi ripubblicherebbe sui social quella foto con lei e il leader leghista sdraiati sul letto? “Certo, era un momento normalissimo che è stato interpretato male”. Non si è pentita di quello scatto quindi. “Assolutamente no – ha detto la Isoardi a Rai Radio1 - non c'era nessuna malizia da parte mia”. Attualmente lei è fidanzata? “No, vi pare? Giro con un cane in borsa (Zen, il barboncino che ha portato con sé in studio, ndr) è proprio il simbolo della zitella!”. Ora che è single chissà quanti uomini la corteggeranno. “Veramente quella che ci prova, che sceglie sono io. Forse faccio paura”. Nella prefazione del suo ultimo libro "Buonissimo", appena pubblicato da Rai Libri, lei parla del suo grande legame con l'agricoltura. Le piacerebbe una volta nella vita fare il ministro dell'Agricoltura? “Non sarebbe male”. Cosa ne pensa dell'attuale titolare dell'Agricoltura, Teresa Bellanova? “E' bravissima, eccezionale, ha fatto un intervento alla Coldiretti per cui le faccio i complimenti”. Un'ultima domanda: per lei Salvini ha sbagliato a far cadere il governo? “Non lo so, non è a me che dovete chiederlo”, ha chiosato al conduttrice a "Un Giorno da Pecora".
Elisa Isoardi guarda al passato: "Io e Salvini siamo amici. Gli spiavo il cellulare..." Ai microfoni di Un Giorno da Pecora, Elisa Isoardi è tornata a parlare di Matteo Salvini e della loro storia d'amore. Giovanna Stella, Venerdì 18/10/2019, su Il Giornale. La storia d'amore tra Matteo Salvini e Elisa Isoardi è finita ormai da tempo. La conduttrice de La prova del cuoco è stata più volte criticata per il modo con il quale ha gestito questa situazione delicata. Ricordiamo, infatti, che la Isoardi aveva fatto sapere al pubblico della separazione dal leader della Lega attraverso un post Instagram. Un post che riprendeva i due in un momento intimo. Ora che il tempo è passato, Elisa Isoardi torna a parlare di quello che c'è stato con Salvini, del loro addio e di come stanno oggi le cose. Ai microfroni di Un Giorno da Pecora, la conduttrice si è raccontata senza troppi giri di parole. Ha confessato di aver scritto a Salvini qualche giorno fa quando non è stato bene ("Certo, ci mancherebbe. Siamo amici, i nostri rapporti sono rimasti civili e cordiali") e di come la sua vita non sia cambiata dopo la loro separazione: "La mia vita è come prima. Ho sempre fatto quel che dovevo fare, ho sempre lavorato. Le storie finiscono e si va avanti, non è un problema". "Quando eravate insieme, le capitava mai di 'spiare' il telefono di Salvini?", chiedono i due conduttori. "Beh sì - risponde - conoscevo la sua password ma lui non lo sapeva". "E cosa ci ha trovato dentro?", continuano. "Ci ho trovato quel che dovevo trovare e ho fatto le scenate che dovevo fare, come fanno tutte le coppie e come fanno le donne gelose", replica la Isoardi. Ma Salvini come avrà reagito al controllo della sua ex fidanzata? "Calmo...", dice la conduttrice. Fra una battuta e l'altra, la Isoardi confessa anche che quella volta (e forse non solo) gli ha "spaccato il cellulare. A me quando vengono i cinque minuti...". Ma oggi, quella foto che ha fatto così tanto discutere, la ripubblicherebbe ancora? "Certo - spiega - era un momento normalissimo che è stato interpretato male". Elisa dice di non essere assolutamente pentita per quello scatto giudicato da tutti così intimo. Anzi: "Non c'era nessuna malizia da parte mia". Lasciato da parte il leader della Lega, il passato, la loro storia e la sua versione dei fatti, cosa c'è nel futuro della Isoardi? È fidanzata? "No, vi pare? - dice -. Giro con un cane in borsa è proprio il simbolo della zitella. Quella che ci prova (con gli uomini, ndr), che sceglie sono io. Forse faccio paura".
· Le Parodi e la cucina.
Cristina Parodi e la cucina. Da raiplayradio i lunatici il 7 maggio 2019. Benedetta Parodi è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta ogni notte dall'1.30 alle 6.00 del mattino. Benedetta Parodi ha raccontato un po' di sé: "La notte? E' il momento del relax, il momento in cui non devo fare più niente. Dopo cena porto fuori il mio cane con mia figlia, Eleonora. E già quello è il nostro momento di chiacchiera, siamo noi due, parliamo tranquille. Poi torno a casa, mi strucco e magari guardo un film con la famiglia. Lo spuntino di mezzanotte? No, perché mi lavo i denti benissimo così poi non mi viene più il desiderio di mangiare. Sono una mamma molto buona, forse troppo. Però va bene così. Fabio è un pochettino più severo, io cerco di essere più accomodante, anche se ho dei paletti come l'educazione, il senso del dovere e la scuola. I miei figli sono abbastanza bravi, io sono spendacciona, quando vogliono qualcosa cerco di accontentarli. Da bambina sognavo di fare la scrittrice, non avrei mai pensato di diventare una best sellers di ricette". Sulla nascita della sua passione per la cucina: "Mi sono ritrovata ad averla quando ho conosciuto Fabio. Quando ho creato il mio nido con lui, proprio in quel momento ho iniziato ad appassionarmi alla cucina, mi piaceva l'idea che quando tornavamo a casa la sera ci fosse qualcosa di buono. Sono autodidatta, mi sono messa a studiare, a imparare. Poi si è trasformata in un lavoro. Il primo 'cotto e mangiato'? E' nato dal desiderio del mio direttore dell'epoca, che era Giorgio Mulé. Voleva una rubrica di cucina, a Studio Aperto eravamo totalmente indipendenti quando facevamo un servizio, anche nel montaggio. Ho preso 'cotto e mangiato' e me lo sono costruito su misura, a casa mia, con le mie pentole. Abbiamo mandato una puntata e da quel momento non ha mai smesso di andare in onda. Il segreto? Dieci anni fa esistevano in televisione solo i grandi chef. Io ho portato gli spinaci surgelati, il dado, cose così. All'inizio qualcuno gridava allo scandalo, ora fanno un po' tutti così". Sulla storia con Fabio Caressa: "E' il classico compagno conosciuto sul lavoro. Ho fatto uno stage all'allora Tele Più, direttore era Biscardi, Fabio era un giovane inviato. Io mi occupavo di cinema. Da lì non ci siamo più lasciati. Il primo passo lo fece lui, gli ho fatto fare tanta strada, non solo il primo passo. Ci siamo frequentati una primavera, poi d'estate le mie compagne di università lasciavano la casa, non sapevo dove andare a stare, lui mi ha chiesto di andare da lui, da lì siamo sempre vissuti insieme. Praticamente dopo due mesi eravamo già una coppia, siamo ancora qui". Sul rapporto con i social: "Non ho haters, la cucina è molto bella, nessuno mi insulta o mi tratta male, forse perché la cucina è una cosa che accomuna tutti, tutti si identificano in quello che faccio io, anche quando magari sbaglio qualcosa, perché io alla fine sono una pasticciona. Ho un buon rapporto con i social, mi diverto, sono utili. Sono anche un ottimo strumento di lavoro. Qualche maniaco sui social? No, mannaggia! Magari mi chiedono qualche foto dei piedi, ma non mi scandalizzo. Ogni tanto mi chiedono di mettere la gonna, perché dicono che ho delle belle gambe. Ma penso che sia un complimento, non mi scandalizzo". Sulle molestie tra le giornaliste: "Se ho letto di quella statistica secondo la quale l'ottanta per cento di donne sarebbe stata vittima di molestie in redazione? Le donne sono sempre oggetto d'attenzione da parte degli uomini. Fino a un certo punto, quando l'uomo ci prova in maniera non troppo esplicita, sta all'abilità della donna di sdrammatizzare. Però quando un uomo si pone in modo violento o troppo esplicito è giusto che una donna si faccia valere in tutti i modi. Diciamo che delle piccole avance sono capitate a tutte, magari anche da persone superiori di grado. La differenza tra molestia e corteggiamento è labile. Finché si può io cerco di sviare senza alzare polveroni, ma c'è un limite oltre al quale non va bene. I complimenti fanno piacere, noi siamo italiani, a volte il complimento di un uomo può non essere offensivo, io sono una persona fortunata, non ho mai subito niente di grave o fastidioso".
Domenica In, Benedetta Parodi: "Ho cancellato tutto". La dolorosa confessione sull'esperienza con Cristina. Libero Quotidiano il 26 Agosto 2019. Benedetta Parodi ha scoperto la sua vera passione con il tempo. Che la cucina le fosse sempre piaciuta, questa non era una novità, eppure renderla un vero lavoro sembrava pressoché impossibile. La Parodi inizialmente si dedicò al giornalismo, proprio a Studio Aperto ebbe la possibilità di parlare di cucina. La rubrica Cotto e Mangiato fu un successone, ma la Parodi decise comunque di dirle addio per approdare su La7: "Non tanto tormentata la scelta... Cotto e mangiato durava un minuto e mezzo, a La7 mi offrivano un programma intero di due ore, quindi il passaggio mi sembrava naturale. L'ho deciso con leggerezza... Certo, quella volta, i miei genitori si preoccuparono, non capivano perché lasciavo un posto fisso, ma certo non si intromisero nelle mie scelte. Comunque, sono contenta che le repliche dei Menù di Benedetta vadano ancora in onda, sembro non invecchiare mai" ha spiegato alle colonne del Corriere della Sera. "Può succedere che un programma vada bene e un altro male". La Parodi si sofferma sul flop di Domenica In condotto in coppia con la sorella. "Ho cancellato subito dalla testa quel periodo e tutte le polemiche non mi hanno toccato. L'unica cosa negativa che ricordo è che alla domenica non potevo stare con i miei figli". E ancora: "Io sono fatta così. Sono una persona pacata, felice e sorridente. Sono fortunata, perché ho tutto quello che si può desiderare e una bella famiglia, come lo è stata quella da cui provengo. Noi siamo in tre fratelli (oltre a Cristina, Roberto, anche lui giornalista e volto tv) e tutti e tre abbiamo avuto tre figli, forse anche perché noi da bambini siamo stati felici così".
"Ma quale Mulino Bianco, che litigate a casa mia..." La conduttrice più apprezzata ai fornelli racconta: «Ho imparato tutto da mia nonna. Perciò torno agli Anni '50» Laura Rio, Lunedì 26/08/2019, su Il Giornale. l telefono nero appeso alla parete con i numeri che si compongono girando il cerchietto trasparente bucato. Il tavolo di marmo con il ripiano di legno per impastare, la vecchia credenza e la bilancia. Tutto della nonna, ritrovati in casa dei parenti. Quella famosa nonna Carla che è stata l'origine, il punto di partenza, l'imprinting dell'avventura di Benedetta Parodi. La conduttrice che, grazie alla semplicità delle ricette di famiglia (la madre patria è Alessandria) è diventata una delle donne e delle cuoche più famose d'Italia. Insomma, da venerdì la presentatrice torna con Bake off su Real Time (e anche on demand su DPlay) per il cooking show più dolce che ci sia. In attesa di pubblicare il suo nuovo libro Le ricette salvacena, piatti da cucinare rigorosamente in 15 minuti, destinato a diventare un altro best seller. Stavolta, per lo show tv, grazie anche ai «reperti» recuperati nella cucina di nonna Carla, l'ambientazione di una parte del programma sarà in stile Anni '50, ma la gara sarà la stessa: 18 concorrenti si sfidano per stabilire chi è il pasticcere più bravo. Location Villa Borromeo d'Adda ad Arcore, dove il parco è stato trasformato in un'allegra cittadina americana. Immancabili giudici i pasticceri Ernst Knam, Clelia d'Onofrio e Damiano Carrara.
Dunque, Benedetta, perché un salto indietro così lontano?
«Ad ogni edizione, oltre ai concorrenti, ci piace cambiare scenografia (a curarla è lo studio Contimarchetti), anche se il meccanismo del programma resta uguale. Ci sarà un set bellissimo e anche i look rifletteranno la scelta retrò. Vedrete come sarò abbigliata io... E lo stile coinvolge ovviamente i piatti in gara».
Quindi che dolci si infornavano negli Anni '50?
«Beh, per esempio crostate, ciambelle, torte francesi come la Saint Honoré. Cose semplici. Bandito ovviamente il cake design. E i concorrenti potranno usare solo gli strumenti di cucina a disposizione in quell'epoca. Insomma, non ci sarà la planetaria... Questa ambientazione varrà comunque solo per la prima prova della sfida».
Ancora una volta si è rivolta idealmente alla sua amata nonna per impostare lo show...
«Mi è venuto naturale andare in cerca di pezzi della sua cucina quando abbiamo scelto l'ambientazione Anni 50. Del resto, i miei primi ricordi di bambina sono il profumo della torta di mele che lei faceva e la preparazione degli gnocchi».
La base dei suoi libri che hanno venduto milioni di copie. In realtà sua nonna non le insegnò a cucinare...
«No, ero troppo piccola e non avevo ancora la passione. Però ho ritrovato in un vecchio libro dei fogli con annotate le sue ricette e ne ho fatto tesoro, come l'amore con cui cucinava per la famiglia. E neppure mia madre mi ha tramandato l'arte del cibo: lei lavorava e aveva troppo da fare per lasciarci in mano la cucina da sporcare, era molto pratica e bravissima a ricevere gli ospiti e io ho ereditato le due sapienze».
Insieme, magari, al dono della sintesi che ha imparato con il mestiere di giornalista...
«L'ho fatto per 15 anni, come conduttrice di Studio Aperto. Prima di scoprire la mia vera passione, e credo proprio che tutte queste esperienze mi abbiano portato dove sono arrivata».
Si ricorda ancora della prima volta che andò in onda Cotto e mangiato, la sua prima rubrica di cucina?
«Certo, mi ricordo tutto perfettamente: cucinai gli spaghetti tonno e limone, il piatto preferito di Fabio (Caressa, il marito). Con le telecamere nella cucina di casa mia. Alla fine della puntata seguii i consigli di Fabio, di inventare un claim, un gesto ripetitivo, e così leccandomi il dito dissi Cotto e mangiato...».
E invece fu tormentata la scelta di lasciare Studio Aperto e Mediaset per approdare a La7?
«Non molto... Cotto e mangiato durava un minuto e mezzo, a La7 mi offrivano un programma intero di due ore, quindi il passaggio mi sembrava naturale. L'ho deciso con leggerezza... Certo, quella volta, i miei genitori si preoccuparono, non capivano perché lasciavo un posto fisso, ma certo non si intromisero nelle mie scelte. Comunque, sono contenta che le repliche dei Menù di Benedetta vadano ancora in onda, sembro non invecchiare mai...».
Lei pare sempre così serafica. Almeno quando non andò bene la Domenica In in coppia con sua sorella Cristina, un po' se la prese?
«Veramente no. Può succedere che un programma vada bene e un altro male. Ho cancellato subito dalla testa quel periodo e tutte le polemiche non mi hanno toccato. L'unica cosa negativa che ricordo è che alla domenica non potevo stare con i miei figli».
Che cos'è che le dà tutta questa serenità?
«Nulla, sono fatta così. Sono una persona pacata, felice e sorridente. Sono fortunata, perché ho tutto quello che si può desiderare e una bella famiglia, come lo è stata quella da cui provengo. Noi siamo in tre fratelli (oltre a Cristina, Roberto, anche lui giornalista e volto tv) e tutti e tre abbiamo avuto tre figli, forse anche perché noi da bambini siamo stati felici così».
È stupendo, ma la sua pare quasi una famiglia del Mulino Bianco.
«Ma no, figuriamoci. Gli screzi ci sono anche tra di noi, anzi siamo una famiglia di fumantini, soprattutto Fabio. Litighiamo spesso, ci urliamo dietro, ci facciamo delle belle litigate, siamo un gruppo veramente rumoroso, ma poi ci rappacifichiamo».
Ma una volta nella vita le sarà capitato qualcosa di brutto...
«Da ragazzina a scuola i miei amici mi prendeva in giro perché avevo la voce sottile sottile, mi chiamavano Calimero... poi quando mi hanno vista condurre il telegiornale... beh, è stata per me una rivincita».
La vostra è una famiglia di famosi: il cognato Giorgio Gori (attuale sindaco di Bergamo), la sorella Cristina Parodi e il marito Fabio, che non necessitano di presentazioni...
«Sì, ma siamo persone normalissime... ed è stato il caso che siamo diventati tutti famosi, semplicemente perché ci siamo conosciuti per lavoro, nelle redazioni. Giorgio e Cristina a Mediaset. Io e Fabio nell'allora Telepiù (poi confluita in Sky)».
E pochi mesi fa vi siete ricambiati la promessa di matrimonio per festeggiare i vent'anni.
«Sì. Noi due sovvertiamo le leggi delle famiglie dello spettacolo, siamo ancora felicemente uniti. Siamo due persone che si sono prese per mano, sono cresciute insieme e si sono sostenute a vicenda. Abbiamo avuto la fortuna di incontrarci, di incastrare i nostri caratteri e questa è stata la forza della nostra unione».
Insieme alla capacità di cucinare, che non guasta mai.
«In realtà io ho cominciato a cucinare proprio quando ho incontrato Fabio e siamo andati a vivere insieme. In quel momento mi sono dovuta dare da fare e ho tirato fuori i famosi ricordi della nonna...».
E ora a casa sua non ne possono più di vederla ai fornelli.
«In effetti Fabio e i miei figli (Matilde 17 anni, Eleonora 15 e Diego 10) si irritano perché cambio sempre ricette, ogni volta che faccio assaggiare loro un piatto che gli piace, poi lo cambio subito, perché devo sempre provare nuovi ingredienti. Per farli contenti preparo la torta cioccolatino, con il cuore di cioccolato morbido».
Ma qual è il suo piatto preferito?
«Ovviamente gli gnocchi... ancora la nonna».
E il dolce?
«Ovviamente la torta di mele... ancora come sopra».
Lo chef preferito?
«Cracco».
Il programma di cucina preferito?
«Ovviamente il mio».
Chi le piace di più tra Elisa Isoardi e Antonella Clerici?
«Va beh, Antonella stava nel cuore degli italiani, Elisa deve ancora entrarci, ci vuole tempo».
Ma non le piacerebbe tornare a fare un programma di cucina pura?
«In effetti sì, oggi tutti gli show sono gare e sfide dove prevale il profilo psicologico dei concorrenti sulle ricette pure. Magari in futuro capiterà di riproporle».
E il prossimo libro?
«Uscirà il 16 settembre. Ricette veloci per donne e persone impegnate. Massimo 15 minuti di tempo per la preparazione, unica deroga che il piatto può andare in forno per quanto occorre a cuocerlo. Intanto si può fare altro: la doccia, leggere un libro, il dolce...».
· Mara Maionchi: “la starlette”.
Edoardo Vigna per “Sette - Corriere della sera” il 25 ottobre 2019. Mara, 60 anni di lavoro in questi giorni. Quota 138, altro che 100. «E sono anche pigra! La mattina mi alzo e penso: devo fare ginnastica. Poi mi guardo e dico: ma a 78 anni che c… te ne frega!». Eppure non sembra che abbia intenzione di smettere. A X Factor li ha fatti fuori tutti, i giudici dell’anno scorso. Maionchi “Highlander” anche del talent di Sky. «Mi è sempre piaciuto lavorare, sono felice di farlo in vecchiaia. Bisognerebbe restare in attività sempre e da giovani non fare niente!».
Lei ha cominciato prestissimo.
«A scuola ero pessima, mio padre mi disse: non puoi stare senza far niente. Mi presero alla Saima, società di spedizioni internazionali, a Bologna. Facevo i bollettini con i contenuti nelle casse per caricare le navi a Genova. Vedevo gente, parlavo… Poi decisi di venire a Milano: entrai alla Sipcam, settore anticrittogamici, quindi passai in un’azienda che faceva macchine per i pompieri: era di un tedesco, il signor Müller. Tenevo i conti. Ma ebbi un diverbio col direttore generale».
Già allora fumina.
«Mi ero accorta che “allargava” i costi, segnalai al titolare che qualcosa non funzionava. Müller, dopo averlo licenziato, mi ha richiamata. Ma ormai ero passata alla Ariston».
Finalmente nel mondo discografico. Cosa ha imparato allora?
«L’edizione, che è la base di tutto. La struttura della canzone. E a conoscere gli artisti. Umberto Bindi, Ornella Vanoni, Mino Reitano, i Corvi. Cominciai a fare la promozione: sui giornali, in tv. Sa che Ornella non la volevano mai? Era forte ma non risultava simpatica: adesso finalmente è venuta fuori com’è, pazza e divertente. Allora era il periodo del fulgore di Mina. Lei ne soffriva. Voleva una copertina sul settimanale Oggi. Ho fatto la posta al direttore, Vittorio Buttafava: tre giorni fuori dalla porta, dalla mattina alla sera senza chiedere niente. A un certo punto è uscito: “Basta, la mettiamo in copertina ma lei vada via!”».
Tenace.
«La tenacia è fondamentale nella vita. Poi Mogol mi chiamò alla Numero Uno: c’erano Lucio Battisti, la Pfm… Fu il momento più elegante della mia vita. Ornella metteva i vestiti per andare in tv, io li ereditavo. Avevamo la stessa struttura fisica».
È allora che ha cominciato a dire parolacce?
«Ma c’era gente peggiore di me! Prenda gli Squallor (i padri del rock demenziale, ndr)! Io, finché non mi girano i santissimi, sono una che si contiene. Quando però devo sottolineare una cosa che mi dà fastidio, esplodo. Sono come Sgarbi: è carino, lo conosco bene, ma se qualcuno gli va addosso diventa una belva. Se mi pento? Tutte le volte».
A X Factor siede in giuria con Sfera Ebbasta: un ragazzino.
«Oddio, ha 26 anni! Oggi a quell’età sono ragazzini, mio marito aveva già una figlia! Però Sfera è intelligente. Fa un tipo di musica che non è la mia, ma mi piace».
In che cosa?
«Denuncia la sua difficoltà di vita a 27-30 anni. Usa un linguaggio scurrile, certo: ma io l’ho anticipato di 50 anni! Un tempo c’era un’estetica diversa. Forse avrebbero voluto usare questa volgarità anche allora. Penso a De André quando nel Giudice dice che (il nano) ha “il cuore troppo vicino al buco del culo”. Ma aveva un aspetto più culturale. Questi ragazzi raccontano l’oggi come i cantautori negli Anni 70. Sfera, quando è morto il padre e aveva 12 anni, non vivendo in via del Gesù, ha conosciuto situazioni ben diverse da quelle dei coetanei».
Colpisce come si presentano.
«Sono così, fortemente egocentrici. Orecchini, catene d’oro, brillanti… Che poi, scusi, la modella novantenne Iris Apfel piena di gioielli? È anziana e fa meno impressione, ma non vedo differenze».
Si diverte, fra questi giovani?
«Sì, anche se a X Factor sento la responsabilità per gli artisti. Se gli ho dato il brano giusto, se l’ho portato a fare il percorso giusto… In una casa discografica dopo un pezzo sbagliato puoi recuperare, qui una volta eliminati è finita».
Anni di talent: cosa ha capito?
«Che al centro di tutto c’è sempre la canzone. Le collane fanno parte della loro epoca, ma alla fine contano il brano e l’interpretazione». Diceva: un tempo la discografia coltivava gli artisti. «Era diverso. Anastasio (vincitore di X Factor 2018, nella squadra di Mara, ndr) è arrivato già impostato. Dovevi stare solo attenta a non snaturarlo. Lo stesso fu con Marco Mengoni. Oggi le case discografiche devono solo distribuirli. Ciò che si faceva non si fa più».
Mi fa un esempio?
«Tiziano Ferro. L’abbiamo trovato io e mio marito all’accademia di Sanremo. Cantò una canzone sua: orrenda. Però ci diede una sensazione bellissima. Lo rincorremmo – era scappato emozionato – per fargli un’offerta. Dopo però abbiamo lavorato insieme due anni. Veniva una volta alla settimana, in treno, da Latina con ciò che aveva scritto e noi gli dicevamo “non va bene”. Finché fece Perdono. Poi Gianna Nannini. Arrivò con un paio di stivali da D’Artagnan, si mise al piano e mi fece sentire due canzoni una più brutta dell’altra. Però aveva questo impeto nel cantare… Cominciammo a lavorare. Non riusciva a capire. Butta via e riprendi, correggi e disfa, alla fine arrivò America».
Cosa fa funzionare una canzone?
«Non deve lasciare mai spazio».
A cosa?
«A che tu ti rompa le balle! Ecco perché dico le parolacce! Se dico solo “che non stanchi” non è sufficiente! Se, ascoltandola, uno si alza e va a prendere l’acqua, è finita! È come quando parlava Montanelli: non riuscivo a staccarmi. O quando Morgan parlava di musica…».
Ecco, i giudici di X Factor...
«Fedez è stato bravo… Sfera porta una ventata di novità, mi dà la sensazione di poter sempre imparare qualcosa: finché non muori ti tocca imparare, una rottura di balle!».
L’ho interrotta. Morgan?
«Il miglior giudice di X Factor. Poi non sapevi se ciò che raccontava era vero. Ma era così bello!».
Due anni e mezzo sono tanti per formare un artista.
«I Tenco, i Paoli sono nati così. Anche Battisti. Puoi essere personaggio finché vuoi, ma se non hai di che raccontare, non dura».
Chi l’ha colpita a prima vista?
«Jannacci. Micidiale. Anche Battisti, fra i primi a rivoluzionare la canzone italiana: strofa-ritornello-strofa, che veniva dalla romanza. Quando si esibiva nei locali se qualcuno chiacchierava, si arrabbiava. Rinunciò, anche a tanti soldi. Una volta andammo a fare la spesa: tre ragazze gli hanno detto “Sei Battisti?”. “Magari!”, ed è andato via».
I giovani sanno sacrificarsi?
«Sfera era barista di giorno, le notti andava in sala d’incisione e dopo due ore di sonno si alzava per fare il barista. Certo, se uno non capisce che per fare una buona canzone ne devi buttarne via centomila, e che dopo, per restare allo stesso livello, devi farne altre centomila…».
Chi altro le piace oggi?
«Salmo, Achille Lauro, Mahmood».
Fra le donne?
«Miss Keta. E Chadia Rodriguez. Però fra i rapper sono venuti più fuori i maschi. Forse perché la donna è più accomodante. Attenzione, per me è un valore in più: sono per la parità, ovvio, ma penso che la donna non debba abbandonare i suoi principi. Ha una potenza ancora da mettere in atto. Nel canto, in particolare, sono più statiche».
Ma vede miglioramenti?
«Sì, quando le donne affrontano i problemi come gli uomini. Non mi piace quando si lamentano, sempre con questi amori abbandonati. Una leggera malinconia ci sta, per il resto... su, ne trovi un altro! Quelli della romanza erano altri tempi! Se pensi che Verdi, che era un galantuomo, non ha mai sposato la Strepponi. Io l’avrei preso per la collottola! No, è ora che le donne abbiano più fiducia in sé stesse».
Mara Maionchi: «Mio marito mi chiama “la starlette”. Le parolacce in tv? Poi mi pento». Pubblicato sabato, 4 maggio 2019 da Isabella Bossi Fedrigotti su Corriere.it. La notorietà all’età della pensione. Mara Maionchi, 78 anni, bolognese di nascita e milanese di adozione, un marito (più giovane di lei di dieci, ma sempre lo stesso da quarantasette), due figlie e tre nipotini, giudice star di X Factor e ora di Italia’s got talent, ancora si dà i pizzicotti per rendersi conto che è tutto vero, che non sta sognando. Che la gente davvero la ferma per strada per dirle delle gentilezze («Con i vecchi si tende a essere più carini»), che davvero lavora in radio e in televisione, che davvero la invitano nei talk show, che sul serio le chiedano i pareri anche su temi diversi da canzoni e cantanti e che sul serio le abbiano perfino commissionato, per la scorsa festa di San Valentino, di riscrivere in chiave più attuale un certo numero di cartigli dei baci Perugina! Ride divertita la signora Maionchi quando lo racconta. «Volevano bigliettini con delle massime un po’ meno melense del solito e hanno chiesto a me e al cantante Enrico Nigiotti di inventarci qualcosa. Io ho scritto, per esempio, “Nel matrimonio dalle luci rosse all’abatjour è un attimo”; oppure “Nel matrimonio la luce è all’inizio del tunnel”. Enrico ha pensato frasi per consumatori di baci un po’ più giovani».
Andando per ordine, come è incominciata?
«È incominciata che studiare non mi piaceva, ho finito ragioneria alla bell’e meglio e poi sono andata a lavorare. Mio padre aveva un grande magazzino di intimo e merceria e per lui non esisteva che stessi in casa a non fare niente. Il risultato è che lavoro da sessant’anni, in barba alle leggi Fornero o Salvini. Ho cominciato in una ditta di spedizioni internazionali senza sapere una sola parola di un’altra lingua, poi sono passata a una di prodotti antiparassitari, poi a una di impianti antiincendio; infine ho scovato sul Corriere — bei tempi quando si trovava lavoro leggendo un giornale — un annuncio della casa discografica Ariston che cercava una persona per l’ufficio stampa. Mi sono candidata e mi hanno preso. Il perché ancora me lo domando. Forse è stato grazie alle tante diverse esperienze che avevo fatto».
È stata la svolta?
«Sì, perché sono entrata in un altro mondo, quello della canzone e non ne sono più uscita. Un mondo che alla mia famiglia era del tutto estraneo, del quale né io né alcuno dei miei sapeva nulla di nulla. Dopo la Ariston sono venute la Numero Uno, la Ricordi, la Fonit Cetra. E poi sono venute le due case discografiche fondate assieme a mio marito, che, invece, al contrario di me, era del ramo, la Nisa del 1983 e la Non ho l’età del 2006. In quegli anni ho seguito e partecipato al lancio di tanti nostri cantanti, da Mia Martini a Lucio Battisti, ad Anna Identici, a Ornella Vanoni, a Umberto Tozzi, a Fabrizio De André, a Gianna Nannini, a Eduardo De Crescenzo, a Tiziano Ferro, artisti che, se non fossero penalizzati dal fatto di cantare in italiano non avrebbero niente da invidiare a quelli inglesi oppure americani che dominano il mercato».
Di tutti questi chi le è rimasto più impresso?
«Sicuramente Tiziano Ferro. L’ho conosciuto all’Accademia di Sanremo, ho sentito che aveva una voce particolare, direi speciale, mentre i suoi testi, pur non essendo male, avevano bisogno di essere migliorati. Abbiano lavorato per tre anni, lui è stato bravissimo, per provare con noi canzoni e parole faceva regolarmente su e giù da Latina dove abitava; capiva, era intelligente, ha aggiustato la linea dei suoi testi. Nell’insieme Ferro rappresentava un’assoluta novità. Oggi è uno dei più grandi italiani. Peccato che non capiti più di vederci così spesso. Ma sapere che hai contribuito ad aiutare un artista a trovare la sua strada è una bella sensazione».
E Anastasio, il rapper che ha vinto l’ultima edizione di X Factor, per il quale si è molto spesa in tv?
«Anastasio è forte, scrive da Dio, è rivoluzionario, ma se non si è rivoluzionari a vent’anni, quando mai lo si può essere? Per lui mi sono entusiasmata come se fossi stata di nuovo giovane. E il bello del mio lavoro è proprio quello di poter stare con i giovani, parlare con loro, ascoltarli, guardarli, vedere come cambiano, come si evolvono».
Quale delle sue trasmissione televisive le piace di più?
«In verità mi trovo molto bene in questa Italia’s got talent, prima di tutto perché non è ansiogena come X Factor (sono vecchia e l’ansia mi fa male) e in secondo luogo perché c’è un’ottima intesa con gli altri giudici. Federica Pellegrini è una vera forza della natura, una combattente come ne ho conosciute poche, disciplinata e instancabile. Si fa alcune ore di piscina prima di venire in trasmissione, per lei una passeggiata, io sarei morta dopo venti minuti. Anche con Claudio Bisio e Frank Matano è un piacere lavorare, insieme ci divertiamo. Comunque devo grande gratitudine a X Factor perché è lì che è cominciata, dieci anni fa, la mia seconda vita. Ero con Simona Ventura, l’unica faccia nota della giuria, e con Morgan che mi colpì per come parlava bene. Pensavo ovviamente a una esperienza a termine, una volta nella vita. Mai avrei immaginato tutto quello che è venuto dopo».
Cioè una trasmissione radiofonica con Gianluigi Paragone, un film con Aldo, Giovanni e Giacomo, un’autobiografia pubblicata da Rizzoli, la presenza fissa per due cicli di trasmissione da Amici di Maria De Filippi, la partecipazione a Celebrity Masterchef, gli spot pubblicitari... Dimentichiamo qualcosa?
«Visto che ci siamo, ho inciso anche un singolo intitolato Fantastic, ho 500.000 follower su Instagram e un app su iPhone dedicata a me, più una serie di quisquiglie minori. Tra le quali per due anni — dal ‘97 al ‘99 — una parentesi come assessore ai servizi sociali nel comune di San Fermo della Battaglia dove all’epoca risedevo».
Per cosa le resta tempo?
«Per giocare regolarmente a burraco al circolo Ufficiali con una mia amica».
E in famiglia come hanno preso questa sua nuova vita?
«Bene, nell’insieme. Mio marito per sfottermi ormai mi chiama soltanto “la starlette”, però mi pare contento, e una delle figlie cerca di incanalare in modo ragionevole i miei troppi impegni: in altre parole mi fa da agente, cioè da babysitter, da badante e da controllore. I nipoti? Sì, ovvio che li amo moltissimo, ma in verità non sono una gran nonna, non so più cosa si fa con i bambini piccoli».
Che effetto le fa che ogni sua frase venga analizzata in tv e sui giornali, che tutto di lei sia pubblico, perché lei lo mette in pubblico, compresa la grave malattia che l’aveva colpita alcuni anni fa e certi suoi privati fatti matrimoniali?
«Se intende il tumore che ho avuto ne ho parlato apposta, su suggerimento se non proprio preghiera del professor Veronesi. Voleva che mostrassi come si può convivere con la malattia, continuando a lavorare e mostrandosi fiduciosi. L’ho raccontato, insomma, per fare coraggio ad altre ammalate. Quanto ai privati fatti matrimoniali, sarebbe più giusto dire le corna che mi ha fatto mio marito: non ricordo più quando ne ho parlato, ma anche con questa confessione volevo dare una mano a chi si è trovata o si trova nella stessa situazione».
Ed è stato grave?
«Ma no. Cosa vuole che sia un corno? E un po’ è stata anche colpa mia, guardavo le bambine più di lui. Certo, se fosse stata una storia lunga magari due anni sarebbe stato diverso, ma così per fortuna non è stato. Ho perdonato naturalmente e non mi sono sognata di vendicarmi».
È per questo che il suo matrimonio dura da 47 anni?
«Forse sì, ci vuole pazienza, ragionevolezza e consapevolezza che il matrimonio è davvero un po’ come ho scritto nei cartigli dei Baci. Il momento più difficile è quando se ne vanno i figli, quando si resta soli, ma ce l’abbiamo fatta; io lavoro tutto il giorno, lui è un nullafacente felice».
Le tante parolacce che dice fanno parte soltanto del suo eloquio televisivo, per fare «giovane», oppure anche del vocabolario quotidiano?
«Le assicuro che sono pentita, che cerco di correggermi, ma quando mi scaldo purtroppo mi scappano, in tv esattamente come nella mia cucina».
Sintomi di vecchiaia?
«Sì, un ginocchio che mi fa male e la golosità per i dolci, io che andavo soltanto per prosciutto e salame. In più, un’ammirazione sconfinata per la regina Elisabetta, mia assoluta icona di perfezione».
Progetti per il futuro?
«Sa, con il futuro tendo ad andarci un po’ cauta...».
Mara Maionchi: "Il tradimento di mio marito? Cosa vuoi che sia un corno". Mara Maionchi non si è mai preoccupata del tradimento del marito Alberto Salerno e, dopo 47 anni di matrimonio, ha elencato gli ingredienti che servono per una vita di coppia longeva. Luana Rosato, Lunedì 06/05/2019 su Il Giornale. Non è solo una produttrice musicale, ma anche uno dei personaggi televisivi più amati di sempre: Mara Maionchi è considerata da molti la “nonna d’Italia” ed ha un curriculum fatto di numerose esperienze che l’hanno portata ad essere considerata dai familiari “la starlette” di casa. Piena di impegni, Mara Maionchi ha confidato al Corriere della sera di avere del tempo libero solo per “giocare regolarmente a burraco al circolo Ufficiali con una mia amica”, mentre una delle figlie cerca di “incanalare in modo ragionevole i miei troppi impegni” facendole da “agente, cioè da babysitter, da badante e da controllore”. Così la giudice di Italia’s got talent si racconta, tornando a parlare anche del tradimento del marito e del tumore che l’ha colpita tempo addietro. Della malattia, però, Mara Maionchi svela di averne parlato per essere d’aiuto alle donne che si trovavano nella sua stessa situazione. “Ne ho parlato apposta, su suggerimento se non proprio preghiera del professor Veronesi – ha spiegato - .Voleva che mostrassi come si può convivere con la malattia, continuando a lavorare e mostrandosi fiduciosi. L’ho raccontato, insomma, per fare coraggio ad altre ammalate”. “Quanto ai privati fatti matrimoniali, sarebbe più giusto dire le corna che mi ha fatto mio marito – ha aggiunto ancora – [...]Anche con questa confessione volevo dare una mano a chi si è trovata o si trova nella stessa situazione”. Scoperto il tradimento del marito, però, la Maionchi non ha mai invocato la vendetta. “Cosa vuole che sia un corno? E un po’ è stata anche colpa mia, guardavo le bambine più di lui – ha fatto sapere - . Certo, se fosse stata una storia lunga magari due anni sarebbe stato diverso, ma così per fortuna non è stato. Ho perdonato naturalmente e non mi sono sognata di vendicarmi”. Il matrimonio con Alberto Salerno dura ormai da 47 anni e gli ingredienti della felicità sono “pazienza, ragionevolezza e consapevolezza”: “Il momento più difficile è quando se ne vanno i figli, quando si resta soli, ma ce l’abbiamo fatta – ha detto ironica - . Io lavoro tutto il giorno, lui è un nullafacente felice”.
Il dramma di Mara Maionchi: "Ho scoperto di avere il cancro grazie ad un sogno". Intervistata da Radio Cusano Campus, Mara Maionchi ha parlato della sua vita privata, del tradimento del marito e della sua malattia: "Quell'esperienza mi ha lasciato un segno". Anna Rossi, Giovedì 01/06/2017, su Il Giornale. Mara Maionchi è intervenuta questa mattina a Radio Cusano Campus e per la prima volta ha parlato del cancro al seno: "È stata un'esperienza che non è stata certo smagliante e che dentro di te lascia un grande segno". "Il cancro - continua - è una malattia sempre oscura, non sai mai se si ripropone, come si ripropone, cosa accadrà. Io ne parlo sempre con l'ironia, perché l'ironia aiuta a vivere. Bisogna continuare a fare ricerca contro il cancro e tutti devono ricordarsi che la parola d'ordine è prevenzione. Io mi sono salvata per una botta di culo, anche se sono passati due anni e mezzo e non sono sufficienti per sapere se se ne è venuti fuori". Mara Maionchi nel raccontare del suo dramma rivela come è riuscita a scoprire di avere il tumore. "L'ho scoperto grazie a un sogno particolare che ho fatto - dice -. Non si sentiva niente e non si vedeva niente. Il sogno che ho fatto mi ha messo in guardia, mi ha portato a chiamare l'oncologo, a fare un esame e a trovare il problema. Mi sono salvata grazie a un sogno, se cosi si può dire". Ma lasciato da parte questo tema così delicato, Mara Maionchi riacquista il sorriso parlando della sua nuova esperienza a X Factor. "Chi manderò a quel Paese tra gli altri giudici? Spero nessuno, poi è chiaro che se qualcuno dirà una stronzata sarò la prima a farglielo notare. Fedez mi piace, è un marketing, ha idea di cosa sia un prodotto discografico, non è i Pink Floyd, ma ha fatto bene, ha scelto un campo artistico in cui lui ha delle idee, è rivoluzionario. Come Rovazzi, che ha fatto un video fortissimo, geniale. Non c'entra niente con la musica, ma diventerà sicuramente un regista, è uno che ha una idea, che pensa cose innovative. Poi c'è Levante, una ragazza che ha fatto la sua strada, che è interessante da capire. Con Agnelli? Saremo i due vecchietti della situazione, certo non gli posso sentir dire che i Queen non hanno fatto al storia della musica", aggiunge Mara Maionchi. Nella lunga intervista radiofonica, poi, il giudice parla anche del tradimento: "Ho perdonato mio marito per un tradimento, la vita è lunga, stare insieme è tanto. L'erotismo non è mica volersi bene, sono due cose diverse. Mio marito è come se fosse andato al cinema e poi è tornato a casa. L'erotismo non è la base principale di un matrimonio, altrimenti tutto finirebbe dopo sei mesi. Il matrimonio è una roba seria, non è una scopata, il matrimonio è creare insieme una famiglia, un rapporto, i tradimenti basta non scoprirli, mio marito è stato disattento e si è fatto beccare poveretto. Poi gli uomini hanno questo istinto, non si fermano".
Mara Maionchi: "Mio marito mi tradiva. Così mi sono buttata nel gioco d'azzardo". Intervistata dal settimanale Grazia, Mara Maionchi ha parlato del suo ritorno a X Factor e ha svelato anche qualche dettaglio del suo matrimonio. Anna Rossi, Lunedì 11/09/2017, su Il Giornale. Mara Maionchi è pronta a tornare come giudice nella prossima edizione di X Factor, la produttrice discografica torna nel programma dopo 7 anni di stop. In una lunga intervista al settimanale Grazia, Mara Maionchi ha parlato di questo emozionante ritorno e della voglia di mettersi ancora in gioco. "Mi sono chiesta: 'Sarò ancora capace?', i tempi cambiano, è cambiato il mondo della musica. Ma la leva è stata il pensiero di aiutare questi ragazzi. Non sono immune da errori, anzi nella vita ho fatto più sbagli che cose fatte bene. Ma nella realtà, il difficile è tornare. Perché, avendo lasciato un buon ricordo, rovinarlo dispiacerebbe", ha confidato la produttrice. Nel corso dell'intervista, poi, Mara Maionchi ha parlato del suo matrimonio con Alberto Salerno, matrimonio che dura dal 1976. L'artista aveva già raccontato in passato dell'infedeltà del marito e nell'intervista a Grazia lo ha ribadito. La Maionchi, poi, ha aggiunto come ha reagito lei al tradimenti di Alberto. "In un modo diverso, cioè giocando d'azzardo - spiega -. Non riuscivo a controllarmi, perdevo somme importanti, facendo danni anche a lui. Il tradimento non è solo il colpo di testa di una sera, ci sono tanti modi di tradire, anche far credere di essere una persona perbene".
Mara Maionchi ha anche rivelato qualche dettaglio sulla sua vita familiare: "Diciamo che quelle di casa mia sono sempre state donne fuori dagli schemi. Mia nonna si è separata nel 1904 da un uomo che non era un esempio di santità. Anche le mie zie erano particolari. La zia Anita, poi, cugina di mamma, non si è mai sposata e ha sempre lavorato. Era lesbica, ma la cosa non ci ha mai suscitato grande impressione. Era normale. Trovo se mai più rivoluzionario che si fosse iscritta al Partito Comunista nel 1918".
Terry Marocco per “Panorama” il 30 ottobre 2019. Seduta su un divano a fiori blu nel salotto della sua casa milanese, Mara Maionchi per un'ora e mezza non dice neanche mezza parolaccia. Incroyable. The Queen della discografia italiana, 78 anni e 60 di lavoro, indossa una tuta come il rapper Travis Scott. «Non mi piace vestirmi. Potessi starei sempre così, però con le mie spille. Sono attratta dalle cose che brillano come una gazza ladra». Anche quest'anno è uno dei quattro giudici di X Factor. E ancora una volta è lei la più osannata dal pubblico. Anche il marito, il famoso paroliere Alberto Salerno (Io, vagabondo) dal buio del corridoio la reclama: «Hai preso gli occhiali in bagno. Ti uccido». Lei non fa un plissé. «È così da tutta la vita tra di noi. Io non mi scompongo. E poi non li ho presi».
Vince sempre lei, anche questa edizione di X Factor?
«Nooo, non credo. (risatina diabolica)».
È il coach della categoria «over» e ha scelto una squadra tutta al maschile, come mai?
«Non ho trovato donne da portare avanti. Sembra che io sia antifemminista, non è così. Sono sempre stata convinta che le donne siano uguali agli uomini. Anzi più capaci. Lavorano e mandano avanti la famiglia. I maschi non sanno fare più di tre, forse due cose insieme».
Se con Salerno è un misto di tregua e rivoluzione, invece con Sfera Ebbasta sembra avere un rapporto speciale.
«Mi fa tanta tenerezza, ha affrontato prove molto dure. La morte del papà quando aveva 12 anni, condizioni economiche non eccezionali, la mamma che lavorava sempre. La vita di tutti non è poi così semplice. Oggi ha quello che si merita. Corinaldo è stato un incidente, dove non c'entrava niente. L'hanno accusato di non avere preso una posizione dopo. Ma cosa poteva dire, se non piangere».
Anche lei piange spesso, dopo anni su quel palco continua a emozionarsi?
«Sono una piagnona. Ma è anche il programma più intenso emotivamente che abbia fatto. Lo soffro. Quando assegno una canzone finché non la sento alle prove non sono mai certa di avere fatto la scelta giusta».
Oggi emergere è più difficile?
«Una volta c'erano tanti soldi da investire, si vendevano molti dischi e il denaro circolava. È cambiato tutto. Si passa da internet, vengono usati altri canali. Ho voluto fare Mara Impara, il programma su Sky Uno (on demand sulla piattaforma, ndr) per incontrare le nuove generazioni, conoscerli, capirli».
Alla fine ci è riuscita?
«Giovanni Truppi scrive cose molto belle, poi mi piace Calcutta, Salmo, Mahmood. Achille Lauro è forte. Sono violenti perché hanno vissuto una vita violenta. Ma anche Elton John ha passato periodi all'inferno tra alcol e droga. Non si giudica su queste cose».
Che cosa conta veramente allora?
«La canzone. Nella vita di un artista c'è sempre un successo che lo segna, di solito è all'inizio della carriera. Per Tiziano Ferro fu Perdono. Come vi siete incontrati? Abitava a Latina e veniva a Milano per farmi ascoltare le sue canzoni. Per due anni e mezzo si è sentito dire: «Non va bene». Tornava giù e poi riprendeva quel treno. Finché un giorno arrivò con Non me lo so spiegare e fu chiaro che aveva capito come si scriveva. Dopo fu come se avesse aperto la porta della sua anima».
Aveva più talento o volontà?
«Tiziano ha entrambe le cose. Un grande talento con una forte volontà. È un lavoratore. All'inizio, quando dovette affrontare un tour massacrante in Europa, fece fatica, ma non ha mai mollato. Ha una timbrica commovente. Quando cantava Il bimbo dentro «cavagnavo» tutte le volte».
È stata la sua scoperta più importante?
«Lui e Gianna Nannini. Lei venne da me nel '73 quando ero alla Numero Uno, con Lucio Battisti e Mogol. Portò un pezzo terrificante al pianoforte, ma era forte. Aveva un'aggressività di fondo, nella sua voce c'era qualcosa di disperato che mi faceva commuovere».
Si riconosce un talento anche da una brutta canzone?
«Siamo tutti in grado di capire se uno ha qualcosa dentro. Il mestiere subentra dopo».
Quando iniziò il mestiere?
«Alle superiori ho smesso di studiare. Non era cosa per me. Ero proprio una pippa. Mio padre disse: «O si studia o si lavora». Feci un corso di stenodattilografia. E nel '59 andai alla Saima, una società di spedizioni internazionali di Bologna».
Formidabili gli anni Sessanta?
«Vengo da una famiglia normale, senza problemi economici, ma portavo il cappotto rivoltato di mamma. Non c'era niente di male. Lo facevano tutti. Avevo un paio di scarpe per la domenica e uno per gli altri giorni. Non c'era questa necessità di apparire. A 18 anni eravamo più consapevoli, forse perché cresciuti nel dopoguerra. Oggi sono proprio dei bambini».
La gavetta è stata dura?
«Ho sempre cercato di trovare qualcosa di piacevole in quello che facevo. Anche quando lavorai in un'azienda di anticrittogamici. Scrivevo relazioni sulla peronospora del tabacco. Mi è servito poi nel mio lavoro da discografica. Certo non erano delle piante, ma essere umani con il loro carico di speranze e dolori. Ma se non trovi il parassita che rovina l'uva, distruggi coltivazioni intere. Gli errori sono gravi in tutti i campi.
Ne ha fatti tanti?
«Sulla peronospora no, ma per il resto ho fatto più errori che cose giuste».
Anche nel matrimonio?
«È stato bello, con tutte le difficoltà dei matrimoni. Stiamo insieme da 43 anni. Salerno è un Capricorno, un po' rigido, ma per me c'è sempre stato».
La storia del tradimento di suo marito, scoperto con una ricevuta di hotel, è vera?
«Sì, e lui si arrabbia ancora moltissimo quando la racconto. Poveretto, si è divertito un po'. Anche le corna fanno parte di un rapporto. Non c'è niente di male. Ai maschi un giorno dissero: «Vai e procrea». E quello gli è rimasto impresso. Sono deboli, pirlaccioni».
Non si è mai vendicata?
«Non l'ho ritenuto un affronto personale. E poi che pizza se dovevo anche vendicarmi. Non bisogna farne un dramma, certo qualche rottura di scatole gliel'ho data. Una giusta punizione, ma non facciamola lunga. Se poi è una passata così, si perdona. Anni fa ha combattuto un cancro. Mi sono operata nel 2015, avevo un tumore al seno. Mi spaventai molto, ma all'operazione volli andare da sola. Oggi resta un angolo buio al fondo al cervello dove i miei pensieri si fermano e io spero che sia andato e vada tutto bene».
Cosa accadde?
«Successe una cosa strana. Tanti anni fa feci un sogno. Ero in un salone con tanta gente. Un signore si avvicinò e mi chiese l'età. Gli dissi 36, lui ci aggiunse 33. Sessantanove. Quel numero mi angosciava. Però quel compleanno passò senza che succedesse nulla. Un giorno andai a riguardare i miei esami e vidi che sul referto c'era un errore. Avevano scritto: Mara Maionchi, 69 anni, io ne avevo già 73. Mi sembrò un segno. Il mattino seguente andai a fare un controllo. Ed è così che lo hanno trovato».
Quale fu la prima cosa che disse?
«Perbacco.
Neanche una parolaccia?
«Quelle mi vengono quando mi girano le scatole a mille. Solo quando sono arrabbiata».
È vero che recita il rosario ogni sera?
«Sì, mi piace, è un mantra».
Dopo sessanta anni di lavoro è d'accordo con Ferro che «si salva solo chi sa volare bene»?
«Sono arrivata a questa conclusione: siamo persone che combattono ogni giorno su tanti fronti e facciamo quello che possiamo».
Pensa mai a quando smetterà?
«Finché mi tengono, rimango. E poi mia madre è morta a 99 anni. Era lucida come un cobra e non si annoiava mai. Non venne al mio matrimonio. Diceva che le cerimonie le facevano tristezza. Era dello Scorpione, una roccia, una donna complessa e molto realista. Come lo sono io».
Con il sano realismo di sua madre è andata lontano. C'è ancora qualcuno che invidia?
«Mick Jagger. Ha quasi la mia età, balzellona come un pazzo. Peserà trenta chili, io non riesco a scendere di mezzo etto. Ha fatto di tutto».
E lei ha fatto tutto quello che ha voluto nella vita?
«Abbastanza. Intanto nel salotto riappare Salerno: «Ho sbagliato, li ho trovati». «Chiedi perdono, come Tiziano Ferro» ride lei...»
· Levante.
Levante trova il suo miglior disco. La cantautrice pubblica «Magmamemoria» e si prepara al Forum. Paolo Giordano, Giovedì 03/10/2019, su Il Giornale. C'è qualcosa di finalmente perfetto in questo disco di Levante, che esce domani 4 ottobre e che è forse il migliore dei quattro che ha pubblicato finora. Si intitola Magmamemoria, un neologismo che «dà un nome alla mia nostalgia» e che è la password per entrare nella musica di questa catanese 32enne finora difficile da decifrare. «Parlo del tempo» spiega lei elegantissima in un ufficio della Warner trasformando le proprie parole nella perfetta colonna sonora della sua nuova fase. «Sono nel tempo della serenità e della consapevolezza - dice - e per questo mi sento di affrontare un tema come la memoria senza essere nostalgica. La memoria è necessaria ad andare avanti, a proseguire la vita e la forza dei ricordi non possono che aprire le porte del futuro». Intanto che cos'è il magmamemoria? «C'è l'idea del magma, che per noi catanesi richiama l'Etna e che non è come la lava che scivola via a valle. È qualcosa che metaforicamente ci rimane dentro l'animo, caldo e imperioso, e si affianca alla memoria, che risale alle nostre radici». Un'idea che la copertina rende appieno: Levante è vestita di rosso su sfondo rosso e ha i capelli lunghissimi perché «il capello lungo è simbolo del tempo che passa, quindi della memoria». E, oltre ad avere titoli sontuosi come Il giorno prima dell'inizio non ha mai avuto fine, le canzoni mescolano la sua voce passionale, talvolta rotta, incrinata, piegata dalla passione con arrangiamenti che finalmente hanno una profondità moderna e cantautorale. Non ci sono cadute nel modernismo a tutti i costi né nella nostalgia canaglia: Levante è unica e quindi inimitabile. «Dicevano che somigliassi troppo a Carmen Consoli così le ho chiesto di cantare con me ne Lo stretto necessario. Quando ho ascoltato la registrazione, ho pianto per mezz'ora dalla contentezza». Tra l'altro, il brano è stato scritto con il favoloso Antonio Di Martino e Lorenzo Urciullo detto Colapesce, due che sanno come si costruisce una bella canzone. Loro due e Carmen Consoli saranno probabilmente tra gli ospiti del debutto di Levante al Forum di Assago il 23 novembre: «Dopo anni di concerti nei club, per me è una sfida», spiega sgranando due occhioni neri che più neri non si può. Prima che (anche) Fiorello contribuisse al successone del suo brano Alfonso, lei si è garantita quella gavetta indie fatta di concertini, viaggi all'estero (Leeds) e continua ricerca di migliorarsi. Poi tutto è accaduto velocissimamente e si è pure ritrovata al tavolo della giuria di X Factor dove ha confermato a se stessa «di non essere competitiva». Preferisce scrivere e cantare. E anche in questo disco è molto autobiografica, sublimando le proprie sensazioni come in Saturno, che è la storia di un «tenero tradimento» o Andrà tutto bene con la forza inaudita di chi è sgomento dalla realtà e a quel «andrà tutto bene» assegna una speranza analgesica che è in fondo lo scopo di ogni bel brano.
· Il Watusso Edoardo Vianello.
Alessandro Ferrucci per il “Fatto quotidiano” il 5 agosto 2019. Entusiasta lo è, Edoardo Vianello. Da decenni non c' è estate senza uno dei suoi brani; i tormentoni stagionali passano, ma Guarda come dondolo, I Watussi o Pinne, fucili ed occhiali restano nell' aria, quelle note fanno parte della memoria collettiva, dell' immaginario legato a spensieratezza e allegria ("Pensare che allora non ero così contento: mi sentivo perennemente fuori luogo, imbarazzato, timido. Invece se riguardo le foto del tempo, non ero neanche male fisicamente"). Edoardo Vianello è un signore di 81 anni ben portati, gli occhi vispi, la leggerezza è una scelta di vita, consapevole, non scontata e neanche obbligata. Si conosce e sa perfettamente qual è il suo posto, "conquistato negli anni, perché per un periodo i miei brani sono stati fischiati".
Rappresenta uno spicchio di gioia del Paese.
«Quando ho iniziato a occuparmi di musica, ero convinto che le canzoni dovessero divertire, quindi non mi sono mai posto il problema di raccontare storie drammatiche; poi i Sessanta sono stati vissuti come il periodo dell' entusiasmo, dell' incoscienza, della voglia di azzardare».
Mai costretto nel ruolo?
«No, mi piace proprio; e sono andato avanti con un genere musicale che di solito non cattura il pubblico».
L' Alligalli è la terza canzone italiana più ascoltata della storia.
Se la gioca con Volare e Caruso (sorride). «Non me ne rendevo conto».
Davvero?
«Ero pessimo, non capivo cosa avveniva attorno a me; mi bastava la musica: tutto quello che ho concluso è frutto della mia incoscienza e ignoranza».
Insomma, le sue hit.
«Un tempo sono state un problema; quando mi invitano vogliono sentire solo quelle, non posso proporre altro, e all' inizio ho lottato, poi mi sono rassegnato e oggi le sostengo fino alla morte».
Brani fondamentali per Il Sorpasso.
«Anche lì, non lo sapevo».
Cioè?
«Nel 1962 vado al cinema per vedere il film, e scopro la scena di Gassman che canta il mio pezzo, e gli altri che ballano il twist. Divento rosso. Ero totalmente all' oscuro».
Possibile?
«I diritti erano materia dell'editore, non mia».
Ha recitato nei musicarelli?
«Mai, ho solo partecipato a Sapore di mare nei panni di me stesso. E basta. Non me l' hanno mai chiesto».
Strano.
«C'è un punto: sono strafelice della carriera, però sono sempre stato identificato con le mie canzoni, e poco come Edoardo Vianello; solo con il passare dei decenni si è assottigliata questa forbice, ma nei Sessanta era così».
Lo ha patito.
«Un po' sì, ero un interprete apprezzato e non un personaggio; il mio strumento di comunicazione era il juke boxe, e da lì poteva cantare chiunque; eppure i miei brani erano gettonatissimi».
Si scocciava.
«Se giravo con Little Tony fermavano lui, anche se avevo più successo; mi sono rifatto ai tempi de I Vianella (duetto formato con la moglie di allora, Wilma Goich), dove accadeva esattamente il contrario: cercavano i personaggi, i due bassetti insieme, non i brani (ci ripensa). Al tempo ero un po' anticotto In che senso? Se riguardo le foto di allora penso: cacchio ero proprio carino, perché non ne ho approfittato?»
E invece
«Mi sentivo goffo e fuori moda, vestivo sempre con la giacca e la cravatta, mentre gli altri uscivano stracciati e suscitavano furore».
Tre mogli: non si può lamentare.
«Le donne sono state una fissa, però mi piaceva conquistarle per il mistero che c' era dentro di me, non per l' apparenza».
Un suo grande amico è stato Franco Califano.
«Conosciuto nel 1964: la prima volta che l' ho visto era accompagnato da due splendide ragazze. Venne accolto con gioia nella comitiva».
Califfo docet .
«Quella sera subito spavaldo, poi a un certo punto mi prese da parte: "Scrivo poesie". Sembrava impossibile. Non vedevo un animo alto davanti a un playboy».
Errore.
«Inizia a declamarne una sull'amicizia, resto strabiliato. "Perché non provi a comporre un testo musicale?". "Mai cimentato". Gli spiego la differenza, alcune tecniche, la necessità di un ritornello. Passano cinque giorni e si presenta con cinque testi».
E dopo?
«Subito amici: lui bello, io famoso».
Accoppiata vincente.
«Interrotta dopo il matrimonio con Wilma».
Lo ha frequentato anche nel suo periodo nero?
«La fase meno lucida è iniziata presto, un giorno, insieme ad altri, lo abbiamo portato di peso in una clinica per disintossicarsi; poi l' arresto gli ha causato un crollo psicologico, e dopo ha iniziato a cantare e a costruire il suo personaggio. Con la voce roca da fumo (Sorride) Si fumava qualunque cosa prendesse fuoco».
Lei non beve e non fuma.
«Sempre così, sin dall' inizio: ho preso questa professione in maniera seria, anche grazie all' educazione dei miei, più una forte timidezza. Diventavo rosso, e ancora capita».
E sul palco?
«Se sono lì per cantare, me li magno tutti, ma se è per un' intervista, cado nell' imbarazzo; solo da qualche anno ho deciso di comunicare con il pubblico e ho iniziato a montare piccoli monologhi».
Cosa racconta?
«I miei spettacoli iniziano sempre con Pinne, fucili ed occhiali, più I Watussi».
Subito.
«Me li voglio togliere dai coglioni, altrimenti c'è sempre qualcuno che mi tormenta e li chiede in continuazione».
Giusto.
«Poi racconto gli esordi, e del mio cruccio nei primi anni di carriera: incidevo un grandissimo successo, ma c' era sempre qualcuno che mi fregava».
Birbanti.
«Nel 1961 canto Il capello, ma Gianni Meccia vince con Il pullover; nel 1962 è la volta di Pinne, fucili ed occhiali e Guarda come dondolo; Gino Paoli pubblica Sapore di sale. L' anno dopo Abbronzatissima e I Watussi, e Rita Pavone esce con La partita di pallone, tra l' altro scritta da me E cavolo. Allora mi lancio sull' invernale: Sul cucuzzolo della montagna. Morandi pubblica In ginocchio da te».
Eh, no.
«Non li potevo vede'».
Il suo antagonista?
«Nico Fidenco: gli andava tutto bene. Oggi siamo amici».
Torniamo ai suoi genitori.
«Fino al matrimonio sono rimasto a casa, mi dispiaceva dirgli 'dormo fuori'. E poi mamma era una figura importante».
Contenti della sua carriera?
«Mio padre no, e fino al 1963; ha cambiato idea dopo I Watussi; prima derubricava la musica a passione passeggera, un gioco da ragazzi. E anche io».
Cosa desiderava per lei?
«Da uomo di cultura era interessato solo alla preparazione e il mio andare male a scuola era il suo più grande dolore: ogni volta che gli consegnavo una pagella mi puniva con il silenzio prolungato. Pure di mesi».
È sempre stato etichettato come di destra.
«E mio padre lo era seriamente: un poeta futurista, ha seguito D' Annunzio a Fiume. Difendeva la sua epoca».
Amava le sue poesie?
«Le ho scoperte solo di recente e in occasione del centenario di Marinetti: non avevo capito il suo reale valore, per questo ho recuperato 38 componimenti straordinari e li ho pubblicati grazie a mia moglie. Ah, da poco ho capito anche perché mio padre era figlio di NN da parte di madre».
Come mai?
«Ovviamente è la storia di amore impossibile e di scelte difficili; all' epoca ci ha causato qualche incomprensione dentro la famiglia».
Tipo?
«Raimondo Vianello è mio cugino e la sua parte ci trattava un po' con la puzza sotto il naso, in fin dei conti lui era figlio di una marchesa e di un ammiraglio; il nostro rapporto è sempre stato solo affettuosamente diplomatico: non è mai venuto a un mio concerto».
Non c' era simpatia.
«Era un tipo abbastanza scuro, come accade spesso ai grandi comici».
Ha iniziato a suonare con Morricone.
«La Rca mi aveva proposto Luis Bacalov, ma Ennio era già un fuoriclasse, tutto quello che toccava acquisiva un quid in più; con un nostro pezzo sono andato a Sanremo».
Per lei il Festival non è mai stato decisivo.
«Sempre lo stesso discorso: lì conta più l' immagine e alla mia terza partecipazione ho cantato Nasce una vita, era il giorno successivo al suicidio di Luigi Tenco».
Tempo perfetto.
«Che imbarazzo.
La sua idea della morte di Tenco?
«In quel periodo non era proprio capace di intendere e volere, e lo conoscevo bene, eravamo molto amici».
Cupo.
«Per niente! Simpaticissimo, assatanato di donne, un po' come Paoli. Altro Gino vinceva con questo suo atteggiamento sempre in disparte. Micidiale. A un certo punto nell' ambiente s' iniziò a favoleggiare sulle sue doti intime».
Ha scritto per Mina.
«Per lei mi ero preso una bella cotta».
Forte?
«È stata decisiva per la mia carriera, da sconosciuto mi ha invitato a Studio Uno».
Lei disperato.
«Prima di entrare in diretta ero agitatissimo; arriva Mina, se ne accorge, e risolve la questione: "Prendi questa pillola". 'Va bene'. Risultato: sono rimasto sveglio due giorni».
E che era?
«Boh».
Come ha conosciuto Mina?
«Nel 1959 ero in una compagnia di prosa, e con i soldi guadagnati avevo comprato una Fiat 600 usata: con un amico decido di partire e girare l' Italia a caccia di cantanti ai quali proporre i miei pezzi».
«
«Una volta a San Benedetto del Tronto vediamo uno striscione: "Giovedì, Mina". Era martedì. Ci accampiamo, raggiungiamo il locale, conosciamo il proprietario, gli spieghiamo il perché di quella gita, lui sorride e il giovedì ci presenta Mina. Che esordisce: "Edoardo Vianello? Ho sentito parlare di te"».
Perfetto.
«La sera, a metà della sua esibizione, annuncia: "C' è qui un mio amico molto bravo". E mi invita a cantare. Finito lo spettacolo mi ferma: 'Voglio ascoltare le altre tue canzoni. In che albergo sei?'. Ahi Dal mio imbarazzo intuisce la verità, ci invita nell' appartamento che aveva affittato, e ci mette a disposizione la spider. Ho perso la testa per lei».
Lei oltre la musica.
«Fin da bambino fotografo le fontane di Roma: sono a 3.560 scatti».
Cosa le piace?
«È l' unico monumento che si muove».
Depresso?
«Mai, ho provato solo momenti di sconforto, in particolare quando nel 1969-70 ho fondato una casa discografica, Wilma era incinta e dovevo rispondere di una multa con il Fisco. Non c' era una lira. Al verde. Dopo il 1966 ho iniziato a non lavorare più, le mie canzoni venivano vissute come un fastidio per via dell' onda sessantottina. E pure il pubblico fischiava».
Quindi?
«Ho pensato: "Ma chi me lo fa fare?". E mi sono messo da parte».
Durato?
«Fino a quando non sono nati I Vianella, poi l'altra esplosione c' è stata con Sapore di mare e a due cover di Ivan Graziani. Compare nel film. Tutto nato da una casualità: esco da un ristorante di Roma, piove forte, mi riparo in un portone e trovo Jerry Calà. Ci salutiamo. Mi racconta del progetto cinematografico, io mi propongo e dopo tre giorni arriva la chiamata».
Agli inizi della sua casa discografica ha lavorato con Renato Zero.
«Purtroppo non sono riuscito a dare il mio contributo alla sua carriera: la mia etichetta veniva distribuita dalla Rca e tutti i progetti dovevano ottenere la loro approvazione. Niente. Così a un certo punto l' ho liberato. La Rca s' imbarazzava. Era legata al Vaticano, e Renato per l' epoca era un azzardo: quando camminavamo per strada, ci urlavano di tutto; un giorno l' ho portato da un sarto: "Ora ti prendi un vestito normale"».
Il suo opposto.
«Anche come carattere, lui istrionico, io ovviamente no. Già cantava O mio signore. Mica mi piace tanto».
Davvero?
«Non mi appartiene. O meglio: non rappresenta il mio stile, poteva scriverla chiunque. Mentre sono quello de I Watussi e così voglio essere ricordato. Per sempre».
(Perché lui, pur non altissimo, ogni tre passi ha comunque fatto sei metri).
· Fabio Rovazzi contro i superficiali.
Fabio Rovazzi e Will Smith nella stessa camera d’albergo (per un errore di prenotazione). Pubblicato lunedì, 07 ottobre 2019 da Corriere.it. La strana coppia. Fabio Rovazzi e Will Smith si sono ritrovati insieme a Budapest, nella stessa camera d'albergo. L'artista italiano si trovava nella capitale ungherese come invitato alla première di «Gemini Man», diretto da Ang Lee che esce nelle sale italiane il 10 ottobre e ha come attore protagonista la star americana. «Rovazzi si è trovato coinvolto in una situazione paradossale che lo ha visto costretto a condividere per una notte una stanza d'albergo con l'attore hollywoodiano per un errore di prenotazione», ha fatto sapere la sua agenzia. Qualcuno in rete, in realtà, si chiede se non si tratti di una (brillante) trovata pubblicitaria. Dall'imprevisto è nato un divertente video, postato su You Tube, nel quale Smith invita Rovazzi ad avere cura della propria igiene orale, lavandosi i denti (con un unico spazzolino). Mentre dividono lo stesso matrimoniale, i due iniziano a discutere su quale programma televisivo guardare (Esilarante il momento in cui litigano per il telecomando e Fabio vuole vedere Alberto Angela) e, infine, l'assonnato attore hollywoodiano cerca di convincere il vlogger italiano a dormire. Rovazzi si fa, quindi, raccontare una storia da Smith. «Raga, non so come sia possibile ma c’è Will Smith nella mia stanza... Da questa giornata in poi ritornerò a fare Vlog», dice Rovazzi all'inizio del filmato.
Fabio Rovazzi: «Ragazzi, fregatevene dei like, non hanno alcun valore». Pubblicato domenica, 29 settembre 2019 su Corriere.it da Andrea Laffranchi. «Mi manca mio papà, è il motore di tutto quello che faccio». «Amo il cinema, sto lavorando a un progetto ambizioso e segreto». «Io e J-Ax? Siamo due nerd, veri amici». Altro che senza pensieri. Per la testa di Fabio Rovazzi ne passano mille. Non ultimo quello per i lavori di casa. «È piccola, non ha un grande valore immobiliare, ma ci sto facendo interventi da circa un anno e mezzo. Sarà iperconnessa: ho dovuto controsoffittare tutto per far passare i cavi. Quando sarà pronta, fra studio insonorizzato e impianto per il cinema, non uscirò più», racconta dietro ai suoi baffi. «Senza pensieri» è la canzone con cui Fabio ha attraversato l’estate. Il senso del brano e del video non era un inno al relax e allo staccare il cervello. «Non è lo staje senza pensier’ di Gomorra, è proprio sulla mancanza del pensiero inteso come ragionamento. Volevo essere tagliente, ironico, ma qualcuno non lo ha colto... Nel video un robot viene mandato dai “cattivi”, tra le cui fila c’è Loredana Bertè, a privarmi di quella capacità», spiega fra una svapata e l’altra. «È il mio modo per raccontare che provo invidia per chi è poco consapevole, per quelli che non si rendono conto dei problemi che li e che ci circondano. Immagino che se dai priorità a cose futili finisci per essere più contento e sereno, ma forse meno utile al mondo».
Cosa fa Rovazzi, punta il dito, si mette a fare la lezioncina?
«Noooo. Io provo a informarmi. A dare importanza a quello che credo sia veramente importante. Il mondo ci porta a dare attenzione alle cavolate. Penso di avere una consapevolezza e una delicatezza verso le cose, ma non voglio passare per quello che si loda. Anche perché nessuno, anche chi ci casca in quel meccanismo, direbbe mai “il centro della mia vita è il nulla”».
I social network spesso sono il nulla, ma sono anche parte del suo lavoro. Lei ha 1 milione mezzo di follower su Instagram e viaggia a colpi di decine di migliaia di cuoricini ad ogni post. Come vive il suo lato virtuale?
«Sui social ci sono e non ci sono... faccio stories quando sono tranquillo e ho grandi momenti di buio quando sono preso dal lavoro. Sono degli amplificatori di un messaggio. Non me ne frega nulla però dei like. Non hanno un valore commerciale e le azienda stanno iniziando a capire che non sempre si trasformano in vendite o in qualcosa di positivo per un prodotto. Vado oltre e dico che i like non hanno nemmeno un valore umano».
Di recente è intervenuto per difendere la fidanzata Karen Kokeshi (vero nome Rebecca Casiraghi) dagli insulti degli hater.
«Lei non è abituata al confronto con una platea nazionalpopolare come quella che l’ha conosciuta attraverso me e la nostra relazione. Ho visto che stava soffrendo un po’ per la situazione e mi sono messo davanti».
Lei conosce bene la Rete. Ha cominciato con i video virali su Facebook e nel 2016 ha centrato il tormentone «Andiamo a comandare», prima canzone a conquistare il disco d’oro solo con lo streaming in un’era in cui c’era ancora il download. Cosa ricorda?
«Quando abbiamo pubblicato il brano ero terrorizzato. Pensavo che nessuno se la sarebbe comprato, che nessuno avrebbe speso dei soldi per uno sconosciuto. Così ho suggerito di metterlo solo sulle piattaforme streaming».
Quando ha capito che stava funzionando?
«Me ne sono accorto quando mi sono visto taggare in un video in cui migliaia di persone ballavano la canzone su una spiaggia in Puglia. Lì ho capito che qualcosa era andato fuori controllo. Ero in vacanza a Ibiza, felice e spaventato. È stato faticoso trovarsi al centro dell’attenzione. Però è stata anche una svolta personale: ho capito che potevo essere interprete delle mie idee».
C’era J-Ax in quel video, e c’è anche nell’ultimo: che rapporto avete?
«C’era anche prima diAndiamo a comandare. Mi aveva notato su Facebook. È stata la prima persona che mi ha chiamato al telefono e mi ha offerto qualcosa. Mi chiese di partecipare al programma tv Sorci verdi. Usciamo spesso a cena insieme, siamo due nerd pazzeschi e ci teniamo aggiornati sulle ultime novità tecnologiche. Ne abbiamo passate tante e siamo rimasti amici senza mettere in mezzo il lavoro. Purtroppo non sempre ci si riesce».
Ai tempi girava con la maglietta «Non sono un cantante». E lo è sempre meno. In coppia con Pippo Baudo ha presentato Sanremo Giovani: le piace la tv?
«Quell’esperienza mi ha acceso qualcosa dentro. Ho delle idee, ma devo fare ancora gavetta».
La sua faccia marchia gli spot di una compagnia telefonica e di una casa automobilistica.
«Uno spot per me non è essere presente e recitare due battute. Oltre ad essere testimonial, gestisco anche la creatività di quelle campagne pubblicitarie. Così mi sembrano un po’ meno marchette. Ho portato a bordo del progetto anche Maccio Capatonda che si occupa della regia. Adesso vorrei creare una struttura imprenditoriale per lavorare creativamente a fianco di altri brand, senza necessariamente metterci la mia immagine».
Lei fa canzoni per girare video che hanno il budget di un intero album di un artista di prima linea.
«L’obiettivo non sono le visualizzazioni su YouTube o gli ascolti sulle piattaforme di streaming, ma tirare fuori un prodotto che sia il più bello possibile».
Ha sempre dichiarato un grande amore per il cinema. Sul grande schermo per ora ci ha messo la faccia, come protagonista di «Il vegetale» di Nunziante e sarà anche ospite della prima puntata della nuova serie di «Don Matteo». Il suo futuro è lì?
«Una passione che arriva da mio padre. Da piccolo mi faceva vedere film come Ritorno al futuro, tutti i Monty Python, Star Warsma anche pellicole per adulti come Shining. Da lui ho preso anche l’amore per la musica attraverso gruppi che andavano dai Led Zeppelin a Elio e le Storie Tese».
Papà se ne è andato che lei aveva 16 anni. Lo ha ringraziato in diretta dal palco di Sanremo...
«Ho scritto quel monologo la mattina stessa. Ho fatto mettere sul gobbo anche quel passaggio perché mi emozionava ma non sapevo se lo avrei recitato. Lui non c’è più e siccome non so come funziona la comunicazione fra terreno e ultraterreno ho pensato che con tutto quello share forse qualcosa gli sarebbe arrivato. Sembra una battuta ma sono serio. Mi manca ma penso che lui sia il motore di tutto quello che faccio. Era un medico specializzato in dermatologie ed era ammalato di cinema. Forse avrebbe voluto vedermi dottore come lui, ma ho avuto la fortuna di trovare una strada professionale seguendo una passione. Non capita a tutti. E quella passione me l’ha messa in testa lui».
Una regia firmata Rovazzi?
«Sto lavorando a un progetto impegnativo e ambizioso ma non ancora concreto. Sono nato ed esploso nel momento sbagliato per il cinema. O fai film tipo Avengers o la gente non viene a vederti. In più, in Italia c’è sfiducia da parte del pubblico verso il nostro cinema. Dall’altra parte ci sono le piattaforme di streaming. Sono nel limbo... Da che parte vado? Cosa faccio?».
Ricordi d’infanzia?
«Un momento, quello sì, senza pensieri, con meno responsabilità e meno problemi. O forse no... Mi ricordo ancora il primo bacio alle elementari: era già una cosa seria e consapevole».
Adesso ha 25 anni. Appartiene alla generazione prima di Greta Thunberg. Che ne pensa?
«Una volta si andava in piazza a manifestare e mi piace vedere che i ragazzi ci stiano tornando. L’ecosistema è qualcosa di collettivo però non riesco a capire se ci sia una sensibilità reale o se si postino le foto dell’Amazzonia che brucia e basta. Però penso anche che se è difficile fare qualcosa come singoli, queste cose possono servire a muovere le acque e far arrivare un messaggio alle persone che possono intervenire».
Sta già lavorando al prossimo tormentone estivo?
«La gente pensa che i personaggi da tormentone ad aprile rimangano senza soldi e debbano ingegnarsi. Mi diverte leggere quei commenti stupidi tipo “hai fatto la canzone perché dovevi pagare il mutuo?” e lo faccio dire anche a J-Ax nella canzone. In realtà non mi fermo mai. Finite le vacanze sono tornato allo stress e alle riunioni. Mi lamento, ma alla fine è quello che mi piace».
Fabio Rovazzi: "Che noia quelli che odiano in rete per invidia..." Gli hater, il cinema, la tv (sarà in Don Matteo) e quelle cene con i famosi che diventano occasioni di lavoro. Gianni Poglio il 28 agosto 2019 su Panorama. “Io non mi riposo mai, anche quando sono un in mezzo al mare ai Caraibi rispondo a chiamate di lavoro”: è la una di notte a Los Angeles quando ci mettiamo in contatto con Fabio Rovazzi, alle prese con il più classico dei torcicollo da aria condizionata a stelle e strisce. Un artista, un comunicatore abile e decifrare il linguaggio di questo tempo, che riesce a tenere insieme il pubblico teen e quello adulto, un attore, un regista, un imprenditore di successo (ha fondato una sua società di produzione, la Raw srl), oltre che volto e voce dei più brand più importanti, da Fiat a Wind, da Tre a Netflix. Cinque singoli e tredici dischi di platino, questo è il suo curriculum da artista. Esattamente quello che non succede alle meteore della musica. L’ultima canzone è uscita a inizio agosto, si chiama Senza pensieri,non è un tormentone per l’estate e nemmeno una canzonetta scacciapensieri, ma il clip è a quota 5 milioni di views e vede coinvolti Loredana Bertè, Enrico Mentana, Fabio Fazio, Terence Hill, J-Ax, Max Biaggi, Paolo Bonolis e, in un un cameo, la fidanzata Karen Kokeshi, una youtuber recentemente bullizzata dagli hater su social. “Evidentemente non vi rendete conto della bassezza che avete raggiunto” ha scritto replicando a che aveva messo nel mirino Karen…
«Di solito non rispondo a questo tipo di attacchi, ma Karen ha poca confidenza con il mondo degli hater, così mi sono messo in mezzo per cercare di risolvere le cose. Chi si approccia al web ingenuamente rischia di trovarsi sommerso da un mare di odio che è figlio di frustrazione ed invidia, un odio che arriva da persone che fino a quindici anni fa non avrebbero avuto diritto di parola. Umberto Eco sosteneva che il web ha dato voce anche all’ultimo ubriacone del bar che prima non veniva nemmeno preso in considerazione. Ed è vero. Chi odia in rete lo fa per andare in ‘top comment’, per arrivare primo nei commenti con più like».
Lei ha sempre difeso la rete anche nelle sue parti più “deep” ed oscure. Ha cambiato idea?
«Una volta il web era una sana competizione tra chi aveva le idee più innovative ed intelligenti. Adesso è una giungla dove chiunque, senza avere alcun tipo di talento, cerca un momento di visibilità. Si gioca pesantemente al ribasso…»
Un punto di non ritorno?
«Si è persa completamente la dignità, ormai qualunque ragazzino ha in mano un mezzo attraverso cui può riversare odio pensando di farla franca, di non essere visto. Gli hater mi ricordano quelli che si scaccolano in macchina credendo che nessuno intorno a loro se ne accorga. Tutto per un like. Commercialmente parlando, le aziende si stanno rendendo conto che il numero dei like conta sempre meno. Ci sono sconosciuti che hanno duecentomila like, ma poi quando sponsorizzano un prodotto vendono a malapena dieci t-shirt. Io uso Instagram e faccio 50 mila like, che sono pochi, però sono testimonial dei maggiori brand italiani. Quindi, qualcosa non torna».
Da outsider che cantava di trattori in tangenziale a personaggio del jet set . Come si trova da famoso tra famosi?
«Non è il fatto di andare a cena con… Da quegli incontri possono nascere idee, collaborazioni, magari anche qualcosa di importante. Quelle che possono essere viste come semplici pubbliche relazioni io le considero amicizie che nascono e si rafforzano nel tempo. Adoro avere uno scambio: nel contesto artistico succede sempre di meno, un po’ per egocentrismo, un po’ per isolamento da social. Ho contattato Gianni Morandi per un featuring in una canzone, ma poi siamo diventati amici, sono andato a dormire a casa sua un paio di volte. Ci sentiamo spesso: mi regala aneddoti straordinari sulla sua carriera, io gli espongo le mie opinioni sul futuro della musica e non solo. Idem con Massimo Boldi. Ieri sera ho cenato con Tiziano Ferro, Emma Marrone e Tommaso Paradiso dei Thegiornalisti. Con Enrico Mentana sono andato a cena un paio d’anni fa e poi da quella sera abbiamo iniziato a scriverci regolarmente. Loredana Bertè l’ho conosciuta ad Amici, e fin da subito ho capito che mi stimava: "quando hai il pezzo giusto chiamami perché io ti ammiro molto". Non ci ho pensato due volte e l’ho coinvolta in Senza pensieri».
A 18 anni e un minuto è andato vivere da solo: è stata quella la scelta che le ha cambiato la vita?
«Ero un teenager che si ribellava, ma poi ho trovato la mia strada, ho capito che i video erano la mia passione. Mia madre era molto perplessa perché non pensava che realizzare dei video potesse diventare un lavoro. E aveva ragione, anche perché al novantanove per cento delle persone che si occupano di clip non capita quel che è successo a me. Quindi non me la sento di consigliare la mia scelta a nessuno. Giustamente, mia madre riteneva che avessi fatto una scelta avventata. Ma, d’altra parte, soltanto un genitore sciatto avrebbe potuto dire: ok, va bene così prendi le tue cose e vai».
Cinque canzoni dal 2016 ad oggi: una scelta di marketing o un’esigenza artistica?
«Non esco con un pezzo al mese perché mi interessa lavorare con cura su brani che abbiano più strati di lettura. Cerco un equilibrio complesso: per i più giovani Senza pensieri può essere semplicemente un pezzo da ballare a Mykonos, mentre il pubblico più adulto può cogliere gli altri significati tra le righe. Per esempio il riferimento al fatto che siamo sottoposti ogni giorno a migliaia di informazioni e sollecitazioni. Un bombardamento che alla fine annulla la memoria. Tutto passa e nulla resta. Nella mia immaginazione c’è un futuro del mondo diviso in due classi. Quella servita e quella servile che lavora per consegnare qualsiasi cosa nelle case di chi non ha alcuna intenzione di compiere un’azione motoria».
Il ruolo da protagonista nel film Il vegetale di Gennaro Nunziante è stata un unicum o intende replicare?
«Ho voluto fare quella esperienza come attore perché normalmente sono un maniaco del controllo. Scrivo, dirigo, verifico ogni dettaglio. Recitare per altri ha significato calarsi in una condizione più passiva, da interprete, da osservatore di un mondo e delle sue dinamiche. Certo, ho velleità cinematografiche, ma sto cercando di capire cosa fare esattamente perché il cinema è una in fase di grande mutazione. Al netto dei grandi film-evento non sono molte le persone che hanno voglia di spendere sette o otto euro per andare in sala».
Conferma che sarà in presente in Don Matteo?
«Ho una parte inaspettata che spero piaccia, non posso dire altro. La prima volta che mi sono trovato di fronte a Terence Hill Terence mi si è gelato lil sangue: ha un volto talmente iconico che non riuscivo a credere di avercelo davvero di fronte».
La Los Angeles di Fabio Rovazzi: tre luoghi cult.
«Sono posti dove si mangia, perché qui tutto avviene a tavola: seduti ad un tavolo si conoscono le persone, nascono progetti e occasioni di lavoro. Mi piace moltissimo Terroni, un ristorante italiano di West Hollywood dove è obbligatorio provare la costata e il filetto, il secondo è In-N-Out una catena che fa hamburger pazzeschi e poi un ristorante giapponese Shunji sulla Pico Boulevard. Se sei in America, ma hai voglia di sentirti per un’ora a Tokyo, è il posto giusto, il miglior sushi di Los Angeles. Per fare colpo su qualcuno è perfetto…»
Fabio Rovazzi e la rottura con Fedez: "Non si può conciliare amicizia e lavoro". Il cantante che sta spopolando con la hit estiva "Senza Pensieri" ha rilasciato un'intervista al settimanale Grazia dove ha raccontato, tra le altre cose, come mai è finita con Fedez. Novella Toloni, Giovedì 15/08/2019, su Il giornale. Fedez, Fabio Rovazzi e J-Ax, fino allo scorso anno eravamo abituati a vederli spesso insieme. Insieme per una hit estiva oppure per un video ma comunque legati da una forte amicizia. Poi qualcosa si è rotto e le loro strade si sono divise. O almeno quella di Fedez, visto che J-Ax e Fabio Rovazzi continuano a collaborare artisticamente e nella vita privata sono amici. Oggi però Fabio Rovazzi ha rotto il silenzio e in un'intervista al settimanale Grazia dove ha parlato della rottura con Fedez. "Semplice, io e Fedez abbiamo preso strade diverse, tutto qui. Sono cose che capitano a tanti. Umanamente questa storia mi ha insegnato che non si può conciliare l’amicizia con il lavoro. È la lezione più importante che ho imparato fino ad ora ”, ha spiegato Rovazzi, da poco rientrato da un viaggio che ha toccato anche l'area 51 dove è stato protagonista di un episodio surreale. Sulla rottura, dunque, Rovazzi non si è sbilanciato troppo con le parole, cosa che non fece invece Fedez in un'intervista dello scorso marzo a "Il Fatto Quotidiano". In quell'occasione il cantante spiego che: "Le separazioni nascono perché io non riesco a vivere queste cose in maniera artefatta. Io faccio l’errore grande di mischiare l’affettività al lavoro. Quindi poi non riesco a recitare la parte dei separati in casa. Ho conosciuto Rovazzi che, sconosciuto, faceva video e sa che gli ho dato tantissimo. Lui stesso lo dice. L’evidenza non si può negare. Il mio errore è stato non comprendere che la sua direzione artistica era un’altra, non quella strettamente musicale. Grande talento d’attore, comunque. In tutto. Non lo avevo intercettato".
Fedez: “Ecco la verità sul perché ho rotto con Fabio Rovazzi”. Il rapper ha spiegato le motivazioni che lo hanno portato a interrompere il suo rapporto con quello che prima era un amico e un collega. Giuseppe Candela il 30 marzo 2019 su Il Fatto Quotidiano. Fedez, J-Ax e Fabio Rovazzi: amici e colleghi per molti anni. Poi la rottura, la separazione, quasi nessun commento dei diretti interessati fino all’assenza dei due al matrimonio dei Ferragnez: “Non rinnego nulla di quello che abbiamo fatto con Fabio e non rinnego nulla di quello che abbiamo fatto con Ax. Abbiamo fatto delle grandi cose, indipendentemente dal lato musicale. Ovviamente non abbiamo fatto cose alte in termini musicali, ma in termini discografici abbiamo fatto delle cose belle”, ha detto l’ex giudice di X Factor nel corso di una lunga intervista su Youtube con Marco Montemagno. “Inizialmente tutti ci dipingevano come una lobby discografica – dice Fedez riferendosi a Newtopia – che a tavolino aveva creato questo ‘mostro’ come se fosse una catena di montaggio della discografia. Ma non era vero. Fabio faceva la canzone, perché sul lato artistico faceva tutto lui, e noi mettevamo a disposizione i mezzi per poter fare queste cose. Noi siamo stati bravi a chiudere con i brand, bravi ad andare in televisione ma inizialmente Fabio era un mio amico. Andavamo in vacanza insieme, facevamo i video diari insieme”, ha aggiunto il marito di Chiara Ferragni. Poi la rottura: “La spontaneità con cui è nata questa cosa secondo me si è percepita. Le separazioni nascono perché io non riesco a vivere queste cose in maniera artefatta. Anche perché, mio errore molto grande, mischio l’affettività al lavoro e a un certo punto non riesco più a recitare la parte del separati in casa e poi riflesso di Pavlov davanti alle telecamere”. Il rapper ha confermato il suo addio al talent show in onda su Sky: “Ho eliminato la televisione. E’ stata un’esperienza formativa e mi ha insegnato molte cose, ma a un certo punto mi aveva già dato tutto. La televisione oggi ha peso zero.” Per poi concludere parlando del suo matrimonio social con la fashion blogger: “So che c’è molta dietrologia intorno a me e alla mia famiglia, ma non ho un team di persone dietro che mi pubblica le cose, solo amici e la mia Leica. Facendo un parallelismo con la discografia, questo è un periodo in cui la musica vive molto attraverso il personaggio e, a volte, il personaggio diventa molto più forte della musica. Mi rendo conto che la percezione all’esterno possa essere molto al di fuori della realtà, la verità è molto più semplice di come si può pensare sotto questo punto di vista, la quotidianità che raccontiamo è realmente la nostra quotidianità, se no dovremmo vivere due vite parallele.”
Rovazzi: "Con il mio pop prendo in giro un mondo sempre più superficiale". Nel video di «Senza pensieri» appaiono anche Mentana, Bonolis e Terence Hill. Paolo Giordano, Sabato 03/08/2019, su Il Giornale. Difficile mettere Fabio Rovazzi in una casella soltanto. Lui mescola, sovrappone, spariglia. Per riassumere, è un artista che scrive canzoni e le canta, pensa e dirige i propri video, studia campagne pubblicitarie e sogna di fare un film. Il nuovo aggiornamento del sistema Rovazzi è il brano Senza pensieri cantato con Loredana Bertè e J-Ax come ospiti. L'altra sera Rovazzi (che domenica inaugura l'«Instagram Takeover» di Rtl 102.5) ha aggiunto al potenziale tormentone il suo «solito» video kolossal che ha una cosa rarissima oggigiorno, cioè un'idea, e molti ospiti famosi, da Terence Hill a Mentana a Fabio Fazio e Gigi Marzullo tra gli altri. In sostanza, un piccolo film che in ventiquattro ore ha quasi raggiunto il milione di views. «E sa qual'è il mio impegno più grande quando faccio un video?», dice da Los Angeles.
No Rovazzi, qual è?
«Sono ossessionato dall'idea di creare un prodotto leggibile che abbia un significato senza cadere nel moralismo o nella superficialità. Ci vuole un attimo a cascarci».
L'obiettivo della canzone, e quindi del video?
«È la storia di una società nella quale alle persone viene tolto il pensiero».
Un'allusione al mondo di oggi?
«La gente è martellata da una quantità incredibile di informazioni e non si rende conto delle emergenze vere».
Ossia?
«I rifiuti, il riscaldamento globale eccetera. La continua esposizione a una dose inaudita di dati crea problemi al nostro cervello, che non ricorda in modo corretto. Questo porta a un appiattimento generale e a una mancanza di autentico impegno».
Insomma, invece di «scendere in piazza» si preferisce stare chiusi in casa con i social.
«Oggi si pensa che affrontare i problemi sociali con i cartelli di cartone con le scritte a pennarello sia una perdita di tempo».
A proposito di piazza, il video è girato in parte anche nella piazzetta di Ritorno al futuro.
«Sì, e quel luogo senza i costumi di Christian Cordella sarebbe sembrata vuotissima».
Il pugliese Cordella è il «costume designer» di kolossal come Thor, Fast and Furious 5, Iron man 2 e The Avengers.
«Ieri sera ero a cena con lui qui a Los Angeles, è un rapporto che voglio rendere lavorativo perché, lo ammetto, il mio sogno è di fermarmi qui».
Torniamo ai social.
«Tanti scrivono il proprio pensiero su Facebook e con quello sono convinti di aver magari contribuito alla causa».
Eppure lei viene dal mondo social.
«Se il mezzo è semplice non è detto che si debba per forza seguire la strada più facile».
Il video di Senza pensieri è costruito cinematograficamente benissimo.
«Il cinema è il mio obiettivo, sto temporeggiando perché è sempre più difficile confrontarsi con un box office spietato. Insomma, è molto difficile far mettere i pantaloni alla gente e farla uscire di casa».
Se il cinema è complicato, lo faccia con Netflix.
«Ho parlato anche con loro».
Se facesse un film, dovrebbe abbandonare la musica per un bel po'.
«Resto convinto dell'idea che la qualità paghi sempre. Guardi Checco Zalone. Sta lontano dalle scene per tanto tempo ma poi ogni suo film è un evento».
Nel video di Senza pensieri ci sono tanti ospiti.
«Mi piace che Mentana si cali nel suo ruolo di conduttore del tg per annunciare che siamo in un mondo senza problemi».
All'inizio però c'è Bonolis.
«Ho grande stima per lui, ha un linguaggio incredibile».
C'è anche Fabio Fazio nel ruolo di un banchiere.
«Il suo è un cammeo molto divertente che prende in giro un luogo comune dell'artista che, se lavora, è solo per pagarsi un altro mutuo».
La storia poi si conclude con Terence Hill.
«La sua partecipazione ha dato più nobiltà al tutto».
Com'è nata questa collaborazione?
«Sul set di Don Matteo per una puntata che si vedrà in autunno».
Quindi la tv l'attira?
«Quando mi hanno proposto di condurre il Sanremo giovani con Pippo Baudo ho accettato subito. E ne sono stato entusiasta al punto che mi è rimasta la voglia di farne ancora».
· Tiziano Ferro e l'amore.
"Il pop è più forte della politica. E a Fedez dico basta battutine..." Esce il disco «Accetto miracoli» prodotto dal «gigante del rap» Timbaland. «Io a Sanremo? Niente conduzione, sarò ospite». Paolo Giordano, Giovedì 21/11/2019, su Il Giornale. Arriva sorridente ed emozionato, presenta un disco completo, inciampa in una velata polemichetta e poi, oplà!, parte l'avventura ufficiale del suo nuovo disco. «Sono uscito dalla mia zona di conforto, ho avuto una microcrisi che ho trasformato in una crisi creativa: ho sempre il terrore di crollare nell'abitudine». Insomma, ieri Tiziano Ferro ha presentato uno dei suoi dischi migliori, quell'Accetto miracoli di cui si parla da tempo e che, a scatola chiusa, gli ha già fatto «conquistare» due concerti a San Siro oltre che la pianificazione di un lungo tour negli stadi che dal 30 maggio lo porteranno in giro per l'Italia, da Milano a Roma e Cagliari, fino alla metà di luglio. Glielo ha prodotto Timbaland, in pratica una delle divinità rap americane. «Ho cambiato squadra rispetto al passato, con lui mi sono trovato bene forse perché tutti e due avevamo voglia di ripartire da zero», ha spiegato Ferro al Museo del Novecento di Milano, con una vista clamorosa sul Duomo. Ora che vive a Los Angeles e si è sposato, Tiziano Ferro ha una visione più rotonda e distaccata: «Ho imparato a non rispondere alle offese», spiega. E poi, quando gli si fa notare che in passato qualcuno (Fedez) lo aveva attaccato con un po' di volgarità, lui risponde senza citarlo: «Sono molto autoironico, mi spiace solo quando queste cose sono legate al sentimento e alla sessualità, perché anche una battuta può mettere un adolescente a disagio e che un idolo dei ragazzini mi prenda in giro su questo è un atto di bullismo molto forte, non solo verso di me». La canzone è Tutto il contrario, dove i toni sono in effetti molto pesanti. Fedez via Instagram ha risposto quasi subito: «Mi stupisce il tempismo: questa canzone l'ho scritta a 19/20 anni, non avevo ancora una casa discografica e non avevo un pubblico e mettevo le mie canzoni online». E poi: «Mi fa strano dover rendere conto di una cosa che ho scritto 10 anni fa: quando si hanno vent'anni si è persone completamente diverse e ci si esprime anche con termini e toni completamente diversi. Infine il morbido rilancio: «Non ho mai pensato che quella canzone avesse offeso Tiziano. Ora che lo so mi sento di dire che non era quella l'intenzione e mi dispiace se poteva prestarsi a male interpretazioni. Anzi rilancio: Tiziano, rendiamo costruttiva questa brutta parentesi e facciamo insieme qualcosa contro l'omofobia». Vedremo. Intanto c'è un disco che mescola ballate con brani di attualissimo «urban» offrendo sostanzialmente il manifesto del nuovo Tiziano Ferro, quasi quarantenne, neo sposo di Victor Allen, residente per amore «nella bolla di Los Angeles» che però non conosce il resto dell'America. Come ha fatto Jovanotti, che ha cambiato team produttivo affiancandosi a Rick Rubin, così Ferro si è affiancato a Timbaland che «ha prodotto brani spesso senza neanche conoscere la traduzione del testo, ma il risultato è perfetto lo stesso». E non a caso Jovanotti duetta con Tiziano in Balla per me che è «proprio un duetto, non un featuring come va di moda oggi. Lorenzo è stato il mio primo idolo, a scuola avevo fondato un fan club per lui ma un compagno di classe mi ha battuto perché lui aveva creato un fan club per Morandi e ci aveva aderito anche la maestra. Però a Carnevale mi sono travestito da Jovanotti con il chiodo rosso e, in mezzo a tanti altri vestiti da Zorro o personaggi simili, pochi capivano chi fossi». In tutti questi anni, Tiziano Ferro è cresciuto, ha avuto successi grandi, ha toccato il cuore di un paio di generazioni con parole che pochi altri avrebbero saputo trovare. Ed è autorevole quando, in velata polemica, spiega che «lo streaming rappresenta solo una parte della realtà musicale e dei gusti del pubblico» e annuncia che «Ultimo è stata la più bella notizia di quest'anno perché sento che gioca per la mia stessa squadra». Ossia per quella che mette ancora al centro la ricerca delle parole e il loro equilibrio stilistico. Non a caso Tiziano Ferro si dichiara clamorosamente tifoso del pop («Il pop arriva dove politici e filosofi non arrivano») e del Festival di Sanremo: «Tutti lo criticano ma è come il panettone». Quest'anno (anche quest'anno, verrebbe da dire) farà la sua apparizione all'Ariston. Non come coconduttore, come si era pensato fino a un paio di settimane fa: «Non saprei nemmeno come fare». Sarà semplicemente ospite. «Ma io non ho ancora incontrato Amadeus, non ci siamo mai visti anche se stiamo tentando di parlare. Sono sicuro che alla fine ci verrà l'idea giusta». Nel frattempo le canzoni di Accetto miracoli prenderanno quota, diventando - come molti prevedono - uno dei successi del 2019. Poi il tour. «La scaletta sarà composta soltanto dei miei singoli», spiega sorridente e, diciamolo, molto soddisfatto. In fondo è un bel traguardo.
Da repubblica.it il 20 novembre 2019. "Mi si tira in ballo e io sono ironico, finché si scherza va bene, mi spiace solo quando queste cose sono legate al sentimento e alla sessualità, perché anche una battuta può mettere un adolescente a disagio, e che un idolo dei ragazzini mi prenda in giro su questo è un atto di bullismo molto forte, non solo verso di me". Tiziano Ferro sceglie la conferenza stampa di presentazione del suo nuovo album Accetto miracoli, prodotto in gran parte da Timbaland, per parlare di bullismo e attacchi ai gay che anche lui dice di aver sperimentato e il riferimento sembra tanto rivolto a Fedez che nel 2011 con la sua Tutto il contrario ironizzò pesantemente sul cantante di Latina. "Ti riferisci a Fedez?" chiede un giornalista per togliere ogni dubbio di interpretazione. "Lui è uno dei tanti", risponde lapidario Ferro. Immediata la replica del rapper che su Instagram chiede scusa a Tiziano Ferro: "Sono estraneo all'omofobia, mi spiace per quella canzone, l'ho scritta dieci anni fa: a 19 anni ci si esprime con termini e toni completamente diversi". Nel suo album Tiziano Ferro fa riferimento alle offese ricevute, nella presentazione spiega che "il bullismo non è finito a 13 anni e viene anche da chi scrive canzoni". Ferro ha poi sottolineato che "serve una legge contro l'odio, perché le parole sono importanti. Bisogna imparare a dire le cose, esistono forme e tempi". Per l'artista di Latina "anche questo è bullismo, non ci si deve scherzare". Poi parla di sé: "Capita di vivere in una città che non ci appartiene, di innamorarsi, di decidere di rimanere, perché casa è dove ti costruisci una famiglia. Si va un po' in crisi, ma anziché chiudersi se ne approfitta per uscire dalla zona di confort, e ne viene fuori un lavoro di cui essere molto orgoglioso". Ferro definisce Accetto miracoli "figlio di una microcrisi trasformata in crisi creativa", spiegando di aver "lasciato che la vita facesse il suo corso, accogliendo i cambiamenti". Di qui il nuovo lavoro in uscita il 22 novembre, cui seguirà il tour Tzn2020, dal 30 maggio negli stadi italiani e da novembre in Europa per 10 date indoor. La replica di Fedez. Con una serie di video su Instagram, Fedez replica alle accuse di bullismo per il testo di Tutto il contrario in cui si fanno riferimenti all'omosessualità di Tiziano Ferro con parole poco gentili. "Mi fa strano dover rendere conto di una canzone che ho scritto dieci anni fa, era ancora underground, non avevo una casa discografica né un pubblico. A 19 anni si è delle persone completamente diverse e ci si esprime con termini e toni completamente diversi", sostiene il rapper. "Quello che volevo dire nella canzone è che le preferenze sessuali sono accessorie al mio giudizio verso l'artista, poi lo condisco con una scrittura dissacrante come è quella di un ragazzo di 19 anni. Penso negli anni di aver dimostrato che io e l'omofobia viaggiamo in parallelo e non ci incontriamo mai", aggiunge. "Non ho mai pensato di aver offeso Tiziano perché poi negli anni l'ho portata live, ho avuto modo di conoscerlo e questo non mi è mai stato riferito", si giustifica il cantante. "Ora che lo so, mi sento di dire che non era quella l'intenzione, poteva prestarsi a male interpretazioni, mi spiace per questa cosa e sono sicuro che sul tema omofobia e bullismo sia io che Tiziano possiamo trovarci d'accordo e fare tante cose insieme. Sono a disposizione, cerchiamo di rendere costruttiva questa brutta parentesi e di non litigare tramite interviste" conclude. "Facciamo qualcosa di bello per una volta".
ANTONELLA LUPPOLI per Libero Quotidiano il 21 novembre 2019. Tre anni. Da Il Mestiere della vita ad Accetto Miracoli. Nel frattempo: il matrimonio d' amore con Victor Allen e quello professionale con il guru del sound R&B Timbaland. Nuove consapevolezze e la solita emozione negli occhi di Tiziano Ferro. Da domani, sul mercato con un nuovo progetto discografico (Universal Music Italia). E già (involontariamente) protagonista di un botta e risposta con Fedez che, a mezzo social, fa sapere di esser pronto a un' eventuale collaborazione contro l' omofobia.
È il disco del cambiamento?
«Del cambiamento completo. Mio e inevitabilmente della mia musica. Mi sono trovato in una relazione che mai avrei pensato sfociasse in un matrimonio. E per caso ho bevuto un caffè con Timbaland. Da lì è nato il sodalizio».
È filato sempre tutto liscio?
«All'inizio c'è stata una sana e piccola crisi. Avevo bisogno di uscire dalla zona di comfort e tornare "alunno". Lui mi ha subito detto che non voleva scrivere le mie canzoni, voleva vestirle».
In Casa a Natale scrive «Sono solo ed è sempre stato così». In che senso?
«Sono da sempre un outsider. Grazie alla musica ho imparato ad esprimermi. Ma, non è che non faccio più cavolate. Ora so però che tutto rientra in un copione (la vita) che è pensato per noi».
In mezzo a questo inverno racconta di una perdita...
«Quella di nonna Margherita. Il primo pilastro della mia vita che è andato via. È stata un' esperienza vivere quel dolore e ho voluto scriverne senza fare la solita canzone dedicata alla nonna scomparsa, che se ci fosse stata si sarebbe arrabbiata (sorride, ndr)».
L' unico duetto dell' album è con Jovanotti in Balla per me. Una scelta?
«Quando ho scritto quel pezzo ho subito pensato che avrei dovuto rompere le scatole a Lorenzo. È sempre stato il mio mito. Avevo il suo poster in camera e, lo confesso, una volta a Carnevale mi sono travestito da lui. Duettare insieme è stata la realizzazione di un sogno».
Ne Il destino di chi visse per amare canta «E imparai a sentirmi forte ad ogni offesa mai resa». Si riferisce a Fedez?
«Non solo. Ho imparato che pensare un minuto prima di rispondere fa la differenza. Mi feriscono le offese legate ai sentimenti e alla sessualità, perché anche una battuta può mettere a disagio un adolescente. Se un idolo dei ragazzini mi prende in giro usando questi argomenti compie un atto di bullismo non solo verso di me».
In America, dove vive, gli artisti si espongono per cause politiche e sociali. In Italia no, perché?
«In America lo fanno ma non vengono ascoltati: basta pensare alla campagna anti-Trump. Vedo l' Italia un po' indietro rispetto ad altri paesi e mi spiace soprattutto per la mancanza di civiltà. Bisognerebbe fare una legge contro l' odio: le parole contano».
Chi ascolta le sue canzoni trova delle sicurezze, perché non ce ne sono altrove?
«A fare la differenza è il potere della verità. Io la dico sempre. Me ne frego di sembrare invincibile e spesso i miei valori appaiono come difetti. Mostro le mie fragilità in un mondo in cui i social consentono l' ostentazione all' ennesima potenza. Se scrivi canzoni, vieni dalla periferia e racconti la verità la gente ti premia. Ultimo ne è la prova. È la più bella notizia di quest' anno, sento che gioca nella mia squadra».
Sarà sul palco dell' Ariston a febbraio 2020?
«Certo, voglio cantare al Festival di Sanremo. Non abbiamo ancora deciso cosa ma canterò. Non sarò co-conduttore. Mi fido molto di Amadeus - anche se non l' ho ancora visto - lui come Carlo Conti è pop, viene dalla radio, ama la musica, sono certo che farà uno spettacolo al servizio della musica».
Tiziano Ferro contro Fedez: «in una tua canzone, bullo contro gli omosessuali». «Avevo solo 19 anni». Pubblicato mercoledì, 20 novembre 2019 su Corriere.it da Andrea Laffranchi. L’unica cosa che per Tiziano Ferro non cambia è l’emozione per l’uscita di un disco. “Ogni volta è come entrare nella macchina del tempo e tornare alla prima presentazione pubblica, quella di “111””, racconta con la voce rotta dall’emozione. Per il resto, nulla è rimasto uguale a quando lo avevamo (discograficamente) lasciato con “Il mestiere della vita”. “Accetto miracoli”, il suo nuovo album è il “testimone di un cambiamento completo”. “Mi sono trovato a vivere a Los Angeles, posto che non amo ma ormai la mia famiglia e lì, anche se questo farà dispiacere a mamma e papà”. Le novità sono anche professionali. Tutti i suoi album, dal debutto all’ultimo, erano stati prodotti da Michele Canova: questa volta ha scelto Timbaland, guru della musica black e hip hop con Missy Elliott, Justin Timberlake, Jay-Z e altri nel curriculum. “Quasi per caso ho preso un caffè con lui, uno dei miei idoli di gioventù. Da quell’incontro siamo usciti con una canzone e mezza e il giorno dopo mi ha dato la sua disponibilità a lavorare su tutto l’album. Dopo 18 anni di zona di conforto mi sono rimesso in gioco da alunno”. Ultimo anello, la vita privata: “L’ultima cosa che avrei pensato era imbarcarmi in una relazione che avrebbe portato al matrimonio”. E mostra la fede. “Sulla mia c’è la data americana delle nozze, su quella di Victor quella italiana”. In “Casa a Natale”, ballad con arrangiamento minimal, però canta ancora “sono solo ed è sempre stato così”. “E’ il tema più complesso della mia vita. Mi sono sempre sentito un outsider, da bambino perché grasso, bullizzato, sfigato. Ho sempre avuto un senso di inadeguatezza enorme, una linea di separazione dagli altri che mi devastava. A 40 anni mi sono accorto che si inizia non ad essere felici, ma ad accogliere quello che arriva come parte di un copione che prima o poi troverà un senso”. Tutto trova senso, anche le offese. Lo canta in “Il destino di chi visse per amare”. “Ho imparato a non rispondere. La meditazione è anche quel minuto che ti permette di non reagire. Se replichi vinci una battaglia da due soldi, la pausa aggiunge peso specifico al tuo valore umano. Il bullismo non è finito a 18 anni. Ci sono molte persone che parlano a caso di me, anche persone che scrivono canzoni…”. Sembra un riferimento a Fedez. Che in un brano con J-Ax aveva inserito una rima sui guai col fisco di Ferro (è stato assolto) ma soprattutto aveva fatto riferimenti grevi al coming out di Tiziano in “Tutto il contrario”, uno dei suoi primi brani. “Lui è uno dei… Sono ironico, ma mi spiace quando una presa in giro si lega al mondo del sentimento e sessualità. Anche una battuta può mettere adolescente in condizione di disagio. Che un idolo dei ragazzini possa prendermi in giro su quelle tematiche è mancanza di civiltà e bullismo. Mi spiace che in Italia non ci sia un legge contro l’odio”. Il rapper ha replicato via Instagram: “Avevo 19-20 anni quando ho scritto quella canzone e a quell’età si è persone diverse, ci si esprime con toni e temi diversi. Io e l’omofobia viaggiamo in parallelo e non ci incontriamo mai. Mi spiace se poteva prestarsi a cattive interpretazioni. Sono sicuro che sul tema omofobia e bullismo io e Tiziano possiamo trovarci d’accordo e fare cose insieme rendendo costruttiva questa cosa”. Nel disco la scrittura di Tiziano rimane solida, l’amore e la vita non sono mai una passeggiata. Timbaland a volte spinge su ritmo e frequenze basse che arrivano allo stomaco, altre gioca sull’emozione con interventi minimal e misurati. Mentre in radio gira ancora “Accetto miracoli”, il prossimo singolo sarà “In mezzo a questo inverno”. “Parla di una perdita. La canzone è al maschile, ma l’ho scritta per mia nonna Margherita. Ho perso una colonna della mia vita, ho anche vissuto con lei dopo essermene andato di casa per una lite con i miei”. Uno dei momenti leggeri lo offre il duetto con Jova su “Balla per me”, canzone che sa di estate. “E’ stato il mio primo idolo, il primo a occupare posto sulla parete della mia camera con un poster. Un anno mi vestii da Jova per carnevale. Fondai anche un fan club a scuola, ma persi la sfida con un compagno che fece quello di Gianni Morandi: riuscì a far iscrivere la maestra….”. In estate ci sarà il tour negli stadi: “Sarà la mia festa dei 40 anni: una scaletta fatta solo dai singoli”. Prima lo vedremo a Sanremo: “Mi fido di Amadeus e assieme cercheremo un’idea vincente. Ma di sicuro non farò il conduttore”.
Daniela Seclì per fanpage.it il 21 novembre 2019. Nel corso della conferenza stampa di presentazione dell'album “Accetto miracoli”, Tiziano Ferro ha criticato Fedez, accusandolo di bullismo e battute sulla sua sessualità per una strofa contenuta nella canzone “Tutto il contrario”, uscita dieci anni fa. Fedez, dopo avere appreso le parole dell'artista, ha provato a distendere il clima proponendo a Ferro di fare un duetto. Poco fa, in una serie di Instagram Stories, ha fatto sapere di non avere ricevuto alcuna risposta: "Ieri ho cercato di chiarire il mio pensiero sull'accusa di omofobia e bullismo cercando di prendere l'ennesima polemica e trasformarla per una volta in qualcosa di costruttivo. Oltre a non aver ricevuto nessuna risposta a questa mia proposta, né privatamente né pubblicamente, questa mattina trovo ancora il mio nome associato alle parole omofobo, bullo e omofobia. Dove tra l'altro sembra che la mia sola giustificazione sia stata quella di dire "avevo 19 anni" quando in realtà ho detto tutt'altro".
La canzone "Tutto il contrario". La strofa incriminata, presente nella canzone "Tutto il contrario", dice: "Mi interessa che Tiziano Ferro abbia fatto outing, ora so che ha mangiato più wurstel che crauti". Fedez è tornato a ribadire che non era sua intenzione offendere il cantante. In quella canzone, come suggerisce il titolo, diceva l'esatto contrario di ciò che pensa realmente: "La canzone si intitola "Tutto il contrario". Ovvero scrivo tutto il contrario di ciò che penso e anche nel momento in cui l'ho scritta non ha mai voluto essere un testo omofobo ma tutto il contrario! Mi sono solo stupito di questo tempismo in cui parte una caccia alle streghe per un mio testo di 10 anni fa".
Tiziano Ferro ha duettato con Fabri Fibra. Così, Fedez non ha potuto fare a meno di rimarcare come Tiziano Ferro non sia stato così fiscale con altri cantanti che hanno inserito nelle loro canzoni strofe che denigrano gli omosessuali. Ad esempio Fabri Fibra, con cui Ferro ha duettato nella canzone "Stavo pensando a te": "Dopo aver provato a trasformare tutto ciò in qualcosa di positivo, mi trovo costretto a chiedermi se Tiziano Ferro perdoni i testi omofobi solo a Fabri Fibra con cui ha duettato due anni fa. Questa attenzione per i testi del passato non c'è stata? Come mai? Non ce l'ho con Fabri Fibra ma con l'unilaterale attenzione verso una mia canzone di 10 anni fa. Questo mi dimostra che ieri non si è voluta combattere l'omofobia ma si è voluta combattere la mia persona sfruttando un tema così delicato".
La verità secondo Fedez. Infine, Fedez ha espresso quella che ritiene sia la verità. È convinto che Tiziano Ferro ce l'abbia ancora con lui per una frase contenuta nella canzone "Comunisti col rolex": "Tiziano Ferro si è comprato l'attico di fianco a Fedez con i soldi risparmiati, a cena con il fisco inglese". Così ha concluso: "La verità Tiziano, è che quella canzone l'hai già ascoltata quando uscì 10 anni fa tanto che il tuo produttore Michele Canova mi disse che ti strappò anche un sorriso. La verità è che a te non è andata giù una mia rima sulla tua presunta evasione fiscale da 3 milioni di euro che nulla ha a che fare con dei temi così delicati come l'omofobia e il bullismo. La verità è che certi temi purtroppo diventano importanti solo nei momenti di presentazione di un disco e non vedo volontà per altro. Mi spiace perché questa operazione non ha portato niente di buono per nessuno. Oggi non si parla di omofobia, non si parla del disco di Tiziano ma si parla di Tiziano Ferro contro Fedez. E a cosa serve? A cosa porta? Al nulla cosmico. La mia vita, quello che ho fatto e quello che ho scritto testimoniano che saremmo potuti essere dalla stessa parte nella guerra all'omofobia ma hai preferito di no. Mi dispiace davvero per questo".
Tiziano Ferro e l'amore, dal coming out al matrimonio a sorpresa. Pubblicato domenica, 14 luglio 2019 da Pasquale Elia su Corriere.it. Che da qualche tempo a questa parte Tiziano Ferro avesse in mente le nozze «nella buona e nella cattiva sorte» lo si poteva già intuire dalle parole del suo ultimo singolo, «Buona (cattiva) sorte» appunto: sabato 13 luglio a Sabaudia si è unito al suo compagno Victor Allen con cui fa coppia fissa da tre anni. Finalmente l'amore, tanto atteso, ha bussato alla porta del cantautore di Latina, che soltanto un paio di anni fa diceva parlando del matrimonio: «Ogni tanto penso che sarebbe proprio bello. E allora mi chiedo: chi potrebbe essere la persona giusta? Ma non c’è. Così inizio a guardarmi attorno e ovunque io sia penso, magari è qua...E sì, mi piacerebbe sposarmi, ma sono una persona troppo di contenuto per pensare a questa cosa prima di poter contare sulla persona giusta».
Tiziano Ferro si è sposato con l’americano Victor Allen: la foto esclusiva delle nozze. Pubblicato domenica, 14 luglio 2019 da Corriere.it. Dicembre di due anni fa: «Ogni tanto penso che sarebbe proprio bello. E allora mi chiedo: chi potrebbe essere la persona giusta? Ma non c’è. Così inizio a guardarmi attorno e ovunque io sia penso, magari è qua... E sì, mi piacerebbe sposarmi, ma sono una persona troppo di contenuto per pensare a questa cosa prima di poter contare sulla persona giusta». Così ragionava Tiziano Ferro qualche anno fa. Poi quella persona giusta è arrivata e il cantante di «Rosso relativo» ha detto sì al suo compagno. Lo ha fatto ieri sera alle 19, a Sabaudia, unendosi in matrimonio a Victor Allen, un ex consulente della Warner Bros., cinquantenne di Los Angeles, attualmente proprietario di un’agenzia di marketing. Alla cerimonia c’erano i genitori di Tiziano e il fratello Flavio. «Non preoccuparti, amore mio / Esisti tu esisto solo io / Ci rinnegano, ci lapidano / E noi con quelle pietre / Costruiremo una parete...», canta Ferro nel suo ultimo brano Buona (cattiva) sorte: non è necessario nessun esercizio di interpretazione.
Franco Pasqualetti per Leggo il 16 luglio 2019. Quarantotto invitati. Più loro due. Gli sposi dell’anno: Tiziano Ferro e Victor Allen hanno scelto amici e parenti strettissimi per dirsi sì. Una cerimonia intima per suggellare un amore che dura da anni. Una location unica: la villa di Sabaudia, sul lungomare a ridosso di Villa Domiziano, del cantante. Sorrisi, emozioni e una sola regola: niente telefonini, macchine fotografiche e tablet (che sono stati sequestrati dalle hostess all’ingresso).
Doveva essere top secret. Il mistero si è svelato alle 19.29, quando la coppia ha aperto la porta bianca che dà sul giardino per raggiungere la piscina, dove si è svolto il rito civile. Loro due elegantissimi: in blazer scuro Tiziano e in uno spezzato blu Victor. Tanti sorrisi e un accompagnatore di fiducia, il cane Carla.
La cerimonia. È durato poco meno di 30 minuti. E, quando il sole pontino baciava il mare, gli invitati e gli sposi sono saliti al piano superiore della villa a strapiombo sul mare. Lì ha avuto il via la festa. Con un buffet curatissimo e ricchissimo.
Menù tutto pesce. Dagli antipasti di mare ai primi nostrani, fatti con pasta a mano e tanta passione, passando per i secondi di pesce e il un trionfo di frutta e dolci. Ma in pochi pensavano a mangiare. Erano tutti intenti a chiamare gli sposi per un abbraccio, un sorriso o una battuta.
Lacrime di papà. Gli amici di sempre come i genitori: in particolare Sergio, il papà di Tiziano (in abito scuro con cravatta grigia), era emozionatissimo come mai. «Non ha smesso mai di piangere per la gioia», dice un amico storico della coppia.
E la mamma? Avvolta in un completo color pastello ha fatto gli onori di casa e seguiva il suo “Tizi” in ogni spostamento.
Niente musica. No, grazie. Nessun sottofondo a far da cornice alla serata. Neanche chi aveva ipotizzato che Tiziano potesse cantare la canzone che aveva scritto per il suo Victor (Il regalo mio più grande). Solo i cori degli amici che invitavano la coppia al bacio-bacio.
Il lancio del bouquet. Fino a mezzanotte, quando tutti gli invitati si sono radunati sul grande prato davanti ai tavoli per l’evento della serata: il lancio del bouquet. Tiziano si è voltato e dopo un ohhhhhhhh urlato da tutti ha lanciato il mazzo di fiori bianchi che è stato preso al volo da un invitato. Il resto sono abbracci, sorrisi e tanta voglia di stare insieme. Quella che ha da sempre unito Tiziano a Victor. E quella che ha fatto da cornice magica a un sogno lungo una vita.
Tiziano Ferro: «Un Dio simpatico (e le mie nozze davanti al Circeo)». Pubblicato martedì, 16 luglio 2019 da Tiziano Ferro su Corriere.it. A nove anni dal suo coming out, il cantante Tiziano Ferro, 39 anni, sabato scorso ha sposato a Sabaudia Victor Allen, 54, suo compagno da tre anni. Si tratta, in realtà, di «seconde» nozze, ma sempre con la stessa persona: l’artista e l’ex consulente della Warner Bros (ora proprietario di un’agenzia di marketing) si erano già detti «sì» in gran segreto lo scorso 25 giugno a Los Angeles, davanti a un centinaio di persone, per poi replicare neanche un mese dopo nella villa di Ferro, sul litorale romano, davanti a circa 40 ospiti. «Con il matrimonio Victor entra a far parte della mia famiglia e questa è una verità che non si può tacere — ha detto il cantante — una verità che, come ai tempi del mio coming out, spero possa essere utile a qualcuno». Qui sotto Tiziano Ferro ha scritto il suo pensiero per il «Corriere». Fino a pochi anni fa nessuno conosceva la mia storia. Solo le chiese, il mio inconscio, i miei quaderni; qualche cuscino, la mia mente e le sue stanze. Solo io, a guardarmi ogni mattina allo specchio, senza apprezzarmi. Per poi ricominciare. Finché ho conosciuto l’amore. Mi ricordo quando, appena ventenne, sfogliavo libri in cui si parlava di omosessualità. Avevo il terrore di ritrovarmi nelle storie raccontate esplicitamente, quando timoroso andavo a cercare quei volumi stipati in un settore piccolissimo nelle librerie del centro di Latina. Guarda caso il settore era sempre «Psicologia», guarda caso ero sempre l’unico. E mentre tutti si affollavano davanti ai tavoli con l’ultimo romanzo di Stephen King o di Paulo Coelho, io stavo là, sceglievo insofferente e impaurito tra i titoli che mi ispiravano di più. Cercando una strada, un suggerimento, la salvezza, o forse solo cose che conoscevo già ma che — viste nero su bianco — forse mi sarebbero sembrate più semplici, meno aliene e alienanti, possibili e comunque appartenenti alla vita di tanti altri esseri umani, oltre che alla mia. Ero «uno su tremila» in quelle librerie, e mentre leggevo i risvolti di copertina mi sembrava che tutti gli altri guardassero solo me. Ero «uno su tremila», e non ho mai voluto essere uno su tremila, ma — dopotutto — chi a vent’anni non vuole essere una star? Qualunque tipo di star, su qualunque tipo di copertina, di qualunque epoca o nazione. Famoso, figlio di una realtà diversa, solo tua, migliore. Per quanto l’Italia sia un Paese laico, i crocifissi sono appesi ovunque: nelle case, nelle aule dei tribunali e delle scuole, negli ospedali. «Io sono cattolico!» ho sentito dire a tanta gente indignata di fronte alle manifestazioni a sostegno dei diritti degli omosessuali. Il problema è che in questo Paese non crediamo abbastanza in Dio. Preghiamo, ma non ascoltiamo. Aspettiamo il miracolo e negoziamo l’arrivo di una soluzione, in cambio di qualche rinuncia. Anch’io sono cattolico. Ma il messaggio che porto nel cuore è quello dell’amore universale, della carità, del soccorso reciproco, del rispetto per tutti, della compassione. Né ragione, né torto; questa è semplicemente la mia esperienza, la mia storia. È vero che l’uomo ha cercato Dio per dare un senso ulteriore alla propria esistenza. Io cerco in Lui uno sguardo di conforto, e non mi piace vederlo come il simulacro delle risposte che non so darmi, come uno scudo di fronte a quello che non capisco, o che mi fa paura. Lo dico da cittadino, da figlio, da cantautore su un palco. Ma anche da fratello e da amico. Mettiamo al centro l’essere umano: le donne, gli uomini, i bambini, gli esseri umani tutti. E la famiglia in ogni sua accezione, purché al centro ci siano sempre amore e protezione. Sì, in questi ultimi anni la disparità di diritti mi ha fatto sentire deluso, amareggiato, arrabbiato. Ma io sono cattolico. Quindi, ho ancora fede. I miracoli? Io il mio lo immaginavo sullo sfondo del Monte Circeo, la mia terra, il mio mare. E poi l’amore, solo amore. Il mio è un Dio che ama, che custodisce, che non chiede pegno. È un Dio simpatico. Un miracolo è tutte le volte che una cosa riesce meglio di come te l’aspettavi. Un miracolo è tutte le volte che la vita è più bella di come l’avevi immaginata. E qualche giorno fa, davanti al mio mare, di fronte al mio monte, il mio uomo e io ci siamo sposati. La cosa è molto più grande di Victor e di me. Riguarda tutti. Riguarda ogni ragazzino nascosto in mezzo agli scaffali di una libreria, con quel libro in mano. Uno su tremila. E riguarda ogni italiano libero, onesto, e innamorato come me di quel Dio simpatico.
· Ezio Greggio vs Vittorio Feltri.
Fenomenologia di Greggio l’uomo qualunque diventato eroe per un giorno. Lanfranco Caminiti il 21 Novembre 2019 su Il Dubbio. Rifiutata la cittadinanza onoraria a Biella si schiera con la Segre. E il sindaco si scusa. La storia del comico è quella di suo padre. Un uomo che a sua volta aveva già preferito di no, quando I tedeschi gli proposero di andare a combattere I partigiani. Ezio Greggio, come lo scrivano Bartleby di Melville, preferisce di no. È successo che Biella aveva offerto la cittadinanza onoraria a Ezio Greggio, nato 65 anni fa a Cossato nella provincia del comune piemontese, con cui ha mantenuto negli anni un costante rapporto, «per la popolarità televisiva come conduttore, giornalista, attore e regista; per il suo costante impegno attraverso l’associazione “Ezio Greggio per i bambini prematuri”; per aver contribuito a diffondere in Italia e nel mondo il nome di Biella» – come poteva leggersi nella motivazione della giunta. A trazione leghista, va detto. Tutto abbastanza nell’ordine delle cose. Meno ordinario il fatto che proprio una settimana prima della delibera di conferimento della cittadinanza onoraria a Greggio la stessa giunta di Lega e Fratelli d’Italia aveva bocciato la mozione di due liste civiche di Biella di conferire la cittadinanza onoraria a Liliana Segre, «testimone della tragedia dell’Olocausto e interprete dei valori di giustizia e di pace tra gli esseri umani». Alla giunta sembrò che la mozione per la Segre fosse “strumenta-le”. Eco delle polemiche ha raggiunto Greggio, che ha preferito declinare. Non solo, ma a sua volta motivando: «Il mio rispetto nei confronti della senatrice Liliana Segre, per tutto ciò che rappresenta, per la storia, i ricordi e il valore della memoria, mi spingono a fare un passo indietro e a non poter accettare questa onorificenza che il Comune di Biella aveva pensato per me. Non è una scelta contro nessuno ma una scelta a favore di qualcuno, anche per coerenza e rispetto a quelli che sono i miei valori, la storia della mia famiglia e a mio padre che ha trascorso diversi anni nei campi di concentramento». Può sorprendere che la figura ilare, irridente e corrosiva di Greggio, il conduttore che più di altri ha legato la sua immagine al Tg satirico di Striscia la notizia, rilasci dichiarazioni così pesantemente “politiche”. Ma non certo chi lo ha sempre seguito. Poco più di anno fa, Gerry Scotti e Michelle Hunziker, conduttori di Striscia in quel periodo, diedero la notizia della morte, a 95 anni, del padre di Ezio. Per chi seguiva il programma, Nereo Greggio, Nereus come lo chiamava il figlio, era una figura familiare: non solo Ezio lo salutava a ogni trasmissione – ciao Nereus – ma lo aveva portato in studio, scattando delle foto immediatamente seguitissime sui social. Non era solo un affetto filiale. In una delle rare interviste Greggio spiegò che l’attaccamento al padre dipendeva dai valori che gli aveva trasmesso e che quei valori gli erano entrati dentro attraverso i racconti che il padre aveva fatto della sua vita, del rifiuto opposto in Grecia ai tedeschi di tornare in Italia a combattere i partigiani, tra i quali aveva dei parenti, e per questo dell’essere finito per tre anni in un campo di concentramento nazista. «Potrei realizzare dieci film sulle sue narrazioni. Basta raccontare la sua storia per trasmettere ai miei figli i valori della nostra famiglia. I miei mi hanno sempre spronato a fare quello che volevo e ci sono riuscito». Greggio è un viso popolare anche perché è “solidamente” popolare: non è un vip, non fa bizze, non ha una vita sregolata, non si beccano sue foto discinte circondato da ragazzette in cerca di un colpo d fortuna. È un uomo qualunque, tranquillo. Un lavoratore serio che si è impegnato anche in progetti ambiziosi, come nel cinema, una carriera costruita lentamente ma concretamente, uno che non ha mai “strafatto”. Del suo impegno nel sociale – mai sbandierato – s’è già detto. Tutto sommato, nessuno avrebbe potuto rimproverargli di accettare la proposta della giunta di Biella: un riconoscimento dovuto. Eppure, oggi preferisce di no. Sorprende perciò la sua decisione. Ma sorprende solo chi non capisce davvero quale “strappo” abbia significato le polemiche su Liliana Segre – l’odio che le è stato rovesciato addosso – e quanto questo possa avere ferito non solo chi è “abituato” alla deriva che ha spesso assunto la battaglia politica in questo paese, ma le persone più semplici. Che pure hanno una storia. La storia di Ezio Greggio era quella di suo padre. Un uomo che a sua volta aveva già preferito di no, quando i tedeschi gli proposero di andare a combattere i partigiani. Si è spesso, in anni recenti, parlato di “zona grigia”, un’espressione che viene spesa con malcelato disprezzo, perché quando “la patria” chiama non si può restare né di qua né di là – accadde in occasione degli anni di piombo, accadde in occasione della lotta alla mafia. Zona grigia, “non allineata”, ha spesso voluto significare indifferenza. O complicità. Ma spesso dire di no alla mobilitazione, è solo continuare a credere in alcune cose elementari ma basilari: la vicenda dei nostri soldati in Grecia, abbandonati in mano alla feroce rappresaglia tedesca, fu ben rappresentata da Ciampi, allora presidente. Eppure, erano soldati che erano stati abbandonati dalla memoria: la Resistenza era diventata un mito fondativo della Repubblica, rappreso intono la figura dei partigiani. Non c’erano stati solo loro. Dirlo, non toglie nulla e anzi – come nella vicenda di Nereo – aggiunge qualcosa. Nella vicenda degli ebrei italiani – del loro rastrellamento nel ghetto romano, della loro deportazione, della loro fine nei campi di sterminio – le “zone oscure” sono quelle di quanti profittarono o denunciarono per motivi spesso loschi. Ma ci furono anche tanti piccoli episodi in cui “gente comune”, che non aveva schieramenti di partito o di ideologia, salvò, protesse, diede rifugio. Ricordarli, anche attraverso gli insegnamenti di Liliana Segre – figura tanto mite quanto resistente – è un “valore”. Il cinismo della battaglia politica, che fa spesso indossare maschere brutali per meglio rappresentare sentimenti “della pancia” – la paura, la meschinità, la sopraffazione – e trasformarli in voti, in consenso elettorale, fa spesso strame dei “valori”; quelli semplici: di umanità, di solidarietà. Ma la “gente qualunque” non è solo cattiveria esibita. Sa anche dire di no.
Striscia la notizia, Ezio Greggio a Libero: "Sto dalla parte di Feltri, com'è finita la nostra telefonata", scrive il 4 Marzo 2019 Libero Quotidiano. Chi aveva cominciato per primo a imitare il nostro direttore Vittorio Feltri era stato Crozza. Del resto quando si è tra i migliori giornalisti l'invidia e l'ironia fanno parte del gioco. Feltri è il primo a sorridere di battute e sottintesi. Anzi, spesso in redazione si rilassa guardando su internet frammenti delle imitazioni che Crozza fa di lui. Ma se si esagera, allora non ci sta. A cadere nella trappola dell'audience era stato anche Ezio Greggio, un personaggio che certamente non aveva bisogno di farsi pubblicità attaccando Vittorio Feltri. Eppure, durante una puntata di Striscia la notizia, Greggio e i suoi ci erano andati pesanti, trasmettendo un fuorionda di un programma d' informazione Mediaset in cui una giovane presentatrice si lasciava andare a ironie fuori luogo verso il direttore, che era collegato come ospite. Ne chiediamo conto all' attore, attualmente a Monte Carlo, dove sta dando gli ultimi ritocchi al suo Festival de La Comédie (da domani e fino al 9 marzo), giunto alla sedicesima edizione. Greggio è uno degli italiani più stimati del Principato di Monaco e uno dei personaggi più amati in Italia. Greggio, partirei da qui. Come si casca in certe trappole? Perché ha preso di mira Feltri con una parodia che certo non è stata gradita?
«Faccio il comico, ma mi creda, c' è stato un malinteso. Per quanto mi riguarda sono da sempre un estimatore di Vittorio Feltri, e lo saluto con la stima di sempre».
Si era arrabbiato, e molto...
«Lo so e mi dispiace molto. Bisogna però vedere anche come glielo hanno raccontato e come questa storia è stata gonfiata. Ci siamo poi sentiti al telefono ed è finita ridendo e scherzando. Mi piace ciò che dice, lo ammiro da sempre».
Pace fatta?
«Assolutamente».
Passiamo al Festival De La Comédie.
Quali sono le novità?
«C' è una selezione molto accurata dei film, quasi un'analisi sociale e di costume. I film ruotano intorno all' amore, al sesso, al romanticismo. Ne abbiamo selezionati più di 150 e tutti in grado di regalare un'emozione, di far vivere momenti importanti. Il presidente di giuria è il grande regista Costa Gravas. In giura anche Edoardo Leo, Carlo Verdone, Paolo Genovese e Sandra Milo che riceverà un premio alla carriera. La serata, sarà ripresa da Canale 5 e andrà in onda prossimamente».
Tutto cominciò, per questa rassegna, con Mario Monicelli...
«Infatti. Fu Mario a darmi tanti consigli, lui che aveva un amore forte per il cinema, che considerava una vera arte insostituibile e sempre innovativa».
A proposito di personaggi e di cinema, lei in America aveva avuto un buon successo. Perché ha rinunciato a lavorarci?
«È la vita! Però è vero, ho passato momenti importanti. Con Mel Brook ho trascorso bellissime giornate, ho frequentato tanti altri grandi attori e mi sono trovato bene. Arrivare negli Stati Uniti e lavorare con questo entusiasmo è stato molto importante per me».
Lei voleva rifare Yuppi du, ed ancora aspetta che la Filmauro decida qualcosa. Peccato, il pubblico vorrebbe il ritorno di quei personaggi.
«Il problema è che può deciderlo solo Aurelio De Laurentiis, il film è suo. Ma ora è molto impegnato con la squadra del Napoli e ha poco tempo per pensare anche a questo. So che Massimo Boldi si sta dando da fare, però la vedo dura. È complicato riuscire a vincere questa nostra "partita"».
Il fatto di essere riuscito a organizzare un festival della commedia, impresa fallita in passato da molti regsti e direttori artistici di grido, fa di lei una specie di eroe del cinema?
«Penso ancora a Monicelli, e sono felice di esserci riuscito, ma non mi sento un eroe.
Sono un uomo che ha lavorato per seguire un progetto giusto, doveroso. Ed estremamente interessante. Anche per me il cinema è un'arte di cui non si può fare a meno. L' importante è portare al pubblico film che destino la loro attenzione, altrimenti diventa tutto inutile».
Gabriele Greggio: "A calcio ero un disastro. Fortuna che c'era papà". Il suo sogno è fare l'attore all'estero. Non a caso ha studiato a New York e Londra, dove vive. Gabriele avrebbe potuto intraprendere la carriera televisiva, ma dal padre Ezio ha voluto carpire i segreti del set cinematografico. Andrea Conti, Mercoledì 12/06/2019, su Il Giornale. Essere figli d'arte non è facile. Specialmente per chi ha come padre Ezio Greggio, che ha segnato la storia della tv italiana da “Drive In” a “Striscia la notizia”. Eppure Gabriele Greggio, 24 anni, ha sempre cercato di carpire i segreti del papà e gli insegnamenti giusti: “Lavorare sodo e farsi trovare sempre preparati”. Gabriele ha studiato per diventare attore a New York e Londra, aiuta anche il padre per il Monte Carlo Film Festival. “Sono al suo fianco nella ricerca dei film, nei rapporti con le società di produzione e di distribuzione, con gli attori e registi che vengono invitati”, ci ha detto.
Che padre è Ezio?
“Ho sempre avuto un rapporto molto stretto e affettuoso con mio padre, sin da piccolo. È sempre stato presente nei momenti più importanti della mia vita e mi ha sempre dato una mano, se avevo delle difficoltà. Papà mi fa ridere tanto. È sempre al mio fianco: mi incitava sul campo da calcio da piccolo anche se correvo poco e aspettavo la palla anziché andarmela a cercare, mi spronava nello studio e mi ha sempre dato dritte costruttive sul lavoro fin da quando ho studiato acting e fatto le mie prime recite in teatro a New York. Mi è sempre vicino, mi vuole bene e me lo fa sentire“.
Qual è l'insegnamento che ti ha dato e quali consigli ti dà?
“Mi ha sempre detto di farmi trovare preparato a prescindere da cosa io decida di fare. Sia sul palcoscenico che nella vita: non essere pigro, lavorare sodo per riuscire ad arrivare agli obiettivi“.
È difficile o più facile essere figli d’arte?
“Sono fiero di mio papà. So la strada che ha percorso per arrivare là in alto, dov’è adesso, e so quanto abbia studiato e lavorato per diventare un 'Big'. Ho preso il suo esempio come regola di vita e, come lui, mi impegno ogni giorno“.
Hai studiato a New York e Londra, cosa ti hanno insegnato queste due città?
“Sicuramente a come utilizzare la lavatrice, il forno e cucinare a casa…Pasta…Tanta pasta, ma anche i noodles (li scaldavo al microonde). Anche a tenere in ordine il mio appartamento. Mi ha insegnato a capire chi sono, spendendo tanto tempo con me stesso”.
Quando hai capito che avresti voluto fare l’attore?
“Vedendo mio papà lavorare sul set, soprattutto quando girava film a Los Angeles, in Canada. Mentre in Costa Azzurra mi ha fatto capire che la piattaforma per esprimere tutte queste forti emozioni erano il cinema e il teatro“.
Quali i tuoi progetti futuri?
“Ho finito di girare due mesi fa un cortometraggio, che ha vinto un premio ad un Festival. Ho interpretato un ruolo di un gangster italo-americano negli anni '60. Mi diverto sempre a interpretare i personaggi un po' più cattivi. Adesso sto lavorando su una web-serie qui a Londra, che ho iniziato a girare proprio in questi giorni. L’importante per me è continuare a praticare e sviluppare i muscoli dell’attore”.
· Massimo Boldi.
Greta e Sardine, Massimo Boldi le "seppellisce": "Le mie figlie sono disoccupate, cosa farei fossi in loro". Gianluca Veneziani su Libero Quotidiano il 16 Dicembre 2019. Da padre nobile della comicità, può dare un giudizio autorevole sul filone vincente di comici italiani che oggi spopolano nelle sale cinematografiche e fanno incassi da record al botteghino. Ma fa anche sentire la propria mancanza, che poi è la mancanza di un classico, quello dei cinepanettoni di cui oggi moltissimi, a maggior ragione sotto le festività, avvertono nostalgia. E allora è facile immaginare l' entusiasmo dei fan non appena si è saputo che Massimo Boldi, insieme al vecchio compagno di risate Christian De Sica, starebbe lavorando al progetto di un nuovo Vacanze di Natale. A trent' anni esatti di distanza dal primo, Vacanze di Natale '90, che segnò l' inizio del loro sodalizio.
Massimo Boldi, so che ha in cantiere un altro film con De Sica. Quando potremo goderlo nelle sale?
«Ci stiamo lavorando dall' anno scorso, e avrebbe dovuto essere pronto già per il 2019. E invece lo abbiamo rimandato al 2020. Ma uscirà eh, tranquilli».
Sarà un sequel del successo dello scorso anno, Amici come prima?
«In realtà abbiamo delle perplessità a fare un seguito. Quel film ha funzionato perché io e Christian ci siamo ritrovati dopo 13 anni in un film a raccontare una storia del tutto nuova. E tra l' altro era molto ben scritto da Brizzi e Bardani. Ora però, dopo aver interpretato insieme così tanti soggetti, diventa difficile trovare uno spunto originale. E quindi una novità potrebbe essere tornare al grande classico».
Il cinepanettone intende?
«Il progetto è quello, riproporre un Vacanze di Natale. Sarebbe l' ideale. Ma abbiamo tempo, vogliamo pensarci bene, anche per capire che aria tira negli altri film italiani».
Metti quei nomi insieme, Boldi e De Sica, e pensi a un successo assicurato. Qual è il segreto?
«Forse tutto dipende dal fatto che ci conosciamo dal 1970. Siamo amici davvero, amici come prima».
Dovesse paragonare la vostra coppia ai giganti del passato, a chi penserebbe? Totò-Peppino, Stanlio e Onlio?
«Credo che il modello di riferimento sia Jerry Lewis e Dean Martin. Erano perfettamente compatibili. Li guardavi e li pensavi come coppia».
Un ritorno di Boldi in tv da giurato, comico o conduttore in un programma è pensabile?
«Mah, ormai in tv fanno solo quiz, c' è poco spazio. Bisognerebbe pensare a una serie televisiva tagliata su misura su di me. Qualcosa sul modello di Un ciclone in famiglia, che funzionava alla grande».
In programmazione al cinema durante le festività ci sono Ficarra e Picone con Il primo Natale e Checco Zalone con Tolo Tolo. Entrambi si annunciano come campioni di incassi. Il cinema italiano regge solo grazie ai film comici?
«Nel panorama mondiale c' è molto altro, ma come film italiani è più facile vincere facendo ridere. E questo grazie anche alla generazione dei nuovi comici, molto bravi. Sono curioso di vedere il risultato che porteranno a casa».
Ha seguito le polemiche sul trailer del film di Checco Zalone? Che idea si è fatto?
«Penso che quel video sia stato un ottimo veicolo di promozione pubblicitaria. Anche da questo punto di vista Zalone è geniale».
Ha ravvisato qualche contenuto razzista nella canzone Immigrato, come sostengono i benpensanti?
«Ma stiamo scherzando, assolutamente no. Giù le mani da Checco, è un fenomeno. Vuole solo far ridere e ci riesce».
Esiste tra i nuovi comici un erede di Massimo Boldi, un Cipollino 2.0?
«L' unico vero erede di Massimo Boldi è Massimo Boldi. Sono come Highlander, immortale» (sorride).
È vero che l' immortale Boldi sta per convolare a nozze con la sua compagna, Irene Fornaciari?
«Sì, ho visto che è uscito un articolo a riguardo. Adesso è ancora presto, vediamo e ne parliamo. Intanto stiamo molto bene insieme, questo conta».
Ha sentito il suo amico Berlusconi di recente?
«È un po' che non lo sento, ma nei suoi confronti provo un affetto e un' amicizia enormi.
Anche lui è un uomo irripetibile, come Boldi...».
Mi spieghi perché.
«Puoi anche consigliarlo, ma lui fa sempre come crede. Silvio sa di essere una persona eccellente. E non puoi convincerlo a smettere di fare qualcosa, pure la politica, fino a che non lo decide lui».
Un nuovo Berlusconi potrebbe essere Salvini?
«Non lo so, un astro come Berlusconi capita raramente, forse una volta sola».
Ha visto le sardine che riempiono le piazze? Le piacciono o farebbero meglio a stare sui libri?
«Io so che le mie figlie sono laureate e non trovano lavoro. Figurati uno che va in piazza...
Io, fossi un ragazzo, non andrei a manifestare».
E Greta Thunberg le è simpatica?
«Chi?».
Sa, quella ragazzina che si batte per l' ambiente...
«No, se mi dici Gre... penso solo a Greggio, Ezio Greggio» (sorride). A Capodanno dove la vedremo? A fare baldoria come in qualche vecchio film sul Natale? «Lavorerò e farò qualche spettacolo. La mia festa è quella, stare in mezzo al pubblico».
A proposito di spettacoli, esattamente 60 anni fa nasceva a Milano il Derby Club, locale dove lei ha iniziato la sua carriera comica. Che ricordi ha?
«Sono debitore di tutto a gente come Enzo Jannacci, Cochi e Renato, Paolo Villaggio che lavoravano lì. Se sono diventato un comico, è grazie a loro. Allora facevo ancora il batterista...».
Ed è lì, al Derby, che nacque uno dei suoi personaggi più riusciti, Max Cipollino, la parodia del conduttore di telegiornale.
«Era il periodo in cui esplosero le tv private e io imitavo questo giornalista di Teleradioreporter che dava notizie di scarsa importanza, tutte relative al quartiere da cui trasmetteva. Quell' idea del Tg comico sarebbe poi diventata vincente anche in un celebre programma della tv».
Quale?
«Be', Striscia La Notizia, ideata da Antonio Ricci, è figlia anche di quell' intuizione. Io stesso ho depositato a mio nome presso la Siae l' idea originale di un tg satirico».
Se dovesse indicarmi un personaggio del mondo dello spettacolo a cui lei è più grato?
«Indubbiamente Aurelio De Laurentiis, tutti i miei film più famosi li ho fatti con lui. Lui è un personaggio, un grande manager ma anche un uomo di alto livello».
Però lui ha un difetto, è presidente del Napoli mentre lei è milanista...
«Lo stimo uguale, l' importante è che ci lasci Ibrahimovic. Se torna al Milan sarei felice: sarebbe la dimostrazione che i grandi vecchi non mollano mai». Gianluca Veneziani
Valeria Morini per fanpage.it il 15 dicembre 2019. Massimo Boldi e Irene Fornaciari, la sua compagna più giovane di 34 anni, fanno sul serio. Al punto di pensare alle nozze. Il comico e attore di tanti cinepanettoni ha conosciuto la 40enne lucchese per puro caso durante un viaggio in treno diversi mesi fa. Un'iniziale amicizia si è trasformata in un sentimento più intenso e ora lui le ha regalato addirittura un anello di fidanzamento. Ha raccontato Boldi a Oggi: «È un pegno d’amore, questo è certo. Qualche settimana fa grazie ad un amico di Irene, a Lucca, ho trovato quello che volevo per lei. E significa solo una cosa: che l’ho scelta».
Cosa pensano le figlie di Massimo Boldi. «Non me lo aspettavo», ha aggiunto la Fornaciari, sempre sulle pagine del magazine, «E se è arrivato così, significa che lui ha sentito di volerlo fare. Oltre a essere un pegno d’amore rappresenta un impegno reciproco». E dire che il primo anello era stata Irene a regalarlo a Boldi. Stavolta, però, si tratta di un simbolo di una relazione che potrebbe portarli sull'altare. «Ora mi piace pensare di fare progetti con lei. Pensi che quando ho detto alle mie figlie che stavo pensando di sposarla mi hanno risposto sorridendo: ‘Certo papà, perché no?'», ha spiegato l'attore. Dunque, le tre figlie Micaela, Manuela e Marta avrebbero accettato pienamente la relazione del padre.
Nel passato di Boldi il matrimonio con Marisa Selo. È la prima volta che Massimo Boldi parla di nozze, dopo la perdita dell'amata moglie Marisa Selo, mamma delle sue figlie. Con lei, l'attore è stato sposato per quasi 40 anni, dal 1973 al 2004. Quell'anno, il 28 aprile, Marisa è scomparsa, dopo la lotta a una malattia incurabile che durava da un decennio. Per anni, lui è stato convinto di sentire la sua presenza ancora al proprio fianco.
Chi è Irene Fornaciari. Irene Federica Fornaciari: questo il nome completo della fidanzata di Boldi (da non confondere con la quasi omonima cantante e figlia di Zucchero). Classe 1979, ha un negozio di abbigliamento e gioielli a Lucca. Il fratello Leonardo Fornaciari è sindaco di Porcari. L'attorE ha ammesso di aver notato prima la sua bellezza: «Che è una femmina con una bella testa l’ho capito solo dopo. È così vitale».
Massimo Boldi straziante: "Cosa penso quando sono solo a casa la sera", come lo hanno ridotto le donne. Libero Quotidiano il 7 Agosto 2019. Massimo Boldi, classe 1945, è noto a tutti gli italiani come un simpatico e tenerissimo burlone, capace di far sorridere anche solo con una smorfia del viso. In questi giorni tuttavia, l'attore lombardo ha rilasciato un'intervista al settimanale Oggi, svelando il suo io più intimo, spesso celato dietro la maschera ridanciana. "Sono solo e spero di incontrare la donna giusta... Vorrei che vedesse solo Massimo. Un uomo buono, pieno di premure. Con un carattere impegnativo, lo ammetto… Per cercare di essere all’altezza compenso spesso con la generosità, anche se non ho vie di mezzo. Certamente la bellezza in una donna per me conta, perché sono vanitoso". Parole cariche di pathos, mitigate dall'inconfondibile suo sarcasmo, ma che svelano comunque un'anima fragile che necessita di affetto, e attenzioni femminili, com'è giusto che sia. Quasi un appello. "Arrivo a casa la sera, chiudo la porta e mi ritrovo solo con i miei pensieri. Il lavoro mi entusiasma sempre, ma poi nel silenzio delle pareti di casa sento dentro di me la mancanza di qualcosa… l’esigenza di poter condividere con qualcuno tutto il bello della mia vita e dei miei affetti". Boldi crede ancora, spera, nella possibilità di trovare quel qualcuno, che senza malizia o secondi fini, possa colmare quel vuoto e sanare le ferite delle tante delusioni passate. Tra queste l'ultima, quella che più fa ancora soffrire, con la giovane Loredana De Nardis: "È stato un rapporto tribolato, io pensavo di far bene scegliendo una donna molto più giovane di me… Non è stato così e l’epilogo mi ha molto amareggiato. Finita quella relazione mi si sono presentate una serie di belle ragazze che forse cercavano popolarità più che il mio affetto: io sono un uomo molto generoso. Mia madre diceva sempre che a starmi accanto non si sarebbe mai morti di fame", conclude Massimo con la solita solarità.
· Enrico Brignano.
Enrico Brignano. «Io non faccio comizi, ma vivo la comicità come missione civile». Enrico Brignano, attore e umorista: «L’unica moneta che possiedo è quell’a dell’ironia. Posso traghettare idee importanti, ma sempre attraverso il linguaggio ironico, altrimenti risulterei antipatico». Chiara Nicoletti il 16 giugno 2019 su Il Dubbio. Il prossimo Natale tornerà a dare la voce ad uno dei migliori personaggi che Disney abbia mai creato, Olaf, il pupazzo di neve a cui piacciono i caldi abbracci in Frozen 2. Nel frattempo Enrico Brignano sbarca al Filming Italy Sardegna Festival al termine di una stagione che lo ha visto trionfare a teatro con lo spettacolo Innamorato Perso e che si concluderà a settembre con l’uscita del suo nuovo film Tutta un’altra vita. In Sardegna riceve il Filming Italy Award e pur non anticipando nulla sulle nuove avventure del suo alter ego animato, parla di teatro, dell’essere padre, della sua Roma e l’emergenza ecologica che ci coinvolge tutti.
Presto tornerà a interpretare Olaf in Frozen, film considerato il punto di svolta nella visione dei personaggi femminili nel mondo dell’animazione e in quello Disney, è d’accordo?
«Sì è vero. Innanzitutto non c’è una sola donna ma ce ne sono due, di cui una è algida. Sono entrambe molto femminili, sorelle innamorate l’una dell’altra. Non so che sarà di questo secondo capitolo ma la qualità del cartone animato è straordinaria. Raramente ho doppiato protagonisti dei cartoon e quando l’ho fatto, la qualità che veniva presentata era pessima perché erano copie lavoro per evitare spoiler. Quando l’ho rivisto al cinema, con quei colori, il 4K, la qualità straordinaria e la musica perfetta, ho pensato che se me l’avessero fatto vedere così già mentre doppiavo avrei dato ancora di più. Durante il primo doppiaggio, non avevo ancora Martina, non ero papà, invece ultimamente mi è capitato di doppiare di nuovo Olaf in Frozen: Le Avventure di Olaf e l’ho fatto pensando che mia figlia l’avrebbe visto e mi sono commosso. Fiamma Izzo, la direttrice il doppiaggio, è testimone di questa scena, non mi era mai successo nella vita di commuovermi così, ci siamo dovuti fermare, bere un goccio d’acqua e respirare un po’ perché era molto commovente. Gli americani questo lo sanno fare bene, sanno emozionare. Frozen rappresenta una nuova stagione per i cartoni animati».
Da spettatore, ha paura degli spoiler?
«Non molto. Certo, il finale non me lo devi dire, sarebbe come rovinarmi una partita però se il film è fatto bene io mi emoziono pur sapendo come va a finire. In fondo, un film è bello perché ogni volta tu fai finta di non ricordarti come va a finire. E se ci pensi poi, la parola spoiler non ha un corrispettivo italiano, non esiste. Se un film è brutto e mi racconti anche il finale, non lo vedo più, se il film è bello, lo è anche se me lo racconti nei dettagli. Il pubblico è un bambino che va preso per mano e portato nella storia».
Ha dedicato tanto tempo al teatro nell’ultimo periodo. Spesso, quando si chiede agli attori qual è il ruolo più ambito sul palco, rispondono Cyrano De Bergerac. Perché secondo lei?
«Credo che sia perchè il Cyrano è il romanticismo fatta persona, chi non vorrebbe fare una serenata in versi in rime baciate ed endecasillabi sciolti? Chi risponde così ama gli spettacoli in costume, vuole sentirsi bambino, vorrebbe essere uno spadaccino. Sono quelli che vorrebbero pensare di non dover strizzare l’occhio alla bellezza perché Cyrano non era bellissimo e poi perché nella storia è stato interpretato dai più grandi attori di teatro e addirittura da un cantante, Domenico Modugno. Io ero suo allievo quando lo interpretò Gigi proietti e l’ultimo che ho visto è stato quello di Luca Barbareschi che non era male. In Cyrano c’è il balcone, il romanticismo, l’innamoramento, un amore incompiuto però profondo e infine una morte, anche scema se vuoi. Ci sono i grandi spazi e c’è la guerra, Nel Cyrano c’è il colpo di scena. Per quanto mi riguarda invece vorrei interpretare tanti altri personaggi, magari qualche testo americano del novecento, oppure Shakespeare o Pirandello. Si, mi piacerebbe interpretare il Liolà di Luigi Pirandello».
Ultimamente ha sempre trovato occasione di parlare della sua città, Roma, e di essere attivista con ironia. Come artista sente una responsabilità diversa nel far sentire la sua voce e influenzare il suo pubblico?
«Oggi esiste una professione che sei anni fa non esisteva, quella dell’influencer. Un influencer è sia una persona che in alcuni casi, promuove cose che non prova solo perché prende soldi a parlarne, sia una persona credibile che dice una cosa sensata che può avere proseliti o no. Se io dico che a Roma le cose non vanno, non dico una banalità. A Roma, qualche giorno fa, degli operatori ecologici si sono trovati a raccogliere, vicino ad un centro di accoglienza, dei sacchi neri dove dentro c’erano almeno 150 pasti confezionati e completamente buttati all’interno di piatti plastificati. Come può accadere una cosa del genere a Roma e per di più vicino ad un centro di accoglienza? Io vorrei che queste persone fossero giudicate perché non c’è stato nessuno che abbia avuto un minimo di cuore o di coscienza civile perché bastava fare una telefonata, per donare quel cibo o andare semplicemente alla stazione termini a distribuirlo a chi ha bisogno. Quindi dico, se il mio mestiere ha un senso, non solo come comico ma anche come persona civile, ecco magari le cose vanno dette. L’unica moneta che mi è data a disposizione è quella dell’ironia quindi io posso traghettare argomenti importanti, passando attraverso sempre il linguaggio di ironia altrimenti faccio l’errore di sembrare un Coriolano fuori le mura, cioè di risultare antipatico a qualcuno solo perché dico le cose seriamente. E allora la gente, siccome ti pensa comico, ti vuole per forza burlone ma se hai il linguaggio dell’ironia sei ancora più forte al patto che tu riesca a non farti prendere dall’impeto e trovare la frase incisiva, infilarti negli spazi e per dirla alla Cyrano «ed al fin della licenza io tocco!»».
· Stefano Accorsi.
Stefano Accorsi torna con 1994: «Ho sognato che Berlusconi era mio padre». Pubblicato giovedì, 19 settembre 2019 da Corriere.it. Pubblichiamo un’anticipazione dell’intervista a Stefano Accorsi, in copertina sul numero di 7, il magazine del Corriere della sera, in edicola e su digital edition da Venerdì 20 settembre C’era un ragazzo. Anche lui di Bologna. Ma più dei Rolling Stones nel 1994 amava il Maxi Bon. Aveva 23 anni. Si chiamava Stefano Accorsi e dietro quello slogan di enorme successo per il sandwich-gelato, «Du gust is megl che uan», si affacciava un ragazzo curioso della vita, interessato a scoprire/capire la politica e la società che ne discendeva. E poi il regista di quello spot era Daniele Luchetti, che tre anni prima aveva diretto Il portaborse, il film-cesura tra prima e seconda Repubblica. Dunque, non poteva che finire così, oggi. Con il ritorno di Stefano Accorsi 48enne al 1994 nei panni di Leonardo Notte, un politico della seconda Repubblica, che inventa Forza Italia, alter ego del vero Silvio Berlusconi per cui agisce nell’ombra. Non poteva che finire così, con quel ragazzino diventato adulto che si è incaricato, grazie a una serie articolata su tre stagioni ( 1992, 1993, 1994 ), di spiegare ai ragazzi di oggi quegli anni che hanno cambiato lui e l’Italia, anche se mai fino in fondo, come sempre capita da noi. Una serie nata «da un’idea di Stefano Accorsi», così recitano i titoli di testa, che il 4 ottobre prossimo torna su Sky per gli 8 episodi conclusivi.
Partiamo dal 1992. Che cosa succedeva nella sua testa di poco più che ventenne?
«Fu l’anno del grande terremoto. In cui tutti, ma soprattutto quelli più ingenui come poteva essere un ragazzo di 20 anni, hanno sperato che potesse esserci la rivoluzione vera contro la corruzione, contro certe abitudini e anche contro la mafia, che ritengo ancora il cancro del nostro Paese».
Per la prima volta si appassionava alla politica?
«Vedevo qualcosa di appassionante che succedeva e decifravo. E soprattutto che scardinava un sistema di cui avevo sempre sentito dire fosse corrotto».
E prima che cos’era la politica per lei? Viene da una famiglia impegnata a sinistra...
«Quando ero piccolo i miei erano proprio comunisti: andavano in sezione, distribuivano l’Unità. Io mi ricordo che vivevo con un certo imbarazzo quei “Ciao compagno, ciao compagna” oppure il pugno chiuso».
Come mai?
«Era come vedere in un ruolo pubblico un genitore che sei abituato a vedere in un ruolo privato. C’era un formalismo che in un certo senso mi disturbava. Non lo capivo».
· Kasia Smutniak.
Kasia Smutniak. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Kasia Smutniak, pseudonimo di Katarzyna Anna Smutniak (Piła, 13 agosto 1979), è una modella e attrice polacca naturalizzata italiana.
Biografia. Figlia di un generale dell'aeronautica militare polacca, cresce a contatto con il mondo dell'aviazione, ereditando così dal padre la passione per il volo, tanto che a 16 anni consegue il brevetto di pilota di alianti. A soli 17 anni partecipa in Polonia ad un importante concorso di bellezza, nel quale arriva seconda. Inizia a lavorare come modella, ricevendo ingaggi da parte degli stilisti più prestigiosi in varie parti del mondo: Giappone, Stati Uniti, Regno Unito, Italia, dove vive dal 1998. Qui diviene famosa come testimonial della campagna pubblicitaria del 2002 della TIM. Esordisce come attrice nel 2000 con il film Al momento giusto, regia di Giorgio Panariello e nel 2003 recita in Radio West, dove conoscerà il futuro marito Pietro Taricone. Successivamente alterna il lavoro cinematografico con quello televisivo: recita in varie fiction tv, tra le quali le due stagioni della miniserie tv Questa è la mia terra(2006-2008), regia di Raffaele Mertes, e Rino Gaetano - Ma il cielo è sempre più blu (2007), regia di Marco Turco, miniserie dedicata a Rino Gaetano, con Claudio Santamaria nel ruolo del cantante prematuramente scomparso nel 1981. Tra i suoi lavori per il grande schermo, vanno ricordati Ora e per sempre, regia di Vincenzo Verdecchi e 13dici a tavola, regia di Enrico Oldoini, entrambi del 2004, e Nelle tue mani, regia di Peter Del Monte (2007), con cui nel 2008 vince il Globo d'oro alla miglior attrice rivelazione dell'anno. Del 2009 sono i film Tutta colpa di Giuda, regia di Davide Ferrario, e Barbarossa, regia di Renzo Martinelli, mentre del 2010 sono From Paris with Love, regia di Pierre Morel, Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio, regia di Isotta Toso, e La passione, regia di Carlo Mazzacurati. Nel 2012 è stata la madrina della 69ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Nel 2013 interpreta Franca Gandolfi, moglie di Domenico Modugno, in Volare - La grande storia di Domenico Modugno, una miniserie televisiva italiana di due puntate, diretta da Riccardo Milani e prodotta da Rai Fiction. La fiction racconta la storia del cantautore pugliese Domenico Modugno, interpretato da Giuseppe Fiorello ed è andata in onda il 18 e 19 febbraio 2013 su Rai 1. Nello stesso periodo, a distanza di tre anni, torna al cinema con Tutti contro tutti di e con Rolando Ravello e poi con Benvenuto Presidente! con Claudio Bisio sempre per la regia di Riccardo Milani. Il 1º aprile fa il suo debutto su Sky Cinema 1 nella serie In Treatment con Sergio Castellitto nei panni dell'avvenente Sara. Nell'ambito del Festival di Sanremo 2014 è tra i "proclamatori" che annunciano le canzoni dei vari artisti che passano il turno. Pochi settimane dopo esce nelle sale il film Allacciate le cinture, in cui viene diretta da Ferzan Özpetek, per il quale vince il Nastro d'argento come migliore attrice protagonista e viene candidata al David di Donatello, senza però vincerlo. Nello stesso anno viene scelta da Fendi come testimonial della nuova fragranza Furiosa. Nel settembre 2014 esce inoltre il video che la vede protagonista nella pubblicità del profumo Fendi Furiosa girato a Caprarola, in provincia di Viterbo. Nel 2016 recita in Perfetti sconosciuti, per la regia di Paolo Genovese, mentre nel 2017 è protagonista, insieme a Pierfrancesco Favino, del film Moglie e marito diretto da Simone Godano[5] e del film Made in Italy insieme a Stefano Accorsi, diretto da Luciano Ligabue.
Vita privata. È stata legata sentimentalmente a Pietro Taricone, conosciuto sul set del film Radio West (2003), fino alla sua morte, avvenuta in seguito ad un incidente di paracadutismo il 29 giugno 2010. Insieme hanno avuto una figlia, Sophie, nata il 4 settembre 2004. Nell'estate del 2011 si lega al produttore Domenico Procacci.[6] Il 20 agosto 2014 nasce, in una clinica di Roma, il primo figlio della coppia, Leone.
Da I Lunatici Radio2 il 4 ottobre 2019. Kasia Smutniak è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e mezza alle sei del mattino. Kasia Smutniak ha parlato un po' di sé stessa: "Il mio rapporto con la notte? Dormo, prima di avere figli magari me la vivevo un pochino di più ma ultimamente a una certa ora crollo. Mi piace l'idea di svegliarmi presto. La vita dopo il matrimonio? Non cambia, dopo tanti anni che si sta insieme non credo che cambi molto. Amicizie strette sul set? Poche che rimangono, anche si creano dei rapporti forti perché si vive a stretto contatto e si condividono delle emozioni. Sul set di 'Perfetti Sconosciuti' ero diventata amica di Alba Rohwacher e Anna Foglietta. Eravamo femmine contro maschi. I maschi erano indisciplinati, noi tutte precisine". A proposito della sua prima grande occasione: "Se mi parlano di occasioni non penso al lavoro. Nel lavoro ogni cosa è una prova. Ogni incontro, ogni provino, è una prova costante. Ti senti costantemente alla prova. Quando avevo meno da perdere, compreso la faccia, era tutto più semplice, e già stavo in ansia. Adesso le aspettative si sono alzate e l'ansia è ancora di più. Io ho iniziato a lavorare prestissimo. Quando penso alle prove non penso al lavoro, penso alla scuola. Non sono mai stata una da primo banco, ma mi creavo delle grandi aspettative da sola, anche se a casa non sentivo mai l'ansia di essere la migliore". Sul rapporto con la sua famiglia d'origine: "Vengo da una famiglia militare, si sono vergognati per una decina di anni, per un'altra decina hanno pensato che avessi ancora tempo per fare qualcosa di serio. Ora invece sono contenti, si sono arresi all'idea che faccio questo nella vita. Il mondo dello spettacolo era una cosa molto lontana da quello che si faceva prima nella mia famiglia. A 16 anni ho preso il brevetto da pilota di alianti". A proposito della sua immagine: "Il rapporto con la bellezza? E' cambiato nel tempo, ora mi sento molto più sicura rispetto a dieci, venti o cinque anni fa. Ho fatto pace e non mi sfottete perché è una cosa importante. Ogni donna, ogni persona, pensa di non essere mai abbastanza. Ma deve imparare ad accettarsi. E' un processo che sto imparando". Su Loro, il film di Sorrentino: "Era un set molto fisico per me. Ho trasformato il mio corpo. Doveva diventare quasi un oggetto, un antagonista, una cosa a sé. E' stato chiesto specificatamente dal regista. Quei corpi delle donne che non vogliono accettare il tempo che passa e quindi fanno tutto per renderlo tonico, bello, giovane, abbronzato, teso. Quasi normale. Ci sono voluti mesi e mesi di allenamento e sacrifici. E' stata una bellissima sfida". Sul #metoo: "Quello che manca in questo percorso è una presa di coscienza da parte dei maschi. Noi donne periodicamente ci interroghiamo e viviamo le nostre rivoluzioni, interne ed esterne, ma nel mondo maschile non è ancora mai accaduto e finché non accade anche dall'altra parte questo percorso sarà più tortuoso e più lungo. E' iniziata davvero una presa di coscienza e solo il fatto che ne stiamo parlando è un grande passo avanti. Se è vero che il produttore porcello oggi ha più paura con il #metoo? E' vero. Oggi cose che accadevano dieci anni fa non potrebbero più succedere con la stessa facilità. Abbiamo scavalcato un muro che non vedevamo nemmeno. Noi donne per prime, che spesso siamo nemiche di noi stesse". Sull'Italia: "Sono venuta in Italia vent'anni fa, sono un migrante economico. Il mio spostamento era una scelta precisa, negli anni ho visto un grande cambiamento, non solo in Italia, in tutta Europa. La paura fa chiudere le nostre menti, è un oggetto che viene usato da sempre, dall'inizio della nostra civiltà, cui non dobbiamo cedere. Se una cosa ti fa paura, devi conoscerla a fondo. Senza dimenticare da dove vieni e che storia hai".
Da d.repubblica.it il 16 settembre 2019. Per gli invitati doveva essere la festa di compleanno di Kasia Smutniak, per l’attrice e il compagno Domenico Procacci invece è stato il giorno del loro matrimonio. A sorpresa, davanti a un gruppo ristretto di amici di una vita arrivati per festeggiare i 40 anni di Kasia, la coppia si è sposata durante una festa organizzata a Formello, nella campagna romana, dove gli sposi vivono nella villa acquistata con il compagno scomparso Pietro Taricone. A celebrare le nozze lo scrittore Sandro Veronesi, testimone della sposa il regista Ferzan Ozpetek, presenti amici famosi, come il cantante Ligabue, e non. E chiaramente i due figli, Sophie di 15 anni nata dall’unione con l’attore scomparso nel 2010, e Leone, 5 anni, figlio del produttore. La coppia, insieme dal 2011, ha scelto per l’occasione un look boho chic: piedi nudi, coroncina di fiori e abito bianco in stile hippie per la sposa, abito scuro e camperos per lo sposo. Per il pranzo prodotti e mozzarelle dalla Puglia. Un matrimonio che arriva a coronare un percorso in continua crescita per l’attrice che proprio in occasione dei 40 anni ha deciso di organizzare un crowdfunding per la scuola aperta in Tibet con la Pietro Taricone Onlus. Prima chiedendo solo agli amici di non fare regali ma di donare per il suo progetto, poi aprendo la raccolta a tutti. Oggi sono oltre 30mila gli euro donati per l’istituto di Ghami, prima scuola nella zona del Mustang, al confine tra Nepal e Tibet ed è ancora possibile partecipare al regalo che a questo punto si trasforma in un regalo di nozze. Ma non solo. Proprio in questi giorni, con un post su Instagram, la diva polacca ha raccontato di essere affetta dalla vitiligine, una malattia della pelle che si manifesta con macchie più chiare su varie parti del corpo. “Crescere è anche imparare ad accettare tutto quello che la vita ci porta”, ha commentato per poi aggiungere “Per gli ultimi 6 anni ho imparato ad accettare e amarmi per quello che sono. È stato un percorso, mica subito. E solo oggi mi sento di condividere questo momento con voi”.
Giuseppe Fantasia per Huffington Post il 16 settembre 2019. La coppia “rock” del cinema ha detto “Sì”. L’ultima volta che abbiamo visto insieme Kasia Smutniak e Domenico Procacci, l’attrice polacca e il noto produttore cinematografico eravamo a Venezia, era durante la 76esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Sospesi su una piattaforma galleggiante, in attesa di vedere il cortometraggio “Venetika” realizzato da Ferzan Özpetek e da lei interpretato, circondati dall’acqua e dalle bellezze della laguna, fummo sorpresi dal loro arrivo che aggiunse ancora più luminosità e bellezza a quel panorama. Insieme, quei due, sono da sempre capaci di creare un mix speciale, percepibile anche da chi non li conosce e non li frequenta. Sono una coppia “rock” nel vero senso del termine, non c’è che dire, “so’ ddù’ fighi”, direbbero in qualsiasi bar della Garbatella – una coppia in cui è la comprensione, la semplicità e la complicità a trionfare, che poi sono o non sono le basi dell’amore? Inseparabili anche durante il photocall e con la piccola Sophie al seguito (la figlia che lei ha avuto da Pietro Taricone), in quell’occasione ci sono apparsi più belli e raggianti che mai. C’era qualcosa nell’aria, ma nessuno di noi sapeva – né poteva sapere - bene cosa. “Ci avevano invitati al compleanno di Kasia e invece era il loro matrimonio”. Racconta ad Huffpost un invitato che vuole restare anonimo. Domenica sera, a Formello, nella splendida casa di campagna della coppia, solo i loro amici di sempre hanno avuto la risposta. Dalla Polonia e dalla Puglia, da Roma e dalla Toscana, si sono ritrovati tutti lì per festeggiare i quarant’anni di Kasia (da lei compiuti pochi giorni prima di Ferragosto) – pensavano in moltissimi - ma anche per altro. “È stato perfetto, è stato tutto allegro e giusto, tutto a misura”. “Ad un certo punto Domenico è salito sul palco in camicia bianca, pantaloni scuri e camperos – continua – dicendo che ci aveva chiamati per il compleanno di Kasia, ma soprattutto per un rito che volevano condividere con amici e famiglia. Lì, abbiamo capito che si trattava del matrimonio”. “Ha iniziato ad allacciarsi i polsini della camicia, a farsi il nodo alla cravatta, a mettersi la giacca per poi chiamare Sandro Veronesi (lo scrittore Premio Strega di cui a giorni uscirà il nuovo romanzo, “Il Colibrì”, ndr) con la fascia tricolore che ha poi ufficializzato la loro unione in un discorso irresistibile”. Tra gli ospiti, solo amici veri e pochi volti noti: Ligabue (“che non ha cantato”), Sergio Rubini, Daniele Vicari, Valeria Solarino, Giovanni Veronesi, Lorenzo Mieli e Özpetek, testimone di lei. Per il pranzo prodotti e mozzarelle dal noto e pluripremiato “300Mila Lounge” di Lecce, “lacrime di gioia, balli e danze fino a tardi, con la sposa scatenatissima”. Unica regola: nessun regalo, nessuna bomboniera e solo donazioni alla “Pietro Taricone Onlus” che – come ci disse Kasia a Venezia, lei che in occasione dei 40 anni ha deciso di organizzare un crowdfunding per una scuola aperta in Tibet – “sviluppa e sostiene progetti mirati a offrire educazione all’infanzia disagiata e a costruire le condizioni per cui i bambini, in qualsiasi parte del mondo si trovino, possano avere accesso a un’educazione qualificata e a una formazione che li aiuti ad andare incontro al loro futuro migliore”. Quello di Kasia e Domenico è iniziato da tempo e ieri sera lo hanno solo confermato.
Kasia Smutniak e Pietro Taricone, la toccante promessa a 9 anni dalla morte: "Devo realizzare il tuo sogno". Libero Quotidiano il 14 Agosto 2019. Per i suoi 40 anni, Kasia Smutniak rilascia una intervista a Freeda. Parla delle cose che vuole fare e ricorda Pietro Taricone, il suo ex morto prematuramente. In Nepal, insieme alla Pietro Taricone Onlus, Kasia è riuscita a costruire una scuola che oggi ospita ben 56 bambini. L’idea di portare della cultura in quei posti le è venuta ricordando proprio un’esperienza fatta con Taricone: “Quasi 20 anni fa io ci sono andata là con Pietro per fare un trekking e ci siamo persi, abbiamo perso la cognizione del tempo e ci siamo rimasti per quasi un mese". Aggiunge Kasia: "Sulla strada di ritorno, quando stavamo tornando dal Mustang, parlavamo tantissimo del fatto di voler fare qualcosa per quelle persone. Per 2 anni ho girato cercando un progetto e così ho conosciuto meglio il Mustang e ho pensato che in un posto dove non c’è veramente niente, neanche gli ospedali, bisogna cominciare da una scuola perché solo imparando puoi in qualche modo crescere”. "Per i 40 anni ho deciso di farmi un unico regalo", dichiara l'attrice di origini polacche, "di esaudire il mio grande desiderio che la scuola possa andare avanti e così abbiamo iniziato una raccolta fondi circa un mese fa. Io veramente non ho bisogno di nulla, non c’è regalo più grande che potrei chiedere. E il regalo più grande è l’aiuto economico con la mia scuola”.
Kasia Smutniak rivela: «Ho la vitiligine, bisogna imparare ad amare i propri difetti». Pubblicato venerdì, 30 agosto 2019 da Annalisa Grandi su Corriere.it. Ha da poco compiuto quarant’anni e racconta che adesso inizia «il secondo tempo» della sua vita. È stata tanto felice, ha vissuto una tragedia enorme. E ora sui social Kasia Smutniak svela qualcosa che nessuno finora sapeva. La bellissima attrice racconta di avere la vitiligine (una malattia della pelle che comporta la comparsa di chiazze non pigmentate). Lo fa in un lungo post in cui spiega che «Bisogna amare i propri difetti». Kasia mostra su Instagram la foto delle mani e delle braccia con le tipiche chiazze chiare dovute alla malattia. «Crescere è anche imparare ad accettare tutto quello che la vita ci porta. Cose belle, cose che ci vengono facili ma che non dovremmo dare mai per scontate. Ma sopratutto momenti difficili, che ci mettono alla prova, per non perdere il senso dei momenti felici. Insomma tutto» scrive Kasia. Io, crescendo, ho imparato anche un’altra cosa, accettare non è sufficiente. Bisogna amare i propri difetti! Per gli ultimi 6 anni ho imparato ad accettare e amarmi per quello che sono. È stato un percorso, mica subito. E solo oggi mi sento di condividere questo pensiero con voi». L’attrice infatti, fino ad ora, non aveva mai rivelato di avere la vitiligine (la stessa malattia di cui soffre la modella Winnie Harlow). «Qualche tempo fa ho letto una frase che mi è rimasta impressa “Fatti amare per i tuoi difetti che i pregi li sanno amare tutti” e ho deciso di farla mia» conclude Kasia ne messaggio accompagnato da una foto sorridente. Un messaggio che in tanti hanno commentato e ripreso: in molti la ringraziano per aver voluto raccontare il suo “segreto”, altri sottolineano quanto sia bellissima «Tutto ciò ti rende ancora più bella». Poco tempo fa, appena compiuti i 40 anni, la Smutniak aveva raccontato di una scuola in Nepal, costruita con la Onlus nata dopo la morte del compagno Pietro Taricone, da cui ha avuto la figlia Sophie, oggi 14enne. Un dolore immenso affrontato con coraggio, e con il sorriso, ritrovato insieme al nuovo compagno Domenico Procacci e Leone, 5 anni, nato dall’amore con il produttore.
Kasia Smutniak, l'eterna ragazza compie 40 anni: bellissima, fiera e coraggiosa. Affascinante senza bisogno di orpelli, da modella è diventata attrice girando film importanti come 'Caos calmo' e 'Loro'. L'incontro con Pietro Taricone, dal quale ha avuto la figlia Sophie, e la sfortuna di doverlo perdere. Ma la vita, nonostante tutto, non le fa paura: e ora è più forte che mai. Silvia Fumarola il 12 agosto 2019 su La Repubblica. Anche quando faceva la modella - gli italiani l'hanno conosciuta grazie a una celebre campagna pubblicitaria - Kasia Smutniak era diversa dalle altre. Bella senza un filo di trucco, lo sguardo fiero di chi sa quello che vuole. Il 13 agosto compie 40 anni ed è una di quelle donne fortunate che restano ragazze per sempre. Forte di una forza vera, l'attrice polacca che parla cinque lingue, ha il dono dell'ironia e ha imparato la disciplina dal padre, generale dell'aviazione. In giro nelle basi Kasia ha coltivato la curiosità, non la paura della vita. Ha imparato a viaggiare sola, si capisce che il coraggio non le manca. Ha volato con le Frecce tricolori e ha preso il brevetto da pilota. Ha girato film importanti, Caos calmo, Perfetti sconosciuti, Allacciate le cinture, si è trasformata in vamp per Paolo Sorrentino (Loro), poi le fiction di successo, dalla storia di Domenico Modugno alla serie In treatment. Nel tv movie Limbo di Lucio Pellegrini, dal libro di Melania Mazzucco, dà una prova di grande talento nel ruolo del soldato Manuela Paris, tornata a casa dall'Afghanistan dov'è stata vittima di un attentato. Una bomba ha ucciso i suoi uomini, lei porta le cicatrici sul corpo, nel cuore e nella testa. Il suo lento ritorno alla vita, nella cittadina di mare vicino a Roma dove abita con la famiglia, è commovente. Una storia di dolore e rinascita. Smutniak ha saputo riprendere la sua vita in mano dopo la scomparsa del compagno Pietro Taricone, morto il 29 giugno 2010, in un tragico incidente dopo il lancio col paracadute. Alla figlia Sophie, avuta da quel ragazzo che aveva conquistato il mondo con un reality e col sorriso, ha insegnato l'amore per la vita, a non voltare mai le spalle agli altri. L'anno scorso, per la prima volta, le treccine, il sorriso timido, ha sfilato insieme alla mamma sul red carpet alla Mostra di Venezia; e con la madre, già da piccola era andata in Nepal, dove l'attrice è impegnata da anni in prima persona. Insieme alla Pietro Taricone Onlus, Kasia Smutniak ha costruito una scuola a Ghami, nel Mustang in Nepal. Pezzo per pezzo, portando i materiali, l'ha vista nascere. Ci torna ogni anno, felice di vedere che "i bambini, grandi e piccoli, possono imparare". Disciplinata ma libera, autonoma fin da ragazza, Smutniak è legata al produttore Domenico Procacci, da cui ha avuto il figlio Leone. Divina sul red carpet e in tuta, la ragazza che scala le montagne e vola felice, cittadina del mondo, non ha certo paura dell'età. Si è presa un anno sabbatico per fare le cose che contano e ha un obiettivo da copiare: vuole diventare "una vecchietta in forma, con lo zaino". Uno zaino ce l'abbiamo tutte, per il resto tocca impegnarsi.
Alessandro Ferrucci e Fabrizio Corallo per "il Fatto Quotidiano" l'11 agosto 2019. Kasia Smutniak diva non lo è, e non ci si sente. Arriva mezz'ora prima all' appuntamento, anche se l' appuntamento è sotto casa sua; si siede da sola ai tavolini di un bar (trattato da secondo ufficio), non inganna il tempo con il cellulare in mano, non teme di essere riconosciuta ("tanto non capita quasi mai"), ma si guarda attorno, respira la città, sorseggia uno Spritz ("però è leggero, se no mi gira la testa") e ogni attimo della sua vita lo concepisce come un' esperienza ("altrimenti temo di sprecare il tempo"). E il tempo recita: martedì compie quarant' anni.
Auguri.
«Me li sto godendo e per me è già un salto di qualità. Mi domando solo cosa farò adesso».
Magari la regista.
«Troppa responsabilità; non sopporto il giudizio neanche quando ho un provino: vado in crisi, li odio, non li tollero. Comunque mi sono presa un anno lontano dai set».
Rinuncia a dei film per evitare i provini?
«Sì, e quello più duro della mia vita è stato con Paolo Sorrentino per Loro; quando è finito, ho pensato: "Se sono riuscita a sopravvivere, non ci saranno problemi con le riprese"».
Addirittura.
«Il giorno prima non volevo andare, ho pensato di darmi malata».
Si consiglia con qualcuno?
«No, e il problema è uno: non ho frequentato una scuola di recitazione, quindi non so come si affrontano i provini».
Avrà assistito a quelli degli altri.
«Mi mette in imbarazzo».
Ha appena girato il remake polacco di "Perfetti sconosciuti". E in generale Genovese non è contentissimo dei risultati.
«A lui non piacciono i cambiamenti rispetto alla sceneggiatura originale, e comunque il miglior finale resta quello italiano».
In Polonia ha lo stesso ruolo dell'originale?
«Sì, e dopo che me l' hanno proposto sono sparita per mesi, non trovavo il senso di ripetere la medesima parte. Poi ho incontrato il regista, persona stupenda, ho letto l' adattamento, figo, e ho pensato: "Ma quando ricapita?»
Differenze?
«Solo in Italia c'è il fenomeno di incontrarsi esclusivamente per stare a tavola, dove è educazione trattare argomenti neutri: niente calcio, problemi personali, politica; mentre si possono passare molte ore a discutere del cibo».
E quindi?
«È interessante vedere come nelle altre culture viene risolto il motivo dell' aggregazione, cosa mangiano, la conversazione dei personaggi».
Di cosa si parla in Polonia?
«Degli altri, delle sfighe dei vicini, magari si evitano temi intimi, ma il pettegolezzo è tipico polacco».
Meglio il cibo o il pettegolezzo?
«Il cibo, almeno non offendi nessuno (sorride); sul set, in alcune scene, mi sono impuntata: c' erano incongruenze gravi».
Tipo?
«Interpreto una polacca che spesso lavora a Bologna, e organizza una cena italiana per gli amici: in una scena scolo la pasta e nel frattempo inizia un dialogo di cinque minuti».
Altro che scotta.
«E il regista: "Perché non va bene?". E io stupita: "Non è possibile, così s'incolla. Cinque minuti non ci possono essere". Non capivano; prima di decidere se accettare o meno ho chiesto chiaramente quale sarebbe stato il menù previsto per il film».
In che senso?
«Le riprese italiane di Perfetti sconosciuti sono durate sei settimane, quattro delle quali seduti a tavola per mangiare sempre gli stessi piatti. Dalla sera alla mattina. Non voglio mai più vedere gnocchi, polpette e zucchine fritte».
Alla fine, in Polonia?
«Come primo volevano propinarmi una zuppa di zucchine, e come secondo la pasta».
Altro errore.
«Già, ma ho perso».
È molto conosciuta nel suo Paese d' origine?
«Non lo so, mi trattano con grande rispetto ma come una straniera; una sorta di animale strano, ogni tanto mi dicono "lì da voi"».
In alcune interviste ha dichiarato "qui da noi", riferendosi all' Italia.
«Per me "da noi" è sia qui che in Polonia».
Da quanto tempo è così?
«Per anni mi sono arrovellata su chi sono, e chi sono diventata, mentre ora ho smesso di pormi la domanda. Mi sento tutte e due. Anzi europea».
In quale lingua urla?
«Tutte le parolacce in italiano, quelle polacche sono più faticose e poi vista l' educazione rigida dei miei (tutti militari), mi sembrerebbe blasfemo».
Nei sogni?
«In differenti lingue, anche in russo; i veri furbi sono i miei figli: quando siamo in Italia, e non vogliono farsi capire dagli altri, parlano polacco; il contrario in Polonia».
E lei?
«Ovvio, li rimprovero».
Insomma, lei in Polonia è trattata da straniera.
«E non me lo aspettavo, ma in realtà oramai lì mi sento tale: sono lontana da vent' anni, e sono accadute e cambiate troppe situazioni; i miei punti di riferimento sono fermi al 1998».
In Polonia è un'era.
«Rispetto ad allora è veramente un altro Paese e non è come Roma che ha la capacità di restare congelata nel tempo (ci pensa). In Polonia ho riallacciato rapporti vecchi di venticinque anni. E Alcuni hanno riscontrato in me caratteristiche simili a quelle di mia madre».
Bene o male?
«Sono stupita: una va via da giovane, gira il mondo, fa esperienze e torna al punto di partenza?»
I suoi sono contenti della carriera?
«Per loro non avere un ufficio, degli orari e degli obblighi era straniante; dicevano: "Che fai? Salvi le persone? Fai ricerca? Cosa?". Quasi mi trattavano da parassita della società».
In lei ci sono ancora riflessi dell'epoca comunista?
«Certo! (Le si illuminano gli occhi). Ho un automatismo inconscio, dal quale non voglio mai sottrarmi: dopo aver preparato il the, non butto via la bustina, la metto da parte per utilizzarla ancora; per gli ospiti ne prendo di nuove».
Altre attenzioni?
«Non spreco il pane, ma forse questa è più una tradizione cristiana».
È credente?
«No».
Oltre a "Perfetti sconosciuti", ha partecipato a "Dolce fine giornata", sempre con un regista polacco.
«Girato tutto in Toscana, a Volterra, e parla della paura del momento in cui viviamo, dei migranti, dell' Europa; dell' angoscia rispetto a chi è diverso: una paura che colpisce tutti, anche chi capisce la follia di tali timori».
Lei ha paura.
«Ho scoperto di sì, e solo grazie alla lettura di questo copione: è un sentimento viscido».
Da bambina di cosa aveva paura?
«Di niente. Al massimo dei ragni».
Özpetek e "Allacciate le cinture".
«Nel film Ferzan ha raccontato una parte di me molto privata: lui sa e io so; ma lui è così: ti vive, entra nella tua vita. E quando trovi un regista così ti devi fidare, devi essere certa che non ti utilizzerà mai contro quella conoscenza».
Responsabilità.
«C'è una scena che non scorderò mai, è girata in un ospedale: prima di iniziare siamo entrati in un bagno e giù a piangere. E senza parlare».
Quando si è rivista?
«Con Allacciate le cinture non ci riesco, è troppo intimo; di questo lavoro mi interessa molto ciò che accade prima del set, la preparazione, mentre il set, all' alba, al freddo, poi la promozione e certi riti, diventano una rottura».
Alla fine di un film?
«Mi prende malissimo: non vado più alle feste dei saluti».
La prenderanno per diva.
«Probabilmente, ma lo dichiaro giorni prima, quando inizio con i saluti per evitare il momento imbarazzante dell' ultimo giorno».
Una sua bugia.
(Ride con la testa indietro). «Per ottenere una parte in Nelle tue mani di Peter Del Monte: a quel film sono legatissima».
Quale?
«Anni prima Peter aveva girato La ballata dei lavavetri, con protagonisti grandi attori polacchi, lui entusiasta dell' esperienza: "Voi in Polonia arrivate dal teatro. Tu quale hai frequentato?". E lì ho inventato una struttura di Cracovia, compreso il nome del fantomatico direttore».
Perfetto.
«La situazione poi è peggiorata durante il provino: "Si vede l' imprinting, hai le basi". Finite le riprese ho confessato la bugia».
Il suo primo giorno di set.
«Con Giorgio Panariello, sorgere del sole, su un lago, posto meraviglioso e io che pronuncio la frase: "Giulio, quando vuoi si parte". Finita la scena è partito un lungo applauso, gli auguri per l' esordio e lo champagne. Io che pensavo: però, bello, questo lavoro».
Per due volte ha lavorato con Beppe Fiorello.
«Un grande, uno che lavora a fondo, s'impegna, serio, e come pochi altri entra nei personaggi. Pochi attori si danno come lui».
Forse Favino.
«Ecco, pensavo anche a lui; mentre giravamo Moglie e marito, ero talmente nel ruolo della donna che si trasforma in uomo da preoccupare il mio ferramenta: "Perché cammini come uno scimpanzè?" A braccia larghe. Quando ho incontrato Paolo Sorrentino per Loro avevo ancora un taglio di capelli alla David Bowie, mi sono seduta di fronte con le gambe accavallate. E lui: "Sei così?". Sì. "Ce la fai a tornare donna?"».
I suoi figli si accorgono dei mutamenti?
«La grande, per lei è normale».
Ha dichiarato: "Ho sempre la sensazione di perdere tempo".
«Ci sto lavorando, per questo ho preso un anno sabbatico».
È anche per l' educazione militare?
«Ho l' ansia di stare in più posti nello stesso momento, di non accontentarmi di quello che sto vivendo, e vivo nella certezza di poter raggiungere qualunque obiettivo. Non mi pongo limiti. Né come donna. Né come polacca. Né come persona di questa epoca».
Competitiva.
«No, credo che se uno può raggiungere un livello, allora posso riuscirci, anche se poi non arrivo».
Educazione, dicevamo.
«Papà, nonna e nonno militari, mamma medico in una struttura, unica in Europa, in cui i genitori vivevano insieme ai loro bambini con handicap: lì si organizzavano corsi, e tanti piccoli avevano talenti incredibili. (Chiude gli occhi). Le pareti erano colorate, mentre fuori vinceva il grigio».
Ci andava spesso?
«Tutti i giorni dopo le lezioni. E quando ho deciso di costruire la mia scuola, l'ho pensata esattamente così: libera e colorata. (Ha da tempo una onlus impegnata in Nepal e intitolata alla memoria del suo compagno Pietro Taricone)».
Quanti bambini?
«Ne seguiamo 56 con sei insegnanti, tutto pagato da finanziamenti privati e donazioni».
Perché una scuola?
«Serve a salvaguardare una cultura, permettere a dei ragazzi di crescere nella loro terra».
Sono passati trent' anni dal 1989.
«Non ricordo esattamente il momento di passaggio, ed è curioso perché ho in mente il prima».
E il prima?
«Erano normali le file davanti ai negozi, com' era prassi partecipare alle regole della comunità».
Cos' era per lei l' Unione Sovietica?
«Come l' America».
Cioè?
«Mio padre ha studiato all' Accademia militare di Mosca, quindi fino ai cinque anni ho vissuti in Russia, e lì c' erano oggetti, cibi e abitudini sconosciute in Polonia».
Tipo?
«Le banane e i mandarini: era normale regalare frutta a Natale; quando tornavamo in Polonia portavamo dei regali che diventavano oggetti esotici».
Quante lingue parla?
«Italiano, inglese, russo, polacco e un po' il nepalese; le lingue sono il mio vero e unico talento».
Qualcuno a casa sua rimpiange il comunismo?
«Nessuno, neanche mia nonna; quando le ho posto questa domanda la sua reazione immediata è stata: "Ora vado al supermercato e posso scegliere". Si sente libera».
Lei si sente libera?
«La libertà andrebbe più difesa, mentre oggi ho la sensazione di continui attacchi, ed è assurdo, ma non se ne parla, perché uno se ne rendo conto solo quando la perde, o l' ha conquistata con la vita». (Cantava Giorgio Gaber: "La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone; la libertà non è uno spazio libero. Libertà è partecipazione").
Kasia Smutniak si racconta dopo la morte di Taricone. Alice Grisa il 27/07/2017. Intervistata da Il Corriere della Sera, l'attrice di origini polacche ha parlato di sé, del proprio passato, delle proprie idiosincrasie e anche di Pietro Taricone. Kasia Smutniak si è raccontata in un'intervista a Il Corriere della Sera. L'attrice 38enne di origini polacche, emersa tanti anni fa grazie a uno spot pubblicitario, è in una fase della propria vita in cui può esprimere la maturità conquistata e le proprie spigolosità caratteriali. A cuore aperto, Kasia ha parlato con il Corriere dei grandi dolori e i lutti della sua vita, dell'amore per i viaggi e per la propensione alla solitudine.
Kasia e la "sociopatia". Durante l'intervista, la Smutniak si è definita "sociopatica" [sic]: alle compagnie numerose e al caos preferisce la tranquillità di un viaggio da sola. Ho tanti amici ma sono una sociopatica. Ho trovato il piacere di stare bene con me stessa, ho imparato a viaggiare da sola, a vivere delle esperienze da sola. I viaggi in solitaria hanno spalancato un nuovo universo di esperienze alla star ma sono serviti anche a farle (ri)scoprire se stessa. Ho imparato tanto su me stessa. Ho dovuto capire come non avere sul groppone la mia vita ma farmela piacere.
Kasia e il dolore più grande. Kasia Smutniak con i dolori strazianti ha dovuto scendere a patti. Nel 2010 è morto tragicamente il suo compagno Pietro Taricone durante un incidente con il paracadute: la vicenda ha sollevato un polverone di sconcerto e ha suscitato un cordoglio generale. Taricone era molto popolare per essere emerso nella primissima edizione del Grande Fratello. Kasia Smutniak e Pietro Taricone quando erano una coppia. Come si convive con la perdita tragica del proprio partner?
La morte di Pietro è stato uno dei momenti [dolorosi, n.d.r.], non l’unico. Ho iniziato a lavorare a 15 anni e sono andata via da casa a 18: lì ho dovuto imparare.
Kasia e la maternità. La Smutniak ha parlato anche del legame con la figlia Sophie, avuta proprio dal compianto Pietro. Quando ho partorito la prima figlia e me l’hanno portata in braccio ho avuto una sensazione fortissima: ho iniziato a pensare che da quel momento la mia storia sarebbe stata in funzione della sua. Allergica al concetto del "per sempre", con Sophie Kasia ha sperimentato una nuova forma di "legame eterno". Da lì non si scappa. Oltre a Sophie, Kasia ha un altro figlio: Leone, nato dal legame con il produttore Domenico Procacci. La Smutniak ha parlato del rapporto con i figli in chiave a se stessa, che si sente "ancora una bambina" e vuole diventare una "vecchietta con lo zaino". A 20 anni devi impegnarti per il tuo futuro, a 30 arrivano le responsabilità, i figli, i mutui, ma sei ancora un bambino. Io voglio essere lontana da questo, voglio diventare una vecchietta in forma, una vecchietta con lo zaino...
Pietro Taricone, 8 anni dalla morte. Il guerriero che voleva imparare a volare: il ricordo di Kasia Smutniak. Valentina Gambino su il Sussidiario il 29.06.2018, agg. il 20.02.2019. Pietro Taricone, il ricordo ad otto anni dalla tragica morte: il guerriero che voleva imparare a volare, le parole commosse di Kasia Smutniak, Daria Bignardi e Marina La Rosa.
Pietro Taricone, otto anni dalla tragica morte. Pietro Taricone è scomparso il 29 giugno del 2010. Oggi sono esattamente otto anni che il guerriero della prima edizione del Grande Fratello è morto per colpa di un tragico incidente in volo. Il campano era un grande appassionato di paracadutismo e spesso e volentieri si dedicava a questo sport con grande partecipazione. Proprio il 28 giugno, dopo una manovra errata, l’attore è precipitato nel vuoto schiantandosi poco dopo al suolo presso l’aviosuperficie Alvaro Leonardi di Terni. Dopo il tragico impatto, le sue condizioni di salute sono apparse fin da subito disperate. Ed infatti, l’incidente aveva provocato a Taricone l’arresto cardiaco, un’emorragia interna e fratture multiple. Sotto i ferri per la durata di nove ore, non c’è stato niente da fare. Pietro si è spento alle 2:30 del 29 giugno 2010: aveva appena 35 anni. Il suo corpo è stato cremato e le sue ceneri sono nella tomba di famiglia a Trasacco. L’attore ha lasciato la compagna Kasia Smutniak e la figlia Sophie, che all’epoca aveva 6 anni.
Pietro Taricone, otto anni dalla tragica morte. Proprio Kasia Smutniak in una recente intervista, ha voluto ricordare Pietro Taricone: “La morte di Pietro è stato uno dei momenti più dolorosi della mia vita, seppure non l’unico. Ho iniziato a lavorare a 15 anni e sono andata via da casa a 18: lì ho dovuto imparare”. Anche Daria Bignardi aveva speso parole di stima per l’attore: “Ci saremo visti cinque volte in tutto e non ci sentivamo da molto tempo. Ma quando è venuto alle Invasioni barbariche è stato un bell’incontro. Mi ricordo di aver pensato che le persone intelligenti non ti deludono mai. Credo che Pietro sia stato una persona complessa, di quelle che non si realizzano soltanto nel lavoro, ma che hanno bisogno di fare una vita coerente con quello che sono e sentono”. Parole di sincero affetto anche da parte di Marina La Rosa, sua “collega” di reality show e grande amica una volta terminata l’esperienza con il Grande Fratello: “Lo chiamavo spesso. Non ci vedevamo con mariti o fidanzati che all’epoca non c’erano. Ci vedevamo da soli. Lui riusciva a parlare per ore ed era bellissimo”.
· Francesca Barra.
Francesca Barra: «Il figlio perso con Claudio, lutto che pochi capiscono». Pubblicato giovedì, 12 settembre 2019 da Elvira Serra su Corriere.it. La scrittrice e l’aborto: agli altri bimbi ho detto che è diventato una stella. «Ci fosse solo una possibilità su un milione, noi non perdiamo la speranza, ci riproveremo». Venerdì scorso ha sfilato sul red carpet della Mostra del Cinema di Venezia accanto al marito Claudio Santamaria con un abito lungo che mostrava forme più morbide e quella che adesso chiama «la mia pancia vuota». Non era scontato che lo accompagnasse sotto i riflettori. E infatti c’è stato un momento, catturato dai fotografi, in cui lui le ha sussurrato all’orecchio qualcosa. «Mi ha detto: “Grazie amore mio”», racconta nel loft della loro nuova casa milanese sui Navigli. Jeans, maglietta grigia, piedi nudi, le mani una aggrappata all’altra, un meraviglioso zaffiro verde all’anulare sinistro con la fede nuziale. Francesca Barra, lei ha parlato della sua pancia anche in un post su Instagram, alla vigilia della trasferta veneziana: «Una pancia vuota non è solo una pancia vuota. Ma è la tua pancia senza di lui». Il vostro bambino perso a maggio. «Due settimane prima di Venezia mi ero svegliata nel cuore della notte e avevo detto a Claudio: “Non so se riesco a venire con te, non sono in forma, né fisica, né emotiva. Questo lutto è ancora troppo vivo dentro”. Lui mi ha abbracciata e mi ha risposto: “Senza di te non ce la posso fare. Sarà una cosa diversa, ma l’affronteremo insieme”. Il giorno dopo ho cominciato ad allenarmi nella palestra dell’ex tennista Sara Ventura, una donna che sa cosa vuol dire ripartire dopo un fallimento».
Perché lo chiama fallimento?
«Avevamo cercato quel figlio dal primo momento, avevo fatto tantissime punture di ormoni, ero anche finita in ospedale più di una volta... Ricordo che quando finalmente il test di gravidanza era risultato positivo avevo fatto una corsa in cucina da Claudio per gridarglielo, è ancora lì dietro, accanto alle sue foto».
Quando vi hanno detto che c’era qualcosa che non andava?
«Durante un controllo, avevo portato Emma e Greta per conoscere il sesso del fratellino o della sorellina. Ma il ginecologo le ha fatte uscire, c’erano dei problemi... Ho pensato: io lo voglio lo stesso questo figlio. Ma non avevo il coraggio di dirlo a Claudio, mi sembrava una forzatura. E invece lui mi ha guardato e ha detto: “Io comunque lo voglio lo stesso”. Da quel momento abbiamo fatto di tutto, consultato medici diversi, spedito ecografie, tentato in ogni modo».
Poi vi siete dovuti arrendere. A fine maggio sui social ha dato notizia della vostra perdita.
«Ricordo il giorno che sono dovuta andare in clinica. Non volevo scendere dal taxi... Quando sono tornata a casa, la sera, ho cercato di essere normale, per i bambini, e mi sono messa a cucinare. Mia madre era salita in fretta e furia dalla Basilicata, diceva: “Ma vai a stenderti e a riposare”. Il giorno dopo il padre dei miei figli è venuto a prenderli e Claudio mi ha portata sul lago, dove ho pianto per tre giorni...».
Cosa ha provato?
«Per la prima volta mi sono sentita vulnerabile. Ero stata troppo sicura di me, non avevo mai messo in conto nessun pericolo. Mi sentivo baciata da Dio, invincibile. E invece...».
I social in passato sono stati molto duri con lei, ma in questa circostanza le sono stati di conforto.
«Sì, ho ricevuto più di mille messaggi da sconosciute, li ho letti tutti. E ho capito che siamo in tante ad aver provato questo dolore e a esserci sentite sole. Molti pensano che tu non stia vivendo un vero lutto, perché il bambino non è mai nato. Ma come? Io e Claudio lo abbiamo visto mentre aveva il singhiozzo, gli abbiamo sentito battere il cuore, abbiamo guardato le sue mani e le sue braccia muoversi... È un lutto sottovalutato, come se esistesse un metro del dolore e quello per un figlio mai nato non misurasse abbastanza. E poi ho scoperto un’altra cosa, che non è successa a me: in tante dopo l’aborto vengono messe in stanza con donne che hanno appena partorito... Non c’è abbastanza sensibilità verso chi perde un figlio».
Cosa avete detto ai suoi figli Renato, Emma e Greta?
«Non abbiamo voluto sapere se fosse maschio o femmina, ai bambini abbiamo spiegato che era diventato una stella per proteggerli ogni giorno».
Cosa l’ha aiutata in questi mesi?
«Niente. Ed è inutile quando ti dicono che hai altri figli, come se potessero sostituirsi l’uno con l’altro: se perdi un dito lo perdi e basta, anche se ti restano le altre. Però avevo delle responsabilità, anzitutto verso i bambini. Ho dovuto farmi forza, sorridere, siamo stati senza tata per quattro mesi, avevo la casa da sistemare... E poi c’era da finire il romanzo con Claudio (La giostra delle anime, in uscita l’8 ottobre con Mondadori, ndr)».
State già pensando di riprovarci?
Prende tempo. «Anche se ci fosse solo una possibilità su un milione, noi non perdiamo la speranza. Adesso mi affido solo alla volontà di Dio».
· Valeria Golino e le quote rosa.
Gloria Satta per "il Messaggero" il 3 novembre 2019. La terza prova dietro la cinepresa e, come attrice, l'opera prima di Michela Cescon Occhi blù: sono i progetti immediati di Valeria Golino, premiata con la Foglia d'oro d'onore al festival France Odeon che si è chiuso ieri a Firenze con la vittoria della commedia di Yvan Attal Mon chien stupide. «Porterò sullo schermo il libro di Goliarda Sapienza L'Arte della Gioia, sto scrivendo la sceneggiatura con le mie collaboratrici e amiche di sempre Velia Santella e Francesca Marciano», racconta Valeria. Intanto, fasciata in sontuosi abiti settecenteschi, l'attrice canta il melodramma e balla il minuetto con Giacomo Casanova (un soprendente Vincent Lindon) in Dernier Amour, il film di Benoît Jacquot applaudito in anteprima a France Odeon e atteso nelle nostre sale nelle prossime settimane.
Interpreta una delle conquiste del grande seduttore?
«Sono il suo antico amore Theresa Cornelys, nome d'arte della veneziana Anna Maria Teresa Imer, soprano e madre della figlia di Giacomo: un personaggio avventuroso che conduceva una vita sfarzosa, seminava debiti monumentali e con l'ex amante mantenne sempre un rapporto di complicità. Mi sono divertita a fare la dama del Settecento».
Esistono ancora degli uomini come Casanova?
«Spero proprio di sì. Quel tipo di virilità, intesa come rispetto e ammirazione della donna, si sta facendo sempre più rara. Sarebbe triste se, oggi che i rapporti tra i sessi sono cambiati, sparisse del tutto».
Oltre vent'anni decise di lasciare Hollywood: vuole ora consolidare la sua carriera francese?
«Ho girato Dernier amour per l'amicizia che da 30 anni mi lega a Lindon e la stima nei confronti di Jacquot con cui ho altri progetti. In Francia ho interpretato recentemente dei piccoli ruoli in grandi film, è stato bello. In quel Paese potrei lavorare di più, ma lo faccio quando gli impegni italiani me ne lasciano il tempo. E attualmente ne ho tanti».
Che momento è della sua vita?
«Né bello né brutto. Mi sento a bagnomaria, in attesa che spiri un vento diverso. Girerò il nuovo film di Giuseppe Gaudino su Pompei, Via dell'Abbondanza, e Sei tornato di Stefano Mordini. Ho appena finito La terra dei figli di Claudio Cupellini e ho avuto chiara una verità».
Quale?
«Il set, dove gli altri si prendono cura di me, continua ad essere il luogo in cui mi sento più tranquilla».
Cosa ha imparato dalle sue due regie precedenti, Miele e Euforia?
«Che il lavoro dietro la cinepresa è fatto per me, mi somiglia. Ho capito che ho voglia di continuare e di fare sempre meglio. Sono ormai un'attrice di mezza età ma una giovane regista. L'idea mi piace».
Scrive con due sceneggiatrici per innalzare le quote rosa nel cinema?
«No, ho scelto di lavorare con Velia e Francesca perché mi sento in sintonia con loro. Tra noi c'è una grande intimità e l'ego di ciascuna non emerge mai. Sono grandi professioniste e, per caso, anche donne».
Nel 1983, a 18 anni, lei girò il suo primo film, Scherzo del destino in agguato dietro l'angolo come un brigante da strada, con Lina Wertmüller. Cosa ha pensato quando la regista ha ricevuto l'Oscar alla carriera?
«Sono stata felice e mi sono detta: era ora. Ho festeggiato Lina qualche giorno prima della cerimonia, al gala organizzato a Roma dall'Academy. Lei è stata dolcissima, mi ha riempito di baci e carezze. Ma sul set, 36 anni fa, non andò proprio così».
Che cosa successe?
«Lina mi maltrattava tutto il tempo e probabilmente aveva ragione. Io ero giovane e indisciplinata, mi distraevo e andavo a giocare con i tecnici... La regista me ne diceva di tutti i colori, del resto era famosa per la sua severità».
A volte alzava le mani e morse un dito a Luciano De Crescenzo, colpevole di gesticolare troppo...
«Lina mi accusava urlando di essere una cagna, un'attrice negata, e mi esortava a lasciare il set. Io ci rimanevo male, oggi ripenso a quel battesimo... traumatico e sorrido».
Venezia 2019, Valeria Golino: «In America imparai a essere disciplinata: smisi di farmi le canne». Pubblicato mercoledì, 04 settembre 2019 su Corriere.it. La Leonessa Valeria Golino. È l’unica attrice italiana ad aver vinto due volte la Coppa Volpi. Le altre sono Isabelle Huppert e Shirley McLaine. Sorride: «Sono in buona compagnia».
Quest’anno alla Mostra ha tre film, ma non in gara.
«Tre, non mi era mai capitato. Avendo scelto più meno coscientemente di non portare film sulle mie spalle, riesco a farne di più».
Il primo è stato Costa-Gavras sul crac della Grecia.
«Essendo mezza greca, l’ho vissuto sulla pelle della mia famiglia, che fa parte della borghesia. Il marito di mia madre è un avvocato che ha avuto meno della metà della pensione che gli spettava. Questo cambia la vita di una famiglia, e soprattutto delle persone anziane».
E della crisi politica italiana che idea s’è fatta?
«La destra-destra mi fa paura, quello tra i Cinque Stelle e il Pd mi sembra un gran pasticcio».
La presidente di giuria Lucrecia Martel contro Polanski per la vicenda giudiziaria: ma non lo sapeva prima, che era in gara?
«Ha fatto una gaffe, come presidente si è messa in una posizione imbarazzante, è stata la rezione impulsiva di una donna militante sui diritti femminili. Se ci avesse pensato, non l’avrebbe detto».
Perché ha aspettato tanto prima di fare la regista?
«Per un senso di inadeguatezza, per una sorta di auto-censura di noi donne, perché non mi ritenevo all’altezza. Non penso mai in termini uomini-donne, ma se con Euphoria ai David e ai Nastri prendo 7 e 8 nomination e non vinco nulla, e nemmeno la Rohrwacher, mentre tutti gli uomini vincono qualcosa, una domanda me la pongo. Ma credo nel talento e non nelle quote, a questa polemica non partecipo, sarebbe una sconfitta per noi donne».
Secondo film al Lido, «5 è il numero perfetto» di Igort.
«Sono la pupa del gangster, ex di Toni Servillo».
Terzo film, l’autismo per Gabriele Salvatores.
«Tema che avevo già affrontato in America, con Dustin Hoffman e Tom Cruise in Rain Man. Sono una madre inadeguata che reagisce in modo sbagliato e non riesce a avere un rapporto col figlio autistico, se ne vergogna».
Pensando al periodo Usa?
«Tom Cruise era gentile, affettuoso, mi portava regali, senza malizia: ora un orologio, ora un quadro. Dustin Hoffman mi dava le vitamine, mi consigliava sui dottori. Insomma, il Carlo Verdone americano. Ricordo tanti provini, arrivavo spesso a film che hanno fatto epoca, daGhost a Pretty Woman. I ruoli li davano ad attrici americane. Barry Levinson sul set mi disse: devi imparare a essere disciplinata. Smisi di farmi le canne».
Lina Wertmüller le disse di peggio.
«Ma sai, avevo 16 anni, figurati cosa potevo essere. Era il mio primo film. Cagna, mi urlava. Le voglio un bene dell’anima. Meno male che l’ho incontrata, sennò avrei fatto la cardiologa».
Qui c’è Chiara Ferragni.
«È un mondo a me sconosciuto, quello della influencer. Tanto di cappello a chi fa soldi sulla vacuità, ma non avendo né Instagram né Facebook, non so nemmeno come funziona ‘sto lavoro, non so cosa sia. È stato sdoganato un comportamento che fino a pochi anni fa ritenevano tutti volgare. E ora ci sembra del tutto normale».
Reciterà in greco antico per Giuseppe Gaudino.
«Ancora non sappiamo se resterà così o in napoletano.Via dell’Abbondanza è il titolo ispirato a una strada di Pompei. Un film fantasmagorico, com’è Gaudino nella vita. Si attraversano, dal ‘700, cinque epoche, Io sono una ex nobildonna con poteri magici che diventa prostituta».
E se dovesse interpretare una donna reale?
«Ho fatto la moglie di Varoufakis. Dovesse ricapitarmi, mi piacerebbe la Duse. Non perché ritenga di essere alla sua altezza. Ero vicina, uno dei progetti Usa saltati».
Nei film recupera le radici, la Grecia e Napoli.
«Il tipo di donna del Sud Europa, mi appartiene».
Perché con lei e con poche altre, per esempio Monica Bellucci, prima o poi si finisce a parlare degli amori?
«Forse perché abbiamo avuto fidanzati famosi. Ora che sto con un avvocato me lo chiedono meno. Non ha 25 anni meno di me, come scrivono. Sono tanti, ma non 25. Mi fanno queste domande forse perché non mi sono mai sposata. Mi manca non essere madre, mentre non essermi sposata non è una tappa a cui ambivo. Ma chi lo sa, magari un giorno mi sposerò per allegria, come dice una commedia di Natalia Ginzburg».
LE QUOTE ROSA HANNO ROTTO IL CAZZO. Anna Maria Pasetti per il “Fatto quotidiano” il 19 giugno 2019. "Un premio in quanto regista donna? Non per me, grazie". Per fortuna il Ciak d' Oro - Colpo di fulmine che Valeria Golino si è meritata ieri sera per Euforia è ben distante da tale motivazione, e infatti ha suscitato il sorriso dell' autrice e attrice italo-greca. Che tuttavia non manca di fare le sue valutazioni sulle quote rosa e su "questo tempo importante" per la posizione della donna nella società, rivelando anche una prossima stagione di cinema italiano e internazionale dove sarà assoluta protagonista.
Quanta euforia le ha portato questo Ciak d'oro così speciale?
«Un Colpo di fulmine a un film che si chiama Euforia suona psichedelico! Scherzi a parte sono sinceramente felice. Non so chi l' abbia deciso, penso la redazione, è un premio allegro, un gesto d' affetto e credo di stima verso di me e di apprezzamento verso il mio film».
Soprattutto non è un premio a Golino "in quanto" regista donna.
«Appunto. Fosse stato così avrei risposto "no, grazie, non per me. Datelo ad altri". Non penso sia ancora necessario ribadire al mondo che non siamo dei panda o delle tigri bianche in via d' estinzione da proteggere. È deprimente se non allarmante ritrovarsi a ripetere questi concetti».
Ormai i maggiori festival hanno firmato la famosa carta dei 50 +50 per il 2020 per equiparare la presenza di genere fra registi. Servirà a cambiare le cose in profondità?
«Anzitutto spero ci siano abbastanza registe donne con delle opere di qualità da presentare ai festival per onorare e giustificare la loro presenza. Costringersi a prendere dei film solo perché sono girati da donne è un' offesa per tutte noi. Dunque la speranza è che, prima di tutto, le donne possano realizzarli questi film e in seconda battuta farsi rispettare nelle selezioni festivaliere. Le questioni legate alle donne nel mondo del lavoro sono sempre state complesse e controverse, questo però è un tempo importante per noi e non dobbiamo sprecarlo. Ma bisogna distinguere gli ambiti».
In che senso?
«Nel senso che ci sono modalità diverse affinché questo cambiamento culturale in corso - che riguarda tutte e tutti - sia effettivamente agevolato. Ad esempio la carta del 50 + 50 è una delle tante mosse, magari un po' goffe, per iniziare in qualche modo a modificare la situazione. Si tratta di una nuova regola che aspira a "normalizzare" la presenza femminile nel mondo dell' audiovisivo ma non dimentichiamo che molte cose vanno legiferate a livello politico. Mi riferisco al tema principale che riguarda le pari opportunità degli stipendi e naturalmente coinvolge tutti gli ambiti e settori. Ci vuole una legge perché la parità diventi concreta e irreversibile, e trovo incredibile serva ancora parlarne».
Tornando alla sua attività di sceneggiatrice e regista, può rivelarci qualcosa sul suo terzo film?
«Ho appena cominciato con le mie sceneggiatrici e onestamente siamo ancora in alto mare, proprio in quella fase di magma creativo piena di confusione e di idee. Però posso dire che stiamo lavorando sulla vita di una donna a inizio secolo, quindi sarà un film in costume ma non di genere storico».
A Cannes l' abbiamo ammirata nel film di Céline Sciamma, "Portrait de la jeune fille en feu", prossimamente anche nelle sale italiane. E poi dove la vedremo?
«Prestissimo nell' esordio alla regia di Igort, 5 è il numero perfetto, accanto a Servillo e Buccirosso. Poi nel nuovo lavoro di Gabriele Salvatores, Se ti abbraccio non aver paura, con Santamaria e Abatantuono, in quello molto "sperimentale" dell' americano ma cosmopolita Jonathan Nossiter al fianco di Nick Nolte (di cui interpreto la moglie), Alba Rohrwacher e Charlotte Rampling e infine nella nuova e attesa opera di Costa-Gavras sulla crisi economica in Grecia tratta dal libro di Yanis Varoufakis, Adulti nella stanza. Lì ho il ruolo della moglie dell' ex ministro delle Finanze e - finalmente per la prima volta - recito in greco, la mia seconda lingua».
· Violante Placido.
Violante Placido: “Quando Jack Frusciante bussò alla mia porta...” Alessandro Savoia il 15/06/2019 su Il Giornale Off. Il blu intenso dei sui occhi ha affascinato anche il cinema d’oltreoceano. Lei è Violante Placido, che da oltre 25 anni trasmette le sue emozioni sul grande schermo.
Sei la protagonista del corto Hand in the Cap di Adriano Morelli (e scritto Nicola Guaglianone), un’opera che tratta il tema delicato della sessualità per i disabili…
«E’ una storia che riflette una realtà vissuta da molte famiglie, un problema che per altro resta spesso nell’ombra del discorso pubblico. Quando mi è stato proposto questo ruolo non ero sicura al 100% perché la storia narrata in questo film mi ha un po’ destabilizzata. Prima di decidere per un sì o per un no mi sono dunque informata e ho condotto delle ricerche sul tema, appassionandomi progressivamente. Morelli è molto giovane (24 anni, ndr), ma la sua capacità di stare sul set e la sua volontà di affrontare una tematica così forte mi hanno molto colpita».
Al tuo fianco il regista ha scelto Andrea Quintavalle, un ragazzo con problematiche reali…
«E ciò mi ha permesso di fare un viaggio intensissimo nel mio personaggio. È stata una scoperta trovare una forma di comunicazione con lui. Ho conosciuto la sua meravigliosa famiglia ed è stato per me un vero arricchimento umano, oltre che una sfida per la mia professione di attrice. La sessualità è un aspetto imprescindibile della vita e questo cortometraggio ha l’obiettivo di riaprire il dibattito per l’approvazione di una legge, presentata in Parlamento tre mesi fa, sull’introduzione della figura dell’assistente all’affettività per i disabili. Hand in the Cap ci “interroga”, apre un dibattito: è importante parlarne».
Tra i produttori c’è il regista Edoardo de Angelis…
«Il suo è un cinema che amo: racconta storie invisibili con un’estetica estremamente contemporanea e diretta».
Oggi presenti a Cagliari nell’ambito del Filming Italy Sardegna Festival, il film “Restiamo amici” di Antonello Grimaldi, nelle sale dal 4 luglio…
«È una commedia che parla di una amicizia al maschile. La mia è la parte più romantica della storia. Sono una donna separata e incontro un vedovo malinconico e depresso, interpretato da Michele Riondino, che non vede più futuro nella sua vita amorosa».
E prossimamente?
«Stanno per iniziare le riprese di Piaggio con Alessio Boni, gireremo tra Roma e la Toscana».
Pensando ai tuoi esordi, quando hai capito che l’attrice sarebbe stato il tuo mestiere?
«Quando ero molto piccola sognavo di cantare e recitare, poi abbandonai questa idea. Il cinema è venuto a bussare alla mia porta più tardi, a 19 anni, con Jack Frusciante è uscito dal gruppo, ma accettai il ruolo soprattutto per risvegliare quel sogno di bambina. La “svolta” vera è stata con L’anima Gemella: da lì ho deciso consapevolmente di percorrere questa strada. Ciò mi ha permesso di affrontare consapevolmente questo percorso professionale. Fare l’attrice è un mestiere meraviglioso, basato su una costante sfida con se stessi: è un “gettarsi” con passione verso il proprio obiettivo e, con l’atteggiamento giusto, la voglia e la determinazione, spesso ci si riesce».
· Ornella Muti.
Da I Lunatici del week-end il 30 settembre 2019. Ornella Muti è intervenuta nel corso della trasmissione I Lunatici del week end in onda su Rai Radio 2 ogni sabato e domenica dall’1 alle 5, condotta da Andrea Santonastaso e Roberta Paris.
Su cinema e teatro: Non so il numero preciso dei film che ho fatto, perché io conto anche i lavori televisivi, il teatro, però so di aver fatto un sacco di roba. Preferisco fare teatro, perché in teatro accendi il motore e vai, hai il tempo di maturare il personaggio, i movimenti e le sensazioni diventano tuoi. In un certo senso è più bello per un attore, perché entri e non esci più per uscire alla fine. Non ho una colonna sonora del cuore ma ci sono stati dei brani di alcuni miei film che mi sono molto piaciuti, di Dalla, Iannacci, Queen. La colonna sonora di Giovanni Nuti per “Tutta colpa del Paradiso” era molto bella.
Su sé stessa: Faccio ashtanga yoga, da come si può notare dai miei social. Faccio anche altri tipi di yoga, ho una insegnante che ha una formazione molto completa per cui ogni volta facciamo una cosa diversa. Io però mi alleno da quando sono nata, a scuola sono stata scelta dal Coni. Sono sempre stata molto ginnasta, grazie anche al mio fisico portato allo sport, ho fatto anche danza classica. Non ho mai smesso di allenarmi, le ho provate tutte. Se avessi potuto avrei fatto l’atleta. La carriera di attrice non l’ho mai desiderata. Sono andata ad accompagnare un’altra persona ad un provino e invece hanno scelto me. Ho cominciato a lavorare a 14 anni, mi sono sempre portata avanti, mi sono ritagliata la mia libertà di essere donna da sola. Per il resto, forse oggi mi arrivano più idee perché prima ero timida. Prima mi arrivavano le cose perché io ero immobile e non mi imponevo, oggi mi diverto di più. Negli altri una debolezza che mi apparteneva o che mi appartiene la vedo meglio, perché essendo protagonista della stessa osservo, invito a stare attenti per evitare di cadere nello stesso tranello. Io però credo che sia il nostro cammino di crescita. Ogni errore porta una bella lezione, bisogna stare attenti. La vita è abbastanza dispettosa, ti propone una cosa e non l’ascolti, allora lei poi te la ripropone sempre peggio finché non apri gli occhi.
Sui reality: Non seguo Temptation Island nonostante un concorrente sia il mio allenatore, non per cattiveria però non riesco a vederlo perché non mi piacciono i reality show, perché li rapporto a me e se penso che qualcuno mi spinga in un qualsiasi reality in cui tirano fuori qualsiasi cosa del tuo passato, penso che non amo questa sorta di violenza su di me perché la patisco molto. Voglio crescere e migliorare, non a piangermi addosso. Non avrei partecipato neanche se ci fossero stati quando ero giovane, io ero una timida, addirittura aspettavo le vecchiette per attraversare la strada ma non per aiutarle ma per attaccarmi a loro perché mi vergognavo di camminare. Non posso pensare che qualcuno mi segua anche in bagno, mi inquieta anche la manipolazione dei sentimenti, delle paure, delle ansie. A limite potrei capire Nudi e Crudi, anche se non capisco il perché mettersi in una situazione del genere quindi non lo farei. Mi hanno proposto varie volte l’Isola dei Famosi e il Grande Fratello, ma onestamente chi mi conosce sa che non potrei mai perché non ho il carattere. Non li voglio giudicare, vedo che vanno molto bene e piacciono molto però non amo questo circo delle emozioni. Non è possibile che ormai vanno tutti in televisione a piangere, una volta c’era un po’ più di pudore oggi invece è tutto spiattellato. Vedo molte ragazze raccontano le loro cose, criticano delle persone e rispondono a delle persone e questa è una cosa che da una parte ammiro perché non riuscirei mai a farla, dall’altra mi sentirei così poco reale, forse perché sono abituata a recitare e penserei di farlo anche davanti a un telefonino.
Da leggo.it il 9 novembre 2019. Naike Rivelli continua a far discutere soprattutto per i contenuti dei suoi profili social: e l'ultimo video non tradisce le aspettative, con la figlia di Ornella Muti che mangia una banana intera ammiccando alla fotocamera del suo smartphone. Un video in realtà vecchio di due anni, riproposto da Naike dopo che un mese fa un altro video, in cui ingoiava una banana intera, aveva fatto parlare di sé. Al video, la Rivelli allega un lungo post in cui attacca i media che la «accusano di fare scandalo. In un Italia dove: pubblicizziamo la Fiat Panda Trussardi Lusso con uno spot davvero allucinante (infatti nel resto dell’Europa non è visibile in rete...) che promuove lusso, furto e superficialità totale. In un Italia dove le suore sono gravide e i preti pedofili. In un Italia dove la tv trash vige e detta legge creando e distruggendo persone e principi sani pur di far ascolti in tv. In un Italia senza governo eletto dal popolo da non so più quanti anni». «In un mondo dove quando apri internet appare subito il porno in tutte le salse possibili. In un paese dove le donne che si scandalizzano sul mio mangiarmi la banana, sono quasi sempre quelle che in realtà, non ingoiano banane ma ben altro... In questa nostra bella Italia.. vi faccio una domanda.. - dice Naike - Perché, tra le tante cose intelligenti, denunce importanti, lavori artistici di qualità e di portata internazionale che vengono postati sul mio Instagram perché si parla solo della Banana? Del culo? Perché alcune cose postate, che sono pesanti e forti, non vengono proprio calcolate?? Allora è tutto finto». «Testate giornalistiche che scelgono di promuovere certi argomenti che creano gossip ma distolgono l’attenzione dalla verità - conclude il post della Rivelli - È Incredibile come hanno il potere di raccontare ciò che vogliono - come vogliono - quando vogliono. CHE PAURA. Sponsorizzano certi messaggi ma scelgono di ignorare altri... Ma ALLORA CI SONO PERSONE E ARGOMENTI INTOCCABILI?!?!?!? Che Paura. CHE PAURA. Non c’è verità nella stampa. DA NESSUNA PARTE PIÙ! Il mio messaggio?!? Vi regalo una bella banana... ficcatevela dove meglio si infila».
Naike Rivelli porno-sculacciata ad Asia Argento: la umilia con una clip a luci rosse, scrive il 18 Ottobre 2017 "Libero Quotidiano". "Quando sei figlia di una donna che è una attrice vera, che ha avuto l'integrità e l'autostima di starne fuori e allontanarsi dal mondo della Calippocrazia...". Naike Rivelli, figlia di Ornella Muti, con un video pubblicato sul suo profilo Instagram, attacca Asia Argento e tutte quelle attrici che hanno ceduto alle avances di registi e produttori per fare carriera: "Grazie mamma Ornella per averci insegnato a tenere la testa alta e la bocca chiusa! La schiena dritta e le gambe incrociate. Grazie di averci insegnato a dire No piuttosto che...".
· Silvio Berlusconi, la confessione di Carlo Freccero: "Perché devo tutto a lui".
Silvio Berlusconi, la confessione di Carlo Freccero: "Perché devo tutto a lui", scrive Donatella Aragozzini il 26 Febbraio 2019 su Libero Quotidiano. C'è chi lo definisce «un genio assoluto», come il presidente Rai Marcello Foa, e chi invece lo accusa di aver affondato gli ascolti di Rai2 con format nuovi che non hanno fatto breccia nel cuore dei telespettatori. Ma Carlo Freccero, direttore «a tempo determinato» della seconda rete Rai - il suo mandato, iniziato lo scorso novembre, ha la durata di un solo anno - non si cura né delle lodi, né delle critiche. Da grande esperto di televisione qual è, con 40 anni di carriera come autore e manager alle spalle, si preoccupa soltanto di dare un'identità alla rete. Anche se questo significa fare scelte impopolari.
Come risponde alle critiche sugli ascolti bassi della rete?
«Il dramma che ho dovuto affrontare è costruire un simil-palinsesto perché la televisione generalista ha una regola fondamentale che non si può infrangere mai, quella di essere strutturata in un palinsesto ben definito per ogni giorno della settimana, cosa che Rai2 non aveva».
Le critiche riguardano soprattutto Popolo sovrano, che fa registrare poco più del 2% in prima serata.
«Ho avuto la presunzione di voler fare la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Avevo Nemo che era fatto da un gruppo di lavoro formato da due grandi personalità, Lucci e Sortino, ho pensato di sdoppiarlo in due programmi: uno è Reality sciò, un format originale con Lucci che sarà una presa in giro del reality, dell'Italia del selfie, in onda al venerdì dalla terza settimana di marzo, l'altro è Popolo sovrano, con Sortino che affronta l'Italia dei problemi».
Cos'è che non ha funzionato?
«Sortino è un autore molto impegnato ma non ha mai fatto il conduttore su canali dalla grande audience. La prima puntata è stato un disastro perché il presentatore non può fare anche l'autore e l'inviato, abbiamo cambiato qualcosa ed è andata meglio ma non ha ancora dato risultati. Vedremo dopo la terza: i programmi hanno bisogno di tempo per affermarsi, se non crescerà almeno di uno 0,2% vuol dire che il pubblico lo rifiuta e che quindi bisogna cambiarlo. Mi assumo ogni responsabilità, se non funziona è anche colpa mia».
Anche Povera patria, partito bene, sta stentando. Perché?
«Quel programma soffre per la collocazione. Io avrei voluto mandarlo in onda il martedì o il mercoledì ma per non dare fastidio a Vespa sono stato costretto a metterlo al venerdì, perché Rai2 deve lavorare come ancella di Rai1, non volevano che ci fosse sovrapposizione di genere».
Perché punta tanto sull'informazione?
«Perché è un genere fondante per il servizio pubblico ma su Rai2 non c' è più stato approfondimento dopo la dipartita di Santoro. Ho allungato i telegiornali e creato il Tg2 Post, una striscia dopo il telegiornale, per far sì che diventi un genere potabile per la rete».
Altra accusa: quella di spendere troppo.
«Non è vero, non ho speso una lira. Devo restare nella media di 400mila euro a puntata e il programma più costoso, che purtroppo è proprio Popolo sovrano, costa 150mila euro. Certo, The Voice costerà di più, ma sono sicuro che porterà pubblicità».
Ci sono novità per The Voice, dopo il no della Rai a Sfera Ebbasta?
«Faremo una riunione in settimana con il nuovo produttore, Marco Tombolini, e Simona Ventura che è capoporogetto. Io ho bisogno di recuperare il pubblico giovane che si è un po' sparpagliato sulle altre reti, Sfera Ebbasta mi sembrava una scelta giusta ma la Rai ha un protocollo di politicamente corretto che va rispettato. Non so chi lo sostituirà, ci stiamo lavorando per poter andare in onda dal 16 o 23 aprile».
Il Pd ha visto nello speciale C'è Grillo un ammiccamento ai Cinquestelle. Come replica?
«Macché, proprio per evitare critiche ho "spurgato" Grillo di tutti i riferimenti alla politica e alle polemiche, ho conservato solo gli spezzoni di quando era giovane: ne è venuto fuori un Grillo "anemico" e non a caso è lo speciale che ha funzionato di meno, se avessi lavorato anche su materiali nuovi sarebbe andato meglio. Ormai Grillo ha lasciato la politica: è ossessionato dal futuro e mette la sua vis comica in funzione di diventare un Piero Angela, un divulgatore di tutto ciò che è nuovo».
Altri speciali monografici?
«Stasera ci sarà Lucci incontra Funari, ovvero Funari raccontato da quello che lui stesso aveva indicato come suo erede. Ad aprile vorrei farne uno su Boncompagni raccontato da Renzo Arbore e poi ne farò un altro su Tortora, per avere omaggi a tutti quelli che hanno fatto la storia di Rai2».
È ancora dell'idea di riportare Daniele Luttazzi in tv?
«Sì, ma in autunno. Naturalmente devo sottoporre la cosa al consiglio di amministrazione e all' amministratore delegato Salini. E parlare con il suo avvocato per definire il perimetro in cui muoverci».
E l'edizione de Il collegio ambientata in epoca fascista?
«Mi stuzzica molto l'idea perché ci sarebbe una disciplina molto forte e contenuti diversi».
Quali altre idee ha per il futuro della rete?
«Ho una scaletta pronta fino al 2020. In autunno ci sarà una novità assoluta, un programma di intrattenimento un po' speciale che sto studiando con Giovanni Veronesi. E poi ho individuato a Milano un gruppo nuovo di comici, vorrei prenderli ma ho bisogno di lavorarci in estate per consegnarli al mio successore. Io sono un supplente, delegato a preparare il terreno a chi verrà dopo di me».
Chi glielo fa fare a lavorare per un incarico tanto breve e senza stipendio?
«Ho accettato per verificare alcune regole della mia teoria sulla televisione generalista. Io sono un drogato di televisione, non penso che a quello. Sono come quegli allenatori di calcio che si riguardano tutte le partite».
La sua carriera è cominciata nel 1979 in Finivest, dove è rimasto per 10 anni. Che ricorda di quel periodo nella tv di Berlusconi?
«Sono stati anni di formazione, lì ho imparato tutto perché Berlusconi mi ha fatto fare gli annunci, i promo, i programmi, la nascita di Canale 5. Mi ha insegnato a non mollare mai perché nel 1980 mi disse che dopo due anni avremmo battuto la Rai: mi sembrava folle ma dopo un po' ci riuscimmo».
Lo scorso anno ha dichiarato di votare i Cinquestelle e trovare simpatico Salvini. La pensa ancora così?
«La politica l'ho lasciata perdere, ora sono solo televisivo. Se volete tiratemi le pietre, come canta Antoine, ma solo per quello che faccio a livello televisivo». Donatella Aragozzini
· Lucci tra Lele Mora e Emilio Fede.
Lucci tra Lele Mora e Emilio Fede una crudeltà da Oscar. Reality Sciò su Raidue, scrive il 21 Febbraio 2019 Libero Quotidiano. All’inizio si prova uno stordente senso d’irritazione, come se l’inchiestista di razza fosse stato risucchiato dal lato oscuro della forza. Uno pensa: non è certo la mission della tv pubblica dar voce a Emilio Fede, piallato dal botulino (“solo due punturine di ialuronico”, balbetta), tagliato fuori, con disonore, dal pubblico consesso; o esaltare la vita da sottobosco sociale di Lele Mora, finito addirittura in galera, uscito da gabbio e allegramente residente in Bulgaria (“Per motivi fiscali. Ora guadagno più di prima”). Uno pensa: questo Realiti Sciò, docufilm di Emilio Lucci -Raidue, lunedì prime time- è uno schiaffo al buon gusto, al giornalismo, alla gente vera che si smazza tutti i giorni. Questo, all’inizio. Però, poi, via via che il racconto di Lucci si srotola nella notte, ti accorgi della sua geniale crudeltà nel descrivere le giornate a spasso con Fede e Mora, al loro crepuscolo. Lucci, lì, diventa Sasha Baron Cohen scaraventato nella Grande bellezza di Sorrentino. Fa incontrare i due in Sardegna mettendoli spalla a spalla: uno con indosso la maschera del “leone della Costa Smeralda, l’altro con quella del “cavallo di razza”. Li accompagna sotto Villa Certosa, in attesa del perdono del loro pigmalione che non li accoglierà. E li lascia cullare nei ricordi dei fasti berlusconiani tra ville, donne, e monumenti a forma di balene; violini in sottofondo, affogati nella nostalgia. Poi Lucci segue Mora nella Napoli nascosta, nei meandri di una fantomatica Accademia Federico II°, dove l’ex re delle star riceve l'onorificenza d'un imprecisato “principato artico” dalla mani di due matrone mezzosoprano: roba che affoga in un surrealismo felliniano. Infine spinge Fede nel grottesco. Lo fa passeggiare nervosamente sotto Palazzo Grazioli; lo fa girare su una vecchia 500 con l’affaticato ardore dei Ragazzi irresistibili di Simon; gli fa ascoltare le confidenze di Lele su Silvio: “Mediaset viene venduta. Pensa che lui ha passato il Natale da solo senza figli, con la Pascale e il cane”. Infine avvolge i due in un sudario di tristezza, scorrandoli in una casa di riposo. Finisce con un’inquadratura livida di Mora, di Fede e di una ultranovantenne sorda, seduti con copertina sulle ginocchia, a guardare Sanremo. Volti cupi, sguardo nel vuoto, il vitreo lucore d’una lacrima. Da Oscar…
· Enrica Bonaccorti: "Perché mi hanno fatta fuori dalla tv”.
Enrica Bonaccorti: “I miei più grandi successi nati da due NO”. Tommaso Martinelli il 14/10/2019 su Il Giornale Off. Dopo anni in cui la tv l’aveva frequentata solo come ospite o opinionista, Enrica Bonaccorti è tornata alla conduzione di un programma tutto suo. Per la prima volta, la conduttrice ligure si cimenta con una trasmissione incentrata su emozioni e sentimenti: Ho qualcosa da dirti, in onda dal lunedì al venerdì alle 17:30 su TV8. La Bonaccorti si racconta a Il Giornale OFF con profonda sensibilità svelando come due suoi iniziali rifiuti si siano poi trasformati in due programmi che hanno fatto la storia del nostro piccolo schermo.
Questo ritorno alla conduzione ha per te il sapore della rivincita, del riscatto?
«No, è semplicemente una sfida meravigliosa, un grandissimo dono, a maggior ragione alla mia età».
Come ti sei preparata per affrontare una trasmissione così emotivamente impegnativa?
«Ho chiesto aiuto a una mia amica psicologa che mi ha sottolineato l’importante funzione di servizio che può svolgere Ho qualcosa da dirti. Quando si ha un problema, infatti, il primo passo è riconoscerlo, ammetterlo, ma il successivo è parlarne, tirare fuori quello che si ha dentro. Io soffro, se così si può dire, di empatia esagerata, mi immedesimo fino al midollo nelle storie degli altri, e tutti questi incontri mi coinvolgono tantissimo. Ho qualcosa da dirti mi permette di entrare nel profondo di molteplici vite, ognuna delle quali avrebbe la dignità per diventare un romanzo».
Che bilancio fai della tua di vita?
«Questa estate ho festeggiato cinquant’anni di carriera, a breve compirò settant’anni e mi rendo conto che ho sempre vissuto lavorando, tranne quei tre anni in cui mi sono allontanata dalla mia professione. La vita, insomma, è entrata nei pochi e angusti spiragli che il lavoro le ha lasciato a disposizione. Forse per questo ho avuto più successi nel lavoro che nella vita privata?»
Un episodio OFF della tua lunga e fortunata carriera?
«I miei più grandi successi televisivi sono partiti da due no che ho pronunciato io stessa. Mi riferisco a Non è la Rai e prima ancora a Pronto chi gioca?. Non volevo fare nessuno dei due».
Perché?
«Nel caso di Pronto chi gioca? nessuno voleva assumersi la responsabilità della fascia tv precedentemente occupata da Raffaella Carrà. Per darvi un’idea di quale fosse il mio stato d’animo, confesso che la sera prima del debutto ero a casa sul divano, allungavo la gamba immaginando di essere alla fermata dell’autobus e pensavo: “Se l’autobus mi colpisce la gamba non muoio, ma mi faccio male e domani posso non presentarmi in studio” (ride, ndr)».
Che cosa ti ha convinto poi a dire sì a Non è la Rai?
«Pensai alla possibilità di tornare a lavorare con Gianni Boncompagni nella fascia del mezzogiorno. Mi chiamò poi Silvio Berlusconi in persona per convincermi. Mi disse che non potevo andar via proprio ora che era arrivata la diretta sui suoi canali e che avrei fatto da traino al suo Tg. In più, aggiungo onestamente, mi fece un’offerta economica che era davvero difficile rifiutare».
Enrica Bonaccorti: "Perché mi hanno fatta fuori dalla tv. La mia colpa più grande", scrive Umberto Piancatelli il 15 Febbraio 2019 su Libero Quotidiano.
«Alcuni programmi e alcuni personaggi sono fantastici, altri non incontrano il mio gusto, ma non sono depositaria della verità. Trovo che si potrebbe abbandonare la ripetizione annosa di certi format, questo sì, e dare spazio e occasione ad autori e idee. È dal 2010 che ho proposto un programma sulla lingua italiana, Se non è troppo tardi e giuro che è divertente oltre che utile. Ma quello che mi manca veramente è la radio, non la televisione che continuò a frequentare come ospite. Ma è alla radio che ci si tocca l'anima». È il pensiero di Enrica Bonaccortila popolare conduttrice-attrice, sull' attuale Rai.
Orfana di un programma tutto suo da molti anni, la si può vedere solo nei panni di opinionista nei talk show Rai e Mediaset.
La Rai di oggi è migliore di quella che ti cacciò perché eri incinta?
«Non sono mai stata cacciata, se mai messa in condizione di accettare proposte che fino a quel momento avevo rifiutato, e le motivazioni erano altre. Avevo già fatto due riunioni per Domenica in, figurati se volevo andarmene. Ma io sono un essere solitario, non frequento i salotti, mai avuto accanto un uomo potente o ricco, non nascondo le mie idee, sono brava a lavorare ma non so "lavorare" per lavorare. È già un miracolo quello che ho avuto».
Secondo te, perché non ti propongono un programma e neppure un ruolo come attrice?
«Vedi sopra...».
Quest' anno fai 50 anni di carriera.
«Mi sembra incredibile, ma è così! Era giugno del '69, e sai come è cominciata?
Alzando la mano come a scuola, che peraltro avevo terminato appena l'anno prima.
Assistevo alle prove di uno spettacolo in un teatrino in Trastevere, e arrivò la notizia che un'attrice non avrebbe più potuto partecipare. E io, alzando appunto la mano, dissi: "Posso provarci io?". - Il regista: Fai l'Accademia? E io: Veramente faccio l'Università... - Apriti cielo! - Come ti permetti allora di proporti?! - e io, con tutta l'impudenza dei 19 anni risposi: "Almeno fammi provare!" Andò bene, e iniziai a fare teatro, uno dei tre futuri che desideravo: l'attrice di teatro, la giornalista e il medico.
Poi la vita sceglie per te».
Pochi sanno del tuo passato da sportiva. Perché non hai continuato?
«Il mio "passato sportivo"? Solo i 3 anni che ho vissuto a Sassari, dai 13 ai 16 anni.
Ho giocato a tennis alla Torres e ho partecipato alle Regionali di Atletica arrivando 2ª nel lancio del disco. Mi misero in squadra per caso, solo per fare numero, e per caso lo lanciai lontano. Forse passò un angelo».
La tua storia con Renato Zero, come la ricordi?
«Ricordo la nostra passione per lo spettacolo, l'ingenuità dei nostri vent' anni, i baci rubati nei portoni, io che fingevo di essere l'agente di Renato Fiacchini e vestita "da grande" cercavo occasioni per farlo esibire... ho riconosciuto e amato il suo talento da subito».
Presti il tuo volto alla campagna Obiettivo Risarcimento. L' hai fatto per fare cassa o per motivi più nobili?
«Il mio lavoro, a parte il teatro e la scrittura, è sempre stato la comunicazione. Come in questo caso, in cui ho semplicemente comunicato ai cittadini a chi rivolgersi in caso di un danno in ambito ospedaliero. Lo stesso spot, ma senza di me, girava da tre anni, senza clamore né polemiche. La Rai, sollecitata da chi di dovere, l'ha addirittura sospeso in attesa di farlo valutare dallo IAP, massima autorità di verifica. Ma lo IAP ha sancito che è stato un errore sospenderlo, una censura a un'informazione ai cittadini, perché rientra sia nei canoni della pubblicità sia perché perfettamente nelle regole del Servizio Pubblico. Mai avrei immaginato che fosse letto dai medici come un'istigazione alla denuncia. Eppure sono stata mal giudicata, pesantemente offesa e persino le minacce! "Spera di non ammalarti" è la più tenue!».
Paladina del popolo.
«Sono sempre stata dalla parte della gente, e ho dato un'informazione, non un'istigazione, il pensiero più lontano da me nei confronti della classe medica a cui avrei voluto appartenere. Avrei voluto fare il neurologo (a 17 anni mi compravo a rate La diagnosi differenziale delle sindromi neurologiche) e pochi anni fa sono stata premiata dal Ministero della Salute per L' uomo immobile libro definito "fra i testi che hanno più correttamente divulgato una sindrome clinica". Proprio io che ho dedicato tempo e impegno professionale prestandomi in mille occasioni, ora sono vista come una nemica? Come si dice? Cornuta e mazziata».
Perché hai ammesso in tv di aver tradito per tre volte i tuoi partner?
«Veramente ho semplicemente risposto la verità, cioè che in tre relazioni della mia vita, quando si stavano concludendo, mi sono sentita già libera un po' in anticipo. Ma, tranne il finale, per tutto il resto della relazione non ho mai tradito. Mai avuto amanti, mai stata amante di qualcuno».
Come ricordi il periodo in cui hai fatto le lotte politiche a fianco di Liguori, fumando spinelli?
«Non semplifichiamo troppo. Ormai ricordo soprattutto la passione dei 18 anni nel voler cambiare in meglio il mondo, e la bellezza di Paolo coi capelli lunghi e gli occhi di brace. Quanto agli spinelli, sicuramente è successo, ma non ho memoria di alterazioni, solo tante risate».
Hai ricevuto proposte per candidarti alle prossime elezioni?
«Non alle prossime, ma in passato sì, e anche insistenti. A un certo punto dissi che avrei potuto candidarmi solo nella lista "Imperatrici" perché "non portata al compromesso". Smisero di chiedermelo».
Onorevole o no, mi sembra che tu faccia politica senza sedere in parlamento. Infatti nei talk dici sempre la tua.
«E pensa che mi trattengo molto».
Perché ti sei operata per ridurre il seno, mentre oggi molte donne tendono a fare il contrario?
«Quando lo ridussi era proprio il momento storico, gli anni '80, in cui tutte se lo aumentavano. Ma io ne avevo sempre avuto il complesso, volevo somigliare alla Spaak non alla Loren. La cui mamma mi volle conoscere perché per lei ero l'anello di congiunzione fra Maria e Sofia!».
Rammarichi, rimpianti?
«Non ho mai capito chi dice "rifarei tutto". Io no. Ho perso tempo, ho sbagliato tante cose, sia nel valutare me stessa che molti altri. Mi consideravo sempre inadeguata, solo ora vedo com' ero, e davo sempre fiducia agli altri. Più scema di così».
· Gemma Galgani. Tina Cipollari. "Quanto prende al mese per fare la cafona".
Il messaggio di Tina Cipollari preoccupa: "Le donne forti....". Tina Cipollari insospettisce i fan in seguito ad un post su Instagram: "Le donne forti sono come le stelle cadenti...brillano sempre anche quando cadono". Luana Rosato, Lunedì 03/06/2019 su Il Giornale. La stagione di Uomini e Donne è terminata con successo e, ora che Tina Cipollari potrà andare in ferie, un messaggio sibillino dell’opinionista ha fatto un po’ preoccupare i fan. Lei, esuberante e sempre sopra le righe, è una dei personaggi simbolo del pomeriggio di Canale 5. Seguitissima sui social, non è solita condividere con i follower pensieri e stati d’animo, che preferisce tenere per sé e i pochi amici intimi. Nelle ultime ore, però, Tina Cipollari ha pubblicato una Instagram story che ha fatto preoccupare più di qualcuno. “Le donne forti sono come le stelle cadenti...brillano sempre anche quando cadono”, ha scritto lei, lasciando intendere che nella sua vita possa essere successo qualcosa che potrebbe aver turbato la sua quotidianità. Tina, negli ultimi periodi, è tornata ad essere al centro del gossip in seguito all’ingresso nella Casa del GF16 dell’ex marito, Kikò Nalli, che ha sempre speso nei suoi confronti parole di grande stima. I due, che sono stati sposati per 18 anni, si sono separati in maniera consensuale e, se Kikò potrebbe aver trovato la felicità accanto ad Ambra Lombardo, Tina è legata da tempo ad un ristoratore fiorentino. Che il messaggio scritto sui social possa lasciar intendere che la sua storia con il nuovo compagno sia in fase di declino? A quel post sibillino, la Cipollari ne ha fatto seguire un altro in cui ha ringraziato Gianni Sperti, amico e collega a Uomini e Donne, per esserle sempre stato vicino.
Uomini e Donne, Tina Cipollari demolita dall'ex avvelenato: "Quanto prende al mese per fare la cafona", scrive il 28 Gennaio 2019 Libero Quotidiano. L'ex tronista Rossella Intellicato è tornata ad attaccare Tina Cipollari, dopo che tra le due a Uomini e donne non c'è mai stato un gran bel rapporto. Anzi, la Cipollari e la Intellicato arrivarono ai ferri corti circa tre anni fa, con uno scontro che fu anche censurato, perché sarebbe stato ritenuto troppo violento e volgare. L'ex tronista, oggi consulente di immagine, in un video su Instagram ha definito l'opinionista "cafona, maleducata e aggressiva", soprattutto per il modo con cui si rapporta alle altre persone in studio. E poi la Intellicato ha lanciato la bordata sullo stipendio della Cipollari: "A 5mila euro al mese fa sempre un grandissimo show". Sulla cifra non c'è mai stata una conferma ufficiale, ma la Intellicato evidentemente parla con cognizione di causa.
LA MIA MIGLIOR NEMICA. Azzurra Della Penna per “Chi” il 30 maggio 2019. È più facile vedere Lorella Cuccarini ed Heather Parisi come Ginger e Fred, allacciate in un tango sul ponte di una nave da crociera, che Tina Cipollari e Gemma Galgani nella stessa stanza a telecamere spente. E già, Gemma e Tina, Tina e Gemma, due rette parallele: due che, fuori dallo studio televisivo, non si incontrano mai. Le incontriamo noi. Separatamente. Nei camerini della casa di produzione Fascino. Le fotografiamo, ancora separatamente. Le intervistiamo, infine, separatamente ponendo loro più o meno le stesse domande e riportando loro alcune risposte l’una dell’altra. In una sorta di andirivieni che ha un che di film comico in bianco e nero. Tutto questo per metterle insieme in pagina accompagnati sempre da una lieve inquietudine. Perché, alla fine di una lunghissima giornata, abbiamo capito che forse a Uomini e donne l’amore non dura tanto, ma l’odio è per sempre.
Domanda. Tina, senta, riguardo Gemma...
Tina. «Gemma la mummia, certo, dica».
Gemma. «Tina vorrebbe vedermi in un ospizio a fare la maglia perché non sopporta il mio entusiasmo, secondo lei è in contrasto con la mia età: io ho 69 anni, anche se lei dice sempre che ne ho 70».
Tina. «Lei? Ma ne avrà 75, almeno 75 anni. Nessuno ha mai visto i suoi documenti, un giorno devo pensare pure a questo, si deve presentare in studio con i documenti, sì».
Gemma. «Eh, diciamo che le pressioni di Tina in questo periodo sono pesanti».
D. Anche le secchiate d’acqua.
Gemma. «È stata una cosa improvvisa, io non so se ci abbia messo i ghiaccioli dentro, ma era gelata. Tina ha questa forma di insofferenza nei miei confronti che è tremenda».
Tina. «Ma se Gemma è molto più aggressiva di me. Guardi che lei questo gesto dell’acqua l’ha fatto ben prima di me. Che non è la quantità dell’acqua, è il gesto: anni fa lei l’ha versata in faccia a Barbara De Santi (una sua “rivale” a Uomini e donne, ndr). Vede, Gemma, agli inizi, era più pungente. E vera. Adesso, invece, per mettere in cattiva luce me, fa finta di essere quella dolce, quella che abbozza».
Gemma. «Io rispondo alla mia maniera».
Tina. «Magari io sono più plateale, ma lei quando c’è confusione, quando non è ripresa, mi dice: “Pensa a te, pensa alla tua vita, pensa a mangiare, sei invidiosa di me”. Ora, sommi tutte queste frasi e le moltiplichi per 300 giorni all’anno: il risultato è la secchiata».
D. Scusate, ma che cosa c’è all’origine di tutto questo astio?
Gemma. «Il suo atteggiamento nei miei confronti è cambiato con la storia di Giorgio (Manetti, suo ex, ndr). È risaputo che io, per la paura di vivere un grande amore, ho perso un grande amore. Ho compiuto un gesto plateale, volevo una sua reazione, ma lui non era capace di dire “Ti amo”, non era il suo modo di essere, così non l’ha detto».
Tina. «Quando Gemma è arrivata nel programma era una donna semplice, vestita in un certo modo e parlava in un certo modo, diciamo adeguato alla sua età, era tranquilla, interessata a trovare un compagno... Poi, dopo un periodo di frequentazione con Giorgio, ha iniziato a... Si è trasformata: spacchi vertiginosi e niente lingerie».
D. Come niente lingerie?
Tina. «Non portava le mutande, alcuni uomini del parterre lo avevano notato. Poi sfoggiava reggiseni imbottiti: lei non è una donna prosperosa, non è che una c’ha tanto da mostrare. Ha anche cambiato i capelli, il trucco, ha fatto ricorso alla chirurgia, qualche mini lifting, è evidente che non ha più la stessa espressione di prima».
Gemma. «Ecco, Tina mi attacca su tutto, ma soprattutto quello che è intollerabile è che lei vuole minare la mia credibilità».
Tina. «Allora, se di credibilità dobbiamo parlare, torniamo a Giorgio. Lui si è sempre posto in maniera sincera e coerente, le ha detto: “Io non ti amo, sto molto bene con te, la nostra relazione può durare tre mesi o trent’anni, è un discorso particolare, però, è onesto”. E a Gemma è andato bene fino al famoso 4 settembre, la nostra epifania, di noi tutti, dove lei... Aspetti, prima loro due trascorrono tutta l’estate insieme, appaiono su tutte le copertine di tutti i giornali da fine maggio a fine agosto, e lì lei dichiara: “Giorgio, un principe dei nostri tempi”. Poi arriva il 4 settembre e lei lo molla senza preavviso dicendo che è un mostro: dice che Giorgio l’ha presa in giro, l’ha trattata come un cane, l’ha messa a cuccia, l’ha fatta dormire sul divano. E io: “Ma come, ti sei ingozzata di copertine fino a qui e ora ci vieni a dire che lui non è quello che crediamo? Ma se ce l’hai detto tu chi era lui”».
Gemma. «Guardi, a me fermano per la strada perché le persone si identificano nelle mie storie, nelle mie sofferenze e nei miei percorsi. Ora l’unica che non mi crede è Tina. E ne lancia una al giorno. Ora si è inventata che vado a spiare i suoi profili, ma io mi faccio le mie cosette nella mia paginetta...».
D. Tina, a proposito dei social, Gemma la critica online?
Tina. «Certamente, Gemma va a impicciarsi della mia vita privata di continuo ed è bugiarda quando dice che non sa come si adopera un computer, non è vero, anzi, c’ha i profili finti lei, è Mark Caltagirone! È una donna che non ha una vita sua. Ma poi, una che partecipa da dieci anni a Uomini e donne, ma parliamone...».
D. Gemma, che cosa risponde a questa accusa?
Gemma. «Che per me questa seggiolina rappresenta tutto, tutto quello che ho passato, tutte le emozioni. È vero, sono anni che sto qui, ed è vero e questa seggiolina con quattro zampette è tutto per me: ci sono le mie lacrime, i miei amori, le mie palpitazioni, la tachicardia, con Giorgio la mia seggiolina tremava... E allora guai a chi me la tocca. Ma che vuol dire che amo le telecamere? Ma se fosse per le telecamere, con quello che mi fa passare Tina, sarei già scappata».
D. Scusi Gemma, ma a lei che cosa ha dato fastidio di Tina?
Gemma. «Quando io e Giorgio ci eravamo lasciati, lui aveva iniziato a chiamare Tina “passerotto”, e questa cosa qui, sì, mi dava molto fastidio. Perché, vede, il passerotto ero io, prima ero io. E quando lui la chiamava così, Passerotto, lei cinguettava».
Tina. «E si vede che Giorgio non aveva creato questo nomignolo per lei, ma per tutte le persone che gli stanno a cuore. Che poi a un certo punto Gemma ci ha accusati di essere amanti».
D. Ed è così?
Tina. «Un’invenzione, come il fatto che io la invidio, lo dice sempre. Ma che cosa dovrei invidiare di lei? Invidio la sua bellezza? È fresca? È giovane? È intelligente? Secondo me non è neanche intelligente perché quando fa “queste magagne sue” la scopri in cinque minuti. Ma io non posso invidiare Gemma! Oppure la invidio perché è una donna che ha realizzato tutti i suoi sogni: ha sposato un bell’uomo, ha una bella famiglia, è realizzata?».
D. Gemma, lei che lavoro fa fuori dagli studi televisivi?
Gemma. ««Lavoro in teatro, da sempre, da sempre all’Alfieri di Torino. Da una punizione di mio padre è nata la mia professione: il babbo, che mi voleva togliere i grilli dalla testa, anche allora ero sempre innamorata dell’amore, mi aveva ordinato: “La sera, invece di uscire, vai a lavorare”. E avevo iniziato come cassiera . Ho fatto tutto, giravo dal palco ai camerini, controllavo anche la carta igienica, ma io sono stata il più giovane direttore di teatro d’Italia. E ho conosciuto tutti i grandi... Oggi sono direttore di sala, sempre all’Alfieri».
Tina. «Ma che vuol dire direttore di sala? Ma se l’hanno vista tutti: “Tre ridotti e un intero”, direttrice di sala, sì, ma stacca i biglietti e si vergogna del lavoro che fa. Io vengo a Uomini e donne, ma mica posso dire che sono la conduttrice, ma non è vero, è come se un cameraman dicesse: “Sono il regista”. Vorrei che Gemma, una volta per tutte, si presentasse nella sua vera veste e non facesse sempre la saccente, quella che sa tutto lei. Perché io, di fronte alla verità, perdono tutto».
D. Gemma, si racconti in due parole. Perché è qui, oltre che per far innervosire Tina?
Gemma. «Ma io sono qui per un solo motivo: per amore. Io sono innamorata, sempre, sono innamorata dell’amore. E credo in questa trasmissione: ho attraversato momenti belli e difficili, ma sono sempre stata piena di fiducia e di speranza: sono e resto una donna appassionata».
Tina. «Insomma, un lupo famelico».
· L’irruenza di Magalli.
Luana Rosato per ilgiornale.it il 9 dicembre 2019. Il lavoro da influencer non è sempre compreso dagli uomini di altre "epoche" e l’intervento a Tv Talk di Giancarlo Magalli è stato una vera e propria “mazzata” per coloro che fanno questo mestiere e, in particolar modo, per Chiara Ferragni. Ospite della trasmissione del sabato di Rai 3, il conduttore, padre di Michela che di professione è proprio una aspirante fashion blogger, non ha utilizzato termini benevoli per definire chi, come la figlia e come le grandi protagoniste del web, aspira a fare il mestiere di influencer. Ancora affezionato ai lavori di un tempo, Giancarlo Magalli non ha avuto problemi nell’ammettere che, dal suo punto di vista, farsi delle foto da pubblicare sui social può essere considerato tutto fuorché un impegno da retribuire. Concentrandosi prima sullo scherzo de Le Iene a Chiara Biasi, finita al centro di una polemica per aver dichiarato che per “80mila euro non mi alzo nemmeno dal letto”, il conduttore Rai ha detto: “Secondo me per 800 euro lei alle sette e mezzo è già vestita. Il clamore per la frase è giustificato? Sì, può indignare. Poi è un altro discorso che lei lo pensi”. Difendendo, seppur parzialmente, le esternazioni che hanno scatenato il web contro la Biasi, Giancarlo Magalli ha sottolineato che, così come molte altre ragazze di questa nuova generazione, anche la figlia Michela fa parte della schiera delle influencer. “Io sono anche padre di influencer, sono padre di fashion blogger – ha detto lui ai microfoni di Rai 3 - . Quindi so di che si tratta. Mia figlia sta crescendo, ma l’affitto a mia figlia comunque lo pago io”. Per Michela Magalli, dunque, sembra che il successo sul web sia ancora molto lontano o non ancora di una entità tale da permetterle di essere indipendente dal punto di vista economico. Giancarlo Magalli, infine, non ha risparmiato un riferimento a Chiara Ferragni, influencer simbolo per molte ragazze che si ispirano a lei, ma le parole del conduttore sono state tutt’altro che benevole. “Guadagna miliardi ma non sa fare niente – ha tuonato - . È una brava imprenditrice? Sì, la sua merce è se stessa. Se uno ha l’immagine, capitalizza e valorizza quella. L’immagine è un vassoio, su cui uno nella vita magari ci mette simpatia, cultura. Chi ha il vassoio colmo, oggi guadagna molto meno di chi ha solo il vassoio”.
Lite per il cugino, Magalli contro la sorella: lei avrebbe sottratto 800 mila euro. Giuseppe Scarpa Il Messaggero Venerdì 31 Maggio 2019. «Non si è comportata bene con nostro cugino». È guerra a casa Magalli. Giancarlo, conduttore Rai, punta il dito contro la sorella Monica accusata di aver sottratto i soldi all'anziano cugino. L'oggetto della querelle, approdata a palazzo di giustizia, riguarda un raggiro da centinaia di migliaia di euro ai danni del loro prossimo congiunto. Il cugino appunto. L'uomo, secondo la tesi degli inquirenti, sarebbe stato abbindolato da Monica Magalli. Per questo la donna, di 57 anni, è accusata dal pubblico ministero di circonvenzione di persona incapace. L'indagine è ormai chiusa e la procura si prepara a chiedere il processo.
IL PATRIMONIO. Una brutta vicenda familiare che ha il suo epilogo in un'inchiesta della magistratura. In ballo, in effetti, c'è un bel gruzzolo su cui Monica Magalli avrebbe messo le mani: «Induceva (il cugino, ndr) a conferire e mantenere l'incarico di gestire 800 mila euro di cui si appropriava in parte», si legge nel capo d'imputazione. Magalli nella vita sarebbe una promotrice finanziaria. E grazie al suo impiego, sempre secondo la procura, avrebbe ottenuto le chiavi del patrimonio del cugino. Ma la vicenda non si concluderebbe qui.
L'ASSICURAZIONE. La 57enne sorella del presentatore, stando agli atti, non si sarebbe limitata ad impadronirsi dei risparmi dell'anziano cugino. Avrebbe anche puntato sulla sua morte. In pratica avrebbe convinto il parente - questa la tesi degli investigatori - a stipulare un'assicurazione sulla vita. Il premio, dopo il decesso, lo avrebbe incassato un'altra Magalli. La figlia di Monica e nipote di Giancarlo. «Stipulava una polizza vita - si legge nelle carte della procura - della durata di 10 anni con premio mensile di 269 euro a carico del familiare (il cugino, ndr) ed indirettamente a favore della Magalli». Insomma una vicenda spinosissima su cui è stato chiamato a testimoniare anche il conduttore. Giancarlo Magalli, di fronte agli investigatori, avrebbe in estrema sintesi preso le parti del cugino puntando il dito sulla sorella. Adesso la 57enne dovrà difendersi dall'accusa di circonvenzione di incapace.
"Che è? Che ve possino acciaccavve". Ira Magalli: lite in diretta con la regia. Scoppia lo scontro in diretta tra Magalli e la regia durante la puntata di "Fatti vostri": lo scontro per un servizio mandato in onda troppo presto, scrive Franco Grilli, Mercoledì 30/01/2019, su Il Giornale. "Che é!? Sto ancora parlando che ve possino acciaccavve!". A "I fatti vostri" ancora problemi per Giancarlo Magalli. Un duro scontro tra la regia e il conduttore provocato da un servizio lanciato troppo presto e che ha in qualche modo "tolto" la parola a Giancarlo Magalli. Dopo un servizio su "Il Collegio", programma che andrà in onda dal 12 febbraio su Ra2, la linea torna in studio e riprende il battibecco con il regista Michele Guardì. "Sarebbe carino che aspettaste, che mi facciate finire di parlare prima di mandare i filmati", dice il conduttore in diretta. "Signor Magalli - replicano dalla regia - Queste cose capitano, come quando lei prima si è scordato di fare una presentazione, capita pure questo!". Il conduttore, a quel punto, reagisce stizzito: "Ah capita...vabbè! Siccome lei non manca di farcelo notare, io non manco di farglielo notare!". Quando Magalli prova a continuare la puntata, Gaurdì chiude il dibattito con un malinconico "che bello lavorare così". Non è la prima volta che ai Fatti Vostri tra regia e conduttori si arriva ai ferri corti. Un esempio? A fine del 2017, Magalli e Laura Forgia furono strigliati in diretta senza troppi fronzoli. I due conduttori presero la busta A invece della B indicata dall'ascoltatrice in collegamento telefonico. "Concentriamoci, tanto una cosa dovete fare, fatela. Poi fate cose che non devono succedere", dissero dalla regia. "Dai ma queste cose possiamo dircela al bar. Non è ce le dobbiamo dire per forza qua", rispose stizzito il conduttore.
Dopo la bacchettata in diretta a "I Fatti vostri" Laura Forgia scagiona Magalli: "Errore mio". I conduttori erano stati rimproverati per aver sbagliato busta durante il gioco con gli spettatori. Forgia ammette: "Sono molto miope, forse quello mi ha confuso", scrive il 10/10/2017 Huffington Post. Aveva fatto discutere la "tirata d'orecchie" in diretta della regia ai danni conduttori de "I fatti vostri", Laura Forgia e Giancarlo Magalli. Pochi giorni dopo, arriva la risposta della conduttrice, che si assume la responsabilità dell'errore e scagiona il presentatore storico della trasmissione. I due, durante il gioco con i telespettatori, avevano preso la busta sbagliata: la signora al telefono aveva selezionato la A ma loro, nonostante l'avesse ripetuto più volte, hanno aperto la B. A quel punto Michele Guardì, meglio conosciuto come "Il Comitato", non aveva esitato a rimproverarli in diretta. "Sono stata io ad aver commesso un errore, me ne prendo la responsabilità ma può capitare – ha spiegato la conduttrice, intervistata durante la trasmissione radiofonica Un giorno da pecora - Sono molto miope, forse è proprio quello che mi ha confuso". La conduttrice ha negato di aver pianto dopo la bacchettata di Guardì: le telecamere, infatti, l'avevano ripresa mentre si asciugava le lacrime, pochi minuti dopo la gaffe in diretta: "C'è stato un servizio su Papa Giovanni XXIII, che a me ha sempre commosso. Sono molto emotiva e quelle parole mi hanno toccato parecchio, ecco il motivo del mio pianto liberatorio". Da parte di Laura Forgia, poi, un riferimento al suo rapporto con il collega: "Giancarlo è molto carino e ci vado d'accordo, moltissimo. Ad oggi mi trovo molto bene con lui. Ha tanta esperienza e da lui ho molto da imparare". E, a proposito dei malumori tra Magalli e l'ex conduttrice de I fatti Vostri, Adriana Volpe, dice: "Eh si, forse non c'era molto feeling tra loro".
IL POST DI ADRIANA VOLPE SU INSTAGRAM. Adesso dico BASTA !!!! Si è superato il limite ! Non posso tollerare quello che è andato in onda su Sky : Magalli dopo aver detto di essere stato un ufficiale istruttore dell’esercito, esperto conoscitore di armi da battaglia , SPARA ALL’IMMAGINE DI UNA VOLPE , (alludendo palesemente a me) , SPARA DRITTO IN FRONTE . Il conduttore dice : Ha una mira perfetta ! E lui risponde “Per l’appunto veda di non farmi incazzare “ . Questa non è ironia , è una minaccia ! Si va a sommare alla battuta : “ io non parlo con le bestie “ sempre rivolto a me sulla 7 da Giletti . BASTA a questa violenza verbale , basta alle intimidazioni, a questa violenza subdola e diffamatoria . Ennesimo attacco l’ennesima provocazione , questa è una vera e propria persecuzione! Sono immagini che si commentano da sole , comportamenti intimidatori che per quanto gravissimi non mi fanno arretrare di un passo e mi convincono anzi di aver fatto la scelta corretta nel rivolgermi alla giustizia . #nonènormalechesianormale
IL COMMENTO DI MARCELLO CIRILLO AL POST DI ADRIANA VOLPE. Un’ altra battuta riuscita malissimo che si aggiunge ad una infinita serie negativa che dura ormai da anni tesa a colpire colleghe/colleghi sapendo che la sua insolenza rimarrà impunita! Prima di sparare pensa......
Da tvzap.kataweb.it l'1 giugno 2019. Sembra un titolo acchiappaclick, ma è ciò che è realmente avvenuto nel corso della seconda puntata di CCN (Comedy Central News) il programma condotto da Saverio Raimondo in onda domani venerdì 31 maggio alle 23.00 su Comedy Central (Sky al canale 128). Nel corso dell’intervista a Giancarlo Magalli viene affrontato il tema armi: forse non tutti sanno che il conduttore de I Fatti Vostri ha un passato di ufficiale istruttore dell’esercito, esperto conoscitore di armi da battaglia e di carri armati. L’intervista prosegue presso un poligono di tiro dove la perfidia di Raimondo porta Magalli a sparare, dimostrando peraltro un’ottima mira, prima all’euro, per via delle sue dichiarazioni definite “sovraniste”. Poi punterà la pistola ad aria compressa al cavallo morente di viale Mazzini a causa delle polemiche sul rinnovo della sua conduzione del programma mattutina di Rai2. Successivamente il mirino cadrà sulla volpe, giocando sull’omonimia con il cognome della ex co-conduttrice de “I Fatti Vostri” dalla quale, a seguito di un diverbio avuto con lo stesso Magalli in diretta e poi proseguito sulle pagine dei rotocalchi e sui social, è stato denunciato per querela rispettivamente dei Tribunali di Milano e Roma. La comicità pungente e senza peli sulla lingua di Saverio Raimondo prosegue con la seconda puntata della quinta stagione di CCN (Comedy Central News) su Comedy Central, il canale di Viacom Italia dedicato all’intrattenimento e alla comicità che sostiene da sempre la stand up italiana e il meglio della nuova satira trasmessa in esclusiva su Sky al canale 128. Dalla la scrivania più “americana” della televisione italiana Saverio Raimondo, satiro feroce, politicamente scorretto commenterà non tanto le recenti elezioni ma i veri protagonisti della votazione: gli elettori. A dare il via alla puntata una versione cartoon dello stesso Saverio Raimondo che in una breve animazione introdurrà la puntata con battute sulla stretta attualità. Le interviste, da sempre uno dei momenti cult del programma, saranno realizzate a bordo della CCN Mobile una limousine che porterà gli ospiti a fare esperienze sempre diverse e surreali. Protagonista della seconda intervista, caratterizzata come di consueto da un’atmosfera semiseria e spiazzante, è appunto Giancarlo Magalli, conduttore con oltre 40 anni di carriera televisiva alle spalle, amato da tutti e capace di vincere le “Quirinarie”, il sondaggio realizzato da Il Fatto Quotidiano in occasione delle elezioni del Presidente della Repubblica nel 2015. Nel corso dell’intervista Magalli mostrerà le sue doti balistiche presso un poligono di tiro sparando, con una pistola ad aria compressa, a dei bersagli piuttosto insoliti. Tornano inoltre le Grandi Interviste Impossibili di CCN: con l’ausilio degli effetti speciali, Saverio Raimondo intervista in modo irriverente esponenti politici, giornalisti e icone del nostro tempo con esiti sorprendenti. Il protagonista dell’intervista impossibile sarà il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Nel corso della puntata spazio anche ad altri talenti della stand up comedy come Martina Catuzzi in qualità della fashion blogger di CCN con la sua graffiante rubrica di moda questa volta dedicata al look degli immigrati e Edoardo Ferrario che si sdoppierà vestendo i panni dei due concorrenti di PopuList, il quiz che mette a confronto un radical chic e un populista.
Da leggo.it il 2 giugno 2019. Giancarlo Magalli torna a parlare della polemica a distanza, che imperversa ormai da oltre un anno, con Adriana Volpe. Il popolare conduttore romano, per farlo, ha scelto un post su Facebook, allegando anche l'immagine di una volpe e una emoji a forma di cuore. «Rilassati, Adriana, nessuno vuole farti del male, soprattutto io che nella mia vita non ne ho mai fatto a nessuno», scrive Magalli. Nel messaggio social, Giancarlo Magalli si è rivolto così, pubblicamente, ad Adriana Volpe: «Quella che hai visto era solo una gag, neanche ideata da me, inserita in un programma di satira, uno di quei programmi che è consigliabile seguire avendo senso dell’umorismo. Ormai ti agiti e ricorri agli avvocati per ogni cosa, accusandomi di ogni nefandezza, soprattutto per dare a me la colpa delle tue vicende professionali». «Vorrei ricordarti che abbiamo lavorato assieme per otto anni e il massimo della violenza che è uscito da me è stato dirti “rompipalle”: un eccesso del quale mi sono subito scusato. Ma da lì è partito un bailamme di dichiarazioni, mie e tue, interviste, querele e commenti che ci ha travolti» - si legge ancora nel post di Giancarlo Magalli - «Non c’è da mesi un giornalista che non intervisti te stuzzicandoti su di me e viceversa. Se tu sapessi quante interviste ho rifiutato ed a quante domande su di te non ho voluto rispondere! Ma non sempre ci si riesce. A volte si cerca di sgattaiolare cavandosela con una battuta e a volte la battuta nell’immediatezza non riesce bene, come nel caso di Giletti. Anche in quel caso ti chiesi scusa e cercai di spiegare che “bestie” non era riferito a te, ma, come dicono gli americani, “when the shit hits the fan...” non c’è più niente da fare». Il messaggio di Giancarlo Magalli a Adriana Volpe si conclude poi con l'ennesima stoccata: «Però rilassati, io non voglio perseguitarti, ormai le nostre strade professionali si sono separate e la mia, come tu auspichi da anni, si avvia anche verso una serena conclusione. Porta avanti le tue battaglie giudiziarie, ne hai il diritto, vedremo come si concluderanno, ma nel frattempo non avveleniamoci inutilmente la vita inventandoci veleni e minacce e arricchendo avvocati. Stai serena».
Adriana Volpe fa una battuta su Magalli a Pechino Express. E lui replica su Facebook. Si riapre lo scontro tra i due. Lei: "Ammazza come pesano 'ste casse...manco ci fosse dentro Magalli", scrive il 21/09/2018 Huffington Post. Durante l'ultima puntata di Pechino Express alla conduttrice Adriana Volpe è scappata una battuta: "Ammazza come pesano 'ste casse...manco ci fosse dentro Magalli". Mezza giornata più tardi è arrivata la risposta di Magalli, affidata ad un post di Facebook: "Purtroppo per qualcuno l'antipatia non diminuisce allontanandosi da casa". Si riapre una polemica iniziata nel 2017, tra querele e attacchi personali. Quello tra Adriana Volpe e Giancarlo Magalli, che hanno condotto per 9 anni insieme "I Fatti Vostri", è un rapporto tormentato. Iniziato quando la conduttrice aveva ricordato in diretta l'età di Magalli. Lui non l'aveva presa tanto bene. "Rompiballe" l'aveva chiamata, lei si era arrabbiata a tal punto da definire le offese del conduttore un insulto a tutte le donne. Walter Giannò, giornalista, invocò l'espulsione di Magalli dal programma Rai. La risposta del conduttore romano non si fece attendere: "Adriana ha cercato di farlo passare come un insulto alle donne, ma io ce l'avevo solo con lei, non con le donne che ho sempre rispettato e che forse si sentirebbero più insultate se sapessero come fa a lavorare da 20 anni". Volpe chiese giustizia: "Anche in nome di tutte le donne che in qualsiasi posto di lavoro subiscono angherie e critiche per retaggi culturali duri a morire". Querela Magalli e richiesta di scuse personali, in diretta e pubbliche. E le scuse arrivarono, anche se convinsero così poco la showgirl da non farle ritirare le accuse. "Accetto solo per quanto accaduto in studio, non sui social" disse riferendosi alle frasi sessiste del presentatore. Fino a scagliarsi dalle pagine de "Il Tempo" ancora più decisa di prima: "Mi ha violentato verbalmente". Magalli aveva provato a mettere la parola fine, a chiudere la questione: "Sulle spalle ho più di 12 mila ore in onda, posso essere diventato il mostro di Milwaukee negli ultimi tre mesi? La Volpe dice un po' troppo e non la sto a sentire". Coloro che si erano appassionati alla lunga guerra fredda tra i due possono festeggiare: è arrivato un nuovo capitolo.
Giancarlo Magalli non è fidanzato con la 22enne Giada. Lei: "Questa storia mi ha creato problemi reputazionali". La giovane Giada Fusaro smentisce definitivamente la storia d'amore con Magalli scrivendo al sito Dagospia, scrive il 30/01/2019 Huffington Post. La copertina di un settimanale e una foto social: da qui è nato il gossip del presunto fidanzamento tra Giancarlo Magalli e la 22enne Giada Fusaro. La ragazza, che aveva sempre smentito parlando di una semplice amicizia, nelle ultime ore ha preso il toro per le corna e ha deciso di scrivere a Dagospia. Per mettere definitivamente a tacere le voci sulla relazione tra lei e il conduttore, Giada ha scritto al sito: Buongiorno, sono Giada Fusaro, ho letto l'intervista di Giancarlo Magalli da voi pubblicata. Sono lieta che abbia finalmente fatto chiarezza sulla natura del nostro rapporto. Questa vicenda purtroppo mi ha creato notevoli problemi reputazionali, tenuto altresì conto che sono vittima di gravissimi reati e che ho ancora in corso 3 processi come parte civile. Ribadisco che tra me e Giancarlo Magalli c'è solamente un'amicizia e mai vi è stata una relazione di natura diversa. Ci terrei che queste mie poche righe venissero pubblicate sul vostro sito anche perché ho bisogno di serenità. Vi ringrazio anticipatamente. I due erano stati immortalati a braccetto dal settimanale Gente. Inoltre, la rivista aveva parlato di un presunto incontro tra Magalli e la famiglia di Giada, pur ribadendo le parole di smentita della giovane: "Siamo solo amici, Giancarlo è una persona speciale". Ma a creare dubbi erano state le parole pronunciate da Giancarlo Magalli in un'intervista di qualche settimana fa durante la trasmissione radiofonica Un Giorno da Pecora. Il conduttore aveva parlato di amore ritrovato: "Ho trovato l'amore, non sono più più single, sono felice, ci siamo trovati a 'metà strada', proprio in zona Cesarini. Se è coetanea? Macché! È più giovane di me. Non si dice di quanto. Questa vicenda, che sta effettivamente allietandomi la vita in questi ultimi tempi, non è pronta per essere diffusa".
«Troppa differenza d’età», l’addio di Magalli alla sua Giada. Pubblicato sabato, 27 aprile 2019 da Corriere.it. Non era solo amicizia e non era amore. Era un’amicizia affettuosa. Ma complici i 50 anni di differenza, le maldicenze e i modi di vivere diversi, è finita. Giancarlo Magalli, 71 anni, con l’ironia che lo contraddistingue ha posto fine a una relazione mai nata con la 22enne Giada Fusaro. Al settimanale «Gente» ha raccontato: «La differenza d’età ha inciso molto tra noi. Gli stili di vita sono diversi. Lei ha un uso della tecnologia che non è il mio. All’ennesima videochiamata notturna ho detto basta. Oltre che per le maldicenze sull’età». Magalli aveva conosciuto Giada proprio nel suo programma «I fatti vostri» e ne era rimasto colpito: una ragazza carina, coraggiosa. Era andata lì per denunciare molestie sessuali subìte dal suo maestro di karate. «E grazie a lei e solo a lei — confida Magalli — quell’uomo è stato arrestato e si farà 9 anni di galera. Giada ha reagito ed è andata in fondo per aiutare anche altre ragazze». Sì, ma Giancarlo, questa storia c’è stata sì o no? È finita sì o no? «È stata un’affettuosa amicizia. Ci siamo visti poche volte: la prima in trasmissione, poi a cena a Roma io, lei e il suo avvocato; un’altra volta ancora a casa sua a pranzo con i suoi genitori che volevano conoscermi. E infine lei è venuta a Roma e io l’ho portata a visitare il Pantheon: lì siamo stati bersagliati dalle foto. Così è nata la voce della relazione. In realtà ci siamo tanto scritti e sentiti al telefono. Ripeto si è trattato di un’amicizia più affettuosa delle altre. Ma quando mi sono reso conto che la gente cominciava a dire cattiverie sul fatto che Giada stava con un 70enne ho capito che era meglio chiudere per non danneggiarla. E non ci siamo più visti». E la storia della videochiamata? «È vera — ride Giancarlo — i ragazzi fanno così: scrivono su WhatsApp, messaggini, videochiamate a tutte le ore. Ma io sono già in pigiama a mezzanotte! Ho realizzato che anche la sola amicizia con una ragazza così giovane può essere impegnativa...». Insomma Giancarlo e Giada si sono voluti bene, se ne vogliono, ma vivere una storia d’amore vera è un altro film. Magalli le augura il meglio, «di trovare la persona giusta per avere un bel futuro. Ha già avuto una vita tormentata. Si merita tanta felicità». Ma lei Magalli se la sentirebbe di avere un amore di 50 anni più giovane? Sarebbe possibile vivere una relazione di questo tipo? «Io forse lo reggerei psicologicamente, ma non fisicamente, e lei viceversa: ce la farebbe fisicamente ma non psicologicamente».
Giancarlo Magalli, addio a Giada Fusaro: «Colpa della differenza d’età». Pubblicato sabato, 27 aprile 2019 da Corriere.it. La relazione fra Giancarlo Magalli e la 22enne Giada Fusaro è già finita. La storia d’amore aveva fatto scandalo a causa della differenza di età, quasi 50 anni. Il conduttore ne ha infatti 71 e la sua ormai ex ne ha 22. Era stato il settimanale «Gente» a riportare per primo le foto della coppia. All’inizio Giada aveva negato la relazione con Magalli dicendo: «Siamo solo amici». In realtà le foto che giravano mostravano quantomeno un’amicizia molto affettuosa. Oggi, è proprio il conduttore de «I Fatti Vostri» a rivelare la fine della storia d’amore con la ragazza. Al settimanale «Gente» ha raccontato: «Sicuramente la differenza d’età ha inciso molto tra noi. Gli stili di vita sono diversi. Lei ha un uso della tecnologia che non è il mio. Ecco, all’ennesima videochiamata notturna ho detto basta. Oltre che per le maldicenze sull’età. Giada ne ha già passate tante, attaccarla perché frequenta un settantenne è veramente troppo». Commenta ora Magalli: «Quella tra me e Giada è stata un’amicizia un po’ più affettuosa delle altre. Lei è così straordinaria che supererà anche questa . Le auguro il meglio e che riesca a trovare la persona giusta per lei». Fine della storia. Giancarlo e Giada si sono conosciuti qualche tempo fa durante una puntata de «I fatti vostri»: lei giovane campionessa di karate aveva raccontato al conduttore di aver subito molestie sessuali dal suo maestro di karate all’età di 12 anni. Si erano poi frequentati e tra i due era nato qualcosa che andava oltre l’amicizia. Magalli, ai tempi del fidanzamento, appariva molto contento. In un’intervista radiofonica, aveva dichiarato: «Ho trovato l’amore, non sono più più single, sono felice, ci siamo trovati a “metà strada”, proprio in zona Cesarini. Se è coetanea? Macché! È più giovane di me. Non si dice di quanto. Diciamo che Berlusconi mi batte».
Alessio Esposito per ilmessaggero.it il 30 aprile 2019. Magalli ha recentemente annunciato la fine della sua relazione con la 22enne Giada Fusaro. In un'intervista al settimanale “Gente”, il 71enne ha definito il proprio rapporto con la ragazza come «un’amicizia un po’ più affettuosa delle altre», terminata a causa della «differenza d'età». Ma la verità potrebbe essere un'altra. Giada Fusaro ha infatti smentito tutto attraverso il proprio profilo Instagram: «Sto subendo un nuovo attacco sui social per colpa di un’intervista di Magalli, che nuovamente mi indica quale sua fidanzata e si permette persino di affermare che mi avrebbe lasciata in quanto lo "disturbavo" con video-chiamate». La 22enne sostiene di non essere mai stata con Magalli e aggiunge: «Ho già provveduto a smentire tale notizia presso le testate giornalistiche e vorrei che fosse chiaro una volta per tutte che non ho mai avuto una relazione Magalli. E nessuno si deve permettere di farsi pubblicità sulla mia vita. Aiutatemi a smentire per favore». I due si erano conosciuti l'anno scorso durante una puntata della trasmissione "I Fatti Vostri", in cui la giovane raccontò di aver subito violenze sessuali dal suo maestro di karate all'età di 12 anni. La coppia è stata paparazzata insieme in più di una circostanza, ma la natura di questo rapporto - evidentemente - non era chiara a entrambe le parti.
· Caccia alla Volpe.
Rai, durissima accusa di Adriana Volpe: "Come mi ha ridotto l'azienda dopo la lite con Giancarlo Magalli". Libero Quotidiano l'11 Maggio 2019. Giancarlo Magalli è stato rinviato a giudizio per diffamazione nei confronti di Adriana Volpe. A stabilirlo è stato il Tribunale di Milano, Magalli dovrà presentarsi in aula il 15 luglio per affrontare la prima udienza del processo. Il magistrato ha dunque accolto la richiesta della Volpe che era ricorsa a un avvocato in seguito a un'intervista rilasciata dal conduttore a Chi nel 2017. Intervistata da La Repubblica la conduttrice ha affermato di aver voluto denunciare "anche per tutte le donne che non hanno il coraggio di farlo perché la prima cosa nella vita è il rispetto". "Si deve reagire alle discriminazioni non accettare frasi che infangano la dignità. Un uomo non può denigrare il lavoro di una donna, fare insinuazioni. In Rai ci sono migliaia di segretarie, giornaliste, autrici: secondo lei sono l’unica ad aver subito angherie e soprusi?" Parole dure quelle di Adriana Volpe contro la Rai. Tanto che ha aggiunto: "L'azienda non ha mai voluto prendere posizione, non si è dissociata". Come se non bastasse la conduttrice ha proseguito: "Mi spostano a Mezzogiorno in famiglia, che il direttore di Rai 2 Carlo Freccero chiuderà. Scelta legittima. Ma quale donna ha il coraggio di denunciare se viene demansionata e resta senza lavoro?". A quanto pare la conduttrice nella guerra iniziata contro Magalli si aspettava di avere Viale Mazzini dalla sua parte, cosa che non sarebbe accaduta, e la sua battaglia, attraverso le sue parole, diventa la battaglia di tutte le donne impegnate nel mondo del lavoro che non vedono riconosciuto il proprio impegno. Chiudendo, la Volpe ha aggiunto: "Credo nella giustizia. Lunedì vedrò l’amministratore delegato della Rai Fabrizio Salini, mi auspico che tuteli la mia dignità e quella di tutte le donne".
Adriana Volpe: "Mi aspetto una risposta dalla Rai". Intervista alla conduttrice, che polemizza con il direttore di Rai 2 Carlo Freccero dopo la decisione di chiudere di Mezzogiorno in Famiglia. Francesco Canino il 2 luglio 2019 su Panorama. Ventitré anni dopo il suo primo contratto, Adriana Volpe è fuori dalla Rai. Dopo la chiusura di Mezzogiorno in famiglia, ufficializzata dal direttore di Rai 2 Carlo Freccero, la conduttrice si trova infatti senza un programma. “Ho evidenziato in questi anni tante cose inaccettabili e questo mi ha probabilmente reso un personaggio scomodo”, spiega a Panorama.it. I suoi attacchi frontali via social a Freccero e all’Azienda non sono passati inosservati e a pochi giorni dalla presentazione dei nuovi palinsesti, la conduttrice spiega il suo punto di vista e annuncia una nuova battaglia legale.
Adriana, è più delusa o amareggiata?
«Amareggiata. Le soddisfazioni personali non sono mai mancate, ma negli ultimi anni ho dovuto inaspettatamente affrontare situazioni che mi hanno profondamente segnata».
A cominciare dall’addio a I fatti vostri. Cosa accadde?
«Sono stata allontanata dopo il contrasto con Giancarlo Magalli: dopo avermi umiliata sia come donna che come professionista - con affermazioni delle quali chi di dovere risponderà a breve in sede penale – ha ottenuto che fossi di fatto defenestrata senza alcun intervento dell’Azienda a tutela dell’immagine del servizio pubblico, oltre che della mia».
A quel punto fu spostata a Mezzogiorno in famiglia.
«Da un impegno quotidiano sono passata al fine settimana con una sensibile riduzione del compenso. Ora assisto alla chiusura del programma, che si è distinto per gli straordinari risultati di ascolto nel daytime, ottenendo sempre il doppio della media di rete e a costi bassi. Basta pensare che con due puntate di Realiti – il programma di Enrico Lucci - si possono produrre venti puntate di Mezzogiorno in famiglia».
Ma questo fa parte delle scelte editoriali di un direttore di rete…
«Ma quale top manager elimina i prodotti di successo? Carlo Freccero ha tentato di chiudere Detto Fatto, poi I Fatti Vostri, ora ha voluto chiudere Mezzogiorno in famiglia per dirottare i soldi su produzioni esterne nella prima serata. Non posso pensare che un direttore Rai che conosce le alte e indiscusse professionalità interne all’azienda, preferisca produzioni esterne a quelle interne che portano ottimi risultati. Si sbandiera il risultato di aver aumentato il target dei giovani ma è facile vantarsi per i risultati di format ricevuti in eredità dalle precedenti direzioni, come Il Collegio o The Voice of Italy. Credo occorrerebbe piuttosto una sorta di mea culpa per gli investimenti in progetti propri che hanno conseguito risultati deludenti: penso a Popolo Sovrano, Realiti, il concerto di Guè Pequeno, Ziggy, Rita racconta Woodstock…»
Freccero lei lo ha mai incontrato?
«Il dottor Freccero dopo avermi riferito in camera caritatis che il mio allontanamento da I Fatti Vostri era stato uno sbaglio e che avrei dovuto tornare in quel programma, pare avere repentinamente modificato la propria opinione visto che al momento non sono contemplata nei piani Rai per la prossima stagione».
E Fabrizio Salini, l’ad Rai?
«I miei tentativi di interloquire con Salini in queste settimane sono rimasti senza risposta: anche contattando la sua segreteria non sono riuscita a ottenere un incontro chiarificatore. Insomma, per il direttore di rete e per l’amministratore delegato non merito neanche una spiegazione: rappresento un numero, una matricola, non una persona. Questa totale mancanza di considerazione anche solo a livello umano è motivo di profonda delusione e tristezza».
Lei ha scomodato persino il codice etico aziendale. Perché?
«Perché è stato palesemente violato. La Rai dovrebbe dimostrarsi azienda impegnata a difendere le pari opportunità, a tutelare le diversità di genere e a proteggere la figura femminile, ma non posso negare che ho sperimentato sulla mia pelle che gli altisonanti principi di pari opportunità e lotta alla discriminazione di genere solennemente inseriti nel Codice Etico aziendale non hanno trovato riscontro, per mia esperienza diretta, nella realtà lavorativa. E le dirò di più. Nel 2017, quando ho invocato il rispetto del Codice Etico denunciando quanto accadutomi, ho ricevuto come risposta una lettera di richiamo con l’invito a non interessare gli organi d’informazione – e quindi l’opinione pubblica - della discriminazione che avevo subito».
In questi due anni ha informato i vertici aziendali?
«Ho provato in ogni modo a gestire questa tristissima vicenda professionale con procedure interne alla Rai, interpellando tra gli altri Mario Orfeo, Antonio Campo Dall’Orto, i vari direttori di rete che si sono succeduti fino a oggi, Salini e ad alcuni membri del Cda, senza ricevere alcuna risposta alle mie legittime domande. Che immagine e messaggio dà la Rai ai suoi dipendenti e all’opinione pubblica sul rispetto dei principi etici e morali?»
Che risposta si è data?
«Guardando la mia storia capisci che se denunci ricevi una lettera di richiamo, vieni allontanata, demansionata e poi lasciata a casa. Quale donna, quale persona avrà mai il coraggio di denunciare, di andare contro il sistema?»
Come pensa che reagirà ora la Rai a queste sue parole?
«Non lo so. Le posso solo dire che a oggi sono amareggiata e rammaricata per non essere riuscita a scuotere le coscienze dei dirigenti aziendali e del Cda, per non aver contribuito ad avviare un’attenta e seria riflessione in grado di portare a un vero cambiamento in Rai. Da professionista che ha lavorato per più di vent’anni per la Rai, e nel rispetto dei cittadini che la finanziano pagando il canone, avrei auspicato quantomeno un po’ di chiarezza».
E ora che farà?
«Se il 9 luglio la Rai confermerà che non sono più una risorsa, inizierò un nuovo percorso lavorativo. Mi addolora pensare di dover essere costretta a chiedere giustizia nelle opportune sedi: ma non mi fermo e andrò fino in fondo e continuerò ad essere attivamente impegnata nella difesa della libertà di pensiero, dei diritti delle persone e della meritocrazia».
· Nina Zilli.
FETICISTI AR-ZILLI. Da I Lunatici Rai Radio2 il 26 settembre 2019. Nina Zilli è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino. La cantante ha parlato un po' di sé stessa: "Fin da quando ero piccola ho avuto la fortuna di capire subito quali fossero le mie grandi passioni. Ero figlia unica, avevo tanto tempo solo per me. L'amore per la musica e il disegno è venuto fuori naturale. Per farmi il bagno mia madre doveva mettere qualche canzone, e già a cinque anni dicevo che avrei cantato a Sanremo. Ho iniziato a cinque anni a studiare pianoforte, ho fatto un piccolo passo per volta. Ci ho messo una vita ad arrivare. Ora sto scrivendo un nuovo disco. Non vedo l'ora di farvelo ascoltare". Sulla prima grande occasione: "Dopo tanti anni che già suonavo con una band. Ho iniziato da piccolissima. Feci il mio esordio discografico con un pezzo leggerissimo e scritto totalmente da me. Quasi tutte le canzoni le scrivo di notte. E' il momento più produttivo della giornata". Sulla società italiana: "Se è vero che gli italiani sono sempre più razzisti? Viviamo in un momento in cui bisognerebbe dare meno retta a quello che leggiamo sui social, che non sono più un qualcosa di moderno e fantastico, ma sono diventati un ricettacolo di odio. Per fortuna non sono il termometro della società. In giro per la rete è pieno di troll e cattiveria, poi in strada per fortuna non si vedono. Tutto l'odio che si legge e viene riportato dai mass media non si rispecchia negli italiani. Anche se c'è molta disinformazione". Sul rapporto con la propria bellezza: "Da piccola ero un brutto anatroccolo, anche se non ci crede nessuno. Il cigno è sbocciato prima a livello caratteriale. E' vero che la bellezza è dentro di noi, non è un luogo comune. Se dentro non ci sentiamo bene con noi stessi è difficile apparire belli all'esterno. Non ho mai fatto affidamento sulla mia bellezza. E quando crescendo sono diventata carina non me ne sono accorta. Avevo anche qualche chilo in più, non mi importava nulla di seguire gli standard di bellezza canonici". Sugli ostacoli incontrati nel mondo dello spettacolo: "Se qualcuno ha mai provato ad approfittarsi della mia bellezza? Ho fatto diciassette anni di gavetta che mi hanno temprato. E quando ero piccola avevo sei musicisti alle spalle. Sono andata avanti piano piano e questo mi ha protetta. Non tutti hanno la pazienza di costruire una carriera passo dopo passo". Sul rapporto con i followers: "Sono un dinosauro tecnologico. Anche se cerco di utilizzare i social. Richieste strane? Raramente riesco a leggere tutto quanto. Ho un pubblico molto carino. Poi quello che ti chiede la foto dei piedi su instagram non manca. Ma credo le chiedano a tutti".
· Antonella Mosetti.
Antonella Mosetti shock: "Se uno mi dà lavoro ed è fico gliela lascio". Antonella Mosetti, forse stanca di essere relegata al ruolo di opinionista, racconta che se un uomo aitante la corteggiasse e le proponesse una svolta a livello lavorativo, sarebbe disposta a "lasciargliela". Luana Rosato, Lunedì 03/06/2019, su Il Giornale. Il ruolo di opinionista inizia a stare stretto ad Antonella Mosetti, che ha rilasciato alcune dichiarazioni choc riguardo ciò che sarebbe disposta a fare se un uomo le permettesse di svoltare dal punto di vista professionale. La Mosetti, che ha iniziato a farsi conoscere grazie a Non è la Rai, ha vissuto momenti d’oro nel mondo dello spettacolo, ma negli ultimi anni, nonostante la partecipazione al Grande Fratello VIP, la sua carriera si è limitata ad alcune partecipazioni nei vari salotti televisivi dove ha vestito i panni di opinionista. Dei tempi dello show di Gianni Boncompagni, Antonella ricorda di aver sostenuto il provino per ben due volte: “Vedevo i cartelloni in tutta Roma in cui si annunciava che cercavano delle ragazze per fare questo programma. Avevo 16 anni, feci il provino di nascosto dai miei genitori. Mi chiamarono a casa per dirmi che ero stata presa, mia madre scoprì la cosa, mi riempì di botte e mi costrinse a dire di no. Appena compiuti i diciotto anni feci di nuovo il provino, con la maturità in corso, e mi presero nuovamente”. Ad oggi, però, la carriera televisiva che forse sognava di intraprendere quando era poco più che adolescente, sembra aver subito una battuta d’arresto e la Mosetti, intervistata dalla trasmissione radiofonica I Lunatci, si è lasciata andare a delle esternazioni che hanno fatto discutere. “Se qualcuno ci ha mai provato? Come no! Tutte stanno zitte, omettono e conducono i programmi, io invece dico quello che ho vissuto sulla mia pelle – ha detto lei ai microfoni di Radio 2 - . Sai, se mi facesse la corte uno bello, f**o, in grado di farmi svoltare nel lavoro, gliela lascio! Non scendo a compromessi, faccio questo lavoro da 23 anni e faccio l’opinionista, non ho un programma tutto mio, i fatti parlano, non le parole”. E, se proprio dovesse sognare in grande, Antonella Mosetti avrebbe già un programma al quale aspira da tempo: “Il programma che mi piacerebbe condurre? Le Iene!”.
Da I Lunatici Radio2 il 2 giugno 2019. Antonella Mosetti è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta tutta la notte tutte le notti. La showgirl ha parlato della propria carriera a partire da 'Non è la Rai': "Essendo romana, vedevo i cartelloni in tutta Roma in cui si annunciava che cercavano delle ragazze per fare questo programma. Avevo 16 anni, feci il provino di nascosto dai miei genitori. Mi chiamarono a casa per dirmi che ero stata presa, mia madre scoprì la cosa, mi riempì di botte e mi costrinse a dire di no. Appena compiuti i diciotto anni feci di nuovo il provino, con la maturità in corso, e mi presero nuovamente. Alla fine trovavo sempre il modo per fregare i miei genitori. Feci il provino, mi presero, litigai furiosamente con loro, ma iniziai ad intraprendere la mia strada. I miei genitori dopo qualche anno capirono che avevo fatto la scelta giusta. Mio padre mi invitò a pranzo e mi fece i complimenti perché capì che ero riuscita a fare questo lavoro per bene e che ero una brava donna. Da quel momento ho iniziato a renderlo partecipe, facevo un provino e me lo portavo, registravo un programma e stava con me dietro le quinte. Pensavo di chiudere con il lavoro una volta sposata. Poi non è andata così, non ce l'ho fatta. Boncompagni? Mi ha lasciato un grande vuoto quando se ne è andato. Ho continuato a vederlo anche dopo 'Non è la Rai', per me è una persona indimenticabile, è il mio padre putativo, l'uomo che forse mi ha reso ciò che sono oggi". La Mosetti prese parte al film di Verdone, 'C'era un cinese in coma', con Beppe Fiorello: "La scena del bacio in macchina con Fiorello? Che vergogna! Quella è stata una roba forte, ero ancora molto giovane, con una figlia piccola. Dare quel bacio a Giuseppe Fiorello è stato impegnativo, non ero e non sono un'attrice, per fare quella parte mi sono dovuta un attimo violentare. E' stata una cosa un po' strana, quel bacio, la mano sulla tette, ora farebbe ridere, ma quando avevo 23-24 anni è una cosa che ha lasciato il segno". Antonella Mosetti ha lavorato anche con Mike Bongiorno: "Ho dei ricordi meravigliosi di Mike. In camerino metteva i piedi sul tavolo, con il suo sigaro, e diceva Anto, questo è il copione, fai quello che ti pare. Una persona molto riservata, che dava tanto a chi collaborava con lui". In tanti nel mondo dello spettacolo ci hanno provato, la Mosetti confessa: "Se qualcuno ci ha mai provato? Come no! Ma ci provano con tutte, anche con le impiegate in banca! Perché dobbiamo dire delle belle bugie, meglio dire delle brutte verità. Tutte stanno zitte, omettono e conducono i programmi, io invece dico quello che ho vissuto sulla mia pelle. Magari mi piacessero! Sai, se mi facesse la corte uno bello, figo, in grado di farmi svoltare nel lavoro, gliela lascio! Non scendo a compromessi, faccio questo lavoro da 23 anni e faccio l'opinionista, non ho un programma tutto mio, i fatti parlano, non le parole. Il programma che mi piacerebbe condurre? Le Iene!". Sul rapporto con i fans sui social: "Di gente che mi chiede le foto dei piedi ce n'è una marea. Io non sono una feticista, ho i piedi curati ma non muoio per i piedi, in un uomo nemmeno li guardo immediatamente. Però ci sono uomini che appena ti conoscono la prima cosa che guardano sono i piedi. Capita anche che mi chiedano foto della pianta dei piedi. Ma la novità dell'ultimo periodo è legata al bicipite. In tanti vogliono la foto del bicipite. Chissà perché. Mi chiedo cosa ci facciano con certe foto". Sulle vicende che di recente hanno riguardato Pamela Prati: "Inizialmente le ho mandato qualche messaggio, poi dopo ho scoperto tutti i misteri che si celavano dietro a questa cosa. Le due agenti sono famose nel nostro mondo da tantissimi anni e me ne sono sempre tenuta a distanza. Non ho mai avuto niente a che fare. Parlavano anche male dietro alle spalle, ma non me ne frega niente. Mi hanno scritto un miliardo di Mark Caltagirone nella vita, o di Simone Coppi. Ma non potrei mai cadere in un fake. Non mi fido di una persona dopo che ci sono andata a cena, figuriamoci di un fake".
· Art Attack Giovanni Muciaccia.
"GRAZIE ALL'IMITAZIONE DI FIORELLO SONO DIVENTATO FAMOSISSIMO”. Da Radio cusanocampus il 30 maggio 2019. L'ex conduttore di Art Attack Giovanni Muciaccia è intervenuto nel corso del programma "Gli Acchiappafantasy" condotto da Andrea Lupoli, Camilla Vitanza e Piercarlo Fabi su Radio Cusano Campus. "Art Attack è un ricordo che mi riporta a Londra, il programma era registrato li perché il format era inglese –ha affermato Muciaccia-. Per sette anni lo abbiamo girato a Londra poi il programma fu chiuso da un capo della Disney americano a cui il prodotto non piaceva. Dopo cinque anni decisero di riaprirlo questa volta in Argentina a Buenos Aires e io sono andato a girare altre quattro edizioni li in sud America, nessuno se lo aspettava."
"Quegli anni, fra il 1998 e il 2000, erano anni con tanti programmi per ragazzi, oggi esiste purtroppo molto poco e c'è un piattume totale fatto di cartoni animati e cose di questo tipo, non ci sono più programmi. All'epoca c'era “Art Attack”, c'era “Disney Club” c'era “Solletico”, “La banda dello Zecchino”, c'era “L'albero Azzurro” e “La melevisione” che era un prodotto bellissimo da guardare, c'erano tanti programmi; oggi purtroppo si spende sempre meno per la produzione di programmi per ragazzi si preferisce comprare prodotti già confezionati e mandarli in onda così come arrivano ed è una tendenza anche nella Tv per gli adulti. La televisione sta passando un momento di crisi industriale dovuta dai nuovi media come twitter, instagram, facebook con persone che possono diventare famose senza background, la mia non è una critica ma solo un'analisi." "Le mani che si vedevano nel programma non erano le mie, Art Attack è andato in onda in 32 paesi nel mondo e la casa madre, a Londra, concepì la figura di un 'manista' che faceva i lavori per ogni versione di Art Attack nel mondo. Il caso volle però che io e altri pochissimi conduttori del programma fossimo capaci di disegnare ma non ci facevano fare nulla perché avremmo rallentato la produzione. Una volta feci un disegno per il programma ma bloccai lo studio di Londra per un'ora e mezza e la produzione voleva tagliarmele le mani, mi disse: 'tu da oggi non fai più nulla'. Era una questione di velocità." "Art Attack conquistò il cuore dei bambini e degli adulti. Mi scrivevano spesso i genitori che mi raccontavano questo momento di condivisione con i figli guardando art attack e facendo qualcosa di quello che mostravamo. Ho fatto delle cose con mio figlio Edoardo ma mi usava come 'bassa manovalanza' dove mi faceva fare tutto a me e ho rinunciato. Mia figlia invece ha visto delle puntate in replica ma non è più un appuntamento settimanale come era un tempo." "L'imitazione di Fiorello fu fantastica, con il suo 'fatto' che mi è rimasto incollato addosso. Non mi aspettavo di essere imitato da un personaggio così importante che mi ha fatto diventare famosissimo. Ha permesso di farmi conoscere ad un pubblico che non seguiva il programma. Non potevo andare in giro per strada, mi camuffavo. Sono contento perché è una imitazione che è particolarmente riuscita fra quelle di Fiorello ed è stato un regalo inaspettato."
· Antonio Lubrano: il difensore civico.
"La mia fortuna in Rai? Non capire nulla di politica". Faceva a Craxi e Andreotti le domande dell'uomo della strada. E da allora Antonio Lubrano è diventato il giornalista "dalla parte dei cittadini". Mimmo Di Marzio, Martedì 30/07/2019, su Il Giornale. L'Italia è un «Paese strano, unico al mondo, l'unico dove l'assurdo diventa regola e il paradosso è il pane quotidiano». Parola di Antonio Lubrano, primo volto televisivo ad avere inventato la figura del giornalista difensore civico. Difensore dagli abusi, dalle truffe grandi e piccole che rappresentano il palinsesto, quello reale, del Belpaese. A 87 anni, magnificamente portati, non ha mai dimenticato quel ruolo consacrato negli anni Ottanta con il suo storico programma Mi manda Lubrano, parafrasi mai più azzeccata della pellicola Mi manda Picone di Nanni Loy ambientata in una Napoli regina di truffe al limite del letterario. Lui che arriva da Procida, isola di navigatori, ha voluto rievocare ancora una volta il Paese Bengodi dei raggiri con un esilarante volumetto intitolato L'Italia truccata, edito da Castelvecchi.
Lo ha definito un manuale di sopravvivenza per uscire sani e salvi dalla nostra giungla di truffe, ruberie e insidie. Un Paese di vittime e carnefici?
«Niente affatto, quello che emerge dal mio libro, che assembla come un puzzle casi d'attualità alla mia esperienza con Mi manda Lubrano è che in Italia nessuno, o quasi, può dirsi pienamente innocente».
Significa che vige la legge del pesce grande che mangia il piccolo?
«Significa che il nostro è sì il Paese delle truffe, ma è soprattutto un Paese di furbi e furbetti, un Dna che ci fa cadere con più probabilità che altrove nell'illusione (e nella trappola) dei facili guadagni. E allora ecco il colmo: l'italiano che diventa vittima della sua stessa furberia».
Faccia qualche esempio.
«Basti guardare all'evoluzione tecnologica della truffa, quella che si avvale della rete internet, sempre più serbatoio di trappole, oltre che di fake news. Gli adescamenti, sia economici che amorosi, trovano ahinoi terreno fertile, anzi fertilissimo, nella propensione tutta italica alla scorciatoia. L'illusione di facili guadagni o di facili amori parte dallo stesso triste presupposto, quello di arricchirsi senza sforzo ma semplicemente con un clic».
Come si è appassionato al mondo delle truffe? Ovvero, quando ha scoperto la sua vocazione di... difensore civico?
«Be', bisognerebbe risalire agli anni Settanta, quando fui assunto in Rai al Tg2 dall'allora direttore Andrea Barbato. Provenivo dal Radiocorriere tv e, in quanto esperto di spettacoli, fui messo in forze alla redazione cultura. Già allora mi feci apprezzare per ironia ed estrema chiarezza. Successe che l'allora capo della redazione politica cercava un giornalista che... non capisse nulla di politica. Fui scelto io e iniziai a intervistare tutti i grandi politici della prima Repubblica, da Andreotti a Craxi, da Fanfani a Spadolini. Con le mie domande da uomo della strada, cominciai a scardinare le trappole e le insidie del politichese, e l'audience schizzò alle stelle, al punto che...».
Al punto che?
«Nell'87 il direttore Antonio La Volpe mi affidò una rubrica, in coda al Tg, che fu intitolata, non a caso, Diogene».
Come il filosofo greco che girava con la lanterna in mano anche di giorno e, a chi gli domandava il perché, rispondeva: sto cercando l'uomo...
«Appunto. Quel programma nacque per essere il quotidiano del cittadino. Quando ho cominciato, sono andato in onda con un maglione, anziché con la giacca e la cravatta. Il direttore mi disse: perfetto, non cambiare mai look. E così feci, perché per entrare davvero nelle famiglie e nei loro problemi, dovevo anche apparire come uno di loro. Il risultato fu che, grazie a Diogene, il Tg2 passò da due milioni e mezzo a tre milioni e mezzo di telespettatori».
Con quali armi è riuscito a conquistare la fiducia del pubblico?
«Secondo me è stata un po' la mia faccia ironica, il modo di parlare semplice ma senza facilonerie, e forse anche il mio accento, la mia napoletanità garbata e credo rassicurante».
Tanto che, addirittura, le intitolarono un programma, Mi manda Lubrano, una personalizzazione inedita per quei tempi.
«Sì, l'idea di un programma contro le truffe fu dell'allora grande direttore di Raitre Angelo Guglielmi, ma l'autrice era Anna Tortora, la sorella di Enzo. La scelta del conduttore cadde subito su di me, anche se La Volpe, che mi aveva scoperto con Diogene, non voleva perdere una gallina dalle uova d'oro. Alla fine però dovette cedere perché mi proposero di dimettermi dalla Rai e firmare un contratto di collaborazione artistica che mi garantiva compensi ben superiori, anche se allora non giravano certo gli ingaggi favolosi di adesso. Be', in sette anni Mi manda Lubrano passò da due a sei milioni di telespettatori. Era anche la prima volta in assoluto che un programma sui diritti dei cittadini veniva trasmesso in prima serata».
Il nome del programma si ispirava al film «Mi manda Picone» di Nanni Loy, lo stesso regista di Pacco, doppio pacco e contropaccotto, guarda caso.
«E di pacchi e imbrogli ce ne arrivarono a migliaia. C'era una redazione intera che passava tutto il giorno a smistare le lettere di denuncia dei cittadini. Alcune, per la verità, contenevano soltanto amari sfoghi».
Si ricorda qualche caso eclatante?
«Tantissimi. La grande scommessa era riuscire a portare in trasmissione furbetti o autentici truffatori da noi smascherati. Una volta arrivò negli studi Rai un piazzista di Valenza Po che da un'emittente privata proponeva l'acquisto di smeraldi. In realtà molti telespettatori avevano segnalato che si trattava di pietre fasulle, praticamente fondi di bottiglia, circostanza poi confermata da un gemmologo. Smascherato, il piazzista tentò di lanciarmi una torta in faccia in diretta. Per fortuna mancò il bersaglio, e a fine programma venne a prenderlo la finanza».
Allora uno dei suoi inviati era un giovanissimo Fabio Fazio. Era bravo?
«Me lo ricordo bene, era un ragazzo già allora dai toni estremamente garbati. Pareva quasi un po' timido ma in realtà capii che avrebbe fatto strada».
Poi nel '97 lasciò mamma Rai per andare a Telemontecarlo, la tv di Cecchi Gori.
«E fu un errore. Ma la proposta era stata molto allettante: andare a dirigere il tg di Montecarlo e con un'offerta notevole per quei tempi. Accettai, ma ben presto mi resi conto che non avevo tutta la libertà, e soprattutto i mezzi, per fare le inchieste che volevo. Dopo due anni decisi di andarmene».
E tornò a lavorare per la Rai, questa volta per dedicarsi alla sua seconda grande passione, la lirica.
«Già, in viale Mazzini se lo ricordarono e mi affidarono una trasmissione intitolata All'Opera. La lirica in Rai non fruttava più di 200mila spettatori e io riuscii a portarli a un milione e due».
Come fece?
«Mi inventai un ruolo che potremmo definire alla Piero Angela, che è un mio grande e stimato amico. Attingevo all'immenso patrimonio delle teche Rai e, con la tecnica del chroma-key entravo anch'io nella scena per raccontare trama e aneddoti di un'opera. In questo modo facevo partecipare virtualmente anche i telespettatori alla rappresentazione e ne catturavo la curiosità. Il record di audience ci fu con il Don Giovanni di Mozart».
La tv di oggi le piace, la guarda?
«Francamente devo dire che non mi riconosco nella pletora di programmi basati sul gossip e sui toni sguaiati. Trovo che in questi ultimi anni ci sia stato un imbarbarimento nella forma e nei contenuti. Il caso del finto matrimonio di Pamela Prati mi pare emblematico dell'attuale uso che si fa della televisione. Però ci sono anche programmi che guardo con piacere, come Nessun dorma, condotto dal bravissimo Massimo Bernardini, e naturalmente il tg di Enrico Mentana, grande giornalista che ho avuto anche come vicedirettore al Tg2. Non a caso il suo telegiornale è quello che fa i migliori ascolti».
Se Mentana la chiamasse al suo tg ci andrebbe?
«Be', non mi dispiacerebbe affatto».
E in tv oggi vede qualche difensore civico che le assomiglia?
«Devo dire che apprezzo molto Le Iene, un bel programma di servizio e condotto in modo anche divertente».
E dei politici di oggi che cosa ne pensa, lei che in vita sua ne ha intervistati così tanti?
«Come sopra. Penso che il livello adesso sia a dir poco imbarazzante, sia per quanto riguarda i toni arroganti sia per quanto riguarda la scarsa cultura e preparazione politica. Se penso che durante la prima Repubblica si criticavano come estremisti personaggi come Almirante. Rispetto ai personaggi che vedo oggi, quelli erano dei giganti della politica e anche della diplomazia...».
Oggi in televisione la si vede di rado, in compenso calca i palcoscenici, con la lirica ma anche con la musica...
«In questi anni ho portato nei teatri alcuni spettacoli, fatti sempre alla mia maniera, che hanno riscosso un discreto successo di pubblico. Uno è stato Il Buffo dell'Opera in cui raccontavo, al fianco di veri tenori e soprani, gli aneddoti più divertenti legati a un'opera. Un altro è Chi ha paura di..., messo in scena con l'ensemble barocca dell'Orchestra Verdi di Milano. Tra un brano e l'altro, intervistavo il direttore Ruben Jais con domande del tipo: ma che cos'è una fuga? Oppure: che significa il contrappunto? Alla fine dello spettacolo alcuni tra il pubblico venivano a ringraziarmi e a dirmi: finalmente ho capito».
Ha recitato anche i Promessi Sposi in napoletano.
«Si intitolava Manzoni anima e core ed è uno spettacolo tratto da I «Promessi Sposi» in poesia napoletana scritto da Raffaele Pisani. Abbiamo selezionato dieci personaggi manzoniani e tra un ritratto e l'altro venivano cantati brani classici del repertorio napoletano: per Don Rodrigo Guapparìa, per Don Abbondio Palummella, per Renzo e Lucia Anema e core...».
Si è cimentato anche con il jazz.
«Vero, all'Auditorium di Milano ho condotto lo spettacolo musicale Secondo me Napoli, diretto dal compositore jazz Sandro Cerino con l'Orchestra Verdi».
Invece alla televisione ha detto definitivamente addio?
«Assolutamente no. Con Edoardo Romano, l'attore dei Trettré, ho realizzato per Canale 21, gettonatissima emittente campana, un programma sulla canzone napoletana intitolata Cara Napoli ti scrivo. Con Romano ci unisce la nostalgia per la città natale, io milanese d'adozione e lui brianzolo».
Lei è napoletano di Procida con un cognome che si potrebbe definire scaramantico: Lubrano di Scampamorte.
«A Procida ci sono sei o sette cognomi che hanno un'etimologia legata al lavoro o alle fortune del capostipite. Io sono discendente di navigatori e mio padre, che fu capitano mercantile, scampò a ben due naufragi. Quanto a me, a quasi 88 anni, non mi posso lamentare e vado ancora in palestra tre volte a settimana».
Ma perché lei, procidano con una lunga esperienza a Roma, alla fine ha scelto di vivere a Milano?
«Per amore. La mia seconda moglie, Mariella, è lombarda. La conobbi in Rai ai tempi di Mi manda Lubrano dove lei era la responsabile di produzione. Mi seguì a Roma ma appena abbiamo potuto, dieci anni orsono, abbiamo deciso di venire qui. Una scelta felice, perché io vengo da una città, Napoli, che è adorabile ma dove la parola regola è sconosciuta. Qui invece, sotto la Madonnina, le regole esistono eccome e - incredibile a dirsi visto che siamo in Italia - molto spesso si rispettano pure».
· Manuela Blanchard: Manuela di Bim bum bam.
«Io, Manuela di Bim bum bam, oggi vivo senza tv e insegno Tai Chi in Brianza». Pubblicato lunedì, 29 luglio 2019 da Roberta Scorranese su Corriere.it. Suona come un’assurdità, ma «Manu» ha da poco compiuto sessant’anni. Sembra ieri che le bambine degli anni Ottanta impazzivano davanti a quella pettinatura «ad ananasso» e all’improbabile fiocco che sfoggiava ogni giorno, eppure oggi lei è semplicemente Manuela Blanchard. Cioè una simpatica signora che vive sulle colline della Brianza, insegna Tai Chi, è una naturopata e si prende in giro con l’ironia di chi la televisione l’ha fatta ma poi l’ha lasciata senza rimpianti: «Oddio quel fiocco! Era d’obbligo e non sapevo come fare per nasconderlo».
C’erano regole così ferree a «Bim Bum Bam», la trasmissione più amata dai ragazzi che lei ha condotto dal 1985 sulle reti berlusconiane?
«Altroché. Dovevo portare il fiocco, naturalmente niente abiti discinti e bisognava stare attenti alle parole».
C’erano parole proibite?
«Una volta dissi “energumeno”: dovetti rifare la scena perché la presero per una parolaccia».
Manu, Paolo (Bonolis) e il pupazzo Uan: un trio che ha segnato una stagione particolare della trasmissione.
«Sì, prima di tutto perché se ne sono accorti in pochi ma io, in quell’anno del debutto, nell’85, ero incinta. Feci il provino per sostituire Licia Colò. Mi presero ma poi mi accorsi di aspettare un figlio. Figurarsi, in una trasmissione per bambini! Allora raccolsi l’energia, girai tutte le puntate possibili. Poi al sesto mese mi ammalai di broncopolmonite: l’aria condizionata negli studi tv dell’epoca era letale».
Con Bonolis tutto bene?
«Ci volle un anno di rodaggio. Io non ho un carattere docile. Buoni rapporti ma negli ultimi anni lui è letteralmente sparito».
Lei piaceva a grandi e piccoli.
«Le trasmissioni per ragazzi all’epoca potevano diventare una palestra televisiva e fu così per noi. Facevamo tutto a braccio: si partiva da un capriccio di Uan e io e Paolo mettevamo il resto. Diciotto interventi a puntata costruiti sul nulla. Alla premiazione di uno dei tre Telegatti che abbiamo ricevuto, Renzo Arbore disse che noi eravamo i veri figli di “Alto Gradimento”».
Quasi sette sacchi di lettere alla settimana. Oggi si parla di una vera e propria «generazione Bim Bum Bam». Com’era?
«Disimpegnata ma non superficiale, allegra ma con intelligenza. Basti pensare a tutti i cartoni animati che il programma ha lanciato (Lady Oscar, Pollon, Hello Spank, ndr)».
In onda tutti i giorni dall’85 al ‘92, poi — anche se in modi diversi — fino al ‘99. Quindi, niente più tv. Che cosa è successo?
«Volevano ridimensionare le trasmissioni per ragazzi e cambiarne lo spirito. Io dissi di no e proposi nuovi format. Per esempio mi sarebbe piaciuto fare programmi sulla natura. Niente da fare. Però rifiutai di fare le telepromozioni: in quel modo non sarei mai cresciuta professionalmente».
Hanno ragione gli Afterhours quando cantano «Non si esce vivi dagli anni ‘80»?
«Sì. Perché non solo quell’epoca viene riproposta e ricucinata. Alcuni artisti vi sono rimasti intrappolati fisicamente: vestono proprio come vestivano allora, fanno anche gli stessi spettacoli».
Dunque nessun rimpianto?
«Ma no. Mi occupo di cose che mi interessano, come, ad esempio, lo yoga. Ho una scuola di Tai Chi, sto benissimo anche senza la tv». Almeno la guarda?
«Non ce l’ho da almeno dieci anni».
· Simone Annicchiarico, l'astro nascente della tv scomparso.
Simone Annicchiarico, l'astro nascente della tv scomparso: "Perché mi hanno fatto fuori", sfogo e accusa. Libero Quotidiano il 6 Luglio 2019. Simone Annicchiarico, almeno fino a quattro o cinque anni fa, sembrava il nuovo asso pigliatutto della televisione italiana. Il presentatore, che tra il 2009 e il 2015 ha condotto con successo Italia's Got Talent su Canale 5, trasmissione che gli ha consentito di ottenere ampia popolarità e la conduzione di altri programmi Mediaset e La7. Poi la sparizione. Adesso riappare per sfogarsi: "Non ho lavorato negli ultimi tre anni, se non qualche apparizione sporadica", ha dichiarato al magazine Spy. "La colpa è principalmente mia, o forse è un concorso di colpe. Ma non perché io non sia stato serio nel lavoro, anzi. Semmai sono orfano da anni, non ho nessuno che mi spinge, non sono sceso a compromessi, non ho mai preso tessere politiche. Quelli come me sono i primi a saltare. [...] La meritocrazia non è mai esistita. Non so neanche se ho lavorato bene o male". Simone si sente incompreso. E fa una metafora: "Sono nato in una famiglia che ha sempre lavorato nello spettacolo. È come se fossi nato in una famiglia di cuochi bravi, che lavorano nei ristoranti stellati, poi sono arrivato io e mi hanno chiesto di fare i panini con l'hamburger nei fast food. Ecco, questo è quel che vivo io. La televisione si è appiattita così tanto, che ormai l'80% delle cose che mi vengono proposte sono dei prodotti di basso livello. Non perché io sia snob, ma siccome non ho la brama di esserci a tutti i costi, vorrei fare soltanto qualcosa di dignitoso. Tornerei soltanto con qualcosa di bello, come era La Valigia dei Sogni, o come era lo stesso Italia's Got Talent".
· Banfi e capelli.
Dagospia il 25 novembre 2019. Lino Banfi è intervenuto nel corso della trasmissione I Lunatici del week end in onda su Rai Radio 2 ogni sabato e domenica dall’1 alle 5, condotta da Andrea Santonastaso e Roberta Paris.
Sulla notte: Per lavoro ho fatto le notti tutta la vita. Per abituarmi da, diciamo, attore celebre ho dovuto mettere degli anni, perché ad esempio come potevo cenare alle 8 di sera quando per tutta la vita ho cenato dopo mezzanotte? Poi piano piano ti abitui.
Sui nonni: Non mi aspettavo tutta quella gente al Palazzo dei Congressi di Rimini, vederli in piedi. Io sono anche il nonno di tutti i ragazzi che stanno a San Patrignano e che attraversano questi tunnel difficilissimi, dai quali auguriamo di uscirne al più presto, e loro mi hanno mandato un messaggio che ha commosso e intenerito tutti i presenti, compreso Salvini che era lì e che non si aspettava una cosa del genere, come del resto non se l’aspettava nessuno. Essendo il nonno d’Italia non potevo mancare a questa riunione di migliaia di nonni. In presenza di Salvini che, discusso o non discusso, è un politico attuale ho detto che voglio fare un movimento alle prossime elezioni che si chiama NOLINC, Nonni Liberi Incazzeti. In Italia abbiamo 14milioni di nonni, se prendo almeno 2milioni di voti sono a posto.
Sulla figura del comico: Io a farmi prendere sul serio ci ho messo poco, nel mio cervello volevo che le cose andassero lisce senza forzarle e che quindi un giorno tutti avrebbero capito. Adesso siamo al punto che ci sono alcuni giornalisti pentiti di non aver parlato bene di alcuni film miei, uno mi disse che andava a vedere i miei film di nascosto perché lavorava per Repubblica e se avrebbe detto che guardava i miei film gli avrebbero sputato in faccia, non per me ma per il genere che non era un genere di intelligentia giornalistica come altri. Una volta un giornalista e critico di Napoli mi chiamò da Mosca per dirmi che nella Piazza Rossa facevano tutti film italiani e c’erano film di grandi autori, ma tutti stavano a guardare L’allenatore nel pallone. Allora io gli dissi di scriverlo e dall’altra parte il silenzio. Adesso lui è uno di quelli pentiti. Quindi ho aspettato il destino, ho aspettato che le cose andassero da sole e sono andate bene. La mia comicità è stata come un ferro fatto che male tu pian piano devi levigare, devi sistemare secondo la direzione che prende la lava. Devi capirlo da solo, è un fatto che sta nel DNA. Ad esempio, io da solo mi dicevo che le pause sono importanti, addirittura proporrei alle università di fare la Laure Honoris Pausa, perché se non segui le pause, non entri in tempo e non sei quadrato non puoi fare comicità, è una cosa che viene automatica.
Sui suoi film: Ho saputo che usano molti miei film come terapia, in alcune cliniche di malati di Alzheimer o Parkinson guardano Vieni avanti cretino e altri film miei, tipo Spaghetti a mezzanotte. Questi film stimolano molto i muscoli facciali che non muovono mai e quindi è come una buona medicina, questo mi fa molto piacere. Nei film di oggi vedo che alcuni ragazzi vanno in apnea, perché hanno la disposizione di 3 o 4 minuti per far ridere, quando invece basterebbe parlare come si parla normalmente. Quando devono fare il monologo fanno un lungo respiro come se dovessero andare sott’acqua. Sembra anche che per far ridere debbano dire almeno 3 parolacce e non è così che si fa il cinema o la televisione. Mi stanno dando troppi oneri, addirittura mi chiamano Maestro e questi sono i momenti in cui uno sta diventando vecchio. Non ti vogliono dire rincoglionito e allora ti chiamano Maestro. Per fortuna ancora la mia testa funziona benissimo, io mi ricordo tutto e allora metto sempre alla prova. Io codifico, memorizzo tutto perché ho sempre allenato il mio cervello. Il resto del corpo non ve lo posso garantire. Sto scrivendo anche delle sceneggiature, una è quella per Amico Charlie ed è una cosa a cui tengo perché ho notato che il regista è uno difficilissimo da capire ma facilissimo da intuire, nel senso che è uno che ha delle sofferenze continue e le mette nei personaggi che scrive. La cosa bellissima per me è che può essere un Banfi completamente inedito, lo stiamo sistemando insieme cucendomelo addosso.
Su Checco Zalone: Checco Zalone è il mio maestro, quando si fanno queste cifre non si è eredi ma docenti. Però fu carino quando si inginocchiò per chiedermi la piccola parte nel suo film. Lui mi vuole molto bene, è affezionato a me e mi auguro di cuore che questa sua impresa vada bene.
Lino Banfi parla della malattia della moglie: "Prima di addormentarsi cerca la mia mano per stringerla". Lino Banfi ripercorre la storia d'amore con la moglie Lucia e parla della sua malattia: "La seguono i medici migliori. Le sto provando tutte, non mi arrendo". Isabella Adduci, Venerdì 10/05/2019, su Il Giornale. Lino Banfi, star della fiction di Raiuno Un medico in famiglia e mattatore della commedia sexy anni Settanta e Ottanta nonché ambasciatore Unesco e Unicef, ha ripercorso la sua storia d'amore con la moglie Lucia in un'intervista rilasciata a 7, il magazine del Corriere della Sera. L'attore ha parlato anche della malattia della moglie. Per starle vicino Banfi ha rinunciato a un film con De Niro. L'attore pugliese e la moglie stanno insieme da sessantasette anni. Gli inizi non sono stati facili. Banfi, a diciassette anni, decise di seguire una compagnia teatrale. Lucia, che faceva la parrucchiera, rimase a Canosa: "Lei mi mandava qualche soldo. Io a Milano facevo una vita miserabile. Dormivo nei treni fermi in stazione coprendomi con un cartone e mangiavo quel che capitava"...I due innamorati si sposarono nel 1962 e si trasferirono a Roma. Nacque la figlia Rosanna che ebbe pure un inizio di rachitismo perché mangiava poche proteine e poche vitamine. Banfi chiese aiuto al padre per ottenere un colloquio per un posto fisso in banca, ma la moglie lo spronò a continuare il suo percorso di artista. Il legame tra Lino Banfi e la moglie è più forte di prima. Dice l'attore: "Ancora oggi che non sta bene, prima di addormentarsi cerca la mia mano per stringerla. Avrebbe meritato di stare più tranquilla, invece...". Lucia si è ammalata. Banfi parla di problemi neurologici: dimentica un pò di cose, non ricorda ma poi è anche cosciente e presente. Lino Banfi non vuole arrendersi: "La seguono i medici migliori. Voglio arginare la malattia, le sto provando tutte. E quando posso la faccio ridere. Come ho detto a lei una volta, se un giorno non dovesse più riconoscermi ci presenteremo di nuovo".
Lino Banfi: "Che fatica rimanere allegri". Il grande attore a Panorama parla a cuore aperto della carriera e dell'amore per la moglie Lucia, malata...Terry Marocco il 7 giugno 2019 su Panorama. Lino Banfi apre la porta del suo appartamento vicino a Piazza Bologna. «È la giornalista di Panorema? Che mi sa di nave dove si rema». Perfetta «banfiosità». Un salone elegante, grande carrello per i liquori e cornici d’argento. In una foto sembra un attore del muto, bello e con folti capelli: «Facevo i fotoromanzi». Alle pareti i quadri a mezzopunto fatti dalla moglie Lucia. Solo chi ha una pazienza infinita può riuscirvi. Si passa nello studio: «Qui c’è il sacro e il profano», mostra il divo della commedia sexy all’italiana, in pullover e foulard al collo. Le foto con i tre Papi e le locandine dei suoi celebri film: da Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio a Il brigadiere Pasquale Zagaria ama la mamma e la polizia, il primo ruolo da protagonista. Banfi siede alla scrivania, è pensieroso, dietro lo sguardo dell’uomo che ha fatto ridere generazioni con i suoi «Madonna Benedetta dell’Incoroneta» c’è un velo di tristezza che non ti aspetti. Il pessimismo di chi forse si è stufato di fare il comico. «Tutti posso essere tristi. Noi attori mai. Per strada mi abbracciano, chiedono i selfie e dicono: “Lino, devi farci divertire”. È una fatica pazzesca».
Non ha più voglia di sorridere?
«Quando ero in seminario e partecipavo alle recite, facevo Giuda o San Giovanni, si sbellicavano tutti. Così una volta il rettore mi disse: «Non sei fatto per diventare prete. La tua missione è far ridere»».
Addirittura una missione. I suoi genitori la sognavano monsignore?
«Molto di più. Ero stato mandato dai preti per nobilitare la razza Zagaria, tutti ortolani con al massimo la terza media. Io invece volevo capire, studiare. Quando i parenti venivano due volte all’anno a trovarmi, ero sempre a pregare. Ricordo mio padre che diceva: «Ha proprio la faccia da cardinele e perché non Pèp?»».
Ahimè non andò così.
«Volevo fare l’attore, un mestiere che a Canosa non era considerato un mestiere. Roba da delinquenti. Con Lucia siamo stati fidanzati dieci anni, perché la sua famiglia era contraria al nostro matrimonio. Dicevano: «La porta tra le ballerine puttane e i ballerini ricchioni». Questo era quello che negli anni Sessanta si pensava in Puglia».
Ma voi vi siete sposati lo stesso.
«Siamo scappati. Due giorni a Bari. E così al ritorno matrimonio riparatore alle sei del mattino. Alla cerimonia solo un amico che faceva il camionista e portava gli anelli. Arrivò pure in ritardo. Con il biasimo del sacerdote: «Veloce che dopo ho un matrimonio». Lucia alla fine disse: «È già finito qui?». Allora le feci una promessa».
Quale?
«Che avremmo festeggiato nozze d’oro principesche. E così è stato. Nella cappella dei Principi Corsini, il ricevimento al Parco dei Principi. Invitai molti principi anche se non li conoscevo. Dovevo mantenere la promessa. Ma tutto questo sulla mia vita si sa già».
E cosa non si sa?
«Che non mi piace più il centrodestra. Mi sono stancato. Ho sempre votato l’uomo, ma non il partito. Votai Craxi, ma non ero socialista, poi per molti anni Berlusconi. Ma gli amori a una certa età si affievoliscono».
E adesso chi le piace?
«Non saprei, noi dello spettacolo non dovremmo esprimere pareri. Questo raghèzzo, Luigi Di Maio, mi è simpatico. Se potessi voterei lui, ma non il suo partito. Non capisco perché lo hanno lasciato solo, alla deriva. Di Battista vuole fare l’ebanista, Fico lo dico e non lo dico, Grillo e Casaleggio stanno lì come in un posteggio. Per carità non diventerei mai uomo di sinistra, neanche se mi mettessero un coltello alla gola».
Ma questa amarezza è causata dal fatto che sua moglie non sta bene?
«Io cerco di nasconderlo. E chiedo a voi giornalisti di non scrivere mai la parola Alzheimer. È una pugnalata al cuore. In questo momento è seguita da eccellenti medici che l’aiutano a restare stazionaria. So che stanno facendo ricerche sperimentali con macchinari che mandano impulsi al cervello».
Come ha inciso la malattia di Lucia?
«Mi sveglio all’alba, sono pensieroso. Ho fatto un check up, che io chiamo checiup, mi hanno rivoltato come un pedalino. Il mio fisico è borderline. Questo nervosismo non mi fa stare bene. Ripenso spesso a un periodo della vita in cui mi ero sentito così.
Quando è stato?
«A 22 anni ebbi un grave incidente. Avevo finito il militare ad Arma di Taggia, vicino a Sanremo, stessa caserma dove lo fece Gianni Morandi. Non avevo una lira, decisi di rimanere e andare a lavorare al Grand Hotel Regina a Ospedaletti, dove una volta vidi anche Onassis e la Callas».
E cosa faceva?
«Il giullare dei turisti ricchi. Arrivavano con la Ferrari, mi dicevano di raccontare le barzellette e mi allungavano una mancia. Una sera mi portarono a Mentone, al casinò. Loro giocavano, io no. Mi regalavano qualche fiche. Al ritorno finimmo contro un muro. Due morirono e in due ci salvammo. Avevo solo qualche cicatrice. Ma nei mesi seguenti persi tutti i capelli e ingrassai dieci chili. Era l’ansia. Lo scombussolamento. Tutte le ghiandole erano impazzite. La malattia di Lucia mi ha portato a riprovare quella sensazione di agitazione. Ammalato spesso diventa chi sta vicino. Invece devo stare bene per lei».
Come se n’è accorto?
«A volte mi faceva sempre le stesse domande. Prima non sapevo come dovevo rapportarmi. Le rispondevo spazientito. Ma ora ho capito. Ho rinunciato a un film importante in Germania da protagonista. Quindici anni fa avevo fatto la prima parte, recitando in tedesco senza sapere una parola. Il miracolo ancora non si è spiegato. Forse perché mi portai dietro una fotografia di Papa Ratzinger. Avevo pensato: «È tedesco, mi aiuterà lui»».
E invece?
«Ho rinunciato. Il professore che l’ha in cura mi ha consigliato di non partire per più di una settimana. Mi ha detto che dopo un lungo periodo di lontananza avrebbe potuto non riconoscermi. Ho pianto, ma non ce l’ho fatta a lasciarla».
In quel momento Lucia entra nello studio e si siede di fronte al marito. I capelli corti biondi, un abito a righe blu e marroni. Composta, discreta. Un cagnolino le sta accanto. È andata a fare una passeggiata, racconta che se una volta camminava per ore, adesso si stanca subito. Banfi la guarda come ogni donna vorrebbe essere guardata dal suo uomo.
Ha pensato a cosa succederà se non la riconoscesse più?
«A volte è lei che me lo chiede: «E se un giorno non ti riconoscerò più?». Allora io scherzosamente rispondo: «Ci presenteremo di nuovo, ti bacerò la mano o forse ti darò un bacetto come si usa oggi anche tra estranei. Certo non sarò più bello come la prima volta che mi hai visto»».
Come aveva immaginato questi anni insieme?
«Non abbiamo mai fatto una crociera, lo abbiamo sognato per anni. Pochi viaggi all’estero, lavoravo tanto, ma le dicevo che da vecchi saremmo andati in giro, solo io e lei. Invece non è più possibile. Neanche goderci la casa che avevamo comprato a Cannes. È stato il nostro rifugio, lontano da tutti».
La seguiva sui set?
«Veniva poco, ma tutte le mie colleghe la adoravano. La consideravano una donna esemplare».
Cosa diceva dei suoi film «scollacciati»?
«A volte ne rivedevamo uno insieme. E lei diceva: «Ah però, questa non me la ricordavo...». E poi una volta mi chiese: «Ma tu provi qualcosa quando giri queste scene?»».
Lei cosa rispose?
«Dicevo che no, assolutamente non provavo niente. Forse a volte non era proprio così, ma ero troppo intelligente e garbato per non capire che con quelle donne bellissime era inutile fare lo scemo. E poi davanti a un diniego mi sarei suicidato. Sono rimasto amico di tutte».
Edwige Fenech, Gloria Guida, Nadia Cassini. Con qualcuna ha avuto un rapporto speciale?
«Aiutai Laura Antonelli nel momento più difficile della sua vita. E davanti alla sua bara in chiesa le feci una dichiarazione d’amore, commuovendo tutti. Era bella, dolce, tutti gli italiani ne erano innamorati. Poi scivolò in un baratro. Non voleva che la rivedessi, ma una volta passai a trovarla. Una misera casa, una branda squallida. Indossava un saio fetente e in sottofondo si sentiva Radio Maria. Fu un colpo al cuore».
Progetti per il futuro?
«Mi sarebbe piaciuto fare un programma con gli spezzoni dei miei film più famosi. Ho cercato di parlare con Piersilvio Berlusconi, ma sembra impossibile. Ho fatto prima a conoscere Papa Francesco».
E la Rai?
«Dovevamo fare un’ultima serie di Un medico in famiglia, ma non ne ho saputo più niente. Mi ricordo una sera a cena con Giulio Andreotti, che diceva alla moglie: «Hai due lauree e guardi queste stronzate» riferito a Nonno Libero. Poi ci cascò anche lui».
Cosa vorrebbe fare ancora?
«Io sono un ciuccio e’fatica, come mi disse una volta Sofia Loren, lavoro sempre. Ma quando arrivano i premi alla carriera, hai capito che è finita».
Come è successo ad Alain Delon?
«Che bello era, mi sono commosso per lui. Da vent’anni non mi piaccio più: il grasso che non va via, i capelli che non ci sono».
Però continua a fare ridere. Anche sua moglie?
«Qualche volta sono riuscito, ma è la più difficile. Quando racconto una barzelletta mi guarda e dice: «Lino, è già finita?»».
È stato un grande amore?
«Lo è tuttora. Ne ha passate tante per me: la fame, i soldi chiesti a strozzo agli zingari. Queste cose cementano il rapporto. Se parto mi dice che si sveglia con la mano sul mio cuscino. Vorrei solo che rimanesse tutto come è oggi».
Lino Banfi: «A 83 anni sgobbo ancora per pagare gli studi al mio adorato nipote Pietro». Pubblicato domenica, 21 luglio 2019 da Emilia Costantini su Corriere.it. l primo impegno che si è assunto, quando a gennaio è stato nominato a rappresentare l’Italia nella commissione italiana dell’Unesco, è stato quello di rendere la figura del nonno patrimonio mondiale dell’umanità. «Ma certo! — dice Lino Banfi (83 anni) con entusiasmo —. Prima di tutto perché una figura che mi riguarda molto da vicino, avendo l’onore e l’onere di essere nonno di due nipoti, e poi per un altro motivo».
Quale?
«Di nonni in Italia ce ne sono circa 14 milioni, una bella cifra. Quindi ho pensato di proporre, alla prima riunione ufficiale cui parteciperò, di riconoscere a tutti coloro che arriveranno all’ottantesimo compleanno di potersi godere dei vantaggi. Il giorno dopo aver spento 80 candeline, che è già una bella fatica, non dovranno più pagare il treno, l’aereo... sconti speciali su hotel, cinema, teatri. Insomma, credo sia giusto che a quell’età le persone possano avere qualche privilegio e godersi la vita: lo meritano. Porterò avanti questa piccola battaglia come “Lino Nazionale”, così ormai vengo soprannominato».
Il nonno più famoso e più amato d’Italia, dopo aver interpretato per tanti anni su Rai1 il Nonno Libero nella fortunata fiction «Un medico in famiglia».
«Ero nonno in tv e nella vita privata. Lo sono diventato abbastanza presto, perché sono stato un padre precoce, e i miei nipoti, entrambi figli di Rosanna, ormai sono grandi: Virginia ha compiuto 26 anni, Pietro 21. Quando impersonavo Nonno Libero facevo pratica sia a casa, sia sul set. E devo dire che Annuccia, la mia nipote preferita nella trama della fiction, mi ha insegnato tante cose».
In che senso?
«Eleonora Cadeddu, la piccola attrice che la impersonava, era molto assennata e mi spiegava, per esempio, i giochi preferiti dei bimbi come lei e il loro modo di parlare tra coetanei. Per esempio, quando si inventano una storia non dicono, come pensavo io, “facciamo finta che io sono il medico e tu il malato...”, ma dicono “facciamo che io ero il medico e tu il malato...”, insomma al passato e non al presente».
Ma nella realtà, che tipo di nonno è stato Lino Banfi?
«Molto complice».
Li ha viziati?
«Bè, quando erano piccoli, un po’ sì, perché la responsabilità dell’educazione ce l’hanno i genitori. Più che viziarli, li ho sempre giustificati, andavo incontro ai loro bisogni, mi sforzavo di comprenderli... forse perché mi sentivo un po’ colpevole».
Per quale motivo?
«In quel periodo ero molto impegnato nelle riprese e trascorrevo più tempo a Cinecittà con i nipoti finti, che con quelli veri, che ogni tanto manifestavano un po’ di gelosia nei confronti dei “rivali”. Mi torna in mente un episodio: nel tv-movie “Nuda proprietà vendesi”, nel ’98, dove recitavo con Annie Girardot, feci fare una comparsata a Virginia, allora piccolissima. Era stata talmente brava, in quell’unica scena, che mi fecero tanti complimenti. E così volli dirlo a mia nipote che però, stizzita, mi rispose: “Fai i complimenti a tua nipote Annuccia”».
L’allungamento della vita fa sì che di nonni, in giro, ce ne siano parecchi. Giusto?
«E come no? Ne conosco tanti, nella zona dove abito a Roma, alcuni anche più vecchi di me quando mi incontrano, mi chiamano affettuosamente “nonnetto!”. Allora ribatto: nonnetto io? Ma se hai più anni di me!... A parte gli scherzi, ciò che mi dispiace è che spesso li vedo tristi».
Perché?
«Passano il tempo ai giardini, sulle panchine... Mi dicono che vengono posteggiati da figli, generi, nuore: loro partono per le vacanze e li lasciano a casa, magari con l’incombenza di badare a cani o gatti. Io per fortuna ho molte cose da fare, non sono un nonno in pensione: oltre all’Orecchietteria Banfi, ristorante che mi dà molte soddisfazioni, in zona Prati, mi hanno proposto una nuova fiction, protagonista insieme ad Al Bano: una coppia nazionalpopolare anomala, che può funzionare».
La più bella soddisfazione data dai nipoti?
«Virginia è diventata una bravissima chef nella mia Orecchietteria e Pietro frequenta fisica nucleare all’università in Olanda».
Complimenti!
«Sì, però i master universitari costano un botto, e pago io. Ne sono felice, ma mi consenta una battuta: i giovani fanno i master e noi vecchi ci facciamo il mazzer!».
Donatella Aragozzini per “Libero quotidiano” il 22 luglio 2019. La scorsa settimana ha festeggiato 83 anni, dividendosi tra il Festival della Commedia italiana di Formia e il Festival della Commedia Italiana in Giallo di Favignana, dove gli hanno organizzato un party dedicato a uno dei suoi film più celebri, Il Commissario Lo Gatto di Dino Risi. Otto decenni che l'attore Lino Banfi ripercorre alternando i propri ricordi a quelli dell' uomo Pasquale Zagaria, come è registrato all' anagrafe.
Come sono stati questi 83 anni?
«Belli pieni. Il momento più bello sono state le nozze d' oro con mia moglie, che adoro, stiamo insieme da sessantasei anni. Come attore mi piaccio, come uomo no. Ho questa lotta interna tra Zagaria e Banfi che dura da una vita, un giorno si metteranno d' accordo. Mi sembrano Di Maio e Salvini».
È vero che fu Totò a suggerirle il nome d' arte?
«Mi suggerì di cambiare quello che avevo scelto, Lino Zaga. Avevo circa 24 anni, andai a casa sua con un biglietto di raccomandazioni del padrone dell' Ambra Jovinelli, che era suo amico intimo e mi aveva preso in simpatia perché facevo ridere senza parolacce. Il principe mi disse "bravo, fai avanspettacolo" ma quando gli dissi come mi chiamavo, mi disse "cambialo: i diminutivi dei nomi portano bene, i diminutivi dei cognomi portano male". Pensai ecco perché sono un morto di fame, ho sbagliato il cognome! Mi ha voluto aiutare, come un angelo».
Banfi da dove arriva?
«Lo trovammo con l'amministratore di una compagnia teatrale, che era maestro elementare. Aprì il registro della sua classe: c'era un certo Aurelio Banfi. Con Lino suonava bene e divenni Lino Banfi».
Gli inizi non sono stati facili.
«Gli inizi sono stati ultra-super-difficilissimi, oltre alla fame nera avevo preso soldi a strozzo dai famosi "cravattari" romani, gli usurai: ottocentomila lire che divennero oltre due milioni, mi hanno succhiato il sangue. Ma dagli anni Settanta cominciai a respirare, a lavorare tanto, firmai un' esclusiva con De Laurentiis. Facevo film "cotti e mangiati", che rifarei tutti, poi anche alcuni più importanti. Ho lavorato con Sergio Martino, Laurenti, Corbucci, ma con Dino Risi e Il Commissario Lo Gatto fu un grande passo avanti».
È stato quello il momento della svolta?
«Beh, è uno dei film che ricordo più volentieri, il protagonista era un commissario imbranatello ma intelligente, in posti belli sul mare. Tredici anni prima di Montalbano.»
Poi è arrivato Nonno Libero, il protagonista di Un medico in famiglia. Cosa ha significato?
«È un personaggio molto bello, che mi ha fatto crescere, mi ha fatto abbracciare la terza generazione e sta arrivando anche la quarta. Peccato che non hanno voluto fare una stagione conclusiva, di addio: abbiamo tentato ma non l'hanno voluta fare».
Il Papa l'ha definita «il nonno d'Italia».
«Papa Wojtyla me lo diceva spesso. Lo facevo sorridere, quando cominciava a stare male, mi venne in mente che sarebbe stato bello essere il "giullare del Papa", un ruolo che non esiste. Poi ho conosciuto da vicino Ratzinger. E finalmente anche Bergoglio. Tre Papi li ho conosciuti, sto a posto».
Ha un rammarico?
«Mi dispiace se lascio le penne tra qualche anno senza aver ricevuto un premio. Non ne volevo di importanti, mi piacerebbe un coniglietto di peluche, un orsacchiotto... magari un premio alla carriera. I film comici non sono mai premiabili, l' attore comico ha dei limiti di utilizzo ma questi film hanno fatto arricchire produttori, distributori e questa è una cosa bella. E quando sono riuscito a fare film drammatici, anzi mescolando comico e drammatico che è più difficile ancora, hanno cominciato ad apprezzarmi di più. Anche questo è un premio».
Il prossimo progetto è con Al Bano: sarà per il cinema o per la tv?
«Per la televisione, dovrebbero essere quattro puntate, non so ancora se sarà per la Rai o per Mediaset. Ne parleremo meglio quando finirà di fare il pendolare tra Russia e Giappone. Penso che ci lavoreremo dopo l'estate e andrà in onda ai primi dell' anno. Lui dovrebbe interpretare un ex mafioso, una persona perbene che si è pentita di quello che ha fatto, io invece un frate cappuccino».
Ci sono poi gli impegni istituzionali: è ambasciatore dell'Unicef e dell'Unesco.
«Sì, qualche "odiatore" ha detto che tolgo lavoro ai giovani ma questo non è un lavoro, ci rimetti tempo e non ti danno una lira. Ma è un onore».
Ha citato Di Maio e Salvini: le piace il governo attuale?
«Lo trovo giusto se riescono a resistere e a non litigare, appunto come Banfi e Zagaria: si adorano, poi si odiano, poi si inventano qualcosa per andare d'accordo e vanno avanti così. Vediamo che succede: le buone intenzioni credo ci siano da entrambe le parti, l'importante è che non tirino troppo il filo, che può essere duro quanto ti pare ma poi si rompe».
Concorda con i provvedimenti che hanno preso finora?
«Non li seguo tutti, ma se concordano un po' di italiani, sto con loro nel concordare, se un giorno discorderanno, discorderò anche io. Io non sono di nessun partito, sono dell'uomo: se un uomo mi sta simpatico può essere anche qualunquista, fascista, comunista, lo amo comunque e lo voto. Questi mi piacciono, sono simpatici, ma non devono litigare. Se è per questo amo anche Gentiloni perché è gentile».
Qualche anno fa disse: voterò sempre Berlusconi, qualsiasi cosa faccia. La pensa ancora così?
«Berlusconi è uno di quelli a cui ho voluto bene, mi fa gli auguri tutti gli anni e l'ho votato per un periodo di tempo. Ma gli amori poi finiscono, si affievoliscono».
La Raggi le aveva promesso le chiavi della città, come ad Alberto Sordi: come è andata a finire?
«Mi aveva promesso che mi avrebbe fatto questo onore quando è venuta a farmi gli auguri per gli 80 anni. Sono passati tre anni. Evidentemente, con tutti i problemi che ci sono, non pensa a queste stupidaggini».
· Raffaella Carrà: "Se ho fatto delle cazzate è perché le avevo scelte io".
Raffaella Carrà: "Se ho fatto delle cazzate è perché le avevo scelte io". La conduttrice torna su Rai Tre con una serie di interviste a grandi personaggi. Appuntamento dal 28 marzo. Unico timore? "Che il pubblico dopo un'ora e mezza in cui non mi vede cantare, ballare e cazzeggiare", scrive Andrea Conti, Martedì 12/02/2019, su Il Giornale. E' stata dura per il direttore di Rai Tre Stefano Coletta che le ha proposto tre volte un programma ricevendo un no, ma alla fine l'ha spuntata. Raffaella Carrà torna in tv con un programma dedicato a lunghe interviste ai grandi personaggi. Appuntamento il 28 marzo su Rai Tre. "Ho solo paura che il pubblico dopo un'ora e mezza in cui non mi vede cantare, ballare e cazzeggiare dica che palle - confessa a Vanity Fair - Lo spettacolo saranno le parole e in questo momento di omologazione anche televisiva, di reality tutti uguali fatti di nulla, che portano in primo piano la superficialità, una trasmissione di parola, di scambio e di confessioni, mi sembra sia qualcosa di giusto". "Con Pippo Baudo ne ho discusso tante volte. La mia teoria è opposta alla sua: ogni tanto, soprattutto se sei una donna, ti devi togliere dai piedi. Se sei sempre lì non ti rinnovi mai. Sempre la stessa faccia, la stessa espressione, lo stesso birignao. La tv, per farla bene, devi vederla anche da fuori. - continua - Devi capire dove vivi, chi c’è per strada, chi ha le mani sul telecomando e la sera sceglie proprio te. Se vai via per uno o due anni non succede niente. E se si scordano di te, significa che forse della tua presenza si poteva fare a meno (...) Dei soldi e dell’ambizione non mi è mai importato niente, ma senza coraggio la mia vita sarebbe stata triste. Se a volte ho fatto delle cazzate, le ho fatte perché le avevo scelte io. Se però una cosa non la sento, la rifiuto".
CARRÀRMATO. Edoardo Sassi per corriere.it il 2 aprile 2019. Sei puntate in prima serata su Rai3, da giovedì 4 aprile. Sei incontri a tu per tu fra Raffaella Carrà — «la più importante icona televisiva del nostro Paese», come l’ha definita il direttore di rete Stefano Coletta — e altrettanti personaggi celebri del nostro tempo, intervistati a casa propria o in ambienti legati alla loro vita. Il programma, ispirato al format spagnolo «Mi casa es la tuya»e realizzato in collaborazione con Ballandi Arts, si chiama «A raccontare comincia tu», e segna il ritorno della conduttrice, 76 anni, in prima serata sul piccolo schermo: «Eccolo, è lui il colpevole. Io non sentivo il bisogno di tornare in tv. Si sta bene anche senza di me...», ha esordito Raffaella indicando Coletta. «Sono stato uno stalker», conferma il direttore. Alla fine, dopo molti no («Mi proponeva programmi serissimi, non si rideva mai, ma io sono seriamente allegra, e avevo voglia di qualcosa di diverso) Raffaella si è lasciata convincere. In una veste quasi inedita: «Di interviste ne ho fatte migliaia, ma duravano poco, e sempre inserite in uno show. Stavolta è diverso. Una persona incontra un’altra persona. E vengono fuori storie di vita... Ballare? Cantare? Ho un’età, cazzarola, tutti si aspettano che io lo faccia, ma non so se ho più tanta voglia». Ecco allora interagire Carrà con Fiorello, puntata d’esordio che vedrà i due impegnati in un esilarante «Tuca Tuca per anziani, sul divano». Eccola incontrare Sophia Loren nella villa di Ginevra, in un duetto già in odore di cult. Carrà che stuzzica Loren sull’innamoramento di Cary Grant per la diva: «Lo hai scritto tu in un libro...»; e la Loren risentita che smentisce tagliando corto in napoletano: «Ma che ne sai tu? Ma ce vulimm’ appiccica’?». «Sophia la inseguivo da quarant’anni — confessa Raffa — ora ci sentiamo spesso, mi chiama sorellina. Ma niente, su Cary Grant proprio non voleva rispondere». L’altra donna che Raffaella incontrerà è Maria De Filippi. La sola intervista già concordata ma ancora da registrare: «Potrebbe essere mia figlia, se ne avessi avuta una a 17 anni. Ho sentito dire che questa puntata sarà l’occasione per fare pace. Ma se l’ho incontrata una sola volta ai Telegatti quindici anni fa e non abbiamo mai litigato...». Si vocifera anche di uno scambio di cortesie e di una Carrà ospite ad «Amici». «Non me lo ha chiesto, non so se lo farei, certo c’è tanta energia in quel programma, chissà come mi accoglierebbero. Mi viene l’ansia solo all’idea. “Uomini e donne” però non mi piace, e glielo dirò». «A raccontare comincia tu», assicura Carrà, «non sarà un programma buonista». Non lo saranno i vis-à-vis con il difensore della Juve Leonardo Bonucci («sono juventina da sempre»), né quello con il direttore d’orchestra Riccardo Muti («di fronte a lui ero intimidita»), né quello con Paolo Sorrentino, raggiunto a casa e sul set: «Sono andata a sgridarlo, bonariamente. Quel remix di “A far l’amore comincia tu” nel film “La grande bellezza”. Successo mondiale, grazie. Ma in mezzo a tutti quei drogati, io che non vado mai a una festa». Unici rimpianti, il no di Roberto Benigni: «Peccato, ci saremmo divertiti». E quel Carramba interrotto tanti anni fa: «Mi chiedo sempre come mai a nessuno sia venuta l’idea di riproporlo, anche oggi in tempi di migrazioni al contrario. Una trasmissione di grande attualità. Sui migranti? Servirebbe un’apertura, ovviamente distinguendo dalle situazioni delinquenziali. Ci sono però tante persone perbene, come perbene erano molti italiani costretti a emigrare».
Silvia Fumarola per la Repubblica il 2 aprile 2019. Paolo Sorrentino l' ha ospitata a casa e l' ha anche portata sul set di The new Pope. «È stato emozionante, ho pure gridato "Rolling!!", poi "Action!"», racconta Raffaella Carrà, che ha incontrato il regista per il nuovo programma A raccontare comincia tu, da giovedì in prima serata su Rai3. «Però Sorrentino l' ho sgridato, tra virgolette, perché nel film La grande bellezza ha usato il remix di Bob Sinclar A far l' amore comincia tu. Beh non è tanto esaltante averlo messo in una scena di sette minuti in cui la gente si droga». Ride. Giacca a righe, pantaloni bianchi e stivaletti, croccante come sempre, Carrà torna in tv «ma senza cantare e ballare, c' ho un' età». Dopo The voice, propone sei interviste: protagonisti Sorrentino, Fiorello (che apre la serie), Sophia Loren, il giocatore della Juventus Leonardo Bonucci, il maestro Riccardo Muti e Maria De Filippi (che deve ancora incontrare). Gira voce che sarà ospite ad Amici. «Onestamente non me l' ha chiesto e non so se lo farò, c' è tanta energia nel programma e mi metterebbe ansia. Rifuggo l' ansia e lo stress. Il direttore di Rai3 Stefano Coletta mi ha molto corteggiata, gli ho detto tanti no, ho accettato per curiosità. Ma sono stata sempre emozionata, mi tremavano le braccia e le gambe. Ho fatto due edizioni di Canzonissima con Corrado, Milleluci con Mina, Carramba, Pronto Raffaella?, che altro avrei potuto inventarmi? Non sentivo il bisogno di tornare, la tv va avanti anche senza di me». Con Fiorello scherza sull' età. «Facciamo il Tuca Tuca da anziani, da seduti», le dice sfottendola; con Sophia Loren ironizza su Cary Grant: «Ho letto che era innamoratissimo» e Loren ribatte: «Uno si può innamorare ma può non essere una cosa seria. Ci vulimmo appiccica'?». «Non è un programma buonista, anche se non faccio domande ostiche. Ma su Cary Grant mi sono impuntata». Chi le ha detto no? «Roberto Benigni. Mi sarei divertita ma niente da fare». A Mina ha pensato? «Perché dovrebbe interrompere questa assenza con me? A lei cosa porterei? Certo per noi sarebbe un ascolto pazzesco. La metterei in imbarazzo a dirmi di no, perché tanto mi direbbe no». Non c' è neanche un politico, «perché ci sono le Europee, ma chissà se dopo». Intimorita a casa del maestro Muti, divertita con Fiorello, tifosa con Bonucci: «Sono juventina da quando avevo dodici anni, è stato bello incontrarlo a Continassa, dove si allena la squadra. Ho incontrato anche Chiellini: sono di una magrezza questi ragazzi, non li fanno mangiare mai». Non si diventa Raffaella Carrà senza disciplina. «Ho letto trecento pagine su ognuno dei personaggi», spiega, «cercando similitudini con la mia vita. Il maestro Muti ha avuto una mamma severissima. La mia diceva solo: "Studia". Quando ho fatto Io, Agata e tu mi ha chiesto: "Eri tu ieri sera che ballavi?". Con la durezza mi ha insegnato a restare coi piedi per terra». Nella sua vita avrà incontrato migliaia di persone: « Carramba parlava di ricongiungimenti, raccontavamo le storie dei nostri emigranti. Oggi con i migranti bisogna aprirsi un po', con quelli perbene, ma se penso a quelli che vendono la droga a Rogoredo...». Si definisce «seriamente allegra». «La tv? Ballando è alla quattordicesima edizione, anche C' è posta per te va in onda da una vita. Si rischia sempre meno, ma finché piace alla gente va bene. Non mi piace Uomini e donne, so che non piaceva neanche alla mamma di Maria. Ogni tanto sento dire "tronista", ma tronista di che? Il mio no più gradito è stato quello a Giorgio Gori quando mi propose The bachelor. Le pare che noi donne ci mettiamo in fila per un uomo? Ma non scherziamo».
· Marco Columbro: il templare.
Striscia, tapiro a Marco Columbro per la lite con Barbara d’Urso: "Mi sono sentito usato". Redazione Tvzap il 9 ottobre 2019. In onda mercoledì 9 ottobre alle 20.30 su Canale 5. “Mi sono arrabbiato perché mi hanno chiamato per una cosa e poi ne hanno fatta un’altra. Mi sono sentito usato per fare ascolti” così Marco Columbro intercettato da Valerio Staffelli a Basiglio (Milano) spiega la sua reazione a Live – Non è la d’Urso di domenica quando si è scagliato contro la conduttrice.
Marco Columbro: le scuse. Mercoledì 9 ottobre a Striscia la notizia (Canale 5, ore 20.35) va in onda la consegna del Tapiro d’Oro a Marco Columbro per la lite con Barbara d’Urso. Il conduttore dichiara: “Approfitto per scusarmi con il pubblico che domenica guardava la trasmissione per il mio comportamento. Mi dispiace e vi chiedo scusa”.
Marco Columbro: "Usato per fare ascolti". E continua: “Mi sono sentito truffato perché gli autori mi avevano detto che avremmo parlato del mio cambio di vita. E invece sono arrivato là e hanno tirato fuori un articolo di 4 mesi fa che diceva che ero pieno di debiti. Era un fake, non so come sono arrivati a raccontare queste fandonie. Io mi sono arrabbiato perché mi hanno chiamato per una cosa e poi ne hanno fatta un’altra. Mi sono sentito usato per fare ascolti. Barbara io ti voglio bene, ma questa volta hai toppato, mi spiace!”.
Marco Columbro: "Il vestito strappato? Una battuta". L’inviato di Striscia gli chiede: “Lei a un certo punto l’ha presa così male che ha detto che voleva strappare il vestito della signora d’Urso. Come mai?” e Columbro risponde: “Ho fatto una battuta! Volevo sdrammatizzare, non volevo essere maschilista o violento, non è nelle mie corde”.
Da ilfattoquotidiano.it il 16 ottobre 2019. Il tapiro me lo sono meritato. Il mio atteggiamento non è stato signorile e non mi appartiene”. Marco Columbro torna a parlare dello “scontro” televisivo di cui parlano tutti, sui social, da giorni: quello con Barbara d’Urso durante “Live – Non è la d’Urso”. “Non mi sono mai comportato così in tanti anni di lavoro, ma quando ti senti usato e vedi che il comportamento non è coerente alle parole ci rimani male. Sono stato usato per fare ascolto”, racconta Columbro a FQMagazine.
Cosa non le è andato giù?
“Mi hanno invitato a Live per parlare del cambio vita, di cosa sto facendo adesso. Arrivato in macchina, verso le 21.30, mi chiama la mia compagna dicendomi che stanno andando in onda delle mie foto con la scritta “i vip non arrivano a fine mese”. Lì capisco che sarebbe stata una cosa fatta per suscitare clamore. Quando arrivo in camerino, con il mio agente incazzato nero, chiamo un’autrice per dirle che se le cose stanno così io preferisco non andare in onda, poiché nessuno mi aveva avvertito, né io avevo chiesto di parlarne. Lei mi assicura che non avremmo parlato di cose successe tre mesi fa, come quell’articolo falso in cui parlavano di miei problemi economici. “Io ho rispetto per quelli che vanno in video”, mi dice, e io mi tranquillizzo. Però appena andiamo in onda tirano subito fuori quegli argomenti e io mi sono incazzato”.
La D’Urso ha detto che la voleva aiutare.
“Mi voleva aiutare? Se mi vuoi aiutare mi chiami il giorno dopo l’uscita dell’articolo: non tre mesi dopo, in quel modo poi. I chiarimenti non si fanno tre mesi dopo. Sono un essere umano e mi sono sentito preso in giro. Ma la cosa è chiusa, ognuno per la sua strada”.
Ci sono state delle scuse, da una parte e dall’altra?
“Non ho ricevuto nessuna scusa. Semmai io chiedo scusa al pubblico, ma non devo chiedere scusa a nessun altro. Quel “ti strappo il vestito” era una battuta: cercavo di rompere il ghiaccio per cercare stemperare la situazione ed andare avanti. Se non raccogli, vuol dire che vuoi mantenere un momento di tensione alto. Mi sono incazzato, ma mica sono matto da fare certe minacce.
Perché la tv non la chiama più come conduttore?
“Ci sono Rai, Mediaset, La7 e Sky. Gli interlocutori non sono molti. Quando ho visto che non avevo più possibilità me ne sono fatto una ragione. Vorrà dire che sono passato di moda. Oggi ci sei e domani no, funziona così il nostro lavoro. Così mi sono riciclato in altri modi: facendo pubblicità, programmi in altre reti e oggi mi hanno chiamato per fare una nuova trasmissione su Business 24. La tv che facevo una volta è passata, ed è giusto che sia così. La tv si evolve”.
Si è evoluta in maniera positiva?
“La tv di oggi rispecchia la società. Chiedetevi com’è la società oggi e avrete la mia risposta”.
Quindi torna in tv su Business 24: di cosa si tratta?
“A ottobre farò un programma sulle aziende green in Italia, è importante divulgare questa realtà per far capire quant’è importante il lavoro che fanno. Ci sono aziende sane che danno prodotti di qualità: parleremo di queste aziende, faremo vedere come operano. È un’opportunità per parlare di rispetto verso l’ambiente”.
Lei ne sa qualcosa con la sua azienda in Toscana.
“Più che un’azienda, è un albergo a tre stelle creato in un vecchio Monastero dei Benedettini del 1400. E’ un ambiente incontaminato, bellissimo: presto me ne andrò a vivere lì, cosa ci faccio a Milano? Preferisco vivere in un ambiente sano, circondato da borghi bellissimi, a misura d’uomo”.
Ha altri progetti?
“Voglio creare lì il primo istituto italiano di nutraceutica, ovvero questa branca della medicina che tratta il cibo come medicina. Ne parlava già Ippocrate secoli fa: “che il cibo sia la tua medicina, che la medicina sia il tuo cibo”. La prima regola di un buon medico è chiedere cosa mangi e come: Ippocrate aveva già capito tutto. Ma attenzione: questa branca non è contro la medicina tradizionale, anzi. Io utilizzo le medicine complementari da trent’anni, mi curavo con l’omeopatia già negli anni 70 quando parlarne era come parlare di ufo. Voglio che la medicina diventi prevenzione: uno deve prevenire la malattia, non aspettare che si ammali, e questo si può fare solo con uno stile di vita sano a 360 gradi”.
C’è stato uno spartiacque nella sua vita? Prima e dopo il 2001, l’anno dell’emorragia cerebrale.
“Ho fatto l’ultima Paperissima nel 2002, con Natalia Estrada, quando la mia popolarità era ancora al top. Poi la Rai ha chiamato me e Lorella per fare un programma insieme ma non andò bene: non ci fecero interagire tra noi, ci lasciarono spazi separati. Da allora non ho più fatto televisione, intesa come conduzione di un programma sulla tv generalista. È senz’altro cambiata la mia vita da quel momento, ma non do le colpe a nessuno. Siamo noi i responsabili del nostro destino. Ormai è storia passata, importante è andare avanti”.
Una settimana fa c’è stata la reunion con la sua partner storica, Lorella Cuccarini, nello studio de “La Vita in Diretta”.
“E’ stato un momento bello e piacevole. Lorella rimane sempre una grande professionista, siamo rimasti sempre amici…”.
Che ne pensi degli attacchi che ha ricevuto negli ultimi mesi per le sue posizioni politiche?
“Lasciano il tempo che trovano: sono attacchi del tutto gratuiti. Chi fa questo mestiere, è “condannato” a subire sempre degli attacchi. È successo anche a me”.
L’hanno attaccata per le sue posizioni sugli UFO?
“Mi hanno massacrato per anni. Ora, a mano a mano che i governi europei e quelli americani sveleranno ciò che sanno da decine di anni sulla realtà extraterrestre, gli animi finalmente si placheranno e tutti si convinceranno che questa è una realtà e non una fantasia”.
Certi temi sono tabù?
“Da una parte c’è timore: i film ci mostrano gli UFO come quelli che vengono per distruggerci. Dall’altra ci sono gli scettici per partito preso che sono convinti di essere gli unici abitanti dell’Universo. Ormai anche il Vaticano si è aperto a questa realtà e c’è una grande apertura anche da parte delle persone comuni. Sono convinto che l’80% degli italiani sono convinti che non siamo soli nell’universo”.
Ma è vero che ha avuto dei contatti con loro?
“ No io non ha mai avuto contatti con i Fratelli dello Spazio, però ci sono molti contattati nel mondo e anche in Italia (fa i nomi, ndr). La loro più importante preoccupazione, oggi, riguarda l’energia nucleare. Non permetteranno che succeda un’altra Hiroshima e Nagasaki. Temono la distruzione del pianeta: dovesse succedere, si creerebbe uno squilibrio gravitazionale terribile. Per questo loro ci mandano dei messaggi per creare consapevolezza su questo tema, ma non intervengono. Il motivo? Esiste una legge per la quale un popolo più evoluto non può influire su un popolo meno evoluto, ovvero noi. I nostri problemi ce li dobbiamo risolvere da soli, loro intervengono solo se ci sono motivi seri sulla salvaguardia del pianeta. È per questo che non si fanno vedere in massa, non ci sarà mai una loro invasione, a meno che non sia necessaria per la salvaguardia del pianeta. Si limitano a farsi vedere qui e là in tutto il mondo, ci inviano messaggi, per farci capire che non siamo soli. Anche loro sono passati da un periodo complicato come il nostro attuale, ce lo dicono chiaramente e ci spronano a superarlo, non attraverso le guerre e l’odio razziale o religioso, ma attraverso la consapevolezza, e l’amore incondizionato”.
Live, Marco Columbro attacca Barbara D’Urso: “Vengo lì ti strappo il vestito”. Redazione Tvzap il 07 ottobre 2019. Ospite in studio per parlare della sua nuova vita fuori dal mondo dello spettacolo, Columbro si innervosisce dopo il video di presentazione che menziona alcuni problemi finanziari. “Fare una trasmissione sulla mia pelle non mi va”. “Stai attenta che vengo lì ti strappo il vestito”. “Io sono stata carina ti ho offerto la possibilità di smentire le str… che hanno scritto su di te”. Ecco, in estrema sintesi, le frasi chiave del battibecco tra Marco Columbro e Barbara D’Urso andato in onda a Live – Non è la D’Urso. Argomento della terza puntata del talk domenicale di Canale 5 i vip che, dopo una carriera brillante, si sono ritrovati nei guai dal punto di vista economico. Tra gli ospiti Enzo Paolo Turchi e Marco Columbro, conduttore popolarissimo negli anni 80. Dopo aver avuto un ictus, Columbro non è tornato nel mondo dello spettacolo e oggi gestisce un albergo e si occupa della produzione di olio d’oliva. Sulla sua situazione economica sono circolate voci di dissesto, si è detto che si troverebbe in pesantissime difficoltà economiche e che avrebbe contratto numerosi debiti, tanto da essere costretto a vendere la sua villa a tre piani, che Silvio Berlusconi, per aiutarlo in virtù dell’amicizia che li lega, avrebbe acquistato. Columbro è apparso subito molto infastidito dalla presentazione video, che in puro stile d’Urso ripercorreva le voci circolate sul suo conto. “Se siamo qui per parlare di come abbiamo cambiato vita, mi sta bene. Se dobbiamo parlare dei gossip e dei cavoli nostri, io me ne vado. Perché non ho intenzione di parlare delle mie cose, fare una trasmissione sulla mia pelle non mi va”. La conduttrice, sorpresa dalla reazione, ha chiesto: “Ma stai parlando con me?” e alla risposta affermativa di Columbro ha reagito con veemenza: “Ma secondo te io voglio fare una trasmissione sulla tua pelle? Scusami, sono io che non voglio litigare con te. Io sono stata carina e ho voluto fare in modo che tu smentissi delle str… che sono state scritte sul tuo conto, invece di essere grato mi attacchi pure? Hai cambiato vita, ma hai anche cambiato cervello da come ti conoscevo io”. Columbro ha ribattuto: “Stai attenta che vengo lì e ti strappo il vestito”. Dopo l’intervento di alcuni opinionisti a difesa della conduttrice, è stata lei stessa a troncare la discussione: “Io cerco di mantenere il sorriso, voi non vi accavallate, prima che mi faccia girare le scatole anche io. Sei polemico inutilmente, secondo me, e poco carino. Pensavo di fare una cosa carina nei tuoi confronti”.
Marco Columbro: «Nessuno mi vuole più in tv. In un’altra vita sono stato un templare». Pubblicato giovedì, 06 giugno 2019 da Candida Morvillo su Corriere.it. «Io in difficoltà? Io con problemi di soldi? Aprire la bocca è facile, connettere bocca e cervello è più difficile». Marco Columbro, 68 anni, neanche se la prende e liquida così la notizia uscita ieri su molti siti e basata su un’equazione, questa: siccome Silvio Berlusconi gli ha comprato la villa di Basiglio, a Milano 3, lui se la passa male. È stato scritto che l’ex premier ha rilevato l’abitazione di tre piani l’anno scorso, attraverso l’immobiliare Dueville, perché non ha abbandonato l’ex conduttore sparito dalla tv dopo l’ictus del 2003.
Columbro, se non ha problemi, perché Berlusconi le ha comprato casa?
«Non ne voglio parlare. Posso dire solo che vivo ancora nella villa dirimpetto ad Alba Parietti, di cui scrivono, e che Berlusconi è la persona più generosa che conosca».
Lei ha lavorato per le sue tv per oltre vent’anni.
«Abbiamo creato successi come Tra moglie e marito, Paperissima, Scherzi a parte, la fiction Caro Maestro... Ero un giorno sì e uno no a casa sua coi girati: li faceva vedere a figli, moglie, camerieri e, se si divertivano, era la prova che sarebbero piaciuti al pubblico».
Dov’è stato negli anni in cui è sparito?
«Faccio sostanzialmente due cose. Mi occupo di una locanda in Toscana, in Val d’Orcia, con 18 ettari di bosco e ospiti tutti affascinati dal silenzio. La gestiscono amici albergatori, ma m’impegna tanto. L’anno scorso non si è presentato il cuoco e per un mese e mezzo ho cucinato io. Avrei preferito mille prime in teatro: non dormivo la notte per l’ansia da prestazione».
La seconda attività?
«Ho appena finito il libro sulla mia quarantennale ricerca spirituale. Tema: risvegliarci dal sonnambulismo che ci hanno indotto migliaia di anni fa».
Chi ce l’ha indotto?
«Le religioni e un tipo di scientismo che ti porta a pensare solo con la testa, non col cuore. Bisogna riscoprire che siamo esseri divini, eterni, multidimensionali. La morte non esiste, se non per il corpo fisico. Se lo capisci, la religione non è più importante, non è più il mio dio o il tuo, siamo tutti uguali e nasce la democrazia spirituale».
Il suo incontro con la spiritualità?
«Una fidanzata, nel ’79, mi portò a sentire Mercedes Salimei, una maestra dell’Antroposofia di Rudolf Steiner, con la quale studiai cinque o sei anni. Poi ho continuato con percorsi personali, ma finché è stata su questa Terra Mercedes mi ha voluto un bene fortissimo, dimostrato con i suoi insegnamenti e le sue protezioni».
Che genere di protezioni?
«Sentiva a distanza se stavo male. O chiamava e diceva: oggi, non guidare».
Dell’ictus non l’aveva avvisata?
«Tempo prima, mi aveva detto che era stanca e sarebbe tornata a casa, che nel nostro gergo significa “lasciare il corpo”».
Lasciare il corpo per andare dove?
«Lasciato il corpo, l’anima va nel mondo astrale, ci resta un terzo della vita terrena, poi si fa spirito e si reincarna».
Lei si è reincarnato?
«In ipnosi regressiva, ho visto due vite precedenti: sono stato un cavaliere templare diventato monaco benedettino e, in un’altra vita, un medico».
Scoprirlo le è servito a qualcosa?
«A capire da dove arriva la mia passione per la medicina, perché da bambino volevo farmi prete, e a spiegarmi il temperamento iracondo, che forse risale al templare e che si è placato solo attraverso ricerca e pratica spirituale».
Dopo un ictus, due interventi per aneurisma e venti giorni di coma, nonostante 13 Telegatti vinti, non ha più avuto programmi. Perché?
«Non ne ho idea. Per cinque o sei anni, ho bussato a tutte le porte, invano. Poi me ne sono fatto una ragione: la vita è fatta di cambiamenti. Ho fatto teatro fino a quattro anni fa, poi televendite di condizionatori, ma si vede che il mio destino erano studio e conoscenza».
In tv, a volte, è andato a parlare di Ufo.
«Ci sono prove evidenti che non siamo gli unici nelle galassie e che gli extraterrestri ci inviano messaggi contro le bombe nucleari».
Non è che in tv le fanno ostracismo perché sostiene argomenti controversi?
«Non m’interessa chi non studia e poi mi dà del pazzo. Il mio motto è: chi crede non conosce, chi conosce non ha bisogno di credere».
Lei è felice?
«Sono sereno. Da nove anni ho una compagna, Marta, bella e profonda. So che la felicità è passeggera, mentre la serenità te la devi conquistare, imparando a governare le emozioni, però è durevole».
· Parla Carmen Russo ed Enzo Paolo Turchi.
Carmen Russo: “Alain Delon, bellissimo…ma ero già fidanzata!” Giovanni Terzi il 14/05/2019 su Il Giornale Off. Il grande, inarrivabile Alain Delon è stato contestato a Cannes, in occasione del festival 2019 (14-25 maggio), dove si trova per il Leono d’oro alla carriera. La fonte è l’agenzia ANSA, che specifica che l’annuncio è stato dato dal Festival stesso: Il grande attore francese, che ha raggiunto le 83 primavere, si era notoriamente espresso contro l’adozione da genitori dello stesso sesso ed è, altrettanto notoriamente, vicino alla destra francese. L’agenzia ANSA prosegue citando le parole del presidente di Cannes, Pierre Lescure e il delegato generale Thierry Fremaux, che hanno dichiarato di essere lieti che Alain Delonabbia accettato di essere celebrato al Festival di Cannes. Alain Delon, tombeur de femmes, si è ritirato dal cinema ma ha ammesso, ricorda il Festival, un rimpianto. “C’è una cosa che mi è sfuggita e che mi perseguiterà sempre: mi sarebbe piaciuto essere stato diretto da una donna prima di morire”. Forse Carmen Russo? Icona della commedia all’italiana degli anni Ottanta, avvenente sogno per molti uomini e artista completatasi con lo studio e la fatica: lei è Carmen Russo, nata a Genova e cresciuta nel mondo del cinema e della televisione».
Qual è stato il tuo primo film?
«Avevo 16 anni e partecipai a un film di Paolo Villaggio, Ecco noi per esempio. Lo feci subito dopo essere stata incoronata Miss Liguria. Sicuramente ero molto bella in quegli anni, ma anche emozionata per quella magnifica opportunità».
Come avevi vissuto prima di quel momento il mondo del cinema?
«Ho sempre avuto una vera e propria passione per il cinema. Mia mamma era cassiera in un cinema e papà l’andava a prendere alle 23 tutte le sere; io lo accompagnavo, così mi infilavo nella sala e guardavo i finali di tutti i film. Mi dicevo: “Io voglio finire lì”».
La televisione negli anni Ottanta e oggi: cosa è cambiato e come?
«Negli anni Ottanta era una televisione che andava in scena con un copione preciso: era una televisione recitata e preparata. La sigla, il balletto centrale e quello finale rappresentavano il clou di uno spettacolo che veniva preparato per un’intera settimana. Quando vedevo Raffaella Carrà mentre ballava, vedevo uno spettacolo vero e proprio, con venti ballerini che accompagnavano una star. Posso dire che la televisione era cinema. Oggi la tv è diversa: non che sia peggiorata, semplicemente oggi un artista deve essere capace di attualizzarsi».
Fammi un esempio.
«Quando ho fatto L’isola dei famosi, ho capito che lì è emersa la persona Carmen, non il personaggio. Penso di aver conquistato il pubblico per ciò che sono».
Nelle trasformazioni di questi ultimi anni ci sono i “social”: che rapporto hai con questi strumenti?
«Li utilizzo da due anni. Mi piace il rapporto diretto con il pubblico: senza alcun filtro rispondo in prima persona. E non è detto che io ed Enzo Paolo non faremo qualcosa insieme utilizzando questo strumento».
Sei genovese: sarai passata centinaia di volte sul ponte Morandi…
«Una tragedia immane. Ero ragazzina e lo paragonavo al ponte di Brooklyn per la sua maestosità. Era un simbolo della nostra città come la Lanterna».
Torniamo al cinema. Hai recitato con Fellini nella Città delle donne: hai un ricordo particolare?
«Ho fatto una piccola parte, sei secondi, ma è stato straordinario frequentare il Maestro all’interno dello studio 5 di Cinecittà. Lui mi chiamava “la Russina” perché avevo i fianchi stretti».
A chi sei riconoscente?
«A tante persone, a tutti quelli che generosamente mi hanno aiutato agli inizi di carriera, tra tutti Antonio Ricci. Devo molto a mio marito Enzo Paolo Turchi. Io ero una maggiorata e non ero credibile come ballerina: lui mi ha insegnato la tecnica ed io ho imparato. Senza di lui sarebbe stato impossibile. Ci siamo conosciuti nell’estate del 1983 e non ci siamo più lasciati, sia professionalmente che nella vita privata».
Sei sempre stata corteggiata da tanti uomini: a parte tuo marito, chi ti ha colpito?
«Alain Delon, gentile ed elegante. Un uomo bellissimo, ma io ero già fidanzata.
Quale è il tuo più grande successo?
«Il più grande successo è Maria, mia figlia».
Enzo Paolo Turchi: «Prendo 720 euro di pensione, una cifra da fame». Pubblicato giovedì, 13 giugno 2019 su Corriere.it. A più riprese, negli anni, diversi volti noti del mondo dello spettacolo hanno raccontato delle loro difficoltà economiche. Ora tocca a Enzo Paolo Turchi, marito di Carmen Russo, che denuncia: «Prendo solo 720 euro al mese di pensione, una cifra da fame». Settant’anni a luglio, il ballerino lamenta come tanti altri prima di lui di come, una volta lontani dalla ribalta, la situazione economica per chi ha sempre lavorato nel mondo dello spettacolo sia tutt’altro che idilliaca.
Enzo Paolo Turchi: "Per danzare andavo a fare le pulizie". Redazione Tvzap il 12 giugno 2019. Il ballerino e coreografo parla in tv dei suoi inizi e della propria situazione economica: “Ho iniziato a lavorare nel dopoguerra, quando a casa mia non c’era la luce. A 8 anni lavoravo: guadagnavo 20 lire al giorno, andavo a fare le pulizie per diplomarmi al San Carlo di Napoli come danzatore di danza classica”. È la rivelazione di Enzo Paolo Turchi, intervistato da Eleonora Daniele a Storie Italiane su Rai1. Il ballerino e coreografo ha raccontato i suoi inizi, la povertà, i tanti sacrifici fatti per realizzare il sogno della sua vita: diventare un ballerino professionista. Un modello positivo per i giovani che Enzo Paolo Turchi porta avanti anche nell’accademia di danza da lui creata.
Enzo Paolo Turchi e la pensione da 720 euro al mese. Sempre più di frequente i personaggi del mondo dello spettacolo parlano in tv dei propri problemi economici o di situazioni lontane da quelle agiate che il pubblico potrebbe immaginare per loro. Recentemente è successo, solo per citare il caso più fresco, con Sandra Milo e ora tocca a Enzo Paolo Turchi. Il coreografo e marito di Carmen Russo ospite di Dritto e rovescio su Rete 4 spiega: “Io quest’anno festeggio 60 anni di carriera, ho iniziato che avevo 8 anni, studiavo al San Carlo di Napoli, mi sono diplomato, sono diventato primo ballerino […] Dopo 50 anni sono andato in pensione, e prendo 720 euro al mese di pensione”. Ma come si è arrivati a quella cifra? “Un ballerino che gli ultimi anni non è in piena forma lavora meno” spiega Enzo Paolo “insegna e fa altro, non è che si lavorava 365 giorni all’anno perché facevi un programma 2 mesi poi gli altri 2 mesi studiavi per tenerti in allenamento per poi fare l’audizione per un altro programma”. Una situazione che accomuna diversi suoi colleghi: “Vedo tutti i miei colleghi che chi prende 500, chi 800, nessuno prende 3000 euro […] Io ringrazio che riesco a insegnare, lavoro ancora però dei miei colleghi prendono 500 euro di pensione e non ce la si fa […] Purtroppo siamo tutti messi male e non c’è via di scampo, non si sa a chi rivolgersi“.
· Bertolino e il calcio per i bimbi delle favelas con la maglia dell’Inter.
Bertolino e il calcio per i bimbi delle favelas con la maglia dell’Inter. Pubblicato venerdì, 26 aprile 2019 da Maria Volpe su Corriere.it. Si dice sempre che i comici hanno un lato oscuro, un’anima malinconica. Può darsi sia vero, ma certamente una delle anime di Enrico Bertolino ha il colore dell’altruismo. Del resto la sua satira ha sempre un vissuto sociale. Serate, tv, successo, ma anche solidarietà, senso di giustizia. Questo è Enrico. Che tanti anni fa, grazie all’incontro con Edna, la sua compagna brasiliana, ha scoperto quella terra piena di eccessi, ricchezze e povertà, bellezze paesaggistiche e luoghi desolati. «Tanti anni fa Edna e io siamo partiti per Pititinga - comincia il racconto di Bertolino - nello Stato di Rio Grande del Nord e abbiamo comperato una piccola casa sulla spiaggia. Ci hanno subito detto: “Attenti è pericoloso qui, costruite un alto muro di cinta, metteteci un circuito elettrico e comprate un cane anti sociale”. Ma io queste cose non le faccio, muri non ne alzo, piuttosto allora spendiamo soldi per una fondazione, per integrarci nel territorio». Silverio, un uomo del luogo che vive lì vicino, lo sconsiglia. «La gente è scontrosa» dice. Bertolino non molla. Si comincia a costruire la sede per un asilo: «Con l’aiuto di Smemoranda. Ne parlo con Gino e Michele, cominciamo a raccogliere i soldi con Zelig che ci aiuta attraverso un numero verde e serate. E l’asilo viene su». Poi arriva il campo di calcio, i fari accesi che illuminano gli incontri. E nasce la «Pititinga Fundaçao» . Bertolino non si arresta e chiede aiuto anche a Massimo Moratti che gli concede il marchio «Inter campus brasiliano». Significa assistenza a distanza: mandano allenatori per insegnare il gioco del calcio ai bambini, magliette, palloni, borse. Il territorio prende vita. Poi è la volta di Natal, capitale del Rio Grande. Anche quei bambini vogliono il loro campo di calcio. Preventivo: 250 mila euro. Enrico chiede soldi a chiunque e alla fine ce la fa. Il campo inaugurato nel 2010 viene intitolato a Giacinto Facchetti: «Piangevano tutti. Vuol dire che nella vita se ci credi ce la puoi fare». Finché nel 2015 arriva la decisione di lasciare gestire la Onlus ai brasiliani. «Stava diventando troppo complicato ed era giusto si responsabilizzassero loro. Così nel 2018 nasce direttamente là in Brasile la onlus Vida a Pititinga. Una fondazione alla quale arrivano i fondi su progetti specifici. Per esempio la riapertura del famoso asilo che nel frattempo aveva chiuso». Si intuisce che la gestione di strutture come fondazioni e onlus è una questione delicata. «Io devo rendere conto ai miei donatori. Non si può essere buoni e basta». Un percorso che Enrico ha vissuto sulla propria pelle. «Quando ho cominciato con Teresa Strada, andando in giro per i mercatini di Emergency, l’ho fatto perché sentendomi un privilegiato volevo restituire qualcosa agli altri. La generosità dei comici è spesso egoismo, vogliamo sentirci bene. Mi piace star bene e il prezzo che devo pagare è far star bene anche gli altri, se no è una vita di m... Non voglio sensi di colpa». Ma torniamo alle onlus. Questione delicata, diceva Bertolino: «Non è vero che sono approfittatori, non si può fare di ogni erba un fascio, ma bisogna tenere gli occhi aperti. In Brasile tante onlus locali sono coperture e riciclano denaro sporco. Io con la Onlus Pititinga sono stato attento e fortunato: ho avuto finanziamenti anche dalla Fabbrica del sorriso di Mediaset e abbiamo costruito un pronto soccorso. Piersilvio Berlusconi mi ha finanziato nonostante non fossi gradito a suo padre». In Italia altri comici sono impegnati come lei? «Sì, tanti. Ale e Franz, Oreglio, Manera, Debora Villa, Checco Zalone, Geppi Cucciari. È un mondo dello spettacolo bello, sono contento. Non è buonista, e ciò mi dà speranza». È vero che sta pensando qualcosa per Milano? «Non mi dispiacerebbe un recupero delle periferie, aprire i quartieri al teatro per creare luoghi di aggregazione».
· Con Paolo Bonolis: addio “Libertà”.
Raimondo Vianello e García Márquez nel libro di Bonolis. Pubblicato mercoledì, 06 novembre 2019 da Corriere.it. Amici esperti di tv dicono che, nel ramo presentatori, Paolo Bonolis è un mago. Non me ne intendo, so solo che una volta Bonolis disse una frase («Rivendico i culi e le tette: fanno bene alla salute, sono il sorriso dell’anima») che avrebbe potuto dire Philip Roth (ma non Fabio Fazio, per restare nel ramo presentatori). In Perché parlavo da solo (Rizzoli) Bonolis dice che il suo incipit preferito è quello di Cent’anni di solitudine: «Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio». Questo depone a suo favore. Tra i grandi sacerdoti della tv antica Bonolis predilige Raimondo Vianello. Fu folgorato da una vecchia scenetta in cui Vianello gioca a mosca cieca con un gruppo di belle ragazze vestite di bianco e «cerca di prenderle con festosa malizia». Le ragazze scappano e Raimondo, rimasto solo, «vagabonda bendato finché tocca un muro, si gira e si sente: “Puntat”, “Caricat”, “Fuoco!”, e lo fucilano». Sembra un balletto di Beckett. (Freud farebbe notare a Bonolis che il suo incipit e il suo comico preferiti hanno a che vedere entrambi con fucilazioni). Paolo Bonolis, «Perché parlavo da solo» (Rizzoli, pp. 336, euro 19)Secondo Bonolis, la cinica ironia, l’umor nero di Vianello non erano una finzione, erano vere, sincere. E racconta, a riprova, questa storia. Pippo Baudo andò a trovare Vianello, chiuso in casa da mesi ad assistere Sandra Mondaini gravemente depressa, e lo convinse, dopo molte insistenze, a prendere una boccata d’aria. «Uscendo dal palazzo, Vianello passò davanti alla portineria, si avvicinò al portiere e gli fece: “Oh, guardi... se viene giù qualcosa... è roba mia!”». Bonolis fa anche auto-gossip e racconta che una volta Freddie Mercury tentò di rimorchiarlo (chissà se avrebbe fatto lo stesso con Fazio). Il libro è un po’ random, ma ringrazio Bonolis perché mi offre l’occasione di dare dieci a Raimondo Vianello, cosa che sognavo di fare da una vita.
Lo show di Bonolis da Diaco: dalla pipì con Vianello al gatto castrato. Il conduttore, ospite di “Io e te”, a ruota libera sul suo mondo oltre lo schermo, tra divertenti aneddoti del passato e la scoperta del “valore della solitudine”. Alessandro Zoppo, Domenica 01/12/2019 su Il Giornale. È sempre un piacere ascoltare Paolo Bonolis, soprattutto quando affronta con una battuta la sua vita privata, i ricordi del passato e il modo tutto personale che ha di fare televisione. Ospite di Pierluigi Diaco a Io e te, il conduttore romano si racconta a ruota libera e senza peli sulla lingua. Bonolis non è vittima dell’imbarazzo che ad inizio puntata ha ammesso di provare quando è ospite di altre trasmissioni: ammette di essersi potuto permettere di essere una “persona per bene” grazie al lavoro, alla buona sorte e alla famiglia. Al centro della chiacchierata c’è il suo modo di fare televisione: spesso bollato come trash dalla critica, ma sempre contro il perbenismo, l’ipocrisia e il conformismo del piccolo schermo italiano. Il suo obiettivo resta quello di desacralizzare ciò che viene stupidamente sacralizzato. “La televisione – spiega il presentatore – è un luogo dove purtroppo, da un po’ di tempo a questa parte e forse anche a causa di un eccesso di politically correct che viene utilizzato, si cammina troppo sulle uova, si ha paura a essere spontanei, e quindi ci si affida a dei codici preconfezionati, e ci si comporta quasi tutti allo stesso modo”. Dall’1 ottobre 2019 è nelle librerie Perché parlavo da solo, una singolare autobiografia (edita da Rizzoli) il cui il conduttore, per la prima volta, svela il suo mondo oltre lo schermo. I proventi delle vendite vanno al Ce.R.S., una onlus che offre, in assoluto regime di gratuità, aiuti concreti ai bambini diversamente abili e alla loro famiglie. In questo diario intimo e ironico, Bonolis esalta il valore della solitudine, un sentimento che i ragazzi stanno perdendo. “I giovani oggi – ammette il presentatore – vengono telecomandati nella loro quotidianità, dagli smartphone… anche da genitori particolarmente ossessivi, che scandiscono la loro giornata con una posologia quasi da campo di concentramento, perché è impressionante le cose che devono fare! Quasi che la noia non debba toccare la loro vita, mentre è nella noia e nella solitudine che uno tira fuori se stesso per cercar di sgusciar fuori da una situazione che lo vede da solo, e da solo si costruisce la propria personalità”.
Paolo Bonolis, incontro con Vianello… al gabinetto. Nel libro Bonolis racconta alcuni incontri speciali che ha avuto la fortuna di fare nella sua carriera: quello più divertente di tutti fu con Raimondo Vianello. Con quest’ultimo la circostanza fu davvero particolare: i due si trovarono insieme al gabinetto, di fronte ad un orinale, nella notte del Telegatti. Vianello, con il suo umorismo surreale, gli disse: “Bonolis, che piacere! Spero che ora non ci si debba stringere la mano!”. Tra tutte le sue altre influenze, che vanno da Totò a Gianfranco Funari e Corrado, la più significativa è quella di Alberto Sordi. Dell’attore Paolo ama soprattutto quello che definisce il “cinismo buono”, tutto romano. “È un cinismo – spiega – che ti aiuta a superare con leggerezza le difficoltà dell’esistenza”. E a proposito racconta uno spassoso aneddoto: una volta stava andando a comprare il giornale al papà, che stava male e ormai viveva i suoi ultimi giorni. Di ritorno dall’edicola, si ritrova davanti un signore di 50 anni con un bambino di due anni che teneva per mano. “Fa per attraversare sulle strisce – racconta Bonolis – e una macchina gli inchioda a un centimetro dal femore. Questo non ha fatto una piega. Ha sollevato sto ragazzino, che stava così… appeso e gli dice: ‘Si nu era er mio to ‘o tiravo!’”. Al rientro dalla pubblicità, Bonolis ha familiarizzato con Ugo, il cane bassotto di Diaco presente in studio. A proposito di animali domestici, il conduttore confessa che una delle sue prime litigate con la moglie è avvenuta perché lei e i figli volevano il gatto. “Mi sta bene – ammette il presentatore –, però il primo atto d’amore nei confronti del gatto è stato tagliargli le palle! Non si castra un animale... cioè, il gatto può fare quattro cose nella vita: mangia, dorme... la prima cosa zac! L’ho vissuta malissimo!”. Ora il gatto gli fa tenerezza ma non perdona la sterilizzazione. “Ma io voglio vede’ se te lo fanno a te! – rimprovera a Diaco – Ma non ha senso... è come dire, teniamo Diaco in Rai, però metti che si riproduce... e via, zac!”. Sul finire del programma, Bonolis ripercorre le sue esperienze al Festival di Sanremo – confessa che nessuno voleva Sincerità, il brano di Arisa che trionfò nella sezione Nuove Proposte nel 2009, perché dicevano che era una canzonetta – e rivela che, nonostante la sua vena esibizionistica, è stato sempre molto timido sin da bambino. “Quando andavo alle feste da ragazzino – confida –, stavo sempre in un angoletto. Anche oggi, non vado mai alle feste perché mi inquieta questa cosa. Aver trovato, fortunatamente, questa opportunità di lavoro, mi ha permesso di tirare fuori questo utilizzando l’alibi della professione”.
Dagospia l'1 dicembre 2019. BONOLIS CONFESSIONS DA DIACO.
DIACO: QUANDO FREQUENTI UNO STUDIO TELEVISIVO, CHE NON È IL TUO, CHE SENSAZIONE PROVI? TI ANNOIA? TI DIVERTE?
BONOLIS: Sono sempre un po’ in difficoltà quando sono nelle trasmissioni altrui perché non vorrei rovinare i meccanismi che sono stati scritti e voluti da chi sta conducendo quella trasmissione, quindi tendenzialmente c’ho un po’ di imbarazzo! Però qua li conosco tutti. È tutta gente con cui ho lavorato… è pieno di farabutti qua dentro!
DIACO: TI PRESENTO IL NOSTRO ILLUSTRATORE, LUCANGELO BRACCI, IN ARTE TESTASECCA, CHE TENTERÀ DI DISEGNARE IL TUO MONDO INTERIORE…
BONOLIS: Non mi fare di profilo sennò non ti basta il foglio! “A VOLTE MI SENTO UNO STRANIERO IN TERRA STRANIERA”
DIACO: TU SEI UNA PERSONA PER BENE, (…) CHI TI CONOSCE LO SA! CHI FA TELEVISIONE AD ALTI LIVELLI PUO' RIMANERE UNA PERSONA PER BENE?
BONOLIS: Ci mancherebbe altro! Generalmente si è una persona per bene se te lo puoi permettere. Ci sono molti che vengono considerati non per bene… ma non se lo sono potuti permettere di essere per bene perché le difficoltà della vita ha presentato loro altri percorsi, quindi sono stati costretti magari dalle necessità dell’esistenza a diventare meno per bene di quello che avrebbero voluto. Io mi sono potuto permettere – grazie al lavoro, alla buona sorte, alla mia famiglia - di essere per bene. Però, sai, si è sempre per bene fino a un certo punto. Dipende anche dalla cultura nella quale ti trovi. Ci sono atteggiamenti considerati per bene da noi che non lo sono altrove e viceversa. In questa cultura italiana mi trovo bene. Cerco di comportarmi bene sperando che gli altri facciano altrettanto con me.
DIACO: c’è una caratteristica nel tuo modo di far televisione che è unica. (…) hai un certo distacco nei confronti del mezzo televisivo (…) nel senso che non dai alla televisione quel peso che solitamente viene dato dai benpensanti. (…) ricordo che in passato i tuoi successi televisivi vennero accompagnati da alcuni critici della cosiddetta buona stampa con parole poche generose. poi tardi (…) hanno cominciato a scrivere benissimo di bonolis… quando hai cominciato, secondo loro, a pensare. (…) come è possibile che le persone che hanno i tuoi ingredienti vengano vissute dagli ideologici, dagli ortodossi sempre nella stessa maniera?
BONOLIS: Non ne ho la più pallida idea! Io credo che chiunque fa televisione non debba conformarsi ad un’idea di come si deve fare la televisione. Uno deve raccontare fondamentalmente ciò che si porta dentro, ed essere ciò che è. L’ho sempre fatto, fin dai programmi per bambini. Questo ha portato a vedermi talvolta come uno stranger in a strange land: uno straniero in terra straniera, laddove in televisione ci si comportava con una certa ortodossia, con un’affettazione perbenista… io non sono fatto in questo modo! E, soprattutto, mi piace desacralizzare ciò che viene stupidamente sacralizzato. Ci sono delle cose che sono naturalmente sacre, altre vengono sacralizzate e non meritano minimamente di essere sacralizzate, quindi mi diverto a desacralizzarle! Però, la televisione è un luogo dove purtroppo – da un po’ di tempo a questa parte, forse anche a causa di un eccesso di politically correct che viene utilizzato – si cammina troppo sulle uova, si ha paura a essere spontanei, e quindi ci si affida a dei codici preconfezionati, e ci si comporta quasi tutti allo stesso modo! È una grossa perdita per l’individuo televisivo, perché credo che ognuno di noi sia in grado di raccontare, se racconta realmente con le sue caratteristiche e con ciò che gli appartiene, mondi sempre differenti. Perché le diottrie con cui guardo io il mondo son differenti dalle tue, da quelle di Lucangelo che sta disegnando, e da chiunque altro fosse interprete televisivo. Un po’ di verità in luogo dell’ipocrisia forse è la medicina migliore per fare una televisione buona.
DIACO: IL TUO LIBRO PERCHÉ PARLAVO DA SOLO (…), CHE CONSIGLIO AL PUBBLICO A CASA, NON È UN LIBRO SULLA TELEVISIONE… È IL LIBRO DI UN UOMO CHE SI È APPUNTATO NEGLI ANNI DEI PENSIERI PERSONALI ED HA DECISO DI METTERLI INSIEME (…) E DI REGALARLI AL PUBBLICO. (…) LA COSA CHE MI HA COLPITO DI PIÙ È LA SINCERITÀ… LA SENSAZIONE CHE MI DAI È CHE TU CON LA SOLITUDINE HAI UN OTTIMO RAPPORTO.
BONOLIS: è fantastica! La solitudine è una splendida posizione nell’esistenza, dove ti permetti di ragionare e di pensare senza il frastuono degli altri. Al contempo, è qualcosa che le nuove generazioni stanno perdendo soprattutto nella possibilità di annoiarsi. I giovani oggi vengono telecomandati nella loro quotidianità, dagli smartphone… anche da genitori particolarmente ossessivi, che scandiscono la loro giornata con una posologia quasi da campo di concentramento, perché è impressionante le cose che devono fare! Quasi che la noia non debba toccare la loro vita, mentre è nella noia e nella solitudine che uno tira fuori se stesso per cercar di sgusciar fuori da una situazione che lo vede da solo, e da solo si costruisce la propria personalità. La solitudine è una cosa che mi piace particolarmente. Come mi è piaciuto scrivere, che è una cosa completamente differente dal parlare. Nel parlare ci sono tante cose che ti aiutano a spiegarti: c’è la gestualità, c’è il cambio del tono, c’è l’ammiccamento. Nella scrittura tutto questo non c’è, quindi per riuscire a dare ciò che vuoi trasmettere a chi leggerà quello che hai scritto, devi andare a cercare la parola, devi confezionare la frase. È un esercizio molto bello. Mi è piaciuto farlo! Io leggo tanto, e francamente mettermi a scrivere mi ha un po’ inquietato… bisognerebbe lasciar fare le cose a chi le sa far davvero! Però ci ho provato. E questo qui è un regalo che fondamentalmente ho voluto fare ai miei figli. Mi sarebbe piaciuto avere un libro scritto da mio padre per conoscerlo un po’ di più. Io l’ho voluto lasciare a loro, ai più piccoli, soprattutto, affinché un giorno, magari crescendo, lo leggeranno, perché fondamentalmente nel libro c’è assenza totale di ipocrisia e volontà di far capire ai ragazzi quanto è importante coltivare profondamente i propri sogni e diffidare invece dalle illusioni, perché sono una cosa molto pericolosa. I sogni ci appartengono, mentre le illusioni ce le trasmettono gli altri, quindi bisogna andarci con i piedi di piombo.
DIACO: NEL LEGGERE QUESTO LIBRO (…), VEDENDO CHE LA TUA CURIOSITà SIN DA BAMBINO SI POSAVA SUI TALENTI DELLA TELEVISIONE DI ALLORA, COME RAIMONDO VIANELLO, SONO ANDATO A CERCARE NELLE TECHE RAI! CREDO DI AVER AZZECCATO IL PROGRAMMA AL QUALE TI RIFERISCI NEL LIBRO… ERA IL 1967, TE LO FACCIO VEDERE!
BONOLIS: Avevo 6 anni…
CLIP: IL TAPPABUCHI – 1967
BONOLIS: è bellissimo!
DIACO: ERA QUESTO IL FILMATO?
PAOLO BONOLIS 5
BONOLIS: Era questo!
DIACO: allora, Il tappabuchi! Questa QUI è la conclusione della trasmissione in uno sketch surreale di Raimondo Vianello, che spiega moltissimo della personalità di Paolo Bonolis… che, secondo me, da sempre è attratto dalla surrealtà e dal nonsense.
BONOLIS: Sì, mi piacciono molto!
“LA PRIMA ZIZZETTA CHE TOCCAI, MI TORNÒ UTILE PER TRE ANNI!“
DIACO: TU ERI PICCOLISSIMO QUANDO HAI VISTO QUESTO SKETCH…
BONOLIS: Sì, ero piccolissimo. Mi ha colpito vedere questa figura meravigliosa di Raimondo Vianello che gioca a mosca cieca, si perde, si appoggia a un muro e non si sa perché c’è un plotone di esecuzione davanti che lo fucila. È una cosa assolutamente geniale. È tutto quello che poi ho ritrovato negli anni successivi con Terry Gilliam, con i Monty Python… insomma è una cosa che mi ha sempre affascinato. Lui (Vianello) è un personaggio particolare. Racconto alcuni episodi nel libro che ho avuto la fortuna di avere incrociando Raimondo… come la volta prima volta che andai a ritirare un Telegatto per Bim Bum Bam e lo incontrai al gabinetto, dove gli uomini – come sai – fanno la pipì in piedi…
DIACO: Sì, FINO A PROVA CONTRARIA LO SO ANCH’IO! (RIDE)
BONOLIS: Certo, anche tu fai la pipì, ecco! (RISATE) … lì all’orinale, quelli appesi al muro…
DIACO: PAOLO, LO SO! (RIDE)
BONOLIS: …magari le signore non lo sanno, ameno che non vanno a sbirciare, non lo sanno! Mi si è palesata accanto questa figura…
DIACO: SCUSA, UNA CHIOSA… TU HAI MAI SBIRCIATO NEL BAGNO DELLE DONNE DA RAGAZZINO?
BONOLIS: Ma in continuazione! E per forza! (ndr rivolgendosi al pubblico in studio) Perché voi no?
DIACO: LE MAESTRANZE DELLO STUDIO 3 DI VIA TEULADA ANNUISCONO ALL’AFFERMAZIONE…
BONOLIS: Ma è ovvio! Erano tempi differenti! Io la prima zizzetta che toccai, mi tornò utile per tre anni!
BONOLIS: Era difficile allora… non c’era la possibilità che c’è oggi, che ti toglie anche molto! Oggi puoi vedere tutto in continuazione e arrivi a 18 anni che già sei stufo, o quantomeno devo immaginare una sessualità alla Cirque du Soleil…
DIACO: TORNIAMO ALL’INCONTRO CON VIANELLO…( ndr davanti all’orinale)
BONOLIS: Sì, incontrai Raimondo che si girò…
Scusa, non pensavo che… però, insomma, so’ cose che si fanno!
DIACO: AMORE, è LA VITA…
BONOLIS: Appunto!
DIACO: TI HO CHIAMATO AMORE NEL DIRTI CHE è LA VITA… NON SO SE HAI COLTO
BONOLIS: …Raimondo mi si è accostato: “Bonolis, che piacere! Spero che ora non ci si debba stringere la mano!”
BONOLIS: Con Raimondo ho avuto questi pochi incontri, ma piacevolissimi. Uno me lo raccontò Baudo… di questo cinismo, però un cinismo buono! Il cinismo è come il colesterolo... c’è quello buono e quello cattivo. Il cinismo buono ti porta alla leggerezza. Il cinismo cattivo ti porta all’indifferenza.
DIACO: nel libro dici di essere un cinico sognatore… tra poco ci torneremo perché faremo un percorso fotografico insieme. Voglio dire al pubblico, per onorare la realtà (…), che tutte le trasmissioni televisive che fanno percorsi fotografici all’interno della propria narrazione si sono ispirate a il senso della vita di Bonolis. (…) e io gli riconosco non solo di essersi inventato un format, ma gliene sono grato, perché la tv si fa anche così, copia e incolla… basta dirlo, però! basta non pensare di essere originali!
DIACO: paolo, ho visto che hai conosciuto ugo! (ndr Il cane bassotto di Diaco presente in studio)
BONOLIS: Sì! Io a casa ho due chihuahua uno è maschio e l’altra è femmina, una è gravida…
DIACO: Nel libro racconti questo episodio, che tra l’altro rappresenta molti papà che sono all’ascolto (…), che i gatti devono fare i gatti, che i cani devono fare i cani, ma poi hai ceduto per amore dei tuoi figli.
BONOLIS: Sì, però la situazione fu drammatica! io litigai con mia moglie per questa cosa perché vollero il gatto… e mi sta bene! Però il primo atto d’amore nei confronti del gatto è stato tagliargli le palle! Non si castra un animale… cioè, il gatto può fare quattro cose nella vita: mangia, dorme… la prima cosa ZAC! L’ho vissuta malissimo!
DIACO: MA SONIA L’HAI ACCOMPAGNATA TU DAL VETERINARIO?
BONOLIS: Ma che si pazzo?! Ma posso vedere mentre a una povera bestia gli tagliano le balle? Mo sta là e fa: “Miao!”. Poraccio, che può fa’? Ingrassa, sta lì…
DIACO: PERO’, DAI, TE NE SARAI INNAMORATO ANCHE TU DEGLI ANIMALI CHE AVETE IN CASA ADESSO…
BONOLIS: No, mi fa tenerezza il gatto!
DIACO: MA SMETTILA!
BONOLIS: Ma io voglio vede’ se te lo fanno a te! (RISATE) Ma non ha senso… è come dire, teniamo Diaco in Rai, però metti che si riproduce… e via, ZAC!
DIACO: I DEVO DIRTI LA VERITà… IO, PER UNA QUESTIONE DI GUSTI PERSONALI, NON VADO INCONTRO A QUESTO RISCHIO…
BONOLIS: Lo so… ma metti che ‘na sera te sbaji!
BONOLIS: (ndr riferendosi a Ugo) Ma lui l’hai FIUUU (ndr fa il gesto del taglio netto)
DIACO: Ugo ha un problema (…) TI SPIEGO, UNO DEI DUE TESTICOLI NON è SCESO E QUANDO RIMANE ALL’INTERNO RISCHIA DI DIVENTARE TUMORALE. QUINDI LUI STA FACENDO UN PERCORSO PER ANDARE INCONTRO ALL’OPERAZIONE (…) (ndr Diaco dice al pubblico di non ridere perché è una cosa seria, ma scoppia a ridere anche lui per la piega che ha preso la conversazione). UGO, SCUSA!
BONOLIS: Scusami, non c’entra niente col libro e con l’intervista… Lui dice: “se poi mi scende la palla, me la tagliano… per cui lui se la tiene, può essere una strategia!
DIACO: GAURDA, FACCIAMO UNA COSA… (…) PARTIAMO DA QUANDO BONOLIS AVEVA 6 mesi
BONOLIS: (ndr guardando la sua foto a 6 mesi) Sei mesi! A sei mesi non sapevo niente… ero terrorizzato perché papà mi teneva così (ndr sospeso), forse ancora confuso dalla realtà, pensavo: “Che fa? Mi vorrà bene, oppure, FIUUU, mi gioca?”.
DIACO: STANDO ALLE METAFORE, HAI CAPITO DA SUBITO, SIN DAI PRIMI ANNI, CHE LA VITA è FATTA DI CONTENITORI IN CUI INSERIRSI. IL PRIMO IN CUI TI SEI INSERITO E’ UNA CIAMBELLA… TI FACCIO VEDERE LA FOTO! (ndr Bonolis bimbo al mare con il salvagente infilato )POI, NEL RESTO DELLA VITA, PENSO CHE TU DI CIAMBELLE NE ABBIA FREQUENTATE PARECCHIE…
BONOLIS: Beh, non so chi frequenti te, però non erano proprio ciambelle! … e non erano neanche tonde, scusa…
(ndr rivolgendosi al pubblico) … ma di che stiamo parlando?
(ndr rivolgendosi a Diaco, e dirigendosi poi dall’altra parte dello studio dove si trova il pubblico) Scusa, posso?
(ndr rivolgendosi al pubblico) Io chiedo scusa a tutti voi! Ero venuto per il libro, e invece qui sembra di stare ai provini di un pornazzo!
BONOLIS: (ndr dopo essere tornato al suo posto sul divano, rivolgendosi a Ugo) Tieniti la palla dentro. Fidati!
“IO SONO STATO SEMPRE MOLTO TIMIDO”
DIACO: (ndr mentre Bonolis e Ugo si fissano) VEDO CHE AVETE UN RAPPORTO, TI GUARDA CON ATTENZIONE. CI HAI DETTO CHE A 6 MESI ERI INGRUGNITO perché TUO PADRE TI TENEVA COSì (ndr sospeso), PERò SPIEGAMI perché IN QUESTA FOTO, IN CUI SEI Più GRANDICELLO, SEI INGRUGNITO SUL CAMPO DI PALLONE… QUESTO è UN ASPETTO DELLA TUA PERSONALITà CHE OGNI TANTO ESCE FUORI ICONOGRAFICAMENTE DALL’IMMAGINE DEL TUO VOLTO…
BONOLIS: Non lo so perché stavo così! Non me lo ricordo, non lo so! Qui ero a scuola, quella era la tuta della scuola. Si vede che non mi facevano giocavo allora, quindi ero arrabbiato, oppure chissà che era successo nell’arco della giornata! Io sono sempre stato molto timido, eh! Timido nel far le foto, timido in tutto… però avvertivo dentro il piacere di far star bene gli altri! Avevo questa vena esibizionistica, di cui, però, mi sono sempre vergognato molto. Quando andavo alle feste da ragazzino, stavo sempre in un angoletto. Anche oggi, non vado mai alle feste, tu lo sai…ai ricevimenti, perché mi inquieta questa cosa. Aver trovato, fortunatamente, questa opportunità di lavoro, mi ha permesso di tirare fuori questo utilizzando l’alibi della professione. E quindi, come dico nel libro, mi sono nascosto dove c’è più luce. Riesco a tirar fuori quella parte di me perché ho l’alibi che sto facendo il mio lavoro.
DIACO: TU SEI DESTINATARIO DA SEMPRE DI MOLTI COMPLIMENTI, A VOLTE IPOCRITI, DA PARTI DI MOLTI NOSTRI COLLEGHI (…) HO VISTO UN TUO DOCUMENTARIO IN CUI RACCONTI COME HAI COSTRUITO I FESTIVAL DI SANREMO CON I TUOI COLLABORATORI (…) COME PENSAVI ALCUNI PASSAGGI TELEVISIVI E COME POI LI HAI REALIZZATI. TI FACCIO VEDERE UN ESTRATTO.
CLIP TRATTA DA SANREMO 2005-TUTTO QUELLO CHE NON SI E’ VISTO IN TV
DIACO: TRA I CURATORI DI QUESTO DOCUMENTARIO C’è IL COAUTORE DI QUESTA TRASMISSIONE INSIEME A MAURIZIO GIANOTTI E a PAOLA TAVELLA, CHE è FILIPPO MAUCERI, CHE è STATO UN TUO COLLABORATORE NEI FESTIVAL DI SANREMO…
BONOLIS: Anche a Il senso della vita! Lui, Michele Afferrante, Sergio Rubino e Marco Salvati sono quelli che mi hanno aiutato a costruire e ad avere l’idea de Il senso della vita! È stata una trasmissione in cui tra l’altro i primi germogli vennero fuori proprio a Sanremo. Noi aprimmo la prima sera e poi anche le altre cinque sere con un frammento de Il senso della vita, una cosa molto particolare.
DIACO: NEL COSTRUIRE SANREMO IL TUO SENSO della vita è stato rappresentato dalla presenza di Povia. (…) Povia non poteva concorrere al Festival di Sanremo…
BONOLIS: Il brano l’aveva cantato un anno prima a un festival in Romagna, se non sbaglio!
DIACO: BONOLIS EBBE L’IDEA GENIALE DI LEGARE LA SUA PARTECIPAZIONE A UNA CAMPAGNA SUL DARFUR. (…) ALCUNI CONCORRENTI DI QUELL’EDIZIONE SI SONO IMPOSTI NEL MERCATO MUSICALE (…). MA DI QUEL FESTIVAL SI RICORDA SOPRATTUTTO IL FATTO CHE BONOLIS PORTO’ UNO FUORI CONCORSO, LO MISE IN PRIMA SERATA SU RAI UNO E DA Lì è PARTITA…
BONOLIS: Quella canzone quando la sentii per la prima volta ero sicuro che avrebbe vinto il festival. Poi vinse un’altra bellissima canzone: Angelo di Francesco Renga, e uscirono dalla categoria giovani gruppi un po’ particolari, addirittura uscirono i Negramaro… me li avevano tolti dalla categoria perché, dicevano, facevano troppo rumore.
DIACO: ah sì, eh?
BONOLIS: Ragazzi, Mentre tutto scorre è un pezzo di una bellezza assoluta!
DIACO: MA CHI TE LO AVEVA TOLTO?
BONOLIS: Ma lì ce sta un sacco di gente…
DIACO: quanta è bella la parola diplomazia…
BONOLIS: Ma sì, è inutile! Insomma, quel pezzo ho voluto che ci fosse. Ma il pezzo di Povia “Quando i bambini fanno oh, che meraviglia...L’ho sentito e…(ndr rivolgendosi a Diaco che ha preso la chitarra) … non me fa canta’!
(ndr Diaco inizia a suonare e a canticchiare)
BONOLIS: Ah, canti te!
DIACO: Come fa?
BONOLIS: Che me stai a fa’ il trabochetto?
DIACO E BONOLIS CANTICCHIANO “QUANDO I BAMBINI FANNO OH!”
BONOLIS: La stessa cosa accadde nel 2009. Andai a sentire quelli della categoria giovani. Ce ne era una che non volevano perché – dice – era una canzonetta! (ndr Bonolis continua cantando) Sincerità …(ndr canzone di Arisa che vinse nella categoria giovani)
DIACO: NON CI CREDO!
BONOLIS: Eh! Dico: “Ma che siete matti?”. Sembrava la musichetta della Coca Cola, quella ti entra nel cervello! E ha vinto!
DIACO: QUINDI SEI UN TALENT SCOUT?
BONOLIS: (ndr Bonolis dopo una breve esitazione, risponde sorridendo) Sì!
DIACO: Bonolis riesce a passare non solo dall’alto e il basso dell’esistenza, ma anche dalla prosa televisiva alla poesia con un concetto molto personale, espresso così… guardate!
CLIP: OSSIGENO - 2018
DIACO: te la ricordi?
BONOLIS: Sì, è stata una bella chiacchierata con Manuel Agnelli a Ossigeno. Mi ero messo la maschera di Batman per non farmi riconoscere. Su Rai Tre Bonolis non va tanto bene perché io sono quel fessacchiotto… Mediaset non voleva che andassi lì per cui etc etc… e l’ho risolta!
DIACO: TANTI ANNI FA SENTIVO UNO SPEECH DI UN GRANDE POETA, DAVID MARIA TUROLDO, CHE SOSTENEVA CHE NIENTE COME IL RICORDO è LA Più ALTA FORMA DI POESIA. (…) DA SETTIMANE MI PIACE RICORDARE CHE LE PERSONE CHE ABBIAMO AMATO QUANDO SALGONO IN CIELO, CI LASCIANO IN EREDITA’ NON SOLO IL LORO RICORDO MA, ALMENO PER ME, LA CARATTERISTICA Più BELLA CHE HA UN ESSERE UMANO: LA SUA VOCE! VOGLIO FARTI ASCOLTARE UNA VOCE CHE SECONDO ME ABITA DENTRO DI TE!
VOCE ALBERTO SORDI
BONOLIS: Questo era Albertone…
DIACO: CE NE è tanto dentro di te DI SORDI?
BONOLIS: Sì, ce ne è tanto! C’è Sordi, c’è Totò, c’è Funari, Vianello, c’è Corrado. Tutte persone che crescendo ho avuto modo di seguire e che poi hanno attecchito. Hanno preso quello che sono e lo hanno arricchito. Hanno lasciato dentro dei sedimenti che fanno parte di me! Credo che tutti quanti noi siamo ciò che siamo, e siamo in buona parte anche chi incontriamo, chi ci colpisce, chi in qualche modo in maniera positiva ci flagella e ci fa sentire qualcosa che in realtà ci appartiene, ma che non siamo ancora riusciti a capire che cosa sia. Io di Sordi ho amato tutto. Sordi è di Roma, quindi di Sordi ho amato il cinismo, il cinismo quello bello, quello buono di cui ti parlavo prima. È un cinismo che ti aiuta a superare con leggerezza le difficoltà dell’esistenza. A Roma di cinismo se ne sente, anche poco elegante, se tu vuoi. Ci sono degli episodi che solo a Roma ci possono essere. Questa l’ho raccontata anche da altre parti, ma io rimasi folgorato! C’era papà mio che stava male, se ne stava ormai per andare e io gli andavo a comprare il giornale. E per comprare il giornale a papà dovevo attraversare la strada, andare all’edicola, comprare il giornale e tornare indietro. Io mi ricordo ancora che avevo comprato il giornale, stavo per riattraversare la strada. Davanti a me c’era un signore di 50 anni con un bambino di due anni che teneva per mano. Fa per attraversare sulle strisce e una macchina gli inchioda a un centimetro dal femore. Questo non ha fatto una piega. Ha sollevato sto ragazzino, che stava così…appeso e gli dice: “Si nu era er mio to ‘o tiravo!”
DIACO: questa è Roma! paolo, vediamo Lucangelo come ti ha rappresentato. (…) descrivici il disegno…
BONOLIS: Ha preso parte della copertina, e soffiando in queste bolle di sapone, ha tirato fuori buona parte dei capitoli e degli argomenti che vengono trattati nel libro. Nel libro ci sono diversi capitoli, si parla di religione in un capitolo intitolato l’ammorbidente per l’angoscia, che è stato molto apprezzato anche in Vaticano, devo dire la verità! Si parla di politica, si parla di mercati, di tecnologia, che poi sono le tre grandi illusione che dobbiamo temere: religione, politica e mercati! E poi ci sono tante cose, tante piccole faccende… si parla di viaggi, si parla di sogni, si parla di letteratura, si parla di poesia, si parla di famiglia, si parla di amore, si parla di sesso. Si parla di tutte quelle cose che fanno parte della vita di tutti noi, attraverso gli occhi di un uomo di 58 anni che ne ha vissute. È un libro che potrebbe scrivere chiunque se scrivesse ciò che gli appartiene veramente.
DIACO MOSTRA IL LIBRO DI BONOLIS – perché PARLAVO DA SOLO
DIACO: ECCOLO QUI! NOI VE LO SUGGERIAMO…
BONOLIS: VOTA ANTONIO! VOTA ANTONIO! VOTA ANTONIO!
DIACO: VOTA ANTONIO! VOTA ANTONIO! VOTA ANTONIO! VOTATE BONOLIS perché PARLAVO DA SOLO
BONOLIS: Posso? Anche perché acquistando questo libro…
DIACO: i proventi non vanno a te…
BONOLIS: No, zero! Vanno tutti al Ce.R.S., che è una piccola onlus. Insieme al dott. Renato Berardinelli aiutiamo un sacco di ragazzini che hanno problematiche toste toste per poter essere assistiti gratuitamente a casa senza dover stare in ospedale. Lo facciamo per tenere le famiglie unite.
DIACO DEDICA A BONOLIS STAND BY ME DI BEN E. KING
DIACO: PAOLO BONOLIS A IO E TE DI NOTTE! DIAMO LA LINEA AL TG 1. PAOLO, QUANTE VOLTE HAI DATO LA LINEA AL TG1?
BONOLIS: Troppe!
DIACO: DAI, RIDALLA TU! UN’ALTRA VOLTA…
BONOLIS: Zitto, so’ emozionato! Tg1, Yeah!
Mediaset, da Paolo Bonolis a Maria De Filippi: i compensi dei conduttori di punta della rete. Pubblicato giovedì, 23 maggio 2019 da Corriere.it. Nelle ultime settimane si è parlato molto dei compensi Rai, che periodicamente finiscono sotto accusa: l'ultima pietra dello scandalo sono i presunti 17 mila euro per soli due minuti di impegno che l'azienda sarebbe stata pronta a versare a Fiorello (circostanza già ampiamente smentita in primis dal conduttore siciliano). Ma in ogni caso i guadagni di chi lavora a viale Mazzini sono molto lontani da quelli che ottengono da Mediaset alcuni conduttori e conduttrici di punta: basti pensare che Paolo Bonolis riceverebbe, secondo quanto riportato da Italia Oggi, ben 10 milioni di euro all'anno. Il conduttore - così come altri suoi colleghi - sarebbe pagato con una quota fissa a cui vengono aggiunti i compensi per gli altri programmi (il preserale «Avanti Un Altro» e le trasmissioni in prima serata come «Ciao Darwin»).
Da SPY 23 maggio 2019. Bravo Paolo Bonolis, ma “Ciao Darwin” l'ho inventato io 41 anni fa ad “Antenna 3 Lombardia”. Il programma di Bonolis non è che l'evoluzione della mia “Bustarella” che, nel 1983, faceva due milioni di telespettatori solo in Lombardia. L'impostazione è la stessa: i giochi, le sfide, le belle donne. Miss Bustarella è diventata Madre Natura. Non per niente il primo regista di Ciao Darwin, Beppe Recchia, è stato anche lo storico regista de "La Bustarella". Ma loro, secondo me, l'hanno fatta fuori dal vaso. Noi facevamo prevenzione sui giochi, si stava molto attenti. Lì forse si sono fatti prendere la mano e qualcuno si è fatto male». Non ha peli sulla lingua Ettore Andenna, uno dei padri delle televisioni private in Italia e conduttore di programmi di successo in Rai (come “Giochi senza frontiere”), nel commentare in esclusiva con il settimanale Spy uno dei programmi più seguiti e discussi della Televisione, “Ciao Darwin”, soprattutto dopo l'infortunio accaduto a uno dei concorrenti di questa edizione. La sua “La Bustarella” è stato uno dei programmi più visti in Lombardia tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta ed è stato il palcoscenico da cui sono partire tante future star della televisione generalista. «Solo due persone hanno sempre avuto il coraggio di riconoscere di aver debuttato con me - dice Ettore Andenna a Spy -, Carmen Russo e Gianfranco Funari, a cui feci fare “A bocca aperta”. Perché gli altri lo rinnegano? Perché trovano sminuente essere partiti da “La Bustarella”. Preferiscono dire di aver debuttato in Rai o a Mediaset. Provi a chiedere a Isabella Ferrari de "La Bustarella". Lei dirà che è nata con Boncompagni in Rai, quando in realtà faceva “Miss Piacenza" da noi». Oggi Ettore Andenna è fuori dal grande giro televisivo (conduce un programma mattutino su Milano Pavia Tv) anche se i suoi programmi sono stati spesso imitati. «Quando ero direttore generale di Telemontecarlo, nel 1980, faci fare un gioco che si chiamava "Gli affari sono affari" dove, al posto delle buste, c'erano proprio dei pacchi. Quando poi nel 2002 mi son visto spuntare fuori “Affari tuoi”, che era un format olandese, non nego di essermi un pochino incazzato. Ho sempre anticipato i tempi, ma adesso vorrei che i tempi mi raggiungessero, una volta tanto. Qualche idea divertente ce l'avrei ancora, ma me la porterò nella tomba».
Da Leggo il 13 ottobre 2019. Il primo figlio di Paolo Bonolis, Stefano, si sposa. Il primogenito del conduttore, che vive negli Stati Uniti, si sposa con una bellissima e procace ragazza americana: Candice Hansen. L'attuale compagna di Bonolis, Sonia Bruganelli, su Instagram ha postato più di una foto dell'attesa della cerimonia, con tutta la famiglia Bonolis in attesa dell'arrivo della sposa. Paolo Bonolis ha cinque figli, i primi due sono nati da un matrimonio in età giovanile con l'americana Diane Zoeller; mentre con Sonia ha avuto altri tre figli: Davide, Silvia e Adele. Quello che colpisce, a prima vista, è certamente la forte somiglianza tra Paolo Bonolis e il figlio Stefano. Il primogenito di Bonolis sembra identico al padre, con giusto qualche chilo in più. Nella foto seguente si possono vedere il Padre Paolo insieme ai due figli maschi: Stefano, appunto, in procinto di sposarsi, e il figlio "italiano", Davide. La moglie di Stefano Bonolis, è una bellissima ragazza americana, di nome Candice Hansen che ama riprendersi in numerosi selfie, su Instagram. Candice nelle foto ama ritrarsi in pose sexy, anche in costume, foto che vengono molto apprezzate dai suoi follower, che la sommergono di like.
Paolo Bonolis, la rivelazione su Luca Laurenti: "Non si direbbe, ma lo è..." Libero Quotidiano l'1 Ottobre 2019. "Il presentatore Bonolis che vedete in televisione, quello caciarone, è una maschera". Queste le parole di Paolo Bonolis intervistato da Tv Sorrisi e Canzoni a margine della presentazione del suo primo libro Perché Parlavo da Solo. Lo storico presentatore televisivo di Ciao Darwin e Avanti un Altro! ha voluto spiegare il perché di questo suo modo di fare in tv, quasi pirandelliano: "La mia è una maschera sincera, è l'unica che ho e che mi corrisponde profondamente, alla perfezione. Se non lavorassi in tv, non sarei in grado di esprimere questo lato giocoso e burlone del mio carattere". Inoltre, il conduttore ha rivelato che una qualità che apprezza maggiormente nelle persone è la velocità mentale, caratteristica che accomuna due tra le persone più importanti della sua vita, la moglie Sonia Bruganelli e l'amico di sempre Luca Laurenti: "Mia moglie è velocissima mentalmente. Persino Laurenti lo è, anche se non si direbbe". Infine, ha parlato della sua intesa vincente con il collega Laurenti: "La nostra sintonia è fulminea, da sempre".
Paolo Bonolis: "La mia prima esperienza? Con una scandinava, era disponibile, ma sputava". Paolo Bonolis, ospite di Porta a Porta per presentare il suo libro, ha raccontato dei suoi primi "sussulti ormonali" e di una ragazza scandinava, molto disponibile, ma con un vizietto davvero particolare. Novella Toloni, Venerdì, 04/10/2019, su Il Giornale. Paolo Bonolis è stato il protagonista assoluto della puntata di Porta a Porta in onda ieri sera. Ospite di Bruno Vespa, il popolare conduttore ha presentato il suo primo (e ultimo) libro "Perché parlavo da solo", un'autobiografica che mostra un Bonolis più intimo e diverso da quello che siamo abituati a vedere in televisione. Al cospetto di Vespa, però, Paolo Bonolis non si smentisce: ammicca, scherza, parla con un linguaggio raffinato e innesca gag irriverenti con il padrone di casa. Soprattutto quando si inizia a parla di donne. "È con un ragazza scandinava, che si chiamava Serpa, che in Inghilterra ebbi dei sussulti ormonali di una certa rilevanza", cita Bruno Vespa dal libro di Bonolis, aprendo una parentesi divertente sulle prime esperienze del conduttore con l'altro sesso. "Diciamo che Serpa è stata la prima figura con la quale ebbi un qualcosa che assomigliava a quello che poi sarebbe diventato cinque figli. – racconta divertito Paolo Bonolis - Lei era ben disposta, carina e disponibile ma sputava, ogni tanto faceva così…(verso). In tempo de' guerra non si butta via niente, Brunello”. L'aneddoto, quasi comico, offre lo spunto a Vespa di accostare la figura di Paolo Bonolis a quello delle donne: "Diciamo che sei stato, in un fortunato periodo della tua vita, beato tra le donne". Dagli esordi nel 1995 con Milly Carlucci, al primo matrimonio con l'americana Diane Zoeller fino alle seconde nozze con Sonia Bruganelli. Momenti importanti della sua vita che il conduttore ha ripercorso nel suo libro, tra racconti e riflessioni: "Si tratta però di un libro definitivo, il primo e ultimo. Quello che avevo da dire, da trasferire ai miei figli, l'ho trasferito ed è più che sufficiente".
Francesco Persili per Dagospia il 4 ottobre 2019. “Eccomi qua sono il fanciullo nietzschiano che danza sull’abisso”. Paolo Bonolis si immagina in bilico. Fra le contraddizioni della società, Totò e Alberto Sordi, la poesia di Baudelaire e le tette di Madre Natura. Cinico ma romantico, senza filtri e anticonvenzionale, il conduttore ha deciso di raccontarsi in un libro "Perché parlavo da solo" (Rizzoli). “L’ho scritto per consegnare ai miei figli tutto quello che ho conservato…Ma non è un testamento”, assicura nel salotto di "Porta a Porta": “Il titolo? Mi ritrovavo a parlare da solo di tante cose. Pensavo fosse una patologia. Allora mi sono detto: ‘Scrivo’. La scrittura come “cosmesi della patologia”. Una definizione che scatena l’ironia di Bruno Vespa: “Come parla bene, Paolo, purissima Accademia della Crusca. Un refrigerio, visto che l’italiano non lo parla più nessuno…”. Con lo stesso spirito indagatore di quando da bambino sognava di fare l’esploratore leggendo i romanzi di Salgari e Verne e la passione per la scoperta che lo ha portato con ‘Bim Bum Bam’ ad attraversare i territori della leggerezza e del cazzeggio tirandosi dietro Pier Silvio Berlusconi (che lo seguiva ogni pomeriggio) e la generazione degli attuali 40enni, Bonolis nel libro pone domande non banali. Su Internet: Ci sta rincoglionendo? Sulla fede: E’ davvero come sostiene il conduttore “un ammorbidente per l’angoscia”? E anche sugli animali domestici: “Perché un gatto deve stare su un divano con i cojoni tagliati? E’ un atto lecito o arbitrario castrarlo?” Si parla di ambiente (“Mi preoccupano i cambiamenti climatici che molti continuano a negare rendendosi assolutamente ridicoli”), sesso (“I primi sussulti ormonali li ebbi con una ragazza scandinava che sputava tantissimo. In tempo di guerra non si butta niente. La mia prima volta fu con una francese, ‘na matta. Durò tra l’uno e i tre secondi. Fu una cosa istantanea, una tana libera tutti”) e c’è, vivaddio, tantissimo sport. Le Olimpiadi, il calcio di strada di Cruijff, Muhammad Alì, le bocce, il racconto della finale di Champions Inter-Bayern in un bar del Vermont pieno di tedeschi come in una versione riveduta e scorretta di ‘Pane e Cioccolata’. Alla fine la felicità è, come insegna Flaiano, desiderare ciò che si ha: una partita con gli amici, la musica anni ’60-’70, il cinema, la letteratura (il realismo magico di Marquez ma anche Theodore Roszak con il suo libro “La nascita di una controcultura”, “una bella botta…”) i viaggi ché “si impara più da mille chilometri che da centomila pagine di libri”. Si ride con Alberto Sordi che ai tempi di ‘Tira&Molla’ gli chiede a bruciapelo: “Ma davvero je date tutti quei cazzo di premi?”. Riciccia l’aneddoto del primo incontro alla toilette del Teatro Nazionale di Milano con Raimondo Vianello. Usciti dal bagno, lui mi disse: “Vabbe’, non sarà il caso di stringersi la mano, vero?”». E poi Freddie Mercury incontrato in una cena a Londra. Iniziammo a chiacchierare. Dopo un po’ capii che avrebbe voluto che andassimo da qualche altra parte… Io misi subito le cose in chiaro: “Freddie, adoro la sua musica. Ma davvero: non è robba pe’ me”. Lui mi diede una pacca sulla spalla e si fece una risata…”. Non mancano frammenti di storia della tv. Il concorrente che a 'Doppio Slalom' davanti alla definizione “Celebre quadro del Goya” rispose: “La mona desnuda”, invece di “La Maja desnuda”. Oppure quello che a “Urka” alla domanda “Lo incontrò Mosè sul Sinai”, rispose serenamente Saronni. Naturalmente senza Gianfranco Funari non ci sarebbe stato il Paolo Bonolis che infrange l'ortodossia, duetta con i concorrenti in un vortice di battute, improvvisazioni, comicità surreale come nella mitologica telefonata con i fratelli Capone. Anche l’idea base di “Ciao Darwin” con due gruppi di persone in due tribune che si fronteggiano è di stretta derivazione funariana. Ai critici che hanno definito trash “Ciao Darwin” la replica è al veleno: “Più che trash, è grottesco. Ma sembra essere compreso dal pubblico nella sua giocosità. Gli ascolti parlano chiaro. C’è molta presunzione nel voler giudicare. Non credo ci sia cattiveria nelle penne dei critici però ignoranza sì. I trafiletti della critica non li leggo più. Hanno scritto perfino che sudo. Sì, sudo. Ma che caspita di critica è? Allora io non leggo l’articolo perché chi l’ha scritto è brutto…” Innamorato di Roma, non si rassegna alla decadenza dell’Urbe: “Per questa prigionia di bruttura nella quale è incastrato, il romano sta diventando sempre più aspro nei confronti degli altri. Dirà pure “sti cazzi” ma è arrabbiato perché si rende conto che la città più bella del mondo si sta sgretolando sotto i suoi occhi. E c’è anche una sua parziale e importante correità in tutto questo. Noi romani potremmo essere gli anticorpi di questa città malata e invece…”. Diffidente nei confronti di ogni ideologia, non ha mai pensato di entrare in politica. Una volta Berlusconi gli propose di diventare portavoce di Forza Italia. “Risposi: Presidè nun lo posso fa’”. “E perché mai chiese lui? “Manco l’ho votata a lei…”
Paolo Bonolis: "Mia moglie Sonia ha la precisione di un cecchino, sa dove colpire". Redazione Tvzap l'1 ottobre 2019.
Una dichiarazione d’amore sui generis per il conduttore alla moglie mentre presenta il suo libro. “Ha l’intelligenza, la precisione di un cecchino. Sa dove colpire, prende la mira e preme il grilletto” così Paolo Bonolis descrive la moglie Sonia Bruganelli in una intervista a Tv Sorrisi e Canzoni per presentare il suo libro “Perché parlavo da solo”. Parole che non sembrano d’amore, ma che in realtà col fare scanzonato del conduttore sottendono una grande ammirazione e stima per la donna che gli sta accanto dal 1997, Sonia Bruganelli, sposata nel 2002, e con cui ha avuto tre figli: Silvia, Davide e Adele. Il motivo di questa ‘dichiarazione’ è legato ad una battuta sul look del conduttore “Non do peso al look, alla moda” spiega Bonolis “Mia moglie non si capacita. Le non mi dice ‘Ma come ti sei vestito?’. Lei va oltre. Sonia mi chiede ‘Da che cosa ti sei vestito?'”. E ancora “Mia moglie è velocissima mentalmente”.
Sonia Bruganelli e le polemiche social. D’altra parte Sonia Bruganelli non è solo la moglie di Paolo Bonolis, ma un’imprenditrice che ha una società, la Sdl2005, di casting e produzioni tv. E inoltre spesso protagonista di polemiche social. Circa le critiche sulla ostentazione dei suoi lussi, Sonia ha difeso il suo modo di agire durante una ospitata da Barbara d’Urso: “E’ la mia vita, è il mio Instagram e non voglio vendere nulla, non ho voglia di far vedere i momenti meno luminosi della mia vita, i lati meno leggeri non li mostro, li tengo per me. Non mi importa che qualcuno non mi voglia bene perché mi vede troppo spesso comprare una borsa e poco spesso nei miei momenti di difficoltà. Sono diventata famosa per osmosi, non offendo nessuno, non metto foto nuda o seminuda, e io e Paolo siamo persone diverse. Amo le cose leggere e voglio condividere cose leggere e divertenti, è evidente che possiamo permetterci molte cose.”
Paolo Bonolis e il suo primo libro. Paolo Bonolis esordisce in libreria con “Perché parlavo da solo”, una autobiografia e non solo. Ma perché questo titolo? “Nasce dalla verità: io, mentre rifletto, parlo da solo. Mi sono detto: sarà una patologia? Scrivere poteva essere una terapia”.
Sonia Bruganelli: "Paolo Bonolis lavora meno di me". Sonia Bruganelli rivela di lavorare molto di più del marito Paolo Bonolis e annuncia di voler cambiare alcune cose in Ciao Darwin: "E' troppo maschilista". Luana Rosato, Giovedì 23/05/2019, su Il Giornale. Imprenditrice a capo dell’azienda che produce Ciao Darwin, Sonia Bruganelli ha ammesso di lavorare molto di più del marito Paolo Bonolis. “Paolo lavora meno di me, perché io organizzo tutte le sue trasmissioni. In pratica, lui arriva quando ci sono le prove e poi in occasione della puntata – ha spiegato in una intervista a Tpi news, chiarendo il suo punto di vista sul riscontro di pubblico per uno show goliardico come Ciao Darwin - . Non c’è un segreto per raccontare il successo di questa trasmissione. Fa divertire e alla gente piace, perché qui è tutto reale senza finti sentimenti. L’ultima puntata ha fatto il botto con il risultato più alto della programmazione”. La puntata a cui fa riferimento Sonia Bruganelli è quella che ha visto scontrarsi rappresentanti della tv contro quelli del web e, in seguito alla quale, un blogger ha anche denunciato un atteggiamento di Paola Perego che è stato cancellato dalla messa in onda. Intanto, per la prossima edizione del programma, la moglie di Paolo Bonolis ha in mente importanti novità che riguardano proprio il modo in cui verranno gestiti i protagonisti del cast: “Stiamo pensando di inserire più uomini. Mica devono esserci solo belle donne". "Ciao Darwin è un programma maschilista: vorrei che nel programma fosse dato lo stesso spazio degli uomini alle donne [...] Lì dentro sono tutti maschi sono una delle poche donne e combatto per mettere gli uomini”, ha fatto sapere la Bruganelli, lasciando intendere che dalla prossima stagione dello show potrebbe esserci equità tra uomini e donne. Non troppa però, perchè altrimenti la conduzione rischierebbe di essere affidata ad un altro presentatore.
"La famiglia del Mulino Bianco non esiste". Il post misterioso della moglie di Bonolis. Sonia Bruganelli sorride sempre nelle sue foto, mentre suo marito Paolo Bonolis è uno dei conduttori più divertenti della tv italiana. Eppure anche loro vivono una normalità fatta di problemi perché "La famiglia del Mulino Bianco non esiste". Francesca Galici, Lunedì 27/05/2019, su Il Giornale. Al contrario di suo marito, Sonia Bruganelli è piuttosto social e condivide con i suoi tantissimi follower la sua quotidianità. Provocatrice ma con eleganza, la Bruganelli è spesso al centro di polemiche infiammate per la sua non celata passione per il lusso e la bella vita. Vacanze da sogno con aerei privati, shopping di lusso e cene in ristoranti di un certo livello attirano tantissimi commenti negativi all'imprenditrice, che senza curarsene continua a divertirsi e a godersi il frutto del suo lavoro. Tra questi scatti tacciati di “ostentazione”, però, c'è spazio per la sua grande famiglia. Tre figli e un grande amore quasi ventennale con Paolo Bonolis, che compare poco negli scatti della moglie. Foto in vacanza al mare oppure momenti di relax sul divano ne fanno emergere il lato “normale” e casalingo, comune a tutte le famiglie. Scavando tra le vecchie foto del passato, Sonia Bruganelli ha trovato uno scatto che la ritrae assieme a suoi marito e a tutti i loro figli, un quadro familiare completo che trasmette gioia e serenità. Eppure, è la stessa Sonia a raccontare come, dietro sorrisi apparentemente spensierati, non sia tutto così perfetto. “Ho ritrovato oggi una foto di qualche anno fa e alla gioia di rivederli così piccoli si è aggiunta la consapevolezza della fatica e dell’impegno costante che sono dietro foto che sembrano perfette.” Comincia così il lungo post di Sonia Bruganelli, che in qualche modo getta la maschera della perfezione, quella patina luccicante che agli occhi meno attenti fa sembrare la sua vita senza problemi. “La famiglia del Mulino Bianco non esiste, esistono, nel nostro caso, genitori imperfetti che hanno preso un impegno reciproco che è quello di esserci sempre per i propri figli ed io e Paolo Bonolis quotidianamente lavoriamo per questo. Tutto il resto è noia.” Una vera dichiarazione d'amore incondizionato per la famiglia da parte di Sonia Bruganelli, donna forte e coraggiosa che ogni giorno affronta le difficoltà di una famiglia “speciale” e numerosa, solo con qualche agio in più.
QUAL È IL MOMENTO BONOLIS PER MOLLARE? Da Fanpage l'11 maggio 2019. Il successo di “Ciao Darwin”, le polemiche sul programma, un eventuale ritorno a Sanremo, “Il Senso della Vita”, i figli e il rapporto coi social. Paolo Bonolis si racconta a Fanpage.it e si sbottona sul suo futuro, che non è detto sia a Mediaset e che di certo non sarà su internet. Sul successo di questa ottava edizione di "Ciao Darwin" Bonolis spiega a Fanpage.it: "Vogliamo rappresentare quella deriva malconcia delle nostre abitudini quotidiane. [...] Ciao Darwin è ed è sempre stato questo, un'occasione per ridere delle nostre incongruenze: morali, sociali, umane" sottolineando come il programma non voglia educare il pubblico "semmai sottolineare, non siamo migliori né peggiori degli altri. Abbiamo tutti incongruenze e scempiaggini che la trasmissione vuole raccontare, ma sempre col sorriso. Cercavo di farlo a "Bim Bum Bam" e cerco di farlo oggi. Credo che l'imperiosa volontà accademica sia un po' noiosetta, [...] Preferisco la leggerezza intrisa di qualcosa che può essere una riflessione, un accenno di cultura". Sul futuro, Paolo Bonolis parla di una possibile uscita dalla zona di comfort: "I miei programmi sono privi di antenati e quando parli con chi deve investire del denaro, in un ambiente che vuole i suoi frutti immediati, come accade in televisione, è difficile far affrontare orizzonti nuovi. Non a caso si lavora spesso su format consolidati. Sulle cose nuove devi convincere qualcuno e non è detto che tu ci riesca" e aggiunge "Non c'è un luogo adatto per sperimentare, ci sono delle persone adatte a farlo, quelle che vivono di entusiasmi". Sulla resistenza alla logica del web e dei social dimostrata negli anni, Bonolis rivela "Sinceramente non mi interessa. Ci vedo più problemi che vantaggi nel web, per una ragione molto semplice: la natura umana distingue con molta difficoltà l'uso dall'abuso. E se diventa un abuso, uno smartphone è un vampiro, che ti succhia attenzione per la realtà. La virtualità diventa la realtà delle nuove generazioni e nel momento in cui ti ci perdi dentro, la realtà se ne va a ramengo. Ma nella realtà noi ci viviamo, nella virtualità ci facciamo il bidet". Infine, alla domanda "Si stuferà mai di fare televisione?" il conduttore risponde "Probabile. Arriverà quel momento, ma soprattutto arriverà quando mi renderò conto, e ci siamo vicini, di non poter essere più contemporaneo. Non mi va di diventare un vecchio che disperatamente cerca di imporre se stesso con un linguaggio non più adatto ai tempi".
"Ciao Darwin, tutti zitti dopo l'incidente". Pubblicato giovedì, 25 aprile 2019 da Il Giornale.it. Certamente è solo rispetto, riservatezza, cautela prima di apprendere direttamente dai medici le condizioni del paziente. Però il silenzio di Mediaset è assordante. Nessun comunicato, nessuna espressione di dispiacere sul dramma del concorrente, di nome Gabriele, caduto durante una prova, quella dei rulli rotanti, di Ciao Darwin e che ora rischia la paralisi. Ci si aspettava un segnale di solidarietà anche da parte del conduttore Paolo Bonolis, sempre così loquace e propenso a gesti di solidarietà. Invece nulla. Probabilmente i vertici Mediaset hanno scelto questa strada anche per questioni di privacy, però una parola di Bonolis avrebbe interferito in qualche modo? Soprattutto la famiglia si è detta delusa dalla redazione del programma perché nessuno, secondo Stefano Ambrosetti, il cugino che sta parlando con i media delle condizioni di Gabriele, ha espresso vicinanza dopo quanto accaduto. "Un silenzio assordante - dice a Radio Capital -. Mi aspettavo più vicinanza da parte della produzione". Il cugino si è espresso con grande preoccupazione sulla salute del parente, un impiegato romano. "È fermo, non si muove. I medici non si sono sbilanciati, però non lasciano tante speranze. Parlano più di un miracolo che di speranze. Purtroppo si sente le gambe come se fossero macigni di cemento". Sempre secondo il cugino, Gabriele avverte piccole scosse sul lato sinistro, una cosa positiva, ma bisognerà vedere cosa accadrà nei prossimi giorni. Intanto la puntata di domani non andrà in onda, decisione non legata alla vicenda di Gabriele, ma a questione di ascolti.
Ciao Darwin, concorrente paralizzato: il terrificante messaggio nella chat, "a noi hanno detto che...", scrive il 25 Aprile 2019 Libero Quotidiano. Il caso di Gabriele, il concorrente rimasto paralizzato durante le registrazioni di Ciao Darwin, si complica. Non solo per le accuse del cugino, che sta gestendo la vicenda da un punto di vista mediatico. Non solo per la nota diffusa da Mediaset, che ha rotto il silenzio senza però sciogliere alcuni nodi che appaiono decisiva. Ora infatti spunta anche quanto scrivevano alcuni concorrenti in una chat dove si radunano i concorrenti del programma di Paolo Bonolis. Rivolgendosi al cugino di Gabriele, Stefano, un concorrente ha spiegato: "A noi hanno detto che non era grave". E Stefano replica: "Invece è molto grave. E la produzione lo sapeva già quando è arrivato al pronto soccorso. Poi giovedì sapevamo che era completamente paralizzato". E ancora, il concorrente sconcertato: "Ma giovedì ci hanno fatto registrare". Insomma, almeno stando alle chat, pare evidente che qualcuno non abbia detto tutta la verità.
Ciao Darwin, concorrente paralizzato: "Non ci lasciano speranze", altre durissime accuse a Mediaset e Bonolis, scrive il 25 Aprile 2019 Libero Quotidiano. Ancora polemiche su Ciao Darwin, il programma di Paolo Bonolis in onda su Canale 5, per il caso del concorrente paralizzato in seguito a un incidente accaduto durante le registrazioni di un gioco. Il punto è che sulla vicenda il silenzio di Mediaset è assordante, così come quello del presentatore, da cui ci si aspettava un gesto. Il silenzio, forse, è dovuto a ragioni di privacy. Eppure il silenzio non è soltanto pubblico, perché la famiglia dello sfortunato concorrente accusa ancora. A parlare è Stefano Ambrosetti, cugino di Gabriele, l'uomo paralizzato. "Un silenzio assordante - ha affermato a Radio Capital -. Mi aspettavo più vicinanza da parte della produzione, non abbiamo ricevuto neppure una telefonata". Stefano, che si è preso carico di comunicare con i media, parlando del cugino ha aggiunto: "È fermo, non si muove. I medici non si sono sbilanciati, però non lasciano tante speranze. Parlando più di un miracolo che di speranze. Purtroppo si sente come se le gambe fossero macigni di cemento", conclude Ambrosetti.
Gabriele paralizzato dopo «Ciao Darwin», il dolore del cugino: «I social lo insultano». Pubblicato giovedì, 25 aprile 2019 da Ilaria Sacchettoni su Corriere.it. Nuovi sviluppi sul caso del concorrente di «Ciao Darwin» infortunatosi durante la registrazione dell’ultima puntata su un macchinario a rulli (il «Genodrome»), uno dei giochi del programma. Gabriele, 54enne romano, è stato ricoverato e operato al policlinico Gemelli di Roma e secondo quanto comunicato dal cugino, Stefano Ambrosetti, «nonostante l’intervento sia riuscito, potrebbe rischiare la paralisi degli arti inferiori per lo schiacciamento di due vertebre. Gabriele è vigile e cosciente ma non riesce a muoversi. Le sue condizioni sono critiche». Lo stesso Ambrosetti ha criticato anche l’operato della produzione che ha poi contattato la famiglia per correre ai ripari vista la gravità della situazione. «Canale 5, Paolo Bonolis e Sdl2005, società di produzione del programma - si legge in una nota Mediaset - informano di aver preso contatti formali nei giorni scorsi con la famiglia del concorrente infortunatosi nel corso delle riprese della trasmissione. Oltre a manifestare vicinanza umana e rammarico per l’accaduto, Canale 5, Paolo Bonolis e Sdl2005 hanno chiesto informazioni esatte sulle condizioni del concorrente, al di là dei sommari resoconti di stampa e si sono messe a disposizione per tutto quanto si rendesse necessario. È stato inoltre comunicato alla famiglia di aver già attivato la polizza assicurativa a copertura dell’infortunio». Nel frattempo, Mediaset, ha deciso che non andrà in onda la puntata prevista per venerdì 26 aprile che slitta al 3 maggio.
COMUNICATO STAMPA MEDIASET del 25 aprile 2019. Canale 5, Paolo Bonolis e Sdl2005, società di produzione del programma “Ciao Darwin”, informano di aver preso contatti formali nei giorni scorsi con la famiglia del concorrente infortunato nel corso delle riprese della trasmissione. Oltre a manifestare vicinanza umana e rammarico per l’accaduto, Canale 5, Paolo Bonolis e Sdl2005 hanno chiesto informazioni esatte sulle condizioni del congiunto, al di là dei sommari resoconti di stampa, e si sono messe a disposizione per tutto quanto si rendesse necessario. È stato inoltre comunicato alla famiglia di aver già attivato la polizza assicurativa a copertura dell’infortunio.
Paolo G. Brera per “la Repubblica” il 25 aprile 2019. «Ci hanno detto che non era grave, e ci hanno fatto registrare » . Tutto il cinismo della tv - dello show must go on a tutti i costi e sempre - scorre in uno scambio di messaggi postato da uno dei concorrenti di Ciao Darwin sul gruppo WhatsApp dei " finti giovani", la squadra di cui faceva parte Gabriele Marchetti. Gabriele, 54 anni, fisico imponente, mercoledì scorso è caduto rovinosamente durante le prove del "gioco" più pericoloso della trasmissione di Paolo Bonolis, il genodrome. Oggi è sdraiato su un letto della terapia intensiva nel reparto di Neurochirurgia del Policlinico Umberto I di Roma: « Paralizzato dalla testa in giù», spiega il cugino Stefano Ambrosetti. Nessuno sa, per ora, se riuscirà a muovere gambe e braccia, il midollo ha sofferto una lesione e per ora «sono immobili come macigni», dice Stefano. Ma nessuno perderà l' ebbrezza del brivido: la puntata in cui Gabriele rischia seriamente una condanna a vita alla tetraplegia sarà trasmessa il 10 maggio, spiegano fonti Mediaset. Se domani Ciao Darwin non va in onda saltando una settimana « è solo perché ha una raccolta pubblicitaria gigantesca » e non verrà sprecata in giorni di bassa audience. L'incidente non conta con la decisione, precisa Mediaset. Il 10 la puntata dei " finti giovani" ci sarà, e senza tagli. Compreso il divertimento del genodrome, il micidiale Takeshi' s Castle con i pericoli di un percorso impossibile in cui scivolare, cadere, inciampare. In Italia lo importò Mai dire Banzai! della Gialappa' s: ridevamo delle follie giapponesi, poi le abbiamo copiate. Naturalmente, Gabriele non ci sarà: s' è giocato due vertebre mercoledì pomeriggio alle prove, alle quali partecipava anche Bonolis, e la trasmissione è stata registrata regolarmente il giorno dopo. « A noi hanno detto che non era grave » , spiega un concorrente al cugino di Gabriele, Stefano, in una chat postata sul gruppo. «Invece è molto grave - replica Stefano - e la produzione lo sapeva già quando è arrivato al pronto soccorso. Poi giovedì sapevano che era completamente paralizzato». «Ma giovedì ci hanno fatto registrare! » , risponde sconcertato il concorrente. Mediaset, la Produzione e gli agenti di Bonolis, che abbiamo interpellato, preferiscono «non commentare, al momento». Gli avvocati sono al lavoro, la prognosi è riservata. Non arriva nemmeno una parola di conforto alla famiglia di Gabriele, alla moglie Sabrina e al figlio che lo assistono nei rigidi orari di visita del Policlinico. « Quello che mi fa male - ha detto ieri a Radio Capital Stefano Ambrosetti - è il silenzio assordante da parte della produzione. Nemmeno una parola per dire "Siamo vicini a Gabriele", ci dispiace. Mi aspettavo più vicinanza da parte della produzione. Prendono dilettanti allo sbaraglio e li mettono su giochi in cui, essendoci Mediaset dietro, ti auguri la pericolosità sia zero». «Noi della squadra dei "finti giovani" - racconta un concorrente - avevamo appuntamento per le prove mercoledì alle 14. Si inizia con la presentazione, un appello in cui ti alzi in piedi e dici nome e età. Alla fine si riuniscono e, anche in base alle preferenze, decidono a quali prove parteciperai. Poi ci hanno divisi e alle 17 abbiamo registrato le varie prove». Per fortuna c' è un' ambulanza pronta, davanti agli studi: quando Gabriele corre sui rulli bagnati e precipita goffamente, in pochi capiscono la gravità: « Ciao Gabriele, ero anche io a Roma per la trasmissione. Mi dispiace, nessuno sapeva quello che era successo veramente », scrive un altro "finto giovane". Ma la Produzione sì che sapeva. Contatta il cugino, ottiene il numero della moglie e l' avverte. Giovedì, però, è un altro giorno. Si registra la puntata e Gabriele « sta bene » , tranquillizzano i concorrenti, «nulla di grave » . Le solite battute di Bonolis, le solite risate del pubblico. Le solite cadute sul genodrome. Poche puntate prima, una donna ci si era spezzata tibia e perone. Ora uscirà definitamente di scena? «Voci infondate», dicono a Mediaset.
«Ciao Darwin» finisce sotto inchiesta dopo l’incidente: perizia sul macchinario. Pubblicato sabato, 27 aprile 2019 da Corriere.it. La trasmissione «Ciao Darwin» finisce sotto inchiesta dopo l’incidente, avvenuto lo scorso 17 aprile, a causa del quale un concorrente di 54 anni, Gabriele Marchetti, rischia di restare paralizzato. L’accusa ipotizzata dalla procura è lesioni colpose. Per il momento non ci sono indagati, ma il pm Nunzia D’Elia ha posto sotto sequestro i rulli del Genodrome, il gioco durante il quale Marchetti si è infortunato. Sul meccanismo è stata disposta una consulenza, per verificare se ci siano delle responsabilità individuali su come abbiano funzionato i rulli il giorno della registrazione della trasmissione. Nella relazione è stabilito che venga consegnata entro sessanta giorni. Tempi, che difficilmente verranno rispettati per le difficoltà dovute alla complessità del caso. Pertanto è presumibile una proroga, con probabile deposito della consulenza entro la fine dell’estate. L’indagine è ancora in embrione, mentre Marchetti è ricoverato nel reparto di terapia intensiva del policlinico Gemelli, dove i medici stanno facendo il possibile per salvare l’uomo dalla paralisi che rischia per via dello schiacciamento di due vertebre. Non c’è soltanto il 54enne ad aver riportato delle conseguenze per le modalità di svolgimento del gioco. A rimanere infortunata a un piede sarebbe stata anche Deborah Bianchi, una personal trainer romana. È la donna ad aver raccontato nei giorni scorsi l’episodio su Instagram, dicendo di aver partecipato alla prima puntata dello show di Canale 5, «Chic contro Choc». Anche lei si sarebbe fratturata un piede durante il gioco del Genodrome. Ora un passo indietro al giorno dell’incidente che risale al 17 aprile. Marchetti si trova davanti ai rulli, dopo aver superato le precedenti fasi del gioco che prevedono di effettuare un percorso a ostacoli con prove come: scalare pareti ripide, scendere da scivoli, attraversare laghetti saltando su sassi poco stabili mentre si è investiti da un getto d’acqua. L’ultima prova è la corsa sui rulli rotanti, in cui bisogna evitare di finire in acqua. Proprio nel corso di quest’ultimo test Marchetti cade. Un impatto tremendo che, oltre allo schiacciamento di due vertebre, causa una lesione al midollo che ha compresso il torace. Giovedì Canale 5, Paolo Bonolis e Sdl2005 - la società di produzione del programma - hanno manifestato con un comunicato la loro vicinanza al concorrente e alla famiglia, pur rimarcando che per loro il macchinario non sarebbe fuori norma. Intanto alcuni partecipanti al gioco, presenti in trasmissione quel pomeriggio, hanno ricordato quanto successo negli studi durante la registrazione. Una donna racconta di essersi trovata dietro a Marchetti durante il gioco e rammenta di averlo visto cadere in un modo che è parso subito serio, tanto da imporre l’immediato intervento di un medico. Altri concorrenti, in una chat, hanno spiegato che i responsabili della trasmissione nell’immediatezza avrebbero escluso gravi conseguenze per Marchetti, disponendo il proseguimento delle registrazioni.
Da Il Messaggero il 27 aprile 2019. «Bisognava fermare il gioco, c'erano stati altri incidenti. Se non avessi alzato un polverone avrebbero taciuto». E' bufera sul programma Ciao Darwin dopo che, nelle scorse settimane, durante lo show condotto da Paolo Bonolis, uno dei partecipanti è caduto ed è finito in ospedale e ora rischia la paralisi. «Il comunicato di Canale 5 e della produzione del programma sull'incidente è arrivato troppo tardi e bastava esprimere vicinanza alla famiglia». Lo afferma all'Adnkronos Stefano Ambrosetti, cugino del 54enne concorrente del programma in onda sulla rete di Mediaset che rischia di rimanere paralizzato dopo la caduta sui rulli del Genodrome durante la registrazione di una puntata, spiegando che non gli è proprio piaciuto il passaggio in cui si sottolinea che è stata attivata la polizza assicurativa: «Da cugino mi sembra una presa in giro». «Io la settimana prima ero andato come concorrente di riserva alla registrazione della puntata "Juve contro tutti" e non dicevano che il gioco era pericoloso», ha riferito il cugino del 54enne ferito. Le condizioni del 54enne romano «sono sempre uguali», afferma il cugino. «Bisogna aspettare, è cosciente, ma dal collo in giù è bloccato - ha concluso - Sembrava ci fossero leggeri segnali ma nulla di più». Intanto dopo l’incidente e le polemiche, arriva l’inchiesta della Procura di Roma. I rulli di Genodrome, una delle prove più famose che i concorrenti devono affrontare durante le puntate di “Ciao Darwin”, finiscono sotto sequestro. Il procuratore aggiunto Nunzia D’Elia ha infatti aperto un fascicolo per lesioni colpose. Gabriele Marchetti, 54 anni, ricoverato nel reparto di terapia intensiva del policlinico Umberto I, rischia di rimanere paralizzato. È precipitato dai rulli giganti durante la registrazione del 17 aprile e i familiari hanno presentato un esposto in procura. E nei giorni scorsi è montata la polemica sul web dopo che sono state diffuse le chat dei concorrenti tenuti all’oscuro della gravità dell’incidente.
“CIAO DARWIN”, CIAO LIBERTÀ. Alessandro Zoppo per Il Giornale il 12 aprile 2019. Kyra Kole, la bellona ungherese di “Ciao Darwin” di Paolo Bonolis, è stata arrestata. La showgirl e DJ ungherese è finita in manette perché accusata di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. Kole, parte del cast fisso di “Ciao Darwin”, nota per la sua collaborazione con i Gemelli Diversi e finita anche in alcuni servizi de “Le Iene”, avrebbe avviato un giro di prostituzione all’interno di un centro massaggi di Carate Brianza, con un giro d’affari di circa 70mila euro l’anno. Nata a Budapest nel 1989, Kyra Kole è stata tratta in arresto nella mattinata di venerdì 12 aprile dai carabinieri di Seregno. Il suo nome è piombato al centro di un’indagine che era iniziata lo scorso dicembre e che ha visto finire sotto sequestro anche il centro massaggi in questione e due conti correnti, “oltre a varia documentazione – spiegano le forze dell’ordine – comprovante l’attività illecita”. Dopo la denuncia animalista che potrebbe trascinare Paolo Bonolis in tribunale, questo è un altro colpo per “Ciao Darwin”. Amante della musica classica e protagonista di alcuni calendari sexy (i cui ricavi, a suo dire, sono però devoluti in beneficenza per favorire le ricerche sulla fibrosi cistica), Kole ha persino posato per un servizio di Playboy Spagna (è stata una delle playmate del 2019) e ha anche lavorato come attrice (nel 2010 accanto a Monica Bellucci e Louis Garrel nel film “Ho visto gli angeli” di Philippe Garrel) e ballerina in molti musical. Negli ultimi tempi si esibiva spesso e volentieri alla consolle come DJ. Nel 2012 ha inciso il suo primo disco, “U Got 2 Let the Music”, prodotto da Amerigo Provenzano e Mauro Minieri. Il brano omonimo è stato selezionato su varie compilation e avrebbe dovuto lanciare la sua carriera da musicista a caccia di nuovi suoni.
Federico Berni per Corriere.it il 24 settembre 2019. Di Kyra Kole si sono perse le tracce. Sui social restano le immagini di lei nel backstage dell’edizione spagnola di Playboy, o quelle di vari club, in Italia e all’estero, dove si esibiva in sessioni di musica techno, come dj. Nei palinsesti televisivi degli anni scorsi restano le sue partecipazioni come soubrette a «Ciao Darwin», varietà targato Mediaset. E negli archivi giudiziari, risulta ora una condanna in primo a grado, emessa dal tribunale di Monza, a due anni di reclusione per sfruttamento della prostituzione, col beneficio della sospensione condizionale della pena. Verdetto, quello pronunciato dal gup Pierangela Renda, al termine del processo celebrato col rito abbreviato, comunque dimezzato rispetto alle conclusioni della procura, che aveva chiesto per l’ex showgirl (vero nome: Edyna Greta Gyorgy, 34 anni, ungherese residente a Pioltello) 4 anni di reclusione. La donna era stata arrestata ad aprile dai carabinieri di Seregno, che avevano indagato su un centro massaggi hard, che la straniera gestiva con un certo piglio imprenditoriale in via Colombo, a Carate Brianza, a pochi metri da un centro parrocchiale molto frequentato da famiglie e minori. Le indagini avevano chiarito che, dietro che quelle vetrate oscurate al piano terra di uno stabile privato, lavoravano a ritmo continuo tra le quattro e le sette ragazze, soprattutto straniere. La sala massaggi (ufficialmente si presentava come «centro olistico») prevedeva tariffe tra 75 e 150 euro, a seconda della prestazione richiesta, e l’imputata, secondo le accuse, tratteneva una buona percentuale degli incassi. Gli inquirenti hanno sempre sottolineato, comunque, che le donne non erano indotte in alcun modo a prostituirsi, e su questo ha fatto leva anche la difesa. Secondo quanto emerso, Kyra le reclutava con inserzioni online. Convinta di dare una parvenza di legalità alla sua attività, le faceva aprire la partita Iva, come fossero state libere professioniste, e le faceva pagare una quota mensile per l’affitto delle stanze. Le stesse massaggiatrici litigavano animatamente fra loro per contendersi i clienti, tanto che, in più di un’occasione, si è reso necessario l’intervento dei carabinieri. In primavera, Kyra Kole aveva trascorso un periodo a San Vittore, prima di essere trasferita agli arresti domiciliari, e, infine, rimessa a piede libero.
“GLI INCIDENTI A ‘CIAO DARWIN’? TUTTO STA NELLA PREVENZIONE”. Intervistato dal settimanale OGGI, in edicola da domani, sugli incidenti occorsi nella trasmissione di Paolo Bonolis «Ciao Darwin», dice Ettore Andenna, storico conduttore di «Giochi senza frontiere»: «Tutto sta nella prevenzione, e in quello noi eravamo maniacali, avevamo addirittura una squadra che tenendo anche conto della foga dei concorrenti, testava ogni gioco per evidenziare anche la minima criticità. L’unico problema che io ricordi fu un ragazzo che si ruppe una caviglia nel 1996 a Torino. Nella deriva di oggi forse si pensa più alla spettacolarizzazione… Detto questo, Bonolis non c’entra, se c’è una responsabilità è di altri».
Da Radiocusanocampus il 30 aprile 2019. Ettore Andenna, conduttore del celebre ‘Giochi senza frontiere’, è intervenuto ai microfoni de “L’Italia s’è desta” condotta dal direttore Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus, emittente dell’Università Niccolò Cusano. Su Giochi senza frontiere. “Non c’è bisogno di chiedere il permesso a me, basta che lo rifacciano perché è richiesto a gran voce non solo in Italia, ma in tutta Europa –ha affermato Andenna-. So che la Rai ha i diritti del titolo originale fino al 7 luglio 2020, però dice che costa troppo rifare il programma. All’epoca la Rai produceva i programmi, adesso li fa produrre da esterni. Se ti affidi a un produttore esterno, quello deve misurarsi con altre 7-8 produzioni stranieri, quindi c’è un budget che viene stabilito e controllato dall’Eurovisione e il produttore esterno dice: io che ci guadagno? Oggi con le nuove tecnologie sarebbe molto divertente, perché si potrebbe mettere una telecamera su ogni atleta per vivere il gioco in prima persona. Io in conduzione? Se mi regge il fisico… Io fra un mese e mezzo faccio 73 anni. All’epoca non ci rendevamo totalmente conto che si trattava di un programma che avrebbe fatto la storia della tv, mi rendevo conto di stare dentro a un progetto e di viverlo. Non potevi condurre Giochi senza frontiere se non li vivevi, se non facevi parte della squadra, se non ti informavi sulle difficoltà del gioco, dovevi viverlo e divertirti. Noi da una settimana all’altra passavamo dall’albergo 5 Stelle alle tende in Repubblica Ceca. Io per qualche anno sono stato presidente dei presentatori, eletto dai colleghi, e si andava a mangiare tutti insieme, era bello perché uno parlava in francese, l’altro rispondeva in inglese, ma ci si comprendeva tutto. Gli atleti dei vari Paesi venivano scelti dalle produzioni e c’era una grande bagarre. I portoghesi cominciavano le selezioni a gennaio, con delle prove pazzesche, venivano infilati nei barili con l’acqua gelata per vedere se resistevano. Gli ungheresi portavano i campioni di triathlon e pentathlon con le carte d’identità false, perché per loro perdere a Giochi senza frontiere era da interrogazione parlamentare. L’Italia perdeva sempre? Non è vero, è che quando perdevamo lo facevamo rovinosamente. Nel 1993-94 eravamo primi nell’arco delle 12 puntate. Una volta ci fu una squadra della Basilicata che arrivò ultima alle prime tre gare, allora mi inventai il commento al contrario, anziché dire: vinciamo la prossima, dissi: adesso ragazzi dovete essere coerenti e arrivare ultimi anche alla quarta gara. All’ultimo gioco stavano per arrivare ultimi, ma cadono i francesi davanti a loro e allora dissi: non è possibile, ora perdete la possibilità di vincere la maglia nera. Sono stato odiato da quel paese della Basilicata, ma il commento passò alla storia perché la gente si divertì, io dovevo preoccuparmi anche degli altri telespettatori. Se si è mai fatto male qualcuno? A memoria mia, negli ultimi 7 anni, ci fu una caviglia rotta a Torino e un dito rotto in Francia, ma non per colpa del gioco, per colpa della sciocchineria del concorrente che ha voluto buttarsi giù da 5 metri per guadagnare tempo. Si avvertiva la complicità, quando arrivavano le squadre erano tutti amici, si divertivano tutti insieme, non sapete quanti amori transnazionali sono nati tra gli atleti di una squadra e dell’altra. Io una volta ho fatto una battuta: ha unito l’Europa più Giochi senza frontiere che la Comunità europea”.
Ciao Darwin, Paolo Bonolis rompe il silenzio sul concorrente che rischia la paralisi. Ciao Darwin è tornato nel palinsesto di Canale 5, dopo la pausa della settimana santa di Pasqua. E nel nuovo appuntamento tv, il conduttore Paolo Bonolis ha rivolto un pensiero a Gabriele Marchetti. Serena Granato, Sabato 04/05/2019, su Il Giornale. Nella serata di venerdì 3 maggio, è stato trasmesso Ciao Darwin, il programma basato sul principio della selezione naturale formulato dal naturalista Charles Darwin, secondo cui "a vincere in natura è il più adatto e non il più forte". Purtroppo, una delle prove previste nella scaletta del format targato Mediaset, si è rivelata una vera e propria minaccia all'incolumità fisica dei concorrenti, provocando gravi danni a due persone in particolare, tra cui Gabriele Marchetti, il concorrente a cui Paolo Bonolis ha voluto destinare un messaggio di solidarietà nell'ultima puntata. Il 57enne Marchetti, dopo aver partecipato alla prova "Genodrome", aveva riportato dei gravi danni e -secondo quanto dichiarato dal cugino Stefano Ambrosetti, a Fanpage,- "è al momento paralizzato dal collo in giù". Gabriele ha lasciato il reparto di terapia intensiva ed è stato trasferito presso la Fondazione Santa Lucia di Roma, dove per avrà inizio un percorso di terapia e di cure riabilitative. "Muove leggermente le mani, sente dei formicolii sulla parte sinistra, sia sulla mano che sulla gamba, e per questo i medici lasciano qualche spiraglio di positività", ha fatto sapere lo stesso cugino dell'infortunato, stando a quanto riportato da Il Messaggero. Paolo Bonolis e le parole di solidarietà per Gabriele Marchetti. Nella nuova puntata di Ciao Darwin, Paolo Bonolis ha menzionato il concorrente che adesso rischierebbe di rimanere paralizzato. “Molti di voi avranno sicuramente letto di quanto accaduto nei giorni scorsi. Ovviamente siamo umanamente molto dispiaciuti, siamo vicini a lui e alla famiglia, lo siamo stati dal primo istante", ha esordito il conduttore, che ha poi invitato il pubblico a credere solo alle notizie pubblicate da fonti autorevoli. "Questo - ha spiegato - per rispetto del concorrente che sta recuperando dallo sfortunato incidente, per rispetto della famiglia e, più di ogni altra cosa, per rispetto della verità”. Le parole di solidarietà spese da Bonolis per Marchetti si aggiungono a quelle scritte nel comunicato che Mediaset aveva diramato prima del ritorno di Ciao Darwin: “Canale 5, Paolo Bonolis e Sdl2005 hanno chiesto informazioni esatte sulle condizioni del congiunto. È stato inoltre comunicato alla famiglia di aver già attivato la polizza assicurativa a copertura dell’infortunio”.
Anticipazione stampa da OGGI il 26 giugno 2019. Gabriele Marchetti, rimasto paralizzato in seguito a una caduta sui rulli di «Ciao Darwin» non migliora. Lo scrive nel numero domani in edicola il settimanale OGGI, citando fonti familiari secondo cui il 54enne romano, ricoverato con quattro vertebre rotte alla clinica Santa Lucia, è condannato in un letto, paralizzato dalle spalle in giù. Le sedute in palestra sulle macchine per la rieducazione motoria finora non hanno dato risultati apprezzabili e a più di due mesi dall'incidente avvenuto il 17 aprile, Gabriele riesce a muovere solo le dita del piede sinistro e a ruotare l'avambraccio destro. Mentre l’inchiesta aperta dalla procura di Roma cerca di accertare l’effettiva pericolosità dei macchinari e dei giochi utilizzati dai concorrenti di «Ciao Darwin», Paolo Bonolis, conduttore del programma, e la moglie Sonia Bruganelli titolare della società di produzione, sono costantemente in contatto con Simone Marchetti, unico figlio di Gabriele, per avere informazioni di prima mano sull’evoluzione del quadro clinico.
Paralizzato dopo un gioco tv condotto da Michelle Hunziker Dopo 9 anni di nuovo in piedi. Pubblicato mercoledì, 26 giugno 2019 da Paolo Valentino su Corriere.it. Nove anni dopo un incidente in diretta televisiva che lo lasciò paralizzato e condannato su una sedia a rotelle, l’ex stuntman tedesco Samuel Koch è nuovamente in grado di reggersi in piedi da solo. Come mostrano le foto pubblicate oggi da «Bild Zeitung», grazie a un attrezzo d’invenzione norvegese, sul quale si è esercitato per mesi anche fino a otto ore al giorno, Koch è in grado di assumere una posizione eretta, con solo il muro dietro di lui a fargli da sostegno. «Mi sono allenato con mio fratello che è fisioterapista», ha raccontato Koch, che oggi ha 31 anni, in una intervista al quotidiano tedesco. «La prima volta che ho provato ad alzarmi da solo, mi ha semplicemente appoggiato a un’auto, ma non ho avuto paura». Koch comunque non considera lo straordinario risultato cui è giunto un miracolo, ma «il risultato di convinzione, speranza e lotta». In realtà, Koch è in grado di reggersi in piedi già da qualche anno. Ma all’inizio era difficilissimo. Nell’intervista Samuel ha raccontato di un concerto a Verona, «la città di Giulietta e Romeo«, al quale aveva invitato Sarah, che oggi è sua moglie. C’era anche suo fratello e stavano su un balcone. «Mio fratello mi ha sollevato dalla sedia a rotelle e mi ha messo in piedi appoggiandomi alla ringhiera. Poi ha chiesto a Sarah di avvicinarsi e li siamo rimasti in due a guardare le stelle. È stato bellissimo». La tragedia del ragazzo, poco più che ventenne, si consumò nel 2010 durante il popolare show Wetten, dass …?, «Scommettiamo che...?». Il numero consisteva nel saltare numerose auto aiutandosi con degli stivali a molla. Ma andò malissimo, Koch rovinò a terra rimanendo paralizzato con fratture multiple alla colonna vertebrale. La sua vita da quel momento non fu più la stessa. Ma Koch ha saputo reagire, inventandosi una seconda vita come attore di teatro e cinema e come autore di libri di successo, fra i quali uno dal titolo «Due vite». Attualmente è impegnato in uno spettacolo teatrale a Mannheim.
Firmi lui anche se paralizzato, la denuncia del concorrente di «Ciao Darwin» è bloccata. Pubblicato giovedì, 08 agosto 2019 da Giulio De Santis su Corriere.it. L’assenza di una querela firmata da Gabriele Marchetti, il 54enne rimasto paralizzato partecipando alla trasmissione Ciao Darwin, rischia di provocare la nullità degli atti compiuti fin qui dalla Procura. Un pericolo dovuto all’articolo 590 del codice penale che prevede come atto valido per l’avvio di un’inchiesta per lesioni gravissime il deposito di un documento sottoscritto dalla parte offesa. Che però, nel caso specifico, è impossibilitata a firmare. Nel fascicolo aperto dal pm Alessia Miele, al momento senza indagati, è contenuta la querela firmata dalla moglie di Marchetti, Sabrina Galmazzi. Denuncia presentata dopo l’incidente subìto dal marito il 17 aprile scorso: è caduto mentre correva sui rulli di Genodrome. Ma il documento sarebbe privo di efficacia giuridica, seguendo l’orientamento della Cassazione. L’inchiesta pare destinata a un binario morto essendo anche scaduti i termini per il deposito di una nuova denuncia. Di conseguenza, l’esito previsto dagli inquirenti è che il primo giudice, chiamato a decidere sul caso, dichiarerà di «non doversi procedere per difetto di querela». L’impasse è stata prevista dalla Procura: nei giorni seguenti al dramma il pm ha chiesto al gip la nomina di un curatore speciale. Il pm ha sottolineato pure che la querela della moglie non sarebbe idonea ai fini della procedibilità dell’azione penale per difetto di legittimazione, come stabilito dalla Cassazione. Il pm ha così chiesto al gip di nominare come curatore speciale Sabrina Galmazzi. Ma il gip ha escluso la nomina perché il passaggio presupporrebbe l’incapacità di intendere e volere della persona offesa. Marchetti però è lucido, va quindi cercata un’altra strada. Per la Procura l’unica via è adesso quella di contestare reati che riguardano la sicurezza sui luoghi di lavoro. In questo caso, per attivarsi, il pm avrebbe bisogno di un parere vincolante dell’Asl: a piazzale Clodio sono in attesa della relazione.
Paolo Bonolis: "L'incidente a Ciao Darwin è stata una cosa terribile". Il popolare conduttore ha firmato per altri due anni con Mediaset e si racconta a tutto tondo, ricordando anche la tragica caduta di un concorrente durante il programma che l'ha costretto alla paralisi. Andrea Conti, Mercoledì 21/08/2019, su Il Giornale. E' ufficiale. Paolo Bonolis alla fine resta a Mediaset, infatti il conduttore ha firmato un contratto per due anni. I rumors di un suo possibile ritorno in Rai, che si susseguono di anno in anno, per ora sono svaniti nel nulla. Di certo ci sarà ancora il preserale “Avanti un altro” e alcune prime serate, ancora da definire. Inoltre Bonolis andrà anche al prossimo Festival del cinema di Venezia (28 agosto-7 settembre) per presentare un documentario speciale intitolato “Il Dono”, sulla donazione del midollo osseo realizzato dall'Associazione Linfoamici. Infine in autunno uscirà un libro ricco di pensieri e aforismi. Durante una lunga intervista al quotidiano La Repubblica il pensiero inevitabilmente va al 54enne romano Gabriele Marchetti, che il 17 aprile è rimasto paralizzato dopo una caduta dai rulli del Genodrome di "Ciao Darwin". Una vicenda delicatissima su cui vige il più stretto riserbo da parte della famiglia. C'è una inchiesta in corso per cercare di fare chiarezza su quanto è accaduto. “E' una cosa terribile, può succedere in qualsiasi contesto – ha spiegato Bonolis - ma è successo qui: ci siamo adoperati per tutto quanto necessario, parliamo con la famiglia, mi risulta anche qualche piccolo miglioramento. Ma c'è un problema: niente di tutto quello che facciamo può contrastare l'onda disumana di sciocchezze dette e scritte da chi vuole sfruttare questa cosa. Da un lato, una verità: dall'altro c'è una violenta narrazione iperbolica nella quale si insinuano i parassiti del sensazionalismo. Impossibili da contrastare”.
Ciao Darwin, Paolo Bonolis e il concorrente paralizzato: "È terribile, cosa mi risulta a oggi". Libero Quotidiano il 21 Agosto 2019. Paolo Bonolis ha firmato con Mediaset un contratto di altri due anni lasciando definitivamente sfumare la possibilità di un suo trasferimento in Viale Mazzini. In questi giorni il presentatore ha quindi rilasciato un'intervista al quotidiano La Repubblica raccontando dei suoi prossimi impegni lavorativi: "Ci sarà soprattutto il preserale, Avanti un altro! E poi alcune prime serate, su cui tengo un paio di strade aperte". Bonolis ha voluto poi aggiungere una piccola riflessione sull'attuale situazione della tv italiana: "È cambiato tutto. Ho fatto tutta la tv pionieristica e piena di avventure, decenni fantastici. Ora la tv è coloniale, si è insediata e difende l’esistente. Ovvio che ne sono un protagonista, ovvio che mi sento anche reduce. Però curiosamente sono sempre lo stesso". "Sarei andato in visibilio, all’epoca, per Papa Boys contro Papi Girls, ma non si può avere tutto" afferma Bonolis riferendosi allo storico programma da lui condotto Ciao Darwin. Con l'occasione Paolo si è quindi fermato a ricordare Gabriele Marchetti, il concorrente rimasto paralizzato in seguito ad un incidente avvenuto nel gioco dei rulli del Genodrome, durante la puntata di Ciao Darwin dello scorso 16 Aprile. "È una cosa terribile, può succedere in qualsiasi contesto ma è successo qui: ci siamo adoperati per tutto quanto necessario, parliamo con la famiglia, mi risulta anche di qualche piccolo miglioramento. Niente di tutto quello che facciamo può contrastare l’onda disumana di sciocchezze dette e scritte da chi vuole sfruttare questa cosa. Da un lato, una verità: dall’altro c’è una violenta narrazione iperbolica nella quale si insinuano i parassiti del sensazionalismo. Impossibili da contrastare", ha quindi concluso.
“Cafona, burina arricchita”: bufera social sulla moglie di Paolo Bonolis. Se Paolo Bonolis travolto dalle polemiche per l'incidente a "Ciao Darwin" sceglie la strada del silenzio sui social, sua moglie Sonia Bruganelli, fondatrice della società che produce il programma, posta un'immagine da una lussuosa boutique e scatena l'ira dei follower. Sandra Rondini, Sabato 27/04/2019, su Il Giornale. Dopo l’incidente e le polemiche, è arrivata l’inchiesta della Procura di Roma che ha messo sotto sequestro i rulli del Genodrome di "Ciao Darwin", su cui è scivolato il concorrente che ora rischia la paralisi. Paolo Bonolis si è affidato a un comunicato stampa ufficiale congiunto con Canale 5 e Sdl2005, la società di produzione del programma, per “manifestare vicinanza umana e rammarico per l’accaduto” e comunicare di “aver già attivato la polizza assicurativa a copertura dell’infortunio”. Sui social il conduttore tace in modo assoluto per non prestare il fianco agli attacchi degli hater che già gli hanno scritto commenti come “avviene un grave incidente e fate finta di niente...complimenti!!!” e “ma una parolina per il ragazzo che rischia la paralisi no?? VERGOGNA” con toni molto accesi. Per non gettare altra benzina sul fuoco Paolo Bonolis sceglie la strada del silenzio. Non fa lo stesso sua moglie Sonia Bruganelli, fondatrice della società Sdl2005 che produce “Ciao Darwin”, che su Instagram pubblica un post in cui si lamenta perché vorrebbe comprare tutte le borse che vede, ma non riesce a decidersi. “Non sono tutte mie ma non vado fiera di ciò”, scrive nella didascalia a commento della foto scattata in una lussuosa boutique in pieno centro a Roma. Nell'immagine si vedono tante borse in diversi modelli e colori. "Un bel dilemma davvero" le scrivono i follower, ricordandole che "dovrebbe pensare a ben altro" mentre lo show questa settimana è sospeso e tornerà il prossimo 3 maggio non si sa con quali cambiamenti e con quale atmosfera dato che la prognosi del concorrente ferito non è stata ancora sciolta e il rischio paralisi non è stato scongiurato. Il lusso ostentato dalla signora Bonolis provoca, come già successo in passato, l'immediata reazione dei follower che si scatenano contro di lei arrivando a definirla “cafona burina arricchita”. “Di quel poveretto che si è fatto male al genodrome non dici una parola però. Vergognativa!” le scrivono i più "cortesi" che si chiedono se “si può vivere di borse e di tacchi?!?!” e le consigliano “ma leggiti un libro” piuttosto. “Ma un briciolo di umiltà no!!?” incalzano subito tanti altri che la avvisano che “se un giorno la fortuna ti volterà le spalle vedrai cosa te ne farai di Chanel. A mai più donna frivola e testarda”. Sceglie la strada della defezione dall'Instagram della Bruganelli anche un altro utente che scrive "non ci sto più più a perdere tempo con una burina arricchita.. Strafogati di scarpe e borse.. Mi fai pena”. Se una follower si dice molto delusa perché "stai diventando noiosa. Mi auguro tu non faccia l’amore con la stessa monotonia delle provocazioni che ci proponi” arriva infine lo sfogo supremo, scritto con massimo sdegno e rivolto anche a Paolo Bonolis: “CAFONA COATTA BURINA vai a zappare la terra,solo quello ti meriti! Devi solo VERGOGNARTI! Invece di pensare a quel povero ragazzo che per colpa della trasmissione di quel CAFONE pseudo conduttore, continui a postare le tue solite caxxate! Dovete solo VERGOGNARVI! Dovrebbe capitare a voi una disgrazia come quella!” . Sonia Bruganelli incassa e non risponde all'odio social. Sceglie il silenzio, proprio come suo marito, ma solo dopo aver scatenato l’ennesimo putiferio social.
“IO LAVORO COSÌ, FACCIO SOLO IN REGOLA”. Federico Berni per il “Corriere della Sera” il 14 aprile 2019. I più facevano finta di non vedere. Ma certo non sfuggiva, ai cittadini di Carate Brianza, comune della provincia di Monza tutto villette e parrocchie, quel viavai di signorine in abiti succinti, che ad ogni ora del giorno uscivano per una pausa sigaretta sotto i portici di una palazzina di via Amedeo Colombo, a poche decine di metri da un istituto scolastico intitolato ai Vescovi Valtorta e Colombo, e all' Agorà, un auditorium teatro di numerosi incontri su temi religiosi e d' attualità. E neanche poteva passare inosservata lei, la titolare di quel gettonatissimo «Centro massaggi» finita in un'indagine dei carabinieri che l'ha portata in carcere a San Vittore con l'accusa di sfruttamento della prostituzione. Una vera e propria manager che gestiva l'«azienda» con efficienza brianzola, e che passava ogni giorno a controllare l'andamento degli affari. Ungherese, alta, bionda, Edyna Greta Gyorgy, classe 1985 (anche se sul suo sito personale si «ringiovanisce» levandosi 4 anni) si presentava online col nome d' arte di Kyra Kole. Il pubblico del piccolo schermo (o almeno i telespettatori più colpiti dalla sua avvenenza) la ricordano invece come ospite fisso del cast di Ciao Darwin, trasmissione Mediaset condotta da Paolo Bonolis. Ma la carriera di Kyra nello show business non va oltre qualche reality, o alcune sporadiche apparizioni cinematografiche. Le sue aspirazioni, negli ultimi anni, sembravano rivolte più che altro alla carriera da deejay. Diverse foto, per esempio, la ritraggono sul palco dal vivo con il duo «Gemelli Diversi», mentre sul suo sito personale propone alcune sue produzioni al mixer (ritmi rigorosamente discotecari). La cura dell' immagine, però, non è mai venuta meno, tanto che anche l'edizione spagnola di Playboy le dedica un ampio servizio fotografico, eleggendola «playmate» del mese a gennaio. Ma forse la sua vera attitudine potrebbe essere un'altra. Almeno stando all'indagine condotta nei mesi scorsi dai carabinieri di Seregno, guidati dal maggiore Emanuele Amorosi, dalle quali emergerebbe il ritratto di una donna inflessibile, attenta a far funzionare con grande rigore (si vantava di essere aperti «sette giorni su sette») quel centro «olistico», che, stando sempre alle indagini, era in realtà una sala per incontri a luci rosse dove, in pochi mesi, i carabinieri hanno visto alternarsi sette donne, nordafricane, polacche, ucraine. Dalla più giovane, una marocchina di 18 anni attratta, secondo quanto riferito da fonti investigative, dai guadagni rilevanti, fino all'insospettabile signora quarantenne mossa più che altro da un reale stato di necessità. Stando a quanto emerge dagli atti, Kyra le reclutava con inserzioni online. Convinta in tal modo di dare una parvenza di legalità alla sua attività, faceva aprire alle ragazze una partita Iva, come fossero state libere professioniste che le pagavano un canone di affitto mensile per le stanze («io lavoro così - diceva a un' amica che le chiedeva informazioni - faccio solo cose in regola»). E invece, queste le accuse contestate dal pubblico ministero Carlo Cinque, tratteneva per sé la metà degli incassi, pretendendo, come una qualsiasi datrice di lavoro temuta per la sua inflessibilità, di essere costantemente informata sulla «giornata lavorativa». D'altronde, gli appuntamenti erano continui, attirando clienti da tutta la Brianza e anche da altre provincia della Lombardia. E naturalmente c' era anche un tariffario molto chiaro. Nel quale era previsto il pagamento «120 euro all' ora per un massaggio "completo", ossia nel quale si poteva "interagire" con la ragazza». Il via vai di uomini, di tutte le età e le estrazioni sociali, era costante. A dimostrazione di un' attività che era diventata estremamente redditizia.
Laura Freddi ricorda l'ex a Vieni da me: "Paolo Bonolis non mi faceva parlare in tv". Laura Freddi ha concesso un'intervista esclusiva a Caterina Balivo, nella nuova puntata di Vieni da me. Serena Granato, Venerdì 20/09/2019, su Il Giornale. La nuova edizione di Vieni da me è ufficialmente partita alcuni giorni fa ed è condotta dalla presentatrice partenopea Caterina Balivo. In un nuovo appuntamento tv di Vieni da me, è apparsa in studio la showgirl Laura Freddi, la quale negli ultimi anni ha fatto parlare di sé soprattutto per il suo recente ingaggio alla prima edizione del Grande Fratello Vip, che l'ha vista protagonista in qualità di concorrente del celebre reality show targato Mediaset. E, alla conduttrice di Vieni da me, la Freddi ha concesso un'intervista esclusiva, nel corso della quale è tornata a parlare del suo storico ex nonché conduttore di format di notevole successo, tra cui Ciao Darwin, parliamo di Paolo Bonolis.
Laura Freddi e la rivelazione su Paolo Bonolis. "Ancora oggi le vecchiette che mi incontrano per strada mi chiedono "ma tu sei la moglie di Bonolis?" - ha dichiarato Laura Freddi nel corso della sua ultima intervista rilasciata in tv e trasmessa su Rai 1 -. Io avevo 19 anni, lui 11 più di me… Purtroppo non ci siamo incontrati con i tempi. Ero giovanissima, lui aveva qualche problema con il precedente matrimonio in America e dei bambini piccoli. Io invece volevo sposarmi e avere dei figli". Laura sembra custodire ancora nel cuore il ricordo della relazione vissuta con l'attuale consorte di Sonia Bruganelli, anche se - a quanto pare - nel corso della love-story avuta con il conduttore Bonolis non fu tutto rose e fiori. "Non mi faceva mai parlare, non era contento che facessi questo mestiere e lo posso capire", ha infine confidato l'ex volto di Non è la Rai.
Avanti un altro!, arrestate le gemelle di Paolo Bonolis: accusa terrificante, perché vanno dentro, scrive l'11 Febbraio 2019 Libero Quotidiano. Loro sono Alessandra e Valentina, 39 anni, in arte Pamela e Sue Ellen. Due volti noti per chi segue Avanti un altro! di Paolo Bonolis, la trasmissione pre-serale in onda su Canale 5. E Pamela e Sue Ellen, ora, sono state arrestate, sono finite ai domiciliari accusate di furto aggravato. Sono state (nuovamente) beccate mentre taccheggiavano in un negozio: già la scorsa estate erano state denunciate per un furto in un a profumeria di Roma; in quest'ultimo caso il bottino ha un valore di 5mila euro, il furto è avvenuto in un noto negozio del quartiere Eur. A rendere ancor più grottesca la vicenda il fatto che le due nel film Come un gatto in tangenziale interpretavano proprio due taccheggiatrici. Nel film come nella realtà. Ma nella realtà, ecco la differenza, le due sono state (davvero) arrestate.
Avanti un altro, dal quiz con Bonolis alla denuncia per furto: così le gemelle Giudicessa sono state beccate. Secondo i Carabinieri della stazione Avenino le due attrici, nel film affette dallo shopping compulsivo e fan sfegatate di Franca Leosini, avrebbero rubato due profumi Creed per un valore di circa cinquecento euro, scrive Giuseppe Candela il 29 Luglio 2018 su Il Fatto Quotidiano. Ladre per finta nel film “Come un gatto in tangenziale”, denunciate per furto con destrezza pochi giorni fa. La fantasia della commedia anticipa la realtà, almeno è quello che è accaduto alle gemelle Alessandra e Valentina Giudicessa. Note al pubblico dopo il ruolo di Pamela e Sue Ellen nel film con Paola Cortellesi e Antonio Albanese e dopo l’ingresso nel cast fisso diAvanti un altro con Paolo Bonolis. Secondo i Carabinieri della stazione Avenino le due attrici, nel film affette dallo shopping compulsivo e fan sfegatate di Franca Leosini, avrebbero rubato due profumi Creed per un valore di circa cinquecento euro. Il proprietario del negozio ha subito allertato le forze dell’ordine e presentato denuncia. A incastrarle anche le immagini delle telecamere di sorveglianza che, come riferiscono i militari dell’Arma, non lascerebbero dubbi. La refurtiva è stata poi recuperata nel pomeriggio e riconsegnata ai proprietari della profumeria situata nel quartiere Testaccio. Le gemelle però si difendono: “Non è andata così, non c’è niente di fondato. E’ vero, siamo andate in quel negozio. Al proprietario sono mancate delle cose e ha accusato noi, ma non ci sono prove. Comunque adesso abbiamo l’avvocato”. In realtà i flaconi, le prove dunque, sono stati ritrovati a casa loro. Ora dovranno difendersi dalle accuse in sede legale ma assicurano che la loro vita non è cambiata dopo il successo e che i soldi guadagnati sono già finiti: “Tutti ci riconoscono e ci fermano per fare selfie. Ma a parte questo, nella nostra vita non è cambiato niente. I soldi sono finiti da un pezzo, viviamo ancora a Bastogi. Adesso non stiamo facendo niente ma a settembre dobbiamo ricominciare a pulire le scale dei condomini. Ma noi vogliamo continuare a lavorare nel cinema, speriamo che ci chiamano per un altro film”. La chiamata per un nuovo film arriverà? Le gemelle erano anche nel cast fisso del quiz show di Bonolis che tornerà in onda nei primi mesi del 2019, con o senza Sue Ellen e Pamela al momento non è dato saperlo.
Le gemelle Soap Opera apparse in Avanti un altro nonostante l’arresto, scrive il 13 febbraio 2019 la Redazione di Tvzap. Attualmente ai domiciliari, le due sorelle sono andate in onda con un episodio registrato mesi fa del quiz di Bonolis. Anche il quiz serale di Paolo Bonolis, Avanti un altro, è incappato in quella che – come minimo – è una gaffe: nel corso della puntata andata in onda lunedì 11 febbraio, infatti, sono state inquadrate e presentate al pubblico le gemelle Soap Opera, membri del cast allargato della trasmissione. Il problema, però, è che le due sorelle sono state arrestate per furto e al momento si trovano agli arresti domiciliari, dunque mandare in onda la puntata integrale lasciando intatte le sequenze con le gemelle in bella vista sembra quanto meno una scelta discutibile. È comunque bene chiarire una cosa: l’episodio è stato registrato mesi fa, ben prima dell’arresto, di cui ovviamente la produzione non poteva immaginare nulla, al tempo. Nessuna strana capacità da parte delle Soap Opera – apparse anche al cinema in Come un gatto in tangenziale – di essere in due luoghi diversi contemporaneamente: loro sono ovviamente ancora ai domiciliari, Mediaset non ha nulla a che fare con l’arresto o con la loro situazione attuale, è bene ribadirlo. Tuttavia, è apparso quanto meno controverso trasmettere ugualmente l’episodio di Avanti un altro con le due sorelle tranquillamente presenti.
Aldo Grasso per il “Corriere della Sera” il 18 marzo 2019. Non c' è niente da fare, Paolo Bonolis non sarà mai un grande della televisione italiana. Non deve incolpare altri, ma solo sé stesso. Ha tentato varie volte di trovare un programma che lo consacrasse, che lo facesse uscire dai suoi paradigmi imbalsamati. Invano. «Ciao Darwin» è il suo programma, quello che meglio lo definisce e lo esalta (Canale 5, venerdì, ore 21.40). Bonolis fa una televisione anni Novanta. Nell' estetica (le inquadrature ginecologiche, ancora pre #Metoo), nell' impianto (le opposizioni e i freak come unica idea di fondo), nella comicità di Luca Laurenti. Funziona perché tocca le corde più basse del concetto di «popolare», fingendo di nobilitarle con il lessico aulico, la sintassi pomposa. Il guaio è che dà il peggio di sé credendo, o illudendosi, di dare il meglio (Madre Natura è croata. Bonolis: «Ma voi in Croazia, i cretini li lasciate liberi o li tenete in serbo?»), o con quel gioco insopportabile dei doppi sensi. E non lo aiuta nemmeno un accenno di autoironia. Laurenti porta in studio un cassonetto: «Qui c' è tuo figlio! Il figlio di tutta la monnezza televisiva che hai prodotto in questi anni...». Bonolis: «Ma, di figli, ne ho già cinque». Bonolis apre il cassonetto: «Non lo posso riconoscere! Ammazza quanto è brutto!». Sì, proprio brutto. Credo che l' errore più grande di Bonolis sia stato quello di circondarsi di persone che non lo aiutano: continuano a fargli credere di essere un genio, gli suggeriscono idee con rozzezza da arricchiti, non gli danno certo una mano per trovare strade nuove. Bonolis è un vero cinico e con lucidità e determinazione lavora rappresentandosi un target immaturo, fatalmente in declino. Ma il logorio è la conseguenza ordinaria di certi comportamenti spregiudicati: il codice del «suo pubblico» infligge l' esagerazione come prima, inesorabile pena.
Scotti, Bonolis, Conti: i tre tenori della tv si raccontano da Maurizio Costanzo. Pubblicato mercoledì, 10 aprile 2019 da Il Giornale.it. Chissà se quando "cominciarono tutti assieme" (come ha ricordato uno di loro) avrebbero immaginato che un giorno sarebbero diventati i "tre tenori" della tv. È stato infatti il confronto con i "tre tenori" che Maurizio Costanzo celebrò 21 anni fa e cioè con Mike Bongiorno, Corrado e Raimondo Vianello -, ad emozionare i loro "successori" Carlo Conti, Gerry Scotti e Paolo Bonolis, protagonisti del Costanzo Show che (in onda domani alle 23,20 su Canale 5) oggi come allora, con l'aiuto di Enrico Mentana, ha celebrato le gesta di tre amatissimi conduttori tv. "Mala tempora currunt" è stato, nel confronto, il lapidario commento di Bonolis. "Che vergogna essere paragonati a loro!", è arrossito Scotti. Ma il gioco dei reciproci sfottò, a mascherare il rispetto condiviso, è stato simile: "Quello lì chi è, Conti? - si chiedeva Bonolis davanti alle foto dei tre presentatori in fasce - No: ha la pelle troppo chiara". "Qualcuno dice che sei troppo cinico" faceva notare Costanzo a Bonolis. "È che detesto l'ipocrisia. Una volta, quando mi sono trovato davanti una signora tutta rifatta, le ho detto: Buonasera. Lei chi era?". Partita con un omaggio a Fabrizio Frizzi ("Se il titolo fosse stato I quattro moschettieri oggi ci sarebbe anche lui", ha commentato Scotti) la serata ha trovato comunque il suo "quarto" in Pippo Baudo, che in un video ha raccomandato ai colleghi: "Ascoltate il maestro Costanzo. E poi fate come vi pare". Quindi ecco la carrellata sugli inizi, le cadute e i trionfi dei tre: "Quando dissi a mio padre che ero incerto se firmare il mio primo contratto con la Rai ricorda Bonolis - lui, che scaricava ai mercati generali, replicò: se non ci vai ti piglio a calci con due piedi assieme". "Vado benissimo con le tardone scherza Scotti, a proposito del suo presunto fascino - oltre i 70, poi, sono inarrivabile". Mentre Conti considera i premi vinti: "Paolo dice che sono un imbroglio, visto che chi sta in Rai vince solo l'Oscar Tv, e chi lavora a Mediaset solo i Telegatti? Beh: lui ha lavorato da entrambe le parti. Così ora ha 16 Telegatti e 15 Oscar Tv". Tutti e tre legati ai loro programmi, negano però la concorrenza con i colleghi ("In realtà siamo amici avverte Conti - A noi basta solo fare buoni prodotti"), tutti e tre distaccati almeno a parole - dal top professionale per un conduttore; "Sanremo? Io non lo rifarei. A meno di poterlo cambiare totalmente", taglia corto Bonolis. "Io l'ho fatto solo in pectore ride Scotti - perché Paolo m'ha dedicato il suo e Carlo il suo". "Se io farò il prossimo? rimane sul vago Conti -. Cambiamo argomento". D'accordo tutti anche circa le mutate prospettive delle nuove leve: "Noi siamo stati più fortunati, avevamo grandi modelli", considera Scotti. "Oggi i ragazzi hanno come riferimento soprattutto il web annuisce Conti -. E poca pazienza per arrivare". La vera palestra lavorativa? Il preserale. Carlo: "L'appuntamento quotidiano col pubblico ti forma". Gerry: "Molti colleghi con la puzza sotto al naso l'hanno rifiutato. E hanno perso un'occasione". Infine, dopo i contributi filmati di tanti amici (Pieraccioni e Panariello per Conti, la Clerici e Laurenti per Bonolis, la Toffanin e la Hunziker per Scotti) ecco la tradizionale passerella conclusiva. Cui, acclamato proprio dai tre "tenori", per la prima volta in 37 anni di Costanzo Show, ha partecipato anche... Maurizio Costanzo.
L’ignoranza di Bonolis: Ulisse ingannò Policieco. La fiera dello strafalcione a «Ciao Darwin»: i Promessi Sposi sono Al Bano e Romina, scrive Renato Franco il 9 aprile 2019 su Il Corriere della Sera. A Ciao Darwin si saluta la letteratura e alle domande di Bonolis le risposte prendono la strada dell’errore madornale con vista a strapiombo sullo strafalcione. Veloce ripasso per gli asini assenti: Manzoni scrisse la Divina Commedia, i Promessi Sposi erano Al Bano e Romina, Otello si sposò con Otella, Pathos era uno dei tre moschettieri, i pretendenti di Penelope erano i Profughi, Ulisse ingannò Policieco (Policieco è geniale).
Aldo Grasso contro Paolo Bonolis. “Ciao Darwin lo esalta, ma non sarà mai un grande”, scrive il 19.03.2019 Silvana Palazzo su Il Sussidiario. Aldo Grasso “demolisce” Paolo Bonolis con una critica molto dura del ritorno di Ciao Darwin: “Questo programma lo esalta, ma non sarà mai un grande”. Aldo Grasso “demolisce” Paolo Bonolis dopo il ritorno di Ciao Darwin. Il critico del Corriere della Sera riserva giudizi molto severi nei confronti del conduttore. «Non c’è niente da fare, non sarà mai un grande della televisione italiana. Non deve incolpare altri, ma solo sé stesso». Il suo tentativo di uscire «uscire dai suoi paradigmi imbalsamati» non ha portato a nulla, ma soprattutto non è servito a «trovare un programma che lo consacrasse». Il problema per il critico è che Ciao Darwin, «il suo programma, quello che meglio lo definisce e lo esalta», ci riporta ad una televisione anni Novanta. E cita le «inquadrature ginecologiche, ancora pre #Metoo», oltre che le opposizioni come idea di fondo e la comicità di Luca Laurenti. Ma allora perché funziona? Gli ascolti infatti premiano Paolo Bonolis. «Funziona perché tocca le corde più basse del concetto di “popolare”, fingendo di nobilitarle con il lessico aulico, la sintassi pomposa». Lessico e sintassi sono per Aldo Grasso una maschera con cui dare libero sfogo ai doppi sensi. È dura l’analisi di Aldo Grasso su Paolo Bonolis e il suo Ciao Darwin. Il critico del Corriere della Sera cita l’autoironia che ha avuto il conduttore nella prima puntata. E fa riferimento al momento in cui Luca Laurenti ha portato in studio un cassonetto. «Qui c’è tuo figlio! Il figlio di tutta la monnezza televisiva che hai prodotto in questi anni…». Ma neppure questo, secondo Aldo Grasso, aiuta Paolo Bonolis. Comunque si è fatto un’idea sull’origine dei “problemi” di Paolo Bonolis: «Credo che l’errore più grande di Bonolis sia stato quello di circondarsi di persone che non lo aiutano: continuano a fargli credere di essere un genio, gli suggeriscono idee con rozzezza da arricchiti, non gli danno certo una mano per trovare strade nuove». Il conduttore viene definito da Aldo Grasso come «un vero cinico» che «con lucidità e determinazione lavora rappresentandosi un target immaturo, fatalmente in declino».
Ciao Darwin, Paolo Bonolis e la botta d'orgoglio: "Io spazzatura? Ma se unisco l'Italia", scrive il 22 Marzo 2019 Libero Quotidiano. Dicono che sia trash. Aldo Grasso sostiene che Paolo Bonolis non sarà mai un grande della televisione. Lui se ne infischia. Stasera, nella nuova edizione di Ciao Darwin , Canale 5, la sfida sarà tra le squadre «Gay Pride», capitano Luxuria, e «Family Day», capitano Povia. Non le sembra un tema troppo delicato per un varietà?, domanda La Stampa. E lui senza finta modestia risponde: "Ma il punto è proprio quello: trattare con leggerezza e disincanto argomenti di rilevanza sociale. Magari può essere utile. Le contrapposizioni ideologica, culturale, politica, religiosa, sentimentale creano solchi e distanze. Se poi ci mettiamo il bombardamento quotidiano che incita alla divisione, come una goccia cinese che alla fine riesce a bucare le teste, grazie anche ai pregressi storici che l' hanno fatta maturare. Quindi, se scherziamo su un tema così importante, è possibile che passi l' idea che l' amore è amore, e che si può condividere". Categorico, invece, su Sanremo. Non lo vuole fare più, non è cosa sua. "Proprio no. E non solamente per un problema logistico, è chiaro che gli spazi del Teatro Ariston non sono più adeguati ai tempi. Non c' è più un mercato discografico. Si pensa solo ai brani che possono andare in radio. Insomma, non dico che non vada bene: dico che non mi interessa".
Paolo Bonolis: "Io trash e cinico? Il problema sono le etichette". Paolo Bonolis definisce il suo comportamento in Tv come assenza di ipocrisia, scrive Riccardo Palleschi, Venerdì 22/03/2019, su Il Giornale. Paolo Bonolis ha un carattere particolare e, come chiunque dotato di una forte personalità, può suscitare forti simpatie o antipatie. Quando c'è lui a condurre gli ospiti non vengono risparmiati, sconfina spesso nel politicamente scorretto mettendo in imbarazzo i concorrenti. Paolo Bonolis, intervistato da La Stampa, racconta i motivi del suo atteggiamento.
Paolo Bonolis e le etichette. Stasera, Bonolis e Laurenti, tornano in prima serata per condurre Ciao Darwin e la sfida sarà tra "Gay Pride" (rappresentato da Luxuria) e "Family Day" (rappresentato da Povia). "Ma il punto è proprio quello: trattare con leggerezza e disincanto argomenti di rilevanza sociale. Magari può essere utile. Le contrapposizioni ideologica, culturale, politica, religiosa, sentimentale creano solchi e distanze. Se poi ci mettiamo il bombardamento quotidiano che incita alla divisione, come una goccia cinese che alla fine riesce a bucare le teste, grazie anche ai pregressi storici che l' hanno fatta maturare. Quindi, se scherziamo su un tema così importante, è possibile che passi l'idea che l'amore è amore, e che si può condividere" dichiara il conduttore quasi 58enne. Bonolis, a chi gli chiede se è stufo di questa trasmissione, risponde: "Questo è un prodotto faticoso, ma con un disegno morale trasversale ai tempi, che comunque male non fa" e conferma che Ciao Darwin sia un programma trash ma allo stesso tempo sottolinea come il trash vero, quello inconsapevole, è il più pericoloso. Trash è un'etichetta, ma lo è anche la diceria sul suo cinismo: "Un' altra etichetta. Io la chiamerei piuttosto assenza voluta di ipocrisia. E infatti gli ospiti lo capiscono perfettamente, nessuno se la prende mai. Anzi, mi sono grati, loro e i telespettatori, perché non uso quel linguaggio per me ormai insopportabile, del politicamente corretto televisivo". Ma Bonolis, oltre alla Tv, ha anche altri interessi. Il conduttore ha ammesso di aver guadagnato bene nella vita ma che non gli interessano Ferrari o barche: "ho pensato di investire in una realtà che aiuti i ragazzi a staccarsi dalle logiche rituali della loro esistenza. Sì, sento come un problema il rapporto dei giovani con le tecnologie: non sarebbe un problema se fosse un uso , ma è un abuso. Così, se questi possono andare a zampettare su un campo, è meglio" ha dichiarato a La Stampa. Riguardo i progetti futuri Paolo Bonolis non sembra avere molti piani, forse scriverebbe un libro, anche se ha ammesso che "dovrebbe scrivere solo chi lo sa fare".
Ciao Darwin 2019, le Terre desolate di Paolo Bonolis: "Sei trash se ti comporti da trash". Scrive il 12 marzo 2019 la Redazione Tvzap. Il presentatore ha introdotto il suo programma in partenza venerdì 15 marzo: appuntamento su Canale 5 dalle 21.20. “Secondo me sei trash se ti comporti da trash, non se lo mostri“, parola di Paolo Bonolis, pronto a tornare ancora una volta con Ciao Darwin a tre anni di distanza dall’ultima edizione. Ciao Darwin – Terre desolate, la versione 2019, riparte venerdì 15 marzo in prima serata su Canale 5 e, nel corso della prima puntata, svela Bonolis, si sfideranno la squadra delle persone Chic, capitanata dall’azzimatissimo Enzo Miccio, e degli Shock, guidata dalla soubrettina Lisa Fusco, ex Grande Fratello VIP 2018. Per il secondo episodio invece si sfideranno due squadre che faranno discutere, ossia quella del Gay Pride e quella del Family Day, condotte rispettivamente da Vladimir Luxuria e Giuseppe Povia.
Bonolis parte dal claim di questa nuova edizione di Ciao Darwin, ossia "Terre desolate": “È ciò che vediamo attorno a noi: territori naturali, sociali e interiori desolati. E lo raccontiamo in maniera ludica, giocosa…” spiega il presentatore nel corso di un’intervista concessa a Tv Sorrisi e Canzoni. Che rifiuta ogni tentativo di affibbiargli l’etichetta di alfiere del trash: “Ma secondo me sei trash se ti comporti da trash, non se lo mostri”. Anche per questa ottava edizione tornerà Madre Natura. Anzi, torneranno le Madre Natura: “Una diversa in ogni puntata. Madre Natura è il simbolo di quella bellezza incontaminata che inesorabilmente, secolo dopo secolo, abbiamo devastato. Giovedì 14 andrà in onda anche uno speciale che racconta come è nata, cosa rappresenta e come si svolgono i casting”. Si parte sul serio il giorno dopo, venerdì 15 marzo su Canale 5, con la puntata che contrappone Chic e Shock; il 22 marzo, in occasione del secondo incontro, si sfideranno invece le fazioni Gay Pride (guidata da Vladimir Luxuria) e Family Day (capitanata da Povia), secondo quanto riporta un’anteprima di TvBlog. Che possa rinfocolarsi una polemica del 2016 uscita già al tempo dei casting?
Ciao Darwin 2019, c’è anche Luca Laurenti. Al fianco del conduttore, ancora una volta, Luca Laurenti: “Laurenti è un cataclisma al quale sopravvivo da oltre 32 anni“, scherza Bonolis. Che, parlando invece di situaizioni grottesche capitategli nella vita, ne estrae una inattesa: “Il matrimonio. È una situazione in cui ti devi calare con molta ironia per suggerne il nettare prezioso. Se lo affronti con preoccupazione sono cavoli amari”, sentenzia. Anni prima di sposarsi, molti anni prima, quando era bambino, il presentatore ammette di essere stato un po’ un piccolissimo Darwin, a modo suo: “Non ero specializzato in entomologia ma vegetali, animali e pure minerali mi sono sempre piaciuti. Anche ora, quando viaggio, sono più incuriosito dai paesaggi che non dagli scenari urbani“. Infine, quando l’inviata di Sorrisi gli chiede perché vesta sempre di blu, il conduttore romano si produce in una risposta spiazzante: “E che ne so? I vestiti me li portano, non li scelgo. Quando mi daranno una giacca arancione, sarò pronto per il carcere di Guantánamo“.
Ciao Darwin, la star a luci rosse assalta Paolo Bonolis? Sonia Bruganelli sbrocca: "Sei buono per un...", scrive l'8 Aprile 2019 Libero Quotidiano. A Ciao Darwin l'attrice a luci rosse Laura Fiorentino si è sottoposta a una prova difficilissima con animali e bestiole raccapriccianti. Ma quel che più ha colpito i telespettatori è stata la reazione dell'attrice dopo aver superato il test, quando è letteralmente saltata addosso a Paolo Bonolis, che non ha potuto evitare un'espressione sbigottita. Una scena che ha sicuramente divertito la moglie del conduttore, Sonia Bruganelli, visto che su Instagram ha subito pubblicato il fotogramma dell'assalto con una presa in giro per Bonolis: "Finalmente fa un cortometraggio per il mondo del por***".
Ciao Darwin, grossi guai per Paolo Bonolis: "Barbarico", chi lo trascina in tribunale per maltrattamenti, scrive il 9 Aprile 2019 Libero Quotidiano. Delirio animalista contro Ciao Darwin e Paolo Bonolis: scatta la querela contro la trasmissione di Canale 5, presentata presso la Questura di Trapani. Ciao Darwin è finito nel mirino del Nucleo Operativo Tutela Animali (Noita) perché lo scorso venerdì, nel corso della sfida tra Giuliette e Mesaline, la prova di coraggio prevedeva di entrare in una teca al cui interno vi erano alcune iguane. Troppo, per la onlus, secondo cui i rettili sarebbero stati vittime di maltrattamenti poiché messi in gabbia, in condizioni non compatibili con la loro natura, e ad aggravare il quadro il fatto che tutto ciò sarebbe stato fatto solo per intrattenimento televisivo. Il Noita spiega che "la condotta [...] viola le linee guida formulate dalla ANMVI (Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani) per il corretto inserimento degli animali in televisione, visto che nel presente caso i poveri animali vengono utilizzati come oggetti per spaventare i concorrenti, in un gioco, se così può chiamarsi, barbaro, e senza alcun rispetto della logica della promozione del rispetto degli animali e della sensibilizzazione alla conoscenza delle specie, ed anzi contravvenendosi al divieto (sempre ivi incluso) di fare un uso in tv di animali che li sottoponga a stress o che neghi la loro dignità". Dunque Bonolis e gli autori di Ciao Darwin sono stati denunciati per maltrattamento degli animali.
CON L’IGUANA TRA LE GAMBE. Da Mediaset il 7 aprile 2019. "Siamo in una passeggiata a Roma, a Roma ci sono delle buche, all'interno delle buche ci sono delle cose". Paolo Bonolis descrive così la prova che la pornostar Laura Fiorentino deve affrontare come rappresentante delle Messaline nella sfida contro le Giuliette nella quarta puntata di Ciao Darwin 8 - Terre desolate. La concorrente deve infilare entrambi i piedi in diverse teche, ognuna con animali diversi: nella terza si trova davanti a tre iguana. "Faccia attenzione: queste mordono, recidono e infettano", la avvisa Bonolis. L'animale, immobile, fissa la concorrente. "E ora dove li metto i piedi qua?", si chiede Laura Fiorentino, prima di attingere a tutto il suo coraggio.
LAURA FIORENTINO, CHI È. Silvana Palazzo per Il Sussidiario il 7 aprile 2019. Laura Fiorentino, professione pornostar, protagonista della prova coraggio della puntata di ieri di Ciao Darwin 8. L’attrice erotica ha affrontato una prova particolarmente difficile e, nonostante le remore iniziali, ha convinto tutti per coraggio e tenacia: oltre agli applausi delle compagne di squadra delle Messaline, sono giunti i complimenti anche dal popolo del web. Ecco una carrellata di tweet: «Sta ragazza esprime una tenerezza inusuale per una pornostar #CiaoDarwin», «Paolo che chiede alla pornostar se è una signorina o signora è il top. #ciaoDarwin #ciaodarwin8», «#CiaoDarwin la pornostar che fa il segno della croce è il top». E c’è anche chi sottolinea il siparietto finale con Bonolis: «Bonolis che viene avvinghiato dalla Messalina pornostar, uno di noi », «VOLOOOO LA MESSALINA PORNOSTAR SI É MONTATA BONOLIS». Laura Fiorentino protagonista per le Messaline a Ciao Darwin 8 della prova coraggio. Quando è stato estratto il suo numero, si è definita «pornostar» e ha accettato la sfida senza alcuna esitazione. Già nei giorni scorsi attraverso i suoi canali social, la prorompente attrice di film a luci rosse aveva annunciato la sua partecipazione alla puntata di oggi di Ciao Darwin. «Buon divertimento», aveva anticipato Laura Fiorentino su Instagram per i suoi fan. Ma questi sono giorni particolarmente intensi per la pornostar. Lo dimostra la sua “agenda”, fitta di impegni. Proprio sui social ha raccontato di avere degli appuntamenti speciali per il mese di aprile: fino a domani è al Pompeii di Chiasso, dal 12 al 13 al Riverside di Pordenone, poi si sposterà al Jolly Club d Treviso, infine al Cocco di Venezia con Marika Vitale per lo Special Hard Show in Couple. Sicuramente la partecipazione a Ciao Darwin 8 rappresenta un’occasione per farsi conoscere di più…Dalle frattaglie con i millepiedi alle salamandre, passando per le iguana: sono alcune delle sfide che ha dovuto affrontare Laura Fiorentino, pornostar protagonista della Prova Coraggio di oggi di Ciao Darwin 8. La concorrente delle Messaline si è dimostrata coraggiosa, perché ha accettato senza esitazione, a differenza di quanto vista con le Giuliette. Nonostante l’iniziale titubanza, comprensibile del resto, si è fatta man mano avanti, nonostante le pressioni messe dal conduttore Paolo Bonolis. «Le sta puntando il polpaccio, non si muova, perché riconosce il movimento…», dice il conduttore mentre Laura Fiorentino scoppia quasi a piangere tra ansia a paura. «Messaline, aiuto, qua sto a morì», dice la 31enne provando a recuperare un po’ di autocontrollo. Anche lei ha dovuto fare i conti con le blatte e i vermi, ed è qui che si mostra più esitante. Rispetto alla rivale delle Giuliette, si è dimostrata però più coraggiosa.
· Così diventai Carlo Conti.
Così diventai Carlo Conti. Pubblicato sabato, 15 giugno 2019 da Chiara Maffioletti su Corriere.it. Ieri Carlo Conti aveva un lavoro in banca, oggi è uno dei conduttori più popolari della tv. Ieri faceva il dj in una radio locale, oggi ha ideato tre Sanremo. Ieri aveva due amici con cui faceva cabaret in Toscana, oggi ha due amici che invita nella sua trasmissione dedicata ai grandi. La nuova stagione di Ieri e oggi parte domenica su Rai3 (in seconda serata), proprio con Pieraccioni e Panariello.
Ha scoperto qualcosa che non sapeva?
«No, no. E come potrei? Sono i miei fratelloni. Sapevo tutto. Nessuno di noi avrebbe immaginato che quei ragazzetti che con scarsi mezzi che cercavano di fare spettacolo, l’avrebbero fatto davvero, così».
Ricorda cosa ha pensato quando li ha conosciuti?
«Prima Pieraccioni: conducevo un programma per dilettanti e lui si è presentato, faceva le imitazioni. Sarà stato il 1982. Faceva ridere, abbiamo iniziato a collaborare. Un paio di anni dopo, arriva un tizio che imita Renato Zero... Ci siamo scambiati il telefono, ovviamente un fisso. E, con Leonardo, lo abbiamo incluso nel nostro show. Quando poteva, Giorgio dalla Versilia veniva a Firenze, dove noi registravamo. Dico quando poteva, ma in realtà era quando aveva i soldi della benzina per arrivare... avevamo una scaletta con Panariello e una senza».
Bei tempi?
«Mi fa tenerezza. Non eravamo pagati, per fare le fotocopie dei copioni mettevamo 200 lire io e 200 Leonardo... ma ci avevano dato uno spazio in tv».
Aveva già le idee chiare?
«Sempre. Non con la frenesia di arrivare, ma solo per il gusto di fare questo mestiere. Ero assunto in banca da tre anni: mi sono licenziato di punto in bianco lasciando il certo per l’incerto per questo».
Già allora, amava organizzare...
«La direzione artistica ha sempre fatto parte di me. Ero io che tiravo le fila nei nostri show: andavo a cercare gli sponsor, facevo la scaletta...».
Questione di carattere?
«Non mi arrabbio mai, non urlo e vedo il bicchiere mezzo pieno».
Merito di sua mamma?
«Probabilmente. Mi ha cresciuto facendomi capire che nella vita ci si deve accontentare e non sempre battere piedi per averla vinta... tra l’altro perché, potevo anche batterli, ma non succedeva niente», ride.
Suo papà è morto che lei nemmeno aveva due anni.
«Fino a quando ero adulto quasi non me ne sono accorto. Mia mamma era molto forte, ha coperto tutte e due le figure. Sono cresciuto benissimo. La mia è stata più babbo che mamma: la ringrazierò sempre, mi ha tirato su rimboccandosi le maniche e dedicando la vita a me».
Pareva che diventare papà non fosse tra le sue priorità, no?
«Non lo era, assolutamente. Fino a quando ho deciso. Quando ho detto a Leonardo e Giorgio che mi sposavo, mi hanno risposto: ma stai scherzando? Oggi la famiglia è il centro di tutto e Matteo è il mio spettacolo più bello. Ero a un punto in cui mi mancava la condivisione. Fino a sette anni fa pensavo all’io, oggi per me c’è il noi. Sembra poco, non lo è».
Matteo come reagisce quando la vede in tv?
«E’ curioso. Si diverte molto quando viene a vedere il nostro spettacolo: con la figlia di Leonardo, dietro le quinte ci aiutano a vestirci, sono amici».
I suoi di amici tornano sempre...
«Beh, anche se penso al momento più emozionante di tutti i miei Sanremo, è stato quando erano sul palco con me. Non ero agitato in generale, ma in quella occasione, per un istante ho ripensato alle nostre origini: nessuno avrebbe immaginato che saremmo arrivati lì tutti e tre, ciascuno con la propria forza».
Nella sua carriera, ci sono stati momenti in cui hanno creduto meno in lei?
«L’affetto del pubblico non è mai mancato. Tra gli addetti ai lavori, è chiaro che quando arrivi con i risultati è più facile. Un consenso maggiore senza dubbio c’è stato: credo di aver dimostrato di poter fare bene tante cose, non ultimo Sanremo. Aver fatto tutto il mio percorso in Rai per me è una soddisfazione».
Mai discusso con nessuno in questi anni? Possibile?
«Mai, mai, mai. Ma neanche da bambino, mai fatto a botte. Per me non esiste motivo per litigare, ci si può confrontare».
Lo spettacolo non ha fama di essere un ambiente di agnellini...
«Sarà un acquario con tanti squali, ma io sono un pesciolino rosso e riesco a muovermi bene».
Dopo una fase più istituzionale da conduttore, ora sta tornando a una dimensione ludica...
«Credo di avere varie anime. Di certo non potrei fare l’attore o il cantante».
Eppure ha fatto entrambe le cose... se dico Konti?
«Ma nooo — ride —. All’epoca ogni dj doveva fare un disco... son cose giovanili, anche se quando poi mettevo in discoteca il mio disco e la gente ballava, mi piaceva. Come attore, solo parti minime. A ciascuno il suo».
Tra gli altri ospiti di «Ieri oggi» ci saranno Arbore, Salemme, Banfi, Chiambretti...
«Con ognuno ho qualcosa in comune. Se faccio questo mestiere è perché andavo a scuola con il transistor ascoltando di nascosto Alto Gradimento... con Chiambretti abbiamo tante affinità, siamo anche cresciuti entrambi senza il babbo».
E poi Costanzo...
«La prima volta al Costanzo show ero una corda di violino, non mi sembrava vero. Un mesetto fa, nella puntata dedicata ai tre tenori, dove vent’anni prima c’erano Vianello, Mike e Corrado, mi ha chiamato con Gerry Scotti e Bonolis: anche lì non mi sembrava possibile, è stata una consacrazione. Ho riprovato le sensazioni della prima volta».
Chissà sua mamma, allora...
«Lei ha cominciato a capire che stava accadendo qualcosa dopo In bocca al lupo, il preserale del 1998. Di solito per fare la spesa ci metteva 15 minuti, da quel momento un’ora, perché tutti la fermavano».
Sono soddisfazioni, no?
«Beh, quando le avevo detto che mi ero licenziato era svenuta. Aveva dedicato sé stessa per darmi il diploma e un lavoro. Ma quando si è ripresa, mi ha detto: Carlo, la vita è tua e se non ci credi te, chi ci deve credere?»
Ha mai pensato a come sarebbe stata la sua vita se non avesse trovato il coraggio per fare quel gesto?
«Noooo, non potevo non trovarlo. Anche solo per un motivo: tutte le mattine, per andare in banca, avevo un percorso obbligato: dovevo passare da piazza della Libertà».
· Giorgio Panariello.
Panariello in lacrime in tv: "Non ho mai conosciuto mio padre". Giorgio Panariello ha aperto il suo cuore con Mara Venier durante un'intervista toccante che ha ripercorso le origini della sua carriera ma anche alcuni aspetti privati della sua vita, non noti a tutti. Francesca Galici, Domenica 17/11/2019, su Il Giornale. Giorgio Panariello è stato protagonista di una lunga intervista a Domenica In, durante la quale ha raccontato pezzi di vita non noti al grande pubblico. Ha ripercorso parte della sua carriera, rivivendo i momenti più belli, quelli che hanno maggiormente emozionato e divertito il suo pubblico, che da tanti anni lo segue e lo apprezza. È emersa la grande passione per questo lavoro, che è sempre stato il suo sogno fin da quando era piccolo. Da bambino sognava di calcare il palcoscenico, un traguardo non facile da raggiungere per lui che ha sempre dovuto faticare per raggiungere i suoi obiettivi. “Ho fatto il cameriere, l'elettricista, un sacco di cose prima di arrivare a parlare qui con te, prima si seguire un sogno, dovevo pensare a vivere. A scuola mi consigliarono che avrei dovuto fare un qualcosa che mi mettesse a contatto con il pubblico, ed io ho fatto il cameriere, ma i maitre erano disperati, perché io ero un casinaro, già facevo le imitazioni, anche di Renato Zero, entravo in sala così, e la gente si divertiva”, ha scherzato Panariello. Non è difficile da immaginare la verve dell'attore già in giovane età, visti i grandi risultati che ha raggiunto durante oltre 30 anni di lavoro nel mondo dello spettacolo. Ha, poi, ricordato i suoi esordi e il modo in cui è cambiato il modo di fare comicità ma non il suo di affrontare il pubblico: “All'epoca c'era una sorta di incoscienza che non c'è adesso, ora dobbiamo stare attenti a dire questo, non dire quell'altro, attenti agli ascolti. Però io mi emoziono ancora. Io mezz'ora prima dello spettacolo, mi chiudo in camerino da solo, ho proprio l'ansia da prestazione ed è una cosa che dobbiamo sempre mantenere.” Renato Zero è il personaggio al quale Panariello è maggiormente legato, una sorta di amuleto per la sua carriera che porta avanti da quando era poco più di un ragazzino. Quegli anni non sono stati facili per l'attore, che è cresciuto con i nonni e senza genitori: “Non ho mai conosciuto mio padre, mia madre la vedevo solo nelle grandi occasioni. I miei nonni non mi hanno mai fatto mancare l'affetto che dovrebbero dare dei genitori, hanno sopperito, messo il tassello giusto dove mancava.” Al padre che non ha mai conosciuto ha dedicato un monologo immaginando di scrivergli una lettera, quella che forse non gli ha mai scritto per davvero. È in questo momento del racconto che Giorgio Panariello si commuove: “Non ho mai conosciuto mio padre, mia madre la vedevo solo nelle grandi occasioni. I miei nonni non mi hanno mai fatto mancare l'affetto che dovrebbero dare dei genitori, hanno sopperito, messo il tassello giusto dove mancava.” A Domenica In ha raccontato il ruolo dei suoi amici di sempre nel suo processo di crescita, in primis Carlo Conti e Leonardo Pieraccioni: “I miei amici mi hanno aiutato tantissimo, non mi sono mai mancati in momenti difficili. Guarda gli voglio proprio bene sai, ma anche adesso che sono diventati anziani. Noi ci divertiamo così anche nella vita.”
· Parla Nek.
Cattivissimo Nek: lo scherzo. I fan: “È crollato un mito”. Le Iene il 4 dicembre 2019. Guardate com’è diventato cattivo Nek! In realtà è uno scherzo di Cizco e il cantante è il nostro complice. I fan però ci sono cascati davvero! Manca una settimana al suo prossimo concerto e noi de Le iene abbiamo invitato 4 grandi fan a vivere un'esperienza unica: passare un'intera giornata insieme al loro idolo. Lui li aspetta nella hall di un albergo: gli interessa poco però del loro arrivo, tanto che preferisce continuare a giocare al cellulare senza neanche degnarli di uno sguardo. Ha solo una domanda da fare: “Quando cazzo arrivano le telecamere?”. Eh sì, perché il cattivissimo Nek solo a camere accese decide di salutare, abbracciare e scherzare calorosamente con i suoi fan. Spiega l'organizzazione della giornata e li saluta per ricontrarli poco dopo. Quando si spengono le telecamere, Nek cambia improvvisamente tanto da negare in malo modo un selfie a un’altra fan che si trova nell'hotel in quel momento. “Ci è crollato un mito”, si dicono tra loro i fan vedendo quella scena. “Poi il fatto che lui abbia continuato a giocare sul cellulare, senza nemmeno alzare la testa: è proprio un cafone”, dice esterrefatto uno dei ragazzi. La giornata è appena iniziata e i 4 fan vengono portati nella stanza del cantante, che si sta facendo truccare per le riprese. “Mi avete mandato una bambina dell'asilo che non sa neanche truccare”, urla Nek. A telecamere accese ritorna però il buonissimo Nek: sorriso a tutti denti e accoglienza al primo posto! Finito il trucco i ragazzi vengono riaccompagnati nel camerino. Tutti tranne uno: Antonio, un cantautore, che viene lasciato in una suite dove si incontrerà con il suo idolo per fargli sentire la sua canzone. Ci riuscirà? No! perché Nek sta invece aspettando giù al bar proprio la fidanzata di Antonio. “Sei molto bella complimenti!”, esordisce il cantante, “ma tu, questa sera tipo?” gli chiede dopo aver ingannato il fidanzato con un finto appuntamento in suite. La ragazza però resta fedele e gli ricorda di essere venuta lì con il suo compagno: “Non posso, indissolubile, al 100%”. Come la prenderà Antonio? “Io non lo voglio più vedere me ne voglio andare... non lo voglio vedere!”, esclama disgustato dal racconto della fidanzata. Ma proprio prima che se ne possa andare arriva il cattivissimo Nek per raccontare la sua versione dei fatti, che ovviamente non coincide. Anzi, è il contrario: è la fidanzata, sostiene, ad averci provato con lui. Dopo una discussione Nek li lascia lì e raggiunge gli altri fan che lo stanno aspettando in un'altra zona dell'hotel. Tornano le riprese e Nek torna subito super gentile dispensando sorrisi. Quando poi Sabrina, una delle fan, osa dire qualcosa, Nek butta giù la maschera e torna più cattivo che mai. Gli altri fan non ci credono, sono devastati. E non è ancora finita! È il momento di una videochiamata con la moglie e di un piccolo tour della sua stanza d'albergo. Esce dal bagno una prostituta: “Mi devi ancora pagare!”, dice mentre Nek cerca di cacciarla. I fan? Allibiti, vorrebbero morire. “Sono stato sposato 12 anni e non ho mai visto niente del genere”, confida uno del gruppo. È arrivato il momento per Nek di uscire allo scoperto: “Questo è un bellissimo scherzo de Le iene che io ho fatto a voi!”. È finita bene dai, ma Antonio? È ancora chiuso nel camerino con la sua fidanzata e non ha nessuna intenzione di rivedere il cantante. Entriamo lo stesso: tocca anche a lui scoprire che in realtà è tutto uno scherzo de Le Iene!
NEK: “ANDAVO AL PROFESSIONALE DOVE ERANO TUTTE DONNE E...” Rita Vecchio per “Leggo” 13 maggio 2019. Un padre a cui non ha mai detto ti voglio bene, l’amore per la radio che non muore mai e il rapporto difficile con la critica, la voglia di cercare il bello anche dopo quell’11 settembre. C’è tutto questo nel nuovo lavoro di Nek, che esce oggi per Warner intitolato “Il mio gioco preferito - parte prima”, anticipato da due singoli. L’ultimo ha il video girato a Milano. Solo sette tracce per un disco ibrido e tutto suonato che in copertina ha un cubo di Rubik non a caso incompleto. La “parte seconda” arriverà in autunno, e forse il cubo - ovvero la biografia in musica di 30 anni di carriera del cantautore di Sassuolo che all’anagrafe è Filippo Neviani - apparirà completo. «La copertina? Simboleggia la vita ed è la mia fotografia».
Perché il riferimento a quel triste settembre?
«La tragedia delle Torri Gemelle ha creato differenze, inasprito rapporti. Da allora il motto pare essere: “Se tu sei cattivo con me, io lo sono con te”».
“Nel mio gioco preferito” cita suo padre.
«Non c’è più dal 2012 e lo sento più vicino oggi di quando era in vita. Ho il rimpianto di non avergli detto ti voglio bene. C’era un bel rapporto: parlava poco, osservava molto. Aveva capito che la musica stava prendendo la mia esistenza, visto che passavo più tempo con la band che a studiare. Mi feci pure bocciare. Andavo all’Istituto professionale dove erano tutte donne».
E lì faceva il figo.
«Univo l’utile al dilettevole (ride, ndr). I primi autografi a 17 anni, perché con le sagre eravamo gli idoli della provincia. Prendi il diploma e poi fai quello che vuoi, mi diceva. Proteggi le spalle, il mondo è insidioso».
Aveva ragione?
«Sì, mio padre mi ha tenuto con i piedi per terra».
Lei è uno di quelli più amati dalla gente che dalla stampa.
«È vero. Ma non ho mai risposto alle critiche se non con i fatti. Dopo il pezzo sull’aborto nel ’93 (“In te”, ndr), e fino a “Laura non c’è”, non c’è mai stato un bel rapporto. Poi è andata un po’ meglio. Sa qual è la cosa più difficile per un cantante?»
Quale?
«La longevità. La musica è un’incognita continua. Guardi i tempi di oggi: dovremmo diventare rapper o trapper per essere alla moda. Il loro linguaggio è il più sentito».
Nel disco precedente però duettava con J-Ax.
«Strofe di rap nel pezzo pop. E sinceramente penso che pop e rock non moriranno mai. Ho sempre fatto pop sporcandolo con rock, classica, elettronica, acustica».
“Alza la radio” è una dedica nuda e cruda alla radio.
«Oggi uscirà il mio cd, formato che sembra obsoleto. Credo ci siano cose che rimangono sempre. E la radio è una di queste. E credo pure che musica e radio dovrebbero andare mano nella mano».
Ma perché dividere un disco?
«Per la longevità di cui sopra. Questo è essenziale: sentivo l’esigenza di togliere elettronica, tornare al basso e alle chitarre. La seconda parte sarà ancora più rock e più cattivo. Comprese sonorità alla Battisti o Police».
La vita è stronza?
«“La vita è stronza, ma ci ha resi forti”, perché nessuno è esente da difficoltà: quindi ci si deve organizzare per non soccombere. A far sperare è sempre e solo l’amore».
Parla di eroi. Chi sono?
«Quelli che vincono le battaglie in silenzio. La tv (per audience) e il mondo ci hanno educato di più a ciò che fallisce che al buono. Così i social: tutta apparenza e poca sostanza, dove contano solo like e visualizzazioni. Facile cadere nella dipendenza».
Perché il duetto con Marcorè?
«Mi piaceva incidere il bel ricordo di Sanremo. La versione acustica è quella originale, peraltro. Abbiamo cambiato solo il testo della poesia».
Tornerebbe in trio con Renga e Pezzali?
«Subito. Anche loro penso».
E il tour?
«L’Arena di Verona il 22 settembre. Poi l’Europa, prima delle date italiane».
· Ed Sheeran l'artista più ascoltato al mondo.
Ed Sheeran: perché è l’artista inglese del decennio. Il cantautore di Halifax, l’artista più ascoltato di sempre in streaming, è stato premiato per aver avuto 12 singoli al primo posto in classifica. Gabriele Antonucci il 17 dicembre 2019 su Panorama. La Official Charts Company ha nominato Ed Sheeran come "Artista Inglese del decennio". Il cantautore britannico è stato omaggiato anche del premio "Official Chart Record Breaker" per esser stato l’artista con più singoli primi in classifica, ben 12 tra il 2010 e il 2019. I suoi sei album, inoltre, sono stati al numero 1 per 41 settimane totali mentre i suoi singoli per 38, per un totale di 79 settimane. Ed Sheeran è il terzo artista a ricevere il premio ‘Official Chart Record Breaker’ dopo Justin Bieber, primo artista della storia ad avere tre singoli nella top 3 contemporaneamente, e Paul McCartney, per aver raggiunto più primi posti grazie ai suoi album. Martin Talbot, direttore dell’Official Chart Company, ha affermato: “Ed ha davvero dominato questo decennio e merita assolutamente il nostro premio! All’inizio del decennio, non era altro che un diciottenne sconosciuto di Suffolk. Ora, invece, la sua musica e i suoi successi sono importantissimi. Oggi, è sicuramente tra le superstar mondiali più riconosciute”. “È una cosa pazzesca – ha commentato Sheeran– Davvero non mi aspettavo che la mia carriera durasse più di 5 anni, figuriamoci essere in grado di farlo per un decennio… Grazie per il vostro supporto. In particolare ringrazio i miei incredibili fan. Brindiamo ad altri 10 anni come questi”. Ma qual è il segreto del successo di questo moderno Re Mida del pop, che solo fino a qualche anno fa si esibiva come artista di strada e dormiva nella metropolitana sulla Circle Line di Londra? Prima di tutto, anche se potrebbe sembrare pleonastico, è la musica: un pop di qualità, con influenze folk, soul e hip hop, nobilitato spesso da testi personali e profondi. Il cantautore britannico è forse oggi l'unico artista in grado di mettere sia gli adolescenti cresciuti a streaming e smartphone che un pubblico più maturo e consapevole, piacevolmente colpito da questo artista che si presenta sul palco solo con la sua chitarra e la loop station, senza abbellimenti elettronici. Questa capacità di saper parlare a generazioni diverse è merito del nonno hippie, di sangue irlandese, che ha avuto un ruolo fondamentale nella sua formazione, avvicinandolo alla musica di Bob Dylan, Eric Clapton e Beatles. L’artista preferito di Ed, però, è Van Morrison, scoperto da bambino nei lunghi viaggi in macchina che faceva con i suoi genitori, tanto che a undici anni è scappato di casa per vedere dal vivo il grande cantautore irlandese, a cui dobbiamo capolavori assoluti come Astral weeks e Moondance. Un'altra delle sue carte vincenti è la sua straordinaria normalità. Non troverete in Ed nulla che sia fuori posto: look finto trasandato da studente universitario, mai una dichiarazione choc alla stampa o un atteggiamento sopra le righe, mai una canzone urlata o sonorità acide, le foto dei suoi gattini postate sui social. In questo Ed è accostabile ad Adele: nella loro musica non c’è nulla di rivoluzionario, il loro look è abbastanza anonimo, nessuno dei due ama particolarmente mettersi in mostra, non sono due bellezze da copertina, pur avendo numerosi ammiratori. Sheeran si distingue dagli altri suoi colleghi per la sua singolare capacità di rappare con grande padronanza, pur non essendo propriamente un rapper, come emerge da You need me, I don’t need you, Sing, Take it back e Eraser. Un amore per l'hip hop che emerge compiutamente nel nuovo album "No.6 collaborations project", pubblicato pochi mesi fa in tutto il mondo dalla Warner, il più rap e r&b della sua carriera. Quindici brani nuovi di zecca, ai quali partecipano 22 ospiti, quasi tutti di primo piano: si va da rapper ormai "old school" come Eminem e 50 Cent ai campioni della trap Travis Scott, Meek Mill, Cardi B e Stormzy, dal conscious rap di Chance The Rapper e dall' r&b di Bruno Mars, Camila Cabello, H.E.R e Khalid fino al pop di Justin Bieber e all'elettronica di Skrillex. Più che un album, una playlist di brani pensati per ballare e per diventare la colonna sonora dell'estate 2019, accantonando temporaneamente le ballad (con la sola eccezione della romantica Best part of me in duetto con la talentuosa Yebba) che lo hanno reso famoso come Thinking Out Loud e Perfect. Oltre ad essere l'artista più ascoltato al mondo sulle piattaforme streaming, Sheeran, a soli 28 anni, ha vinto, tra gli altri premi, 4 Grammy Awards, 4 Ivor Novello, 6 BRIT Awards e 7 Billboard Awards. Merito del clamoroso successo del suo terzo album ‘÷’ (Divide), vincitore di 2 Grammy Awards per miglior album pop vocale e per migliore intepretazione pop (Shape of you), che ha venduto 15,5 milioni e mezzo di copie in tutto il mondo, un numero impressionante se si pensa che oggi molti big faticano a superare le 500.000 copie. Divide ha superato i 4 miliardi di riproduzioni e Shape of you è il brano più ascoltato di tutti i tempi sulle piattaforme digitali. Non male, per un artista che da piccolo è stato bullizzato a scuola per i suoi spessi occhiali e per i suoi capelli rossi: un perfetto esempio di come l’amore per la musica possa salvare la vita delle persone.
Ed Sheeran: il segreto del successo dell'artista più ascoltato al mondo. La pop star inglese, che ha pubblicato il nuovo singolo "I don't care" con Justin Bieber, a giugno tornerà a esibirsi a Firenze, Roma e Milano. Gabriele Antonucci il 14 maggio 2019 su Panorama. “Io e Justin Bieber abbiamo pubblicato una nuova canzone. Si intitola “I don’t care” e spero che vi piaccia”. Cosi Ed Sheeran ha annunciato, il 10 maggio, il suo nuovo singolo I don’t care, prodotto da Max Martin, Shellback e FRED. Un brano fresco, leggero ed estivo, con un ritmo "saltellante", che siamo sicuri sarà un tormentone dell'estate 2019. Sheeran, a soli 28 anni, è l'artista pop più ascoltato nel mondo. Merito del clamoroso successo del suo terzo album ‘÷’ (Divide), vincitore di 2 Grammy Awards per miglior album pop vocale e per migliore interpretazione pop (Shape of you), che ha venduto 15,5 milioni e mezzo di copie in tutto il mondo, un numero impressionante se si pensa che oggi molti big faticano a superare le 500.000 copie. Divide ha superato i 4 miliardi di riproduzioni e Shape of you è il brano più ascoltato di tutti i tempi sulle piattaforme digitali. L’artista di maggior successo nel mondo nel 2017 (fonte IFPI) è stato insignito del prestigioso premio MBE per i servizi prestati in ambito musicale e di volontariato alla fine del 2017. Durante la sua carriera ha vinto, tra gli altri premi, 4 Grammy Awards, 4 Ivor Novello, 6 BRIT Awards e 7 Billboard Awards. Numeri che, per sua stessa ammissione, difficilmente saranno eguagliati dal prossimo album, di cui ancora non si conoscono né titolo né data di uscita, che sarà composto da brani prevalentemente acustici. Il cantautore inglese tornerà a esibirsi in Italia nel 2019 con tre grandi concerti: si esibirà infatti come headliner della seconda giornata del festival Firenze Rocks il 14 giugno alla Visarno Arena, a cui faranno seguito due show rispettivamente allo Stadio Olimpico di Roma il 16 giugno e allo Stadio San Siro di Milano il 19. I nuovi concerti lo vedranno impegnato a maggio, giugno, luglio e agosto dell’anno prossimo con date in Francia, Portogallo, Spagna, Germania, Austria, Romania, Repubblica Ceca, Latvia, Russia, Finlandia, Danimarca, Ungheria e Islanda prima di culminare con quattro show nella sua terra natale, la Gran Bretagna, a Leeds (West Yorkshire) il 16 e 17 agosto presso il Roundhay Park e a Ipswich (Suffolk) il 23 e 24 agosto presso Chantry Park.
In cantiere un album acustico. «Il prossimo disco che sto realizzando non è un album pop», ha dichiarato Sheeran al collega George Ezra nella prima puntata del podcast George Ezra & Friends. «La ragione per cui non è un album pop è proprio per il fatto che la gente si aspetta che il prossimo album sia più grande di Shape of You e deve vendere di più… I miei fan saranno contenti e il mondo pop penserà Oh beh, forse il prossimo. Ogni anno scrivo una canzone che inserisco nell’album, quindi ne ho circa sei, sette al momento, non credo che ci saranno canzoni radiofoniche questa volta: è un disco molto acustico ». Un periodo magico, non solo dal punto di vista professionale, ma anche sentimentale.
Il matrimonio con Cherry Seaborn. Sheeran si è sposato in gran segreto, quest'estate con Cherry Seaborn, consulente finanziaria di 25 anni, con la quale è fidanzato da tre anni e a cui ha dedicato la dolcissima ballad Perfect. La canzone è nata ad Ibizia, dove la coppia era ospite a casa di James Blunt, alle 2 di notte, quando Ed e Cherry si sono messi a ballare a piedi nudi sul prato la loro canzone preferita, March Madness del rapper Future. Perfect ricorda la struggente If I could turn back the hands of time del sottovalutato (in Italia) R.Kelly ed è destinata a diventare la nuova Thinking out loud. Ed e Cherry si sono conosciuti alle scuole superiori, la Thomas Mills High nel Suffolk, in Inghilterra. Ed si è trasferito a Londra per inseguire la sua carriera musicale, mentre Cherry si è laureata in biologia molecolare ed è andata a lavorare come consulente di rischio per la multinazionale Deloitte. La Seaborn è inoltre una campionessa di hockey: ha giocato per l'Under 18 inglese e ha guidato la squadra della sua università americana, la Duke, a grandi risultati. Nel 2016 la coppia si è presa un anno sabbatico, viaggiando in giro per il mondo. "Non avevo mai passato tutto questo tempo con nessuno, in tutta la mia vita - ha dichiarato l'artista del Suffolk a "Vanity Fair"- Diventare una cosa sola con un'altra persona è un'esperienza incredibile". Ma qual è il segreto del successo di questo moderno Re Mida del pop, che solo fino a qualche anno fa si esibiva come artista di strada e dormiva nella metropolitana sulla Circle Line di Londra?
Il segreto della sua musica. Prima di tutto la musica: un pop di qualità, con influenze folk, soul e hip hop, nobilitato spesso da testi personali e profondi. Il cantautore britannico, di cui è uscita da poco in Italia una biografia non autorizzata scritta da Ernesto Assante per la Kenness, è forse oggi l'unico artista in grado di mettere sia gli adolescenti cresciuti a streaming e smartphone che un pubblico più maturo e consapevole, piacevolmente colpito da questo artista che si presenta sul palco solo con la sua chitarra e la loop station, senza abbellimenti elettronici.
La sua formazione musicale. Questa capacità di saper parlare a generazioni diverse è merito del nonno hippie, di sangue irlandese, che ha avuto un ruolo fondamentale nella sua formazione, avvicinandolo alla musica di Bob Dylan, Eric Clapton e Beatles. L’artista preferito di Ed, però, è Van Morrison, scoperto da bambino nei lunghi viaggi in macchina che faceva con i suoi genitori, tanto che a undici anni è scappato di casa per vedere dal vivo il grande cantautore irlandese, a cui dobbiamo capolavori assoluti come Astral weeks e Moondance.
La straordinaria normalità del rosso di Halifax. Un'altra delle sue carte vincenti è la sua straordinaria normalità. Non troverete in Ed nulla che sia fuori posto: look finto trasandato da studente universitario, mai una dichiarazione choc alla stampa o un atteggiamento sopra le righe, mai una canzone urlata o sonorità acide, le foto dei suoi gattini postate sui social. Insomma, l’esatto opposto del punk. Sheeran si distingue dagli altri suoi colleghi per la sua singolare capacità di rappare con grande padronanza, pur non essendo propriamente un rapper, come emerge da You need me, I don’t need you, Sing, Take it back e Eraser.
Le similitudini con Adele. Una canzone e, ancor più, un intero album funzionano quando colgono lo spirito del loro tempo. In questo Ed Sheeran è accostabile ad Adele: nella loro musica non c’è nulla di rivoluzionario, il loro look è abbastanza anonimo, nessuno dei due ama particolarmente mettersi in mostra, non sono due bellezze da copertina, pur avendo numerosi ammiratori. Ma allora qual è il segreto del loro successo? Un aspetto a cui i discografici, presi da firmacopie, interviste e complesse strategie di marketing, danno sempre meno attenzione: le canzoni.
· Alberto Camerini.
Alberto Camerini, 2 figli e 10 mila libri: «Ma ho l’infantilismo cronico». Pubblicato domenica, 25 agosto 2019 da Roberta Scorranese su Corriere.it. Va bene, dagli anni Ottanta si esce vivi. Ma certi segni restano: una predisposizione al travestimento, probabilmente un ironico slang anglofono, certamente uno sguardo che tradisce una nostalgia allargata, orizzontale, come se accomunasse intere generazioni. E Alberto Camerini sintetizza questo struggimento rock con un’espressione: infantilismo cronico. Così in una calda giornata estiva, una conversazione in un caffè di Milano si trasforma in una rievocazione sospesa tra il riso, la battuta e la malinconia. Forse prevedibile, per un artista che ad un certo punto ha deciso di diventare un arlecchino elettronico. Correva l’anno 1980.
Che cosa accadde?
«Tutto. O quasi tutto. Avevo firmato con la Cbs, feci successo con un disco e un singolo, Skatenati, cominciai ad uscire dal giro della musica diciamo “impegnata” e a sperimentare trucco, abiti variopinti, pettinature glamour».
In realtà il fenomeno Camerini esplose dall’anno successivo, no?
«Millenovecentoottantuno, che estate. Rock’n’Roll Robot, poi Tanz Bambolina. Mi ero appena sposato, facevo quattro date in un mese, intascai subito 350 mila lire e mi feci la Ford Fiesta. Poi il successo crebbe ancora: centinaia di migliaia di pezzi (singoli dischi, ndr), le radio impazzivano, così come i ragazzi ai concerti. Alla fine i tre dischi produssero un fatturato di quasi cinque miliardi, a me in tasca ne venne uno. Comprai la casa. Stop».
E poi?
«E poi, saluti. Vede, io volevo cantare in inglese ma non me lo permisero. Avevo provato il tedesco (Tanz Bambolina) anche perché ero ambizioso e volevo sfondare nel mercato europeo. Volevo tutto: essere David Bowie ma mantenere la famiglia, chiedevo il successo e pure la normalità di un padre con una figlia».
Non le hanno mai perdonato di aver sostituito l’impegno con il blush, dica la verità.
«No di certo. Però negli anni Settanta, nel movimento milanese della musica impegnata, io ero una creatura a parte. Non ero un gigante, non ero un protagonista. Ero un angioletto che stava dalla parte dei gay e delle femministe. I concerti con l’Eugenio, con l’articolo davanti mi raccomando (Finardi, ndr), le canzoni di protesta. Non ero a mio agio: non ho il fisico. Mi guardi: sono smilzo, non prestante. Come potevo fare il macho rock? Così sono diventato arlecchino».
Finardi era Springsteen, lei faceva Bowie, per capirci.
«Più o meno. Guardavo a Londra, captavo quello che per me era il vero cambiamento. La musica elettronica, le suggestioni meccaniche, i robot, l’abbigliamento glam, le pettinature. Una volta mi feci una banana di capelli come Adam Hunt. Dopo il concerto andai a prendere la macchina al parcheggio. Trovai i tergicristalli arricciati come il ciuffo dei capelli. Una vendetta».
Davvero?
«Il mio look stravagante era vissuto come un tradimento. Io volevo guardare avanti. Andavo da un parrucchiere inglese in via Brera e provavo tagli e tinture. Il travestimento arlecchinesco però non è infantilismo cronico: io sono appassionato di commedia dell’arte, di maschere, dell’opera veneziana del Settecento. Sto scrivendo un libro ambientato in quell’epoca».
Nato a San Paolo del Brasile nel 1951, lei e la sua famiglia vi siete trasferiti a Milano nel ‘62. Difficoltà?
«La mia è una famiglia ebraica, i miei nonni erano dovuti emigrare da Milano negli anni Trenta per le leggi razziali. Padre pittore, nonno scultore, volevano farmi laureare in Medicina: non ci riuscirono. Milano mi pareva meglio del Brasile: si sperimentava tanto negli anni Settanta. Ma ai miei ne ho fatte passare tante. Ecco perché oggi non riesco a impormi con i miei figli, Lorenzo e Valentina. Ah, entrambi sono bravissimi, due scrittori».
E oggi che cosa fa Alberto Camerini?
«Scrivo canzoni, faccio serate, sto finendo il libro, amo la mia seconda moglie Silvia, una contessa abruzzese che si è innamorata di me in quella magica estate dell’Ottantuno. E poi leggo molto, metto ordine tra i miei diecimila libri e cerco di limitare i miei difetti».
Che sono?
«L’infantilismo cronico — appunto — e l’anarchia. E un’ultima cosa: mi raccomando, non fumate l’hashish, fa malissimo e costa un casino».
· Marco Masini e la sfortuna.
Marco Masini si sfoga sul periodo buio: "La gente si toccava, dicevano che emanavo negatività". Marco Masini si racconta a Non disturbare, il programma condotto da Paola Perego e trasmesso su Rai 1. Serena Granato, Giovedì 01/08/2019 su Il Giornale. Nel corso della nuova puntata di Non disturbare, il format condotto da Paola Perego e trasmesso su Rai 1, il cantautore di Spostato di un secondo, Marco Masini, si è raccontato in toto, sia come artista sia come uomo. Il cantante si è espresso sul senso di smarrimento di cui parla in Disperato, che accomunava l'artista e l'intera generazione di Masini nei mitici anni '90: "Sentivo che ‘Disperato’ raccontava una verità importante e aveva anche una musica popolare e orecchiabile, ma io non mi aspettavo così tanto successo. Mi stavo lasciando con la mia donna, ma ero disperato per una serie di cose anche citate nelle canzone. C’era un male comune diffuso ed era un momento particolare in quel momento storico. Così attraverso una storia d’amore sono riuscito a raccontare quanto soffriva la mia generazione di quegli anni". Nel corso del suo ultimo intervento in tv, Marco Masini ha parlato anche del periodo buio della sua carriera artistica, quando cioé circolavano le maldicenze di coloro che credevano che lui portasse sfortuna: "Poi all’improvviso si è aperto un periodo buio nella mia vita, quando una persona ha iniziato a spargere la voce del fatto che portassi sfortuna. Io non credo nella cattiveria della gente. Non credo di essere stato odiato, perché la cattiveria deriva dall’odio. Questa cosa è iniziata per scherzo, tutti prendiamo in giro qualcuno. Questa persona ha iniziato a puntare il dito alle canzoni che ho cantato. C’era chi le sposava, perché pensava che sarebbero state d’aiuto a per uscire da un momento triste, chi invece chi non viveva quel momento mi ha individuato come cantante negativo, perché esprimevo dei concetti negativi. Non sono mai stato incazzato con nessuno. Ho dichiarato di ritirami perché è come quando una azienda va a fondo e l’amministratore delegato deve dimettersi".
Marco Masini perseguitato dalle maldicenze. Il cantante si sentiva perseguitato dalle malelingue, che oggi definisce "un'arma letale": "Era una persecuzione, non potevo ad andare al bar a prendere il caffè, che vedevo gente che si girava e si toccava. Mi sentivo disarmato, perché questa è un’arma letale che ti fa fuori. Nel 2001 arrivò una lettera da una tv al mio manager in cui si diceva "ci dispiace il pezzo è molto bello, ma il suo artista emana energie negative". La mia casa discografica mi rese il contratto dicendo che non riuscivano a fare promozione e quindi non avevano più a disposizione il budget per sostenermi". Ma nel 2004, Masini è riuscito a vincere la sua sfida artistica e personale, dimostrando di non trasmettere solo nostalgia attraverso la musica: "Dico che è inutile arrabbiarsi e fare del vittimismo, perché non serve. Bisogna essere lucidi, freddi. Conosco solo una formula per affrontare momenti difficili ed è scrivere canzoni. Bisogna essere ancora più forti di una persona normale. Ed è arrivata una canzone che ha sfondato questi muri altissimi. Era ‘L’uomo volante’ che ha vinto Sanremo nel 2004. Era una sfida per me. La cosa migliore quando succede qualcosa che ti mette in difficoltà è credere nel domani. Se oggi sei in difficoltà, domani non lo sarai, basta che tu sappia prevederlo il futuro e programmarlo in modo da sorprenderti per tutto quello che verrà".
"LE VOCI SUL FATTO CHE PORTASSI SFORTUNA? Da “I Lunatici - Radio2” il 30 aprile 2019. Marco Masini è intervenuto ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta ogni notte dall'1.30 alle 6.00 del mattino. Il cantautore fiorentino ha parlato un po' di sé: "Le mie canzoni più note? Musica leggera, non le ho fatte da solo, ma con autori che hanno lavorato assieme a me cercando di fare musica leggera. Magari segnando un momento particolare di una generazione che in quegli anni cercava dei punti di riferimento, un modo per venir fuori da una crisi esistenziale, sociale, politica, di quegli anni. Erano gli anni di tangentopoli, dello smarrimento totale dei leader, della paura di credere negli ideali e nei punti di riferimento storici che c'erano sempre stati. Quella era una generazione che si era smarrita in tutti i sensi. C'era una disperazione che veniva fuori e che io ho letto, grazie anche all'aiuto di Giancarlo Bigazzi e di Beppe Dati. Attraverso una canzone magari riesci a dar voce a quello che è un pensiero comune di una generazione che si stava lasciando andare a un momento di così grande smarrimento. Negli anni '90 avevo 26 anni, adesso ne ho 54, è chiaro che sono cambiato. Ovviamente il nostro cervello si sposta, da un punto di vista di esigenze di vita". Masini da bambino sognava di lavorare con la musica: "Nasco musicista, sono sempre stato convinto che la musica fosse diventata il mio lavoro, sono riuscito ad ottenere questo già prima di diventare un cantante solista. Accompagnavo gli artisti in tour, facevo arrangiamenti, musica dance. Poi la vita stessa ti dà delle opportunità, un treno da prendere, devi farti trovare pronto. La canzone a cui sono più legato? 'Caro Babbo', l'ho scritta prima di iniziare a fare il cantautore, è una lettera, un dialogo, uno sfogo, un qualcosa che ho vissuto". Sul fenomeno trap: "Sta dando all'Italia una cultura che arriva da fuori e che da un senso di cambiamento. Come in tutti i generi musicali ci sono le cose belle e le cose brutte. Ci sono delle situazioni sonore, di sound e di espressione letteraria che sono interessanti. Altre sono brutte copie. Bisogna valutare tutto". Sulle cattiverie che Masini ha ricevuto, legate al fatto che secondo alcuni portasse sfortuna: "Quello che mi è accaduto non dipende dalla cattiveria ma dalla superficialità. Nessuno ce l'aveva con me o con Mia Martini. E' superficialità della gente, sono scherzi, sono mode, filoni che si seguono per non sentirsi diversi e per appoggiare il capobranco. Non è una cosa che si fa con cattiveria, si fa per paura, è sintomo di una fragilità. Chi crede a queste cose, alla fortuna o alla sfortuna, ai cornetti rossi, alle scale o ai gatti neri, è sostanzialmente fragile. Non crede in sé stesso, per questo si affida alla sorte. Anche se poi la fortuna è importante, nessuno può decidere la tua vita per te. Io credo sempre nel lavoro e nel sacrificio, col lavoro e col sacrificio si riesce a superare ogni tipo di difficoltà. Questa sicuramente per me è stata una difficoltà abbastanza grande da superare, ma ce l'ho fatta col lavoro e col sacrificio, scrivendo canzoni". Sui progetti futuri: "L'anno prossimo festeggerò i trent'anni di carriera. Trent'anni di lavoro, di canzoni e di sogni insieme a tante persone, direi quasi a tante generazioni. Sto scrivendo, perché l'anno prossimo vorrei fare qualcosa di importante per ringraziare il pubblico, che poi alla fine è quello che decreta o non decreta la nostra felicità".
· L’ipocrisia su Mia Martini.
Drupi dopo la fiction su Mia Martini: “C’è un limite all’ipocrisia dei brutti stronzi che vantano amicizie immaginarie. All’epoca tutti la schifavano”. Il cantante si è sfogato con il settimanale Oggi, scrive Il Fatto Quotidiano il 26 Febbraio 2019. “C’è un limite all’ipocrisia dei brutti stronzi che vantano amicizie immaginarie. Ormai è pieno”. Parole di Drupi che dice di non sopportare il codazzo di “amici” che dopo la messa in onda della fiction su Mia Martini si sono subito prodigati per manifestare affetto e vicinanza. Sono parole che il cantante affida alle pagine del settimanale Oggi: “Ora tutti la conoscevano, tutti le erano amici. E cavalcano l’onda. Quando a frotte all’epoca, nell’ambiente, la schifavano: entrava in sala di registrazione e si toccavano gli attributi per fare gli scongiuri, oppure la chiamavano “L’Innominabile”. Forse dovrei tacere per non fare anche io la figura di quello che… Ma è uno sfogo d’istinto che le devo”. Lo sfogo, raccolto da Franco Bagnasco, non finisce qui perché Drupi deve proprio a Mimì gli inizi della sua carriera: “Era il 1973. Io, agli inizi, sconosciuto, bazzicavo la Ricordi a Milano, ma stavo quasi per mollare il colpo. Mia all’epoca era la regina dell’etichetta. Un giorno mi chiesero di incidere il provino del pezzo che lei avrebbe dovuto portare a Sanremo: Vado via di Riccardi-Albertelli. Alla fine però non se la sentì di andare e i discografici mi dissero: ‘Perché non ci mandiamo quel ragazzino che ha fatto il provino?'”
Quando Mia Martini disse a Murolo: «Sei miliardario, dammi una casa». A 20 anni dalla morte della cantante. «Odio essere un idolo, basta romanticismi», scrive Gabriele Bojano l'11 maggio 2015 su Il Corriere della Sera. Il 12 maggio 1995 moriva a soli 47 anni in circostanze mai del tutto chiarite Domenica Rita Adriana Berté in arte Mia Martini. Alcuni mesi prima, il 29 ottobre 1994 chi scrive ebbe il piacere di cenare con l’indimenticabile artista al ristorante «Il Molo» di Salerno, scoprendola persona simpatica e gioviale. Un incontro molto spontaneo che diventò un’intervista solo in parte utilizzata per Il Giornale di Milano. La parte rimasta fino ad oggi chiusa in un cassetto è stata ritrovata e adesso finalmente resa pubblica. Mimì è solare ma al tempo stesso ombrosa, bianca e nera proprio come i tasti del pianoforte che aveva disegnati sulla sua lunga sciarpa.
Che cosa rovina oggi il mondo della musica leggera italiana?
«Ci sono manager senza scrupoli che usano i cantanti in maniera vergognosa. Io ho avuto un’esperienza drammatica con Enzo Gragnaniello, ero ospite in uno dei suoi concerti, a Ravello, e quando sono arrivata nel pomeriggio ho visto nel raggio di 80 chilometri soltanto i manifesti di Mia Martini. La sera la piazza era piena di gente che credeva si trattasse di un mio concerto. Mi sono sentita complice in uno sporco disegno truffaldino».
Ma Gragnaniello non è l’autore di «Cu ‘mme» che lei canta in coppia con Roberto Murolo?
«Certo, ma ha bisogno di una sua gratificazione personale che non lo faccia confondere nè con Mia Martini nè con Roberto Murolo. Il grosso successo commerciale che ha avuto con la canzone “Cu ‘mme” ha autorizzato qualcuno a calpestare la sua sensibilità d’artista. E adesso ha ragione quando dice che nel suo prossimo disco neppure se scende la Madonna mi fa cantare con lui».
Meno male che almeno con Murolo non ci sono problemi.
«Ma è Murolo a non avere problemi, tanto è miliardario e non ha nessuno a cui lasciare tutta questa roba! Io ho sempre lavorato gratis per lui e adesso non ho una lira, manco i soldi per pagarmi l’affitto».
Cosa significa, che ogni volta che lo raggiungeva sul palco nell’esecuzione di «Cu ‘mme»...
«Lo facevo gratuitamente, ho lavorato gratis per lui per tre anni, non ho mai voluto soldi nè sui dischi nè sulle promozioni di giro. Eppure Murolo mi è costato concerti che ho dovuto annullare. Se un giorno decidesse di pagarmi per partecipare ad un suo spettacolo, beh, ne sarei proprio felice».
Però è recidiva, anche in un’altra canzone di Gragnaniello, “Vieneme”, lei canta con Murolo.
«Sì, hanno voluto mettere a tutti i costi la voce di Murolo ma lui non c’entra niente, è stata un’operazione del produttore per fare il bis di “Cu ‘mme”. A questo punto però mi sono ribellata di fare la promozione in tv. Murolo non ha bisogno di me, può anche vivere senza di me e ti dirò che io senza di lui vivo meglio perché mi costa meno. Io dagli artisti non voglio soldi: ho cantato con Claudio Baglioni che ha venduto 700 mila copie di “Oltre” e non ho voluto una lira di royalties, ho cantato con Aznavour, Fossati, Gragnaniello, persino con mia sorella Loredana. Ma le promozioni in tv e i concerti sono un’altra cosa. Almeno mi desse una casa, Murolo, mi risolverebbe un problema d’affitto!»
Sua sorella Loredana canta “Non sono una signora”...
«È un vizio di famiglia, neppure io lo sono».
Però la sua vita, almeno dal punto di vista artistico, è stata più regolare di quella di sua sorella o no?
«Ma è sbagliato, è sbagliata l’immagine che arriva di me. Tutti mi definiscono “la grande interprete”, i cantautori mi dicono “questa canzone l’ho scritta apposta per te, solo tu la puoi cantare”. Ma nessuno si è mai chiesto: sarà adatta alla Martini? Io sono innamorata della musica etnica e invece mi toccano cose orrende, masturbazioni mentali o virtuosismi vocali. Una noia mortale. Ha ragione Francesco De Gregori quando dice che nessuno ti vuole e nessuno ti vede per quello che sei».
Perchè, chi è Mia Martini?
«Una che vuole la verità, che odia il romanticismo, non sono sentimentale, detesto tutto ciò che è finto a parte la tv che mi diverte. Sono Minì, sono di Bagnara Calabra, abbiamo un sole noi che ci fa le radiografie appena nati. Gli odori, i colori della natura nella mia terra sono forti e violenti anche nell’animo umano. Odio essere un idolo, che male ho fatto per essere un idolo? Perché non posso essere una persona normale?»
· Loredana Bertè.
Da liberoquotidiano.it il 9 dicembre 2019. La più piccola delle sorelle Bertè, Olivia, si è scagliata contro Loredana, colpevole "di aver fatto delle dichiarazioni false" a Verissimo: “Perché continuare a raccontare cose non vere? Perché gettare ombre anziché fare luce? Perché non parlare dell’arte e delle tante cose belle e positive della nostra amata sorella e basta? A chi giova tutto questo? All’audience di programmi generalisti cui poco interessa salvaguardare la nostra intimità?”, ha affermato in un lungo post sui social. Loredana Berté, ospite a Verissimo, aveva detto: “Provo una sofferenza continua, mi sento in colpa. Con Mimì è morta una parte di me. Quando sono sul palco la sento dentro e do tutto (…) Mimì è stata arrestata per uno spinello che le avevano messo in tasca. Ha fatto due anni in carcere. Quando è stata liberata, prima del processo, l’abbiamo nascosta in una soffitta per un anno”. Inesattezze, secondo Olivia, che ha tenuto a precisare: “Mimì è stata in carcere quattro mesi e non due anni e soprattutto una volta rientrata a casa (un attico privo di soffitte) non ha mai avuto problemi con la giustizia, essendo stata scagionata a seguito di un regolare processo che l’ha prosciolta dall’accusa di spaccio per cui era stata ingiustamente arrestata. Nonostante il quarto di secolo trascorso dalla sua prematura scomparsa, Mimì continua a mancarci come fosse accaduto ieri. E allora perché continuare a raccontare cose non vere?”. Olivia getta ombre anche sul rapporto tra Loredana e Mimì, che non sarebbe mai stato - a suo dire - così sincero e stretto. “Dopo Sanremo ’93 che Mimì ha fatto solo per esserti vicina, rimasta profondamente delusa dal tuo carattere a dir poco impetuoso, ha preferito tenerti a debita distanza - ricorda nel post -. Il cellulare non solo non te l’ha mai regalato ma si guardava bene dal farti avere il suo numero. Il vostro identico manager era costretto a ricevervi in giorni diversi per evitare che vi incrociaste e scoppiasse il solito putiferio e (come se non bastasse) per uno strano scherzo del destino Mimì poche settimane prima che ci lasciasse ha dovuto buttare giù l’ennesimo boccone amaro. Avevi dichiarato al TV radiocorriere che tua sorella era morta e che non avresti più voluto vederla. Devo continuare? Non credo ti convenga... allora forse sarebbe meglio smettere le vesti della vedova inconsolabile e pensare esclusivamente al tuo percorso e non al suo”. Non è la prima volta che Loredana e Olivia si scontrano: Leda e Olivia hanno rotto i rapporti con Loredana ormai da anni, anche se a periodi alterni hanno provato a riavvicinarsi tra loro.
Verissimo, Loredana Bertè s'accascia per la commozione: "Mi sento in colpa per Mimì". Libero Quotidiano il 6 Dicembre 2019. Loredana Bertè, ospite domani a Verissimo, scoppia a piangere. Silvia Toffanin cerca di consolarla e si commuove. E' davvero toccante la puntata di Verissimo del 7 dicembre. Loredana parla, in un’intervista intima ed esclusiva, della sorella Mia Martini e confessa i suoi sensi di colpa per la tragica scomparsa della cantante: “Provo una sofferenza continua, mi sento in colpa. Se le fossi stata più vicino magari le cose sarebbero potute andare diversamente. Non mi perdono di non aver usato il telefonino che lei mi aveva dato perché restassimo in contatto”. L’artista confida a Silvia Toffanin di non essere mai riuscita a superare la perdita della sorella: “Con Mimì è morta una parte di me. Quando sono sul palco la sento dentro e dò tutto, anche se sono terrorizzata e ho gli attacchi di panico prima di uscire. Non respiro, ma penso a lei e poi esco. Dopo aver finito il concerto - aggiunge – però, mi sento una persona migliore, sento di aver dato più di quello che potevo. Penso che Mimì oggi sarebbe orgogliosa di me”. Loredana Bertè ripercorre, inoltre, la sua difficile infanzia: “Nella nostra vita non abbiamo mai festeggiato il compleanno, le feste erano bandite, anche il Natale! Per sfuggire alle botte e alle litigate violentissime che c’erano in casa, andavamo al Luna Park: per noi era la cosa più sicura”. Ai microfoni del talk show rivela, per la prima volta, di non essere riuscita a completare gli studi per stare vicino alla sorella finita in carcere: “Ho lasciato la scuola l’ultimo anno perché è successa una disgrazia: mia sorella Mimì è stata arrestata per uno spinello che gli avevano messo in tasca. Ha fatto due anni in carcere. Quando è stata liberata, prima del processo, l’abbiamo nascosta in una soffitta per un anno”. Infine, Loredana confessa di sognarla spesso: “La sogno che vuole una sigaretta. Per questo ogni anno, per il suo compleanno, metto due sigarette davanti a una foto che ci ritrae insieme e le dico ‘questa è la tua sigaretta per quest’anno!’ Mi manca da morire”.
Da ilfattoquotidiano.it il 7 dicembre 2019. L’ex concorrente di Temptation Island Nathaly Caldonazzo è stata ospite di Vieni da Me e con Caterina Balivo ha ripercorso la sua vita, parlando della rottura con Andrea Ippoliti e, soprattutto, della sua storia d’amore con Massimo Troisi. In particolare, l’attrice ha ricordato un momento molto doloroso della sua vita, quando Troisi fu ricoverato per un mese e mezzo in America e lei rimase sempre accanto a lui in ospedale. “Fu ricoverato per un mese e mezzo, eravamo io e lui da soli in America, avevo 24 anni. Chiamavo la famiglia ma alla fine nessuno venne per un motivo o per l’altro – ha raccontato la Caldonazzo -. Ci fu un’operazione di urgenza al cuore. Purtroppo non andò bene. Lui con quel pigiama bianco e gli occhioni spauriti mi faceva tenerezza, mi sembrava Pulcinella. I dottori mi dissero che l’operazione era andata malissimo e non sapevano nemmeno se ce l’avesse fatta a tornare in Italia. Siamo tornati devastati, io pesavo 49 kg, lui forse un po’ di più. Decise di fare Il Postino, film bellissimo. Però se non l’avesse fatto forse sarebbe ancora vivo perché prima doveva fare un trapianto. Con lui è stato amore puro“. Poi Nathaly ha parlato anche della rottura con Andrea Ippoliti: i due si sono lasciati dopo aver partecipato insieme a Temptation Island quest’estate. “È stata la delusione più grande della mia vita. Non pensavo di provare una sensazione da film horror. Una storia in cui credevo tantissimo, ho rinunciato al 90% di me stessa e mi sono ritrovata in una realtà scioccante”.
Da Tv Fanpage il 23 settembre 2019. Domenica 22 settembre, Canale5 ha trasmesso la seconda puntata di "Live – Non è la D'Urso". Tra gli ospiti, Loredana Bertè che ha ricevuto una bellissima sorpresa. Barbara D'Urso, infatti, le ha consegnato il disco di platino. Nel corso della chiacchierata, l'artista ha parlato della fine dell'amicizia con Renato Zero e dell'amore immenso per la sorella Mia Martini. Barbara D'Urso ha chiesto a Loredana Bertè di spiegare le motivazioni che l'hanno portata ad allontanarsi da Renato Zero, nonostante la loro bellissima amicizia. La cantante ha preferito non scendere nei dettagli, ma ha raccontato di essersi sentita ferita dall'amico: "Io voglio molto bene a Renato, soltanto che mi ha deluso fortemente. Ma continuo a volergli bene. Da ragazzi cantavamo e facevamo i posteggiatori fuori dai ristoranti. Non voglio dire cosa è successo, ma mi ha ferito. La ferita è ancora aperta. Ho pianto molto, ma all'amore non si comanda. Una persona può farti quello che vuole ma al cuore non si comanda". Loredana Bertè e Mia Martini sono nate entrambe il 20 settembre. Due giorni fa, dunque, sarebbe stato il compleanno di Mimì. Sono trascorsi 24 anni dalla morte di Mia e un senso di colpa perseguita Loredana. È pentita di non aver mai comprato un cellulare. È certa che se fosse stata reperibile quel tragico 12 maggio del 1995, oggi Mia Martini sarebbe ancora viva. Si parlò di arresto cardiaco causato da una overdose di cocaina, ma le sue sorelle non sono mai state d'accordo con quanto riportato nel referto: "L'ultimo ricordo? Murolo mi chiamò, era il periodo in cui stavano cantando ‘Cu'mme'. Mi disse che Mimì era arrabbiata con me perché non avevo un telefonino ed era impossibile trovarmi. Fu uno degli ultimi screzi avuti con lei. Me ne pento amaramente di non aver comprato un telefonino, perché se lo avessi avuto non sarebbe morta. Ma non è morta, è più viva che mai. Sono certa che non si sia tolta la vita, aveva altri progetti. Mio padre la picchiava? Non voglio parlare di questo. Non ho idea di cosa sia successo, ma amava troppo la vita, ogni giorno per lei era un momento magico". L'artista, poi, ha avuto modo di vedere una serie di filmati che la ritraevano in compagnia della sorella. Assistendo alle immagini del funerale di Mia Martini, si è commossa.
· Grillo e Celentano. I Santoni della Tv. Ne parlano Michelle Hunziker, Antonio Ricci e Teo Teocoli.
La nuova Rai sovranista è pronta ad arricchire il miliardario Grillo. Oltre 30mila euro per un programma fatto con materiale di repertorio a costo zero, scrive Fabrizio de Feo, Lunedì 28/01/2019, su "Il Giornale". Sulla Rai torna «uno dei grandi personaggi della tv italiana». Il giudizio - incontestabile seppur incompleto - è contenuto nella stessa presentazione del programma che andrà in onda questa sera alle 21,20 su Rai Due. Il personaggio in questione è Beppe Grillo che nel 2009, dopo qualche anno di preparazione fondò il Movimento Cinquestelle, primo partito italiano alle ultime elezioni. Naturalmente la coincidenza di questa monografia televisiva - la prima era stata dedicata ad Adriano Celentano - con le nomine dei nuovi dirigenti Rai ha fatto scattare polemiche infuocate. Il programma essendo realizzato da Marco Giusti, Stefano Raffaele, Luca Rea e Roberto Torelli con materiale di repertorio sembrava essere a costo zero. «Non c'è nessun tipo di contratto né compenso per Grillo, né per gli altri protagonisti del nuovo format», precisava una nota di Viale Mazzini. Secondo quanto rivelato dall'Adnkronos, lo spettacolo C'è Grillo costerebbe alla Rai oltre 30mila euro. Si tratta dei diritti che viale Mazzini dovrebbe corrispondere alla «Marangoni spettacoli», ovvero all'agente storico di Beppe Grillo per l'uso di vecchi filmati del comico genovese. Una cifra di per sé non significativa per una prima serata - tutti i programmi realizzati con immagini di repertorio, a meno che la Rai non detenga i diritti esclusivi, prevedono un pagamento di questo tipo e lo stesso è accaduto anche per il programma dedicato a Celentano - ma dal momento che questi soldi finirebbero a un attore che è anche leader politico e a pagarli sarebbe il servizio pubblico la polemica è scontata. Sui social network è già partito da giorni una sorta di derby tra i sostenitori dei Cinquestelle che invitano «a tenere il televisore acceso su Rai Due anche se non siete in casa» e quelli che chiedono di boicottare la trasmissione. La grana dei diritti da pagare per la messa in onda ha naturalmente provocato qualche imbarazzo nei piani alti di Viale Mazzini. Per evitare nuove polemiche e per opportunità politica, l'unica strada sembrerebbe quella di modificare il contratto con una cessione gratuita dei diritti da parte dell'agente di Grillo. Si attende quindi un segnale in tal senso. La vicenda non è stata ancora chiusa e oggi si deciderà il da farsi in una riunione. L'offensiva politica sulla vicenda continua a essere portata avanti con decisione dal Pd. «Grillo è il capo del partito di maggioranza relativa che esprime la presidenza Rai e il ministro dell'Economia, principale azionista dell'azienda. Sono cose che non accadevano nemmeno nella Prima Repubblica», dice Roberto Morassut. «Sono cose da Repubblica delle banane. Ricordo a Grillo che 30mila euro è lo stipendio annuo di un impiegato comunale. Lui lo prende in una botta sola perché è un capo politico. Tria deve spiegare». E Davide Faraone si dice pronto a presentare una interrogazione parlamentare e a fare una verifica attraverso l'accesso agli atti. Con una postilla: «Non escludo che tutto possa essere stato pensato per poter consentire a Grillo di fare il bel gesto, con una bella dichiarazione in cui rinuncia al compenso».
Ex showmen ormai santoni Duello tv Grillo-Celentano. Sfida tra i due predicatori: Beppe (a spezzoni) e il cartoon di Adriano. Che dice: «Saboterò l'audience». Ma poi canta, scrive Laura Rio, Martedì 29/01/2019, su "Il Giornale". Il Grillo e la Volpe. Anzi il Grillo Parlante e la Super Volpe. Ieri sera in Tv si sono confrontati due «animali» della comunicazione, due artisti evoluti in guru, due venerati maestri diventati sobillatori dei popoli. L'uno addirittura leader dell'attuale partito di maggioranza, l'altro leader del partito dell'«amore» e del «mondo pulito». Entrambi in video la stessa sera, uno su Raidue e l'altro su Canale 5, in un confronto a distanza di quelli che farà discutere per un bel po'. L'uno, Beppe Grillo, sotto forma di Blob: immagini e spezzoni di repertorio della sua vita precedente, quella in cui ci allettava con l'ironia e la satira in un crescendo impetuoso da comico di provincia a Savonarola col lanciafiamme. L'altro, Adriano Celentano, sotto forma di cartoon, l'ormai famoso Adrian, in cui travestito da Volpe - appunto - combatte contro una dittatura che tiene in ostaggio l'umanità. Ma, per tener su l'audience della serie crollata già alla seconda puntata, il Molleggiato ha pensato bene - nello show live di introduzione - di regalare la sua voce agli spettatori, intonando Pregherò e Hot Dog Buddy Buddy Rock around the clock... Dopo aver finito di dire scherzando: «Confesso di aver sabotato coscientemente l'audience di Canale 5, dicendo solo 13 parole. E lo farò ancora per altre sei puntate, fino a che non resterà un solo ascoltatore: lui salverà il mondo». Mentre il compito di criticare l'attuale governo l'ha lasciato a Giovanni Sorti (che arriva a paragonare gli sgomberi degli immigrati alle deportazioni naziste) e a Natalino Balasso. Bisogna alzare i toni perché l'operazione Adrian si sta tramutando in un flop e non in un testamento spirituale. Perfino Milo Manara ieri lo ha «scaricato», precisando di essere l'autore dei bozzetti dei personaggi, ma di non avere avuto parte nell'animazione. Grillo (che aveva contro anche Di Maio su Rete4 a Quarta Repubblica), invece, ha suscitato un pandemonio senza neppure esserci, nonostante il programma sia stato intitolato C'è Grillo. E nonostante non si sia visto nulla che riguardasse le sue esperienze politiche recenti, ma solo la sua attività di comico-predicatore (mischiate alle immagini degli esordi nel 1977 in Videobox o a Sanremo nel '78 o accanto a Heather Parisi nel Fantastico del '79). Anche se le due cose si sovrappongono: nei suoi show pre 5 Stelle urlava invettive contro la casta, le banche, gli speculatori, Berlusconi, Craxi con la famosa battuta sui socialisti ladri, le multinazionali, le opere pubbliche inutili, la globalizzazione, il libero mercato, la mafia. Tutti temi alla base del programma politico (e attualmente di governo) pentastellato. Un colpaccio di quel geniaccio malefico del direttore di Raidue Carlo Freccero. Che così fa il suo gioco: creare scandalo, far parlare di sé e ringraziare chi lo ha rimesso sullo scranno di Raidue. Grillo, senza muovere un dito, riappare in tv, dopo aver lanciato per anni i suoi ammonimenti: «Giù le mani dalla Rai». Ora, non solo attraverso il governo da lui ideato ha preso possesso di tutti i ruoli chiave della Tv di Stato, ma addirittura pubblicizza via twitter la sua apparizione. E incamera anche 30.000 euro (non richiesti, ma dovuti) per i diritti di immagine. Beh, nulla in confronto ai 15 milioni che si è preso Celentano da Mediaset per il suo cartoon, ma quella è una televisione privata. Comunque, stamattina vedremo quale dei due eroi in lotta contro i mali del mondo, quello in formato Blog o quello in formato cartoon, avrà vinto la sfida dei «santissimi ascolti».
Beppe Grillo, Dagospia: la furia del comico con Carlo Freccero dopo il flop su Rai 2, scrive il 30 Gennaio 2019 Libero Quotidiano. Una furia. Così, Dagospia in uno dei suoi retroscena-flash, descrive Beppe Grillo all'indomani del flop del suo ritorno in Rai. Nella prima serata di lunedì, in contemporanea con Adrian su Canale 5, il faccione del comico ligure-fondatore del Movimento 5 Stelle era riapparso dopo anni d'assenza sulla tv pubblica con C'è Beppe, una raccolta dei suoi più popolari sketch sul piccolo schermo e in teatro trasmessa su Rai 2. Il risultato, meno del 5% di share e appena poco più di un milioni di spettatori di media, era stato ben al di sotto delle aspettative, vien da dire prima di tutti dello stesso Grillo. Il quale, secondo Dago, l'avrebbe presa malissimo: "Il comico garante avrebbe avuto una crisi isterica, destinatario Carlo Freccero (direttore della Rai 2 sovranista, ndr), che a detta di Neppe avrebbe sbagliato palinsesti e collocazione" scrive il sito di Roberto D'Agostino.
Renato Paone per huffingtonpost il 12/01/2016. 21 ottobre 1999, David Bowie incontra un mostro sacro della musica italiana, Adriano Celentano. Il Molleggiato lo invita alla sua trasmissione "Francamente me ne infischio", programma che conduceva su RaiUno. Un incontro talmente imbarazzante e condito da domande fuori luogo, stando a quanto dichiarato da fonti vicine a Bowie, che questo avrebbe detto, una volta uscito dallo studio: "Mi sono accorto subito che era un idiota". Alla prima domanda di Adriano, "Secondo te c'è futuro?", Bowie risponde, ridendo nervosamente: "Per me sì, e per te?". Ma è solo la prima di tante a cui il Duca non ha risposta, tanto che a un certo punto afferma: "Non sono la persona giusta a cui fare queste domande". Ma il Molleggiato nazionale non molla e prosegue: "Cosa bisogna fare contro la fame nel mondo?". La risposta è più che ovvia: "La politica deve agire, ma il cambiamento deve partire dalla gente". Celentano lo pressa: "E perché la gente tarda a muoversi?". Lo sguardo del Duca si stranisce, continua a toccarsi nervosamente la mano destra, poi ribatte seccato: "Non chiederlo a me". La conversazione prosegue tra risatine di circostanza e risposte brevissime a domande lunghissime, veri e propri monologhi. La fame nel mondo, la guerra, la povertà, tutti argomenti importanti, certo, ma a cui Bowie non era pronto, lui voleva solo cantare il suo nuovo singolo "Thursday's Child" e presentarlo al pubblico italiano. Stufo e visibilmente contrariato, ironizza: "Ho Radio Mosca qui nell'auricolare che interferisce". Celentano non coglie e gli dice: "Io voglio solo sapere quello che pensi. Hai una faccia intelligente". Il cantante inglese: "Io mi impegno personalmente a non iniziare mai una guerra". "E pensi che io ne inizierò una?". "Ti ho conosciuto questo pomeriggio, ma ne dubito". Celentano continua a non cogliere il fastidio del Duca e, in conclusione, gli chiede: "Pensi che ci rivedremo in futuro?". "Dal momento che ci siamo visti oggi non c'è nessun motivo per vederci ancora". Il Molleggiato inizia a capire: "Hai fretta di andartene, vuoi tagliare il discorso?". "Io? Non fermatemi e posso parlare all'infinito, non vi conviene nemmeno iniziare a parlare con me". Poi lo sfogo dell'inglese in una conferenza stampa al Four Seasons di Milano due settimane dopo l'incontro con Celentano: "Capivo perfettamente cosa mi stava dicendo. Credo che lui sia un idiota. Però ero lì per suonare la mia canzone. In ogni caso, non credo che mi inviteranno ancora". Qualche giorno dopo, Celentano risponde alla critica non troppo velata del collega: "Io forse sono un idiota, ma certamente essere quotato in Borsa ti rende confuso. Il tema dell'intervista nasceva da una dichiarazione che Bowie aveva fatto a Parigi e nella quale diceva che partecipava volentieri perché io ero "socialmente impegnato". Illudendomi, cercai di coinvolgerlo sul piano sociale, constatando invece che lui era "socialmente impegnato" solo a promuovere il suo disco".
Gabriele Lippi per lettera 43 l'11 gennaio 2016. Di situazioni strane, nella sua vita, ne deve aver vissute tante. Ma forse a David Bowie non era mai capitato di sentirsi tanto in imbarazzo davanti alle telecamere come quella volta che fu invitato da Adriano Celentano a Francamente me ne infischio. Era il 21 ottobre del 1999, il Duca bianco aveva appena pubblicato Hours, il suo album numero 23, e aveva una gran voglia di promuoverlo suonando Thursday's Child alla tivù italiana. Quello che non poteva sapere è ciò che sarebbe accaduto dopo, e che gli avrebbe fatto dire: «Mi sono accorto subito che era un'idiota».
SILENZI E STILETTATE. Seduto sui gradini accanto ad Adriano Celentano, Bowie cominciò a pensare di aver fatto un errore prima ancora che il Molleggiato aprisse bocca, mentre aspettava la fine di uno dei suoi proverbiali e lunghissimi silenzi. E forse sarebbe stato meglio continuare così. Perché alla prima domanda di Adriano, «Secondo te c'è futuro?», David rispose con una risata nervosa e un laconico: «Per me sì, e per te?». La conversazione fu surreale. Con Celentano a chiedere al Duca Bianco una ricetta per salvare il mondo, e quest'ultimo a rispondergli con un sarcasmo che a stento mascherava l'irritazione.
LA FAME NEL MONDO... «Cosa bisogna fare contro la fame nel mondo?». «La politica deve agire, ma il cambiamento deve partire dalla gente». «E perché la gente tarda a muoversi?». «Non chiederlo a me». Poi la ricetta di Celentano, che spiegando come nel tempo libero si dilettasse a trattare i grandi problemi dell'umanità come se si trovasse in cucina, a scegliere gli ingredienti da mettere insieme per la cena: «Io penso che se tutti i ricchi del mondo si organizzassero e diedero qualcosa ai poveri...». E Bowie: «Sì, tutti dovremmo riservare una parte di ciò che guadagniamo alla beneficenza, ma il problema deve essere affrontato a livello politico. Sarebbe ancora più bello se i Paesi con un Pil enorme ne destinassero una parte ai meno ricchi».
... E LE GUERRE. Dopo la fame, la guerra: «Come cancellarla dalla faccia della Terra?». «Non lo so, non sono la persona giusta a cui fare queste domande». E all'incalzare di Celentano, «tu sei una persona che pensa, hai la faccia di uno che pensa», una nuova risposta ironica. «Io mi impegno personalmente a non iniziare mai una guerra». «E pensi che io ne inizierò una?». «Ti ho appena conosciuto, ne dubito». In un crescendo di imbarazzo e tensione, con un Celentano pentito di aver invitato Bowie, e un Bowie altrettanto pentito di aver detto sì, arrivò poi il saluto raggelante.
«RIVEDERSI? NO GRAZIE». Alla domanda del Molleggiato, «pensi che ci rivedremo in futuro?», il Duca bianco rispose: «Dal momento che ci siamo visti oggi non c'è nessun motivo per vederci ancora». «Hai fretta di andartene, vuoi tagliare il discorso?». «Io? Non fermatemi e posso parlare all'infinito, non vi conviene nemmeno iniziare a parlare con me». Il tutto tra risate e sorrisi che, lungi dal dissimulare la tensione, la rendevano ancora più evidente e palpabile. «Ho capito subito che era un idiota», disse Bowie in una conferenza stampa al Four seasons di Milano due settimane dopo l'incontro con Celentano, «Capivo perfettamente cosa mi stava dicendo. Credo che lui sia un idiota. Però ero lì per suonare la mia canzone. In ogni caso, non credo che mi inviteranno ancora».
«CONFUSO DALLA QUOTAZIONE IN BORSA». «Io forse sono un idiota», la replica di Adriano, «ma certamente essere quotato in Borsa quantomeno ti rende confuso. Il tema dell'intervista nasce da una dichiarazione che Bowie aveva fatto a Parigi e nella quale diceva che partecipava volentieri a Francamente me ne infischio perché io ero "socialmente impegnato". Illudendomi quindi che dicesse la verità, durante lo show cercai di coinvolgerlo sul piano sociale, constatando invece che lui era "socialmente impegnato" solo a promuovere il suo disco». E non aveva tempo per cancellare guerre e fame nel mondo.
Rivoluzione borghese: il '68 alternativo secondo Celentano. Paolo Giordano, Martedì 09/07/2019 su Il Giornale. Dopotutto basta solo quel «Cerco l'estate tutto l'anno» e si capisce subito: è uno degli inizi più riconoscibili di sempre e in mezzo secolo è diventato anche un modo di dire. «E all'improvviso eccola qua». Azzurro è uno dei brani italiani più cantati nel mondo, solo Nel blu dipinto di blu di Modugno o Con te partirò di Bocelli fanno meglio. Ed è forse uno dei brani più involontariamente simbolici della nostra canzone d'autore. Senza volerlo, l'Azzurro del cielo cantato da Adriano Celentano si è ritrovato in mezzo alla tempesta. È arrivato nei negozi il 25 maggio 1968, dodici giorni dopo gli ottocentomila in piazza a Parigi che infiammavano il Maggio francese e una settimana prima che De Gaulle, rassegnato, indicesse nuove elezioni. Era l'esplosione definitiva del Sessantotto, la roulette sul tavolo del mondo che rendeva imprevedibile qualsiasi puntata. Non bastasse, a inizio giugno assassineranno Robert Kennedy e arresteranno il killer di Martin Luther King, ucciso ad aprile. Quando il mondo è in subbuglio, di solito la musica popolare si sdoppia. Da una parte c'è quella che alimenta le fiamme, che attizza la polemica, i sogni, le illusioni. Dall'altra ci sono le canzoni che (volontariamente o no) si mettono tra parentesi, sono diverse e distanti e diventano un punto di riferimento rassicurante, persino simbolico, per la maggioranza silenziosa. Azzurro è il brano che ha punteggiato con il suo successo straordinario un periodo cruciale della nostra storia. E lo ha fatto con un testo praticamente borghese e sostanzialmente in contrasto sia con le tendenze del rock (ad esempio Che colpa abbiamo noi dei Rokes) che con gli altri tormentoni di quell'estate come Luglio di Riccardo Del Turco e Ho scritto t'amo sulla sabbia di Franco I e Franco IV. La musica è di un «neo assunto» dal Clan di Celentano, ossia Paolo Conte, astigiano, avvocato per forza e convenzioni sociali ma musicista per passione, un'anima inquieta che aveva studiato trombone e vibrafono prima di farsi conoscere con il suo Paolo Conte Quartet e iniziare a scrivere canzoni per altri. Ovvio che un tipo così, coltissimo ma non autoreferenziale, piacesse a Celentano, che invece era meno colto ma molto più compiaciuto. E Conte aveva pensato proprio all'allora Molleggiatissimo per cantare quel brano. Le parole sono di Vito Pallavicini che telefonò a Celentano: «Ho scritto il testo di una canzone su una musica di Paolo Conte che non puoi non incidere perché sarà l'inno degli italiani: si chiamerà Azzurro». La musica è una marcetta perché, come ha spiegato proprio Conte, «io voglio scrivere una musica fuori moda, un po' segreta, che vada a cercare in fondo a noi le risonanze della nostra identità».
Fuori moda. Identità. La moda di allora era ovviamente la «rivoluzione». E si parlava di «identità» solo per cambiarla, criticarla, annullarla. A marzo era stata celebrata a Torino la prima messa in italiano invece che in latino, a giugno era partita l'ennesima versione di un «governo balneare», stavolta guidato da Giovanni Leone perché nessuno nelle segreterie di partito voleva prendere decisioni prima dell'autunno. Nel frattempo Adriano Celentano era in radio e in tutti i juke-box cantando «sembra quand'ero all'oratorio, con tanto sole, tanti anni fa» ma «ora mi annoio più di allora, neanche un prete per chiacchierar». Il massimo della controtendenza: rimpiangere pubblicamente le chiacchiere con il parroco non era «pop» e non faceva tendenza (come si dice oggi). Per capire quel tempo musicale, il disco più venduto in Italia nel 1968 è stato Tutti morimmo a stento di Fabrizio De Andrè con canzoni come Cantico dei drogati e Leggenda di Natale, non proprio pensierini oratoriali. In sostanza, Azzurro tutto voleva/poteva fare tranne che intercettare la protesta o compiacere un pubblico guerrigliero. Se «lei è partita per le spiagge» è certamente di famiglia benestante. E qualcuno ha letto quel «treno dei desideri nei miei pensieri all'incontrario va» come una dichiarazione di distacco dal pensiero dominante, una sorta di attestato conservatore di fronte a un progressismo forsennato a tutti i costi. Allora (e soprattutto dopo) la chiave interpretativa di tante canzoni era, si sa, quella politica. «Quando Celentano registrò Azzurro - ha raccontato Paolo Conte, che in quel periodo era in classifica anche con Insieme a te non ci sto più scritta per Caterina Caselli - portai a casa una copia del provino. Accesi il magnetofono. Mia madre si mise a piangere. Mi domando ancora adesso quanto ci fosse, in quelle lacrime, di passato o di futuro». Di certo c'era l'emozione di aver ascoltato un brano che non era rock, non era liscio, non era una ballata ma aveva arrangiamenti molto americani nel senso più tradizionale del termine, ossia jazz e swing. E poi c'era la voce di Celentano, molto composta, talvolta quasi rotta dall'emozione, sicuramente meno spettacolare e «molleggiata» del solito. L'effetto che ha provato la mamma di Paolo Conte non fu isolato. Il brano divenne «il fenomeno» di quella estate. Da metà giugno rimarrà nella top ten fino al 16 novembre, qualcosa che ormai capita sempre più raramente e, nei decenni, ha benedetto soltanto pochi successi. A settembre, più o meno in concomitanza con la morte di Padre Pio da Pietrelcina, va al numero uno per un mese e vende ben più di un milione di copie. Il tutto, sia chiaro, senza che Celentano facesse quella che ora si chiama «promozione». Tutt'altro. Era impegnato nelle riprese di Serafino di Pietro Germi e lasciò che il brano facesse il proprio corso. Pensate, la prima, vera interpretazione televisiva di Azzurro è del 1969 in Stasera Adriano Celentano, che è diventato in pratica il «videoclip» ufficioso del brano con lui che guida un «trenino» formato da una ventina di ballerini in uno studio tv enorme e vuoto, tutto rigorosamente in bianco e nero. Un impatto enorme sugli spettatori. «Quando canta, è completamente naturale, ma non si perde una sillaba, si capisce tutto», ha spiegato Conte e lo può confermare chiunque lo ascolti ancora oggi, cinquantun anni dopo, mentre si apre con quell'irresistibile «il pomeriggio è troppo azzurro e lungo per me, mi accorgo di non aver più risorse senza di te». Con il tempo, Azzurro è diventato uno «standard», come direbbero gli americani. Ma conserva qualcosa che noi abbiamo più di tanti altri, la voglia di immaginare un cielo azzurro sul quale scrivere sentimenti buoni pensando a qualcuno al mare.
Milo Manara, un post per precisare il suo coinvolgimento in Adrian: "Girano inesattezze". Con un post sul suo profilo Facebook il Maestro del fumetto mette le cose in chiaro riguardo il suo ruolo nella serie originale, con i suoi disegni, firmata da Adriano Celentano, scrive il 28 gennaio 2019 La Repubblica. Adrian, la tanto criticata serie televisiva d'animazione ideata e scritta da Adriano Celentano, con la sceneggiatura di Vincenzo Cerami, le musiche di Nicola Piovani e basata sui disegni di Milo Manara che tornerà con la terza puntata questa sera su Canale 5, incassa ora anche un comunicato - non positivo - del Maestro del fumetto. Sulla sua pagina Facebook l'artista che ha dato forma ai sogni erotici di milioni di italiani, ha pubblicato un testo in cui ha voluto far chiarezza su alcuni aspetti del suo coinvolgimento nel progetto, prendendone sostanzialmente le distanze, forse anche a causa degli innumerevoli sberleffi ricevuti dal mondo dei social, con meme e comparazioni (una: la casetta nel verde realizzata grossolanamente con Paintbrush e correlata a quella de I Simpson). "In merito alle inesattezze che, da diversi giorni, stanno circolando a seguito della messa in onda della serie Adrian - per la quale sento parlare di 'Disegni di Milo Manara' (o addirittura di graphic novel di Milo Manara...) - credo di dover fare alcune precisazioni", si legge nel testo. Che continua: "Nel lontano 2009, accettai di partecipare al progetto di serie animata, con lo specifico ruolo di character design, in compagnia di autori del calibro di Nicola Piovani, Vincenzo Cerami, Enzo D'Alò, oltre ovviamente ad Adriano Celentano. Per quell'incarico ho realizzato, quindi, una serie di studi di personaggi, di sfondi e di ambientazioni insieme ad alcuni storyboard delle principali scene della serie. "Come sanno tutti quelli che si occupano di cinema di animazione, questi disegni sarebbero dovuti essere utilizzati come riferimento per la realizzazione delle animazioni vere e proprie. Una volta consegnati i disegni, dunque, non mi sono assolutamente occupato, in nessuna fase della lunga e travagliata produzione, della realizzazione delle animazioni, essendo io un disegnatore e non un animatore. Mi rendo conto che il fatto che alcuni disegni dei mie storyboard siano stati inseriti anche nell'animazione finale, nonostante non fossero stati realizzati per questo scopo, abbia creato ulteriore confusione. Purtroppo la decisione di utilizzarli non è stata mia, e a suo tempo non ho potuto che far presente la mia forte perplessità in merito". Le note di Manara si concludono così: "Sono di ritorno dal Festival di Angoulème, dove sono stati celebrati i 50 anni della mia carriera con l'omaggio di una bella e grande mostra che mi ha impegnato molto, ed ora sono in viaggio in Francia. Tuttavia, per la stima verso i tanti artisti italiani coinvolti e verso i miei lettori, ci tenevo a cercare di fare un po' di chiarezza in merito a una produzione di cui, mentre ero all'estero, in Italia si è molto parlato, forse, senza la dovuta informazione sul mio coinvolgimento. Grazie a tutti per l'attenzione".
Celentano e Grillo, gara tra guru, scrive Laura Rio, Sabato 26/01/2019, su "Il Giornale". Uno sotto forma di blob. L'altro sotto forma di cartone animato. Uno ex comico, attuale professione guru populista, fondatore di un movimento politico. L'altro ex cantante, attuale professione guru populista, fondatore di un grande patrimonio personale. Lunedì ci sarà proprio una scoppiettante serata televisiva. Su Raidue andrà in onda C'è Grillo. E questo è certo. «Ci vediamo lunedì alle 21,20», si auto-promuove allegramente il leader pentastellato via twitter. Su Canale 5 andrà in onda, invece, Celentano. Sicuramente nella versione Adrian, terza puntata della serie animata, travestito da orologiaio/supereroe/rivoluzionario/uomo-volpe (anzi meglio, Fox-Man). E, dunque, già così, la sfida tra i due (un tempo) artisti si prefigura da cardiopalma. Da una parte le immagini di Grillo, dagli esordi in Secondo Voi dell'allora Rete 1 alle mitiche serate di Fantastico, all'allontanamento per le battute su Craxi, ai Sanremo: un concentrato di sketch, battute, stilettate che, quelle sì, rallegravano la gente negli anni Settanta e Ottanta. Dall'altra parte il fumetto animato con l'eroe Molleggiato che, mentre lotta contro un governo dittatoriale, picchia i malviventi e salva fanciulle aggredite, nel contempo copula come un riccio con la bollente fidanzata. Ma - e qui sta il punto - resta l'incognita: C'è Celentano? Quello vero? Si, no, forse, chissà... Il molleggiato, come abbiamo ben visto, sta giocando la campagna di accompagnamento al suo assurdo cartoon sulla sua presenza-assenza: la settimana scorsa è apparso per pochi minuti o solo in voce. Per tirar su gli ascolti andati male dovrà per forza materializzarsi sul palco del teatro Camploy di Verona, da dove va in onda lo show in diretta. Se cantasse o sparlasse di qualsiasi cosa, certamente darebbe una mano all'audience. In quel caso chi vincerà tra il settantenne che ha portato al Governo l'Uomo Qualunque e l'ottantenne che si crede Gesù Cristo riapparso sulla Terra per salvare gli uomini? Di certo un vincitore c'è già: Carlo Freccero, che si è riguadagnato il posto di direttore di Raidue grazie alla «convergenza di idee» con Colui che ora omaggia. In attesa di averlo in video in carne e ossa, pure lui... E fa nulla se qualcuno del Pd fa notare che c'è un «problema di opportunità» visto che Grillo è il capo del principale partito di governo e annuncia un'interrogazione al ministro Tria... Canta o recita, che ti passa...
Ilaria Costabile per fanpage.it il 23 novembre 2019. Lo show di Adriano Celentano in onda su Canale 5 è già arrivato alla sua terza puntata. Irriverente, provocatorio e sarcastico come sempre, il cantante e showman intrattiene il suo pubblico, letteralmente in visibilio, dilettandosi in esibizioni coinvolgenti e poi soffermandosi in conversazioni piuttosto intense, con gli ospiti di questa terza puntata che vede tra i protagonisti tre nomi noti del giornalismo: Andrea Scanzi, Gianni Riotta e Pigi Battisti.
Come parlare di morte in tv? Esordisce così Adriano Celentano, presentando i suoi ospiti: "Abbiamo tre campioni del giornalismo" e in effetti Andrea Scanzi, Gianni Riotta e Pigi Battisti si sono distinti nel mondo del giornalismo italiano, non ci si può aspettare che una conversazione dal ritmo incalzante, ma allo stesso tempo accogliente e curiosa, che vada ad indagare nella vita di questo grandioso artista italiano. Ed è Riotta a rompere il ghiaccio chiedendo: "Da dove prendi il coraggio per parlare alla gente di morte in televisione, neanche il Papa ci riesce, quando lo fa lo bacchettano, tu come fai?". eh il coraggio me lo danno loro.Riotta ha ragione, io nona vrei quel coraggio se voi non faceste quel casino che fate quando vengo a cantare. Un tema, quello della morte, che ritornerà più avanti in questa conversazione a quattro, dove i giornalisti si palleggiano tra loro le varie domande passando dall'attualità, alla politica, in un flusso continuo di pensieri. Ed è così che Pigi Battisti chiede al cantante: "Hai parlato della camorra come sinonimo della morte, leggo di tanti ragazzi che si battono per la libertà e nei giornali ne parlano poco anche questa è una morte". La polemica e la provocazione che sono le arti sottili di Adriano Celentano riecheggiano nella sua affermazione che, ovviamente, non può toccare la politica dei nostri giorni così difficile da comprendere e da condividere: la morte è molto presente, ma non solo dove scoppiano i focolai e le guerre, ma anche tra la gente comune, io penso che bisognerebbe fare un partito, un partito degli inesistenti che sono liberi di votare per chiunque, e si faranno conoscere perché si comportano bene. Se dovesse nascere questo partito, visto che sono inesistenti, non si capisce quali e quanti voti siano in eccesso peruno o per l'altro candidato. Gli inesistenti hanno un compito importante, abbattere le discussioni, non alimentarle ma cercare di convincere le persone. Io credo che se i ragazzi adottano questo sistema, possono farcela, io ho giurato di non arrabbiarmi più, la rabbia viene certo, ma il bello è controllarla la rabbia, sono bravi tutti a sfogarsi.
Un salto nel passato con Andrea Scanzi. Non si può parlare di attualità se prima non si è parlato del passato, soprattutto con un uomo che ne ha avuto una vita piena di esperienze di ogni genere. Lo sa bene Andrea Scanzi che non esita a porgere a Celentano una domanda relativa agli inizi della sua carriera: "Io ti chiedo se è vero quello che si dice, che c'è stato un periodo in cui la tua band era formata da Giorgio Gaber, Enzo Iannacci e Luigi Tenco, a vent'anni avevate già vinto". Da qui, il racconto che ha quasi dell'incredibile: Mi hanno fatto un contratto, andavo dagli impresari per cercare le serate. Dovete sostituire Elvis Presley, nel momento più forte di Elvis Presley, ci convinsero. Siamo partiti convinti di sostituire Elvis, e siamo andati in Germania a Stoccarda, lui in quel momento era in Germania e l'esercito non gli dava il permesso di esibirci. Il posto sai cos'era? Era una rosticceria.
Celentano e il cinema. Ancor più interessante è la rievocazione di un incontro storico, un incontro che pochi possono dire di aver vissuto. Adriano Celentano ha avuto l'opportunità di conoscere uno dei più grandi intellettuali del Novecento, Pierpaolo Pasolini, che dopo aver sentito uno dei suoi capolavori, Il ragazzo della via Gluck, voleva farne un film: "Beh sì, venne a casa mia, voleva fare un film sul ragazzo della via gluc, io ci penso un po' perché ero contrario, mi lasciò il suo numero di telefono, però non ci siamo più visti o sentiti." Ma il cinema, come molti sapranno non è mai stato estraneo alla vita dello showman milanese, che è stato interprete di numerose pellicole, ma se rifiutò la proposta di Pasolini, al Maestro Federico Fellini, non poté dire di no, come racconta lui stesso: "Sul tempo c'era uno speciale su uno spettacolo che avevo fatto a Milano, e pubblicò su due pagine la fotografia in cui ero molto scalmanato col microfono e lui mi mandò a chiamare."
Adriano e il mondo. Pigi Battisti tocca, infine, un argomento che caratterizza la musica di Adriano Celentano come unica nel suo genere, il fatto di essere stato un precursore di tematiche che si può dire siano adesso il pane delle conversazioni televisive e politiche, citando la canzone "Mondo in mi settima", in cui si parla delle condizioni della terra: Ora stanno succedendo queste cose. Tutte queste canzoni impegnate nascono contro una vendetta, nei confronti dei palazzi, dei grattacieli, questa vendetta è espressa nel cartoon, perché a 10 anni sono stato catapultato in pieno centro dai prati, e per me è stato un trauma. Allora ho cominciato a pensare che il tema importante era la bellezza, noi ci nutriamo di bellezza, e quando la bellezza sparisce facciamo qualcosa che non dovremmo fare. Io sono contento, sono curioso, mi piacerebbe vedere l'America, ma la paura dell'aereo è troppo forte, però non mi è mai mancato il successo mondiale.
Sebastiano Cascone per tvblog.it il 5 dicembre 2019. Striscia La Notizia, mercoledì 4 dicembre 2019, ha mandato in onda il servizio della consegna del Tapiro d'oro a Adriano Celentano. Valerio Staffelli ha raggiunto il Molleggiato fuori dagli studi di Cologno Monzese per assegnargli il prestigioso riconoscimento. Un'occasione più unica che rara per commentare gli ascolti al di sotto delle aspettative dello show di giovedì, Adrian, che, domani, andrà in onda con l'ultimo appuntamento.
Celentano: "Non sono più il maestro, sono l'alunno". L'amatissimo cantautore ha cercato di spiegare i motivi di questo risultato, in termini di ascolti, non proprio esaltante.
Celentano: "Io capisco. Evidentemente tutte le cose nuove hanno un impatto difficile all'inizio, poi, dopo peggio (ride, ndb)". Gli ascolti sono più bassi perché c'è il futuro".
Celentano, inoltre, ha cercato di motivare la rappresentazione, a tinte sexy, della moglie, Claudia Mori, nel cartone animato.
Celentano: "Si svolge tra 50 anni nel 2068. Le cose belle diventano ancora più belle. Claudia, all'inizio, mi ha detto: "Stai un po' esagerando con me".
Il Tapiroforo, infine, ha chiesto perché i telespettatori italiani hanno dovuto attendere 8 mesi per la ripresa del programma.
Celentano: "Mi sono superato. Era una scelta obbligata. Ci è venuta la bronchite a me e a Claudia. Ci sono state le polemiche. Abbiamo dovuto mettere a posto alcune cose. Infatti, abbiamo cambiato tutto".
Adrian, Adriano Celentano anti-Salvini e pro migranti: come chiama il leader leghista. Libero Quotidiano il 29 Novembre 2019. E fu così che alla quarta puntata Adriano Celentano si lasciò andare. Ovviamente parlando di politica, anche se dietro le metafore "ittiche". Dopo la parte musicale con Morgan, ad Adrian entrano i giornalisti in studio. Sono Francesca Fialdini, Chiara Geloni e Luca Somma. “La gente si chiede perché parli poco di politica, io comprendo, ma vedendo il mare, e non parlando di politica ti chiedo di parlare di pesci. Ti piacciono le sardine?", chiede Somma riferendosi al nuovo movimento di sinistra. “Mi piacciono - risponde Celentano - perché vanno controcorrente hanno un pregio importante ed è importante andare controcorrente”. Il giornalista continua a parlare di “pesce”, e questa volta parla di Capitano, o meglio “Capitone”, ma è evidente il riferimento a Matteo Salvini: "Il Capitone avrebbe potuto piacermi all’inizio quando la gente aveva paura, perché la gente ha paura, però poi dopo c’è stata qualche…”, e tronca la frase. Si parla poi di migranti. E qui il pensiero è decisamente antisalviniano. "Secondo me a Lampedusa non ci vorrebbero solo quelli che accolgono, ma ci vorrebbe delle guardie con i cannocchiali, che li vedessero e andassero incontro per farli sbarcare, non si può lasciare la gente dieci, dodici giorni su una barca dopo quello che hanno passato”.
Articolo di Vittorio Feltri pubblicato da Libero Quotidiano il 28 novembre 2019. Quello che si è visto sul teleschermo è il meno. La parte più spettacolare - e divertente, se presa per il verso giusto - si è svolta dietro le quinte. Peccato. Perché l' utente, se avesse assistito al retroshow, una volta tanto non avrebbe rimpianto i soldi del canone. I giornali hanno già riferito alcuni episodi esilaranti, ma altri, sotto l' incalzare degli eventi, sono stati trascurati. E noi desideriamo ripescarli per risarcire i lettori di quanto sono stati privati sabato come spettatori. Le cose turche - giurano gli addetti ai lavori - erano cominciate una settimana prima, cioè l' indomani della disastrosa puntata d' esordio. Ma noi, purtroppo, siamo giunti a Roma il giorno della seconda e dobbiamo limitare la controcronaca alle ore cruciali che hanno preceduto e seguito il presunto riscatto di Celentano. Alle 15 ci presentiamo all' appuntamento in via Montezebio 25 con il capoufficio stampa del programma; al quale avevamo chiesto di dare un' occhiata alle prove e, poi, il permesso di partecipare al gala con licenza di compiere scorribande al «Delle Vittorie», onde raccogliere umori e impressioni, come si dice, a caldo. Davanti al portone, qualche collega è già in attesa del funzionario. Eccolo, si chiama Maurizio Turrioni, è piuttosto giovane, cordiale. Lo imploriamo: «Dai, facci entrare».
«Dove?» - In studio.
«Non si può» - Perché?
«Vi avevo avvertito che è vietato. Osserverete la cosa da qui, l' ufficio è a vostra disposizione: c' è un impianto collegato con le sale di ripresa, non perderete niente». - Non scherzare, un conto è dal vivo, un altro sul monitor. A noi serve l' atmosfera.
«Adriano ha ordinato così, pretende di non essere disturbato».
PANICO E IMBARAZZO. Mugugni, imprecazioni. Si accende l' apparecchio e le immagini sono nitide: il molleggiato, in maniche di camicia, la catena con croce che emerge dai peli del petto, è impegnato ad assegnare i ruoli nel cast. Sembra abituato a comandare. - Alza un po' il volume, qui non si sente un' acca - esclama un giornalista rivolgendosi a Turrioni. L' uomo-Rai armeggia, ma il televisore resta muto. Panico, imbarazzo. E rimostranze della categoria: «Che, ce state a piglia' in giro? Ce relegate dentro a 'ste quattro mura e per giunta non funziona un accidente. Dateve 'na svegliata. O famo a chi ce fa de più?». Il ponte-radio è saltato e, per venti minuti, contempliamo il ragazzo della via Gluck che si dimena senza emettere un suono. «Ammazza che pausa», commenta un reporter. E un altro: «A Turio', basta. Ce costringerai a fa' 'na marcia de protesta con irruzione al teatro, e buonanotte». La situazione rischia di precipitare. Uno sembra fare sul serio: «Consentiteci di lavorare o succede la rivoluzione». Non succede. Ma quando l' addetto stampa dichiara che non rivelerà la battuta che Celentano ha studiato per rimediare alla gaffe sui meridionali, commessa la scorsa settimana, si va molto vicino alla sommossa. «Che è 'sta storia? - grida la corporazione - Fuori la gag». «Mi hanno proibito di riferirla, stasera sarà una sorpresa». - Ma quale sorpresa; Ce lo volete di' o no che razza de frescaccia state a cova'? Gli animi non si placano nemmeno all' arrivo dei vassoi ricchi di generi di conforto per i redattori specializzati: pasticcini e tramezzini. Non si perdona alla Rai di fare la misteriosa, di giocare a nascondino e di considerare i cronisti come agenti del Kgb, cioè spie di Berlusconi. Ma i cervelli di viale Mazzini sono inflessibili: hanno creato attorno al cantante conduttore una trincea inespugnabile. «Fantastico» è il loro Piave. E lo difendono a ogni costo, anche a quello del ridicolo. Lo spirito con cui affrontano la «storica» serata è del tipo: «Ve la faremo vedere noi». E pregustano il piacere della riscossa. A dar man forte a Turrioni nella guardia al bidone, si precipita Mario Maffucci, capostruttura della Reteuno. Ha la faccia tesa, ma l' espressione mite, da boy-scout cresciutello. Vanta onorevoli trascorsi in redazione, quale esperto di drogati e loro problemi. Promosso dirigente, ha avuto vita facile finché c' era Baudo, che provvedeva a tutto, e ai funzionari concedeva solo - e di malavoglia - di firmare i fogli delle presenze. Adesso che è orfano, e gli è toccata questa gatta da pelare, Maffucci deve assolutamente dimostrare di essere all' altezza. E parla del programma come se dall' esito dipendessero i destini dell'umanità. Il suo motto potrebbe essere: vincere o morire in un bicchier d' acqua. La fronte corrugata, il manager raccoglie le energie che gli sono rimaste dopo questi sette giorni di passione e dà una notizia che dovrebbe liberarci da un incubo: «Vi assicuro che Marisa è in forma». Il suo sottoposto non trattiene un risolino di compiacimento, incoraggiando il superiore a continuare: «Un' altra cosa importante, Celentano si esibirà in "Azzurro"». I giornalisti si guardano stupiti, increduli. E azzardano: «In diretta».
«No, in play-back». - Ah...
«Però ha promesso che "Rock" lo eseguirà improvvisando». Meno male. Maffucci si terge la fronte e confessa: «Il momento è delicato, c' è vento di crisi. Alla sera vado a letto tardi, la mattina sono in piedi presto, dormo pochissimo. Scusate, bisogna che scappi». - Permette? Tanta fatica per così poco?
La nostra domanda lo irrita: «Lei si è mai interessato di spettacolo?». - Mai. È una grave lacuna?
«Certo. Sapesse che complicazioni. Con questa trasmissione stiamo sovvertendo i canoni, abbiamo voltato pagina, corriamo incontro al futuro». Il tempo passa, il nervosismo si accentua, al «Delle Vittorie» i tecnici sono esausti. Si ode una voce: «O state zitti o vi sbatto via. Tutti». È del responsabile di studio, il quale, ce l' ha con i discografici che disturbano. Cogliamo l' occasione: «Perché loro sì, li avete lasciati entrare, e noi no?». «Ragazzi, che ve devo di', abbiate pazienza». - Pazienza, un corno.
OSANNATO. Finalmente, alle 20, si aprono le porte del teatro. La platea si riempie in un baleno, i biglietti sono andati a ruba. È uno strano pubblico: applicati ministeriali, «sciurette» in nero e con scarpine di vernice, giovanotti che masticano gomma americana. Il locale, contrariamente a quanto appare sul video, è squallido, una specie di cinema parrocchiale: moquette sudicia e bruciacchiata dai mozziconi, poltroncine stinte e polverose, afa ossessionante.
Giù, sulla piattaforma, i ballerini fanno riscaldamento come i calciatori in procinto di entrare in campo: corsette e piegamenti. Manca una manciata di minuti alla partenza. Compare Celentano. «Ciao», dice. Applausi fragorosi. Tossicchia. Nuovi applausi. Sospira. Ovazioni. Si aggiusta la cravatta. Tripudio. Che cosa sta accadendo? Gran parte della gente è stata ammaestrata: l' entusiasmo si propaga per contagio, e va incrementato. Non appena i riflettori illuminano la scena, è già un'apoteosi. Figuriamoci quando il molleggiato sbuca dal sipario. Ci voltiamo, e scopriamo che il capoclaque è Maffucci. Svetta in un gruppo di scalmanati, si è tolto la giacca e batte le mani forsennatamente trascinando il popolo in un giubilo senza requie. Nell' operazione esultanza procurata non è solo, lo coadiuvano vari anonimi dell' azienda, che si è mobilitata in massa per sostenere l' imperatore Adriano nella conquista dell' audience. Esce la Laurito, si sistema la spallina, e il capostruttura della Reteuno esplode in una fragorosa risata. Marisa accenna a qualcosa («Signore e signori...») e lui si sganascia ancora. Il giochetto si ripete sino al termine, una faticata. Ma il dirigente dissimula la spossatezza con l'enfasi: «Ci sono stati istanti godibilissimi, è andata bene». La Rai è salva. E lui, che ne è il profeta, celebra la personale vittoria elargendo pacche sulle spalle a chiunque gli capiti a tiro. Sprizza gioia. Acconsente di buon grado che i giornalisti intervistino a mezzanotte suonata i protagonisti del preteso successo. Celentano attraversa il salone con incedere lento e solenne, e si abbatte sulle poltrone di prima fila. Scarmigliato, distrutto, ma soddisfatto. Ai piedi dell' eroe s' acquatta miagolando Heather Parisi. Si aggrega Marisa Laurito che accarezza una mano alla soubrette ed è generosa con il conduttore: «Adriano, ti do 9». Ed ecco Boldi, che soffia sul turibolo e distribuisce incenso a tutti. La claque domina anche la conferenza stampa: ad ogni parola degli attori, applausi e moine. L' autoglorificazione va avanti trenta minuti, fra banalità e luoghi comuni. Maffucci gongola. Forse è convinto che mezza Italia, grazie a lui, abbia avuto un sospiro di sollievo. E se fosse proprio così? Poveri noi.
Adrian, Michelle Hunziker demolisce Adriano Celentano: "Perché sono fuggita. E la battuta sullo stupro...", scrive il 20 Febbraio 2019 Libero Quotidiano. Si parla, ancora, di Adrian, il controverso show di Adriano Celentano su Canale 5. Un super-flop ora in ghiacciaia: fermo da tre settimane per presunti guai di salute del Molleggiato. Uno show partito malissimo, con la fuga di Michelle Hunziker: attesa per la prima puntata, abbandonò il programma ancor prima dell'inizio. Si parlava di una decisione presa in polemica proprio con Celentano, circostanza che viene confermata dalla Hunziker in persona con una - clamorosa e pesantissima - intervista concessa al Corriere della Sera. "Sono una grande fan di Adriano e continuerò a stimarlo come artista - premette prima di iniziare a tirare fendenti -. Ci avevo creduto tanto in quel progetto. Quando mi hanno cercata per i live sono corsa. Ma è stata un'occasione perduta". Dunque, chiedono alla Hunziker cosa è accaduto veramente. "Ore e ore, girovagando per lo studio, attendendo che arrivasse Celentano - rivela -. E nessuno prendeva una decisione. Un giorno finalmente l'ho visto, gli ho detto: Adriano il pubblico vuole te, non la tua assenza. I fan amano te. Non c'è stato nulla da fare. Così ho deciso di andarmene. Con il senno di poi ho fatto la scelta giusta. Visto anche il cartone". Già, perché Michelle spiega che la parte di animazione non le era stata mostrata prima della messa in onda. E quel cartone la ha fatta infuriare: "C'è un momento in cui il protagonista (Celentano, ndr) salva due ragazze, molto sexy, che sono state appena aggredite da un gruppo di malviventi che hanno cercato di stuprarle - riprende -. Si rivolge loro e dice: Se aveste bevuto qualche bicchierino in meno forse avreste evitato l'increscioso approccio con quei tipi loschi. Quella scena mi ha raggelato", attacca la Hunziker. "Il mio ruolo e i miei valori sono incompatibili con messaggi di questo tipo. E mi riferisco esclusivamente al cartone, non al live", conclude.
Michelle Hunziker, il momento buio dopo Amici Celebrities: "Fiorello mi ha consolato". Libero Quotidiano il 15 Dicembre 2019. Michelle Hunziker in una recente intervista rilasciata a Grazia ha svelato che Fiorello l’ha chiamata per consolarla dopo Amici Celebrities, trasmissione per cui è stata criticata. “Dopo Amici Celebrities mi ha chiamato Fiorello e mi ha consolato: 'Se ai tempi del mio Karaoke fosse arrivato a sostituirmi Stevie Wonder dagli Usa, lo avrebbero ammazzato di critiche'. Non mi abbatto perché conosco i rischi del mio mestiere. Quando i commenti però non sono costruttivi, giro in fretta pagina e mi rimbocco le maniche, accetto la sfida. Sono entrata di corsa e ho dovuto sostituire l’anima del programma, cioè Maria”. La conduttrice parla anche degli hater: “Li ignoro. L’hater esiste solo se reagisci. C’erano anche prima dei social, solo che non avevano voce. Sono dei rosiconi che ti seguono per disturbarti, trovano gusto nella provocazione. Se davvero non piacessi loro, avrebbero la possibilità di non seguirmi. Chi mi ferisce davvero? Ci riesce chi amo, quando non si fida di me e delle mia capacità. Sul lavoro sono meno vulnerabile, punto sulla professionalità, so fare un mestiere e ci metto tutta me stessa. Se non piace, pazienza, me ne faccio una ragione”.
Carlotta Scozzari per “Business Insider Italia” l'11 dicembre 2019. Un 2018 molto difficile e un 2019 che ancora non basterà per riportare in positivo i conti di Trussardi. Così come, per raggiungere lo stesso obiettivo, non sono bastate le massicce campagne pubblicitarie, via Instagram e non solo, avviate negli ultimi anni da Michelle Hunziker, moglie del presidente della società Tomaso Trussardi, e dalla figlia Aurora, avuta dal cantante Eros Ramazzotti e testimonial di Trussardi Jeans. È in questo quadro ancora molto complesso che si è trovato a muoversi il fondo della Cassa depositi e prestiti (Cdp) QuattroR, che dallo scorso febbraio è diventato primo azionista dell’azienda del levriero con una partecipazione di circa il 60% del capitale, mettendo così in minoranza l’omonima famiglia fondatrice. Un’operazione che non ha messo d’accordo tutti i fratelli, al punto che nell’azionariato, accanto a QuattroR, sono rimasti soltanto Tomaso Trussardi e la madre Marialuisa Gavazzeni. Hanno invece preferito chiamarsi fuori le sorelle Beatrice e Gaia. A raccontare nel dettaglio la situazione in cui versava Trussardi quando il fondo ne ha rilevato la maggioranza è il bilancio del 2018 della società di abbigliamento, da cui emerge una nuova perdita di esercizio nell’ordine di una trentina di milioni (29,9 milioni dopo il rosso di 30,6 milioni del 2017, mentre la perdita del 2016 era stata di 7,44 milioni e il 2015 aveva chiuso con un piccolo utile di 1,68 milioni). La perdita è stata registrata a fronte di un valore della produzione complessivo di 23,7 milioni, in calo dai 24,2 dell’anno prima. Il bilancio della Trussardi spa tratteggia la situazione negativa senza tanti giri di parole: Il percorso di riorganizzazione e riposizionamento e rilancio del marchio intrapreso dal gruppo negli anni passati e che aveva portato alla definizione del piano strategico 2015-2020, successivamente aggiornato con la revisione 2018-2022, non ha visto i risultati attesi riflessi nelle performance economiche, finanziaria e patrimoniali consuntive. Così, nel 2018 la società, dato il nuovo risultato negativo di una trentina di milioni e quelli cumulati negli anni precedenti, si è trovata nella situazione disciplinata dall’articolo 2.446 del codice civile, che stabilisce come correre ai ripari quando il capitale di una società diminuisce di oltre un terzo in conseguenza di perdite. Ed è proprio qui che è entrato in gioco QuattroR che, aprendo il portafogli per 48,5 milioni tra febbraio e aprile 2019, ha reso “disponibili – spiega sempre il bilancio di Trussardi spa – le risorse finanziarie funzionali alla realizzazione del nuovo piano di rilancio e sviluppo del gruppo Trussardi, oltreché al risanamento della situazione di difficoltà finanziaria manifestatasi nel 2018”. In particolare, tali risorse sono state messe a disposizione della controllata Trs Evolution, che rappresenta il polo produttivo e distributivo del gruppo per i prodotti di abbigliamento e accessori, e delle sue controllate estere, che hanno fatto segnare risultati particolarmente negativi. È in capo alla medesima Trs Evolution che, a seguito della salita al controllo del fondo QuattroR, è stato rinegoziato il debito bancario da 51,5 milioni. E ciò dopo che a fine 2018, proprio a causa dei risultati negativi raggiunti dal gruppo, erano stati sforati alcuni parametri fissati con le banche, comportando così l’esigibilità da parte dei finanziatori (Bnl, Unicredit, Intesa Sanpaolo, Ubi Banca, Banco Bpm e Mps) dello stesso credito. Ora l’azienda per rimettersi in piedi conta sul nuovo piano 2019-2023 che, come si legge sempre nel bilancio del 2018: “prevede nel medio tempo un ritorno graduale a risultati positivi con un miglioramento degli indicatori ancorché negativi nel 2019”. Insomma, per rivedere l’utile Trussardi spa impiegherà probabilmente ancora un po’.
Michelle Hunziker, quando Enzo Biagi e Antonio Ricci la salvarono dalla setta, scrive la Redazione di Blitz Quotidiano il 24 marzo 2019. “Michelle Hunziker era finita in una setta. È una grande, ma in quel periodo era vulnerabile. Enzo Biagi la ascoltava, le teneva la mano mentre raccontava la sua storia”. Giancarlo Aneri, noto e storico produttore di vini, che riesce a far stappare le sue bottiglie a politici e vip (Obama, Trump, Putin, Berlusconi), svela in una intervista al Corriere della Sera un dettaglio segreto sulla showgirl di origini svizzere: “Un ruolo importante lo ha avuto Antonio Ricci. Con la sua trasmissione Striscia la notizia, si schiera sempre con i deboli e fa paura ai forti. Ha salvato Michelle, assieme a Biagi. Ha anche organizzato una campagna di informazioni contro le sette”. “Sono stata agganciata dalla setta all’età di 22 anni. Avevo una bambina di pochi mesi e un bellissimo matrimonio: era una favola, ma nel mio passato c’erano delle vulnerabilità e invece di rivolgermi a uno psicologo è arrivata questa pranoterapia, per la quale è stato molto facile reclutarmi”, aveva detto Michelle Hunziker a “Quarto Grado“. Nel programma la conduttrice aveva raccontato il periodo di sofferenza durante il quale ha inizialmente avuto enormi dimostrazioni d’affetto, poi era stata allontanata dagli amori più grandi, come il marito Eros Ramazzotti e la madre: “In questa solitudine la setta era l’unica cosa che avevo, ma anche loro esercitano un totale isolamento, perciò tu sei completamente solo”. Nella sua biografia, intitolata “Una vita apparentemente perfetta“, c’è ampio spazio a quello che le è accaduto. Ma chi c’era a capo di questa setta? Una donna di nome Clelia, presente nei racconti della Hunziker. “Sono entrata in questa setta senza neppure accorgermene. Per controllarmi mi hanno allontanato dai miei affetti e fatto leva sulle mie debolezze. Mi filtravano le telefonate, non potevo parlare neppure con mia madre, che non ho visto per quattro anni”. Dunque, regole ferree, una vita difficilissima. “Mi mettevano in castigo, mi lasciavano sola. Minavano la mia autostima dicendomi che non avevo talento e che avevo successo solamente perché avevo intrapreso questo percorso spirituale. Mi hanno fatto lasciare la mia agenzia e convinta ad aprire una nuova società, finanziata totalmente da me. Ovviamente pagavo e davo da mangiare a tutti loro. Ad un certo punto mi hanno persino convinta a cedere tutte le mie quote a loro. Clelia mi disse che se me ne fossi andata dalla setta sarei morta”, aveva raccontato a Verissimo. (Fonte Corriere della Sera).
Michelle Hunziker era finita in una setta. Giancarlo Aneri nel corso di un'intervista rivela un dettaglio da brividi sulla vita recente della showgirl svizzera, scrive Alessandro Pagliuca, Domenica 24/03/2019 su Il Giornale. Giancarlo Aneri nel corso di un'intervista al Corriere della Sera svela il disagio provato negli ultimi anni da Michelle Hunziker e il rischio che ha corso la showgirl svizzera. I cinque anni più brutti della sua vita li definì lei tempo fa. Michelle Hunziker ha raccontato le sue sventure in un libro, ma le affermazioni fatte da Aneri hanno dell'incredibile. Giancarlo, ha affermato che ad aiutare la Hunziker da quell'incubo sono stati Enzo Biagi e Antonio Ricci. Il primo grazie alla sua saggezza, il secondo consentendole di lavorare e quindi di potersi sostenere: "Michelle Hunziker era finita in una setta. È una grande, ma in quel periodo era vulnerabile. Enzo Biagi la ascoltava, le teneva la mano mentre raccontava la sua storia". Giancarlo Aneri, coppiere dei potenti, che riesce a far stappare le sue bottiglie a politici e vip (Obama, Trump, Putin, Berlusconi), svela un altro dettaglio segreto sulla showgirl di origini svizzere: "Un ruolo importante lo ha avuto Antonio Ricci. Con la sua trasmissione Striscia la notizia, si schiera sempre con i deboli e fa paura ai forti. Ha salvato Michelle, assieme a Biagi. Ha anche organizzato una campagna di informazioni contro le sette". Giancarlo Aneri ricorda il periodo in cui Michelle Hunziker, ormai vicina a maturare la consapevolezza di essere diventata vittima di una setta, ottenne l’aiuto di Enzo Biagi e Antonio Ricci: “Lei è una grande ma in quel periodo era vulnerabile. Biagi le teneva la mano mentre raccontava la sua storia”.
Scrive Stefania Rocco su gossip.fanpage.it il 24 marzo 2019. Giancarlo Aneri, storico produttore di vini pregiati, racconta al Corriere la sua lunga frequentazione con Enzo Biagi, Gli attribuisce, tra le altre cose, il merito di avere aiutato Michelle Hunziker all’epoca in cui la conduttrice aveva finito per rendersi conto di essere diventata vittima della setta alla quale si era inconsapevolmente affidata anni prima. Quel racconto trova conferma nella stessa Michelle, che ne parla apertamente nel suo libro, riconoscendo a Biagi e ad Antonio Ricci il merito di averla aiutata. Aneri racconta al Corriere: “Michelle era finita in una setta. È una grande, ma in quel periodo era vulnerabile. Biagi la ascoltava, le teneva la mano mentre raccontava la sua storia. Un ruolo importante l’ha avuto Antonio Ricci. Con la sua trasmissione Striscia la notizia, si schiera sempre con i deboli e fa paura ai forti. Ha salvato Michelle, assieme a Biagi . Ha anche organizzato una campagna di informazioni contro le sette”. Quell’aiuto fu determinante perché la Hunziker realizzasse di doversi staccare per potersi finalmente riappropriare della sua vita.
La versione di Michelle Hunziker. La stessa Michelle confermò che l’aiuto di Biagi e Ricci fu determinante affinché maturasse la consapevolezza di doversi staccare da quel mondo: “Cercavano di far crescere la mia autostima, perché Clelia mi diceva che il successo era dovuto non alle mie doti, ma esclusivamente al fatto che lei mi fosse vicina. Quando facevo Striscia, quando recitavo a teatro, mi caricavo di energia. Ma appena finito di lavorare rientravo nel gruppo e cominciavano a denigrarmi. Antonio ha capito la situazione e ha cercato di darmi la certezza che potevo farcela da sola. Mi chiedeva spesso consiglio, su certe cose mi dava completa carta bianca. Lo stesso faceva Enzo: goccia dopo goccia rendeva più forte la mia autonomia. Anche se allora io ero certa che, se fossi uscita dal gruppo, sarei morta”.
Michelle Hunziker parla della setta: "Pur di andarmene ero pronta a morire". A distanza di anni, Michelle Hunziker parla della setta di cui è stata vittima per 5 anni e lo fa ricordando i postumi, gli attacchi di panico che per i tre anni successivi l'hanno accompagnata nel processo di liberazione psicologica. Francesca Galici, Martedì 01/10/2019, su Il Giornale. Per tanti anni Michelle Hunziker è stata vittima di una setta. Furono anni complicati per la conduttrice svizzera, la cui vita veniva completamente gestita da altre persone, che per lungo tempo l'hanno quasi privata di qualsiasi capacità decisionale. Fortunatamente Michelle Hunziker è riuscita a liberarsi da quella stretta morsa che l'ha tenuta intrappolata in una realtà parallela, fatta di minacce e di terrore, ma le conseguenze di quegli anni sono ancora presenti nella sua quotidianità. La conduttrice è stata intervistata da Freeda, magazine femminile online, che ha voluto ripercorrere con Michelle proprio alcune fasi di quegli anni, di cui la svizzera afferma di ricordare ogni momento, fino a quando non ha avuto il coraggio di dire basta. L'ha fatto per telefono, incurante delle minacce di morte che provenivano dall'altro capo. In tutti quegli anni, la conduttrice ha subito un processo di iniziazione e di purificazione tipico di questa tipologia di congregazioni: “Era tutto un percorso di purificazione di ogni tipo. Sai come sono le sette. Loro mi avevano convinta che sarei morta, mi avevano ricattato a morte, però talmente volevo liberarmi da lì che ero pronta a morire.” Ha trovato la forza di liberarsi di quel peso grazie a sua figlia Aurora, all'epoca ancora molto piccola ma già in grado di capire che c'erano dei problemi. Le conseguenze di quei 5 anni all'interno della setta non sono state facili da affrontare per Michelle Hunziker, che per tre anni ha sofferto di attacchi di panico. C'è voluto del tempo alla conduttrice svizzera per uscire completamente dal tunnel di sudditanza psicologica, per scacciare dalla sua vita le scorie di un periodo tossico che la stava portando all'autodistruzione. All'epoca Michelle Hunziker era poco più che ventenne e si lasciò convincere in questa follia dall'uomo che ha creduto di amare per tanto tempo. Ora è felice accanto a Tomaso Trussardi, marito e padre delle sue piccole bimbe Celeste e Sole, ma quel periodo le ha insegnato molto e, come lei stessa dice nella clip dell'intervista: “Da lì sono rinata molto più forte… Adesso è difficile che mi freghino.”
Michelle Hunziker: "È stata dura entrare nella famiglia Trussardi". La showgirl e il matrimonio con Tomaso: "È stata dura entrare nella famiglia Trussardi". Persino la bella Michelle si sentiva inadeguata in casa del suo nuovo compagno...Marina Lanzone, Mercoledì15/05/2019, su Il Giornale. "Com’è stato entrare nella famiglia Trussardi? All’inizio è stata dura per loro e per me”. Ebbene sì, a parlare è proprio Michelle Hunziker. Anche per la scoppiettante conduttrice l’incontro con i “suoceri” non è stato così semplice. Attualmente il matrimonio con Tomaso Trussardi, procede a gonfie vele, nonostante le malelingue, e la coppia ha costruito negli anni una bellissima famiglia allargata con le loro figlie Sole e Celeste e Aurora, nata dal precedente matrimonio di Michelle Hunziker con Eros Ramazzotti. Ma in un’intervista rilasciata alla rivista “Chi” in occasione della partenza di "All Togheter Now", il nuovo programma di Canale 5, la conduttrice ne ha approfittato per fare qualche rivelazione. “I Trussardi sono una famiglia storica, discreta, molto chic – ha raccontato Michelle -. Io mi sentivo un pesce fuor d'acqua. Ho delle brave stylist e a quarant'anni mi so anche un po' vestire, ma sono anche un po' truzza, parecchio truzza. Chi mi conosce sa bene che, se non mi controlli, io vado in giro con i camperos”. Indimenticabile è per lei il ricordo del suo primo Natale in casa del marito: “Non sapevo neanche dove mettermi, non ho quel retaggio lì. E poi io mi portavo dietro anche tutto il gossip”. Proprio il pettegolezzo è una bestia nera per la showgirl svizzera, che lo vedeva come una possibile causa di rottura nel suo rapporto con Tomaso Trussardi. Ma l’amore è stato più forte di tutto, anche quando nell’ormai lontano 2011 la coppia rese nota la relazione. “Tomaso è l'unico uomo che, nel momento in cui dalla segretezza siamo usciti allo scoperto, l'ha vissuta benissimo. Non si è mai incavolato, sempre gentile, rispettoso. Con i fotografi ha costruito un rapporto di reciproco rispetto - ha spiegato con orgoglio Michelle -. Io amavo lui e lui amava me”. E per fortuna il sentimento non è affatto cambiato.
Michelle Hunziker: "Una ragazza ubriaca ha toccato mio marito e non ci ho più visto". La showgirl svizzera racconta alla rivista “Oggi” l’impeto di gelosia che ha avuto quando una sera, ad una festa, una giovane un po’ alticcia si è incollata a Tomaso Trussardi. Alessandro Zoppo, Mercoledì 11/09/2019, su Il Giornale. A chi non succede di essere gelosa del proprio partner? Lo sa bene Michelle Hunziker, che in un’intervista concessa al settimanale Oggi ha confermato che la gelosia è un sentimento umano. E che quando inizia, non puoi più fermarlo. La showgirl svizzera, pronta a condurre Amici Celebrities su Canale 5 da martedì 24 settembre 2019, ha raccontato un aneddoto che riguarda quel sentimento che William Shakespeare definiva “un mostro dagli occhi verdi che dileggia la carne di cui si nutre”. “Sono gelosa, di brutto, è più forte di me – rivela la Hunziker – anche se negli anni ho imparato a controllarmi. Ma anche Tomaso è geloso ed è normale così”. Proprio il marito è stato protagonista involontario di una vicenda che rischiava di distruggere la loro “happy family”. “Devo dire che Tomaso non mi dà motivo di essere gelosa – spiega la conduttrice –, è un uomo serio, ma una sera a una festa una ragazza ubriaca era un po’ troppo incollata a lui e mi stavo innervosendo. Quando gli ha messo una mano sul ginocchio, non ci ho più visto, sono andata da lei e le ho detto: ‘Ma come ti permetti di toccare mio marito?’. Come tutti gli umani anche noi litighiamo ed è bene che si sappia. Il bello, però, è che facciamo pace alla svelta”. La coppia è reduce da un periodo di vacanza trascorso in famiglia, durante la quale non è passato inosservato ai paparazzi un litigio nelle acque della Sardegna. D’altronde non è la prima volta che i due si fanno vedere arrabbiati in pubblico. “L’estate – confessa Michelle – l’ho trascorsa appiccicata alle bambine, mi sono proprio goduta la mia famiglia. Sono uscite foto di un nostro litigio, abbiamo tanto riso per quella foto perché quando mi sono rivista mi sono fatta impressione: non credevo di essere così tanto arrabbiata. Avevo un’aria così aggressiva che siamo esplosi a ridere tutti e due”.
Michelle Hunziker, Aurora Ramazzotti: "Perché la mia con lei è stata un'adolescenza difficile". Libero Quotidiano il 24 Luglio 2019. Aurora Ramazzotti a Oggi racconta come lei, "divanista" cronica, si è trasformata in un’atleta con dieci chili in meno. "Nel 2017 mia madre ha ricevuto una email di ricatto: se non avesse pagato, mi avrebbero sfregiato con l’acido - torna a parlare di quella vicenda orribile -. Da quel giorno la mia vita è cambiata radicalmente... Ma le minacce mi hanno dato una scossa, ho dovuto reinventarmi un’esistenza e questo mi ha fatto scoprire lo sport". Aurora confida di aver avuto "un’adolescenza difficile per i continui raffronti con mia madre", Michelle Hunziker. "Lei è una donna bellissima e io la amo pazzamente, non capivo perché dovevano forzare le cose e creare un confronto che tra noi non esiste… La dittatura della bellezza esiste solo in Italia dove le ragazze per essere considerate devono essere cloni delle showgirl". Oggi si sente "più sicura, un po’ perché sono più grande, un po’ perché mi sento meglio fisicamente e ricevo molti elogi oltre ai soliti insulti".
Dagospia il 22 novembre 2019. Da I Lunatici Rai Radio2. Aurora Ramazzotti è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino. Aurora ha raccontato alcune cose di se: "Ho tanti progetti in cantiere, frequento un'accademia di arte e musica, le mie giornate sono abbastanza piene. Il rapporto con i miei genitori? Il poliziotto buono è sempre stato papà, ma molti papà credo siano così con la figlia femmina. E' stato tutto molto equilibrato, mia madre è sempre stata un generale svizzero, adesso la ironizziamo molto la cosa, mi ha dato un buon indirizzo, molto spesso ho rischiato di prendere delle strade che mi avrebbero portato a perdermi ma lei mi ha salvato dandomi un calcio nel sedere. Anche mio padre, comunque. Ora ho una guardia del corpo, abbiamo pubblicamente annunciato di aver ricevuto delle minacce sulla base di cui abbiamo pensato di agire per non lasciare nulla al caso".
La Ramazzotti poi ha parlato dei suoi tatuaggi: "Vorrei farne altri, la vita riserva tante cose, ognuno deve avere il proprio racconto. Il primo l'ho fatto a quattordici anni, io e mia madre eravamo in viaggio a Miami e abbiamo deciso di farci un tatuaggio insieme. L'ho convinta così a firmarmi la liberatoria per farmelo. Il primo tatuaggio è stato le iniziali dei miei genitori. L'ultimo invece è una frase di una cartolina di mio padre, che ogni volta che andava in tour mi scriveva".
Sull'amore: "Va alla grand...ine! Va benissimo anche se è lontano. Lui è di Roma ma vive a Londra, ci vediamo poco però va avanti da tre anni. Le relazioni a distanza possono durare, ma ci deve essere la voglia soprattutto all'inizio di lottare per una storia. E' così difficile trovare qualcuno che ci ami e che dia un valore aggiunto alla nostra vita che non ho assolutamente intenzione di rinunciare al mio compagno ora che l'ho trovato".
Su quelli che le davano della raccomandata: "E' vero che puoi essere raccomandato quanto vuoi ma se non vali niente non vai avanti, ma è anche vero che io sono e sarò per sempre riconoscente di essere nata in una famiglia così. Chiunque può essere raccomandato, nascere in una famiglia di artisti non è una raccomandazione non è una raccomandazione, è un dono".
Il rapporto con la sua bellezza: "Sono una donna e noi donne difficilmente ci valutiamo belle. Siamo molto autocritiche soprattutto se siamo esposte alle critiche del mondo. Avere una mamma bellissima? Non è una fatica se non te lo puntualizzano costantemente, almeno per come sono fatta io. Io non ho mai avuto nessun tipo di competizione nei confronti di mia madre, l'ho sempre amata e considerata la donna più bella del mondo. Non mi sono mai paragonata a lei, anche se in passato qualcuno l'ha fatto".
Aurora ora risponde agli insulti: "Ecco chi mi dice raccomandata". Tra le sue ultime Instagram story, Aurora Ramazzotti ha voluto invitare il web a combattere la violenza in senso lato tutti i giorni e non solo il 25 novembre, data in cui è ricorsa la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Serena Granato, Martedì 26/11/2019, su Il Giornale. La figlia di Eros Ramazzotti e Michelle Hunziker nelle ultime ore fa parlare molto di sé, per aver lanciato in rete un messaggio volto a denunciare la violenza in senso lato, in particolare la violenza che viene divulgata sui social dagli hater. Nel suo ultimo post pubblicato su Instagram -all'indomani della data in cui è ricorsa la giornata mondiale contro la violenza sulle donne - Aurora Ramazzotti ha voluto spendere alcune parole per sensibilizzare il web alla lotta contro il bullismo. Quest'ultimo, per l'influencer, è un fenomeno assai radicato nella società moderna e arreca tanto dolore a molte persone. Tra le sue ultime Instagram story, il neo volto dei network radiofonici Radio Zeta e Rtl102.5, Aurora, si è poi palesata sgomenta e ha voluto parlare ai follower del cyberbullismo e di come questa forma di violenza riesca talvolta ad abbatterla: "Ciao ragazzi, dunque sotto il mio ultimo post ho parlato brevissimamente di violenza, siccome ieri è stata la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, io credo che invece se ne debba parlare non solo nella giornata dedicata a questa cosa, ma costantemente, io molto spesso ne parlo. Soprattutto perché credo che la violenza non sia limitata a quello che noi crediamo, ma sia anche la violenza verbale, il bullismo sui social, ci sono tantissime ramificazioni di questo fenomeno. E spesso è radicato nel modo in cui veniamo educati, nel contesto in cui cresciamo. Io condivido sui social molti messaggi di insulti e poi mi faccio due risate. Ma, talvolta, comunque, può capitare mi mi abbattano delle cose e che un poco mi facciano pensare. Per esempio, su Twitter, che non uso mai, anche perché non saprei come usarlo, mi sono imbattuta in un paio di cose che vi allego adesso, per farvi capire". In una storia successiva, poi la Ramazzotti junior ha mostrato ai fan un tweet in cui sono riportate le parole al veleno ricevute da un hater, che le darebbe della "raccomandata", in quanto figlia di Michelle Hunziker ed Eros Ramazzotti: "Ce sta la pora Aurora Ramazzotti che se sta a sbattere come un'anguilla fuori dal fiume. Prima le orge, poi la vita sregolata e la troca e mo le minacce con l'acido. Qualcuno le trovi una particina in tv. Se gne la fai, con mamma e babbo che te ritrovi, fattele du domande, Aurò". "Secondo voi quale può essere lo stereotipo sul quale le persone fanno leva su di me?", prosegue l'influencer, tacciata di "raccomandazione". "Per farvi capire il circolo vizioso in cui siamo ormai entrati, vi dico che ormai si fa leva anche sull'odio -la 22enne poi mostra agli utenti su Instagram lo screenshot di un articolo di Dagospia, che, a detta della giovane, farebbe leva sull'etichetta di "raccomandata" che da sempre le viene affibbiata-. Per esempio, questo è il titolo di un articolo in cui non si parla male di me, ma loro usano un mio virgolettato di un'intervista da un'altra parte per attirare l'attenzione dei cosiddetti hater, che magari andranno a cliccare sull'articolo e alzeranno le visualizzazioni: 'Aurora Ramazzotti: Puoi essere raccomandato quanto vuoi, ma se non vali niente, non vai avanti'''. "Io non ho fatto queste storie perché voglio che voi mi compatiate - ha dichiarato Aurora, a conclusione della sua parentesi di sfogo aperta tra le storie su Instagram-, io sono molto tranquilla, consapevole di chi sono e volevo dirvi di non farvi mai ingannare da uno stereotipo, perchè tante persone la vivono molto male a differenza mia. Ed è importante, tutti i giorni... Non solo il 25 di novembre".
Aurora Ramazzotti si domanda: "Sarò mica asiatica?". La figlia di Eros Ramazzotti e di Michelle Hunziker posta una foto su Instagram e ironizza suo suoi tratti somatici. Biagio Carapezza, Lunedì 18/11/2019, su Il Giornale. Aurora Ramazzotti ha postato una sua foto su Instagram e con autoironia ha scritto in coda: "Sono sempre più convinta di avere provenienze asiatiche". Lo scatto mostra un primo piano della ventitreenne figlia di Eros Ramazzotti e di Michelle Hunziker che mette in evidenza i suoi tratti somatici "orientaleggianti": gli occhi a mandorla, gli zigomi non pronunciati e le guance piene. La mossa potrebbe essere una ironica risposta ai cosiddetti hater del web che più volte hanno rinfacciato con disprezzo alla giovane di aver i lineamenti del viso tipici delle popolazioni asiatiche. Il post è stato immediatamente commentato dalla madre Michelle stupita: "Ehhhhh…" . Aurora ha quindi replicato scrivendo: "Riflettevo ieri se in questa foto emergesse maggiormente l'influenza dell'antenato svizzero oppure di quello coreano… secondo te?". Era stata la stessa Hunziker a scherzare sulle fattezze della figlia. In un video postato su Instagram tempo fa infatti aveva dichiarato: "Ma come? Non sapevi di essere figlia di un asiatico?". L'autoironia della giovane è stata apprezzata anche dai tanti follower che la seguono. In molti hanno scritto parole di elogio sia per il suo aspetto sia per la capacità di prendersi in giro. La ragazza ha più volte dovuto fronteggiare pesanti attacchi personali sui social in merito al suo fisico e alle sue doti professionali. Inoltre è di continuo sottoposta al paragone con la madre Michelle. Questo per lei è fonte di dispiacere come ha dichiarato in una intervista al settimanale F raccontando un episodio che la ha vista protagonista in un negozio: "La commessa mi fa un complimento e un uomo dietro: 'Meglio la madre'. L'ha detto tre volte. Voleva proprio che sentissi che lui pensava facessi schifo in confronto a lei. Questa non è neanche cattiveria, è ignoranza. Ma fa male lo stesso". Nella stessa intervista Aurora ha chiarito come il suo fidanzato Goffredo Cerza sia stato un valido aiuto a superare le insicurezze nate da questi continui paragoni.
Aneri: «Quando Biagi salvò dalla setta Michelle Hunziker». Pubblicato domenica, 24 marzo 2019 da Corriere.it. Solo per un istante Giancarlo Aneri perde il sorriso d’ordinanza. Quando pensa al ladro che gli ha portato via dalla casa di Legnago, in provincia di Verona, 20 cravatte con il simbolo del cavallino rampante che gli regalò Enzo Ferrari. Aneri ha una doppia vita. È il coppiere dei potenti, riesce a far stappare le sue bottiglie a politici e star, qualunque sia il loro credo: da Obama a Trump, da Putin e Berlusconi a Ciampi e Napolitano. Ed è anche, Aneri, un cultore della carta stampata, una passione che riversa in è Giornalismo, il premio fondato nel 1995 con Enzo Biagi, Giorgio Bocca e Indro Montanelli (ora con lui in giuria ci sono Giulio Anselmi, Mario Calabresi, Paolo Mieli, Gianni Riotta e Gian Antonio Stella). Mondanità, marketing e giornalismo hanno un tratto in comune: ogni evento di Aneri è accompagnato da Prosecco o Amarone, i punti di forza delle sue aziende (dai vini al caffè). L’ultimo colpo l’ha messo a segno ieri: è riuscito a far entrare le sue bollicine venete alla cerimonia degli accordi firmati da Cina e Italia a Villa Madama, a Roma. E ha fatto in modo che Palazzo Chigi regalasse una magnum di Amarone Aneri (annata 2014) al presidente cinese Xi Jinping.
Come mai Ferrari le regalava cravatte?
«Avevo 28 anni, pochi soldi e tanta volontà. Ero un appassionato di Formula Uno, lavoravo alle Cantine Ferrari di Trento della famiglia Lunelli. La Ferrari, nel senso delle automobili, vinceva e i piloti brindavano sul podio con lo Champagne. Andai a Maranello e convinsi il Drake, dopo un’anticamera di sei ore, a brindare con lo spumante Ferrari».
Poi rimase in contatto?
«Continuai a frequentarlo. Parlavamo di cucina, donne e macchine. Ero esperto soltanto dei primi due settori. Era generoso, ma anche burbero e schivo. Alla presentazione di un libro, Ottavio Missoni regalò golf colorati a tutti. Ugo Tognazzi lo infilò subito, lui rifiutò».
Beveva vino?
«Ad ogni incontro gli portavo vini importanti e lui contraccambiava con Lambrusco, un modellino Ferrari per mio figlio Alessandro e le famose cravatte con il cavallino rampante. Il ladro che me le ha rubate dovrebbe ridarmele. Ferrari mi diceva: se hai un prodotto di qualità, e il cliente che lo deve acquistare non lo capisce, alzati e vai via. Un consiglio che ho seguito tutta la vita».
Frequentava anche Enzo Biagi?
«Lo seguivo come un amico. Un giorno mi chiama nel suo ufficio di Milano: vieni, ti devo parlare. Mi racconta l’intervista che aveva appena fatto a Tommaso Buscetta. E mi chiede, senza giri di parole: perché non assumi la moglie di Buscetta? Voleva aiutarla. È stata l’unica volta che gli ho detto no. Ero troppo piccolo, lo avrebbero scoperto subito».
È vero che Biagi aiutò anche Michelle Hunziker?
«Michelle era finita in una setta. È una grande, ma in quel periodo era vulnerabile. Biagi la ascoltava, le teneva la mano mentre raccontava la sua storia. Un ruolo importante l’ha avuto Antonio Ricci. Con la sua trasmissione Striscia la notizia, si schiera sempre con i deboli e fa paura ai forti. Ha salvato Michelle, assieme a Biagi . Ha anche organizzato una campagna di informazioni contro le sette».
C’è stato un periodo in cui non si è occupato di Prosecco e Amarone?
«Quando ero al fianco di Indro Montanelli mentre stava fondando la Voce. L’ho aiutato, coinvolgendo anche Luciano Benetton. Tre mesi di lavoro, giorno e notte, senza pensare al vino da vendere. Indro era angosciato. Una sera, in un ristorante di corso Venezia a Milano, mi disse: se non ce la faccio ad aprire la Voce smetto di fare il giornalista. Lo danneggiò, tra gli altri, il padre di Fabrizio Corona, che disegnò il banchiere Enrico Cuccia in prima pagina come un vampiro che succhiava il sangue all’Italia. Cuccia non gli parlò più».
Dei tre grandi vecchi del giornalismo qualcuno si imponeva nella giuria di è Giornalismo?
«Giorgio Bocca era il più deciso quando c’era un candidato da sostenere o da bocciare. Ci riunivamo a casa sua. Un giorno Biagi arrivò in ritardo. Aveva ritirato le analisi del sangue e non era andata bene. Bocca gli rispose: è successo anche a me. E Enzo: come hai risolto? Giorgio: semplice, non ho più fatto le analisi».
Chi l’ha aiutata a portare il vino ai politici più potenti del mondo?
«Silvio Berlusconi mi ha sempre aiutato, per simpatia. Ha portato il mio Amarone a Bush, a Putin, e al G8, a Pratica di Mare, ha fatto servire il mio caffè a tutti. Non è vero che Berlusconi è astemio, l’Amarone gli piace».
Come ha convinto il cerimoniale di Palazzo Chigi a regalare il suo Amarone ieri a Xi Jinping?
«Quando ho saputo della visita del presidente cinese, due mesi fa, ho fatto preparare un’etichetta in cinese, tradotta da una docente dell’Università di Verona».
E Obama?
«Sono andato a Chicago sei mesi prima delle elezioni per la Casa Bianca. Ho puntato sul suo ristorante preferito, La Spiaggia. Il proprietario è italiano. Disse che si sentiva orgoglioso di organizzare un brindisi italiano per il neopresidente. La sera dopo la vittoria, Obama era alla Spiaggia. I ristoranti italiani all’estero sono importanti quanto le ambasciate».
Putin?
«Quando Berlusconi gli consegnò l’Amarone disse: ce lo beviamo io e lei. E gli lanciò una occhiatina, forse pensava a una serata con il nostro ex premier, o forse era solo un complimento al mio vino».
Perché compra pagine dei giornali e lancia messaggi senza firmarsi?
«L’ho fatto per Maria Elena Boschi, perché leggendo il Corriere ho assistito alla fuga di tutti gli onorevoli che prima le erano devoti e le reggevano la borsetta. In un’altra ho ringraziato i carabinieri del loro lavoro, anche se era in corso il processo per la morte di Cucchi. Poi ho dato la solidarietà alla Ferrero quando gli Stati Uniti contestarono le loro etichette. Ferrero lo scoprì e mi fece mandare un vaso di cinque chili di Nutella».
Nel suo libro («È una storia italiana») si è descritto come un profeta del marketing. Quando ha iniziato?
«Da bambino, sotto gli occhi di mio padre, capostazione, e di mia madre, che badava a me e alle mie sorelle Fiorella e Renza. Gli altri giocavano ai cowboy, io giocavo a fare il negoziante. Compravo un cioccolatino da 15 lire, lo dividevo in quattro parti e ne rivendevo ognuna a 10 lire. Più la figurina, incassando così altre 5 lire. Avevo 8 anni e un animo commerciale già sviluppato».
Che faceva con i soldi guadagnati?
«Ho comprato da solo la mia prima copia di un quotidiano. Era il Corriere. Ho capito che serviva a conoscere il mondo. Sono un giornalista mancato. Anche perché a 18 anni avevo chiaro che si guadagna di più vendendo vino che scrivendo».
Il primo lavoro?
«A 19 anni, in una cantina del Veronese, Peternella. Poi con la famiglia Lunelli. A 47 anni, nel 1994, mi sono messo in proprio. Ho seguito il consiglio di Vittorio Gassman: vai dove c’è il meglio e vendigli il meglio».
Con chi ha aperto le società?
«Per i vini con Rocco Forte. Per il caffè con i Benetton. Per l’olio con Giovannino Agnelli, che aveva un oliveto a Capalbio. Ho conosciuto Giovannino a un party a Londra. Andavamo in mensa alla Piaggio, io con il cappotto di cachemire, lui normale, casual. Quello ricco tra i due sembravo io. Io spendo, non si vive da pezzenti per morire da ricchi».
Non si stanca mai di inseguire i personaggi famosi?
«Seguo soltanto quelli che mi incuriosiscono perché hanno fatto qualcosa di importante. Con Gianni Agnelli non ci sono riuscito, solo una stretta di mano. Con Rocco Forte e Luciano Benetton è scattato qualcosa. Anche con Lino Volpe, il presidente di Elior. E gli ho venduto 100 mila bottiglie di Prosecco che fa servire sui Frecciarossa».
ANTONIO RICCI: ''ADRIAN? UNA SPECIE DI TRUFFA DEGLI ANZIANI E AGLI ANZIANI. Claudio Plazzotta per ''Italia Oggi'' il 12 Aprile 2019. Antonio Ricci attacca Mediaset, «e la sua tendenza masochistica a mandare in onda format usurati. Ormai in prime time vanno solo reality», aggiunge il patron di Striscia la notizia, che da lunedì su Canale 5 cambia conduttori con l' arrivo di Gerry Scotti e Michelle Hunziker al posto di Ficarra e Picone, «e si son persi di vista la fiction e il varietà. Il reality, poi, è un tipo di trasmissione che genera altri reality, che mette in circolo personaggi che alimentano i palinsesti del mattino e del pomeriggio, ed entri in un fango da cui è difficile uscire. Ma, evidentemente, piace così». Per Ricci, ad esempio, il caso Riccardo Fogli-Fabrizio Corona alla recente edizione dell' Isola dei famosi «è una cosa delinquenziale che può avere senso se lo giustifichi con gli ascolti. Invece, neppure gli ascolti sono arrivati. È un format usurato, e lo si capiva già dalla scorsa edizione, quando era rimasto in piedi solo per gli scandali sollevati da Striscia sui concorrenti che fumavano spinelli». Tuttavia, una trasmissione come Paperissima «non si fa più in prime time. Ci accontentiamo della edizione che va in onda alla domenica al posto di Striscia, e che è sempre il programma più visto della domenica. Noi facciamo tutta la stagione di Paperissima coi soldi che Fabio Fazio usa per i taxi dei suoi ospiti. E va bene così. Nel frattempo i bambini che vedete nei video di Paperissima sono tutti morti di vecchiaia». Liquida alla stregua di una boutade la dichiarazione di Carlo Freccero, direttore di Rai 2, che vorrebbe Ricci alla Rai: «Freccero ne parla solo coi giornali, e poi a novembre se ne va, cosa gli vuoi dire? Io non ho l' esclusiva con Mediaset», dice Ricci, «e sono pronto ad ascoltare proposte. Ma in Rai ci sono stati colloqui formali solo due volte: una con Angelo Guglielmi. Un' altra con Roberto Zaccaria. In entrambi i casi non c' è stato seguito». Ma l' inventore di Striscia approfitta della virata su Freccero per sferrare un duro attacco al suo vero obiettivo: «Freccero ora è a Rai 2, sta respirando un' aria troppo satura di Andrea Fabiano (ex direttore di Rai 2 e di Rai 1, ndr) e viene obnubilato. Fabiano, tanto per ricordarlo a tutti, è quel direttore di Rai 1 che difese a spada tratta Flavio Insinna, invece di difendere i dipendenti Rai e i concorrenti di Affari tuoi maltrattati dal conduttore. Fabiano è la simpatica creatura che, dopo che io ero stato convocato in Rai per un ricordo di Enzo Trapani, di cui sono l' allievo, decise di tagliare il mio contribuito perché non potevo apparire in Rai. Fabiano», prosegue un Ricci infervorato, «è quello che il 28 giugno 2016, alla presentazione dei palinsesti Rai, prese l' impegno di iniziare la prima serata di Rai 1 alle ore 21.15. Non lo ha mai, e dico mai rispettato. Anche in estate l' access di Rai 1 finisce sempre alle 21.30. Non è certo colpa di Striscia se la prima serata inizia così tardi. E poi noi siamo una rete commerciale, e a volte dobbiamo andare lunghi per sopperire a un prime time non fortissimo». Tipo Adrian? «Quella è una cosa che non si può definire, una specie di truffa degli anziani e agli anziani, Adrian è stato un buco nero che tutto risucchia». Adesso è il momento Barbara D' Urso, che imperversa su tutto il palinsesto di Canale 5. «Ma la povera Barbara fa una operazione di supplenza», risponde Ricci, «così come fanno spesso Gerry Scotti o Michelle Hunziker. Quando in palinsesto non riesci a trovare mai una carta vincente, non ti resta che affidarti alle sicurezze già rodate nel tempo». Quanto ai nuovi cavalli di battaglia su cui punterà Striscia, Ricci spiega che secondo lui, in politica, la vera rivelazione è il neo-segretario del Pd Nicola Zingaretti: «La forza di certi soggetti è stare nell' ombra. Lui è sempre vissuto della luce riflessa del Commissario Montalbano (interpretato dal fratello Luca Zingaretti, ndr). Se la può ancora cavare nella dichiarazione breve per i tg. Invece, se lo ascolti nei discorsi lunghi, ha un problema di dislessia, non dice una parola giusta. Sia lui, sia Martina, poi, se ne escono con dei falsetti preoccupanti». Due curiosità, infine: Striscia la notizia non è in diretta, ma in differita di 30 minuti, «anche se siamo sempre pronti per andare live in caso di bisogno». E il doppiaggio delle gag di Paperissima non è quello originale, ma, nel caso di Gerry Scotti, viene rifatto ex novo ogni settimana.
Adrian, Claudia Mori: "Qual è la malattia di Celentano". Perché la serie è stata interrotta da Mediaset, scrive l'1 Marzo 2019 Libero Quotidiano. Claudia Mori è una furia nel difendere la serie Adrian, considerata unanimemente un flop di Mediaset. "Parlare di fallimento quando la serie è appena iniziata mi sembra un po’ imprudente", dice la moglie di Adriano Celentano a Repubblica, "soprattutto quando si tratta di Adriano perché con lui le sorprese sono inimmaginabili. Inoltre lei qualifica come fallimento un progetto diverso da quelli che Canale 5 manda in onda in prime time e che, rispetto a tale programmazione, ha avuto ascolti comunque ragguardevoli. Il programma è stato spostato solo perché Adriano è stato vittima, come moltissimi italiani, di un pesante malanno di stagione, una fortissima bronchite che sta avendo una lunga guarigione e necessiterà anche di un’adeguata convalescenza (...)". "Con Mediaset", prosegue la Mori, "abbiamo deciso di evitare il rischio di ricadute di Adriano, oltre che di riprendere la messa in onda in un periodo di fine stagione televisiva, notoriamente non favorevole". La Mori si scaglia anche contro il disegnatore Milo Manara, che secondo Repubblica ha tolto la sua firma dal cartoon. "Non c’è mai stato nulla che Adriano o la produzione abbiano fatto senza le sue preventive approvazioni e condivisioni, anche scritte", replica la Mori, "Milo ha disegnato compiutamente ogni personaggio principale e non solo, e noi abbiamo acquistato anche tutti i disegni originali, quindi non può parlare di ‘bozzetti’ o ‘schizzi’. Inoltre ha anche entusiasticamente approvato ed elogiato l’animazione. (...) Adriano, come omaggio a Manara, ha montato una parte dei suoi disegni originali (firmati) in alcune scene di Adrian per mostrare al pubblico la grande arte di Manara. Milo non solo li ha autorizzati anche per iscritto, ma ha avuto parole di grande stima nei confronti di Adriano per il gusto raffinato di tale scelta e più in generale del suo lavoro su Adrian". Dunque la Mori, cade dalle nuvole.
DAGONOTA su Dagospia l'1 marzo 2019. - Ma come siamo arrivati a un risultato così umiliante per uno dei più grandi uomini di spettacolo italiani? Non è la prima volta che Celentano si innamora di un progetto che va oltre ciò che è realizzabile (e contro il gusto del pubblico), basta ricordare il tremendo ''Joan Lui'', quando sull'onda del successo di Jesus Christ Superstar il Molle-agiato si lanciò in un kolossal improbabile da lui cantato, interpretato, sceneggiato e pure montato. All'epoca furono i Cecchi Gori a dissanguarsi, a questo giro nessuno ha fatto un colpo di telefono al povero Vittorio, ne avrebbe sentite delle belle. L'affaire Adrian nasce alla fine degli anni Duemila, quando la Sky di Andrea Scrosati dà a Celentano-Mori un milione di euro per far partire la produzione. Sulla carta poteva funzionare: il richiamo del nome, i disegni di Milo Manara, le musiche di Nicola Piovani, la supervisione ai testi di Vincenzo Cerami (nel frattempo scomparso). Solo che quando videro le prime scene, negli uffici della società capirono che non era il prodotto per loro (eufemismo). Ha ragione la Mori quando dice che non ci fu nessuna penale per la rescissione del contratto. Le due parti raggiunsero un gentlemen's agreement: Celentano si teneva il milione già incassato, e ognuno se ne andava per la sua strada. Strada che portava a Cologno. Ci sono voluti molti anni di trattative, che hanno messo in mezzo Gianmarco Mazzi (da sempre vicino al Clan), il suo amico Lucio Presta, il direttore generale dei contenuti Mediaset Alessandro Salem. Nel frattempo i costi per i Celentanos erano saliti fino a 6,5 milioni di euro, visto che solo Manara aveva ricevuto un milione e mezzo per il suo lavoro. Aggiungi l'opzione per l'apparizione dal vivo di Celentano, i vari Balasso-Pastorelli-Frassica, il teatro, i figuranti, i ballerini, le band, le prove, le altre e numerose ''correzioni'' alla graphic novel, e il prezzo ha continuato a lievitare fino ai 20 milioni di cui si è mormorato alla vigilia della messa in onda.
Fabio Fabbretti l'1 marzo 2019 per davidemaggio.it. “Parlare di fallimento quando la serie è appena iniziata mi sembra un po’ imprudente, soprattutto quando si tratta di Adriano perché con lui le sorprese sono inimmaginabili”. Dal Clan Celentano si alza una voce ed è quella di Claudia Mori, che per difendere il progetto Adrian nega la realtà, ovvero il flop di ascolti con conseguente slittamento delle puntate mancanti alla prossima stagione. “Un progetto diverso da quelli che Canale 5 manda in onda in prime time e che, rispetto a tale programmazione, ha avuto ascolti comunque ragguardevoli. Il programma è stato spostato solo perché Adriano è stato vittima, come moltissimi italiani, di un pesante malanno di stagione, una fortissima bronchite che sta avendo una lunga guarigione e necessiterà di un’adeguata convalescenza (…) Con Mediaset abbiamo deciso di evitare il rischio di ricadute” ha dichiarato la Mori a Repubblica. Difficile considerare ragguardevoli quell’8.9% e 7.7% registrati nell’ultima puntata trasmessa, così come è alquanto sospetta – pur augurando una pronta guarigione – una così lunga convalescenza del Molleggiato. La moglie di Celentano non le manda a dire nemmeno a chi ha deciso di prendere le distanze dallo show, a cominciare da Michelle Hunziker, che in una recente intervista ha spiegato le ragioni che l’hanno spinta a scappare dal progetto: “Ognuno è libero di agire come vuole, anche male, ma sarebbe auspicabile senza scadere in offese e bugie. Un quotidiano svizzero in un’intervista a Hunziker titola l’articolo a caratteri cubitali CHE STRONZO! rivolto ad Adriano. Le sembra normale?”. A Claudia, inoltre, non va giù nemmeno la presa di posizione della svizzera nei confronti del cartone animato, in cui dice di averci visto un messaggio sessista, incompatibile con i suoi valori: “Accusa Adriano addirittura di sessismo per una battuta innocente detta in modo paternalistico come potrebbe dire un padre a sua figlia: ‘Mi raccomando non bere e non fare tardi’. Si è voluto stigmatizzare Adriano in modo prevenuto, visto che uno dei temi centrali, sia di Adrian che di Adriano, è proprio la lotta alla violenza sulle donne”.
E qui l’affondo nei confronti di Michelle: “Adriano dopo l’improvviso abbandono di Hunziker ha voluto la bravissima Ilenia Pastorelli con la quale da tempo auspicava di lavorare per affidarle in ogni puntata un monologo sulla violenza contro le donne, come, tra l’altro, avrebbe dovuto fare Michelle Hunziker, la cui presa di distanza si commenta da sola”.
Claudia Mori replica anche al fumettista Milo Manara, che ha preso esplicitamente le distanze dalle animazioni di Adrian, precisando che alcuni suoi disegni erano stati realizzati per altro e non per il cartone animato, del quale non si è mai occupato: “Siamo rimasti stupefatti da quanto abbiamo letto, dalle sue dichiarazioni in netto contrasto con la verità e con i suoi comportamenti, fino a quel giorno entusiasti. Non c’è mai stato nulla che Adriano o la produzione abbiano fatto senza le sue preventive approvazioni e condivisioni, anche scritte. Milo ha disegnato compiutamente ogni personaggio principale e non solo, e noi abbiamo acquistato anche tutti i disegni originali, quindi non può parlare di ‘bozzetti’ o ’schizzi’. Inoltre ha anche entusiasticamente approvato ed elogiato l’animazione”.
La Mori precisa che è stato Manara stesso ad indicare al montatore della serie il testo da utilizzare nei titoli di testa, ovvero “Character Design – Milo Manara”. Una cosa è certa: Adrian è stato fin dall’inizio un susseguirsi di incomprensioni. Su tutte, quella tra Celentano e il pubblico a casa, che si è sentito tradito. E sulle penali, ''Un quotidiano, di cui al momento non farò il nome, ha assunto una posizione offensiva ancor prima che iniziasse il programma ed è andato in un crescendo che è giunto sino a inventare che Sky avrebbe pagato una penale per non mandare in onda Adrian. È accaduto l'esatto contrario. Perché inventare una bugia di tale portata? Questa non è critica, ma un tentativo maldestro di umiliare questo progetto. Saremo costretti a fare causa per danni e diffamazione".
Adrian, Claudia Mori asfalta Michelle Hunziker: "Dice bugie", scrive l'1 marzo 2019 Libero Quotidiano. Claudia Mori rompe il silenzio su Adrian. La moglie di Adriano Celentano parla con Repubblica della discussa serie con il Molleggiato e dello spettacolo live che lo ha anticipato, criticato da molti tra cui Michelle Hunziker, che si è sfilata dal progetto perché non riusciva ad interagire con Celentano. "Ognuno è libero di agire come vuole, anche male, ma sarebbe auspicabile senza scadere in offese e bugie", dice la Mori della Hunziker, "un quotidiano svizzero in un’intervista a Hunziker titola l’articolo a caratteri cubitali CHE STRONZO! rivolto ad Adriano. Le sembra normale? Non solo, la Hunziker nell’intervista accusa Adriano addirittura di sessismo per una battuta innocente detta in modo paternalistico come potrebbe dire un padre a sua figlia: ‘Mi raccomando non bere e non fare tardi’. Si è voluto stigmatizzare Adriano in modo prevenuto, visto che uno dei temi centrali, sia di Adrian che di Adriano, è proprio la lotta alla violenza sulle donne". Prosegue Claudia Mori, moglie e manager del Molleggiato: "Adriano dopo l’improvviso abbandono di Hunziker ha voluto la bravissima Ilenia Pastorelli con la quale da tempo auspicava di lavorare per affidarle in ogni puntata un monologo sulla violenza contro le donne, come, tra l’altro, avrebbe dovuto fare Michelle Hunziker, la cui presa di distanza si commenta da sola".
TEOCOLI, UN GRANDE INCOMPIUTO. Aldo Grasso per il “Corriere della sera” l'11 aprile 2019. Teocoli, il grande incompiuto. Era Antonio (Teo) Teocoli il protagonista di «Stars», le interviste condotte da Giancarlo Bozzo per Zelig Tv (martedì, ore 21,30). Ancora una volta, Teo ha raccontato la sua carriera, dagli esordi musicali al Derby, da «Non lo sapessi, ma lo so», a «Mai dire gol», a «Quelli che il calcio». Quante volte abbiamo sentito Teo raccontare la sua storia, specialmente ospite di Fabio Fazio! Tanto che una volta ci siamo permessi di ricordargli un precetto su cui si fonda il grande spettacolo americano: «Show, dont' t tell!», facci vedere, smetti di chiacchierare. Teo ha doti comiche naturali da vendere, gli basta accennare a un passo di danza per strappare l' applauso, gli basta un parrucchino per trasformarsi in Cesare Maldini, più vero del vero. È un grande, uno capace di cambiare faccia a ogni tipo di spettacolo. Ma da troppo tempo gli va di raccontare, sbrodola e rimanda il numero. Quando faceva «Mai dire gol», con la geniale invenzione di Peo Pericoli, Gianduia Vettorello, Felice Caccamo, pareva avviato al grande, inarrivabile show. Poi gli è presa questa voglia di parlarsi addosso e di procrastinare all' infinito il momento di mostrarsi in concreto, di farci vedere quanto vale. Teo è grande anche perché, in un mondo televisivo dove l'artista non disdegna le comodità impiegatizie e le protezioni dei clan, ci pensa da solo a rovinarsi: si comporta come un cavallo bizzoso, insofferente del morso, capace di scartare per un' ombra. Già ai tempi di Antenna 3 Lombardia era il più talentoso, ma per tutta una carriera non si è dato pace che Massimo Boldi facesse fortuna con il cinema solo perché aveva una faccia da ridere; così, appena ha potuto, anche lui si è rovinosamente buttato nell' esperienza del film, per di più d'autore o quasi. Forse la sua genialità risiede nell'incompiutezza, così l' intervista con Bozzo è stata malamente tagliata sul finale.
Adrian, Teo Teocoli massacra Celentano: "Perché lo ho scaricato". Soldi, caos e menzogne: una bomba, scrive il 2 Marzo 2019 Libero Quotidiano. Dopo Michelle Hunziker, tocca a Teo Teocoli. Anche lui, infatti, picchia durissimo su Adriano Celentano (anche Teocoli, proprio come la Hunziker, si era sfilato dal fallimentare Adrian poco prima della messa in onda del format su Canale 5). Lo sfogo di Teocoli arriva in un'intervista a Repubblica, dove attacca: "Febbraio e marzo me li sono bruciati per colpa di Adrian. Ho perso serate nei locali, aspettando di registrare il più grande flop della tv che non ho mai fatto. Altro che quello che dice Claudia Mori. È andata pressoché così, come cerco di raccontarla". Il punto è che la moglie del Molleggiato ha definito Teocoli come "traditore" di Adrian. Ma il diretto interessato la pensa molto diversamente: "Ma quale traditore! Fanno le cose tra di loro, non ti raccontano niente. Ma c'è un limite. A dicembre ricevo una telefonata di Adriano: Teo, uè, stavolta ce l'hai fatta. Sarai me. Ma se lo faccio da cinquant' anni, Adriano. No, canterai non i successi, ma le canzoni del rock'n'roll, mi dice. Io le so tutte a memoria perché c'ero. Parliamone, rispondo. Mai più visto, né sentito". Dunque, prosegue nel racconto, "sento Claudia Mori, perché sono anche i produttori, mi dice di andare a Verona a registrare la parte live, tirando sul compenso". La cifra? "Circa 30mila euro netti per nove puntate, con le spese a mio carico. Mi avevano anche proposto, per stare vicino, quello dove dormivano loro, 800 euro al giorno. Vabbè". Così Teocoli va a Verona, "due volte. Arrivo lì, saluto la Hunziker, Ambra, di Adriano nemmeno l'ombra. Claudia dice che forse arriva qualche giorno dopo, il venerdì. Ma intanto l'orchestra non c'era, poi vengo a scoprire che è formata da soli cinque elementi, gli autori se ne stavano seduti ad aspettare perché senza Adriano non si poteva far niente... Ho capito che mi sarei trovato lì come un cretino a fare cose non scritte. Ho desistito. Poi è arrivato il colpo di grazia". E quale sarebbe: "Claudia Mori chiama per dire di non prevedere stivaletti, cappello... Quella roba non mi piace, ha detto". Insomma, Celentano non voleva che Teocoli lo imitasse: "Già, perché sa che sono più bravo di lui a fare Celentano! Io non lo imito, lo sostituisco. A quel punto ho detto proprio basta". Infine, una battuta sull'unica puntata di Adrian che ha visto: "Non c'era niente, poca roba, confusa e nemmeno simpatica". Parole pesantissime, quelle di Teocoli.
Estratti dall'intervista di Anna Bandettini per ''la Repubblica'' del 2 marzo 2019. Teo Teocoli parla chiaro. "Febbraio e marzo me li sono bruciati per colpa di Adrian. Ho perso serate nei locali, aspettando di registrare il più grande flop della tv che non ho mai fatto. Altro che quello che dice Claudia Mori (…)''
Vittima di "Adrian" o traditore come lascia intendere la signora Mori?
"Ma quale traditore! Fanno le cose tra di loro, non ti raccontano niente. Ma c'è un limite. A dicembre ricevo una telefonata di Adriano: "Teo, uè, stavolta ce l'hai fatta. Sarai me".
Mai più visto, né sentito".
"Sono andato a Verona, sì, due volte. Arrivo lì, saluto la Hunziker, Ambra, di Adriano nemmeno l'ombra. (…) l'orchestra non c'era, (…), gli autori se ne stavano seduti ad aspettare (…) Ho desistito. Poi è arrivato il colpo di grazia". (…) "Claudia Mori chiama per dire di non prevedere stivaletti, cappello... "Quella roba non mi piace", ha detto".
Cioè non voleva che lei facesse Celentano?
"Già, perché sa che sono più bravo di lui a fare Celentano! Io non lo imito, lo sostituisco. A quel punto ho detto proprio basta".
L'ha visto poi in tv "Adrian"?
"Una puntata. Non c'era niente, poca roba, confusa e nemmeno simpatica". (…)
Non le è simpatica la signora Mori?
"Parla solo di Adriano. Dici "ho preso il tram" e lei "anche Adriano due anni fa". (…)
A Celentano vuole bene?
"Gli ho voluto tanto bene. L'ho tampinato da quando avevo 14 anni, con lui che mi diceva "non venir qui tutte le sere che mi viene lo sbattimento". Siamo diventati amici-amici e tra noi mai state ragazze di mezzo, anche perché lui è serio, monogamico, io un po' meno... Gli voglio bene ma sul lavoro è un disastro. Non comunicano. Non si spostano, non prendono aereo, treno, nemmeno l'ascensore, per le loro fobie.
(…)
Alla televisione non pensa più?
"Il varietà è morto e trasmissioni non ce ne sono. Mediaset mi sembra non se la passi bene e Adrian gli ha dato la mazzata. L'unico pazzo che ha accettato di ascoltarmi per un progetto con Massimo Boldi è Freccero, ancora mi chiama "il Rivera della televisione". Non sarà il ripescaggio di personaggi anni Ottanta, tanto in auge. A proposito, Marcella Bella perché è sempre incavolata con tutti a Ora o mai più? Il fatto è che la televisione è cambiata. Se ti vuoi suicidare guardala dalle 2 alle 6 del pomeriggio. Eppure mi piacerebbe tornarci dopo tanto tempo. Speriamo bene con Boldi, ipocondriaco come è. Immaginate lui, Lippi e Verdone che si chiamano al telefono: "Come stai? Bene?! Ma non dire fesserie"".
Adriano Celentano, le inquietanti affermazioni del figlio Giacomo: "Perché non mi fanno lavorare", scrive il 13 Marzo 2019 Libero Quotidiano. Il grido di dolore del figlio di Adriano Celentano, il figlio d'arte Giacomo Celentano, secondogenito del Molleggiato e di Claudia Mori, che si è confidato a Storie Italiane di Eleonora Daniele. Giacomo, infatti, svela di incontrare grosse difficoltà a lavorare nel mondo dello spettacolo: "Sono cinque-sei anni che, a causa del mio percorso di fede, io sono bandito dai mass media ufficiali - ha spiegato -. Quando devo portare a far ascoltare un mio brano musicale, perché sono anche un cantautore, ad una casa discografica, mi scartano. Un credente che fa questo mestiere pubblico va controcorrente quasi sempre". Il figlio di Celentano, però, non vuole mollare: "Continuo a fare i miei due mestieri, cantautore e scrittore. Dato che il mio Signore Gesù mi ha donato dei talenti artistici, il mio dovere di cristiano è farli fortificare - sottolinea -. In questi anni ho avuto difficoltà a promuovere quello che faccio. Soprattutto tra gli addetti ai lavori. E non c'entra il mio cognome. Nonostante le difficoltà, vado avanti con i miei lavori. E' il Vangelo che me lo chiede", conclude.
· Eros Ramazzotti.
Da I Lunatici - Radio2 il 10 settembre 2019. Eros Ramazzotti è intervenuto ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta ogni notte dalla mezzanotte e trenta alle sei. Ramazzotti sarà impegnato per tre sere consecutive all'Arena di Verona: "L'emozione prima di un impegno del genere c'è ancora, c'è sempre. Quando sai che la gente è lì per te, paga un biglietto, devi dare il massimo. Prima di un concerto non ho riti particolari, bisogna stare tranquilli, da quando ho fatto l'operazione faccio molti esercizi, con le corde vocali va benissimo, devo fare altre cinquanta date quindi le cose vanno alla grande". Sull'estate appena trascorsa: "Non mi sono quasi mai fermato, è stata una estate molto calda in tutti i sensi, abbiamo fatto tutti sold out, la gente dimostra sempre il suo grande affetto. La mia giornata tipo? Cercare di dormire bene, il riposo è fondamentale. Poi da qualche tempo ho iniziato a fare degli esercizi la mattina che sono importanti per l'energia. Uno è il plant, poi faccio i cinque tibetani, esercizi per rafforzare il fisico e l'energia". Sulla Juventus: "Sono stato a vedere la partita col Napoli, benissimo per 70 minuti, poi ne abbiamo presi tre in venti minuti. Il campionato quest'anno sarà molto equilibrato, vincere sarà più difficile. Puntiamo alla finale di Champions almeno. Speriamo bene, sarebbe ora". Sul rapporto col gossip e i paparazzi: "Sono abituato a certe cose, la gente non penso che abbocchi a tutto quello che scrivono. Ormai con i social mi arriva tutto quello che viene in scritto in tre secondi, ma non ci faccio più caso. La vita va avanti, bisogna essere forti, migliorarsi, sapere che hai comunque dei figli da portare avanti. Il resto, poi, migliora sempre". Sul rapporto con Cinecittà, il suo quartiere d'origine a Roma: "So che vogliono fare un murales su uno dei palazzi della borgata, per me è una bella cosa. Ogni tanto, senza dirlo a nessuno, ci passo. E vedo la differenza con gli anni che son passati. Però le mie radici son lì. Roma rimane la mia città". Tra i giovani, Ramazzotti apprezza particolarmente Ultimo: "Mi piace molto. Per quanto riguarda il pop è uno dei più forti degli ultimi quindici anni. Poi c'è il rap. Sono da poco stato con Salmo, che è fortissimo. La musica è cambiata ma il pop non morirà mai". In chiusura Eros Ramazzotti ha svelato: "Possibilità di fare il presentatore, l'attore o altri lavori nel mondo dello spettacolo? Ce ne sono state tante, di proposte ne sono arrivate dall'inizio della carriera. Potevo fare qualcosa negli anni '80 e '90 ma non ora. Ora devo pensare a migliorare sempre di più la mia carriera, non è facile". Sulla politica: "La politica ha sempre una faccia sola. Io spero in bene per noi gli italiani. Che si mettano una mano sulla coscienza e facciano bene. Speriamo che questo Governo faccia bene, che i prossimi a venire facciano bene. Io non saprei farlo. E' difficile gestire un Paese che è stato ridotto in una certa maniera".
Eros Ramazzotti e Marica Pellegrinelli, indiscreto: "Cosa c'è dietro la rottura. Ultima foto insieme, poi..." Libero Quotidiano l'8 Luglio 2019. Un periodo di grave stress, culminato con la separazione. Tra Eros Ramazzotti e Marica Pellegrinelli è rottura ufficiale dopo 10 anni d'amore e Novella 2000prova a ricostruire le cause di questa traumatica decisione. "Di recente è arrivata la paura, un mostro nerissimo - si legge nell'anticipazione pubblicata da Dagospia -: l'operazione alle corde vocali cui Eros si e sottoposto ad Amburgo, in Germania, ai primi di maggio e che l'ha costretto a interrompere, da meta aprile al 10 luglio, il suo tour mondiale Vita ce n'è". Un momento topico nella carriera del cantante romano, che proprio quest'anno celebra i 35 anni di attività, e un intoppo "facilmente fonte di grande rabbia e delusione", anche se Eros è tornato presto a calcare i palchi. "Ciò che sorprende - scrive Novella 2000 -, è che è stato poco il tempo che i due hanno condiviso nella fase dell'allarme rosso, quella in cui Eros scopriva il problema alle corde vocali e lo risolveva operandosi". Una distanza emotiva testimoniata anche plasticamente dai rispettivi social, che in certi casi diventano specchio di una crisi reale. "Marica ed Eros non compaiono insieme in pubblico da un bel po'. E da un bel po' non si scambiano messaggi d'amore sui social, strano in effetti in un periodo difficile, in cui manifestazioni quantomeno di sostegno sono quasi attese". Eros ha tempestato i social di foto e pensieri intimi e privati, Marica si è concentrata su shooting fotografici e campagne promozionali. Non solo: "Al concerto di Vasco Eros e Marica erano insieme, ma distanti. A quello di Ed Sheeran lui e andato con la figlia Aurora, poche file più dietro c'era l'ex moglie Michelle Hunziker". Con cui, peraltro, Eros ha mantenuto rapporti ottimi e alla luce del sole (che non avrebbero mai infastidito Marica), senza tenere conto del rapporto solidissimo tra la svizzera e il marito Tomaso Trussardi. Era metà giugno, dopo pochi giorni è iniziata a circolare la voce della crisi. D'altronde, l'ultima foto di Marica insieme ad Eros su Instagram è del 6 dicembre. Mentre nei mesi successivi si sono susseguiti messaggi piuttosto ambigui e inquietanti su "cigni neri" e "situazioni scomode", riletti ora in chiave sentimentale.
"Sono stati dieci anni meravigliosi, insieme abbiamo costruito una famiglia bellissima e siamo stati felici in modo indimenticabile". Eros Ramazzotti e Marica Pellegrinelli annunciano così all'ANSA, in una nota dell'ufficio stampa, la fine del loro matrimonio. "Siamo tranquilli nella nostra scelta condivisa e continuerete a vederci spesso insieme - hanno aggiunto -. Oggi i rapporti sono sereni, l'amore che è stato si è trasformato e rimane; il rispetto e la stima reciproca restano e resteranno immutati. Preghiamo tutti, soprattutto per la serenità dei nostri figli, di rispettare la nostra privacy, come si conviene in questo momento di separazione".
Ecco perché Eros Ramazzotti e Marica Pellegrinelli si sono lasciati. L'ex marito di Michelle Hunziker ha ufficializzato con una nota la rottura con la sua seconda moglie. Serena Granato, Giovedì 11/07/2019, su Il Giornale. Sta facendo parlare molto la rottura ufficializzata dall'ormai ex coppia formata da Eros Ramazzotti e Marica Pellegrinelli. La decisione di separarsi è stata presa di comune accordo tra i due ex compagni, che hanno deciso di rendere nota la fine della loro love story attraverso un comunicato stampa, che è stato diramato dai media. “Siamo tranquilli nella nostra scelta condivisa e continuerete a vederci spesso insieme - è stato infatti riportato dai due vip nel comunicato – . Oggi i rapporti sono sereni, l’amore che è stato si è trasformato e rimane; il rispetto e la stima reciproca restano e resteranno immutati.”
Eros Ramazzotti e i presunti retroscena sulla crisi d'amore. La crisi d'amore tra Eros e la sua seconda moglie Marica sarebbe cominciata prima della primavera 2019, quando cioè - secondo quanto riportato nel nuovo numero cartaceo di Chi magazine - la coppia avrebbe vissuto delle incomprensioni, alcune delle quali dovute presumibilmente alla residenza. Eros, secondo la fonte, ha acquistato una casa in Franciacorta, a Torbiato di Adro, mentre Marica ha, a quanto pare, deciso di andare a vivere lontana dal marito, a Milano. La Pellegrinelli non sarebbe stata più disposta a restare nella casa acquistata da Eros e da quel momento il rapporto dei due si sarebbe deteriorato. Alla base della rottura annunciata tra Eros e Marica potrebbero esserci motivi legati alla differenza d'età e/o a incompatibilità caratteriale. Secondo Oggi, "la gelosia di lui e il carattere intraprendente e indipendente di lei già da tempo non erano più compatibili". La crisi, secondo la stessa fonte, sarebbe cominciata tre anni fa. Ma c’è di più: sembra che da un po' di tempo la Pellegrinelli sia interessata ad un altro uomo. "Un famoso e rampante professionista milanese, molto noto in città". I due ormai ex hanno deciso, serenamente, di porre fine alla loro unione durata dieci anni, dalla quale sono nati i figli Raffaella Maria e Gabrio Tullio, che hanno rispettivamente 8 e 4 anni.
Dagonews il 28 Agosto 2019. - Oggi escono su ''Chi'' le foto di Marica Pellegrinelli, ex moglie di Eros Ramazzotti, che bacia il rampollo Charley Vezza (la loro relazione era stata anticipata da Alberto Dandolo su Dagospia). Le immagini hanno iniziato a girare ieri sera, e sul profilo di Eros è apparsa un primo piano di lui con un sorriso sornione e beffardo e la didascalia romanissima: ''Dichi a me????''. Ovvero ''Dici a me?'', ovvero ''sarei io quello che si deve disperare per qualche tremenda notizia? Ma de che!''. Un concentrato di allegro menefreghismo de' noantri, con il cantautore che si geo-localizza a Cinecittà, quartiere dov'è cresciuto e dove è nato il suo successo, per ricordare al mondo che lui resta sempre un regazzetto di borgata e che queste cose ''j'arimbarzano''. Qualche settimana fa Eros fece un video in cui difendeva la ex dagli attacchi delle sue fan, e non a caso, sotto alla foto del ''Dichi a me?'' troneggia un bel like proprio di Marica...
Eros Ramazzotti si sfoga su Instagram: "La madre dei cretini è sempre incinta". Se non sono state le foto di Marica Pellegrinelli che si bacia con Charley Vezza a innervosire Eros Ramazzotti, di sicuro sono stati i troppi commenti e le troppe critiche piovute su di lui a questa notizia, a cui lui ha risposto comunque con ironia. Francesca Galici, Mercoledì 28/08/2019 su Il Giornale. Le foto del bacio tra Charley Vezza e Marica Pellegrinelli pubblicate dal settimanale Chi hanno rimesso l'ex moglie di Eros Ramazzotti, e di conseguenza anche il cantante, al centro del gossip. La loro separazione ha destato molto scalpore il mese scorso, quando dopo molte voci e rumor i due hanno diramato un comunicato congiunto in cui annunciavano la fine della loro relazione. Da qual momento si sono susseguite tantissime ipotesi sui motivi che possono aver portato alla separazione della coppia e, tra i tanti gossip che hanno investito Eros Ramazzotti e la sua ex moglie, uno dei più insistenti vedeva Marica Pellegrinelli già felicemente vicina al ricco imprenditore Charley Vezza. Questo ha causato numerose critiche all'ex moglie del cantante romano, presa d'assalto dai fan di Ramazzotti che non le perdonavano l'ipotetico tradimento. È dovuto intervenire Eros con un video per difendere Marica Pellegrinelli, respingendo ogni accusa e ricordando a tutti che, per quanto l'amore possa finire, lei è e rimane la madre di due dei suoi figli. Sono passate alcune settimane da quell'episodio e le voci sembravano essere sopite, finché il settimanale Chi non ha pubblicato le foto rivelatrici della relazione tra Marica Pellegrinelli e Charley Vezza. Inevitabilmente, anche Eros Ramazzotti è tornato nell'occhio del ciclone e in tanti hanno iniziato a domandarsi quale sia stata la sua reazione alla vista di quelle immagini. Sono tanti i commenti sotto i post del cantante romano che fanno riferimento proprio a questa vicenda, che ipotizzano un suo momento di sconforto e lui, con l'ironia che da sempre lo contraddistingue, ha deciso di condividere un post spiazzando tutti. "Dichi a me?", ha scritto Eros Ramazzotti nello slang romano a lui tanto caro, sottolineando la sua totale indifferenza alla notizia sulla nuova coppia. A poche ore di distanza, però, Eros Ramazzotti ha condiviso anche un altro post, stavolta con dei toni meno goliardici e simpatici. Nel video l'uomo non parla ma si riprende mentre pedala lungo le sponde di un lago. La didascalia però, è altamente significativa: “La madre dei cretini è sempre incinta.” Cosa avrà voluto dire? Probabilmente Ramazzotti si rivolge a tutti quelli che in queste ore stanno insultando e commentando in maniera negativa Marica Pellegrinelli e che stanno criticando il suo comportamento. Di certo, ancora una volta, Eros Ramazzotti si dimostra un autentico gentiluomo.
Anticipazione da “Novella 2000” del 10 luglio 2019. Di certo c’è solo un fatto: fino ad ora che andiamo in stampa né Marica, né Eros hanno smentito le voci che li vogliono in crisi. E il loro silenzio prolungato è così difficile da considerare come un “me ne frego delle voci, vado avanti come se nulla fosse”. Perché quelle voci non sono il “nulla”, rispondono al legittimo desiderio dei fan di una delle più belle coppie del mondo dello spettacolo, che vogliono sapere se la coppia esiste ancora o no. E chi di fan vive, ai fan dovrebbe in qual- che modo rispondere. Invece il loro silenzio suona come una scelta. E un silenzio cosi, di fronte a una “falsa voce”, trasforma quella voce, in una “voce vera”. Marica Pellegrinelli ed Eros Ramazzotti proprio quest’anno compiono dieci anni insieme: si sono conosciuti all’Arena di Verona per la premiazione del Wind Music Awards, era il 2009, lui aveva chiesto di ricevere il premio da Monica Bellucci, gli organizzatori gli hanno detto: «Ti mandiamo una modella bella e giovane». Era Marica. Fu amore a prima vista. Due anni dopo e nata Raffaela Maria, la loro prima fi- glia, nel 2014 le nozze, l’anno dopo e arrivato Gabrio Tullio, secondo figlio. La coppia e diventata solida, una famiglia. Almeno finora lo e stata. Poi di recente e arrivata la paura, un mostro nerissimo: l’operazione alle corde vocali cui Eros si e sottoposto ad Amburgo, in Germania, ai primi di maggio e che l’ha costretto a interrompere, da meta aprile al 10 luglio, il suo tour mondiale Vita ce n’e. Un tour che per Eros e forse più importante del solito perchè celebra i suoi 35 anni di attività, oltre al suo 14° album. Un intoppo a un tour cosi carico di aspettative, facile che diventi fonte di grande rabbia e delusione. L’operazione e andata bene, lui stesso, fin da subito dopo l’intervento, ha iniziato a ripetere (e forse ripe- tersi) di sentirsi “più forte di prima”. Comunque, dall’11 luglio torna sul palco a Locarno. Prima tappa dopo lo stop. La prima di una serie di tappe che fino al prossimo dicembre lo porterà in giro per l’Europa. Poi da gennaio andrà nel resto del mondo: dall’Australia, al Messico, agli Stati Uniti. Proprio le mete saltate per il problema alle corde vocali. Il periodo da vivere e condividere con Marica sarà poco. Ciò che sorprende, e che e stato poco pure il tempo che i due hanno condiviso nella fase “dell’allarme rosso”, quella in cui Eros scopriva il problema alle corde vocali e lo risolveva operandosi. Questa distanza e proprio quella che ha portato a parlare per la prima volta di crisi di coppia un paio di settimane fa. Dopo poco, a rimpolpare l’ipotesi di crisi, e arrivato il carico da 90 del sito Dagospia, sempre informatissimo, che ha sparato: «Non e una crisi passeggera: Eros e Marica si sono lasciati dopo dieci anni. La modella vivrebbe già in un’altra casa. L’annuncio ufficiale nei prossimi giorni?». L’ipotesi di crisi e sostenuta prima di tutto dal fatto che Marica ed Eros non compaiono insieme in pubblico da un bel po’. E da un bel po’ non si scambiano messaggi d’amore sui social, strano in effetti in un pe- riodo difficile, in cui manifestazioni quantomeno di sostegno sono quasi attese. In particolare, Eros ha passato sempre più tempo nella villa in Franciacorta, mentre Marica (quando non era in viaggio), era a Milano tra eventi mondani e serate, spesso con l’amica Melissa Satta. Vero: Eros in Franciacorta c’è stato per rimettersi in forza, respirare aria pulita, vivere i due mesi di convalescenza prescritti in un ambiente sano. Qualche amico e andato a trovarlo, per esempio Biagio Antonacci. Eros ha postato sui social il 10 maggio la foto di loro che passeggiano tra i vigneti, scrivendo: «ll dopo operazione prosegue molto bene soprattutto se ci sono amici cosi. Grazie fratello». Marica nel frattempo ha continuato a fare in citta shooting fotografici, campagne promozionali, e il suo lavoro. Al concerto di Vasco, e stato poi detto, Eros e Marica erano insieme, ma distanti. A quello di Ed Sheeran lui e andato con la figlia Aurora, poche file piu dietro c’era l’ex moglie Michelle Hunziker. Era piu o meno meta giugno, in contemporanea Marica era impegnata in eventi e shooting per Women Talents Milano, l’agenzia di modelle che segue lei e Melissa Satta (con cui appunto si e trovata a spendere serate). Ma Eros e l’ex moglie Michelle hanno un ottimo rapporto, solo di amicizia (Michelle e legatissima al marito Tomaso Trussardi), non dovrebbe essere questo il problema per Marica, che va molto d’accordo anche Aurora, figlia che la Hunziker ha avuto con Eros. Più significativi forse i silenzi sui social. Eros e Marica a giugno hanno festeggiato cinque anni di nozze, avevano due occasioni per celebrare l’anniversario: il 6 giugno, quando si sono sposati nel 2014, e il 21 giugno quando sempre nel 2014 hanno organizzato il party. In nessuna delle due occasioni, Eros e Marica hanno postato qualcosa che facesse riferimento alla coppia. L’anno prima invece era capitato, l’anniversario l’avevano festeggiato, foto dei festeggiamenti le avevano condivise sui social. Ora che scriviamo, l’ultimo post con Marica, che Eros ha postato sui social risale a San Valentino, si scambia- no un bacio, lui sopra ha disegnato un cuore. Accanto ha scritto: «A tutti gli innamorati e a te che mi ami e supporti la mia vita, come nessuno sa fare». Lei invece a San Valentino non ha postato nulla. Per trovare sui social di Marica una foto col marito bisogna scorrere indietro nel tempo fino al 6 dicembre, l’occasione era celebrare l’uscita del nuovo album di lui Vita ce n’è. Spulciando meglio i social di Marica, pero, si scopre che probabilmente messaggi riferiti a Eros li ha sempre mandati. Velatamente, con delicatezza. E non buoni. Per esempio, il 20 aprile lei posta sue foto in bianco e nero in cui e seria, bellissima. «Why so serious?» («Perchè cosi seria?»), scrive, accanto un cuore nero. Erano i giorni in cui Eros aveva interrotto il tour europeo. Stop programmato per le vacanze, almeno cosi si pensava, prima di sapere dell’operazione. In quei giorni forse l’intervento si stava già organizzando? La coppia viveva tensioni? Che tipo di tensioni: lavorative o an- che estese alla coppia? Il 3 maggio lei ancora sui social posta una foto sempre in bianco e nero in cui, costume e ali nere, sembra un cigno nero. Scrive: «Teoria del cigno nero. Eventi inaspettati: grande portata, grandi conseguenze». Che significa? Brutti presagi? Il 7 maggio sui social di Eros, lui posta una foto col medico che l’ha operato in Germania e per la prima volta parla dell’operazione: «Alla fine della prima fase del tour ho dovuto necessariamente fermarmi per farmi opera- re alle corde vocali per un problema di ispessimento e per ritornare più forte di prima. Ora dovrò stare fermo e riabilitarmi per due mesi. Mi dispiace per i miei fan sparsi in Nord, Centro e Sud America. Recupererò tutto l’anno prossimo. Ma in Europa riprenderò regolarmente l’11 luglio a Locarno». Da questo momento in poi Eros diventa quasi un “carro armato”, sui social posta solo e sempre messaggi sul tour che deve ripartire. Il 17 maggio, quando Marica compie 31 anni, lei sui social si fa gli auguri da sola: «Happy Birthday to me», scrive accanto a una foto in cui un gattino riflesso in uno specchio d’acqua diventa una tigre. Lui in con- temporanea pubblica tre post in cui annuncia i concerti estivi. Cioè: lui combatte sul fronte lavoro. Lei combatte in modo da diventare Marica- gattino-tigre. Della coppia nessuna traccia. Poi lei va a Cannes e il 19 maggio sul red carpet e sola. Lui e ancora in Franciacorta a curarsi. Lei il 23 maggio posta una foto, sempre bellissima, con posa innaturale: «Una donna non rivelerà mai quanto e scomoda la situazione in cui può essere», scrive. Scomoda perchè? L’amore non e mai del tutto confortevole, soprattutto (e qualcuno giura che e il loro caso) se e un amore autentico.
Marica Pellegrinelli sbotta sui social: "Non tirate in ballo il mio privato e i figli". Marica Pellegrinelli perde le staffe e replica agli hater che continuano ad esprimere giudizi sulla sua vita privata e i suoi figli in maniera troppo insistente. Luana Rosato, Martedì 15/10/2019, su Il Giornale. Dal momento in cui il suo matrimonio con Eros Ramazzotti è giunto al capolinea, Marica Pellegrinelli viene spesso attaccata sui social e, dopo il commento troppo invadente di un hater, la modella ha sbottato. Solita ignorare ogni giudizio troppo violento nei suoi confronti, la Pellegrinelli non se l’è sentita di rimanere ancora in silenzio davanti ad alcuni commenti che toccavano la sua sfera privata e, in particolar modo, i figli. Nasce da questo, quindi, lo sfogo di Marica che ha invitato chiunque si trovasse a “passare” dal suo profilo Instagram ad evitare di esprimere giudizi non richiesti e inerenti la sua vita perché, in fin dei conti, le persone che non fanno parte della sua quotidianità non possono conoscere a fondo lei e ciò che la circonda realmente. “Io non ho mai parlato della mia vita privata, della quale voi sapete poco nulla – ha sbottato su Instagram Marica Pellegrinelli - . Potete criticare quello che posto ed il mio lavoro, ma non tirare in ballo il mio privato come i miei figli. E questo è così da 10 anni e non da pochi mesi”. Stanca, quindi, di essere continuamente additata per la fine della sua storia con Eros Ramazzotti e per l’inizio di una nuova relazione con l’imprenditore Charlie Vezza, la Pellegrinelli non è riuscita ad ignorare l’ennesimo attacco degli utenti della rete e ha sbottato. In tanti si sono schierati dalla parte della modella e, a quegli hater amanti del pettegolezzo e dalla critica facile, i suoi follower hanno consigliato di non darle più fastidio.
· Fiorello e il fastidio sui presunti compensi.
Fiorello prima di Fiorello: «Volevo essere un chirurgo. E a Milano arrivai col gommone». Pubblicato venerdì, 06 dicembre 2019 da Corriere.it. «Avrei dovuto fare il medico, io. Sì, mi sarebbe piaciuto fare il chirurgo. “Pinza, prego! Tamponi! Divaricatore. Chi si vuole far operare da me?”»: è la seconda vita di Fiorello, quella che mai si realizzerà ma affiora fra le risate del pubblico di «VivaRaiPlay!», nel fuori onda della puntata di giovedì 5. Sì, perché oltre ciò che si vede, c’è l’altro Fiorello, mezz’ora buona di pre-show che si potrebbe risparmiare, ma lui è fatto così. Chiacchiere con il pubblico, la lingua che si scioglie, il racconto di un privato invisibile davanti alla telecamera: «Mia moglie Susanna non è ancora qua, sono in ansia, forse un problema familiare». Poi l’annuncio: «Tutto a posto!». Fa tastare il polso a un medico internista in platea. Il camice bianco sentenzia deciso: «41 battiti a riposo». E Fiorello: «Hai l’elettrocardiogramma incorporato, che invidia». Frequenza bassina, ma si va avanti. Lo showman che chiama tutti intorno a sé «dotto’”, alla romana, prosegue con le curiosità da medico mancato, avvicinando un vero chirurgo nella seconda fila: «Con le viscere come fai? Le togli e poi le rimetti? Io credo che se si pagano le tasse — riflette — si è liberi di scegliere nella vita ciò che si vuole». E l’affondo su mamma Rai, accogliente e complicata, sempre «off record»: «Se scendi in ascensore dal piano tre a meno uno di via Asiago devi presentare richiesta scritta. Non si sa chi fa cosa, dove». E stuzzica Elena Capparelli, dirigente del «Digital», che ride in platea. Pesca a caso: «Lei è per caso un vertice Rai?». Categorico sul divieto d’uso dei cellulari in sala, lo strappa di mano a una «chattatrice»: «Maledetti telefonini, e chi gli fa la pubblicità!» (cioè lui). E si ripete un siparietto già visto: prova a chiamare Biagio Antonacci, ma a microfono acceso il telefono non raggiungibile del cantante fa partire il messaggio automatico dell’azienda telefonica concorrente di quella di cui lui è testimonial. Spazio dei ricordi, questo «Fiorello oltre Fiorello», prima che vada in scena il ...colpo di scena: l’annuncio che sarà l’amico di una vita Nicola Savino a condurre «L’altro Festival» di Sanremo su RaiPlay , compreso il dilemma Diletta Leotta sì, Leotta no al fianco di patron Amadeus (presente anche lui nella puntata). L’amarcord che la piattaforma non rilancerà: «Negli anni Ottanta arrivai a Milano come oggi i migranti arrivano in Italia con i gommoni. Non capivo una parola del milanese, ero più al Nord del Nord, perché fino a quel giorno per me il più settentrionale di tutti era un nostro lontano parente di Messina. In coda dal fornaio, in tanti mi passavano davanti, non mi spiegavo. Poi mi si avvicina il panettiere e mi fa ”Fiou, ma ciapa su il numeretto! Un’ora d’attesa per una rosetta. Adesso che sbarcano in tanti però lo svizzero sono io. Ha pensato Giorgio Napolitano a vendicare anche noi siciliani facendo condannare a 18 mesi per vilipendio Umberto Bossi (graziato giorni fa dal presidente Mattarella, ndr) che lo aveva chiamato terrone».
Rivive Fiore con il codino e l’auto sempre in movimento, da un palco all’altro d’Italia. Al suo fianco proprio Nicola Savino, amico di gavetta. Ricorda Fiorello: «Sceglievamo alberghi a mezza stella, un freddo cane. I portachiavi li reggevamo in spalla, tanto pesavano. Sulle federe dei cuscini era stampata la sindone di chi ci aveva preceduto. Fuori budget». Prosegue: «Io e Nicola nella stessa camera. Abbassavamo il volume e doppiavamo per scherzo noi, che avevamo alle spalle un po’ di mestiere, i Bellissimi di Rete4. Capitava pure con certe pellicole erotiche, si può immaginare lo sconcerto dei vicini di stanza».
Rivendica: «Ho inventato io i selfie, nelle serate in cui le ragazze però non guardavano noi, ma il terzo che era alla guida, Tony Cappuzzello. Fisico pazzesco, un metro e novanta di bellezza. Io da solo a scattare foto, da un lato del palco». Interviene Savino, stavolta a favore di telecamera: «Insieme anche in radio, Fiore viveva in un garage. Odore acre di gomme e benzina. Andavamo a svegliarlo per le 13. Arrivava trafelato, ma recuperava subito il tempo perso. Battute, idee su idee. Perché è Fiorello».
FIORELLO È COME PAMELA PRATI? Mattia Buonocore per davidemaggio.it il 27 maggio 2019. Ci scusi per il paragone: Fiorello è un po’ come Pamela Prati. Per la showgirl sarda c’era un marito inesistente, per lo showman siciliano un “canale” inesistente o quasi. Fiorello tenta di sfuggire alle aspettative trovando rifugio in un posto tranquillo. Sì, le trattative che porterebbero Rosario su Rai Play ci fanno venire più di un dubbio. Innanzitutto perchè Fiorello deve tornare su Rai1 in prima serata e con un grande varietà. Se sei il numero uno in quel genere perchè devi fare altro? La scelta di staccarsi e sperimentare sarebbe comprensibile per spezzare una routine. Ma Fiorello manca da 8 anni dal prime time e nella sua carriera non può dire di non aver spaziato. Il paradosso è che si intravede in lui una voglia di tornare al big show (altrimenti, ad esempio, non si sarebbe in tempi recenti accordato con l’ex Direttore Generale Mario Orfeo), puntualmente frenata però da quella che potremmo chiamare paura. Critiche, ascolti, haters, responsabilità, fake news… farebbe meglio a fregarsene (di tutto, tranne di questo articolo!). Qualunque cosa accada, rimarrà sempre Fiorello. Allo stesso tempo deve tener presente che ha quasi 60 anni e le opportunità di uno show in grande stile con i sacri crismi potrebbero ridursi. Nondimeno, il terreno del “multipiattaforma“, come già dimostrato dalle polemiche per il cachet, presenta comunque delle mine. Se devi rischiare, tanto vale farlo alla grande. Precisando che non sono noti i termini di un accordo che si va definendo e il nostro giudizio si basa su quanto trapelato, riteniamo pure che Rai Play abbia altre priorità, diverse dall’accalappiare lo scapolo d’oro. La piattaforma streaming dovrebbe concentrarsi su come rendere più facilmente fruibili i propri contenuti. Partito come innovatore (ben prima dell’era di Campo dall’Orto), il portale Rai è andato migliorando per alcuni versi, peggiorando, o non sfruttando potenzialità, per altri. Bisognerebbe ottimizzare prima i contenuti esistenti procedendo in maniera graduale con investimenti in contenuti originali. Inoltre, Rai Play ha il compito di fare da volano ai canali Rai diventando alternativa solo per un particolare tipo di pubblico o contenuto. Offrire subito le brioche ad un pubblico che non ha il pane sarebbe così azzeccato? Fiorello ha già avuto esperienze su realtà di nicchia, come Sky Uno e Tv8, e non ci sembra aver portato risultati dirompenti. La sua forza dimostrata in televisione finora è stata solo generalista; anzi Fiorello è l’emblema di quella televisione live, aggregante, che è il motivo per cui la broadcast television non morirà mai. In questo momento, più che Rai Play, la cui ascesa negli anni sarà fisiologica, è proprio Rai1 ad aver bisogno di un grande evento (e non eventualmente di qualche pillola web rimontata o arricchita per la tv). Al portale di Viale Mazzini basterebbero dei contenuti extra del Fiorello show per smuovere un po’ le acque. Poi, considerata la bravura dello showman e l’investimento in atto, è altamente probabile che qualcosa di interessante esca fuori. Però consentitici di esprimere la mancanza di entusiasmo per un capovolgimento delle prospettive.
Tiziana Leone per ''Il Secolo XIX'' il 17 maggio 2019. È una questione di piani. Al terzo Raitre, al quarto Raidue, al quinto Raiuno, al settimo la direzione generale. A Viale Mazzini la scala gerarchica si misura anche dal numero di gradini di un palazzo di vetro, dove però a parlare sono anche i muri. A Raitre si respira serenità, a Raidue il fermento, a Raiuno la tensione, al settimo l’ansia da prestazione, ma ovunque l’aria è impregnata di politica. Non è facile per l’amministratore delegato Fabrizio Salini, dall’alto del settimo piano, gestire l’intero palazzo, ma ci prova, applicando il principio dei vasi comunicanti. Fabio Fazio non va bene per Raiuno? Si sposta a Raidue. È troppo costoso per le casse di Raidue? Lo si moltiplica: invece di fare solo “Che tempo che fa”, gli si affidano speciali e programmi che giustifichino un compenso che andrà comunque rivisto. Rosario Fiorello è da riportare in tv? Non solo su Raiuno, magari in onda proprio il lunedì sera al posto di Fazio, ma anche in radio, una volta a settimana e con una pillola quotidiana su Raiplay, la piattaforma digitale cui il piano industriale dell’ad punta per il futuro di una tv pubblica ripopolata da giovani. Se Salini riuscisse a convincere lo showman a tornare in Rai dovrebbe però superare il problema costi, come dire cadere dalla padella di Fazio, alla brace di Fiorello. Già cominciano a girare cifre, che dai 100 mila euro a puntata, passano ai 17 mila euro a clip per il web, numeri che fanno già infuriare lo showman siciliano e certamente accenderebbero le ire funeste dei controllori politici della tv di Stato. E mentre Salini si muove in cerca di nuovi talent, giù al quinto piano, la De Santis è nel suo bunker, isolata, perché nessuno le ha ancora dato il via libera per le nomine dei suoi fedelissimi. Tra i quali Franco Di Mare, giornalista di Unomattina. Così disegna il palinsesto estivo, scrive nomi come quelli di Pierluigi Diaco per il pomeriggio, Roberto Poletti per Unomattina, dove molti autori non sono più nemmeno sicuri del loro posto e Monica Marangoni per una nuova a trasmissione mattutina “Tutto chiaro”, peccato siano tutti troppo vicini alla Lega e quasi tutti esterni a Viale Mazzini. Salini le ricorda che il piano industriale punta a valorizzare le risorse interne. Una passata di bianchetto, e i palinsesti estivi sono sul tavolo per l’approvazione, ma ancora senza nomi dei conduttori. In questo Tetris a incastro, ci finisce anche il Festival di Sanremo. L’ad ha incontrato Alessandro Cattelan, volto giovane targato Sky. L’idea è di portarlo in Rai con un programma che guardi più a “E poi c’è Cattelan” che a X Factor, che comunque condurrà fino a dicembre. Poi a febbraio potrebbe avere la conduzione di Sanremo, aiutato da un direttore artistico autorevole. Ma scendendo al quinto piano la logica sanremese risponde all’idea di mettere Amadeus alla conduzione, affiancato da Gianmarco Mazzi alla direzione artistica e dall’agente Lucio Presta. Lasciando le beghe festivaliere al quinto e tornando giù al quarto piano, si scopre che il direttore Carlo Freccero vuol lasciare ai posteri un palinsesto autunnale fatto di novità. Come quella di “Amici Miei”, uno show per la prima serata del giovedì, affidato a Rocco Papaleo, Alessandro Haber, Sergio Rubini e al regista Sandro Veronesi. Quattro ragazzacci, pronti a mettere in mezzo il personaggio di turno e a prendere il posto di quel Daniele Luttazzi che per tornare ha chiesto troppi soldi. Non è più tempo per avanzare richieste eccessive. E nemmeno per il “volemose bene”. Mara Venier, che a Domenica in aveva invitato Maria De Filippi prima e Massimo Giletti poi, è stata gentilmente invitata a ripensarci. Un invito giunto sempre da lassù, dal settimo piano. Le trasmissioni Rai non posso diventare uno spot per quelle delle reti nemiche. Per il suo rientro in Rai, dunque, Giletti, dovrà rimandare. Dipenderà da lui, Salini gli ha riaperto quella porta che l’ex direttore generale Mario Orfeo gli aveva chiuso in faccia. Resisterà al canto delle sirene di Viale Mazzini?
Fiorello e il fastidio sui presunti compensi: «Un motivo per cui io sto lontano dalla Rai dal 2011 ci sarà». Pubblicato venerdì, 17 maggio 2019 da Renato Franco su Corriere.it. «Un motivo per cui io sto lontano dalla Rai dal 2011 ci sarà». Fiorello sembra mettere la parola fine a un matrimonio nemmeno iniziato. Del resto in Rai ci sono sempre troppe correnti avverse e la questione costi trova sempre qualcuno pronto ad alzare il dito. Basta vedere la questione del contratto di Fazio — regolarmente siglato da entrambe le parti, dunque non si capisce dove dovrebbe essere il problema. Ma diventa un problema nel momento in cui la politica (vedi alla voce Salvini) interviene a ripetizione contro il conduttore. Dopo Fazio, tocca a Fiorello. Le indiscrezioni degli ultimi giorni dicevano che Fiorello sarebbe stato pronto a tornare in Rai. «La chiave era averlo come volto di RaiPlay, con una presenza crossmediale tra tv, radio, web e social. Fiorello avrebbe dovuto prendere il posto di Fabio Fazio, che peraltro non ha intenzione di spostarsi da dove sta nonostante le voci insistenti su un suo passaggio a Rai2 — ha scritto La Stampa —. Ma vai a spiegare un domani ai contribuenti che Fazio è stato crocefisso per un problema di compensi troppo alti e che al suo posto va uno showman, bravissimo e irresistibile, che però prende 17mila euro a clip di due minuti, 100mila euro a puntata di seconda serata più compensi extra per radio e il restante conteggiato a parte». Letto il giornale, Fiorello ha preso lo smartphone e ha postato la sua videoreplica, ironica come suo solito. Tranne il finale, amaro: «17mila euro per due minuti? Il mio pubblico che può pensare? Ti svendi per così poco? Intanto io ne prendo 20mila ma per un minuto solo, perché dopo un minuto scatta la tariffa... ne voglio il doppio per due minuti. Io sono furioso per questa cosa? Sono come Ronaldo. Ho già ordinato una Bugatti da 11 milioni di euro. Si parla di Fazio... Hanno fatto entrare in questo meccanismo pure me, ma nessuno si chiede: quando prenderà Liorni per fare Reazione a catena? Liorni però lavora a quarti d’ora... Insomma, volevo smentire: non sono 17mila euro per due minuti, ma molti di più per un minuto. E comunque: un motivo per cui io sto lontano dalla Rai dal 2011 ci sarà...».
Marco Leardi per Davide Maggio il 17 maggio 2019. “Un motivo per cui io sto lontano dalla Rai dal 2011 ci sarà…“. Dopo essere finito su tutti i giornali per le indiscrezioni sul suo ritorno al servizio pubblico, Fiorello dice la sua. E lo fa con un video pubblicato su Facebook in cui, tra una battuta e una ironica punzecchiatura, commenta proprio le notizie che lo vorrebbero ormai vicinissimo ad lauto un accordo con l’emittente di Viale Mazzini, di cui La Stampa si è azzardata a fornire delle ipotetiche cifre. Secondo il quotidiano torinese, per il suo ritorno in Rai – che prevederebbe un impegno sui fronti web, radio e tv (al posto di Fazio) – lo showman siciliano potrebbe percepire 17 mila euro per ogni clip di due minuti su RaiPlay, 100 mila euro a puntata per uno spazio di seconda serata, più compensi extra per radio e il restante conteggiato a parte. Riprendendo queste indiscrezioni, Fiorello ha scherzato proprio sulle cifre ipotizzate dalla stampa: “17 mila euro per due minuti? Io non posso: il mio pubblico cosa può pensare? Che mi svendo per così poco? Intanto io ne prendo 20 mila, ma per un minuto, perché dopo un minuto scatta la tariffa e ne voglio il doppio (…) Io sono come Ronaldo, ho già ordinato una Bugatti da 11 milioni di euro e sto aspettando di andare in Rai“. Associato preventivamente alle polemiche sui compensi del servizio pubblico, l’artista si è chiamato fuori. “Adesso mi hanno fatto entrare in questo meccanismo” ha commentato, riferendosi proprio alla questione economica prontamente sollevata anche nei suoi riguardi (anche in assenza di certezze). E, passando nuovamente all’ironia, ha aggiunto: “Nessuno si chiede quanto prenderà Liorni per fare Reazione a Catena. Lì no, perché si sa. Lui però lavora a quarti d’ora, lui guadagna a quindici minuti a botta. Volevo smentire questa cosa: non sono 17 mila euro per due minuti ma sono molti di più per un minuto. Bisogna fare delle precisazioni“. Infine una chiosa che la dice lunga sulla cautela – per non dire diffidenza - cui Fiore ha sempre affrontato i possibili accordi per un suo rientro al servizio pubblico. “Un motivo per cui io sto lontano dalla Rai dal 2011 ci sarà…” ha concluso lo showman.
Fiorello contro Repubblica: "Fate guerra alla Rai con il Pd". Pd» Lo showman sulle trattative per tornare nella tv pubblica: "Scritte cifre false e non andrò in onda al posto di Fazio". Laura Rio, Martedì 21/05/2019, su Il Giornale. Ci mancava solo Fiorello che si difende dai «cattivi comunisti» di Repubblica e si dice contento di rientrare nella Rai «giallo-verde». Non si capisce più nulla: un tempo per Rosario si sarebbe strappata le vesti tutta l'intellighenzia radical chic che gravita intorno alla stampa di sinistra. Invece, in questo confuso momento politico-mediatico, anche il presentatore siciliano finisce nel vortice della guerra alla tv di Stato occupata da grillini e leghisti. Ma, si sa, Fiore è un outsider, non ha referenti politici, è un geniaccio ribelle che non si è mai allineato, uno che può dire di no al sabato sera Rai per inventarsi una edicola sul satellite. Dunque, ricapitoliamo: come raccontato nei giorni scorsi, sta meditando di tornare a viale Mazzini per un progetto crossmediale che comprende Raiplay, radio, web e tv. Però, come succede ogni volta con lui, sono partite subito le polemiche. Soprattutto per il fatto che le sue trattative coincidono - solo a livello temporale - con quelle per abbassare i compensi di Fabio Fazio e il relativo spostamento di Che tempo che fa su Raidue. La Stampa e Repubblica hanno pubblicato la notizia delle trattative aggiungendo (la prima) le cifre che verrebbero elargite allo showman, cifre che sono arrivate in contemporanea sui tavoli di molti quotidiani, che hanno deciso di non pubblicarle in quanto smentite in tempo reale dalla Rai. Secondo queste cifre Fiorello sarebbe pagato 17.000 euro a clip per Raiplay e 100.000 euro a puntate per show di seconda serata. In più Repubblica ha raggiunto che questo show avrebbe potuto andare in onda al lunedì al posto di Fabio Fazio, che per il pubblico di sinistra equivale a una bestemmia. A quel punto a Fiorello, già irritato per la fuga di notizie, sono saltati i nervi. E, ieri, in una storia su Instagram si è spinto là dove pochi avrebbero osato. «Repubblica e Stampa - dice - fanno parte del Gruppo Gedi, che fa capo a De Benedetti e quindi al Pd ed hanno tutto l'interesse a buttare benzina sulla Rai di Lega e 5 Stelle». E, poi, annuncia di non rinunciare al progetto in Rai e anzi di ricominciare la trattativa. E già ieri si è incontrato con l'ad Fabrizio Salini. «Sappiate - continua - che diranno che prenderò 9 miliardi ogni ora. Mi verrebbe da farlo gratis ma dicono che non si può. Avevo intenzione di fare qualcosa di bello e di nuovo, ma non su Raiuno e neanche al posto di Fazio. Voglio vedere adesso le spie che ci sono all'interno della Rai cosa diranno. Un fastidio ce l'ho e non è quello dei compensi falsi che vengono pubblicati, è quando dicono questa cosa qua: che io sarei furibondo. Il giornalista dovrebbe avere l'obbligo morale per deontologia di scrivere la verità. Io lavoro con il gruppo Gedi perché sto a Radio Deejay, ma volevo tornare alla Rai perché mi piace la Rai. È la nazionale, è la mamma Rai». Non si è fatta attendere la replica del quotidiano: «Fiorello non smentisce il contenuto dell'articolo, anzi, conferma l'interruzione della trattativa con la Rai proprio nell'annunciare di volerla riprendere... Quanto all'affermazione che il Gruppo Gedi farebbe capo al Pd apprezziamo la battuta. Il Gruppo Gedi risponde soltanto a Gedi». Intanto non si placano le polemiche e i malumori interni per il possibile arrivo di volti esterni vicino alla Lega come Poletti alla guida dei programmi estivi. Ma, mentre questi sono sempre più in bilico, di sicuro arriva l'immancabile Gad Lerner, su Raitre, alla domenica in seconda serata dal primo giugno. Il titolo dice tutto: L'approdo. Si parlerà di radici della storia italiana: si parte ovviamente con la Lega.
Da Repubblica il 20 maggio 2019. "Ho capito che è il Gruppo Gedi, che fa capo a De Benedetti e quindi al Pd, ad avere tutto l'interesse a buttare benzina sulla Rai, soprattutto sui vertici Rai, contro il governo". Fiorello, dopo l'articolo di questa mattina su Repubblica che parla di calo di ascolti, di rinuncia ai suoi progetti a Viale Mazzini e di un'azienda nel caos (e dopo le indiscrezioni dei giorni scorsi sui compensi uscite su La Stampa, sempre del Gruppo Gedi), su Instagram torna a dire la sua. "Mi piace la Rai e mi piacerebbe tornare alla Rai, anche se in questo momento ci sono problemi, come si evince dai titoli dei giornali", dice il mattatore in una lunga storia su Instagram. "Un fastidio ce l'ho e non è quello dei compensi falsi che vengono pubblicati, è quando dicono questa cosa qua: che io sarei “furibondo”. Il giornalista", e qui Fiorello cita l'autrice del pezzo, la nostra collega Giovanna Vitale, "dovrebbe avere l'obbligo morale per deontologia di scrivere la verità". "A me", conclude l'artista, "verrebbe voglia di andare contro questo giornale, anzi io non rinuncio e domani richiamo i vertici Rai, ricomincio a trattare".
IL COMMENTO DI ''REPUBBLICA'': Fiorello non smentisce il contenuto dell'articolo, anzi, conferma l'interruzione della trattativa con la Rai proprio nell'annunciare di volerla riprendere. Se così sarà saremo felici che il suo talento torni a esibirsi su una rete pubblica, che appartiene a tutti. Quanto all'affermazione che il gruppo Gedi farebbe capo al Pd, apprezziamo la battuta. Il Gruppo Gedi risponde soltanto a Gedi, come Fiorello sa bene visto che collabora a Radio Deejay.
· Rosalino Cellamare: detto Ron.
Ron: «Io e Dalla in nave per la Sicilia. Piazza Grande nacque in un’ora». Pubblicato martedì, 30 luglio 2019 da Maria Volpe su Corriere.it. Rosalino Cellamare, ben più noto come Ron, ha cominciato a cantare e dunque a lavorare a 16 anni. Per trovare un ricordo di una canzone estiva, quando ancora non era famoso, va indietro di 50 anni, al 1969.
«Io e mio fratello cantavamo insieme Ho scritto t’amo sulla sabbia del duo vocale Franco IV e Franco I. Ci piaceva molto quel brano. Lo cantavamo nei pomeriggi sulla spiaggia».
Perché proprio quella canzone?
«Era a due voci. Ed è un po’ malinconica».
La malinconia «funziona» d’estate?
«Un po’ sì, specie quando l’estate sta finendo, passano i ricordi».
Com’era Ron a 15 anni: sereno o tormentato?
«Ero già un piccolo organizzatore di concerti. Io, mio fratello Italo e la chitarra facevamo un sacco di amicizie suonando e cantando in spiaggia. Era davvero un modo per trovare e conoscere nuovi amici».
Si dice che chi suona la chitarra in spiaggia poi non si fidanza mai... si formano le coppie e il suonatore resta lì.
«Confermo assolutamente. Magari arrivava lo sguardo di qualcuna, ma non potevi mollare l’incombenza».
Che momento è nella sua vita l’estate?
«Adoro l’estate. Per noi da bambini (Ron è cresciuto in provincia di Pavia, ndr), il mare vicino era la Liguria: Spotorno, Alassio, Varazze, zone molto belle».
Poi l’estate è diventato lavoro, concerti...
«Sì proprio nel 1970, venni notato da un discografico e andai a Roma dove conobbi un certo Lucio Dalla. Mi diede da cantare Occhi di ragazza (musica di Dalla e Franceschini, testo di Baldazzi e Bardotti). Il brano doveva andare a Sanremo, ma non passò le semifinali e mi diedero un’altra canzone».
Però da lì nacque il grande sodalizio con Lucio Dalla.
«Eh sì... E tra me e Lucio c’è sempre stato il mare. C’è stato un momento magico che ricorderò tutta la vita, la prima volta che ho scritto la musica di una canzone. Eravamo su una nave che da Napoli ci portava in Sicilia. Una giornata meravigliosa, il mare piatto, i miei 18 anni, ero felice di vivere. Mentre tutti dormivano sul ponte della nave, io strimpellai alla chitarra e piano piano cominciò ad arrivare una melodia. Lucio si svegliò e mi disse: “Bella ‘sta cosa”. Gli piacque molto e mi diede alcune idee musicali. Insieme, in un’oretta venne fuori la musica di Piazza grande. È un ricordo ancora così vivido nella mia mente, ce l’ho chiaro come una fotografia».
Altre occasioni marine?
«Alle Isole Tremiti, che Lucio amava molto, abbiamo scritto molte canzoni».
Un tormentone estivo recente che le è piaciuto?
«Quello di Loredana Berté e i Boomdabash, Non ti dico no. È stato un successo enorme, era un bel brano, fatto bene . Mi è rimasto in testa».
Il tormentone estivo deve durare o deve morire a settembre?
«Alcuni muoiono, alcuni sono pezzi anche invernali. Ma è bello che in estate ci si butti per scrivere una musica orecchiabile e un testo leggero».
Anche questa estate lei lavorerà: a giugno è partito «Lucio! il Tour», il suo omaggio a Dalla, su e giù per tutta Italia fino a fine agosto.
«È uno spettacolo che amo molto, divertente e leggero. Canto solo le canzoni di Lucio. E poi racconto aneddoti. Lo spettacolo funziona davvero».
Spesso canta nelle piazze, un ritorno alle origini.
«Sì, ho ritrovato la dimensione delle piazze, fantastica. La gente resta colpita».
Qual è il brano di Dalla in assoluto più amato nei suoi concerti, quello che genera l’esplosione?
«4 marzo. Appena parte senti proprio “OOOhhh”».
· Parla il Pupo.
Da Il Fatto Quotidiano il 12 Settembre 2019. Oggi Pupo compie 64 anni e per l’occasione una delle sue tre figlie, Clara Ghinazzi, la secondogenita, è stata ospite di Caterina Balivo in studio a Vieni da Me. La ragazza ha raccontato aneddoti e curiosità sulla vita del padre, rivelando alcuni particolari della sua famiglia allargata e di sua sorella Valentina, avuta dal cantante con una fan. Ad un certo punto dell’intervista, la padrona di casa le ha chiesto se i compagni di scuola le facevano mai commenti o domande sul padre e della sua storia d’amore a tre. Ed è qui che Clara Ghinazzi si è lasciata scappare una frase imbarazzante, che ha fatto calare il gelo in studio. La ragazza ha spiegato infatti che spesso le facevano qualche battutina: “Ecco a mio padre la battuta più famosa che ogni tanto gli fanno è ‘ma lei per caso ha il pisello rosa?‘”. Una frase che voleva essere solo un esempio ma che ha lasciato impietrita Caterina Balivo che, imbarazzata, ha subito gelato la figlia di Pupo: “Evitiamo cose così a quest’ora”.
Pupo: "Sono sposato e sto anche con un'altra donna". A "Live: non è la d'Urso", arriva Pupo e le sue tre figlie per parlare di poliamore e di come lui riesca a vivere con la moglie e la compagna, amandole entrambe. Si parte in sordina fino a che gli animi poi non si riscaldano. Roberta Damiata, Lunedì 21/10/2019, su Il Giornale. Si alzano i toni a “Live: non è la d’Urso” che ha invitato il cantante Pupo e le sue tre figlie per parlare di poliamore. Pupo, infatti, è sposato con Anna ma vive una storia d’amore dal 1996 anche con la sua manager Patricia, e sono tutti e tre felici. Tra l’altro Valentina, una delle tre figlie che ha poi riconosciuto, non è né di Anna né di Patricia ma nata dal rapporto con Mary una sua fan. Contro di lui ci sono cinque sfere che hanno domande e curiosità da fare su questa situazione, anche perché il cantante ammette candidamente di essere un traditore seriale e di aver avuto oltre 600 donne nella sua vita. In tutto questo, le figlie hanno accompagnato Pupo per difenderlo dai vari attacchi. La prima sfera è quella di Karina Cascella, che inizia ammettendo di essere una sua fan, ma poi gli chiede se pensa che il suo è un tipo di amore sano e se è un atteggiamento che può portare un buon esempio. Pupo non ci pensa troppo e risponde: “Io non potevo fare a meno né di Patricia né di Anna, e dopo 30 anni il risultato è una famiglia normale e affiatata". “E se succedesse alle tue figlie?”, continua Karina. "Queste cose non si programmano - le dice Pupo -. Se le mie figlie si trovassero nella mia situazione e fossero felice sì”. “Si chiama poliamore”, racconta Barbara d’Urso mostrando con un filmato il significato di questa parola. Ma al rientro in studio Pupo dice di aver preso esempio da un’unica persona, Eugenio Scalfari il grande giornalista che ha vissuto per decenni la stessa identica situazione che vive lui. “Accadde nella vita - continua il cantante - che un uomo non può fare a meno di due donne come io con Anna e di Patricia, e loro hanno accettato questa situazione. Non potete voi da nessun tipo di pulpito, dire che la mia è una scelta sbagliata”. Parla la figlia di Pupo raccontando che sua mamma ha sicuramente avuto un po’ di gelosia, ma che nessuno l’ha costretto ad accettare questa situazione. Interviene anche Milena Miconi che pensa che le due donne hanno accettato senza esserne però molto convinte. “Se io fossi sposato con voi due - dice rivolgendosi a Milena Miconi e a Karina Cascella - vi avrei sicuramente tradito”. Ma il punto focale arriva quando lo psicologo Meluzzi interviene spiega che tutto queso ménage viene retto soprattutto perché c’è una sicurezza economica alle spalle, che permette a Pupo di mantenere così tante persone. “Senza soldi e senza ricchezza, questa vita non si può fare - spiega il cantante -. Lo dico senza senso di colpa. Sono una persona ricca, felice e convinto di essere meritatamente ricco perché lavoro molto. A 25 anni ero miliardario, a 35 ero indigente. Avevo perso casa e tutto, avevo avuto 3 milioni di debiti, per perdite al gioco, affari sbagliati, ecc. Ho ricostruito tutto quanto e sono tornato meglio di prima. Non avete nessun titolo di insegnarmi a vivere, perché io sto meglio di voi in tutti i sensi. Voi siete prevenuti”.
Pupo e il poliamore, da trent’anni diviso tra la moglie Anna e la compagna Patricia. Pubblicato martedì, 10 settembre 2019 da Corriere.it. Non vivono tutti e tre insieme ma portano avanti da trent'anni la loro relazione poliamorosa, contro tutto e contro tutti: parliamo di Enzo Ghinazzi in arte Pupo (mercoledì compie 64 anni), che ha una moglie, Anna, sposata nel 1974, e una compagna, Patricia, che frequenta dal 1989. «Faccio quello che fanno tutti gli uomini, solo che io lo dico - raccontava serenamente nel 2016 a Domenica Live - Non tutti gli uomini hanno moglie e amante, ma molti. Io amo due donne, Anna e Patricia». Non si tratta di bigamia, ci ha tenuto a precisare in altre interviste, perché con Patricia non è sposato: si tratta piuttosto di un rapporto a tre «equilibrato e leale». Di una famiglia da lui stesso definita «invidiabile, normale, perfetta». Anche se un po' fuori dagli schemi.
Da La Zanzara - Radio 24 il 15 giugno 2019. “Alla fine a 63 anni faccio sesso una volta a settimana è già grasso che cola. Al massimo. Riesco a farlo ancora una volta alla settimana”. Enzo Ghinazzi, Pupo, a La Zanzara su Radio 24 parla del suo modo di intendere la sessualità dopo le esagerazioni del passato. Con chi lo fai, con una o con tutte e due le tue compagne?: “Mah, dipende da quella che c’è. Io vi insegno, voi siete ragazzi, parlate ma poi non fate niente. C’è da valutare come fare sesso ad una certa età. Il sesso non si fa solo introducendo il pene nella vagina e dicendogli, come diceva un mio amico: eiacula. In qualche modo il sesso lo si fa anche attraverso altre pratiche che nel tempo, quando uno diventa più grande, diventano anche più delicate… si può fare sesso solo toccandosi. Tu pensa alla mia età, tun tun tun tun tun , con questi caldi, dai. Le donne con cui vado io hanno sessant’anni e sono donne di una certa età”. “Io – continua Pupo - per esempio non mi sono mai innamorato di ragazzine molto più giovani di me, a differenza di molti miei colleghi. Dovrei impazzire prima di andare con una donna di trent’anni alla mia età. Non ci vado. Non mi attirano, non mi creano nessun tipo di attrazione sessuale”. “Per correttezza verso mia mia moglie e la mia compagna – dice ancora – non posso raccontarvi i dettagli. Ma sì, lo strofinamento. L’onanismo reciproco, la masturbazione insomma. Da solo non mi masturbo, in coppia è meglio. La penetrazione è come la Mostra d’Arte di Venezia, Biennale”. Poi sulla politica dice: “Ho simpatia per Salvini, ma non userei mai un’arma in vita mia. Perché sono assolutamente inadatto all’uso delle armi. Non sono mai stato di sinistra. Chiariamolo subito. Mio nonno era fascista e mio padre era democristiano. Io sono nato in una famiglia così. Se noi istruiamo la gente ad usare le armi, la prossima mossa quale sarà? Quella del Medio Evo di fare il fossato ed i ricchi nel castello che sparano su chi ha fame? Sparare ai ladri crea un problema soprattutto a chi spara, non politico o penale, ma etico, umano. Come si fa a pensare di aver sparato a uno ed averlo ammazzato?”. E sulla droga?: “Sono favorevole alla legalizzazione. La legalizzazione della droga leggera secondo me è una cosa che Salvini dovrebbe valutare meglio. Secondo me è un errore chiudere i negozietti che vendono la droga leggera, quella legale. Mio padre aveva un problema di alcolismo, fa molti più danni l’alcol. Mio babbo purtroppo aveva un problema…Sicuramente è morto anche per un problema di alcolismo, era un uomo di paese al quale piaceva molto bere. Però la droga o il fumo leggero, oppure il fumo legale, chiamiamolo così, secondo me andrebbe gestito meglio”. Se facessero un test nel mondo della musica tra gli artisti cosa uscirebbe?: “Grandissime sorprese. Vi racconto una cosa che non ho mai detto a nessuno. E spero sia andata in prescrizione. Quando facevo uno degli ultimi dischi qui a Milano, lavoravo in un posto fuori Milano, ma non dico dove. Avevo dei colleghi coi quali lavoravo, anche degli addetti ai lavori importanti, gente molto importante che ancora oggi opera nel settore di serie A di questo ambiente, che ad un certo punto la notte si bloccava. Come i motori che si bloccano e non vogliono più partire. Ed io dovevo andare avanti perché lo studio mi costava soldi. Allora ho fatto delle cazzate pazzesche, sono venuto anche a Milano, a prendere appunto la “benzina” per questi sciagurati che senza quella non potevano andare avanti”. “Compravi cocaina per questi colleghi?: “Esatto”. Cosa pensi della circoncisione?: “Non sono circonciso. Ho tutto legato, tutto molto fluido, aperto, tutto igienico. Non ho mai avuto problemi di eiaculazione precoce, ho il problema contrario. Nel senso che sono talmente altruista, anche talmente freddo come i veri giocatori d’azzardo, che non mi è mai capitato una volta sola nella vita di eiaculare prima della donna quando sta con me. Giuro su Dio. Viene sempre prima lei, assolutamente. A discapito del mio piacere. Perché io sono razionale anche in quei momenti. Io non sono mai venuto prima della mia partner”. A La Zanzara su Radio 24, il cantante e tifoso della Fiorentina, Enzo Ghinazzi, in arte Pupo, ha intonato la sua storica “Firenze Santa Maria Novella”. Il testo della canzone è diventato per l’occasione: “Firenze Santa Maria Novella, è festa per lui che va e Chiesa che resta, e con Commisso che lo pagherà”. Poi parla così della nuova proprietà americana: “Commisso lo conosco perché l’ho incontrato negli anni Ottanta quando organizzava le cose in discoteca, lui è un musicista, organizzava concerti con Pupo, con Morandi, con i complessi degli artisti negli anni Ottanta. Detto che ho un gran rispetto per i Della Valle e avrei preferito una Fiorentina italiana, lo dico proprio in maniera molto chiara, per me i Della Valle sono una grandissima famiglia, li conosco da una vita, sono corretti, precisi, e lo hanno dimostrato anche in questa fase”. “Sono tifoso della Fiorentina – aggiunge – e mi devo fidare di quest’uomo. Ma se Commisso ama veramente Firenze, deve confermare Chiesa. Deve dargli i quattrini per non andare alla Juventus, assolutamente. Lui dice di averle queste possibilità, ce lo dimostri. Quindi ufficialmente da Radio24 chiedo a Rocco Commisso di dare i soldi a Chiesa. Se hai bisogno, Rocco, di un contributo, qualcosa la posso dare anche io. Dai 200 ai 300 euro. E’ anche il gesto che conta a volte, no? Posso contribuire per la permanenza di Chiesa, perché non è tutto oro ciò che luccica. Questi miliardari hanno grandi patrimoni, ma forse ha più cash Ghinazzi di loro. Capito che voglio dire?”
· Sono Lory, non sono una santa.
Diletta Leotta: “Sono pazza per lo sport!” Beatrice Gigli il 19/12/2019 su Il Giornale Off. Diletta Leotta: "Sono la signorina del calcio". E’ il sogno proibito di molti italiani. Sky, Miss Italia, Radio 105, Dazn, videoclip con Rovazzi, la cercano tutti. Per non parlare degli sponsor. Pure Sanremo la cerca. Diletta Leotta è infatti la prima scelta di Amadeus per il suo Sanremo del prossimo febbraio. Il quartetto base che Amadeus vorrebbe al suo fianco è formato da Tiziano Ferro e da due belle donne, Monica Bellucci e Diletta Leotta , appunto. Ma come leggiamo dal quotidiano free “Leggo” è molto probabile Amadeus dovrà pensare a un piano B, perchè Ferro ha dato buca e la Bellucci ci sarà ma solo come ospite per una sera. E per Diletta sono già pronte le solite polemiche. Ma chi è DIletta Leotta? Ce lo ha rivelato la nostra Beatrice Gigli in questa intervista. Diletta Leotta è una giornalista sportiva di grande successo e una conduttrice radiofonica di Radio105. E’ amatissima dai calciofili. E non solo.
E’ stato difficile lavorare in un settore maschile come quello del calcio?
«Credo sia una questione ormai superata, dopo anni di lavoro e gavetta in questo ambiente. Cito Cesare Cremonini: “Gli uomini e le donne sono uguali“. Ho la fortuna di lavorare molto spesso con ottimi professionisti, con cui il rapporto é talmente sereno e diretto da andare al di là delle differenze di genere».
Quali sono le tue passioni/ossessioni?
«In questa stagione a Dazn ho una squadra di lavoro molto creativa: abbiamo realizzato questi promo di lancio della puntata in cui ogni settimana tento di recitare scene famose di film cult: per questo me li sto ripassando bene, da Truman Show a Ogni Maledetta Domenica, da Una Poltrona per due a Rocky, uno dei miei film preferiti. Questa operazione di contaminazione linguistica mi piace molto: il calcio é un serbatoio di narrazioni pop come il cinema o la musica, bisogna farlo assaporare a tutti, non solo ai super appassionati».
Come é nata la passione per il calcio? Esigenza lavorativa o una passione già esistente?
«Fin da bambina sono sempre stata pazza per lo sport: ne ho praticati di tutti i tipi, quindi l’attrazione per il calcio é nata spontaneamente perché vedevo tutta questa gente, in famiglia e tra gli amici, che perdeva letteralmente la testa in quei 90 minuti sul rettangolino verde-. Così ho iniziato ad appassionarmi al Catania e avevo il mio idolo: l’attaccante dalle traiettorie impossibili, il nostro brasiliano Mascarinho: Giuseppe Mascara. Pensare che adesso su Dazn sono in mezzo a tutti quelli che erano personaggi mitologici di quando ero ragazza é davvero emozionante. Uno per tutti: il mio socio di conduzione Mauro Camoranesi”».
Mi racconta un episodio OFF della sua vita?
«Una delle soddisfazioni lavorative più grandi di questa stagione é stata a Castel Volturno, dove ho intervistato Carlo Ancelotti per Dazn: é stata davvero un’esperienza umanamente arricchente, oltre che un lavoro davvero ben fatto. Ecco, quel giorno ho scoperto l’esistenza del “mago del caffè” di Napoli, Tommaso Starace, il magazziniere che preparava il suo caffè speciale per Diego Armando Maradona! Tommaso é stato gentilissimo e mi ha offerto il suo caffé molte volte prima dell’intervista: ero felice ed elettrizzata, ma al quarto quinto caffè non sapevo davvero come comportarmi. Gli ero molto grata ma non volevo andare troppo su di giri…»
Dagonews il 16 dicembre 2019. Da Un Giorno da Pecora. "Sono stata io che ho fatto conoscere Eric Clapton a Zucchero. Ho visto che è persino volato a Londra per incontrarlo, Eric ha anche suonato in suo disco. Se Zucchero mi ha ringraziato per averglielo fatto conoscere? Non esattamente, lo ha conosciuto e poi 'arrivederci e grazie'. Forse anche Zucchero è elevato e non si ricorda delle persone più in basso di lui...” A parlare, ospite di Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, è Lory Del Santo, che ospite di Geppi Cucciari e Giorgio Lauro ha poi proseguito: “tra l'altro una volta a Zucchero avevo chiesto un piccolo favore...” Quale? “All'epoca ero fotografa per la rivista 'Oggi' e stavo andando nella sua casa di campagna per fargli due foto. Mentre guidavo mi ha fatto chiamare da qualcuno per dirmi che aveva cambiato idea. Io ero già a metà strada, e sono andata lo stesso. Le foto gliele ho fatte perché mi sono impuntata”...E' vero che è incinta? “Macché, io ormai sono un'osservatrice, sono una che guarda e non giudica...” Come va col suo fidanzato? “Ormai ha 30 anni, si sta un po' impigrendo”, ha concluso la Del Santo a Un Giorno da Pecora.
Dagospia il 7 dicembre 2019. Da I Lunatici Radio2. Lory Del Santo è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei. La Del Santo ha parlato del Natale: "Mi piace il Natale, mi piacciono le luci, dipendesse da me le lascerei accese tutto l'anno. C'è un contrasto tra tutti questi colori e magari la tristezza che ad un certo punto cala. Non so perché. Ti devi riunire con qualcuno, tutti spariscono, tutti tornano a casa. E' bello perché ricevi dei regali. Aspettavo Natale per questo. Ho ricevuto centinaia di regali, non so quale sia il più bello, fanno piacere soprattutto se sono preziosi. Quelli che dicono che basta il pensiero, usano scuse, è solo una facciata". Lory Del Santo, poi, ha parlato di amicizia: "L'amicizia tra uomo e donna esiste solo se la donna è piuttosto brutta. Solo così è possibile. Nei miei confronti i tentativi amichevoli erano tutti falsi. L'uomo aspetta il tuo momento debole per aiutarti e così ce la fa. Come se dovesse infiltrarsi nella crepa di una roccia. Le donne invece sono carine con te, ma appena possono metterti un giavellotto e andare con il tuo fidanzato, è una corsa a chi arriva prima. L'amicizia tra donne è peggio che andar di notte. Ma è divertente, la vita è una corsa ad ostacoli, altrimenti sarebbe una noia". Sulle paure in vista del futuro: "Mi fa paura il senso di dover accettare compromessi. La tranquillità economica è fondamentale. Se parti da umili origini e non ti innamori del primo miliardario che ti arriva davanti, può capitare di dover accettare dei compromessi". Sulla sua volontà di ridiventare mamma: "Vorrei prendere un bambino in affidamento. Rimando di anno in anno, mi sento super giovane. A breve le nuvole spariranno, bisogna iniziare nuove sfide. Ho pensato che a volte ci sono delle persone là fuori che sono speciali. Basta trovarle, magari sono quelle che risolvono la tua esistenza. Uno nasce con dentro un tesoro, spetta a te trovarlo". Sul rapporto con i suoi genitori: "Mio padre non l'ho mai conosciuto, è morto quando avevo tre anni in un incidente stradale. Mia madre era un tipo lunatico, per lei esistevano solo mangiare, dormire e studiare. E lavorare. Lei era un tipo di poche parole in famiglia, mentre rideva con gli altri".
Da “Un giorno da pecora – Radio1” il 19 giugno 2019. "La mia maturità? Me la ricordo perfettamente. Entrai nella mia classe ma non c'erano i banchi, che avevano spostato. C'erano tutti i professori che mi guardarono in modo strano, allora io usciì, un docente mi seguì e mi chiese: le serve una mano?” A raccontare questa storia, a Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, è Lory Del Santo, che ospite della trasmissione condotta da Geppi Cucciari e Giorgio Lauro ha ricordato quel giorno tanto importante. Non è che quel prof. ci stava provando? “Era un commissario esterno, non lo conoscevo, chissà...Devo dire che quel giorno ero stratosferica: avevo un tacco 12, una tutina viola di lino molto leggero. E non avevo il reggiseno”. E non indossava anche il resto dell'intimo...”Tanto c'era un doppio strato di lino in quelle parti del vestito”. E quanto prese? “Il massimo dei voti: non andavo molto bene a scuola ma alla maturità sono stata la più brava della classe”.
Lory del Santo: "Con Mancini? Siamo stati insieme solo una volta, per provare". Lory Del Santo, "ministra" de La Repubblica delle Donne, conferma a Piero Chiambretti il suo breve flirt con Roberto Mancini: "Solo per provare..." Luana Rosato, Giovedì 28/11/2019 su Il Giornale. La nuova edizione de La Repubblica delle Donne ha visto Lory Del Santo ancora protagonista della prima serata del mercoledì su Rete 4. Dopo l’esperienza dello scorso anno, la Del Santo è tornata ad essere una delle “ministre” di Piero Chiambretti sfoggiando un look del tutto nuovo, "dark". Frangetta, capelli lunghi e biondi e un rossetto scuro: una sorta di “Monica Bellucci aggiornata” – come si è definita lei stessa - , che sembra essere davvero piaciuta al pubblico in studio e a quello da casa. Intervistata dal conduttore Mediaset, Chiambretti ha voluto immediatamente approfondire il gossip riguardante una presunta notte di passione con Roberto Mancini, appena promosso a ct della Nazionale Italiana. Durante un’intervista radiofonica a Un giorno da pecora, Lory Del Santo aveva parlato del brevissimo flirt con l’ex calciatore spendendo parole molto tenere nei suoi confronti. “Ho passato una notte con lui, a Torino, quando lui giocava nella Sampdoria, dove c'era anche Vialli. Erano lì. Io ero stata invitata ad una festa, non sapevo come tornare a Milano... – aveva rivelato la Del Santo - .Si, lui è veramente dolce. Quando lo vedo che urla in campo penso che stia facendo il personaggio, perché è veramente dolcissimo. Super morbido in tutti i sensi, morbidissimo”. Così, rifacendosi a queste dichiarazioni del tutto inattese, Piero Chiambretti ha deciso di indagare meglio. “Ogni tanto, lei tira fuori storie del suo passato. Recentemente ha parlato del ct della Nazionale, Mancini, che le stava appiccicato marcandola a uomo. Faceva anche fallo?”, ha domandato il conduttore, ironico, alla sua “ministra”. E la replica della Del Santo non si è fatta attendere: “Beh, ci sono dei momenti in cui non ci si può negare nulla...”. “Diciamo che si va in fondo perché è la circostanza che lo richiede – ha continuato a raccontare, senza scendere troppo nei dettagli, la Del Santo - .Sì, sono stata con Mancini, ma solo per una volta. Per provare...”. “Per provare cosa?”, ha continuato a chiederle Chiambretti prima di comprendere che una risposta sarebbe stata – forse – inopportuna per la prima serata. “Poi me lo dice, non lo voglio sapere”, ha concluso lui tra le risate generali de pubblico in studio e il sorriso sornione della Del Santo.
Lory Del Santo tradita da Clapton con Naomi Campbell. Lory Del Santo rivela di essere stata tradita in passato da Eric Clapton: la confessione a Mattino 5. Serena Granato, Venerdì 27/09/2019, su Il Giornale. Nel corso della nuova diretta di Mattino 5, andata in onda in data odierna su Canale 5, si è parlato con Federica Panicucci di tradimenti, sulla scia del successo ottenuto dall'influencer Giulia De Lellis con l'uscita del libro Le corna stanno bene su tutto (ma io stavo meglio senza). E in qualità di ospite in studio, è apparsa Lory Del Santo che si è lasciata andare ad un'inaspettata confessione sulla sua vita privata. In particolare, l'ex concorrente del Grande Fratello Vip ha rivelato di essere stata tradita in passato, dalla vecchia fiamma Eric Clapton e non con la complicità di una donna qualunque, ma con una delle top model più desiderate al mondo. "Era il suo compleanno - la Del Santo comincia così a raccontare un particolare aneddoto della sua love-story con Clapton - e io volevo fare una cosa speciale, volevo raggiungerlo per un giorno e poi per ripartire, ma lui mi disse 'no'. Fatalmente ho saputo che lui era con la Campbell. Voleva solo vedere com’era questa, almeno secondo quanto mi ha rivelato l’amica di Naomi Campbell...". "Tu hai un mito - si sfoga così la Del Santo a Mattino 5- ‘la donna più bella del mondo’, ci vai e poi… non funziona!". "Non gli piaceva alla fine...- ha confidato con tono ironico la showgirl, che si trovava in Sardegna nel momento in cui scoprì il tradimento infertole da Clapton, rimasto a primo acchito soggiogato dalla Campbell -. Uno si fissa su un personaggio, poi ci stai insieme e ti crolla un mito...". L'inaspettata confessione di Lory Del Santo in questione arriva il giorno prima di una data importante: nella giornata di sabato 28 settembre, la showgirl compirà 61 anni.
Da I Lunatici Radio2 il 12 settembre 2019. Lory Del Santo è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino. La Del Santo ha rivelato alcuni dettagli della sua relazione con Eric Clapton: "Mi ricordo bene della sera in cui ci siamo conosciuti. Io non sapevo chi fosse, non volevo incontrarlo. E' stata una roba inaspettata. Lui è stato subito molto diretto. Mi ha chiesto subito di passare con lui la notte. E' stato immediato. C'ero abituata, mi era già successo. Ma un po' di romanticismo non guasta. La sera stessa mi ha chiesto di andare a letto con lui. Io ho detto no, gli ho lasciato il mio numero. Lui mi ha chiamato il giorno dopo. Mi ha detto che era nei paraggi e che passava a salutarmi. E' venuto a casa mia, abbiamo iniziato a parlare, io nel frattempo mi ero documentata su di lui, sul giornale in prima pagina si parlava di lui, ho capito che era molto famoso. Mi si è aperta una scintilla, sono stata più disponibile. E' iniziata così la nostra relazione. Ma ero molto scettica. Non mi piace essere trattata come una cosa usa e getta. Per fortuna non è stato così. Parlava poco, aveva molto da fare, il tempo non era mai molto". Sugli uomini, in generale, Lory Del Santo ha dichiarato: "Ho incontrato spesso uomini istantanei, subito pronti ad andare al sodo. Ma anche persone romantiche. Nella categoria maschile ci sono tutte le sfumature. Tra le donne ha più successo il bastardo, ma essere bastardi non basta. Devi essere sexy, devi darti qualcosa. Alle donne piace un po' il playboy, quello abituato ad avere, che ama il lusso. Comunque in ogni uomo c'è insito un bastardo. Basta dargli un po' di tempo e poi quel lato esce. I grandi amori della mia vita? Io francamente pensavo che non mi sarei mai innamorata. Mi bastava vivere il momento, davo più importanza al lato edonistico del rapporto. E invece questo maledetto amore esiste, e quando ti trafigge di può anche uccidere. A volte è meglio sperare che non accada mai. Mi sono innamorata davvero tre volte".
È TUTTO LORY QUELLO CHE LUCCICA. Da I Lunatici Radio2 il 26 giugno 2019. Lory Del Santo è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta ogni notte dall'1.30 alle 6.00 del mattino. Lory Del Santo ha raccontato alcuni aneddoti legati alla sua vita. Uno, in particolar modo, tragico: "L'amore estivo più bello? Quando ho conosciuto un arabo con una barca grandissima. E' stata un'estate speciale, ho conosciuto una persona speciale, mi ha ospitato in una barca eccezionale, io ero giovanissima, avevo vent'anni. Ero a Parigi, facevo la modella, ho conosciuto in discoteca che mi ha invitato in Costa Azzurra, in una villa meravigliosa, con una piscina oceanica. Non avevo neanche le valige. E' stata l'estate più avventurosa della mia vita. Io sono sempre stata una avventuriera, ho sempre cercato di fare cose sicure, ma le disgrazie possono capitarti anche dentro a una cassaforte. Fregature? Una sera a Londra ho incontrato l'amico di una mia amica. L'avevo conosciuto la sera precedente, lasciamo perdere, è andata a finire male, è stata una delle cose più drammatiche della mia vita. Gli uomini purtroppo sono molto maiali e un po' violenti talvolta, mi ha dato uno schiaffo sulla faccia, io ho capito che era meglio dirgli di sì piuttosto che provare a dire di no e avere qualche dramma successivo. Ci sta che nella vita tutto non sia perfetto sempre. Mi sono concessa a lui pur di uscirne illesa. Io mi ero rifiutata di salire nella sua stanza in Hotel, lui mi convinse a salire con una scusa. Ho pensato che non potesse mai succedermi nulla in un hotel. Fosse stata una casa privata non sarei mai salita. Non mi ha fatto uscire dalla stanza tutta la notte. Per lo schiaffo mi si è gonfiata la guancia. Non l'ho mai denunciato perché ho paura delle vendette. Ho preferito dimenticare." Lory Del Santo, poi, è tornata a parlare del suo incontro con Roberto Mancini: "Il primo approccio tra di noi? L'ho incontrato a una festa a Torino, lui stava con Vialli. Loro due facevano tutto in coppia. Io abitavo a Milano, non potevo tornare a casa, era troppo tardi. Mancini ha cercato di sedurmi, ci è riuscito e non me ne pento. E' stato dolcissimo, delicatissimo, mi è piaciuto. E' un bel ricordo". Sul caso di Pamela Prati e Mark Caltagirone: "Secondo me è stata una cosa architettata per prendere dei soldi dalla tv. Erano tre cervelli pensanti per fare più soldi possibile e far durare il più possibile la storia. Quando c'è bisogno di soldi l'inventiva e la furbizia aumentano". Su Morgan, sfrattato da casa: "Una donna che non riceve nessun soldo per il mantenimento della figlia ha le ragioni per rivalersi. Anche a me è capitato un ex che non mi dava niente per mantenere nostro figlio. Lui andava in giro in Rolls Royce ma non aveva niente di intestato. Le donne hanno ragione, se gli uomini fanno figli e poi se ne fregano è giusto che abbiano qualche problema. Morgan doveva pensarci prima a questa faccenda, non ha senso urlare ora. Certo, perdere casa è un bel colpo, ma i problemi bisogna risolverli prima, non prendersela con Vasco Rossi che non gli ha dato una mano". In chiusura Lory Del Santo ha parlato anche di Salvini: "L'ho incontrato e mi è piaciuto. E' burroso, è un uomo che dà sicurezza. Una donna ha bisogno di queste cose, se ti dà un appuntamento sei sicura che verrà all'appuntamento. Non è l'uomo arpia, tutto tirato, che ti fa sentire in forse".
· Sabrina Paravicini: insultata perché malata.
Sabrina Paravicini, Jessica di «Un medico in famiglia» e la lotta contro il cancro: «Insultata per la chemio». Pubblicato mercoledì, 19 giugno 2019 da Annalisa Grandi su Corriere.it. La ricordiamo tutti nei panni dell’infermiera Jessica Bozzi nell’amata serie televisiva «Un medico in famiglia». Ma lontano dal piccolo schermo, Sabrina Paravicini sta combattendo la sua battaglia più difficile. Quella contro un tumore al seno. È lei stessa a raccontarlo, sui social, a mostrarsi nel letto d’ospedale, mentre fa la chemioterapia. A spiegare cosa le sta succedendo. Lo scorso anno Sabrina aveva spiegato di aver messo da parte la carriera per stare vicina al figlio13enne Nino, che ha la sindrome di Asperger. Pochi mesi dopo, la scoperta della sua malattia. Il tutto è partito da una cisti che, spiega l’attrice, teneva sotto controllo da anni. E che a un certo punto ha iniziato a farle male. «Il tumore era nascosto dietro la cisti che stava sotto al capezzolo, pare che le cellule tumorali abbiano attaccato la cisti e grazie a questo attacco il mio corpo ha parlato. Quando ho avuto la diagnosi, il tumore aveva solo sei mesi, era grande due centimetri e mezzo e aveva già creato un’area infiammatoria di 6 centimetri. Era veloce e aggressivo. Non ancora operabile. Nel giro di due settimane ho iniziato la chemioterapia» spiega sui social. Dove racconta passo passo le cure a cui si sta sottoponendo, ma risponde anche a chi proprio l’ha accusata di «stare distruggendo il suo corpo con la chemio». «La chemio è offensiva e orribile - scrive l’attrice 48enne - ma è l’unica cura certa e protocollata. Anche io non la volevo fare, non volevo il veleno nel mio corpo e solo io so quanto è avvelenato oggi il mio corpo dalla chemio. Ci ho anche provato a pensare di fare qualcosa di alternativo, non potevo permettermi di perdere neppure un mese, figuriamoci un anno per sperimentare. A tre giorni dalla diagnosi, una sorta di guru alternativo mi ha insultata per telefono perché non ho accettato di fare solo il ‘suo’ protocollo curativo di 120 giorni, mi gridò: “Si faccia avvelenare dalla chemioterapia, che stupida!” Ma questo è il referto della risonanza che ho fatto dopo 4 cicli di epirubicina, un mese fa: remissione al 90% del tumore». Insomma, nella sua battaglia c’è stato anche chi le ha telefonato per criticarla. E in tantissimi fan, dopo lo sfogo su Instagram, le inviano i suoi messaggi di sostegno.
Da I Lunatici Radio2 il 4 ottobre 2019. Sabrina Paravicini è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino. L'attrice e scrittrice ha parlato della sua lotta contro il cancro: "Oggi sono nella fase di ripresa da un intervento molto invasivo. Da qualche giorno sto meglio, ma è stata molto dura. Non ero preparata a un postoperatorio così difficile. In questi giorni che fare la chemioterapia in confronto è stata una passeggiata. Guardo avanti, ci saranno altri interventi, il viaggio è ancora abbastanza lungo. Il momento più duro è stato quello della diagnosi, che non mi aspettavo. Sono andata a ritirare l'esame che avevo fatto, ero sola. E' stato un momento devastante, scioccante. Ho chiesto di essere operata subito ma mi hanno detto che non era possibile. Lì mi sono resa conto della gravita, mi hanno iniziato a parlare di chemioterapia. Ero da sola, quando sono uscita ho chiamato una mia amica e ne abbiamo parlato. Ho elaborato dopo". Sulla chemioterapia: "Si ha sempre l'immagine che chi sta facendo chemioterapia sta soffrendo molto. In realtà quando vai a farla è uno dei giorni in cui stai meglio, è dopo che inizi a stare male. C'è una bella condivisione con gli altri, tu arrivi e tutti ti comprendono, non c'è bisogno di parlare, non serve dire niente. Ho trovato delle persone con cui mi sono affiancata, è stato un momento di grande condivisione, affetto. Mio figlio è stato fondamentale, ha sdrammatizzato tutti i momenti, ha scherzato sui capelli, sulla parrucca, il suo è stato un punto di vista incredibile". Sugli hater che l'hanno criticata per aver fatto la chemio: "In realtà sono state due persone, in realtà ho avuto delle dimostrazioni di affetto inaspettate e incredibili. Non mi sono mai sentita così tanto amata dalla mia famiglia, dai miei amici e anche dalle altre persone con in questo periodo. E' incredibile come un momento di difficoltà, quando ti poni verso gli altri con un atteggiamento di apertura, ti possa portare delle cose straordinarie". Sul futuro: "Quando ho visto ricrescere i capelli e ancora di più le sopracciglia è stato bello. Quando pensavo di averla scampata all'improvviso mi sono spariti ciglia, capelli e sopracciglia. Mi sentivo come un'aliena, non ero più io. Vedere adesso in una settimana, dieci giorni, che stanno tornando, è come rinascere. Vedere un bambino che nasce, ma quel bambino sei tu. E' pazzesco".
Sabrina Paravicini: "Ho guardato la ferita al seno, imparerò a volerle bene". Sabrina Paravicini, che aveva ammesso di temere la sua immagine riflessa allo specchio dopo l'asportazione del seno, ha raccontato di essere riuscita a guardare la ferita. Luana Rosato, Lunedì 23/09/2019, su Il Giornale. L’attrice Sabrina Paravicini, operata al seno per l’asportazione di un tumore, continua a raccontare la sua riabilitazione via social e, dopo vari tentennamenti, ha spiegato di essere finalmente riuscita a guardare quella ferita. Mostrando la fascia che copre il seno reciso, l’attrice di Un medico in famiglia ha raccontato le sue sensazioni dopo aver finalmente superato la paura dello specchio. “Ieri sera mi sono guardata allo specchio – ha esordito Sabrina Paravicini su Instagram - . Mi sono tolta la maglietta, il reggiseno post operatorio e la fascia contenitiva. Il seno destro nudo, quello sinistro, quel che ne rimane, coperto da un grosso cerotto sterile. I dolori non passano, si attenuano per poi riemergere da un lato all’altro a sorpresa”. La Paravicini, infatti, aveva già raccontato di aver sentito dei dolori lancinanti dopo l’operazione e, ancora oggi, la sua sofferenza sembra non attenuarsi. “Ieri mi sono ripetuta mille volte “passerà”, come un mantra, come una preghiera. È una sorta di sequestro emotivo. Il corpo sequestrato in casa, la mente sequestrata da un tempo sospeso e infinito che non passa più. Ma passerà, sta passando”, ha continuato a scrivere. “Questa mattina ho fatto una nuova medicazione, non so perché a un certo punto ho guardato giù. Ho visto la cicatrice, l’ho messa a fuoco per un secondo poi d’istinto ho distolto lo sguardo. La mia mente l’ha registrata sfocata, solo la lunghezza mi è rimasta in modo nitido – ha detto ancora l’attrice che, fino a qualche giorno fa, aveva scelto di non guardare quella ferita - .Attraversa il mio seno da una parte all’altra, non mi è sembrata centrata o simmetrica, immagino che quando mi inseriranno la protesi prenderà il posto giusto. Intanto si è posizionata in modo confuso e sgranato nella mia mente. Come l’immagine di una polaroid uscita dalla macchina fotografica. Sgranata, indefinita. Leggermente fuori fuoco. Imparerò a volerle bene”. Ieri sera mi sono guardata allo specchio. Mi sono tolta la maglietta, il reggiseno post operatorio e la fascia contenitiva. Il seno destro nudo, quello sinistro, quel che ne rimane, coperto da un grosso cerotto sterile. I dolori non passano, si attenuano per poi riemergere da un lato all’altro a sorpresa. Ieri mi sono ripetuta mille volte “passerà”, come un mantra, come una preghiera. E' una sorta di sequestro emotivo. Il corpo sequestrato in casa, la mente sequestrata da un tempo sospeso e infinito che non passa più. Ma passerà, sta passando. Questa mattina ho fatto una nuova medicazione, non so perché a un certo punto ho GUARDATO GIU’. Ho visto la cicatrice, l’ho messa a fuoco per un secondo poi d’istinto ho distolto lo sguardo. La mia mente l’ha registrata sfocata, solo la lunghezza mi è rimasta in modo nitido. Attraversa il mio seno da una parte all’altra, non mi è sembrata centrata o simmetrcia, immagino che quando mi inseriranno la protesi prenderà il posto giusto. Intanto si è posizionata in modo confuso e sgranato nella mia mente. Come l’immagine di una polaroid uscita dalla macchina fotografica. Sgranata, indefinita. Leggermente fuori fuoco. Imparerò a volerle bene. Fino a qui tutto bene.
Sabrina Paravicini: "Dopo il tumore ogni mattina mio figlio mi abbraccia 30 secondi". L'attrice, che da tempo sta lottando contro un tumore, ha raccontato sui social il lento recupero che sta compiendo dopo l'operazione. Parlando del figlio ha svelato quanto il suo male lo abbia fatto cresce troppo in fretta e il "rito" che ogni mattina fanno insieme. Novella Toloni, Giovedì 10/10/2019, su Il Giornale. Trentatré giorni dopo l'operazione, Sabrina Paravicini torna a parlare sui social delle sue condizioni di salute. E lo fa con un messaggio positivo affidato a un post su Instagram: "33 giorni dopo l’intervento. 4 sedute di fisioterapia e 15 giorni di ginnastica a casa al braccio. Ho cominciato a guidare due settimane fa, inizialmente con fatica e solo tragitti brevi. Per me essere autonoma è stato fondamentale. La mente si è rigenerata. Ho ricominciato a cucinare, visto che non posso portare pesi con il braccio sinistro Nino mi aiuta portando le pentole e i piatti in tavola". Un lento ritorno alla normalità che l'attrice condivide con i suoi follower ai quali lei, però, non nasconde la profonda tenerezza che prova verso il figlio Nino, cresciuto troppo in fretta a causa della sua malattia: "La mattina si alza da solo e si prepara la colazione. Vorrebbe prepararla anche a me, ma preferisco fare da sola. Poi lo porto a scuola in macchina e parliamo, mi fa una tenerezza immensa: è cresciuto così tanto in pochi mesi. Cerca di essere autonomo e cerca di essere di aiuto. Non ho potuto nascondergli la mia sofferenza. Neppure dietro a un sorriso". L’attrice, che interpretava Jessica nella fiction Un Medico in Famiglia, sta affrontando la battaglia contro il cancro al seno da diversi mesi. Il dolore della malattia ha però avvicinato, se mai ce ne fosse stato bisogno, ancora di più Sabrina Paravicini e il figlio Nino. L'attrice ha svelato così un piccolo rituale che mamma e figlio compiono ogni mattina appena svegli: "La mattina appena mi vede mi chiede un abbraccio: 'Un abbraccio di trenta secondi mamma, come mi hai insegnato tu'. Pare che abbiano provato scientificamente che un abbraccio di trenta secondi scatena le endorfine e la felicità. È così quando ci abbracciamo ci sentiamo immensamente felici!".
Sabrina Paravicini torna a sorridere: "I capelli stanno ricrescendo". Sabrina Paravicini, dopo l'operazione al seno per la rimozione di un tumore, continua a raccontare la sua ripresa e gioisce per la ricrescita di capelli, ciglia e sopracciglia. Luana Rosato, Mercoledì 02/10/2019, su Il Giornale. L’attrice Sabrina Paravicini continua a raccontare sui social il periodo di ripresa dopo l’operazione al seno a causa di un tumore e, in uno degli ultimi post su Instagram, ha mostrato tutta la sua felicità per la ricrescita di capelli e sopracciglia. Nota per essere stata una delle protagoniste principali di Un medico in famiglia, la Paravicini aveva deciso di rendere pubblica la sua battaglia contro il cancro rivelando, attraverso post e video sui social, tutti gli step necessari per debellare la malattia. Poco dopo l’asportazione del seno, Sabrina non aveva esitato anche a raccontare quanto fosse doloroso il decorso post operatorio, ma ha sempre dimostrato forza e tenacia. La sua lotta contro il tumore ha coinvolto tantissimi fan che, ora, gioiscono per la sua ripresa. “Ciao! Stanno ricrescendo le sopracciglia – ha esordito l’attrice in un video pubblicato su Instagram - , le ciglia, i capelli...E questo è il braccio sinistro che adesso riesco ad aprire quasi a novanta gradi”. Poi, Sabrina Paravicini ha mostrato un altro dettaglio della sua operazione e ha continuato a spiegare: “Ieri hanno gonfiato l’espansore, lo gonfiano con un liquido. Lo infilano con un ago e, purtroppo, la mia valvola era esattamente sotto la cicatrice – ha aggiunto lei, che ha voluto chiarire le modalità con cui i medici si occupano di questo genere di operazioni - . Dall’ago entra un liquido e pian piano l’espansore si gonfia fino a raggiungere la misura che poi farà posto alla protesi”. “È stato un pochettino doloroso ma, dopo l’operazione, mi manca una spedizione nello spazio a livello di difficoltà – ha concluso, con ironia, lei - . Sto Bene? Diciamo che sto meglio e volevo ringraziarvi per i messaggi, i post e i commenti che mi hanno aiutata tanto”.
· Claudia Pandolfi.
Da I Lunatici Radio2 il 15 giugno 2019. Claudia Pandolfi è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta ogni notte dall'1.30 alle 6.00 del mattino. L'attrice ha parlato un po' di sé: "Sono sul set di Baby, per la seconda stagione di questa serie. Si parla di storie di ragazzi, io sono una degli adulti, faccio l'insegnante. Mi trovo bene, c'è un bel ritmo, una bella dinamica, mi trovo molto bene. Certo sono un po' la zia naturalmente, ma è una dinamica che funziona, mi sento a mio agio. Cosa sognavo di fare da bambina? La ginnasta. Non avrei mai pensato di fare l'attrice. Il mondo dello spettacolo è arrivato per caso, ho fatto la ginnasta fino a 12 anni, poi mi mandarono via dalla squadra perché ero troppo alta. A 17 anni mi è capitato per caso di fare un provino. Stavo al mare, ho partecipato a un concorso acquatico perché partecipando si entrava gratis nel posto. Grazie a quel concorso finii a Miss Italia, e a settembre Placido volle vedere le ragazze di Miss Italia. Feci un provino con Michele Placido per un film che si chiamava 'Le amiche del cuore' e iniziai così a fare l'attrice. A 17 anni". Ripercorrendo della sua carriera: "Un Medico in Famiglia? Ho fatto la prima e la seconda stagione, poi se avessi continuato avrei potuto chiedere cifre. Ma non c'era una strategia, sono andata via perché era finito il contratto. Se non avessi mollato il Medico in Famiglia probabilmente non avrei fatto Distretto di Polizia. E' una cosa che è nel destino degli attori. Io sono felice di aver fatto tutto quello che ho fatto, felice anche di essere andata via. Ogni volta che ho lavorato con qualcuno ho imparato qualcosa di diverso. Mamma lavorava in un'agenzia pubblicitaria, papà lavorava a Repubblica, vengo da una famiglia di persone che non erano nel mondo dello spettacolo, quindi ogni cosa che è arrivata ha destato in noi profondo stupore". Sulla Claudia Pandolfi mamma: "Non sono apprensiva, anzi. Lancio i bambini verso le avventure e le sfide, preferisco che sperimentino, ovviamente mettendoli al corrente di ciò che sono le avventure e le sfide. Cerco sempre di incentivarli, meglio un ginocchio sbucciato della paura di saltare. Conosco i pericoli ma è giusto che li assaggino un po' da soli". Sul suo matrimonio a Barcellona: "Ci ha sposato una persona con un abbigliamento buffo. Sembrava vero ciò che diceva, cioè che era un piccolo guru nella sua comunità. Aveva addosso un saio, ci ha colpito, il tutto è durato cinque minuti, ci siamo sposati così, tra sorrisi e bacetti, ci ha messo una mano sulla testa, mi sono emozionata. Sarà perché un matto ci ha sposato a Barcellona, ma è stato emozionante". Sulle molestie subite nella vita e nel mondo dello spettacolo: "E' vero che mi è capitato un episodio spiacevole durante la mia vita di essere umano: mi capitò nel quartiere, c'era una persona poco raccomandabile che si aggirava, ero molto piccola, avevo 10 anni. Poi mi è capitato un incontro 'curioso' tra i mille provini che ho fatto nella mia vita. Grazie a Dio però non sono mai stata molestata da nessuno".
· Sara Tommasi.
Dago Spia l'8 ottobre 2019. Comunicato stampa. La showgirl umbra Sara Tommasi da qualche tempo è tornata a stare bene, con una forte disintossicazione, con una giusta cura per il bipolarismo, con la psicoterapia ma soprattutto con l’amore di amici, in particolare dell’amica Debora e dell’ex fidanzato Angelo e famiglia finalmente è rinata. “Ho passato anni veramente terribili, tante cose le ho rimosse, scappavo di casa, vagavo senza una meta, non riuscivo a volermi bene, mi davo a tutti e tante persone ne approfittavano di me e mi facevano fare qualsiasi cosa perché nelle condizioni in cui ero non ero in grado di distinguere il bene dal male e quindi non sapevo dire no! Soffrivo di bipolarismo e stavo ancora peggio perché la patologia veniva accentuata dall’uso di droghe, alcol e psicofarmaci” la soubrette di Terni ricorda un aneddoto choc “ricordo quella notte a Milano di qualche anno fa, ero scappata da Terni ed ero finita in casa con degli alcolizzati e dei tossicodipendenti, ho rischiato di morire! Per grazia di Dio la mia famiglia è corsa a prendermi per i capelli, mi hanno fatta ricoverare e mi hanno salvato la vita. Ora faccio sport, mangio bene, mi curo, mi voglio bene e ho bisogno di andare in televisione a parlare della mia rinascita, sicuramente da Barbara d’Urso riuscirei ad essere me stessa e a raccontarmi senza filtri. Economicamente non sto male, quando facevo televisione e guadagnavo tanto ho fatto la formica e ho comprato delle case, vorrei lavorare solo per una mia gratificazione personale e perché mi manca molto il contatto con i miei fans, per strada la gente mi ferma e mi ama, vorrei tornare a fare il mio lavoro di showgirl, non chiedo altro!”
Da ilfattoquotidiano.it il 14 ottobre 2019. Dopo una lunga assenza dalle scene, Sara Tommasi è tornata in tv domenica sera ospite di “Live Non è la D’Urso” e a Barbara D’Urso ha raccontato quanto le è successo negli ultimi anni, spiegando che per lei sono stati molto difficili causa dell’abuso di alcol e droga e rivelando di esser stata costretta a fare sesso davanti alle telecamere. “Mi drogavano obbligandomi a girare film hard – ha detto la showgirl -. Mi davano tantissima cocaina. Ero in un vortice dove solo la droga può portare, in quel periodo ero proprio scollegata dal mondo. Un tunnel del quale ho visto l’uscita solamente grazie a mia madre che mi ha portata in ospedale. Lì mi hanno anche diagnosticato il bipolarismo. Ho tentato più volte di fuggire da lì, non volevo che mi curassero”. Ora però la sua vita è estremamente diversa: Sara Tommasi ha raccontato infatti di essere dedita alla fede in Dio, e di esser tornata in sé, riprendendo per mano la sua vita e gli affetti più cari. “Ho fatto cose delle quali non ho memoria – ha concluso -. La gente in strada mi riconosceva e mi faceva offerte anche spinte, tutto a causa di quello che ho postato su internet. Ma adesso basta: voglio ripulire tramite agenzie quei video e foto in cui non mi riconosco”.
Sara Tommasi torna in tv: “Mi drogavano per i film porno e sono bipolare”. Le Iene il 14 ottobre 2019. La showgirl ed ex attrice porno torna in tv per parlare del suo periodo più nero, quello del bipolarismo. Sara Tommasi ospite da Barbara d’Urso ha raccontato gli anni in cui l’avrebbero drogata per girare i film hard come lei sostiene. Già un anno e mezzo fa in un’intervista a Le Iene ci aveva detto della sua voglia di ricominciare. “Mi drogavano obbligandomi a girare film porno. Mi davano tantissima cocaina. Ero in un vortice in cui solo la droga mi può portare. In quel periodo ero proprio scollegata dal mondo”. Inizia da queste parole il racconto di Sara Tommasi, che ieri sera è tornata in tv ospite di Live – Non è la d’Urso. La showgirl ha ripercorso gli anni in cui ha conosciuto per la prima volta il bipolarismo. Un racconto che a noi de Le Iene aveva fatto già nell’aprile 2018, quando ha incontrato Nina Palmieri nel servizio che potete vedere qui sopra. “Per uscire dal tunnel della droga l’unica che mi ha aiutata è stata mia madre che mi ha portata in ospedale. Lì mi hanno anche diagnosticato il bipolarismo. Ho fatto cose delle quali non ho memoria”, ha raccontato l'ex attrice hard riferendosi agli anni dopo il 2015. L’anno scorso Sara ha rotto il silenzio ricostruendo questa parentesi con noi de Le Iene. “Ero incapace d'intendere e di volere, per questo sono stata ricoverata in ospedale d’urgenza contro la mia volontà”, ha raccontato alla nostra Nina. Con un percorso riabilitativo riesce a lasciarsi alle spalle questo periodo. “Se non segui delle regole, la testa può perdere di nuovo il controllo. Il medico mi diceva che dovevo curarmi. Pensavo di non venirne più fuori”. Molti approfittano di questa sua fragilità psichica e lei diventa più famosa di prima, ma per gli eccessi che la vedono protagonista. “Posso fare delle copertine sexy, ma non quei film”, dice. Il suo passato però è lì a portata di mano su internet. “Mi correvano dietro facendomi proposte. Sono stata vittima di bullismo sessuale”. Che cos’è successo nella vita di Sara da quel momento? “Ora non mi sento di andare neppure a letto con qualcuno”, ha detto nel salotto di Barbara d’Urso. “Non dico che voglio rinchiudermi in convento, ma voglio stare distaccata anche dai rapporti. In compenso ho scoperto di avere fede e prego Dio”. Ora lei ha un solo obiettivo: “Voglio ripulire internet dai video e foto fatti in quel periodo. La gente in strada mi riconosceva e mi faceva offerte anche spinte, tutto a causa di quello che gira sul web”. Invece non è stato detto nulla sulla presunta gravidanza. Era stata annunciata a metà giugno dalla sua manager Debora Cattoni in occasione del 38esimo compleanno di Sara. Un mese più tardi è trapelata la notizia di un aborto. La domanda è lecita: è andata davvero così o è stata una boutade estiva?
Selvaggia Lucarelli per “il Fatto quotidiano” il 15 ottobre 2019. C' è una scena, nel film Joker, in cui Arthur, aspirante cabarettista con inquietanti disturbi psichici, solleva lo sguardo e vede se stesso in tv. Sorride, pensando che il noto conduttore Franklin nel suo seguitissimo show stia mandando in onda un frammento di un suo provino da comico per decantarne il talento. Invece Franklin lo sta sbeffeggiando, applaudito da un pubblico che ride sguaiatamente di quel provino maldestro. Una specie di Corrida venuta male, in cui nessuno, a parte lo scaltro conduttore, capisce che Arthur non è un borioso senza talento, ma un malato di mente senza capacità di discernimento. È una scena toccante, in cui si comprende a fondo la bolla di solitudine, di mancata comprensione e di emarginazione in cui vive Arthur, condannato a sorridere per finta in un mondo che ringhia e deride i deboli e le loro fragilità. Ho pensato spesso a quella bolla in questi giorni, osservando il web, la politica, la tv. Osservando come le malattie mentali - poco comprese, poco conosciute, poco raccontate - si prestino con facilità a essere usate per gli scopi più beceri e volgari. L' altro giorno sono finita su una pagina Facebook. C' era un video, postato da chissà chi, di due ragazzi ricoverati in una struttura. Due ragazzi con evidenti disturbi mentali, innamorati, che si baciavano con una passione buffa, quasi infantile, nel lettino singolo di uno dei due. I commenti erano un fiume avvilente di "vado a vomitare", "la camicia di forza qui serve per non farli riprodurre", "scopa più lui di me che non sono Forrest Gump". Nessuna pietà, nessun moto di tenerezza nei confronti di due ragazzi che, anziché spegnersi tra corridoi e psicofarmaci, sono inciampati in un amore puro e inaspettato. La malattia mentale che diventa la Corrida. Qualche giorno dopo sono disgraziatamente incappata in un tweet di Matteo Salvini. Riprendeva una notizia de Il Giornale: "Assolto il togolese che aggredì due donne senza motivo: incapace di intendere e volere". Il titolo era già di per sé un ossimoro: il togolese non aveva aggredito le due donne senza motivo, le aveva aggredite perché incapace di intendere e volere, appunto. Ma alla propaganda anti-stranieri di Salvini questo non interessava. Interessava solo l'associazione togolese/ha aggredito/assolto. E quindi ha commentato: "E ti pareva, sarà mica 'giustizia' questa!". Il tutto era funzionale a trasmettere il messaggio che gli stranieri delinquano e restino impuniti, magari con la scusa di essere un po' svitati. In realtà il togolese era in carcere e lì resterà finché non verrà affidato a una Rems, in cui è condannato a rimanere due anni. La Rems, per intenderci, è quello che veniva chiamato "ospedale psichiatrico giudiziario". Dunque sì, costringendo il ragazzo a curarsi per arginare la sua pericolosità sociale, la giustizia ha agito correttamente. Rinchiudere un uomo affetto da disturbi mentali in carcere è pericoloso per l' uomo stesso e per gli altri, compresi quegli agenti penitenziari nei confronti dei quali Salvini si sente così solidale. Così solidale da essersi inventato, giorni fa, la storia dell' agente penitenziario morso all' orecchio da un nordafricano. In realtà era stato lanciato un fornelletto durante una rissa, ma "morso da un nordafricano suonava meglio", così come "togolese assolto". Domenica sera poi mi è parso di assistere davvero a una scena di Joker, dove Joker era Sara Tommasi (senza la consapevolezza di Joker nella scena finale) e Barbara D' Urso il cinico conduttore Franklin. Sara Tommasi soffre di bipolarismo da molti anni. Il bipolarismo è un disturbo psichiatrico che si può gestire con farmaci, ma che non si può curare in via definitiva. È una psicosi terribile i cui sintomi sono spesso autodistruttivi. Si passa dalla depressione all' euforia, si attraversano periodi di lucidità alternati a periodi con allucinazioni, paranoie, bulimia sessuale, pensieri suicidi. Si diventa fragili e si finisce in balia di se stessi e di approfittatori. Capita spesso che chi ne soffre finisca per drogarsi o abusare di alcol, aggravando la sua situazione. Tutto questo, e anche di più, è successo a Sara Tommasi negli ultimi anni. È andata a Live-Non è la D' Urso per raccontare l' inferno e la rinascita, il desiderio di cancellare dal web, aiutata da agenzie che si occupano di reputation, le foto e i video degradanti di quel periodo buio. Perché se ne vergogna, perché è stata sfruttata. Solo che la scheda che la presentava in tv era, tra le altre cose, un collage di sue foto con l' aria sfatta e lo sguardo perso, foto con la gonna tirata su per strada, foto senza slip in luoghi pubblici. La voce narrante sottolineava le parole "hard" e "porno". La conduttrice Barbara d' Urso ha indugiato per buona parte dell' intervista sui film porno, facendo osservazioni come "Ma hai fatto film come quelli con Rocco Siffredi?" o "Per anni ti abbiamo vista mezza nuda per strada che ti alzavi il vestito senza mutande!", "Hai messo da parte un po' di soldini, ma non con i porno vero?". E ancora "Il bipolarismo è finito totalmente o no?", dimostrando non solo di voler insistere sull' aspetto più pruriginoso - quello per cui la Tommasi vorrebbe l' oblio -, ma di aver intervistato una ragazza affetta da disturbo bipolare, senza essersi neppure informata sulla malattia. "Ora che sei guarita", le ha detto a un certo punto. "Non posso guarire", l'ha interrotta correttamente la Tommasi. Perché no, dal bipolarismo non si guarisce. E neppure da un certo cinismo mascherato da buone intenzioni che si serve della malattia mentale per alzare lo share. Il consenso in politica. Il volume delle risate.
Sara Tommasi: "In una casa con alcolizzati e tossicodipendenti ho rischiato di morire". Sara Tommasi racconta di stare finalmente bene e, dopo anni tra droghe, alcool e abuso di farmaci, chiede di tornare in tv per raccontare la sua storia e lavorare. Luana Rosato, Martedì 08/10/2019, su Il Giornale. Dopo un passato difficile tra droghe, alcool e problemi di bipolarismo, Sara Tommasi è tornata a sorridere grazie all’aiuto della famiglia, del fidanzato Angelo e degli amici più cari. Attraverso un comunicato stampa pubblicato da Dagospia, si legge che la showgirl di Terni adesso sta bene e vengono resi noti alcuni retroscena inediti riguardati il periodo buio vissuto dalla Tommasi negli anni precedenti. "Ho passato anni veramente terribili, tante cose le ho rimosse, scappavo di casa, vagavo senza una meta, non riuscivo a volermi bene, mi davo a tutti e tante persone ne approfittavano di me e mi facevano fare qualsiasi cosa perché nelle condizioni in cui ero non ero in grado di distinguere il bene dal male e quindi non sapevo dire no! – ha raccontato Sara nel comunicato - . Soffrivo di bipolarismo e stavo ancora peggio perché la patologia veniva accentuata dall’uso di droghe, alcol e psicofarmaci”. “Ricordo quella notte a Milano di qualche anno fa, ero scappata da Terni ed ero finita in casa con degli alcolizzati e dei tossicodipendenti, ho rischiato di morire! – ha rivelato la showgirl, che ha ammesso di essersi salvata grazie all’intervento dei genitori - . Per grazia di Dio la mia famiglia è corsa a prendermi per i capelli, mi hanno fatta ricoverare e mi hanno salvato la vita”. Ad oggi, Sara Tommasi racconta di aver cambiato vitafacendo sport, curandosi e mangiando in modo sano, e chiede che Barbara d’Urso la ospiti in tv per parlare della sua storia senza filtri. “Economicamente non sto male, quando facevo televisione e guadagnavo tanto ho fatto la formica e ho comprato delle case – ha fatto sapere - ,vorrei lavorare solo per una mia gratificazione personale e perché mi manca molto il contatto con i miei fans, per strada la gente mi ferma e mi ama, vorrei tornare a fare il mio lavoro di showgirl, non chiedo altro!”.
SARA TOMMASI IS BACK. Nicole Persico per “Spy” il 15 giugno 2019. Il passato di Sara Tommasi, si può dividere in due vite, tanto distanti l’una dall’altra che sembra quasi appartenere a due donne diverse. La prima Sara, giovane bella, che seppur laureata in Economia e Commercio in Bocconi sceglie il mondo dello spettacolo e non quello dei numeri. Miss Italia la fa conoscere al grande pubblico e la porta via via a partecipare in vari show, in qualità di valletta, paperetta, schedina per poi ritrovarla come naufraga alla quarta edizione dell’Isola dei Famosi. La seconda Sara ci stupisce per i suoi eccessi e scandali, in balia degli eventi tra frasi sconnesse, manie persecutorie, film porno e amori distruttivi. Oggi a trentotto anni, è tornata alla vita e si appresta a diventare mamma lasciandosi il passato alle spalle e riprendendo in mano la sua vita interrotta per una discesa verso l’inferno.
Domanda. Sara, come si sente oggi?
Risposta. «Dopo molto tempo sto bene. Ho fatto un lungo percorso medico riabilitativo di psicoterapia, dopo avermi diagnosticato una sindrome bipolare mi sono stati somministrati molti medicinali. Posso dire che sto tornando ad essere la ragazza spensierata dell’inizio della mia carriera. Non mi sembra quasi vero!».
D. Continua a curarsi?
R. «Anche se il medico mi ha consigliato di continuare la cura farmacologica, io in questo momento preferisco curarmi con prodotti naturali per paura degli effetti collaterali».
D. Questa scelta è stata fatta perché è in dolce attesa?
R. «Speriamo di sì. Non vorrei parlarne per scaramanzia».
D. In che senso, speriamo?
R. «Ho preso molti farmaci e ho paura che qualche cosa possa andare storto…».
D. Cosa si ricorda del periodo in cui gli eccessi facevano parte della sua quotidianità?
R. «Le cose che ho fatto in questi ultimi anni non mi appartengono, se fossi stata in me non avrei fatto nulla di quello che avete visto. Non ero io e non ricordo nulla di quel periodo buio durato quattro anni. Non parlavo bene, non mi ricordavo le frasi e a volte non mi reggevo quasi in piedi».
D. Non pensa che alcuni uomini si siano approfittati di lei? Ad esempio Diprè che lei stessa aveva annunciato di voler sposare?
R. «Sicuramente sì. Ero fragile, incosciente, stavo male e non mi curavo. Era sotto lo sguardo di tutti che fossi una persona malata. Nessuno nei miei confronti ha avuto buon senso. Mi hanno abbandonato in situazioni molto brutte e io non ero in grado di difendermi».
D. Chi le è stato vicino?
R. «Mia madre, che non mi ha mai abbandonato anche quando ero quella persona orribile. Per il resto quasi nessuno. Si sono allontanati tutti».
D. Lei ha appena compiuto trentotto anni, questo compleanno segna un nuovo inizio?
R. «Non voglio più commettere gli errori del passato. Ne ho fatti troppi».
D. Accanto a lei ora c’è un nuovo amore, Angelo, come si siete conosciuti?
R. «In un ristorante, mentre ero fuori a cena con delle amiche. Era molto tempo che non mi rapportavo con un uomo. È stato il primo che mi ha fatto battere il cuore. È un ragazzo molto in gamba. Normale. Fa l’imprenditore nell’ambito delle acque naturali, stiamo insieme da quattro anni».
D. Il suo fidanzato l’ha mai giudicata per il suo passato?
R. «Spesso litighiamo. Per lui è difficile comprendere fino in fondo che le mie scelte passate. Sono state fatte in situazioni in cui non stavo bene ero un’altra persona ma, ogni giorno lui mi è accanto».
D. Come trascorre la sua giornata?
R. «Le mie giornate trascorrono in maniera tranquilla, nella mia casetta di Terni, dove vivo con Angelo. Cucino, lavo, stiro, guardo la televisione».
D. Quando esce di casa, la persone come si rapportano a lei?
R. «Non bene. Tutti hanno guardato o visto i miei video e le critiche, le battutine, le avance anche moleste sono all’ordine del giorno. Sto facendo una battaglia legale per ottenere il diritto all’oblio, ma non è facile… non si finisce mai. È dura. Il mio passato è troppo forte. Ho dovuto anche smettere di andare in palestra…».
D. C’è stato un momento in cui ha pensato di non farcela?
R. «Sì».
D. Sì?
R. «Ho un nuovo progetto lavorativo che mi porterebbe lontano dall’Italia. L’idea è quella d’andare a Los Angeles dove potrei allontanare definitivamente il mio passato e ricominciare tutto da capo».
D. Il suo fidanzato appoggia questa scelta?
R. «Sì perché sa quali sono i miei desideri più profondi».
D. Sara, siamo sicuri che si sposa davvero? Anche perché di Mark Caltagirone ne basta e avanza uno…
Alberto Dandolo per Dagospia il 15 giugno 2019. Se Pamelona Prati con la complicità delle sue agenti ha creato il mito del matrimonio perfetto con un uomo che non c è, diventando mamma e moglie senza uno straccio di marito e di prole, c'è un'altra storiella che puzza di "caltagironata" ad uso e consumo dei media! E' una storia di provincia. Una storia paesana. Raffazzonata e precaria. Purtroppo investe una ragazza che non avrebbe più bisogno di tristi esposizioni e strumentalizzazioni : trattatasi di Sara Tommasi e della sua presunta gravidanza urlata urbi et orbi dalla sua nuova agente e manager Debora Cattoni. Anche Saretta, come Pamela, avrebbe un uomo misterioso che l'avrebbe però ingravidata: tal Angelo, 46 anni attivo come imprenditore nelle acque minerali. Ma perché l'annuncio ai media della gravidanza di Sara viene dato strombazzante da questa signorina che da mesi è attaccata alla showgirl come Eliana e Pamela lo furono con la Prati? Chi è questa Debora senza H? Ecco la sua surreale biografia :"Ha avviato la sua carriera spinta da un amore grande per il cinema e infatti il suo sogno, fin da bambina, era proprio quello di diventare un’attrice famosa ma lei, Debora Cattoni il successo lo ha comunque raggiunto nel mondo dello spettacolo seppur dietro le quinte e occupandosi di eventi, di moda e di management ed ora vi sveliamo tutto quello che c'è da sapere su di lei. Dalla biografia agli esordi passando per la vita privata a inedite curiosità, alla scoperta di una donna che si è creata da sola, Debora Cattoni.
Debora Cattoni è nata a Perugia il 20 ottobre del 1981 sotto il segno zodiacale della Bilancia. Amante del cinema ha avviato presto la sua carriera di attrice ma nel tempo le sue passioni hanno trovato maggior riscontro lavorando dietro le quinte dello star system italiano. Debora inoltre ha trasformato anche la sua grande amicizia con Sara Tommasiin un brillante rapporto di lavoro ed oggi infatti ne è la manager.
Debora Cattoni: vita privata. Debora Cattoni è un personaggio molto seguito sul web, la sua pagina Instagram vanta oltre 50 mila followers eppure sulla sua vita privata si conosce davvero ben poco. Sul web è la stessa a non far trapelare nulla della sua sfera sentimentale ma ama invece condividere con il suo pubblico molti scatti inerenti la sua professione e i suoi traguardi. Debora Cattoni: ma lo sapevate che...
I suoi genitori sono divorziati;
Ha interpretato piccoli ruoli in alcune produzioni e tra queste anche la fiction tv Carabinieri;
E' direttrice del Magazine Selfie Made Girl;
Ha la passione per le macchine sportive;
Ama molto viaggiare;
Ha partecipato ai Casting del Grande Fratello 13;
In futuro le piacerebbe lavorare con Johnny Depp. Debora è diventata l'ombra di Sara. La segue nel privato e nel pubblico. Saretta già qualche mese fa in una surreale diretta in una radio locale annunciava imminenti novità mediatiche che la riguardavano e che sarebbero state comunicate dalla sua agente, amica, manager Deborah. Inoltre la Cattoni in questi mesi non si è risparmiata nell'annunciare l'imminente ingresso ad Hollywood di Sara. Ora la gravidanza e il misterioso fidanzato della Tommasi nonché presunto padre del presunto bebè. Che Debora senza la H stia emulando da comunicatrice il caso Pratiful adattandolo alla fragile Tommasi? Ah, NON saperlo...
· Piera Degli Esposti.
Piera Degli Esposti: «Quando con mia mamma ci dividevamo l’amante...» Pubblicato domenica, 30 giugno 2019 da Emilia Costantini su Corriere.it. «Ogni volta che la vedevo saltare in sella alla bicicletta, venivo assalita dall’ansia e correvo fuori a cercarla». Piera Degli Esposti parla della madre con tenerezza, come fosse sua figlia. Una famiglia complicata la sua, raccontata in Storia di Piera e poi nel film di Marco Ferreri: il padre sindacalista, la mamma segretaria di un avvocato, ma con grossi problemi sotto il profilo sessuale; un fratello più piccolo, una sorellastra e un fratellastro molto più grandi. «Ho avuto il coraggio di non vergognarmi della figura estrema, dal punto di vista sessuale, di mia madre. Un personaggio che è stato al centro delle mie paure».
Quali?
«La paura della gente che spettegolava dietro le spalle, la paura dei commenti di una città, Bologna, che era pur sempre cattocomunista. La paura di sentire le critiche, di uscire dalla porta di casa, ben sapendo che mia madre era già fuori da ore. Ero terrorizzata e credo che questo stato d’animo me lo abbia fatto passare il teatro e la terapia psicoanalitica».
A che età ha scoperto gli eccessi di sua madre?
«Ho scoperto la sua ninfomania intorno ai 12 anni, sfogliando, di nascosto, un album di foto che le apparteneva: erano foto artistiche, ma erotiche, molto spinte. E un giorno l’apostrofai con tono provocatorio: ho trovato il tuo album...».
Lei si arrabbiò?
«No! Mi guardò fissa e mi rispose: ti sei emozionata? Mi parlava come a un’amica coetanea e così, senza volerlo, iniziai con lei un rapporto confidenziale. Spesso spariva a notte fonda oppure il giorno andava in campagna dove si intratteneva con certi contadini e io, che poi la seguivo, andavo da quegli uomini a fare la Sherlock Holmes della situazione, li interrogavo con domande imbarazzanti».
E loro rispondevano a una ragazzina?
«Certo! Mi dicevano: tua madre non fa niente di male, dà via del suo, non toglie niente agli altri... A un certo punto, mia madre ed io cominciammo a uscire insieme, a scambiarci confidenze su questo o quell’uomo, soprattutto quelli più giovani di lei. Non l’ho mai trovata a letto con qualcuno, ma tra noi ci fu lo scambio di un amante: era un ragazzo che con me si limitava a bacini e carezze, poi andava da lei per consumare il rapporto carnale. Tuttavia la nuova complicità riservata che era nata tra madre e figlia mi rassicurava, non ero più costretta a rincorrerla quando scappava in bici: potevo tenerla sotto controllo».
E suo padre?
«Ne soffriva tanto e io soffrivo della sua sofferenza, ero gelosa del loro legame perché, come tutte le figlie femmine, volevo che amasse me e non la mamma: io ero giudiziosa, lei non lo era però dominava i suoi pensieri di uomo, mentre io, evidentemente, non ero il suo tipo... Oltretutto, a causa della condotta della moglie venne trasferito dal partito, da Bologna a Verona: una donna che si comportava in quel modo non si addiceva a un sindacalista serio e impegnato. Ricordo la frase che papà scrisse in quell’occasione: “Apprendo dai giornali il mio trasferimento in Veneto! Una decisione che appartiene a una mentalità pressapochista e pasticciona, da cui mi terrò ben lontano”».
Dunque suo padre difendeva sua madre...
«Lui difendeva il proprio ruolo di capofamiglia e non sopportava l’idea di lasciare a casa una figlia di 14 anni, io, a governare l’andamento casalingo. Papà era innamorato di mia madre, era convinto che si sarebbe pentita del suo sconsiderato comportamento».
Invece finì in manicomio...
«Avrò avuto 17-18 anni. Ricordo con dolore quando vennero a prenderla: apriva il finestrino dell’auto e urlava: «Mi portano in manicomio!». Prese a schiaffi anche me, che aspettavo nel corridoio dell’ospedale mentre subiva l’elettroshock: l’ho molto amata, però non so quanto ricambiasse il mio sentimento. Era una donna che non voleva conquistare, non era narcisista, nemmeno seduttiva».
E la vecchiaia di suo padre?
«Altrettanto dolorosa: gli andava via la memoria e venne ricoverato in un istituto, dove a quei tempi legavano le persone».
Finalmente è arrivato il teatro a tirarla fuori dal caos familiare.
«Direi salvifico, anche se all’inizio la mia è stata una strada tutta in salita: volevo entrare in Accademia d’Arte Drammatica Silvio d’Amico, ma fui bocciata ai provini, perché avevo un modo diverso di muovere il corpo, di parlare, di gesticolare, che contrastava con la compostezza in scena degli attori dell’epoca. Piacevo solo a due insegnanti, Sergio Tofano e a Giorgio Bassani che cercavano di aiutarmi. D’altronde pure il mio percorso scolastico precedente era stato scombinato. Da ragazzina frequentavo la stessa scuola di Lucio Dalla, ma in classi differenti: ero un’insicura e arrivai fino alla quinta elementare, poi continuai a studiare con mio padre a casa. Insomma, sono stata una diversa in tutto».
Finché qualcuno si accorse della sua diversità: il regista Antonio Calenda.
«Mi accolse nel suo teatro sperimentale dei 101, era una cantina, una fucina dove sono nati personaggi come Gigi Proietti, Francesca Benedetti, Virginio Gazzolo... Il mio debutto fu in un ruolo maschile: interpretavo un marinaio in 10 minuti a Buffalo. Una sera era seduto in platea Giorgio de Chirico e, dopo lo spettacolo, volle conoscermi per complimentarsi. Mi disse sei stato molto bravo, mi aveva preso per un maschio. Io mi tolsi il berretto, rispondendogli: maestro, io sono una femmina. E lui, senza scomporsi, né meravigliarsi, ribatté: bravo lo stesso!».
Un altro suo illustre spettatore fu Eduardo De Filippo.
«Quando seppi che sarebbe venuto ad assistere alla mia Molly cara, ero preoccupata, non mi sentivo sufficientemente preparata, temevo il suo giudizio. Invece poi ebbe per me parole meravigliose: “Chista è o verbo nuovo”».
Quella volta con Pier Paolo Pasolini?
«Mi fece fare un provino per impersonare l’ancella di Maria Callas nella “Medea”. Quando arrivai nel suo studio, vedo una gigantografia della mia faccia: rimasi sorpresa! Pasolini, capendo la mia sorpresa, mi spiegò che gli piaceva la mia faccia: non hai la faccia da attrice, disse... Lì per lì mi prese un colpo. Pensai: allora non riuscirò mai a fare l’attrice... poi mi spiegarono che il suo era un complimento».
Un piccolo ruolo, ma vicino alla Divina Callas...
«Certo. Ma i ruspanti borgatari che affollavano il set di Pier Paolo non sapevano chi fosse! Dicevano : ma chi è quella co’ quer nasone? Forse l’amante del produttore, per questo fa la protagonista! Poi, su qualche settimanale, videro le foto della Callas con Onassis: lo chiamavano “il greco” ed erano convinti che la grandezza di quella col nasone dipendesse dal fatto di essere fidanzata col greco».
Non solo teatro, cinema... anche tanti amori e una cotta per Robert Mitchum.
«Sì, di amori ne ho avuti, e alcuni molto più giovani di me: ciò che mi attirava in loro era la forza vitale, mentre loro erano attirati dal mio microcosmo, umano e artistico, che desideravano esplorare. Mitchum fu un caso a parte: all’epoca molto più grande di me, eppure dotato di un fascino straordinario. Ero talmente attratta da quell’attore, che gli scrissi una lettera: naturalmente non l’avrebbe mai ricevuta, se non fosse accaduto che la mia amica Lina Wertmüller riuscì ad averlo ospite a Roma e, sapendo della mia cotta, mi invitò a cena a casa. Sulle prime, pensai a uno scherzo di Lina, invece era proprio vero! Vederlo seduto di fronte a me in salotto e provare nel petto un terremoto fu tutt’uno. Gli lessi la mia lettera, tradotta simultaneamente da un’interprete. Lui ascoltava e sorrideva divertito dalle mie parole. Alla fine ci prendemmo mano nella mano e ci baciammo: un bacio vero... Il mio sogno si era realizzato».
I più cari amici?
«Dacia Maraini, una sorella: la conobbi nella “Casa della donna” in via del Governo Vecchio a Roma, al tempo del femminismo, e a lei raccontai la mia storia familiare, che poi divenne Storia di Piera. Grazie a Dacia, conobbi Alberto Moravia: all’inizio mi sembrava un tipo brontolone, invece era un ragazzo scapestrato. Ricordo le vacanze trascorse insieme a Sabaudia: un trio perfetto, facevamo a turno chi doveva cucinare».
I sogni irrealizzati? Gli errori commessi?
«Aver detto no a Giorgio Strehler. Un grande maestro che mi aveva molto apprezzato per la mia “Molly”, tanto da soprannominarmi Mollyna. Mi voleva nel Temporale di Strindberg, ma temevo che non avrebbe approvato il mio metodo di recitazione e rinunciai all’offerta: un rifiuto che fece scandalo nell’ambiente, nessuno poteva credere che avessi detto no a un mago della scena. Strehler mi spaventava, temevo che non avrei avuto il coraggio di oppormi alle sue indicazioni registiche».
Un sogno ancora da realizzare?
«Mi piacerebbe impersonare un commissario in qualche giallo. Il mio viso scavato sarebbe adatto, per esempio, ad Agatha Christie: che ne dite di Miss Marple? Adesso, però, reciterò muta e su una sedia a rotelle nella prossima fiction Rai di Giacomo Campiotti, Ognuno è perfetto: bella sfida per un’attrice».
· Justine Mattera ed i colpi di culo…
Justine Mattera confessa: "Per la foto nuda, mio marito si è arrabbiato". Ospite di Pomeriggio Cinque, Justine Mattera racconta che il marito si è arrabbiato per le foto nuda postate sui social, quindi ha deciso di limitarsi. Luana Rosato, Venerdì 22/11/2019, su Il Giornale. Le foto sexy postate sui social da Justine Mattera hanno sempre fatto molto discutere e la showgirl, ospite di Pomeriggio Cinque, ha confermato che tra lei e il marito ci sono stati dei litigi proprio a causa degli scatti osè condivisi su Instagram. Accomodatasi nel salotto pomeridiano di Barbara d’Urso, la Mattera ha rivisto alcune dellefoto incriminate passate in rassegna durante un video introduttivo e, ancor prima di confrontarsi con gli opinionisti del parterre di Canale 5, ha ammesso: “Ho litigato con mio marito. Aveva ragione, mi sono resa conto che magari nei suoi confronti, più che altro per i suoi amici, non era bello. Per rispetto nei suoi confronti, ho deciso di limitarmi”. Justine, dunque, conferma che alcuni degli scatti senza veli che ha realizzato insieme a fotografi professionisti hanno molto infastidito il marito, l’imprenditore Fabrizio Cassata. La Mattera, però, ha continuato a giustificare le foto nuda ribadendo di averle sempre fatte in quanto fanno parte del suo mestiere. “Io sono una showgirl, sono coerente – ha sottolineato lei - . Ho fatto le prime foto nuda su Playboy nel 1993 quando ancora non c’erano i social”. Sostenuta da Serena Garitta, ex gieffina e oggi opinionista della d’Urso, la Mattera si è mostrata in accordo con il fatto che le donne, spesso, si limitano perché gli uomini dicono loro cosa fare, ma ad opporsi a questo pensiero ci ha pensato Karina Cascella. “Si può essere se stesse anche con le mutande – ha ribattuto quest’ultima, riferendosi ad uno degli ultimi scatti in cui Justine si mostra completamente nuda sul divano - .Un conto è la foto sexy, un conto è la foto nuda”. “Non sono selfie fatti a caso, io sono stata pagata per fare queste foto – ha precisato l’americana - .In questo scatto aveva la mutanda, ma è stata tolta con Photoshop”. “Lavoro più che altro come testimonial sportiva, questo corpo non è frutto della chirurgia, ma mi faccio un cu.. così – ha continuato a spiegare la Mattera che, ancora attaccata dagli opinionisti, ha sbottato - .Sui social siamo tutti esibizionisti: c’è chi fa vedere il figlio, chi la casa, chi il corpo!”. A chiudere il dibattito ci ha pensato, quindi, Barbara d’Urso: “Il fatto che lei si fotografi nuda non vuol dire che sia una ragazza poco buona, ci sono tantissime che si fotografano vestite e con il maglione a collo alto, ma sono terribili”.
Justine Mattera, confessione bollente: "Ogni tanto io...", come fa impazzire il marito, scrive l'1 Marzo 2019 Libero Quotidiano. Justine Mattera, la showgirl americana scatenatissima su Instagram, è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format I Lunatici, condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta ogni notte dall'1.30 alle 6.00 del mattino. Ricorda il suo primo marito, il defunto Paolo Limiti: "Paolo era un grandissimo, aveva una grandissima conoscenza, una passione che trasmetteva molto abilmente al pubblico, ipnotizzava la gente. Quando l'ho conosciuto camminavo su Corso Sempione a Milano, ero con un fotografo che era suo amico. Mi diceva che sarei stata perfetta per lui, perché Paolo stava per fare un programma in Rai. E' stato un colpo di culo, lui mi ha visto e ha detto che sarei stata la sua valletta, perché ero uguale a Marilyn".
Parlando della sua attrazione per Limiti, dice: "L'amore? Io sono molto affascinata dall'intelligenza, dalle persone molto più grandi di me. Subisco il fascino degli intellettuali anziani. Lui mi aveva veramente stregata, con il suo carisma, con la sua sapienza, con i suoi racconti. Mi ha fatto innamorare con queste qualità, anche se so che tanta gente pensa che non sia vero. Lui non voleva figli, io sì. Lui voleva andare ad Alassio, io invece a Mykonos. Alla fine la differenza d'età era troppa, non ha funzionato. Ma siamo sempre rimasto molto amici. Era divertentissimo, ci facevamo delle grandi risate". Justine Mattera, poi, ha parlato del suo rapporto con i social: "Instagram? C'è qualcuno che mi chiede foto di piedi, o addirittura che vorrebbe vedere i capezzoli. Provo a essere diplomatica, ma non lo sono per niente. Instagram mi ha fatto rivalutare, mi ha dato un modo fantastico per lavorare tanto di più, mi ha fatto tornare in voga, stranamente, a 45 anni. Mi sono scoperta un'abile modella. Servono creatività e strategia, sono riuscita a fare un profilo che fa capire chi sono io davvero. Ironica, passionale. Ma anche molto professionale. Le foto sono sempre molto professionali. Ho una nuova vita da atleta, mai avrei pensato che a quasi 50 anni mi avrebbero pagato per correre, nuotare e andare in bici. Mi alleno ogni giorno, tranne che nel weekend". Sulla gelosia del marito: "E' molto geloso, recentemente abbiamo molto discusso, ha degli amici che fanno dei commenti e posso capire che diano fastidio. Così abbiamo fatto un compromesso, non esagero più di tanto, abbiamo fatto il compromesso degli slip, poi ho provato a dimenticarmene". "Non posso fare a meno del sesso", conclude.
Da I Lunatici Radio2 il 12 ottobre 2019. Justine Mattera è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino. La Mattera ha parlato un po' di sé: "Provo a fare cose diverse, provo a evolvere, a fare delle foto interessanti. La gelosia di mio marito? Ormai siamo arrivati a un punto in cui si rende conto che fare certe foto sui social per me è un lavoro. Sono foto professionali, belle, non c'è niente di male. Sono stati i suoi amici a dirgli di pensare a cosa avrei potuto fare dietro le quinte di quelle foto. Cavolate. Loro avrebbero voluto essere dietro le quinte con me. E' gente che parla quando non ha idea di quello che succede. Quello per me è un lavoro. Divertente, per carità, ma lavoro. Fatto con gente brava e professionale. Faccio sport, voglio vivere bene, essere sicura di me. Lo sport ti dà tanta sicurezza". Justine Mattera ha aggiunto: "Il mio rapporto con le donne? Alcune non mi capiscono, all'improvviso tendono a pensare che io sia una ruba mariti, ma poi sono molto alla mano, sono una simpaticona, quando mi conoscono capiscono che sono veramente pro-donna. Il messaggio che voglio mandare è che lo sport fa bene. Ti fa sentire meglio. Io ho 48 anni. Mi faccio un sedere così, e ecco il mio sedere. Tutto naturale. Non c'è trucco. Gli haters? Se uno esagera cancello il commento e la persona, se le critiche sono nei limiti mi faccio una risata. Una volta mi è capitato di conoscere di persona uno che mi aveva insultato. Quando mi sono presentata si è fatto piccolo piccolo. La televisione? Aspetto qualcuno che abbia il coraggio di darmi lo spazio che merito". La Mattera, poi, ha parlato del suo primo bacio: "Avevo cinque anni, ho portato questo ragazzino nel guardaroba per dargli il primo bacetto. Ero precoce. La maestra ci ha beccato e separato. Eravamo a scuola, negli Stati Uniti. Era il 1976".
Maurizio Caverzan per “la Verità” il 30 giugno 2019. In principio fu la somiglianza con Marilyn Monroe. Poi i social e ora il triathlon, ultima scoperta di Justine Mattera, showgirl americana con doppia laurea, testimonial del marchio Colnago, «la Ferrari delle biciclette». Nata a New York nel 1971, arriva a Firenze nel 1994. Dopo il breve matrimonio con Paolo Limiti, nel 2009 sposa l' imprenditore Fabrizio Cassata, da cui ha due figli. Il suo profilo Instagram scintilla di provocazioni. Ci incontriamo in uno degli atelier milanesi di Aldo Coppola, in una pausa del trattamento prima di un servizio fotografico.
Perché il triathlon?
«Sono sempre stata una persona sportiva. Da bambina ho praticato nuoto agonistico per 11 anni. All' università mi sono dedicata al nuoto sincronizzato e alla corsa. Nel 2016 Mediaset mi ha proposto di partecipare a Oltre il limite e mi sono iscritta alla mezza maratona di Memphis classificandomi 35ª quasi senza allenamento. In quel periodo conducevo su Bike channel In viaggio con Justine, un programma per godere il paesaggio, l' arte e la cucina italiana. Quando un' azienda di biciclette mi ha proposto il triathlon ho pensato: il nuoto ce l' ho, la bici anche, adesso ho recuperato la corsa... Così mi sono iscritta a una gara di sprint triathlon».
Sprint?
«Sì, le gare più corte: 750 metri di nuoto, 20 chilometri di ciclismo e 5 di corsa. Gareggio per la Dds (Dimensione dello sport, ndr) dell' ex nuotatore Luca Sacchi».
Fatica pura.
«Proprio questo mi ha affascinato. Si vedono tante ragazze correre, poi c' è una campionessa di nuoto come Federica Pellegrini. Invece, si vedono poche donne in bicicletta. Se fossi riuscita a mettere insieme le tre discipline, sarebbe stato un bel colpo, anche mediatico».
Ma la fatica?
«Affrontarla e superarla realizza di più. È soprattutto una questione di testa».
In che senso?
«Sono una persona determinata, che non si arrende. Chi pratica il triathlon si prepara in modo meticoloso, si alimenta bene, si sente un po' superman».
Quale disciplina preferisce?
«Il nuoto perché lo pratico da sempre. Ho fatto anche i campionati americani di salvataggio in spiaggia».
Predilige il nuoto, ma nelle foto la si vede molto in bici.
«È un misto di tutto. Ma forse un po' sì Nel ciclismo ci sono più soldi per le sponsorizzazioni. La Colnago è molto professionale».
Ha anche i figli ciclisti.
«Gareggiano per la Ciclistica Biringhello di Rho. Credo molto nello sport, in America è un fatto di cultura, le scuole premiano gli atleti. Nel college vedevo tanti ragazzi prepararsi alle Olimpiadi».
Sport, scuola di vita.
«Scuola di costanza, determinazione, accettazione della sofferenza, educazione a rialzarsi dopo le cadute».
Come le è accaduto di recente: abbiamo visto le foto con le bende.
«Ero al Giro d' Italia con i clienti di Banca Mediolanum. Si fanno le cosiddette "pedalate", tappe più corte ma con lo stesso traguardo dei professionisti. Francesco Moser voleva mostrarmi il cambio all' americana che si fa in pista agganciando il compagno e lanciandolo con una spinta. L' abbiamo fatto senza un briefing precedente e così sono ruzzolata».
La sua settimana sportiva tipo?
«Nuoto due volte la settimana la mattina dalle 7 alle 8,30 o la sera dalle 21 alle 22,30. Altre due volte vado a correre al parco di Trenno o sulla Montagnetta di San Siro. Per la bici mi alleno o con i miei figli che vanno come schegge o esco con il coach Simone Diamantini».
È vero amore o business?
«È iniziata come una passione. Ma cosa c' è di meglio nel trasformare la passione in business? Tanti mi dicono che sono vecchia. È vero, ho cominciato a 46 anni, ma la costanza premia sempre. E poi non ho mica l' obbligo di vincere. Mi piacerebbe arrivare a fare mezzo Ironman: 90 km in bici, 1,5 di nuoto, 21 di corsa».
Marilyn Monroe avrebbe amato il triathlon?
(Ride). «Forse sì. Ho visto le sue foto mentre fa i pesi. Teneva molto al suo fisico, seguiva una dieta proteica. Forse beveva un po' troppo per essere un' atleta. Il triathlon l' avrebbe aiutata a superare la sua fragilità».
Marilyn, i social, il triathlon: il senso di Justine per il business?
(Sorride). «È un' evoluzione naturale. Non sono nata né ballerina né cantante, ma ho sfruttato la predisposizione di ragazza newyorchese. I miei genitori non erano benestanti.
Ho vinto la borsa di studio anche se non stavo molto sui libri, ma con la memoria fotografica vedevo le pagine nella testa».
A cosa le servono le due lauree?
«La cultura dà la capacita d' interpretare quello che stai vivendo. All' inizio ho frequentato per due anni la facoltà di ingegneria meccanica, ma non mi vedevo in laboratorio di sera. Così ho optato per qualcosa che mi veniva più facile come la letteratura».
A Firenze due anni fa una studentessa americana è stata stuprata da un carabiniere.
«Io mi ero stabilita presso una famiglia nobile che risiedeva a Fiesole, ma non frequentavo gli americani perché volevo imparare bene la lingua. Le gite a Ravenna o a Praga che facevano i miei amici più agiati me le pagavo facendo la cubista in discoteca. Dove ho conosciuto il dj Joe T. Vannelli che mi ha spronato a cantare».
La fortuna arriva, ma bisogna incoraggiarla?
«Decisamente. In L' alchimista Paulo Coelho scrive che nella tua strada ci sono tanti indizi e che sta a te coglierli».
Come l' incontro con Paolo Limiti: che persona è stata per lei?
«Una persona colta, meticolosa, intelligentissima, ironica, divertente. Gli indizi: ero in Corso Sempione con un fotografo suo amico quando lui esce dalla Rai, casualmente. Ci salutiamo e lui dice che sta cercando una valletta per un nuovo programma. Io avevo un disco al secondo posto in classifica e volevo tornare in America. Al provino in Rai ci sono tante raccomandate, ma lui punta su di me, stregato dalla somiglianza con Marilyn.
Ero una valletta, niente di più. Poi, una volta che Minnie Minoprio doveva cantare con Fred Bongusto quella canzone "Quando mi dici così", ma ebbe un incidente, Paolo mi chiese di sostituirla. Non era difficile, anche se a un certo punto il microfono mi stava cadendo. Lo afferrai al volo e risultò un gesto studiato. Fu la svolta, Paolo mi assegnò a un' insegnante di danza e da valletta diventai showgirl».
Perché, dopo averlo sposato, non andò al suo funerale?
«Chi dice che non ci andai, qualcuno ha filmato tutti i presenti? Certo, non mi sono messa a piangere in prima fila. Ero dietro, l'ho guardato e sono andata via, ero l' ex moglie, non la vedova. Forse ho sbagliato, ma anche se non fossi andata sarebbero cavoli miei».
Quanto è difficile gestirsi per una bella donna?
«È difficile essere prese sul serio. Se non sei furba puoi non capire il potere che hai. Se usata bene la bellezza può portarti a qualsiasi livello».
Anche a essere l'amante del presidente degli Stati Uniti.
«Anche. Però, come abbiamo visto, non è detto che sia una gran fortuna».
C'è troppa brutalità maschile in giro?
«Penso ci sia anche una certa responsabilità delle donne in alcuni fatti. Gli uomini sbagliano a etichettare la bellezza come qualcosa di a sé stante: una donna bella è inevitabilmente oca. Ma è una situazione che può rivelarsi vantaggiosa perché se fai qualcosa di buono stupisci. Meglio essere una rivelazione che una delusione».
Come si difende dai corteggiamenti troppo invadenti?
«Dicendo di no. Anche a costo di perdere la parte in un film o in una fiction. O di non lavorare più per una tv».
Quale? Può essere più precisa?
«Preferirei di no, ho scelto di fare la mia strada, anche se è più in salita. Il corpo non è un cambio merce».
Cosa pensa del Me too?
«Sono felice che stia diminuendo il ricatto dell'uomo potente sulle donne. Però non mi piace che la caccia al molestatore spunti vent' anni dopo. Perché non l' hanno svelato subito? Personalmente ho detto subito di no».
Che idea ha del femminismo?
«Penso di essermi comportata da femminista quando a 17 anni sono uscita di casa con una borsa di studio. E di esserlo anche ora usando con intelligenza il mio corpo. Penso che, a parità di prestazioni, le donne dovrebbero essere pagate come gli uomini. Uomo e donna hanno corpi e testa diversi. Femminismo non è vestirsi da uomo, con i capelli corti e senza trucco».
Ha seguito la Nazionale femminile di calcio?
«Mi ha entusiasmato, può essere di esempio anche per il ciclismo femminile. Lo sport è sempre un messaggio semplice e libero».
Se non entra anche lì la politica: le mostro il tweet di Monica Cirinnà dopo la vittoria della Cina.
«Non l' avevo visto... Lo usano per difendere il mondo Lgbt Non approvo queste strumentalizzazioni».
Ha abbandonato la carriera di attrice e showgirl?
«Valuto le offerte. Ormai il varietà è in declino e le parti con personaggi con l' accento americano sono poche. Forse a teatro ci sono più possibilità. Ho un' idea per una commedia brillante».
Riguardando le sue foto è comprensibile la gelosia di suo marito?
«Quando mi ha sposato sapeva che ero così. Non c' erano i social, ma avevo già fatto i servizi su Playboy. E poi sono una madre e una moglie molto presente».
Il suo profilo Instagram è terrorismo sugli uomini?
«Addirittura. Vuol essere l' inno alla femminilità di una donna completa che fa le gare di sport ma è anche passionale. Instagram permette di essere editori di sé stessi. Mostri ciò che fai a 360 gradi ma anche a 90 (ride). Mi piace provocare la gente».
Segue la politica?
«Leggo i giornali, ma per me la politica italiana è misteriosa».
Nella vita pubblica c'è qualcuno che la incuriosisce?
«Matteo Salvini, in un certo senso. Sono figlia di emigranti di terza generazione. I miei bisnonni arrivarono a Ellis Island nel 1908 con la valigia di cartone. Mi incuriosisce anche Donald Trump, che da democratica non ho votato. Salvini è un personaggio forte, voglio capire dove vuole portarci, anche se d'istinto la vedo diversamente».
Siamo in estate, esprima un desiderio.
«Essere felice domani come lo sono oggi. E poi chissà, magari una serie su Netflix di tante stagioni. O una vittoria sportiva prestigiosa».
Justine Mattera: “Mio marito è molto geloso. Paolo Limiti? È stato un colpo di culo, vi spiego…”, scrive brevenews.com l'1 marzo 2019. Justine Mattera si racconta ai microfoni del format “I Lunatici”, in onda su Rai Radio 2: L’approdo in Italia e Paolo Limiti. Justine Mattera è tornata sulle due cose che le hanno cambiato la vita: “Ho fatto anni in discoteca, mentre studiavo all’università facevo la cubista. Da lì ho fatto il primo disco con un deejay che mi ha scoperta mentre ballavo sotto le sue casse. Poi ho conosciuto Paolo Limiti e ho iniziato a ingrandire il mio repertorio”, esordisce la showgirl statunitense che ricorda con affetto Limiti: “Era un grandissimo, aveva una grandissima conoscenza, una passione che trasmetteva sapeva trasmettere al pubblico. Quando l’ho conosciuto camminavo su Corso Sempione a Milano, ero con un fotografo che era suo amico. Mi diceva che sarei stata perfetta per lui: in quel periodo stava per fare un programma in Rai”. Tutto ebbe inizio da lì, insomma. Justine Mattera racconta gli esordi: “E’ stato un colpo di culo, lui mi ha visto e ha detto che sarei stata la sua valletta, perché ero uguale a Marilyn. Io pensavo di tornare negli Stati Uniti, invece feci questo provino. All’inizio mi avevano truccato male, lui si arrabbiò, mi fece ritruccare, e impazzì. Disse che senza l’americana non avrebbe fatto il programma. C’erano mille raccomandate, ma con questa somiglianza lui decise che il programma l’avrei dovuto fare io. L’amore? Io sono molto affascinata dall’intelligenza, dalle persone molto più grandi di me. Subisco il fascino degli intellettuali anziani. Lui mi aveva veramente stregata, con il suo carisma, con la sua sapienza, con i suoi racconti. Mi ha fatto innamorare con queste qualità, anche se so che tanta gente pensa che non sia vero. Lui non voleva figli, io sì. Lui voleva andare ad Alassio, io invece a Mykonos. Alla fine la differenza d’età era troppa, non ha funzionato. Ma siamo sempre rimasto molto amici. Era divertentissimo, ci facevamo delle grandi risate”. Justine Mattera e i social, la showgirl spiega il suo rapporto con la tecnologia: “Su Instagram c’è qualcuno che mi chiede foto di piedi, o addirittura che vorrebbe vedere i capezzoli. Provo a essere diplomatica, ma non lo sono per niente. Instagram mi ha fatto rivalutare, mi ha dato un modo fantastico per lavorare tanto di più, mi ha fatto tornare in voga, stranamente, a 45 anni. Mi sono scoperta un’abile modella. Servono creatività e strategia, sono riuscita a fare un profilo che fa capire chi sono io davvero. Ironica, passionale. Ma anche molto professionale. Le foto sono sempre molto professionali. Ho una nuova vita da atleta, mai avrei pensato che a quasi 50 anni mi avrebbero pagato per correre, nuotare e andare in bici. Mi alleno ogni giorno, tranne che nel weekend. Adoro mangiare, anche se non si direbbe. Sono una buongustaia. Mi piace mangiare e bere, non voglio limitarmi troppo”.
Su Donald Trump: “Non l’ho votato, fa un sacco di gaffes, spero che quando arrivino le elezioni esca di scena. Ha fatto anche delle piccole cose buone, ma per il resto lo trovo spesso molto imbarazzante”. Sul marito geloso: “Lo è moltissimo, abbiamo molto discusso recentemente, ha degli amici che fanno dei commenti e posso capire che diano fastidio. Così abbiamo fatto un compromesso, non esagero più di tanto, abbiamo fatto il compromesso degli slip, poi ho provato a dimenticarmene. Sesso? Non posso farne a meno…”.
· Valentina Ruggeri: “Così George Clooney mi ha scelto..”
Valentina Ruggeri: “Così George Clooney mi ha scelto..” Maria Lucia Tangorra il 05/06/2019 su Il Giornale Off. Valentina Ruggeri: ottimista di natura, è terrorizzata dalla routine perché adora sperimentare e mettersi alla prova. Il grande pubblico l’ha conosciuta grazie a Il paradiso delle signore dove ha partecipato col trio delle Ladyvette. Ha alle sue spalle una solida formazione e tanta voglia di maturare ancora. In questi giorni è nel cast di Catch-22, la nuova serie originale Sky diretta e prodotta dal Premio Oscar George Clooney, ed è da qui che siamo partiti per la nostra chiacchierata.
Come nasce il tuo coinvolgimento?
«Mi hanno contattata per un provino su improvvisazione. Sapevo soltanto che avrei dovuto interpretare una prostituta nel ʼ43 a Roma e di dover sedurre un soldato americano – perciò era da tener conto della barriera linguistica e lì ho optato per il canto. Non immaginavo che Clooney avrebbe visto tutti i provini. Quando sono arrivata sul set, mi ha cercata e proposto di aggiungere una scena in cui cantavo a cappella nel bordello. L’ha inserita in un momento in cui è diventata realmente un pezzo strappacuore, assumendo un significato estremamente toccante e malinconico. Al contempo ho girato anche un momento molto sensuale – a seno nudo – con un giovane ufficiale inesperto. Ci hanno lasciato liberi ed è risultata una scena gioiosa e carnale. Nella serie il mio apporto è piccolo, ma funzionale e sono felice di averne fatto parte».
È un passo importante anche nella tua carriera…
«Sì è la mia produzione internazionale, in sé di grande livello e significato. Mi piace che sia ambientata in Italia ed è un progetto forte politicamente».
Puoi approfondire questo elemento?
«Il libro da cui è tratta, Comma 22 di Joseph Heller, è antimilitarista. Raccontando la vita e il momento della guerra dal punto di vista dei giovanissimi aviatori americani, emerge costantemente il paradosso della guerra. È straziante perché mentre assistevo agli episodi pensavo: sto guardando una bellissima serie però non dimentichiamoci che quei ragazzi erano nella base di Pianosa e che realmente sono morti così come gli italiani e come tanti civili. Catch-22 arriva alla pancia e l’aspetto più toccante e terribile sta nel suo mostrare il costante terrore dei ragazzi che ogni giorno temevano di morire».
È interessante vedere come Roma e quel periodo vengano raccontati dagli americani…
«Nei bordelli durante quegli anni non esisteva nessuna prostituta per scelta, farlo era l’unico modo per riuscire a mangiare e questo l’hanno voluto mostrare scegliendo delle donne popolane senza nessun tipo di allure. Sono sgualcite, sdrucite, portano abiti rovinati e devono fare i conti con la reale povertà».
Mi ha colpita il tuo riferimento alla libertà durante la lavorazione. Come mai c’è da noi ancora il tabù in merito al nudo?
«Mi sento a mio agio quando la scena richiede in maniera coerente il nudo. Se mi si chiedesse di spogliarmi a unico scopo di pruderie mi sentirei un oggetto. A livello sociale spesso la gente non guarda il senso che ha quel nudo, cosa dovrebbe provocare sul piano emotivo, ma si vanno a vedere le imperfezioni o le dimensioni. Il corpo dell’attore si presta alla trasformazione, siamo pronti a interpretare tutti gli aspetti della vita umana e sensualità e nudità ne fanno parte. È essenziale educare il pubblico a questo. Nel cinema internazionale, a parte i bellissimi e le bellissime, esiste una grande varietà di corpi. Da noi meno, non riusciamo ancora a godere della diversità sul piano fisico, si tende a mostrare un certo tipo di persona. È bello variare così come vedere le donne con le rughe, per fortuna stanno arrivando delle richieste di provini in questa direzione e mi auguro si prosegua. La parte più stimolante da raccontare è il difetto – che sia fisico o psicologico. L’intelligenza dei registi consiste anche nel riuscire a compiere delle scelte coraggiose e in controtendenza».
Nel tuo percorso professionale hai riscontrato questa apertura da parte anche dei casting?
«È un problema con cui mi sono sempre scontrata. Io non sono una bellezza canonica, ma ormai pure le giovanissime e belle hanno il timore di non essere abbastanza. Purtroppo a volte per i casting leggi: cerchiamo una persona alta 164/165cm, che pesi tra 40 e 45 chili, senza guardare cosa possa restituire un attore. Non so quale sia l’anello mancante della catena però sono sicura che quando si opta per decisioni più oculate e raffinate è più interessante. Quando vengono a vederci in scena, spesso il regista e il casting director si stupiscono nel constatare cosa l’artista è in grado di fare e questo è sintomatico di come bisognerebbe dare lo spazio di dimostrare le proprie abilità, al di là di determinati canoni».
Quanto ti è stata utile la formazione tra Londra e New York?
«Tantissimo. Ho imparato delle tecniche che non so quanto siano applicabili in Italia però è sempre meglio possedere più frecce al proprio arco e poter scegliere il metodo che funziona su di te. Mi sono scontrata anche con un modo diverso di vedere la professione. A New York ho notato delle differenze di approccio: gli insegnanti di recitazione anziché dirti bravo o riprenderti in un aspetto, ti indicano il modo con cui ottenere la parte perché lì è tutto più basato sull’industria cinematografica. Certo, a volte, avrei desiderato ricevere più dei feedback “artistici”».
Cosa ti porti dell’incontro con Anna Marchesini durante gli studi alla Silvio d’Amico?
«Ci ha fatto comprendere che la comicità è una cosa difficilissima e poetica. Ci diceva: «non abbassiamo il livello, la comicità è un’arte sublime». Ricordo ancora il giorno in cui mi ha suggerito di non essere severa con me stessa perché avevo fatto un errore. Una volta dovevo entrare in scena e non appena fatto un passo mi stoppò. Al che le chiesi: «non ho ancora cominciato, cosa ho fatto?». E lei mi disse: «sei entrata con un tempo sbagliato. C’è n’è uno giusto, in cui entri e sei». Rifeci quell’azione almeno per cinquanta volte fino a quando ho compreso. Mi dispiace che non abbiamo avuto il tempo di goderne di più».
Condividi con noi un episodio OFF?
«Dopo l’accademia ho avuto la fortuna di cominciare subito con una tournée con Carlo Cecchi ed è stato importantissimo perché il primo approccio con il mondo del lavoro serio è stato con un grande maestro. L’aspetto più bello che mi manca di quell’esperienza è lo stare via cinque mesi, con una valigetta e godere della vita itinerante. Adoro del nostro mestiere il poter viaggiare, incontrare gente nuova, con diverse competenze. Tutto ciò implica una continua crescita».
Fai parte del trio delle Ladyvette, come si fa parallelamente a mantenere una propria identità e al contempo a fondersi con la “band”?
«Siamo tre donne toste, con una forte personalità, ma capaci di mettere da parte il proprio individualismo per il fine del gruppo. Parallelamente coltiviamo la carriera personale e siamo felici l’una dei successi dell’altra. Per stare bene in un gruppo è fondamentale riuscire a stare bene da soli per non portare le proprie frustrazioni all’interno della vita dell’ensemble. Il doppio binario è salutare. Chiaramente le Ladyvette è un progetto fondamentale, che adoro, in cui credo tanto e che vedo crescere di giorno in giorno compiendo tutte moltissimi sacrifici. Quando ognuna di noi ha un proprio momento, le altre sono pronte a sopperire la mancanza e a sostenere. Le nostre diversità si amalgamano bene sia sul piano artistico che umano ed è un punto di forza».
Quali sono i prossimi progetti?
«Con le Ladyvette stiamo preparando nuove uscite andando ad esplorare altri ambiti. Ho dei progetti di cinema indipendente, ma finché non sono certi, sono scaramantica, preferisco non sbilanciarmi. Mi piace scrivere per il cinema, mi sono già cimentata col mio compagno nella scrittura di cortometraggi e voglio farlo ancora, magari anche con un lungo».
· Dov’è la Vittoria (Risi)?
DOV’E’ LA VITTORIA (RISI)? SOTTO LE LENZUOLA! Mister Greg per VOI il 17 Giugno 2019. Prima fa la battuta e dice che, là, sotto le lenzuola, sopra un pagliaio o dentro un portone, vorrebbe far felice Mark Caltagirone. Poi Vittoria Risi (vero nome Tiziana Zennaro), 39 anni, veneziana, accademica delle belle arti, pittrice, porno, ma tanto porno, star, ha una fulminazione. Si attacca allo smartphone e invia a Mister Greg questo whatsapp: “E Feltri??? sempre così burbero, ma concreto... renderlo meno concreto”. Insomma, se Franco Trentalance sogna di far gioire l’attrice Scarlett Johansson, la sua collega e amica si attizza se pensa a come impegnarsi per regalare l’apoteosi al fondatore di Libero, all’editorialista senza freni, magari anche quelli inibitori. Così, mentre è seduta sullo sgabello per dipingere uno dei suoi quadri astratti (“immagini che vedevo quando ero bambina”), molla il pennello e fa il punto sul tema: come appagare il maschio?
Esatto. Come farlo felice?
«Mah, guarda... Posso darti del tu?»
Come no!
«Dicevo: fondamentalmente l’uomo vuole farlo sempre. Si può dire che è contento se gliela dai...»
Quindi l’intervista potrebbe finire qui...
«No, no! Per esempio, è importante combattere la routine. Spesso nelle coppie capita. Allora vengono da me per avere quel che non hanno a casa».
In che senso vengono da te?
«Per esempio nei locali. A volte arrivano anche in coppia, con la moglie o la fidanzata. Guardano il film porno. Insieme. Anche a me. Sì, perché gli uomini vogliono la donna fortemente erotica. Un po’ di tutti. A volte trovano quella volgare, altre la dama raffinata. L’importante è che sia erotica. Ambiscono a essere capiti in questo loro bisogno di sesso. Se scema la comprensione, vanno altrove...»
È il momento delle lezioni pratiche...
«Scoprire insieme i diversi desideri sessuali. Eccitarsi insieme guardando un film porno. La gelosia erotizza...»
Filosofia a parte, consigli esperti alle nostre lettrici?
«Cercare di essere sensuali. Rendersi femminili. Giocando, per esempio, mettendo i tacchi alti e il reggicalze. Porta vantaggi a tutti e due. Inventare anche altri giochetti...»
Tipo, quali?
«Quelli di ruolo, per esempio. Fingere di essere un’infermiera o una manager elegante... La novità diventa gioco erotico. È importante, nel rispetto reciproco, sempre, capire le fantasie».
Come si fa?
«Beh, dicendosele mentre si è coinvolti in un rapporto sessuale. Dobbiamo avere capacità oratorie e capacità orali».
Cominciamo da quelle oratorie. A che cosa servono?
«A scoprire che c’è l’uomo a cui piace dominare e quello, generalmente una persona di potere, a cui piace essere dominato, per esempio. O anche che è intrigante farlo in posti a rischio di essere visti. Dentro un portone, dietro un cespuglio al mare. Il piacere di essere guardati».
Capacità orali?
«Io lo chiamo il tè delle cinque. È una variante, scoperta per caso, del sesso orale. Che comunque necessità di arte perché è come un bacio alla vita intera».
Ok, che cosa è il tè delle cinque?
«Ah, sì, la casualità... È successo che mi ero fatta un tè, che adoro, e che non lo avevo ancora deglutito. Il tè tiepido, la lingua a mulinello... Uno sbaglio che poi ho rifatto: lui impazziva. Regola doc: a lui piace tantissimo capire che la sua felicità di quel momento sia anche la tua felicità».
Altro?
«Giocare a fare la bambolina e il lato B. Molte donne non fanno il sesso anale. Non devono irrigidirsi. Loro adorano... no, questa non la dico. È troppo. E poi parlare, parlare...»
Parlare?
«Sì, parlare. Lui non disdegna sentire determinate parole a letto. Urlate o sussurrate senza freni. Io sono la tua... io sono una... fammi questo... fammi quello... Sesso a tre e bondage completano il cerchio magico».
Se lo chiederanno in tanti. Visto che lo conosci bene, Vittorio Sgarbi è felice e goduto, oppure è tutta scena?
«È il più appagato di tutti. Riesce ad avere entrambe le cose: amore, Sabrina Colle, la sua fidanzata storica, e sesso con tutte le altre. Che sono tante. Lui è capace di giocare con la sua parte sessuale. Sa tante cose sulle donne. È generoso con le donne».
Chi faresti felice volentieri?
«Di Mark Caltagirone e di Vittorio Feltri ho già detto. Sì, ecco l’attore Claudio Santamaria. Oppure Paolo Ruffini, siccome è capace di far fare cose felici, non dovrebbe essere complicato farlo felice. La felicità è un karma».
E Totti?
«No...dai!!! Ahahahahah».
Un personaggio fuori dal mondo dello spettacolo?
«Mi sarebbe piaciuto davvero rendere felice Gianni Agnelli. Un uomo straordinario. Purtroppo non c’è più».
È tutto?
«No...»
Fantastico. Come vogliamo chiudere questa chiacchierata?
«Con l’auspicio di avere l’occasione di dare tanta gioia a Cattelan. L’artista, intendo. Maurizio».
Perché proprio lui?
«Perché è sempre triste e arrabbiato!»
Da Juventus24 il 17 Giugno 2019. Vittoria Risi si confessa: la pornodiva veneziana, diventata famosa nel mondo del calcio soprattutto per il suo amore verso i colori bianconeri, nel corso di una intervista per Il Bianconero fa luce sulla genesi della sua passione juventina. «Mi sono appassionata alla Juve grazie al mio vicino di casa, aveva tutte le figurine bianconere e impazziva completamente per questa squadra. Mi sono detta: forse non sono così male», ha raccontato lei. Impossibile non chiederle chi sia il suo calciatore bianconero preferito, anche se la risposta è scontata: «Cristiano Ronaldo? Come professionista è esemplare, sa vendere il suo aspetto ma è anche molto disciplinato nello sport. Il più trasgressivo della Juve? Ronaldo non si può dire, però può sorprendere… Tutti i precisini, sotto sotto, hanno delle trasgressioni. Io come Ronaldo, sono una professionista e perfezionista, però dietro sono molto trasgressiva». Quale calciatore porterebbe Vittoria nel mondo del porno? «Sono un po’ birichini… Ronaldo è il più bello. Come gusto preferisco lui».
· Le Donatella.
Luana Rosato per il Giornale il 19 novembre 2019. L’intervista doppia de Le Iene di domenica 17 novembre scorso ha avuto come protagoniste Giulia e Silvia Provvedi, le gemelle della musica meglio note come Le Donatella. Le due si sono concesse per un divertente interrogatorio de Le Iene, che non hanno risparmiato domande irriverenti alle quali Giulia e Silvia hanno risposto senza troppi imbarazzi. Ricordando che il nome “Le Donatella” è stato scelto da Arisa durante la partecipazione a X Factor, le sorelle Provvedi hanno confermato di essere ricorse alla chirurgia estetica. “Sono finte!”, ha ironizzato Giulia, ammettendo di essersi rifatta il seno esattamente come la sorella Silvia, che ha confessato di essere ricorsa all’aiuto del chirurgo estetico dopo L’Isola dei famosi. “Ho rifatto il seno perché dopo L’Isola non mi è più ricresciuto come prima – ha detto la gemella mora, alla quale ha fatto eco la sorella - . Ero dimagrita molto, non mi piacevo e ho avuto la possibilità di rifarmi il seno, quindi l’ho fatto”. Dopo aver partecipato a X Factor, che le ha lanciate nel mondo della musica e dello spettacolo, Le Donatella sono state protagoniste de L’Isola dei famosi e del Grande Fratello Vip, programmi che hanno permesso loro di non essere “ricche”, ma “fortunate”. “Non ci siamo mai etichettate in nulla, tutto quello che facciamo, lo facciamo con passione”, ha spiegato Silvia, prima di iniziare a rispondere alle domande più irriverenti de Le Iene. “Abbiamo avuto il primo fidanzato insieme ed erano migliori amici – hanno iniziato a raccontare Le Donatella - . Abbiamo fatto l’amore la stessa sera, ma non lo sapevamo”. Smentite le dicerie secondo cui le gemelle si scambiano i fidanzati, Giulia e Silvia Provvedi hanno sottolineato di avere “gusti diversi” in fatto di uomini e di aver ricevuto proposte indecenti nel corso della loro carriera. “La proposta più strana? Fare robe insieme, orge...queste robette qua!”, hanno raccontato le due, che hanno anche ricevuto foto oscene sui social da parte di alcuni utenti. “Mandare foto oscene non richieste è una molestia”, hanno commentato loro prima di dichiararsi felicemente fidanzate entrambe e contente del partner che al momento è accanto alla sorella.
Le Donatella: bionda contro mora e le proposte piccanti! Le Iene il 18 novembre 2019. Intervista doppia de Le Iene a Le Donatella, il duo canoro composto dalle gemelle Giulia e Silvia Provvedi. Rispondono a tutto, anche alle domande più provocanti e fingono pure un orgasmo live! Le Donatella a Le Iene formato intervista doppia. Prima domanda obbligatoria: perché si chiamano così? “Un nome nato a X-Factor”. Ci raccontano delle loro origini e delle loro prime esperienze di lavoro. “Prima di fare la cantante, ho fatto la commessa”, dice Silvia. Giulia mantiene il gemellaggio pure qua: anche per lei il primo lavoro è stato la commessa. Parliamo di forme: “Mi sono rifatta il seno, una terza”, dicono entrambe. La più intonata? “Entrambe”. La più bella? “Silvia, che è anche quella più incazzosa. Diventa un pincher!”, dice la gemella. Hanno 26 anni e sono diventate famose grazie a X-Factor e ai reality show. La più scarsa a scuola era Giulia, voto di maturità: 72. Cosa fanno nella vita? “Lavoriamo su entrambi i fronti: musica e reality show”. Mai fumato una canna? Nessuna delle due. Hai mai pippato la cocaina? “Ma che domanda è?! No!”, risponde Giulia. “Ma no!”, conferma Silvia. Hanno mai fatto topless? “Forse sì”, dice Silvia. “Nella mia intimità sì, in pubblico no”, aggiunge Giulia. Hanno fatto l’amore per la prima volta nello stesso giorno, ma l’hanno saputo solo il giorno dopo l’una dell’altra. Tranquilli, erano due ragazzi diversi! È vero che le gemelle si scambiano i fidanzati? “No, non scherziamo, ciò che è mio è mio”, dice Silvia. Cosa ha detto Giulia quando Silvia si è fidanzata con Corona? “Niente di che”. E quando si sono lasciati? “Era abbastanza contenta”, dice Silvia. Parlando di sesso: sopra o sotto? “A me piacciono più o meno tutte, ma preferisco sopra”, dice Giulia. Conta la durata? “4 ore mi annoio, ma neanche 3 minuti”, continua la bionda. Favorevoli al matrimonio gay? Entrambe rispondono di sì. E perché si sono spogliate per Playboy? “Credo che l’essere volgare non sia nel nudo”, risponde Giulia. La richiesta più strana che hanno ricevuto? “Fare delle orge insieme”.
· Viky Moore.
Dagospia Comunicato stampa il 19 novembre 2019. Viky Moore, 48 anni, è un ex attrice hard ed escort nata e residente ancora oggi a Torino, ha iniziato la sua carriera a luci rosse a 30 anni, prima faceva animazione nei locali. “Ci sono tantissimi immigrati e rifugiati africani e non che arrivano in Italia, lo Stato da loro vitto, alloggio, cure mediche ma non pensa ad un altro aspetto che è altrettanto importante, ossia il sesso, che a mio avviso è importante quanto bere, dormire, respirare e mangiare. Io mi offro a questi poveri ragazzi come soddisfatrice delle loro pulsioni sessuali, do la mia disponibilità allo stato italiano ma per questo servizio ovviamente voglio essere retribuita, perché la mia si è una missione ma è anche un lavoro. Alcuni ragazzi stranieri che vengono in Italia violentano donne o si manifestano violenti e maneschi, il tutto è riconducibile all’aspetto di cui ho parlato pocanzi; se questi giovani e prestanti ragazzotti venissero soddisfatti sessualmente sicuramente questi atti di violenza (che sono assolutamente da condannare e non giustificabili) diminuirebbero drasticamente. Quindi faccio un appello al Ministero che si occupa di ciò: io sono disponibile a girare l’Italia nei centri per migranti per farli godere un po’, mi contatti però per decidere modalità e retribuzione. Ho fatto spettacoli e film porno per anni, ma ultimamente il mondo hard è alla fame, quindi mi sono reinventata escort, per i miei numerosi fans sono disponibile a “spettacoli privati”, chiamiamoli così...in fin dei conti io offro un servizio per far star bene le persone, sono una sorta di psicologa e massaggiatrice, ma un po’ più spinta..”
· Sonia Eyes.
Dagospia il 20 novembre 2019. Comunicato stampa. L’ex pornostar ed oggi mistress Sonia Eyes è molto nota tra i giovani amanti dei social come influencer in cui dispensa consigli sul sesso e impartisce lezioni dettagliate su come farlo al meglio. L’ex reginetta a luci rosse dichiara quanto segue: “Ogni giorno mi contattano tantissimi ragazzi giovani perché vogliono un incontro di sesso con me, tanti di loro mi identificano nella versione maiala della loro mamma, è una sorta di perversione incestuosa che hanno! L’ultimo film hard che ho girato si chiamava “Figlio Mio” ed era un incesto, per riassumere la trama io ero la mamma che si scopava il figlio...oggi faccio incontri di sesso con i giovanissimi grazie a questo film. Tanti altri mi contattano per avere lezioni su come si fa sesso orale o su come pratica un cunnilingus, io sono “la dea della pompa imperiale” quindi immaginate un po’ quanta passione ci metto in ciò che faccio! I miei slave invece sono tanti, e mi fanno le richieste più disparate: essere calpestati, umiliati, schiavizzati anche nella maniera più brutale...Pensare che fino vent’anni ero vittima di bullismo, ero grassottella, cantavo nel coro della chiesa, avevo gli occhialoni e i brufoli...oggi invece mi sento una donna amata e molto corteggiata!”
· Franco Trentalance.
Dagospia il 9 dicembre 2019. Da I Lunatici del week-end. Franco Trentalance è intervenuto nel corso della trasmissione I Lunatici del week end in onda su Rai Radio 2 ogni sabato e domenica dall’1 alle 5, condotta da Andrea Santonastaso e Roberta Paris.
Sull’hard. Quando facevo i film, quando potevo scegliere, chiedevo sempre di essere il primo a girare la scena quindi la mattina, perché la mattina il testosterone ha un picco più alto. Il sesso notturno è decisamente sopravvalutato. Da qualche anno ho cominciato a scrivere libri e scrivo la mattina, perché la notte viene sonno. Forse immeritatamente, ma molti mi dicono che sono cresciuti con i miei film.
Sulla scrittura. Bloody Parker è tratto da un mio romanzo thriller che si chiama Guardiano del parco, nella storia quasi senza volere la descrizione del serial killer alla fine aveva le mie sembianze, atletico, massiccio, pelato, superati i quaranta, quindi alla fine ci siamo resi conto che aveva le mie caratteristiche. Quando poi è diventato un graphic novel abbiamo deciso di dare il mio volto al serial killer. Secondo me lo scrittore, un po’ come l’attore, è divertente quando si cala nei panni che non gli appartengono, quando si finge ciò che in realtà non è. Quindi io, che nel quotidiano sono una persona ottimista, allegra, solare mi diverte fare il serial killer. È questo il gioco della recitazione e per me anche con la scrittura. Far se stesso nella vita e nella finzione è una noia.
Su se stesso. Non ho paura di essere un cattivo maestro perché nel regno della fantasia, del cinema, del romanzo, del fumetto, tutto è consentito. Mettere i paletti all’immaginario è triste. Penso di essere una persona curiosa e che non ha paura delle sfide e quindi, come chiunque credo dovrebbe fare nella vita, è bello evolversi, misurarsi con altre situazioni. Io sfrutto l’idea della morte in maniera positiva, tutti moriamo e pare che si viva una volta sola, questa visione l’ho sempre usata per alleggerire le scelte della mia vita. Viviamo una volta sola, quindi proviamo e sperimentiamo, anche sbagliando. A 18 anni ho avuto la fortuna di conoscere il primo vero mental coach in Italia, mentre la mia famiglia mi proteggeva lui mi disse di ricordarmi che avrei potuto fare tutto ciò che avrei voluto. A 18 una persona autorevole che ti dice così ti da una bella spinta. Quindi uno un po’ c’è l’ha dentro di fare qualcosa di diverso, un po’ sono le circostanze che spingono in quella direzione ,io ho deluso i miei genitori, che mi volevano laureato e con la famigliola. Un pizzico di coraggio nella vita aiuta. Nei momenti di sconforto me lo vivo tutto, perché far finta di niente secondo me non è efficace, cerco di bruciarlo come un fuoco di paglia, quindi un gran fuoco che dura poco. E mi sono dato una metafora, per saltare in alto e toccare il soffitto ci si tira in basso per saltare più in alto. E i momenti di sconforto me li vivo perché mi serviranno poi per saltare più in alto.
Su Califano. Non ho mai letto il libro di Califano, Il cuore nel sesso, perché sentendo un’intervista radiofonica di Califano lui fece una dissertazione sulle donne un po’ da macho, rimasi stupito negativamente perché lui era una persona sensibile e intelligente e invece in quell’intervista lui fece delle battute da maschio da bar e allora lì mi calò un po’ la sua figura a livello di immaginario, quindi non ho letto il suo libro ma penso di farlo adesso. Leggiamo tutti un po’ di più perché leggere stimola alcune parti della nostra corteccia cerebrale come pochissime altre attività, anche nella seduzione e quindi chi vuole sedurre più ha la corteccia attiva e più rende.
Da Il Fatto Quotidiano il 13 luglio 2019. “La mattina è il momento migliore per fare sesso. E’ da un paio d’anni che faccio sesso nelle ore diurne, mai dopo le 20″: parola di Franco Trentalance, ex pornoattore con un libro in uscita che si è raccontato nella trasmissione “L’Italia s’è desta” su Radio Cusano Campus. “Col porno su internet – ha detto ancora l’ex attore hard – c’è una deriva poco edificante. La rete ha creato mille nicchie di porno, mille specialità. Nel porno tutte le scene, anche quelle più violente, sono concordate con attrice e attori. C’è una fetta di utenza che non avendo confidenza, approcci frequenti con le donne, vuol vedere la donna umiliata. Siccome loro non ci possono arrivare a un certo tipo di donna, la vuole vedere umiliata, violentata. Ma è brutta questa cosa qui. Mentre invece dal mio punto di vista una donna che fa sesso e si diverte, non va mai giudicata in maniera negativa”. E quanto alla presunta rivalità con Rocco Siffredi, Trentalance spiega: “Ci conosciamo da una vita. Non c’è più concorrenza perché io mi sono ritirato. Noi non ci siamo né simpatici, né antipatici, la stampa invece ha cercato sempre di creare lo scontro e a volte ci è riuscita. Hanno sempre cercato di fare come con Vasco e Ligabue. Se io dico che con Rocco non ci siamo né simpatici né antipatici, la stampa titola: Rocco non mi è simpatico”. Infine, un ricordo dei suoi anni sul set: “Ho fatto quasi mille scene di sesso sul set e ho fatto cilecca due volte, che ovviamente mi ricordo molto bene. Però è una percentuale bassissima. Erano situazioni in cui avevo i cavoli miei, una volta avevo problemi a casa, un’altra il commercialista mi aveva comunicato una multa. Come dicono a Napoli, "il c… non vuole pensieri”.
Mister Greg per “Voi” il 31 maggio 2019. Udite, udite maschietti d’Italia, anche se il Censis vi gratifica a pieni voti come i più appagati e i più bravi al mondo a fare sesso, il pianeta femminile vorrebbe riappropriarsi della libido perduta. Eh, sì, perché con l’ansia da prestazione i partner hanno lasciato tanti euro agli psicoanalisti e tanto a secco le proprie donne. Che, tra eccessi sessisti autoreferenziali, disistima dell’altra metà del cielo, ricerca inespressa del maschio alfa, hanno vagato tra lenzuola immaginarie en attendant felicità 2.0. Ecco, la prima regola per farla felice è proprio quella di non pretendere da se stessi mega performance da campioni del sesso. Non è mica un consiglio da poco visto che arriva da uno che delle acrobazie erotiche ha fatto l’arte di una vita. Franco Trentalance, bolognese, 51 anni e quasi cinquecento film hard nel suo attivissimo palmares, da quando ha smesso di partecipare al pornostar system, si pone un po’ come filosofo della Critica della ragion porcella. La summa del suo eros pensiero è contenuto in un libro uscito nel 2018. Si intitola Seduzione Magnetica. Come fare amare alle donne ciò che sei veramente (edizioni Ultra life). Ma questo è il prologo. Perché l’esegeta del come farla godere, bene e tanto, a Voi racconta tutto il resto rivisto e aggiornato. Partendo da un’altra conditio sine qua sex. “È fondamentale la quantità di attrazione”. Vediamo perché…
È misurabile il desiderio dell’altro?
«Certo!!! Se l’attrazione è in gran quantità, basta poco. Se, invece, è medio bassa, non sono sufficienti i salti carpiati».
Per esempio?
«Ci sono uomini che possono stare con la testa tra le sue gambe per due ore senza che succeda nulla e poi se le tocchi una spalla si agitano tutti i suoi ormoni. Ma il punto è anche un altro».
Quale?
«Quanto interessa il sesso? A chi 1000, a chi 600, a chi 100. E quindi, perché facciamo sesso? Per autostima? Per esibire un successo? Per il su e giù?»
Eh, perché?
«Quando vai a letto scopri un’altra parte di lei. E lei di lui…»
Perfetto. Ora, basta filosofia. Veniamo alle regole, per favore, che tutti i maschietti sono lì che aspettano di sapere che cosa devono fare.
«Dimmi cosa devo fare e io lo faccio. Con un pizzico di egoismo. E prendendoti il rischio di sbagliare. Bisogna coordinare i diversi giochi. Quelli che piacciono a te e quelli che piacciono a lei. E, mi raccomando, a lei e a lui, per essere felici a letto: dire meno no che potete. Ogni no detto da una donna è un colpo di mazza da baseball sulla carica erotica dell’uomo. Mettiti così: no! Fai così: no! Ecco, se fosse l’uomo a dire no lei se ne andrebbe. E, comunque, il maschio meglio che sia focoso».
C’è un limite, però?
«Ce ne sono tre: il sadomaso violento, gli animali e gli escrementi».
Urca….
«Per il resto, se lo strumento sta su vuol dire che sei attratto e lei è felice».
E i preliminari?
«Non a tutte piacciono. A volte mi hanno chiesto: “attaccami al muro, dai! E rivoltami come un calzino”».
Suggerimenti davvero pratici?
«Specializzarsi nella stimolazione “onanista” del punto g. In un minuto hai ottenuto un vantaggio che neanche in un’ora… Insomma, ti porti sull’ uno a zero. È come un montante a inizio match».
Poi?
«Beh, un po’ di bondage soft: bende, per stimolare la fantasia di lei, corde e fruste per dare l’idea di chi conduce. Perché il timone in mano ce l’ha l’uomo. Infine, di tanto in tanto, sesso a tre. Il threesome dei siti hard».
Lei, lui, l’altra?
«Non solo. Una volta lei con due uomini, tra le più classiche fantasie erotiche femminili. Una volta lui con due donne che stimola la parte lesbo di lei, ma in presenza di un uomo. Una felicità dove conta la voglia di sperimentare. Elodie, la cantante, se devo immaginare una tipologia, mi sembra una felice di sperimentare. Con quei capelli corti potrebbe ricordare il genere bisex».
Visto che ci siamo. Qualche altro esempio di donna secondo lei, appagata e gioisa?
«Beh, ludicamente, direi: Rosario Dawson, felice razza latina che comunica sensualità risolta, Scarlet Johnson, la risposta cerebrale alla domanda di sesso, Federica Nargi, me la immagino tattile, pelle a pelle. Le tattili sono performanti, ahahaha. E ancora: Miriam Leone, maliziosa e simpatica perché soddisfatta, l’influencer Ludovica Pagani, davvero Lolita che gioca che con la propria felicità. E, infine, una tosta tosta come l’attrice Emily Blunt: le inglesi sono le più trasgressive. Dalla teoria alla pratica in un istante».
Ludicamente, che chance può avere un maschietto per fare felice una protagonista del suddetto elenchino?
«La curiosità e la mente aperta devono essere il suo biglietto da visita, È inutile che dire no a un suo desiderio e poi, dopo un anno, proporle una gang bang. Altrimenti, ragazzi ci sta che la vostra tipa venga da me a chiedere di fare quello che non osa chiedere a voi».
· Davide Iovinella. Il calciatore porno.
DAVIDE IOVINELLA, IL CALCIATORE APPRODATO NEL MONDO PORNO CON LA “ROCCO SIFFREDI ACADEMY”. Angelo Carotenuto per “il Venerdì di Repubblica” il 18 giugno 2019. Le spiritosaggini più tardi, fra qualche riga. Andrà invece considerato innanzitutto che questo ragazzo di 26 anni è come un esperimento vivente, una sorta di esploratore pop che ha tenuto insieme il calcio e il suo tabù più invincibile e antico, il sesso, facendo il difensore in Campania e l' attore porno in Ungheria negli stessi giorni, per oltre un anno. Davide Iovinella è nato, vive e gioca a Marcianise, 40 mila abitanti, la capitale italiana della boxe, una terra di pugili usciti dalla scuola del maestro Mimmo Brillantino. Si sente elegante e cattivo «come Sergio Ramos». È partito che gli amici lo chiamavano Dadà ed è tornato con un nome in più, «in arte Davide Montana», secondo la suprema volontà di Rocco Siffredi, il re dell' hard che lo ha accolto nella sua Academy. Due mondi lontani che Iovinella giudica compatibili. «Corsa, piscina, carboidrati, vino rosso. Ho dovuto lasciare la serie D - ero nel Pomigliano - per reggere. È un campionato già impegnativo, quello: si viaggia, non avrei avuto l' energia né il tempo né l' autorizzazione da parte della società a trattenermi otto o nove giorni al mese in Ungheria per le riprese. Giocando in Promozione si può». Nel calcio campano parlano di Iovinella come di un ragazzo che aveva i mezzi per fare il professionista, «ma amava troppo la dolce vita». Anche nel circuito del porno ora dicono di Montana le stesse cose, potrebbe fare il professionista, ma ama troppo il calcio per lasciarlo. «Gli allenatori mi hanno insegnato a rispettare gli avversari, Rocco Siffredi a rispettare le donne. Per loro è ancora più difficile, alcune sono madri. È stata la prima raccomandazione quando sono iniziate le lezioni. Lui insegna, spiega, teorizza. Un maestro. Avevo anche un insegnante di vocalità per le scene verbali. Per conto mio ho preso lezioni di dizione. È quando arriva il momento della pratica che scopri di essere sotto esame tutti i giorni». Questa è l' Academy raccontata da un calciatore che ha conosciuto l' opposto, la noia dei ritiri. «Cinque ore sul set al mattino, altre cinque o sei la sera per i live streaming, sì, delle sessioni hard con richieste da casa. Non so nemmeno in quanti film sono apparso. Una decina, credo. Non mi sono mai rivisto, non è una mia curiosità. Credo che proverei imbarazzo e non piacere. Porno ne guardavo e ne guardo ancora, rispetto a partite di calcio in tv diciamo 50 e 50. La visione di un porno consente di raccogliere i tabù e smontarli. Ti trovi di fronte a esperienze che nella vita forse non hai provato, ma che nessuno credo rifiuterebbe. Ho dovuto passare diversi provini. All' inizio, come posso dire, basta solo dimostrare di essere a proprio agio fra tre o quattro ragazze. Io ci riuscivo». Su come Davide ci sia finito dentro, girano più versioni. La voce di popolo a Marcianise lo descrive come un apprezzato accompagnatore di donne mature per un sito di incontri: le recensioni lo avrebbero introdotto nel circuito. Lui racconta che sono stati i compagni di squadra del Pomigliano a invogliarlo, perché i più forniti della virtù meno apparente nella tribù del calcio non passano inosservati, fanno leadership, determinano gerarchie, ottengono sudditanza. «Di sesso negli spogliatoi si parla molto. Che hai fatto ieri sera, chi hai conosciuto, cose così. I calciatori sono lupi a caccia. In più c' è quel momento lì che crea un' intimità superiore». Quel momento lì è la doccia, dove nascono soprannomi legati al lato A, in pubblico spiegati con qualche bugia e molte omissioni. I più celebri: Nasone, Anaconda, Spadino. Ogni tanto qualcuno ne parla e fa cadere il velo. Kakà andò dieci anni fa alle Iene a fare la classifica, Sacchi nel suo ultimo libro ha indugiato per qualche pagina sulle doti di Gullit e dell' inglese del Pisa, Paul Elliott. «In Academy nessuno si preoccupa di misure, conta la percezione visiva. Io conosco la mia solo perché per scherzo una sera una ragazza voleva togliersi la curiosità. Ho fatto sesso per la prima volta a 12 anni. Non avevo idea di cosa fosse, non ne sapevo niente, organizzò tutto lei, che ne aveva 17. Il calcio è bigotto, un posto pieno di gente convinta che il sesso faccia male. Non è vero, nemmeno prima delle partite. Dipende dal fisico, dal partner, dalla posizione. In piedi meglio di no, sforzi le gambe. Un conto è fare l' amore con la tua donna, un altro è rientrare alle 6 del mattino. Ora per i compagni sono quello esperto a cui chiedere un consiglio su - sto cercando le parole giuste - ...su una posizione speciale o su come durare di più. Qualche volta me lo chiedono pure gli avversari. Sembra siano tanti amici miei. È la conferma che tutti hanno le mie stesse fantasie ma pochi hanno il mio stesso coraggio. Reggere un' erezione sul set per cinque ore è una questione di testa. Più hai testa, più lavori. Sul set non bisogna piacersi. Può capitare anche di girare con partner per le quali in un contesto diverso non proveresti alcuna attrazione. Il segreto è non dimenticare che stai lavorando, non sei lì per provare piacere ma per darne a chi guarderà il film. Il sesso si fa con la testa, il calcio anche. È tutta determinazione». La famiglia Iovinella è composta da un padre elettricista, una madre casalinga, quattro fratelli, una sorella. «Tutti consenzienti. Una sera ci siamo seduti a tavola e ho comunicato quello che avevo in mente. Mio padre rispose: va bene, ma stai attento, non fare nulla che danneggi la tua salute. Aveva capito che il porno era un lavoro. Ogni giorno, prima di girare, ci si sottopone a esami del sangue e delle parti intime. Dopo due ore arrivano i risultati dei test. Neppure mamma e mia sorella ebbero da ridire, poi ovviamente un film mio non l' hanno visto mai, mio padre e i miei fratelli sì. I porno non sono tutti uguali. Hanno più di un genere. Io li ho attraversati tutti. Ho una sola legge. Tutto quello che la natura consente, fra adulti si può fare. Si guadagna bene. Anche 1.500 euro al giorno. Ho guadagnato più da attore che da calciatore, nel periodo in cui facevo le due carriere insieme». Ora i film sono sospesi, il calcio gli ha portato in pochi giorni la vittoria in campionato, in Coppa Italia e il premio come miglior difensore fra i dilettanti campani. «Ero arrivato a un livello dell' hard per cui potevo solo diventare professionista ma non volevo lasciare il calcio. Il calcio viene prima. Adesso mi sento come quando lasci una fidanzata e continui a pensare a lei. Ero single mentre lavoravo all' Academy, lo sono di nuovo dopo una storia di sette mesi con una ragazza che sapeva tutto. Ogni tanto in strada mi sento osservato, solo una minoranza trova la forza di chiedermi se sono proprio Davide Montana. Non sono un tipo spavaldo, non racconto volentieri i fatti miei, ma a Marcianise tutti sanno tutto. Non devo nascondere niente. Da un po' al campo alleno anche i bambini di 10 e 11 anni, nessun genitore mi fa problemi, ma vengono a portarli e a prenderli sempre e solo i padri. Non è strano, no?». Ah, le spiritosaggini: chi dice che è un duro lavoro, chi chiama Davide il membro della squadra, chi lo avverte di stare attento ai falli da dietro, chi trova che sarà impossibile fargli passare la palla tra le gambe. So' ragazzi.
· Siffredi Family.
Niccolò Fantini per wired.it il 18 dicembre 2019. La lunga carriera professionale di Rocco Siffredi è costellata da ogni tecnologia apparsa sul pianeta: dalle pellicole cinematografiche, passando per l’epoca di betamax, vhs e dvd, fino ad arrivare al contemporaneo streaming online. Di pari passo è cresciuta anche la sua presenza negli spot di marchi e prodotti: dai biglietti aerei alle famose patatine, ai gadget erotici e persino alcuni videogames. Gli esperti di videoludica ricorderanno infatti che Rocco Siffredi è stato testimonial della casa di software Acclaim che, nel 1999 per il mercato francese, lo scelse per un doppio senso con il lancio di Trick Style per Sega Dreamcast. Ma è vent’anni dopo, in occasione del Natale 2019, che arriva sul mercato il prodotto più globale e attinente agli strumenti di lavoro del noto pornodivo: i boxer Vman, che non sono un capo di moda ma dell’intimo ricco di tecnologia, che è stato progettato con la diretta collaborazione di Siffredi. La loro promessa è quella di stimolare la circolazione sanguigna là sotto. I boxer vestono come dei ciclisti sportivi aderenti, sono ideati dall’azienda Mobiweb e prodotti presso lo stabilimento di Mantova del calzificio Eire. La creazione avviene tramite la tessitura dell’8% di elastame con il 92% di poliammide, che è presente in due distinte percentuali: un quinto dei boxer è poliammide classico, mentre la quota maggiore (72%) è la speciale fibra Emana, che è un materiale brevettato della multinazionale chimica Fulgar. In pratica i minerali contenuti nella stessa fibra, sono in grado di raccogliere il calore del corpo umano e restituirlo a contatto con la pelle, sotto forma di raggi infrarossi lontani, detti FIR. Il calore generato, aumenta il benessere della cute e ha molteplici incrementi anche in termini di microcircolazione sanguigna e muscolare, che motiva perché tale fibra viene utilizzata negli indumenti sportivi. Inoltre, la speciale foggia delle mutande e l’aggiunta di ginseng, sostanza naturale energizzante, direttamente all’interno del tessuto, sono anch’esse mutuate da limitrofi settori produttivi, come per esempio le t-shirt che rilasciano i composti idrosalinici durante lo svolgimento dell’attività sportiva. Il prodotto si compra solo online, la confezione ha un bel packaging che, oltre a foto e firma del Rocco nazionale, e all’interno riporta un’infografica coi dettagli circa il funzionamento degli infrarossi nelle mutande. Il prezzo di 49,90 euro è appetibile per il consumatore in vista del Natale e del buon auspicio di Capodanno: nella confezione ci sono due paia di boxer, in due differenti colori. L’idea di questo prodotto intimo globale, ma fatto in Italia, è dell’imprenditore Stefano Malfetta, che anticipa a Wired, come i Vman possono diventare l’apripista per il futuro: “Stiamo già progettando anche un prodotto in versione femminile. Utilizzeremo sempre le migliori tecnologie in termini di fibre, perché permettono di conferire al capo d’abbigliamento qualità e funzioni simili. Per ora è solo in fase di progetto, ma posso anticipare che assomigliano ai leggins per fare yoga”. Una volta aperta la confezione, i boxer stupiscono piacevolmente: non esiste la fastidiosa etichetta interna, che riporta i dati delle mutande. La composizione, la taglia e le icone con i suggerimenti circa il lavaggio, sono infatti tessuti all’interno dell’elastico in vita: un’ottima soluzione testuale, pensata per i più sensibili. Nella zona anteriore dei boxer, che non ha tattiche aperture frontali né cuciture, c’è la classica “conchiglia”, che non è composta da liscio tessuto: il disegno dell’area è arricchito da rilievi e protuberanze, proprio per incrementare il massaggio e la stimolazione della circolazione con indosso le mutande e favorire un effetto push-up che non guasta mai. I boxer Vman vestono aderenti, come ci si aspetta da un capo intimo elasticizzato: hanno un taglio sportivo e contengono bene ciò che devono contenere. Il massaggio si sente a contatto con la pelle, soprattutto muovendosi e camminando. Ma è il calore la funzione che sorprende: sarà suggestione, effetto placebo o merito della tecnologia Emana, ma la differenza tra il corpo e la temperatura esterna, soprattutto con il freddo dell’inverno, si avverte sotto forma di lieve tepore nella zona pelvica. Per la prova tecnica Wired ha indossato le mutande hi-tech di Rocco Siffredi “sotto sforzo” per 24 ore, andando in giro per la città e inforcando la motocicletta a 2 gradi centigradi. E alla sera, nell’orario meneghino della spesa da single, grazie agli sguardi di due affascinanti trentenni al supermercato, il test è risultato meno freddo sotto la cintura, rispetto al luogo e al contesto in cui si è, positivamente, concluso. In conclusione, i boxer Vman by Rocco Siffredi non garantiscono prestazioni sessuali al pari del pornodivo, ma sono piacevoli da indossare e particolarmente indicati a chi ha uno stile sportivo. Il prezzo è in linea con il mercato: considerando che nella confezione che arriva a casa, ci sono due modelli di boxer in due distinti colori, l’offerta è allettante. Voto: 6,5. Wired: un prodotto ben progettato, che si riflette nei particolari come assenza di etichette e cuciture. Non mente sulle sensazioni: sembra di subire un massaggio. Tired: è totalemente sintetico. Non è adatto a chi soffre il contatto tra pelle e materiali artificiali. Si rischia l’effetto “costume da bagno”, durante l’uso col caldo estivo.
Da Il Fatto Quotidiano il 15 settembre 2019. Rocco Siffredi e Pierluigi Diaco si sono incontrati dopo aver partecipato alla stessa edizione de L’Isola dei Famosi. Un’occasione, quella del reality di Canale5, nella quale i due mostrarono non certo un grande affiatamento, anzi: il “momento della pace” è arrivato durante la prima puntata di Io e Te di Notte, lo show condotto da Diaco che si è spostato in seconda serata. Il pornoattore ha raccontato tanti episodi della sua vita. Tra questi, una parte della sua infanzia molto difficile: “Mia madre l’ho vista soffrire sempre. – ha detto Siffredi – Una donna che perde un figlio di 12 anni per una crisi epilettica, io ne avevo 6, e tutto ad un tratto impazzisce”. Un racconto molto intimo e toccante: “Mia mamma metteva da mangiare sul tavolo anche per mio fratello Claudio che non c’era più. Mio padre le chiedeva di smettere ma lei era sicura che sarebbe tornato. Quando mangiavo e avevo delle abitudini che ho ancora oggi, come mettere il pomodoro di lato sul piatto, mia madre prendeva il piatto e me lo spaccava in testa. Si arrabbiava, mi mordeva le braccia. Io però la guardavo con molta tranquillità e pensavo a quanto soffriva”. E i ricordi dell’infanzia per Rocco iniziano proprio a 6 anni: “Sono all’asilo, mi vengono a prendere: non è come al solito mia sorella ma una vicina di casa. Mi porta a casa e io sento le grida sotto casa, mia madre che gridava. Allora salgo in casa, vedo che tutti tenevano mia madre e mio fratello era sdraiato sul letto già morto. Entro nella mia stanza, non capisco nulla: c’erano tutti i palloncini di un compleanno, li faccio scoppiare tutti. Da lì in poi mi ricordo la mia vita”.
Da ilfattoquotidiano.it il 21 ottobre 2019. Rocco Siffredi è stato ospite di Barbara D’Urso nella puntata di Live Non è la D’Urso di domenica 20 ottobre e lì, incalzato da una domanda di Alda D’Eusanio, il pornoattore si è lasciato andare ad una confessione che ha lasciato basita la conduttrice, Barbara D’Urso. Era già passata la mezzanotte e si stava parlando del tema della pornografia quando Siffredi ha rivelato che durante il funerale di sua madre si è fatto praticare sesso orale: “Lei, una vecchietta amica di mia madre, mi continuava a stringere, mi continuava a stringere, io mi sono alzato, non so cosa mi sia successo, l’ho tirato fuori…”, e potete immaginare come sia andata a finire. E Barbara D’Urso è sbottata: “Alda, tu non puoi chiedere a lui di raccontare queste cose in televisione. Che ora è? Ditemi che ora è! Alda, ti voglio un sacco di bene, però la prossima volta che ti viene in mente di far raccontare a Rocco Siffredi un bel episodietto come questo, avvertimi prima”, ha concluso cambiando poi argomento.
Da blitzquotidiano.it il 26 ottobre 2019. Paola Saulino fa a pezzi Rocco Siffredi dichiarando in un’intervista radiofonica che il re del cineme a luci rosse italiano è “brutto, invecchiato e con i lardominali“. La Saulino è un’attrice e modella napoletana che, sulla scia di quanto promesso da Madonna in favore del voto pro Hillary Clinton in vista delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti d’America del 2016, nello stesso anno aveva annunciato che avrebbe praticato del sesso orale a tutti coloro che avessero votato no al Referendum Costituzionale del 4 dicembre voluto da Matteo Renzi. Ora la Saulino torna a far parlare di sé per via di questa vera e propria demolizione del mito Rocco Siffredi. La giovane lo fa durante un’intervista all’emittente Radio Radio. Queste le parole della star del Pompa Tour: “Non penso che l’età sia un qualcosa di particolarmente attraente. Ultimamente, per esempio, sto preferendo i miei coetanei. Ma, ad esempio, c’è una star che è considerata un sex symbol in Italia che è Rocco Siffredi. A me lui non piace proprio, lo trovo brutto, ma come show-man lo trovo simpaticissimo. Lui non è famoso per la sua bellezza ma per un’altra caratteristica, però quando è in un video e si ripresenta ogni tanto sulle scene è vecchio. Se uno è vecchio, è vecchio. Siffredi ha quei lardominali che non voglio vedere in una scena a luci rosse”.
Rocco Siffredi, 55 anni da pornostar: "Sono stato un uomo fortunato". Il divo del cinema hard festeggia il compleanno. Trent'anni di carriera e un'infinità di premi di settore ma anche incursioni nel cinema non a luci rosse e in tv. Chiara Ugolini il 04 maggio 2019 su La Repubblica. "Se non avessi fatto il porno oggi sarei o il prete, che mia madre ha sempre sognato, o cantoniere come mio padre". Rocco Siffredi compie 55 anni, è nato il 4 maggio 1964 a Ortona (Chieti), una vita spesa per il cinema hard come attore, ovviamente, il più famoso, il più premiato (ancora tre Oscar del porno solo a gennaio), e poi come regista, come produttore. "Sono stato molto fortunato, ho avuto tutto quello che sognavo - diceva pochi anni fa alla presentazione del film ritratto Rocco, firmato dai documentaristi francesi Thierry Demaiziere e Alban Teurlai - forse se devo pensare a un rammarico c'è quello di non aver capito sufficientemente in fretta che rimanere troppo a lungo in questo ambiente con una famiglia a fianco e con l'educazione che ho ricevuto sarebbe stato un po' complicato. Avrei dovuto forse deviare un po', ma tanto sono convinto che alla fine sarei tornato là". La carriera dell'attore simbolo del cinema hard è nota: in oltre 30 anni di carriera ha ricevuto più di una quarantina di Avn Awards, equivalente degli Oscar per il cinema pornografico conferiti ogni anno dalla rivista Adult Video News per celebrare le eccellenze mondiali del settore, ed è annoverato nella Hall of fame delle personalità che hanno contribuito alla crescita dell'intrattenimento per adulti. Ma Rocco Siffredi ha più di una volta fatto incursioni anche nel cinema mainstream anche se sempre in titoli che hanno a che fare con il mondo dell'erotismo. Nel 1999 ha recitato in Romance, film dall'autrice francese Catherine Breillat, con scene di sesso esplicito ma non porno, censurato in molti paesi compresi Italia e Stati Uniti. È stato protagonista di Amore estremo, film ispirato al romanzo di Claudia Salvatori Schiavo e padrona, dove Siffredi interpretava Silver, un uomo che cerca di scoprire l'assassino del suo migliore amico, un poliziotto masochista trovato senza vita dopo avere passato una notte con Xenia, una bibliotecaria sadica. Siffredi è apparso anche in Pornocrazia, film francese del 2004 che racconta la storia di una giovane donna salvata da uno sconosciuto dopo essersi tagliata le vene in un locale frequentato da omosessuali. Da spettatore il suo film preferito è Shame di Steve McQueen con Michael Fassbender: "Quel film mi ha turbato perché raccontava la mia vita. Sono stato male a vederlo. Se dovessero fare un film sulla mia vita, dovrebbe farlo lui". Ma prima della sua carriera, prima dei film che sono frutto di "vera passione", Rocco Siffredi dice che c'è la famiglia "mia moglie e i figli stanno al top" assicura. Sposato con l'ex modella e attrice porno Rosa Caracciolo e padre di due ragazzi, Lorenzo e Leonardo che ha debuttato come modello di intimo, Siffredi è consapevole di come sia difficile per loro convivere con la schiera di fan che gli chiedono foto e autografi. "Il fatto di andare in vacanza e ritrovarsi a condividere il papà con persone che mi fermano in continuazione, senza mai poter passare un momento insieme senza invasioni per loro è molto pesante". Sarà per quello che ha deciso di coinvolgerli in uno show tv Casa Siffredi, una sorta di reality in cui racconta chi è veramente, al di là delle "performance" come le chiama lui, nella quotidianità. L'attore, regista e produttore nella sua carriera ha vinto oltre una decina di statuette negli Stati Uniti come miglior interprete maschile, di cui la prima all'età di 29 anni nel 1993. "Ho pensato più volte di non andare oltre i 55 anni. Ma, se continuano a premiarmi come miglior performer, devo per forza allungare la mia presenza di fronte alla macchina da presa - ha detto a gennaio ritirando tre premi - Dovrò spostare l'asticella verso quota 60" ha concluso l'attore con ironia.
Il figlio di Rocco Siffredi svela come ha scoperto il mestiere dei genitori. Leonardo Tano, figlio della star del porno Rocco Siffredi, ha raccontato come da bambino ha scoperto per caso il mestiere dei genitori, scrive Mariangela Garofano, Venerdì 01/03/2019 su Il Giornale. Avere due genitori che di lavoro fanno i pornodivi, si sa, non è un cosa comune a tutti. Il figlio della star del porno, Rocco Tano, in arte Rocco Siffredi, ha raccontato al settimanale Chi, di come lui e il fratello hanno scoperto il mestiere dei genitori. L'attore porno e la moglie Rosa Taszi, in arte Caracciolo, anche lei ex attrice porno, hanno due figli, Lorenzo di 23 anni e Leonardo di 20. Proprio quest'ultimo ha svelato in anteprima che era bambino, quando con il fratello è incappato in una dvd intitolato Tarzan. Credendo fosse un cartone animato, i due fratelli hanno in seguito fatto una alquanto singolare scoperta: il video mostrava i genitori che recitavano. “Ero molto piccolo – spiega – un giorno io e mio fratello eravamo nella nostra casa di Budapest mentre i nostri genitori erano all’estero e abbiamo visto un dvd con scritto Tarzan. Noi, pensando che fosse un cartone animato, l’abbiamo messo nel lettore e abbiamo visto che, invece, era un film dove recitavano mamma e papà”. Leonardo, che studia ingegneria meccanica e ama le moto, è fidanzato e preferisce il sesso fatto con amore, nonostante abbia raccontato che anni fa avrebbe trovato divertente un lavoro come quello dei genitori. Il giovane ha rivelato anche com'è il rapporto con un padre come Rocco: “Fino a qualche anno fa lui era quello che ci faceva giocare, oggi è più mentore, abbiamo un rapporto adulto. Quando papà deve parlare di sesso con me e mio fratello è molto timido, quasi in imbarazzo – ha rivelato -. Ma, se ci sono amici a cena, comincia a raccontare di tutto, come se non ci fossimo. Quando andavo a scuola tutti sapevano chi fosse mio padre, se qualcuno faceva battute ridevo anche perché, se avessi fatto credere che per me poteva essere un problema, mi avrebbero preso in giro ancora di più”.
ESSERE LADY SIFFREDI. Rosa Caracciolo per marieclaire.com il 31 marzo 2019. Testo raccolto da Debora Attanasio. Mi conoscete con lo pseudonimo di Rosa Caracciolo ma il mio vero nome è Rosa Tassi, sono nata il 29 giugno 1972 in un paesino vicino Budapest e da 25 anni sono la moglie di Rocco Siffredi. Ho un fratello maggiore e una sorella minore. Mio padre era un pittore e mia madre una contabile. Sono sempre stata una bambina vivace, che faceva sempre il contrario degli altri. Ero molto sportiva e a cinque anni ho iniziato a praticare nuoto agonistico e poi atletica. La mia vita era scandita dagli allenamenti: la mattina mi alzavo alle 05.00 e andavo in piscina, poi scuola, poi di nuovo in piscina, e il fine settimana le gare. Ho vinto anche il campionato di atletica ungherese. All’improvviso ho iniziato a crescere rapidamente, ho acquistato 20 centimetri di altezza e questo mi ha causato dei problemi alle ginocchia. Non sono più riuscita a sostenere gli allenamenti e ho dovuto abbandonare l’atletica. È il più grande rimpianto, forse l’unico della mia vita, ma anche il mio figlio più giovane, Leonardo, è molto bravo nella corsa agli ostacoli. È quello che ha fatto la campagna di pubblicità per il brand di intimo MSGM. I miei figli sono altissimi, sembra impossibile che siano stati dei bambini e che io e il padre li tenessimo in braccio: Leonardo è alto 1,97, Lorenzo 1,93, sono più alti del padre, che è 1,87. Ormai la più piccolina di casa sono io, con il mio metro e 68.
Nella mia vita ho tre uomini fighi, lo ammetto. La mia infanzia, dicevo, non è stata particolarmente piena di imprevisti, non avevo mai tempo libero perché studiavo e mi allenavo e ancora studiavo e mi allenavo. Da adolescente le cose sono un po’ cambiate, ho cominciato a uscire con le amiche e andavamo in discoteca. Al tempo non era come oggi, in discoteca iniziavi a ballare alle 23.00 e alle due al massimo era tutto finito. Io non sono mai stata una bevitrice, per cui non mi cacciavo nei guai. Era un periodo di profondi cambiamenti, per l’Ungheria. Il Muro di Berlino era caduto, l’Ungheria stava uscendo dal comunismo e la situazione era abbastanza tesa. Con la mia famiglia mi comportavo da brava ragazza, nessuno immaginava che la notte, appena in casa si spegnevano le luci, scappavo dalla finestra della mia camera e andavo a ballare con la mia amica che abitava nel palazzo a fianco. Meno male che ho appagato tutta la voglia di ballare in quel periodo, perché poi ho sposato un uomo, Rocco Siffredi, che nelle discoteche non ci riesce proprio a stare. All’inizio siamo andati a fare le ospitate insieme e per lui era una tortura, soprattutto perché ormai nei club non succede nulla fino all’una e si resta lì fino alle cinque di mattina. Oggi anche per me che sono stata una discotecara è davvero troppo e quando ha un’ospitata e mi implora “vieni con me”, io non ci penso proprio e lo mando da solo. Poverino!
La prima volta che ho detto cosa avrei fatto da grande avevo sei anni. Mia madre mi portava con sé dalla parrucchiera e io, affascinata dall’abile lavoro delle mani della signora che le tagliava i capelli, avevo deciso che quello sarebbe stato il mio mestiere. In effetti, poi ho anche fatto degli studi per intraprendere quella carriera e all’esame mi sono trovata a a giudicarmi proprio la parrucchiera di mia madre. Dopo il diploma mi è capitato il classico talent scout di un’agenzia di moda e spettacolo che mi ha chiesto se volevo lavorare per loro. Ho accettato, mi hanno fatto trasferire a Budapest e alla fine la parrucchiera l’ho fatta solo per un mese. Nel 1990 un fotografo mi ha iscritto al concorso di bellezza Queen of Hungary e l’ho vinto. Il mio futuro marito Rocco Siffredi l’ho conosciuto nel 1993 in Francia, a Cannes. Era il 14 maggio, ricordo ancora il giorno. Io non sapevo minimamente chi fosse. Lui era lì perché durante il Festival del Cinema mainstream c’era anche quello delle luci rosse. Mi trovavo lì perché ero stata ingaggiata per fare da testimonial a una pubblicità di telefonia durante un festival del cinema parallelo. Che poi ho scoperto dopo essere la telefonia erotica, che al tempo era un successone, e il festival dell’Hot d’Or, l’Oscar del porno. Un produttore di film a luci rosse mi aveva scelta nella mia agenzia, il mio agente gli aveva detto che io non c’entravo nulla con quel genere di film ma lui aveva insistito tanto che alla fine ho rinunciato a una sfilata e sono partita con un’altra ragazza. Prima di partire, il produttore mi aveva scattato delle polaroid e le aveva mostrate a Rocco, con cui collaborava, e quando sono arrivata a Cannes in treno ho trovato lui ad attendermi alla stazione. Solo più avanti ho scoperto che era stato lui a insistere perché andassi lì a tutti i costi. Indossava una tuta da ginnastica bordeaux e aveva quella faccia stanca che ho imparato poi a conoscere, con i lineamenti tirati e gli occhi che emergono dalle occhiaie. Insomma, mi sono presentata e non l’ho filato per niente. E lui c’è rimasto male. La sera il programma prevedeva un aperitivo sul mare e poi la cerimonia degli attori hardcore. Rocco si è presentato in gran tiro, in completo da sera. Quando l’ho rivisto ho pensato: “beh, non è poi così male”. Quando ha iniziato a corteggiarmi, però, ho pensato: “ma questo che vuole?”. Oggi penso che avesse così tante corteggiatrici da non essere molto abituato a essere snobbato. Durante la cerimonia di premiazione ero lì per fare il mio dovere di testimonial per l’azienda telefonica, e solo quando ho visto che premiavano anche lui ho capito chi fosse. Comunque, alla fine ha vinto lui e ci siamo messi insieme e da Cannes non ci siamo più lasciati. Ho fatto qualche film con lui, sembra un ricordo così lontano. Era rimasto senza la sua protagonista, aveva rinunciato a girare all’ultimo momento. Tutto lo staff era sul set, la location affittata, un disastro. Ha provato a chiederlo a me. All’inizio non mi pareva il caso ma poi ho detto: “Ok, ma giro scene solo con te”. Abbiamo girato la versione osé di The Bodyguard, il film con Kevin Costner e Whitney Houston, lui cambiò la sceneggiatura per togliere tutte le scene in cui l’altra attrice avrebbe girato anche con altri attori. Alla fine pareva che fossi io la sua guardia del corpo.
Mi hanno chiesto tante volte se sono mai stata gelosa di lui, quando girava scene con altre donne. Non lo sono mai stata perché mi sono sempre fidata di lui. Sapevo che quello era il suo lavoro e ha sempre fatto di tutto per provarmi ogni giorno che ci sono solo io per lui. Mi dicono che ero fin troppo tranquilla, ma era lui a darmi la sicurezza per esserlo. Sapevo e so che mi ama. L’unico episodio negativo successa tra noi è la storia dell’anello. A Natale, nel 2002 o 2003, mi aveva regalato un anello bellissimo, non voglio nemmeno pensare a quanto era costato. Ma non è durato molto, alloggiavamo in albergo e quando siamo partiti l’ho dimenticato lì. All’inizio si è arrabbiato, poi ha visto che ci stavo più male io di lui e ha finito per consolarmi. Nel 1994 ci siamo sposati nel comune di Budapest. Abbiamo scelto una cerimonia modesta perché io ero incinta di Lorenzo. Due anni dopo ci siamo sposati anche in Italia con una grande festa, sul Lago di Bracciano, vicino Roma. Lo stesso giorno abbiamo anche battezzato Lorenzo. Poi è arrivato Leonardo.
Molti pensano che in questi anni abbia solo fatto la moglie e la mamma, invece mi occupo di interior. Sono anche la scenografa delle location dei film di mio marito. Sono quella che nasconde dietro le quinte tutti gli affari suoi. Nel frattempo avevamo lasciato Roma, ci siamo trasferiti in Ungheria nel 1996. Quando veniamo a Roma dormiamo in albergo. Ho due figli fantastici. Quando erano bambini sognavo per loro semplicemente che fossero felici. Io e Rocco gli abbiamo detto sempre di fare quello che preferivano. Lorenzo si è laureato in economia e commercio ma poi ha scoperto di essere un ottimo fotografo. Il piccolo, si fa per dire, ama le corse, gareggiava in go-kart ma è cresciuto troppo per starci dentro. Credo sia stato l’unico ragazzo nella storia che abbia pregato per non crescere d’altezza. Ora studia Ingegneria Meccanica. Hanno tutti e due le loro ragazze del cuore. Che altro raccontare? Se il mondo dello spettacolo mi ha cercata? Certo che sì. Mi hanno offerto anche di partecipare ai reality ma li ho sempre rifiutati, sono troppo timida, cosa che Rocco invece, ha fatto. Ed è strano perché, non ci crederete mai, è timidissimo. Testo raccolto da Debora Attanasio.
· Amandha Fox a Pulsano.
QUEL GRAN PEZZO DELL’AMANDHA (FOX). Alberto Dandolo per Dagospia il 22 ottobre 2019. Ecco in esclusiva mondiale le foto del calendario 2020 della venere polacca Amandha Fox. Si spoglia a Pulsano e si oppone al compostaggio. Il ricavato all'ospedale di Taranto, al reparto pediatrico oncologico dedicato a Nadia Toffa. Ecco il comunicato stampa :" IL CALENDARIO DI AMANDHA FOX 13. IL GOVERNATORE Michele Emiliano CONTINUA A TRATTARE PULSANO COME LA SOLUZIONE AI PROPRI FALLIMENTI IN TEMA DI SMALTIMENTO DEI RIFIUTI! NO AD UN'ALTRA ILVA! Viste le voci sempre più forti dei cittadini della provincia di Taranto , contrarie alla costruzione del previsto impianto di compostaggio in agro di Pulsano ( Zona Palata ) , nonché quelle dei comuni limitrofi e vista anche la diffida presentata dal sindaco di Leporano Dott. Vincenzo Damiano contro lo stesso Comune di Pulsano e la Regione Puglia, l’attuale Governatore invece che fermarsi e dare ascolto ai pulsanesi e ai leporanesi (qualcuno gli ricordi che stiamo parlando di cittadini pugliesi) continua a considerare questi ultimi come la sua personale discarica, a cui far ingoiare qualsiasi cosa serva alla sua prossima campagna elettorale!!! Si continua ad utilizzare il potere normativo a proprio piacimento e non per il benessere della salute di questi poveri cittadini , e dei propri bambini e anziani , compromettendo ulteriormente la fragile struttura sociale e ambientale di tutto il territorio tarantino. Si condanna anche il permanente immobilismo dell’assessore regionale allo Sviluppo Economico Cosimo Borraccino ( pulsanese di nascita e di residenza ) il quale dopo le parole di dissenso a questo impianto pronunciate il 20 giugno u.s. durante un pubblico comizio tenutosi in Piazza Castello, continua a mostrare un totale asservimento al Governatore Emiliano, inanellando con lui foto di sorrisi, strette di mano, torte di compleanno e tagli di nastro. L’unico al momento che pare aver intrapreso azioni più concrete è il consigliere regionale Marco Galante ( M5S Puglia) sempre che questo interessamento non segua la parabola discendente di tutte le altre battaglie ambientali dei 5 stelle ( vedi la storia della chiusura dell’ex Ilva ora Arcelor Mittal). A tal proposito la star dell’adult entertainment italico Amandha Fox visto che passa le vacanze nelle acque di Marina di Pulsano si è spogliata e pubblicamente ha chiesto al Sindaco leghista Francesco Lupoli (unico Comune dei 29 della provincia di Taranto ad essere guidato da un Primo cittadino Leghista) di ritirare la candidatura di Pulsano dalla costruzione di questo impianto. Non starò ferma ad aspettare che a Pulsano si costruisca un’altra ILVA! SI AI DIRITTI NO AI RICATTI. Parola di Venere polacca ."
Amandha Fox: Città Vecchia patrimonio Unesco. Il ritorno a Taranto della venere polacca. La sua proposta. Taranto Buonasera domenica 28 Aprile 2019. È tornata. La venere polacca di nuovo a Taranto proprio nel giorno in cui il vice presidente del consiglio Luigi Di Maio era in prefettura a presiedere il tavolo istituzionale per il contratto di sviluppo. Amandha Fox ne ha approfittato per uno shooting fotografico realizzato dal fotografo tarantino Wilson Gomes, sotto l’egida del hairdesigner Angelo Labriola nelle sale dell’Hotel Akropolis. Alcune immagini sono state postate sul profilo instagram dell’attrice e subito sono piovuti i like dei suoi follower. Perché questi scatti a Taranto? Innanzitutto Amandha intende candidare Taranto come location per le riprese del suo prossimo film, un «kolossal a tre X», precisano dal suo ufficio stampa. La Fox ha con Taranto un rapporto particolare. Nel 2012 fu protagonista di una trovata erotico-politica: propose la sua candidatura a sindaco e lanciò le pornoprimarie con l’altra stella dell’hard, Luana Borgia. Tutto però si fermò lì. Va poi ricordato che Amandha, una star riconosciuta dell’adult entertainment, ha già realizzato due calendari nella città dei Due Mari. Questa volta, però, il suo disegno è più ambizioso: costituire un comitato di «azione civile» per ottenere che la Città Vecchia venga riconosciuta dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. Non si tira indietro nememno di fronte alla complessità della questine ambientale: «Non mi sono mai pentita di essermi esposta mediaticamente nel lontano ottobre del 2010, pur sapendo di non avere soluzioni visto che faccio un altro mestiere, ma è necessario che si faccia comunque qualcosa per tutelare i tarantini dai fumi tossici». Amandha non vuole essere sola in questa campagna per il riconoscimento Unesco, ecco allora che rivolge l’invito all’onorevole Rosalba De Giorgi, al senatore Mario Turco e al vice premier Di Maio affinché facciano parte del comitato per la promozione della Città Vecchia come patrimonio dell’umanità. «È finito il tempo delle chiacchiere – ha chiosato – ora farò qualcosa di eclatante per aiutare Taranto e i tarantini».
Taranto: sfida primarie tra pornostar, vince Amandha Fox. (Adnkronos e La Repubblica il 12 marzo 2019) - La pornostar Amandha Fox con 207 voti ha vinto le primarie on line nell'ambito della lista civica "Taranto Svegliati" e sarà candidato sindaco alle prossime elezioni comunali del capoluogo jonico. La sua avversaria era un'altra pornostar, Luana Borgia, della stessa "scuderia", che ha riportato 109 voti. ''I voti nulli o bianchi sono stati 165'', riferisce all'ADNKRONOS Mimmo Pavese, manager della vincitrice. ''Al sito amandhafox.biz si sono collegati, nel periodo in cui si sono svolte le primarie, cioè dal 3 all'11 marzo, 15.161 utenti'', aggiunge. ''Ora si tratterà di capire se riusciamo a raccogliere le 350 firme necessarie e le 21 persone da candidare nella lista. E' stata una iniziativa partita per gioco - spiega - ma che si è rivelata un successo che ha vivacizzato la campagna elettorale. Ora molti altri gruppi politici, per esempio sui temi dell'ambiente e della riconversione dell'Ilva e dei suoi posti lavoro, stanno parlando la nostra stessa lingua, addirittura anche candidati che sono leader nazionali di partiti. Visto che ci sarà sicuramente l'appello al voto utile - prosegue - dobbiamo evitare di essere emarginati. Se riusciamo a fare la lista, il nostro candidato sindaco sarà Amandha Fox, altrimenti faremo accordi sul programma con uno dei due principali schieramenti. In quel caso potremmo candidare Luana Borgia in una delle liste mentre la Fox rimarrebbe segretario del nostro movimento''.
L'attrice hard Amandha Fox salva il Vicenza coi soldi del calendario. Calcio mercato.com del 07 aprile 2018. Il Tribunale di Vicenza ha dichiarato il fallimento del Vicenza Calcio ma nel contempo ne ha disposto l'esercizio provvisorio, che consentirà alla squadra di proseguire il proprio campionato di Serie C sino a fine stagione. Fra le varie iniziative per provare a riabilitare la società veneta nelle ultime ore va registrata anche quella folcloristica di Amandha Fox, di mestiere pornostar, che ha chiesto tramite una lettera indirizzata al Curatore fallimentare Nerio De Bortoli di poter devolvere il 10% degli incassi del suo calendario al Vicenza Calcio. Una mossa pubblicitaria, potrebbe essere, ma l'intenzione è concreta come testimonia la lettera mandata dall'attrice. Ecco il testo della lettera e Amanda nella nostra gallery. Preg.mo Dott. Nerio De Bortoli, chi le scrive è la Venere Polacca Amandha Fox (di professione porno star) la quale da diversi anni frequenta la città di Vicenza in quanto con una certa frequenza vengo ospitata dal noto locale Kiss & Kiss. Poiché sabato 17 febbraio u.s. mi sono esibita al Kiss & Kiss alcuni tifosi miei fans mi hanno informato che il Tribunale di Vicenza ha dichiarato ufficialmente il fallimento della squadra di calcio ergo ho pensato di scriverle questa lettera. La notizia di che trattasi mi rattrista visto che il tracollo finanziario è stato sancito quarant’anni dopo il secondo posto ottenuto dalla storica società denominata Lanerossi Vicenza la quale nel campionato di serie A 1977-1978 finì in classifica dietro la squadra più importante d’Italia: la Juventus guidata dalla Famiglia Agnelli. Detto ciò le chiedo dove posso versare il mio modesto contributo economico (il 10% delle vendite del mio calendario 2018) finalizzato ad aiutare i meravigliosi tifosi vicentini che tengono a cuore le sorti della propria squadra che le rammento ha potuto contare su giocatori del calibro di Paolo Rossi e Roberto Baggio. Sicura di un positivo riscontro alla presente l’occasione mi è gradita per porgerle i miei distinti saluti. Amandha Fox
Taranto, elezioni 2017 – La pornostar Amandha Fox ci riprova: vuole Palazzo di Città. Puglia Press il 28 Ottobre 2016. La Venere Polacca ci riprova: «Vi svelerò chi sarà il candidato Sindaco di “Taranto Svegliati”. Ed intanto invita a votare per il referendum del 4 dicembre con un Sì». Pur non avendo avuto alle spalle una organizzazione politica idonea per mettere in atto le complesse procedure necessarie alla raccolta di firme finalizzate alla presentazione della lista Taranto Svegliati nelle votazioni per il rinnovo del Consiglio comunale del maggio del 2012, la diva del porno Amandha Fox ebbe il merito di far celebrare le primarie on line ( molto prima del comico Beppe Grillo attuale leader dei penta stellati ) in cui si determinò la leadership del movimento dopo una dura contesa con l’altra star a luci rosse Luana Borgia la duchessa dell’hard. Oggi la Venere polacca torna prepotentemente “in campo” lanciando la propria crociata a favore del SI al referendum Costituzionale di domenica 4 dicembre ( questa situazione tanto cara al Premier Matteo Renzi ) contro i fautori del NO D’alema, Bersani, De Mita, Salvini e Grillo. Chiaramente l’intento di Amandha Fox ( che comunque nel 2012 non riuscì a portare a termine la candidatura a Sindaco di Taranto ) è quello di ritornare a far parlare di se dopo quella positiva esperienza in cui sia la stampa nazionale ( Corriere della Sera, la Repubblica e Panorama ) che quella internazionale (ad esempio i tabloid inglesi nella fattispecie il The Sun e The Indipendent). Seppur certi che questa forma pacifica di appoggio al Premier italiano sarà boicottata o sminuita da tutti i mass media locali, regionali e nazionali per i soliti pregiudizi legati verso coloro i quali lavorano nel campo della pornografia, la “ Sindachessa ” Amandha Fox è determinata comunque ad andare avanti e durante il suo tour nei vari locali di lap dance oltre ad esibirsi col suo live show convincerà i propri fans che domenica 4 dicembre bisogna mettere una bella croce sul SI. Domenica 30 ottobre 2016 alle ore 19.00 a Crispiano ( Taranto ) in via Tevere,13 è stata indetta una conferenza stampa dove sarà presentato il calendario 2017 della Fox e si parlerà di Referendum costituzionale e della possibilità di ripetere l’esperienza di “ Taranto Svegliati “ in vista delle consultazioni elettorali per il rinnovo del Consiglio comunale di Taranto della primavera 2017 annunciando un grande novità.
Chi rompe a Taranto il silenzio sull’arresto di Fabio Riva? Una pornostar. Antonello Corigliano su Puglia Press il 8 giugno 2015. Eh già. E’ proprio la pornostar Amandha Fox a rompere la cortina del silenzio in cui il mondo ambientalista e politico si è chiuso sulla vicenda che riguarda l’arresto di Fabio Riva. L’arresto del rampollo della ricca famiglia produttrice d’acciaio sembra che non interessi alla città di Taranto, ovvero alla sua classe politica e a quella dell’associazionismo. Un silenzio che fa riflettere su come a Taranto si sta affrontando la vicenda giudiziaria che vede soccombente l’acciaieria più grande d’Europa, Ilva appunto, e con essa 52 indagati ( tra politici, amministratori e dirigenti del siderurgico) per reati come il disastro ambientale. Un silenzio che dice più di mille parole. Così non ci resta che dare voce alla pornostar Amandha che ha deciso di dire la sua su una vicenda tanto spinosa quanto controversa. Quando qualche anno fa la venere di origini polacche Amandha Fox decise di scendere in politica sfidando il poi riconfermatissimo Sindaco di Taranto, Ezio Stefàno, sapeva benissimo che la sua professione di star del porno le avrebbe scatenato contro i soliti pregiudizi legati a tutti coloro i quali si guadagnano da vivere girando pellicole a luci rosse oppure lavorando nei night club o nelle lap dance. Rammenta come la sua principale proposta di dismettere nell’immediato il colosso siderurgico Italsider – ILVA per sostituirlo ( ad opera di bonifica effettuata ) con un mega casinò, unitamente alla collocazione di diversi locali d’intrattenimento per adulti, nonchè ad un numero imprecisato di hotel, scatenò la facile ironia dei media nazionali ed internazionali che classificarono tale proposta come impraticabile o peggio come la solita boutade di chi è alla ricerca di un posto al sole. Oggi che la Procura della Repubblica di Taranto è riuscita a rinchiudere nelle patrie galere l’ex patron Fabio Riva accusato insieme ad alcuni dei suoi più “ fedeli collaboratori” per i reati di disastro ambientale doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato dei beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose, inquinamento atmosferico, Amandha Fox nell’esprimere tutto il proprio sostegno e la solidarietà umana nei confronti dell’operato della Magistratura tarantina, intende richiamare con forza l’attenzione del Governo italiano presieduto da Matteo Renzi, unitamente al neo Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano e ai nove neo consiglieri regionali eletti nella provincia di Taranto circa la necessità di trovare i fondi necessari al fine di tutelare ogni singolo posto di lavoro . “ I partiti politici locali e le organizzazioni sindacali in tanti anni si sono ammalati gravemente, affetti dalla sindrome del ricatto occupazionale – tuona la social porno star – infatti nella città dei due mari nessuno si era accorto che stavano inquinando il mare e l’aria, distruggendo la mitica cozza tarantina, ammazzando le pecore, avvelenando il latte materno, impedendo ai bambini di giocare nel parco del proprio quartiere. Il grido d’allarme che ancora una volta viene lanciato dal premio Oscar del Porno è : “ Giù le mani dalla città di Taranto – Mo’ Avaste ( adesso basta ! )”. Continuerò a “denudarmi provocatoriamente” per combattere al fianco di tutti coloro i quali quotidianamente lottano contro i tumori provocati dall’inquinamento della grande industria. Taranto adesso deve essere disinquinata e salvata!
Amandha Fox impegnata nella lotta contro bulimia e anoressia. Antonello Corigliano su Puglia Press il 6 giugno 2015. Galeotto fu quel drammatico appello lanciato su youtube da Rachel Farrokh in cui la stessa ha denunciato al mondo intero il fatto di essere anoressica e di non aver trovato nessun interlocutore serio e disponibile ad aiutarla e a curarla. Amandha Fox essendo uno dei nomi più gettonati del panorama dell’adult entertainment italico ha deciso di lanciarsi in prima persona a sostegno di una campagna – denuncia finalizzata alla sensibilizzazione contro i disturbi del comportamento alimentare. Rammentiamo che la venere polacca ha più volte mostrato la sua capacità di sconvolgere e scuotere gli animi su problematiche concrete e purtroppo attuali della società moderna ( come fu ad esempio la tristemente polemica instaurata dalla Fox contro la famiglia Riva proprietaria dello stabilimento Ilva di Taranto reo a suo dire di aver inquinato la città di Taranto con i fumi provenienti dagli altoforni delle acciaierie ) . Adesso la social porno star ( come ama definirla la redazione giornalistica di mag – Sky ) ci riprova con questo delicatissimo tema dell’anoressia e della bulimia, utilizzando alcuni scatti shock realizzati in collaborazione con Mattia Rovella deus ex machina dell’ agenzia fotografica di Montecatini Terme denominata Lux Just Pictures by Simon Lux. Queste immagini rappresentano davvero un pugno nell’occhio, infatti è molto interessante notare come l’ artista di che trattasi ( sconvolgente animatrice delle notti trasgressive sia degli italiani che degli elvetici del Canton Ticino ) ha inteso farsi immortalare in una decina di pose abbastanza eloquenti che non lasciano alcun dubbio circa il messaggio che si è inteso far passare agli occhi dei media in questa specifica campagna di sensibilizzazione. Ecco che abbiamo ammirato il premio oscar 2014 come miglior attrice hard con le sue sinuose curve da capogiro avvolte nella cioccolata calda fondente, intenta a succhiare avidamente con le sue labbra carnose una fragola, oppure mentre divorava con gusto degli appetitosi spaghetti all’italiana col pomodoro fresco e basilico preparati con amore da lei stessa come se fosse una novella partecipante al noto e seguitissimo format televisivo denominato “master chef” . Amandha Fox siccome crede fermamente che solo il benessere fisico, psichico e spirituale sia alla base della bellezza può essere considerata senza se e senza ma una interlocutrice attendibile quanto privilegiata della suindicata campagna di sensibilizzazione. Ai posteri l’ardua sentenza.
· Moana Conti.
Dagospia il 14 Novembre 2019. Comunicato stampa. La pornostar slovena naturalizzata in Italia e residente in provincia di Udine si pente e chiede scusa per quel video girato in una scuderia di Budapest dove con Andrea Diprè ha tentato di praticare del sesso orale ad uno stallone. “È un video di cui mi pento e che non rifarei più, ho perso molto lavoro a causa di ciò, mi ha portato solo dispiacere e problemi, gli animali si amano, ma non come ho fatto io, io porto un nome importante che è quello di Moana e non vorrei mai infangarlo, chiedo scusa pubblicamente anche all’associazione di Moana Pozzi che nel 2012 mi ha premiata e che giustamente si è indignata” e poi provoca: “Piuttosto di rifare un video del genere mi piacerebbe organizzare un tour nei centri di accoglienza per migranti africani richiedenti asilo ed esibirmi per loro , lo Stato da loro vitto ed alloggio, io penserei a farli sognare un po’, l’erotismo è sempre un bene primario, mi renderei utile a loro e sarei più felice io”. Moana Conti a breve riprenderà ad esibirsi nei vari locali notturni della penisola con il nuovo spettacolo denominato “l’angelo della morte”, e poserà per la seconda volta per il noto fotografo Loris Gonfiotti.
Dagospia il 10 dicembre 2019. Comunicato stampa. L’attrice hard slovena e naturalizzata italiana Moana Conti non se la passa bene. La sua carriera di pornostar è stata saltuaria e, a poco più di 40 anni, si è dovuta adattare a fare un secondo lavoro. Barista, badante e, per qualche anno, ha ottenuto un contratto di lavoro come cuoca in una mensa. Ma visto che il lavoro scarseggiava, Moana è entrata in disoccupazione. A fine dicembre 2019 terminerà l’erogazione del sussidio e la fu pornodiva, convinta di essere la reincarnazione di Moana Pozzi, è in crisi: “Sono disperata! Ho un sacco di debiti accumulati, ho dovuto traferirmi da Udine città a un paese sopra Cividale del Friuli, in montagna dove la vita costa meno, nessun regista mi chiama più per girare film, nessun locale mi chiama più per fare il mio spettacolo, nessuna tv mi chiama, eppure sono stata l’unica pornostar in Italia ad aver vinto il prestigioso premio Miss Moana Pozzi 2012 rilasciato direttamente dall’associazione della defunta diva”. “Non voglio fare la Star - prosegue - sono una che si è sempre rimboccata le maniche, se non è nel porno che posso guadagnare mi adatto a fare qualsiasi tipo di lavoro, andrei anche a pulire gabinetti pur di avere i soldi per campare. Io cerco qualsiasi lavoro nella zona di Udine, sono seria e volenterosa, non etichettatemi per il lavoro che ho fatto...datemi una mano perché sto pensando ad un gesto estremo, non vedo luce in fondo al tunnel...mi appello a Barbara D’Urso dato che è l’unica che aiuta concretamente chi è in difficoltà, Barbara ascoltami ti prego!”.
· Max Felicitas.
Dagospia il 15 Novembre 2019. Da “la Zanzara - Radio24”. A La Zanzara su Radio 24 l’attore e produttore hard Max Felicitas, 26 anni, friulano, parla a ruota libera della sua dipendenza dal sesso, di quante donne ha avuto, dei suoi centimetri e della sua riluttanza a fare sesso anale.
Famiglia. “Ho iniziato a fare film porno a 21 anni. E in famiglia, a casa, sono tutti incazzati. Mia madre ha visto un documentario su di me, ha visto una scena. Ha detto: ma che sei velocizzato? In realtà ero io che scopavo forte con la tipa. Non credo avrebbe il coraggio di vedere un mio film”.
Guadagni e tasse. L’attacco a Rocco Siffredi: se ama l’Italia paghi le tasse qui. Io sono il futuro, già quarto al mondo sul web. “Quanto guadagno all’anno? Attualmente sto fatturando più o meno 15.000 euro al mese. E voglio sottolineare che sono l’unico pornoattore che fattura in Italia. Io pago le tasse in Italia. Io sovranista? Io amo l’Italia quindi sono d’accordo col fatto di contribuire allo Stato, io scopando voglio aiutare l’Italia e gli italiani. Secondo me quelli che vanno all’estero, non amano l’Italia”. “Secondo me Rocco non ama sufficientemente l’Italia e dovrebbe tornarci per pagare le tasse. Uno deve amare anche materialmente l’Italia, non solo ideologicamente. Anche Rocco dovrebbe pagare qualche volta le tasse in Italia”. “Rocco? Io sono il futuro, ho 26 anni.” “Mi facevo le seghe su Lory Del Santo e Carmen Di Pietro”. Come va l’inseguimento alla Boschi?: “E’ il mio sogno erotico. Vorrei incontrarla per darle un mazzo di rose ed invitarla fuori a cena. Non ho ancora avuto l’occasione di incontrarla dal vivo”. Nella speranza di scopartela?: “ Diciamo che mi provoca delle emozioni quando la vedo. Poi averla in un film sarebbe un sogno, impossibile”. Hai altri miti erotici oltre alla signora Boschi con cui vorresti copulare?: “ Io ho iniziato a masturbarmi su Lory Del Santo e Carmen di Pietro”. Non su Moana o Cicciolina?: “No. Invece sulle foto della Del Santo mi emozionavo. Mi sono masturbato tantissimo davanti a Lory del Santo, mi piacerebbe concretizzare. E’ stata sempre una cosa dentro la mia fantasia. Vorrei realizzare un threesome, io, Carmen Di Pietro e Lory Del Santo. Intanto ci conosciamo e poi ovvio, io non riesco a trattenermi”. Misure: 21 centimetri, largo alla base e poi si restringe. Ma non amo l’anale. Quanto sei attrezzato?: “Ho 21 centimetri di estensione. Invece la circonferenza non l’ho mai misurata, devo essere sincero. Il mio è più largo alla base. E’ perfetto per l’anale, anche se a me non piace l’anale. Lo faccio perché piace ad alcuni fan, però se guardi i miei video c’è solo il vaginale. Perché non mi piace il lato B? Ho maturato delle brutte esperienze in Russia, ho fatto moltissimi casting ed ho visto tantissima merda facendo anale”. Sono dipendente dal sesso, scopo con tante fan che conosco su Facebook e Instagram. Sono andato con una di 65 anni. “Ho lavorato anche nei locali di scambisti, pagato per andare con le coppie. Ci ho fatto degli spettacoli. Sono sempre stato curioso in tutto ed ho sempre cercato di sperimentare nella mia vita. Se mi piacciono le donne anziane? Sono andato di recente anche con una di 65 anni. Era un mio pallino. Era una signora che mi aveva scritto su Facebook. Io volevo solo spuntare la cosa dalla lista, quella di farmi un’anziana. Ho goduto come un riccio, veramente. Tantissimo. Una delle mie migliori scopate? Non una delle migliori, ma veramente una sorpresa. Se io rimorchio anche su Facebook? Si mi scrivono tantissime signore. Quanto concretizzo? Guarda, essendo un pornoattore, in realtà sono già filtrate. Diciamo che al 99% si va al sodo. Con quante persone che mi scrivono su Facebook poi vado a concludere? Con le donne, con tutte. Me le trombo tutte. si. Il mio obiettivo è quello. Ho calcolato che ho scopato più di 1500 donne”.
Giornata tipo. “Allora, mi sveglio, piscio nella doccia, poi faccio colazione, e poi penso già subito a scopare. Inizio cioè a cercare le mie fan, le mie scopamiche. Anche adesso che sono a Milano, a parte i miei impegni di lavoro, ho scopato ragazze normali di Milano. Quante? Ieri quattro. Oggi ne ho fatte due prima di venire da voi e ne ho una stasera. Come cazzo faccio? Essendo diverse, l’eccitazione cambia sempre. Anch’io come Rocco penso di essere dipendente dal sesso, ma la dipendenza dal sesso rispetto alle altre è una delle migliori. Perché uno quando scopa, non fa cagate, capito? Il fumo, l’alcol, tutte ‘ste cose. Non potrei farne a meno, assolutamente. Io mi alzo la mattina e penso a scopare”. Bonnie Rotten, il top. Chi è oggi la top fra le porno attrici?: “Mi hanno chiesto adesso di andare in America a gennaio, e il mio obiettivo principale, la stella su cui mi sono masturbato di più è Bonnie Rotten. Famosissima. E’ una che ha il seno tatuato di ragnatele”. Ma Rocco ha ragione quando dice che le vere pornoattrici sono le persone comuni?: “Concordo con Rocco. Martina Smeraldi? Lei è una di quelle che lo fa, posso garantire, proprio perché le piace il cazzo. Il 90% delle pornoattrici lo fa solo per soldi. Chi lo fa per divertimento e guadagna soldi, ha trovato il paradiso. Quindi le vere pornoattrici sono fuori dal set. E io me ne faccio tantissime fuori dal set”. Codroipo, Friuli e mogli. “Perfino nel mio paesetto Codroipo, in provincia di Pordenone, nonostante la mentalità molto chiusa mi sono fatto abbastanza ragazze. Anche gente sposata? Ci sono tante mamme che mi dicono aspetta che devo organizzare, i bambini devono andare a scuola, il marito è via… io entro diciamo negli intervalli pubblicitari delle famiglie. Cioè? Quando i mariti ed i figli sono fuori, la moglie è a casa e vado io a farle compagnia. Però i mariti dovrebbero ringraziarmi, perché quando ritornano dal lavoro la moglie non gli rompe le palle perché rilassatissima. Una funzione sociale”.
Barbara Costa per Dagospia il 3 novembre 2019. “Tu gliela daresti, a uno con 'sta faccia?”, si chiedono tra follower sulla sua pagina Instagram, e il proprietario della faccia non risponde, lascia correre, perché la risposta più vera sarebbe sì, certo che me la daresti, non vedi l’ora, e mi daresti pure il culo, eccome, e gratis. E tu che mi leggi, senti un po’: sarai mica tra i fessi che credono che per sfondare nel porno bisogna essere per forza belli, sexy, e tutto quello che si può racchiudere nel termine figo? Ti prego, svegliati, perché nel porno, se sei un maschietto, ti serve saper scopare, cioè avere un uccello funzionante, saperlo infilare e sfilare a dovere, e avere la prontezza di ruttare sperma non quando vuoi tu ma quando vuole il regista, e nemmeno dove vuoi tu, ma dove il "copione" ti indica. Ti serve averlo duro a comando, e avere un naso coraggioso, capace di affrontare ogni odore, di pelle e di vagina, e una lingua in grado di leccarne e succhiarne senza freni il clitoride, e di spazzolare su e giù e di lato lì, in mezzo a quelle chiappe che ti spalancano davanti. Tutto questo e di più il signor Max Felicitas ce l’ha, eccome, e se tu sei tra quelli che passa il tempo su Instagram a prenderlo in giro, credimi, il vero sfigato sei tu, e non lui. C’è niente da dargli del cazzone, a meno che tu non voglia lodarlo per il suo pene di 20 centimetri e non male neppure di circonferenza, pene che senza dubbio conosce e conoscerà più passere di tutte quelle che tu potresti incontrare in 3 vite da 120 anni l’una. Eh, l’invidia tra maschi, ne vogliamo parlare? È, se possibile, più velenosa di quella tra donne, e Max ne scatena a iosa, perché, come scrive bene un follower, “sarà pure brutto, però scopa un botto!”. Vero, è documentato, le sue scopate le trovi a sprazzi sui siti porno free, e complete sul sito del nostro eroe. Al quale dovreste fare un monumento per le forti sborrate che vi fa fare, per il piacere che grazie a lui vi procurate, ma glielo avete fatto un applauso per aver scoperto la nuova promessa del porno Martina Smeraldi? Ha ragione, Max Felicitas, a rivendicarne la porno-sverginità, e alla D’Urso e al telefono con Cruciani: il video in cui "prova" la 19enne sarda è scaricatissimo, e se tu dici di non averlo visto, sei un bugiardo. Non è bello iconico come uno Stefano De Martino, Max Felicitas, ma ha una fame porno, una ossessione che a 27 anni gli ha già fatto toccare indiscutibili porno-vette. Secchione, certo, bravo ragazzo, sicuro, ma c’è poco da fare, se ti piglia la fissa per il porno, è una febbre, una passione ingovernabile, te lo posso assicurare. Ha a che fare con l’esibizionismo, ma è qualcosa di più, di speciale, di diverso, e questo qualcosa a Max ha iniziato a battere nel cervello, nel cuore e nel cazzo alle medie, quando a quel professore impiccione gliel’ha confessato, che lui, da grande, avrebbe fatto l’attore porno. Ti si accende un fuoco, ti nasce e fermenta dentro una ambizione senza pari, nel caso di Max ci scommetto rafforzata da quei vigliacchi che lo bullizzavano da piccolo, per il suo aspetto, i suoi brufoli, come oggi fanno i bulli da web che si nascondono dietro nickname, come te, coglione, che stai ancora lì a scrivergli “'a dentone!”, e termini ben più irriferibili, quando, stai attento, che magari è proprio la tua ragazza, quella che sui social rompe a Max per contattarlo in privato, e per offrirsi a lui in posizioni a te sempre negate. Max Felicitas viene da un piccolo paese del Friuli, e da bullizzato ha trasformato le angherie in forza, capendo presto che nella vita se vuoi campare il meglio possibile, devi fregartene delle critiche, pregiudizi, attacchi degli altri, ma coi fatti, non solo a parole. Un coraggio, una voglia, che lo ha portato prima in palestra, e poi a fare lo spogliarellista, e da lì a entrare nel porno, con gli amatorial, poi con sua maestà Rocco Siffredi. Rocco che gli ha dato la dritta più giusta, nel non fargli abbandonare il suo aspetto da nerd, mai togliere gli occhiali, Max, nemmeno mentre scopi sul set, perché nulla fa più e meglio il tuo gioco come avere un’immagine immediatamente riconoscibile, un timbro, un brand che ti distingua e ti esalti nella vastità della pornografia online. Col cazzo che Max Felicitas è rimasto al paesello, a piangersi addosso, a sperare nel reddito di cittadinanza! Porna e porna, con le strafighe che vedi, ha una sua casa di produzione, è un porno-talent-scout, e passa da una milf alle gemelle Dellai, a metterlo in bocca a Priscilla Salerno, si dà malato e si fa "curare" dall’infermiera Malena, ed è suo il "cazzo a domicilio" destinato a LadyBlue per il suo debutto porno. Max Felicitas se è un cazzone è un sano cazzone, un tipo che ha voglia di fare e si dà da fare: i suoi porno goderecci a minima sceneggiatura e tuttavia pensati, sanno quali corde toccare per farti incazzare, a te, bacchettone cronico, che appena lo vedi lo vorresti strozzare, e trovo in rete anche articoli colti di riviste colte che additano a Max la colpa del degrado sociale, lo ritengono volgare e sessista, ma andate al diavolo, non c’è libertà massima e più sacra e inviolabile di quella di pornare e se tu Max non lo reggi clicca altrove, stai lontano, non sia mai che nella tua mente bollita di seghe mosce si produca uno squarcio, un prurito che ti porta a cercarlo, e a toccarti mentre lo vedi, chissà perché io penso che tu lo stia già facendo, di nascosto da tua moglie, da tua madre, ma non dal tuo Dio, e lo sai che Max è stato pure un chierichetto, e la prima volta che il suo pene ha incontrato una vagina vera, vogliosa e disponibile, è stato nella cappella di un oratorio?
Valentine Demy.
Dagospia il 17 novembre 2019. Comunicato stampa. Io non rinnego affatto la mia carriera di pornostar, anzi tornerei a fare film porno e spettacoli hard domani mattina se il mercato fosse redditizio e vivo come negli anni 90, è da più di 10 anni che non giro pellicole a luci rosse, potrei dire di sì al giovane pornoattore Max Felicitas che mi piace molto. Io amo il porno e le mie colleghe che lo rinnegano mi fanno arrabbiare, perché si sono arricchite facendo questo e ora che sono uscite da questo mondo o che sono a fine carriera si permettono di sputare nel piatto dove hanno mangiato fino a pochi anni fa, questo comportamento non lo comprendo ed ovviamente non lo condivido nel modo più assoluto. Nella mia vita ho avuto tantissimi uomini e tutti mi dicono che la mia specialità è il sesso orale, i miei amanti mi chiamano “la regina dell’oral sex”, nella mia vita sessuale ho provato veramente di tutto: uomini, donne, trans, giovani, vecchi...non mi sono risparmiata affatto! Io mi sono ammalata di depressione come ho detto quando ho abbandonato il mondo a luci rosse, è una fatalità? Non credo proprio. A fine degli anni 80 quando giravo dei film erotici con Tinto Brass prima di passare al porno ho avuto un flirt con Giancarlo Giannini, lo ricordo come un uomo molto timido ed educato, poi ci siamo persi di vista ma ci piacevamo molto; sono rimasta male però che qualche anno fa quando ci siamo incrociati sul set di una fiction per Canale 5 ha fatto finta di non ricordarsi di me, impossibile perché tutti gli uomini con cui sono stata a letto si ricordano di me e delle mie performance. Un uomo che mi piacerebbe sedurre? Sicuramente Paolo Brosio, delle amiche in comune mi hanno riferito che anni fa prima della sua conversione religiosa guardava sempre un mio film porno, gli piaceva molto...sicuramente se venisse a letto con me lo farei riconvertire di nuovo...ma nella strada della perdizione!
Dagospia il il 2 ottobre 2019. Comunicato stampa. Marisa Parra in arte Valentine Demy è un attrice ed attrice hard italiana nata a Pisa nel 1963. Tra i suoi film ricordiamo a cavallo tra gli anni 80’ e 90’ “Paprika” e “Snack Bar Budapest” per la regia di Tinto Brass, “Abbronzatissimi” al fianco di Jerry Calà, “io e Gilda” al fianco di Pamela Prati e “Intimo” al fianco di Eva Grimaldi. Nel mondo a luci rosse ha esordito in seguito, nel 1994. “Soffro di una forte depressione, sono in terapia da anni, ma con la forza di volontà e con i medicinali in questo periodo sto un po’ meglio, anche se dalla depressione non si guarisce, va e viene, ti perseguita sempre”, l’ex musa di Tinto Brass prosegue “ho amato follemente una donna per 10 anni, ma ora ci siamo lasciate perché la mia vita è troppo complicata; ho una sorella con il cancro, un fratello che ha avuto problemi con la legge, la mamma senza una gamba, per fortuna ho i miei 5 nipoti (sono nonna) il più piccolo ha 8 mesi e il più grande 19, ho avuto mia figlia a soli 16 anni”. Conclude la confessione cosi “per tutte queste cose non posso più lavorare come attrice ed i soldi sono finiti, ho dovuto reinventarmi e fare la mistress in casa per vivere perché non mi posso muovere per ovvi motivi...sono stata il sogno proibito di più generazioni ma purtroppo ora è così, sogno una vita più serena e che tutto si sistemi, non chiedo altro!”
· LadyBlue – Angelica.
Barbara Costa per Dagospia l'8 dicembre 2019. "Cazzo, che culo!": mai tre parole sono state più bene insieme, e mettiamoci pure culo spaziale, meraviglia della natura, prova dell’esistenza di qualche Dio. "Lì è passato Giotto", "Ti scoperei senza mai una fine", ma basta rubarle post, perché sì, urliamolo, siamo senza vergogna, siamo spudorati, depravati, siamo pazzi di lei, e io per prima. Se non vi funziona Instagram, state pur certi che la "colpa" è sua, è Lady Blue che ha postato una sua nuova foto con natiche in primo piano accarezzate da un tanga a filo interdentale, mandando tutto – e tutti – in tilt! Cazzo, che culo!, e la padrona di questi glutei è in porno ascesa, potete giurarci, miei cari, il porno italiano è vivo, mai stato più vivace e pimpante, e il merito se lo dividono la sarda Martina Smeraldi e la veneta Lady Blue. Sulle loro natiche ha già messo mani e lingua e sesso Rocco Siffredi, il merito della loro scoperta, lo sapete, è di quel furbone di Max Felicitas, e che Lady Blue non resterà una meteora io ci scommetto la cifra che volete. E tu, se come me non ce la fai più ad aspettare, se quel porno di lei con Siffredi (di cui isolati scatti spuntano sui social) ti ha messo un appetito irrefrenabile, inizia con un antipasto delle forme di Lady Blue impegnate nei porno che di lei trovi già in rete, e con lei toccati, sfogati, anche se temo tu possa venire subito, penare di eiaculazione precoce solo a vedere Lady Blue adagiata su quel letto, con lo smartphone in mano, che scorre il pollice tra le app a scegliere quella che può saziarla. "Peccato" che Lady Blue abbia fame e di altro, di quello che tu al di là dello schermo muori dalla voglia di darle – tutto, e più volte e in più parti – e mannaggia non puoi ma mister Felicitas sì, e sbava di quello che lui a Lady fa, godi di quello che Lady mostra di saper fare, e dimmi un po’: i piercing di Lady Blue, li hai già contati più volte, io dico che sono 14, forse di più, e i suoi tatuaggi, dì la verità, li sai a memoria, li ripercorri nelle tue più illecite fantasie la sera, a letto, quando ti tocchi prima di addormentarti, in una culla dolce, deliziosa, e… shhh!, zitti tutti con la donna che ti dorme accanto! (Sai che Lady Blue è anche una bravissima disegnatrice e tatuatrice? Presto il suo corpo sarà completamente baciato da tatuaggi, in prevalenza cartoon, i suoi preferiti). Lady Blue non è vergine in fatto di porno, vedi un po’ come si scatena nel lesbian con Valery Vita, lesbian blasfemo, lesbian tra i più proibiti, d’altra parte Valery Vita non gode e viene se non bestemmia e fa sesso con il sacro. Porno che Lady Blue ha girato per gioco, sfida, prova e però, ragazzi, il corpo di Lady, anche qui! Ti incendia gli occhi, ti cadono gli occhi, cribbio quanto tempo era che non perdevo la testa per un’attrice così, e il bello è che non sono sola, somma i follower arrapati che Lady conta in rete, follower a cui la ragazza saluta e risponde, dicendo che ascolta reggaeton, Slipknot, MadMan. Ancora per poco, Lady: presto i tuoi fan saranno talmente tanti, premeranno a social-assediarti, e non avrai tempo né modo di stargli dietro. Questa è la vita che ti aspetta, quella delle pornodive (fermi tutti: Lady Blue è pure una super-cazzo di cantante rock e bassista! E per un periodo ha accarezzato l’idea di partecipare a "Amici", o a "X Factor". Amori miei, già si parla di un secondo porno di Lady Blue by Siffredi Production! 2020, eccoci, che porno-spacchiamo!). E da diva Lady lega a sé quelli che vanno a vederla nei suoi show dal vivo, perché Lady Blue è una sexy-star che ti soddisfa del biglietto che paghi: guarda gli assaggi-video che posta su Ig dove twerka, balla, si struscia: ammira fin dove può arrivare il sesso esibito se lo sai fare. Se ci sai fare. Le scrivono follower reduci dai suoi show: dopo settimane, mesi, ancora non si riprendono! Ce l’hanno lì, stampata nel sesso, nella mente, che li fa dannare, sognare che “tu, Lady Blue, esisti, e se penso che qualcuno ha la fortuna di scopare con te… il mondo può essere meraviglioso”. Scopare no, ma io so chi dorme abbracciato e sbaciucchiato da Lady Blue: schiattiamo di invidia, perché la nostra dea è single ma va a letto ogni notte col suo gattone, un Maine Coon: “Lui è il mio partner, è pieno di amore!”, come lo sono gli altri suoi 2 gatti raccolti per strada, eh sì, Lady Blue è gattolica e gattofila, e se tu vuoi sapere le prossime date del suo sexy-tour, seguila sui social. C’è anche la possibilità di cenare con lei. "Che bèa sta tosa da Vicènsa", e chiedo scusa se magari l’ho scritto male, ricalco un post di un concittadino di Lady Blue che scrive onorato ciò che pensiamo tutti, specie dopo aver visto quel suo video in cui seminuda, sul letto di casa sua, si dimena con la musica di Eminem. E senti questa: appena "Cazzo a domicilio", il porno debutto di Lady Blue, è stato messo in rete, la ragazza è stata sommersa di insulti e prese in giro, e alcuni tra i suoi ex compagni di scuola l’hanno offesa dandole, tra l’altro, della tossica. Che farci, hanno avuto accanto anni una topolona simile, e non son mai riusciti a conquistarla. Più cretini di così!
Da tviweb.it il 21 ottobre 2019. La pornostar del futuro è vicentina, e girerà tra pochi giorni un film con il mito assoluto del porno, Rocco Siffredi, che l’ha voluta di persona sul suo ultimo set. Questa è la storia di LadyBlue, al secolo Angelica, 27 anni, nata e vissuta a Chiampo e da un anno e mezzo lanciata nel mondo del porno italiano e tra le più quotate star dell’hard emergenti. Lunghi capelli blu elettrico, parlantina veloce e sorridente, Angelica è diventata famosa nel web in pochi mesi grazie alle sue performance ma anche ai suoi capelli: non è da tutte le sexystar portare con naturalezza dei lunghissimi capelli rasta, tutti blu. “Sono sempre stata una ragazza inquieta, che non si accontentava mai – racconta Angelica, con quel suo piglio un po’ naif – quando avevo 17 anni facevo la cubista, poi ho iniziato a fare la modella alternativa, tutta piercing e tattoo”. Nel frattempo Angelica, come tante coetanee, fa anche mille lavori diversi: dall’aiuto-cucina alla receptionist, dalla barista alla magazziniera: “Quando ho iniziato a diventare popolare sui social – racconta – con gli scatti fotografici delle convention di tattoo in cui facevo la alternative-model, sono stata contattata dal divo emergente Max Felicitas”. Edoardo Barbares all’anagrafe, il ventitreenne friulano è ormai riconosciuto nel settore come l’erede di Rocco Siffredi. “Mi sono detta, perchè no?, e abbiamo girato un video che poi è stato lanciato sul sito di Max e nei social” – racconta con naturalezza. Il successo di LadyBlue è stato pressocchè immediato e la giovane rasta-model si è affidata alla più famosa agenzia di sexy star italiana: “Il mio manager mi accompagna a tutte le serate e ho già girato tre film: due con le gemelle Dellai a Praga e Bratislava e un horror porn concluso proprio pochi giorni fa per la regia del grandissimo Andy Casanova” – dice, snocciolando nomi famosi del settore, sconosciuti probabilmente ai più, ma che – Google alla mano – paiono avere un certo seguito nel mondo del porno europeo. Oggi LadyBlue vive nell’hinterland di Vicenza con i suoi 3 gattini: “Non ho e non voglio un fidanzato – afferma sicura – sto troppo bene da sola e non voglio rendere conto a nessuno delle mie scelte. Per ora ho scelto la carriera e me stessa. Un domani, chissà”. La domanda di rito è sempre la stessa, e lei la anticipa: “La mia famiglia all’inizio era spaventata perché è un settore lavorativo che in effetti non scelgono tutti i figli – spiega – ma ora hanno capito che per me è un lavoro come un altro”. I fans, invece, a volte, esagerano: “A volte mi arrabbio perché vengo associata alla figura della escort, cosa che non sono. Io non faccio incontri privati: per vedermi basta venire nei locali dove mi esibisco, seguendo i miei profili ci sono tutte le date”. E ora arriviamo al progetto in partenza: “Un sogno che si avvera: lavorare con Rocco – dice – mi ha contattato privatamente pochi giorni fa per chiedermi di girare un film con lui e mi ha raccontato di tanti altri progetti che ha in serbo per me”. Girare con Siffredi è, oggettivamente, un traguardo per ogni diva dell’hard che si rispetti: “Volerò a Budapest il 27 ottobre: non vedo l’ora di girare con lui!” – conclude felice Angelica, o meglio, LadyBlue.
· Veronica Rossi.
Dagospia il 7 dicembre 2019. Simpatica, energica, un vulcano in eruzione è la 58 enne pornoattrice amatoriale con una carriera ventennale alle spalle nata, cresciuta e residente nella bella e sfortunata Genova. L’attrice hard definisce gli uomini genovesi con termini non troppo virili, non li definisce dei buoni amatori anzi, mosci e privi di ogni fantasia erotica, frettolosi e sbrigativi ed aggiunge: “non sono abbastanza porci e vogliono svuotarsi subito le palle, manco la leccano!” Veronica dichiara di sentirsi amata come desidera solo quando scende al sud dove gli uomini sono veramente focosi ed insaziabili, proprio come lei. La reginetta erotica di Genova confessa: “sempre più slave mi contattano con richieste sempre più bizzarre, io mi diverto a soddisfare le loro bislacche esigenze; per la maggior parte sono ragazzi giovani laureati e con una buona posizione sociale che però amano trasgredire così e far contenta la loro padrona Veronica”. Anche se amo il sesso e faccio sesso ogni giorno e più volte al giorno sono religiosa, vado in chiesa ogni domenica e una volta l’anno in primavera vado una settimana in pellegrinaggio dalla Madonna di Medugorje a chiedere la Grazia per me e per le persone che amo, tra cui l’ex ministro Matteo Salvini; l’ultima volta che sono andata ho pregato tanto per lui, sia per la sua famiglia sia per il suo ruolo istituzionale, per me Salvini è un mito, non potrei mai andarci a letto, per me è come un Dio, verso una divinità non si possono avere pensieri impuri. A me piacciono gli italiani e gli uomini di razza caucasica, gli uomini neri mi fanno paura, solo con uno ho fatto cose, ad una fiera erotica in Spagna perché la sceneggiatura lo imponeva, altrimenti rispondo “no grazie ma preferisco la stecca di cioccolata bianca, niente fondente e niente al latte!”
· Sabrina Sabrok. Porno Satana.
PORNO SATANA. DAGONEWS il 22 ottobre 2019. La porno star Sabrina Sabrok, dopo aver rivelato di aver fondato un culto satanista, parla delle sue perversioni sessuali. La 43enne ha detto che le piace fare sesso in luoghi strani che ama essere una dominatrice. Non a caso nelle sue esibizioni dal vivo ama inserire il sadomaso: «Chi mi segue adora vedermi all’opera con le fruste. Le persone si divertono e chi viene con me adora esporre le natiche per farsi frustare». All'inizio di quest'anno, Sabrina ha fondato il proprio culto che si chiama “Sabrok Legion”: «Mi sono sempre interessata all’occulto. Ero atea, ma ho iniziato a seguire la Santa Muerte e mi sono sentito bene, quindi sono entrato in un culto e in seguito ho avuto l’idea di fondare un culto. Ho creato la Legione Sabrok perché le voci mi dicevano di lanciare un culto legato alla magia nera legato al satanismo e alla Santa Muerte». Sabrina ha anche affermato di avere "sangue alieno" e ha raccontato di aver stretto un patto con il diavolo: «Credo che vivano in mezzo a noi anche se non sono mai stata nello spazio. Ho lavorato con ricercatori che mi hanno detto che il mio gruppo sanguigno non proviene da questo pianeta. Esistono persino teorie secondo cui gli alieni hanno condotto esperimenti con gli umani, mescolando il loro DNA con il nostro. Ecco perché alcune persone sono Rh-negative».
· Bridget the Midget - Cheryl Murphy: Porno sangue.
PORNO DI SANGUE. DAGONEWS il 22 ottobre 2019. Una pornostar rischia più di 15 anni di prigione dopo essere stata arrestata a Las Vegas per aver pugnalato il suo ragazzo, Jesse James, con un coltello da burro in una gamba dopo averlo sorpreso a dormire con un'altra donna. Bridget the Midget, che è affetta da nanismo e il cui vero nome è Cheryl Murphy, è stata presa in custodia in Nevada il mese scorso dopo che una vicina ha riferito di aver sentito delle urla provenire dalla casa e aver visto la donna che fracassava una finestra con una griglia da barbecue. Murphy, 39enne alta un metro e quattordici centimetri, è stata accusata di aver fatto irruzione nell'appartamento e aver accoltellato il compagno in un raptus di gelosia. In un video nelle mani di TMZ, la star del cinema per adulti viene sentita urlare dall'esterno dell'edificio dopo che un'altra donna l'ha presa in braccio e l'ha buttata fuori: «Non ho niente da perdere Jesse. Mi hai preso tutto!». Poco dopo, sempre nel video girato lo scorso 18 settembre, si vede l’altra donna parlare con la polizia e riferirsi all’uomo come “il mio ragazzo”. «È colpa mia. Dovrei andare in prigione» ha detto Murphy mentre veniva arrestata. La polizia ha riferito che quando le è stato chiesto se abitava in quella casa lei ha risposto di sì, ma l’altra donna ha urlato: «Non è vero. Ha cercato di pugnalare a morte il mio ragazzo. Ha cercato di colpire anche me, ma non ci è riuscita». Jesse James è stato portato in ospedale e da allora è stato dimesso. Ai poliziotti ha raccontato di essere uscita con un’altra donna e di averla portata a casa a dormire. Si è svegliato quando ha sentito Murphy entrare in casa. Ha tentato di scappare, ma era ormai troppo tardi.
· Malena. Filomena Mastromarino.
Alberto Dandolo per Dagospia il 18 dicembre 2019. "Millennials, una generazione di cavie" è il nuovo format di Andrea Panciroli, in arte il Pancio, mitologico e cliccatissimo youtuber. Dopo anni passati sulla cresta dell'onda con il suo personaggio sessista, drogato e qualunquista, questa volta Andrea Panciroli si presenta come sé stesso in un format in cui intervista alcuni tra i più "importanti" personaggi della sua generazione per interrogarsi sul senso dei social e sulle regole che dovremmo rispettare nel viverlo. I millennials sono la prima generazione di genitori che devono rispondere ai propri figli degli errori commessi sul web ed è per questo Andrea sente la necessità, da youtuber e da padre, di definire una vera e propria patente del web. Nella prima puntata l’ospite è Malena che rivela un aneddoto su Renzi, memore a suo dire di aver rifiutato di fare una foto con lei e di averla fatta allontanare dalla sicurezza nonostante lei fosse una rappresentate nazionale del PD per “colpa” delle sue scelte lavorative. Malena inoltre svela anche di quando il PD le chiese telefonicamente di dimettersi, proposta che a sua volta lei respinse al mittente. Malena se la prende con il modello educativo Italico, sostenendo che le donne vengono cresciute con il mito della Vergine e che il sesso viene confinato unicamente alla sua funzione procteativa. "
Malena su Renzi, l’aneddoto sull’ex leader del Pd: “Quel gran rifiuto”. Asia Angaroni il 19/12/2019 su Notizie.it. Malena su Renzi svela l'aneddoto della foto negata e spiega che il Pd le chiese telefonicamente di dimettersi. Per l’anagrafe è Filomena Mastromarino, ma tutti la conoscono come “Malena la pugliese”. Un passato tra le fila del Pd e un presente da pornostar. Vanta un’esperienza come Delegata nazionale e una laurea in Scienze Biochimiche. Tuttavia, ha abbandonato gli ambiti legati ai suoi studi e si è dedicata ai film a luci rosse dopo essere stata scoperta e apprezzata dal celebre Rocco Siffredi. Malena in diverse occasioni ha ammesso di apprezzare Renzi per la sua “capacità di coinvolgimento, il suo carisma”, ma anche per la sua “forte dote comunicativa e semplicità nell’esporre i suoi obiettivi”. Tuttavia, ha precisato: “Non mi è mai piaciuto come uomo” e ancora: “Ho preferito Rocco a Matteo”. La famosa star del cinema a luci rosse torna a farsi sentire. Malena su Renzi svela un aneddoto sul loro passato nel Pd e critica il modello educativo italiano. Stando a quanto raccontato dalla stessa Malena, riportato da Dagospia, l’ex leader del Pd ed ex premier toscano avrebbe rifiutato di fare una foto. Ma oltre al danno la beffa: dopo aver detto di no a uno scatto insieme a una delle donne che più anima le fervide passioni di molti italiani, Renzi pare l’abbia fatta allontanare dalla sicurezza, nonostante lei fosse una rappresentante nazionale del Pd. Il motivo risiederebbe nelle scelte lavorative intraprese dalla Mastromarino. Malena, inoltre, ha svelato che il Pd le chiese telefonicamente di dimettersi, proposta che a sua volta lei respinse al mittente. Malena non nasconde le sue critiche neppure nei confronti del modello educativo italiano. A sua detta, infatti, le donne del nostro Paese, che si dice moderno e all’avanguardia tra gli stati occidentali, vengono cresciute con il mito della Vergine. Il sesso, prosegue la pornostar prendendosela con il sistema educativo italiano, viene relegato alla sua funzione procreativa.
RITRATTONE DI MALENA BY BARBARA COSTA. Barbara Costa per Dagospia il 31 agosto 2019. Con un pene di 10 centimetri ci fai poco e niente, ma con Santa Filomena tatuata sul braccio ci fai e parecchio, almeno in chiave di fortuna e protezione. Santa Filomena è colei che la pornostar Malena si è tatuata sul braccio sinistro, mentre all’inguine ha due rondini contrapposte, angelo e diavolo a simbolo della doppia indole che arde dentro il suo corpo incendiante: quella di Milena, la brava ragazza pugliese, accanto a Malena la ninfomane del porno; l’indole della Milena figlia d’oro, che lascia gli studi a 4 esami dalla laurea per un urgente salario da agente immobiliare; la stessa Milena che soffoca in un fidanzamento "in casa" lungo 7 anni, che finisce quando lei compie 30 anni e non ne può più, perché la Malena che ha dentro preme, urla, vuole uscire, e Milena le dà vita e sfogo dandosi al sesso lesbico con una donna contattata in chat, e poi alle orge, e ai club scambisti. Chi è la vera Milena/Malena, è una curiosità che ci freme da più di 2 anni, da quando il nome "Malena la Pugliese" è apparso sui siti porno, con sesso e sudore e orgasmi a Siffredi. Quel porno da più di un milione di visualizzazioni, l’effetto dello scoppio di una bomba per parenti amici conoscenti a Gioia del Colle, suo paese d’origine, i quali le tolgono il saluto, e ci son clienti che scappano dalla sua agenzia, paurosi che qualcuno possa vederli con chi ha sfidato il massimo tra i tabù, ma gli stessi tra i più assidui a cliccare sui suoi porno, puoi giurarci! Da allora è chiaro che Malena è femmina di fuoco e decisione, impavida, non conosce ripensamenti né paure. E dì un po’, tu lo avresti fatto? Ne avresti avuto la stessa incoscienza mista a coraggio? Avresti lasciato un lavoro sicuro per l’ignoto di uomini – e donne – che ti toccano, leccano, ti sudano addosso e ti sono sopra, sotto, ti possiedono a più non posso? Non ci sono dubbi, di Malena i porno più visti sono le sue orge interracial, lei con quei maschioni neri che godono del suo corpo. Però guarda bene, non farti ingannare: per una volta togli la mano dalle mutande e fai attenzione, perché in quei porno – come su ogni set serio ma nelle orge in particolare – è sempre la donna a comandare. È Malena l’arbitro dell’orgia, dell’ingordigia di quegli uomini che la porno-straziano. In quei primi piani, è palese la sua sete di dominio, in quel viso via via più sudato e rigato dal trucco, la vedi, la fierezza di Malena nel pornare. Poche pornostar sanno stupirmi e ancor meno ci riescono al pari di Malena, e fin dalle sue prime prove porno, dove è già dea, piena padrona di doppie penetrazioni. Le leggi del porno, Malena le ha intese al volo: “Nel porno lo strumento è l’uomo, mai la donna. Se provo piacere mentre giro una scena? Con Siffredi è capitato, sono "venuta" un paio di volte. Ma quello della pornostar è un lavoro difficile e faticoso: ci si fa il culo!”. Matteo Renzi, la Boschi, il PD, sono il passato, oggi per Malena il politico alfa è Salvini, che non ha votato, ma con cui passerebbe una notte, mentre con Luigi Di Maio no, “lo vedo troppo passivo”, e in politica estera, tra Putin e Trump, Malena è sicura: a letto con Trump, “e vorrei vedere la piega dei suoi capelli dopo essere stato con me!”. Il mito di Malena è Moana Pozzi, come lei sogna una carriera parallela al porno in tv, come lei si candiderebbe a beniamina di un altro partito dell’amore che tratti di educazione sessuale a scuola, legalizzazione e tassazione della prostituzione, e lotta in un Paese, l’Italia, che ancora oggi si dimostra troppo bigotto: “Abbiamo un unico tabù nazionale, il sesso: si fa, in ogni modo, ma nessuno ne parla!”, e qui colpisce nel segno, Malena, e si ribella e non ci sta a passare per amorale, una cattiva ragazza, una persona non pulita. Allora basta col porno che “se lo fa un uomo è un eroe, se lo fa una donna è una put*ana”. Basta con questi pregiudizi e ipocrisia. Ma Malena, che si dichiara single, scopatrice di scopamici, ferita da un ex grande amore che “è un bad boy” calciatore famoso (Balotelli?), Malena insomma, quando si spoglia del porno e ridiventa Milena, cosa vuole a letto? Baci e carezze e preliminari che la portino all’orgasmo prima che il fortunato in questione prenda a "divertirsi" dentro e fuori di lei: “Non ho chissà quali pretese. Mi piace corteggiare e mettere l’uomo a suo agio. Sono un essere umano, di professione pornostar. E le pornostar son fatte come tutte le altre donne, solo che per lavoro sono abituate a prendere qualche cazzo in più!”.
· Valentina Nappi.
Simonetta Sciandivasci per “la Verità” l'11 ottobre 2019. Forse non tutti sanno che Valentina Nappi - sì quella che non solo è bona e porca ma pure intelligente, state calmi - è stata tenutaria di blog filosofico-politico e socio-culturale, su Micromega, l'almanacco della coscienza infelice della sinistra italiana. E già. L'ultima volta che ci ha scritto sopra era il maggio del 2017, titolo: «Su fascismo, differenze di ruoli e ordine della società». E siccome semel Micromega semper Micromega, anche adesso che la blogger non la fa più, continua a esserlo e a fare la maitre à penser del porno, per il porno, con il porno, dal porno. Non è colpa sua se non ha la tempra per non cedere all'obbligo, che questo tempo fintamente libero e libertino le impone, di elevarsi, mostrare che oltre al porno c'è di più, e che una che fa un mestiere come il suo ha il cervello fino, mica è scema, e legge persino dei libri. L'altro giorno, ospite alla Zanzara, ha concionato come se stesse a un convegno di psicopatologia dell'età contemporanea e ogni tanto, per ravvivare lo speech, s'è lasciata andare a qualche ammuffita provocazione a sfondo sessuale e sentimentale. Ci ha informati, per prima cosa, che chi sta in coppia è ipocrita, perché la monogamia non esiste in natura e quindi lei che da dieci anni ha una relazione aperta con uno che si scopa le sue colleghe mentre lei coordina è autentica - tu monogama che lacrimi al pensiero che lui confronti il tuo culo con quello di Charlize Theron sei una cretina bigotta inautentica. Poi ha detto che il sesso anale cura stitichezza ed emorroidi - e tu fessa che t'ostini a mangiar crusca come fossi un puledro. E che l'educazione tradizionale (ma che vuol dire? Cos'è?) fa male, mentre la pornografia no (e che c'entra? Cioè le mettiamo sullo stesso piano, nella stessa casella?). E che Rocco Siffredi dice un sacco di stronzate (conveniamo, però almeno lui è simpa). Da dove la prenda tutta questa forza e questa faccia per essere prescrittiva e fare la catechesi, una che non si guadagna da vivere facendo l'educatrice, e che peraltro (giustamente) rivendica la sospensione di giudizio sul suo mestiere, resta un mistero. Come fa a volere un Paese (anzi, un mondo - dice che le interessa il mondo, non un Paese, men che meno il suo) libertino e neutrale, un regno di scialla, se la sola cosa che sa fare, qualsiasi veste indossi, da quella di filosofa a quella di pornostar, è dar regole agli altri, indicare la via della purezza, volere tutti come lei si vuole?
Da “la Zanzara - Radio 24” il 4 ottobre 2019. “Sono perfettamente bisex. Con un maschio o una femmina posso avere lo stesso godimento? Se domani un bel ragazzo si mettesse la vagina togliendosi il pene, mi starebbe bene uguale. Si possono avere i migliori orgasmi anche con un vibratore. Il piacere non ha genere. La riproduzione ha genere, il piacere sessuale no”. Così la pornostar Valentina Nappi a La Zanzara su Radio 24.
Valentina, cosa dovrebbe dire un uomo per convincere la sua fidanzata a fare sesso anale?: “Dovrebbe farsi inculare lui per primo. Dovrebbe dirle: guarda, non c’è nulla di pericoloso”.
E come dovrebbe farlo? Con le dita?: “No, in realtà le dita non sono indicate. Meglio un fallo artificiale”.
C’è chi dice che il vibratore possa uccidere il sesso di coppia?: “No. Forse il sesso tra queste persone era morto prima”.
Studiosi importanti dicono invece che il porno fa male al sesso dei giovani: “Altra stronzata. Quando uno ha un problema col sesso, di solito problema non è il porno, viene da altre cose. Alla fine ci sono più benefici che lati negativi”.
Ma esiste la dipendenza dal porno?: “La pornodipendenza non esiste, ci sono casi rarissimi. Fa molti più danni l’educazione tradizionale della pornografia. Statisticamente non è rilevante”.
Dunque Rocco Siffredi dice stronzate?: “Rocco dice un sacco di stronzate. Non voglio nemmeno commentarle. Abbiamo opinioni completamente diverse”.
Rocco dice che i ragazzi non devono abituarsi al sesso come lo fate voi nel porno: “Beh, come lo fa lui. La prima volta che sono stata sul suo set ho preso il cazzo nel culo per cinque ore, una cosa che non voglio rifare. Dopo cinque ore uno come si sente? Mi sentivo bene. Poi non avevo voglia di farlo per qualche giorno, però… non sto dicendo che è una cosa negativa. Ma non è un sesso che si può fare impreparati. Non è un sesso che si può fare da ragazzini. La pornografia non è quello, anzi. Negli ultimi anni la pornografia è diventata molto vanilla, a volte mi annoio. I ragazzi hanno anche paura di darmi uno schiaffetto sul sedere”.
L’uomo si è impaurito?: “Si, si”. Torniamo al sesso anale: “Può servire a combattere la stitichezza, e a curare le emorroidi. Dunque serve. Dilatare l’ano fa bene, che le donne lo sappiano”.
Hai sempre detto che l’unica coppia possibile è quella aperta: “La coppia o è aperta o non è. Nella maggior parte dei casi se una coppia non è aperta, è una coppia ipocrita. Perché l’ottanta per cento delle coppie si tradisce”.
Sei contenta quando vedi il tuo fidanzato che scopa con altre donne?: “Sì . Anche davanti a me? Mi è capitato di guidare e lui era dietro che scopava con una mia collega”.
Da quanto state insieme?: “Siamo una coppia aperta da dieci anni. L’idea della coppia esclusiva non ha senso. Almeno mentalmente bisogna essere aperti. Ci sono coppie che si dichiarano monogamiche e poi si ritrovano con uno dei due partner con la clamidia o la candida”.
Sei dipendente dal sesso?: “No, ma se smettessi di fare il porno la mia vita sessuale non sarebbe così divertente. Sarebbe un problema. Ho periodi in cui non giro per sei mesi. Faccio sesso col mio ragazzo ma non è la stessa cosa. Come non è la stessa cosa fare sesso in privato col pornoattore. E questo perché in privato ognuno cerca la sua soddisfazione immediata, mentre il bello del set è il contesto: l’obiettivo è soddisfare il cliente. Le seghe degli altri. I miei orgasmi migliori li ho avuti sul set”.
Affrontiamo il tema dei preservativi. Non siete un esempio virtuoso: “Fare il porno col preservativo non è la stessa cosa che farlo nel privato”.
Cioè?: “Le persone hanno un rapporto medio di un quarto d’ora. Noi per quaranta minuti. Sarebbe usurante per le mucose”. II porno non è educativo, dicono: “Il porno ha a che fare con le fantasie ed è finalizzato alla masturbazione. Non a educare”. Sei ancora convinta che il porno sia un atto politico? Non si capisce il significato: “Quando fai porno fai necessariamente un atto politico. In Italia ho notato che i ragazzi hanno difficoltà ad accettare una sessualità femminile forte. L’idea è che la donna va corteggiata, a letto non dice determinate cose, non dice quello che vuole. Mi sono capitati ragazzi italiani che sono letteralmente scappati dalla camera da letto perché io stavo semplicemente chiedendo come volevo essere leccata o toccata. Mi dicevano: ma le altre non fanno così…”.
Perché hai iniziato?: “Volevo offendere mia nonna e tutte le donne della mia famiglia in quanto zoccola. Si cresce soprattutto al Sud con l’idea che sei donna e ci sono cose che non puoi fare e non si capisce perché. Che senso ha negare la mia sessualità?”.
Ma senza Salvini in Italia si respira un’aria migliore?: “Abbiamo vinto una battaglia, non la guerra. Il problema è che restano i sostenitori di Salvini. Quindi resta quella mentalità in giro. Restano i leghisti, i razzisti, i populisti, quelli che credono che i problemi degli italiani siano gli immigrati”.
Il sovranismo è roba per cretini?: “Sì. Io sogno il mondo dove si possa andare dappertutto tranquillamente, senza confini”.
Dell’Italia non te ne frega nulla?: “Amo l’Italia, la Francia, la Spagna, amo tanti posti. Se fossi nata in un altro posto sarebbe uguale. Non mi importa di più di quanto mi importi di altri paesi, mi importa del mondo”.
Domenica al Cinemino di Milano Valentina Nappi: «I porno possono essere anche educativi». Pubblicato domenica, 08 settembre 2019 da Greta Sclaunich su Corriere.it. La pornostar, insieme alla regista Monica Stambrini, presenterà il lungometraggio «ISVN» domenica 8 settembre al Cinemino di Milano. C’è chi lo ha definito un documentario e chi si è limitato a parlare di porno. A questo punto, però, c’è anche chi si chiede cosa sia diventato il porno oggi: forse ISVN, acronimo che sta per «Io sono Valentina Nappi», ne è un buon esempio. Il lungometraggio, uscito nel 2017, è stata coprodotto dalla regista Monica Stambrini e dalla protagonista, la pornostar Valentina Nappi. E che si tratti di qualcosa di nuovo, che va oltre il cinema porno tradizionale, è confermato dalla sua diffusione: il dvd con il film (che contiene anche la prima opera di Stambrini e Nappi, «Queen Kong) è stato distribuito da Feltrinelli e Amazon per CG Entertainment. Domenica 8 settembre, inoltre, sarà trasmesso al cineclub milanese «Il cinemino» alle 21:30: seguirà una discussione con Stambrini e Nappi, presenti in sala (qui le indicazioni per partecipare alla proiezione e all’evento). Un’occasione per fare il punto, insieme alla pornostar, sull’evoluzione del mondo del porno.
Considera ISVN un film porno oppure fa parte, secondo lei, di un’altra categoria (o più di una)?
«Reputo opportuno, in questo momento storico, applicare la categoria porno in maniera estensiva, includendo in essa tutto ciò che è rappresentazione sessuale esplicita e/o che possa essere utilizzato come coadiuvante per l’autoerotismo. Contribuire alla pornografizzazione della società è lo scopo della mia vita, e pertanto desidero che il porno e i suoi stilemi invadano ambiti e linguaggi di ogni genere, colonizzandoli. ISVN è anche una sorta di esperimento sociale, un cavallo di Troia per invadere certi ambienti culturali e aprire le porte a una pornografizzazione più spinta anche di mondi che tendono a essere resistenti o critici verso il linguaggio pornografico».
ISVN riprende una scena intima, non costruita, naturale. Una tendenza che si sta affermando nel mondo del porno e non solo: con le dovute differenze sembra l’estrema conseguenza di mostrare la nostra vita attraverso i social. Cosa ne pensa? Il pubblico è più interessato a questa dimensione rispetto al passato?
«Qui c’è un enorme equivoco, che è ovviamente parte del gioco e, in un certo senso, della beffa. ISVN è molto più costruito e molto meno «naturale» della quasi totalità delle mie scene porno in senso stretto. Chi fosse interessato a una rappresentazione realistica della mia sessualità, farebbe meglio a guardare una delle mie gangbang. In un certo senso ISVN mostra un paradosso: la gente trova irrealistica la sessualità rappresentata nelle scene di sesso di gruppo che sono invece quasi rudimentali nella loro spontaneità, mentre trova realistico ciò che vuole considerare realistico».
Come si sta evolvendo il porno?
«È difficile prevederlo, ma credo molto nelle potenzialità della realtà virtuale, che oggi purtroppo pone ancora molti limiti sia alla performance degli attori sia all’esperienza del fruitore. È quello della realtà virtuale, in fondo, l’unico «realismo» che mi interessa».
Tra le possibili evoluzioni c’è quella della differenziazione: prodotti diversi per gli uomini e per le donne. Ma davvero uomini e donne hanno bisogno di codici diversi?
Non serve una differenziazione per sessi. È preferibile avere una grande varietà di pratiche rappresentate e di stili».
Oggi i giovani imparano la sessualità dal porno. E’ possibile ripensare a questi prodotti dando loro anche un valore educativo?
«I porno attuali sono già molto più educativi di come verosimilmente potrebbero esserlo dei porno studiati ad hoc. Di questi tempi mi fa paura l’idea di un’educazione sessuale ufficiale: sarebbe «femminista», sentimentale, vaginocentrica, melensa, disgustosa. Chissà se la pensano così anche i giovani. Nel corso dell’incontro ci sarà modo di capire il loro punto di vista: saranno presenti infatti i protagonisti e promotori del progetto «Making of love». Si tratta di quattro ragazzi e quattro ragazze ventenni al lavoro per realizzare un film, «Making of love» appunto, che racconti ai giovani dai 15 anni in su le varie sfumature della sessualità. Il progetto, finanziato grazie a una campagna di crowdfunding, ha già raccolto quasi la metà del budget previsto per la realizzazione: l’obiettivo è portarlo, appena sarà pronto, nelle scuole italiane. Nel frattempo, abbiamo incontrato alcuni giovani del liceo classico milanese Parini e abbiamo chiesto loro cosa pensano dell’educazione sessuale a scuola e dove, in mancanza di ore dedicate a questa materia, si informano. Trovate le loro interviste nel video qui sotto».
· Carolina Abril.
Barbara Costa per Dagospia il 20 ottobre 2019. Ma sì, dalle della troia, della ninfomane, della poco di buono, dille di vergognarsi, di coprirsi, di smetterla una volta per tutte: il tuo è fiato perso, tempo sprecato, vai a redimere qualcun’altra, che a Carolina Abril frega nulla di ciò che pensi e sbraiti! Posa oltre il tuo sguardo sdegnato davanti ai suoi porno, oppure... dì la verità, che piace pure a te, che questa ragazza ti eccita, specie per quel culo, e dai, dilla tutta, la segui sui social, su Instagram, ma più su Twitter, dove arrapato non vedi l’ora che posti novità sui suoi porno. Non è che la tua passione sono quei video dove si lei chiude in bagno, in ascensore, e con una sventola amica sua, armate di smartphone, ti fanno vedere quello di cui sono capaci? Se Carolina Abril avesse dato retta a chi storce il naso davanti alle sue pornate, non sarebbe alla soglia dei 10 anni di carriera. A soli 27 anni, in quanto Carolina è entrata nel porno a 18 anni e un mese, d’istinto e incoscienza, appena si è resa conto che quello che più la bagnava nel toccarsi davanti ai video hard, era proprio il pensiero, immaginare di essere lei al posto di quelle donne che vedeva sfrenarsi dal suo pc. E da brava ragazza qual è, la 18enne Carolina ha chiesto il permesso a mamma prima di mandare quella mail, con allegate alcune sue foto di nudo, a una casa di produzione porno il cui annuncio di casting aveva trovato in rete. Ora, intendiamoci: mamma Abril non ha dato il suo benestare a cuor leggero, Carolina è nata a cresciuta a Tenerife, in una famiglia seria e semplice, mamma spazzina e papà cameriere, e certo non è senza cruccio che si manda una ragazzina a Madrid, e per fare un provino porno, poi…! Eppure la mamma ha detto sì, e da quel sì è iniziata una carriera stellare, seppur in salita, perché quel primo provino lasciò Carolina delusa per l’ambiente e le persone. Delusa ma affatto scoraggiata, passò a far webcam e foto porno, fino a vincere il web porno reality di Nacho Vidal, che le spalancò le porte delle produzioni più prestigiose. Se quello che vedi nei suoi video non ti fa sbavare abbastanza, sappi che Carolina Abril sa scatenarsi anche nella vita privata e, benché lamenti di non riuscire a trovare un fidanzato che dopo i primi tempi non attacchi a lagnarsi del suo lavoro, e la assilli nel lasciarlo, quando è poi lei a mollare codesti poppanti d’antan, ti dico che Carolina sa godersela, e tra i suoi amanti migliori elenca – tieniti forte – un 80enne, un altro di 130 chili, e poi una donna altrettanto in carne. Carolina non è bisex, è pansessuale, cioè è oltre la bisessualità, va a letto con chi le piace al di là del suo sesso, il suo orientamento, ma soprattutto il suo aspetto, la sua età e – questa è bella – il suo status economico. Carolina Abril è spudorata, e riconosce che le migliori scopate spesso te le fai con chi è povero in canna, e che però a letto ci sa fare, eccome! Tutti in ginocchio a pregare che Carolina Abril non abbandoni presto il porno, ma soprattutto mantenga fede alla promessa di tenersi lontana da ogni ritocchino. La forza porno di Carolina sta in quel suo corpo intatto, è una delle – ahimè sempre più rare – pornostar rimasta come mamma l’ha fatta, pure nel colore dei capelli. Carolina è siliconamente e fillermente inviolata, il suo corpo minuto (170 cm per 53 chili) è chirurgicamente vergine, il suo visetto e i suoi seni dall’aspetto ancora acerbo fanno strage di cliccate nella categoria teen, seppur Carolina sia anche una regina del fetish. Carolina è disarmante perché non considera il suo lavoro di serie B, è orgogliosissima di quello che fa, e senza giri di parole ti dice che non entri nel porno se non sei già di tuo un’esibizionista, e una a cui piace il sesso in ogni sua gloriosa manifestazione. Anche se non sempre quello che fai sul set ti diletta, o ti fa davvero godere, ma questo è causato dall’assenza di naturalezza: sei vincolata al regista, ai partner, alle posizioni le più scomode per te ma le migliori per chi ti cerca e ti clicca per alluparsi al di là dello schermo. A soli 18 anni poi, Carolina Abril non è che avesse chissà che competenza negli affari di letto: solo esperienze etero, nelle più classiche delle posizioni. Il porno ha allargato la sua mente e i suoi orizzonti, oggi ti dice che la sua posizione preferita è la cow-girl, il sex toy le palline vaginali, e che non le dispiace l’anale, ma che la doppia penetrazione la riserva al set e agli occhi dei suoi fan! Carolina è schietta, e sa che è inutile dannarsi per una società abituata a una doppia morale: il porno – e di più le ragazze che scelgono di fare porno – sono malvisti per le secolari regole etiche e religiose che formano la società. Il cambiamento non va forzato, bensì "spinto", favorito con le azioni che consapevolmente compiamo giorno per giorno. E Carolina Abril porna, in modo sano e pulito. Pulito sì, perché anche qui è una questione di personalità, e guarda Carolina sui social: sempre positiva, sorridente accanto a post porno-ironici, disconnessa da qualsiasi social-nevrosi: ha più forza e carattere lei che 100 prefiche metooiste! Dice Carolina: “Il porno mi ha fatto uscire da un ambiente chiuso, mi ha fatto crescere, diventare una donna, e smettere di fumare! Se fatto bene, il sesso è un super antidepressivo, è il miglior psicologo, il miglior sport”. Il porno l’ha resa sicura di sé, indipendente, “una persona normale, che fa un lavoro speciale”, e di sicuro avversa ad ogni conformismo. Ancora stai a leggermi? Ma corri a vedere Carolina su Twitter che squirta!
· Natalie Oliveros. Nome d'arte, Savanna Samson. Dal porno al Brunello.
Natalie Oliveros. Nome d'arte, Savanna Samson. Dal porno al Brunello. Luciano Ferraro per il “Corriere della sera” il 3 giugno 2019. Quando Natalie Oliveros arriva alla serata di gala a Montalcino, i 450 attovagliati ammutoliscono. Tubino nero, trucco da star, capelli biondi e tatuaggi. Il più lezioso è una farfalla dietro l'orecchio destro. Nel borgo toscano che sa essere ruvido come il suo Sangiovese, Natalie è considerata una (bellissima) marziana. Non perché è una produttrice di vino straniera. Piuttosto perché è un'ex attrice a luci rosse. Nome d'arte, Savanna Samson. Esordio con Rocco Siffredi «per regalare un film a mio marito». Poi dieci anni di pellicole hard, fino a diventare una star. Dal luglio scorso la chiamano Lady Ferrari. Perché il compagno è Louis Camilleri, amministratore delegato della casa automobilistica di Maranello, il successore di Sergio Marchionne. Sorridenti, Camilleri e signora entrano sottobraccio alla cena nel chiostro di San Antonio. Dietro di loro, una scia di mormorii. Se ne vanno dopo la seconda portata. Sui tavoli resta il vino della tenuta di Natalie: Rosso e Brunello La Fiorita. La prima annata venne acquistata in blocco dall'Enoteca Pinchiorri, forse la migliore cantina del mondo.
Lei e Camilleri siete soci alla Fiorita?
«Lui è il mio partner silenzioso», si schermisce Natalie.
Come è nato il progetto del vino?
«La Fiorita nasce con tre amici, l'enologo Roberto Cipresso e altri due investitori nel 1992, a Castelnuovo dell'Abate, partendo da un vigneto di mezzo ettaro. Nel 2011 gli investitori hanno lasciato, io sono rimasta».
Lei lavora tra le vigne?
«L' anno scorso ho seguito anche l'imbottigliamento con mio figlio Luchino (il nome è un omaggio a Visconti)».
Diventerà un vignaiolo?
«Vuole diventare regista, studierà a New York».
Come è stata accolta a Montalcino?
«Tutti sono stati così gentili con me. Sono felice, i volti sono diventati familiari. La lingua può essere una barriera. Non vedo l'ora di riuscire a parlare meglio l'italiano. Devo solo rilassarmi e provarci. L'italiano è così bello».
Qualcuno le chiede mai notizie sul passato di attrice?
«In realtà raramente. Spesso alle fiere del vino, però, arrivano dei curiosi che vogliono un selfie con me. Dopotutto sono passati 9 anni da quando ho girato il mio ultimo film. Ora la mia vita e il mio futuro sono l'azienda La Fiorita e la produzione di buoni vini».
Quanti film ha fatto?
«Sono stata sotto contratto con la Vivid Entertainment per soli 6 film all'anno. Ho realizzato circa 70 film. Ma Vivid ha venduto spezzoni con le mie scene per le compilation. Quindi Dio solo sa quanti siano effettivamente i film in cui compaio».
Quali sono i suoi amici tra i produttori di Brunello?
«Il primo a farmi entrare nel mondo di Montalcino è stato il conte Francesco Marone Cinzano. Poi Jacopo Biondi Santi, Massimo Ferragamo che possiede la cantina Castiglion del Bosco, i marchesi Frescobaldi, e l' ex presidente del Consorzio Fabrizio Bindocci. Mi piace lo stile di Mastrojanni, la cantina di Andrea Illy».
Di cosa si occupa?
«Sono la brand ambassador della Fiorita. Giro il mondo. Vendiamo il 60% delle nostre 28 mila bottiglie negli Stati Uniti».
Qual è lo stile del Brunello?
«Sto iniziando ora a dare la mia impronta. Mi piacciono Brunello non legnosi. Voglio portare le qualità della terra nel bicchiere. Sto abbandonando le barriques a favore delle botti grandi. Il vino è più puro».
Adesso che Camilleri si occupa della Ferrari, viene più spesso a Montalcino?
«Vengo 6 o 7 volte l'anno a seguire la vendemmia. E per controllare la costruzione della nuova cantina. Sarà pronta per la prossima vendemmia».
Qual è la sua idea del vino?
«Il vino è come la donna: è difficile, sensibile, delicato. E, come una donna, vale sempre la pena di scoprirlo».
Cosa producete?
«Abbiamo 7 ettari, le vigne si chiamano Poggio al Sole e Pian Bossolino. L'ultima annata sul mercato, la 2014, è andata meglio del previsto, anche grazie all' enologo Maurizio Castelli. Oltre a Rosso e Brunello, anche in versione Riserva, stiamo preparando un nuovo vino. Ma voglio mantenere il mistero».
Come ha scoperto il vino?
«Viaggiando per piacere tra Italia e Francia. Quando ero bambina la mia famiglia produceva vino in un garage. Mia nonna era calabrese. In fondo sono tornata alle origini. E non farò più film per adulti».
Antonella Leoncini per La Nazione 18 luglio 2018. Il cinema: quello hard, a luci rosse; il vino: il Brunello, uno dei migliori al mondo. E sempre lei, Savanna Samson, lo pseudomino con cui Natalie Oliveros è famosa fra i suoi fans. Una vita oggi divisa fra Manhattan e Montalcino, dove Natalie ha messo a frutto le fatiche sul set nella sua azienda "La Fiorita". Ha la dote della bellezza e la vocazione per il business: le scelte migliori per un risultato eccellente. Non è però single: il suo partner è Louis Camilleri, presidente della Philip Morris. Il boss della più grande corporation del tabacco, che ha scelto Montalcino come buen retiro. E il suo è l’unico Brunello che, oltre al colore, ha rosse anche le luci.
Perché il cinema hard?
«Ho scritto una lettera a Rocco Siffredi. Volevo girare un film per mio marito, ora ex, come regalo di nozze: “Savanna meets an american angel in Paris”, Savanna incontra un angelo americano a Parigi. È stato nominato miglior film straniero agli Avn Awards. Vivid Entertainment mi ha offerto un contratto che non potevo rifiutare. Ho lavorato con loro dieci anni».
Dal cinema hard al Brunello, il passo è grande.
«Mi sono innamorata di Montalcino durante una vacanza. Conoscevo il mondo del vino: ‘SSS Wine’ era il nome della mia azienda di vini italiani negli States. Quando l’enologo Roberto Cipresso mi ha chiamato dicendo che i soci de ‘La Fiorita’ volevano cedermi le quote, ho capito che il sogno di produrre un mio vino diventava realtà. Dal 2016, sono l’unica proprietaria».
Qualche ripensamento?
«L’intrattenimento per adulti è stato un periodo importante della mia vita, certo intrigante. Ho avuto esperienze incredibili, ho viaggiato. Sapevo che non sarebbe continuato eternamente. Dopo il cinema ho pensato che il modo migliore per esprimermi fosse quello di produrre un mio vino, realizzare l’azienda che lascerò a mio figlio».
Molti continuano a chiamarla Savanna Samson. La infastidisce?
«L’altro giorno, due giovani a Manhattan mi hanno fermato per chiedere una foto. È stato bello. Amo recitare. Quando ero con Vivid, ero una star. L’hard muoveva un business da miliardi di dollari. Internet ha cambiato tutto. Ho smesso quando la qualità si è abbassata. Adesso sono coinvolta con un incredibile gruppo stream: ‘DH & CX’. Sono diverse le tecniche sul set: tutto qua».
Dagli Stati Uniti, come riesce a seguire l’azienda?
«Vivo a Manhattan con mio figlio Luchino. E’ importante che abiti in America, dove il mio vino è apprezzato e il mercato deve essere seguito. Sono a Montalcino sei, sette volte all’anno, sempre nei momenti essenziali. Sono fortunata ad avere a “la Fiorita” una squadra fantastica: Luigi Peroni, il manager, e tutto il team. E poi il mio compagno Louis Camilleri è il mio riferimento anche per le scelte de “La Fiorita”.
I rapporti con i produttori di Brunello?
«Sono orgogliosa di far parte del Consorzio del Brunello. Gli italiani mi ispirano. Mia nonna era calabrese: sono cresciuta italiana. Il vino, la terra, fanno parte del mio Dna».
E con le donne del vino?
«Eccellenti. Sempre più donne del vino emergono. È ciò che chiamo girl power! Io per prima non voglio nascondermi. Voglio lasciare il mio segno».
Lascerà Manhattan per Montalcino?
«Sono abituata a respirare l’aria di New York, ma amo sempre di più la campagna. Il mio cuore è sempre di più a Montalcino. Non passerà molto tempo e la Toscana potrà diventare la mia casa».
Da “la Zanzara - Radio 24” 29 luglio 2018. “Savanna Samson? E’ una che scopa forte. Stiamo parlando di una donna estremamente furba, diciamo così, estremamente manipolatrice, pazzesca, e le piace molto l’uccello”. Lo dice Rocco Siffredi a La Zanzara su Radio 24 parlando della compagna (ed ex pornostar) del neo presidente della Ferrari, Louis Camilleri. Siffredi racconta di come ha conosciuto la Samson, che gli chiese di fare un film porno come regalo di nozze all’allora marito: “Sono stato il suo regalo di San Valentino a mia insaputa. Era più o meno il 2000 e lei mi manda una lettera e dice “I want to have sex with you”. Io le ho risposto: guarda, siccome ne ricevo tante di richieste come questa, se nella vita privata dovessi scoparmi tutte quelle che me lo chiedono, dovrei fare un altro lavoro. Non lo faccio, non faccio il gigolò, mi dispiace. Ma se vuoi possiamo fare un film, però mandami le foto. Lei mi manda le foto, era a New York, bellissima, 27 anni all’epoca, mai fatto il porno. Io ero una sua fantasia, e suo marito le faceva questo regalo, ma l’ho saputo in albergo quando il marito è entrato in stanza. Io gli dico: ti invito sul mio set in Europa, dove ti pare, magari lo facciamo dove stai. Lei dice: I can fly to Paris. Ho detto facciamolo a Parigi, bello, però non posso pagarti la prima classe. Dice: no problem for the tickets. Poi io avevo riservato l’Holyday Inn e lei mi dice di essere in un hotel su Place de la Concorde da 3000 euro a notte. Alla fine mi ritrovo con lei in questo hotel, che mi sono pure beccato una denuncia, e mi dicono la signora Oliveras la aspetta nella sua suite. Io dico a mio cugino che ci riprendeva di non perdere nulla...voglio un documento reale, ci abbracciamo, ci baciamo, iniziamo a scopare lì, mentre stiamo scopando entra quest’uomo tutto ben distinto, ormai eravamo per terra…Era il marito mulatto, mezzo nero mezzo bianco, che mi fa: sorry to disturb you guys. Ma chi è? Mio marito. Ho dimenticato di dirti che tu sei il mio regalo di San Valentino. Abbiamo fatto una settimana di riprese…la sorpresa non era lei che decideva, ma io, quindi lei ha fatto sesso con me, con due ragazzi di colore, con un’altra donna e anche una gang bang...”. E poi che è successo?: “Mi scrive dopo un mese e mi dice: io e mio marito abbiamo scopato tutti i giorni e voleva che gli raccontassi ogni cosa che le ho fatto fare, e sono anche incinta. Pensate voi, quel bambino che lei ha nasce da una relazione col marito dopo aver fatto il film con me, per l’arrapamento lui la scopava ogni minuto per due mesi. Ed è nato il bambino. E’ un insegnamento per tutti: se volete fare un regalo particolare alla vostra donna che non vi mente, fatelo”. Te lo chiedono in molti?: “Mi scrivono tantissime persone che mi chiedono come regalo di far sesso con la propria moglie. Dico la verità, non lo faccio per il semplice motivo che diventa veramente un altro lavoro. Mi chiamano e mi chiedono voglio che tu parli italiano mentre facciamo l’amore perché pensa di fare sesso con te…”. Ma esiste una donna che non vorrebbe almeno per una volta farlo con te?: “E’ pieno di donne super fans che si masturbano davanti a me, però con me non ci scoperebbero mai. Perché dicono che le faccio eccitare, che con me vengono, ma sono troppo forte o troppo impegnativo. Hanno paura, ma sbagliano perché io sono un amplificatore, decidi tu il volume. Io posso regolarmi, dal super romantico tenero all’uomo violento nel sesso, sono nato per dare il piacere alle donne. Faccio quello che la donna chiede. Poi mi piace spingerle al piano superiore, quello che loro non conoscono ancora. Lì è divertente”. Torniamo a Savanna, che in realtà si chiama Natalie Oliveros. Perché hai detto che è furba e manipolatrice?: “Perché l’ho conosciuta anche dopo, negli anni in cui era una Vivid Girl (dal nome della casa di produzione porno americana, ndr) e vi dico che riesce sempre ad ottenere tutto quello che vuole con la furbizia. E’ molto intelligente, ma devo dire, molto paracula. Lo dico in senso positivo. Lì è veramente la numero uno. Basta vedere i suoi uomini. Lei ama questo, adora la vita, adora l’uomo ricco, e poi le piace il cazzo vero. Quando lo vuole, lo vuole al top”. “Il film che abbiamo fatto – racconta ancora - era prodotto da me, è venuta a girare con me e non ha voluto i soldi perché mi ha detto: you’re my fantasy, alla fine mi ha detto che ero il suo regalo di San Valentino. Lei è venuta a fare l’attrice per me e non ha voluto i soldi. Io le ho detto che dovrò utilizzare la tua immagine, tu devi firmarmi un documento e lei mi ha detto thanks, I don’t want anything. You’re my fantasy. Chapeau. Io non sono mai invidioso. Quando le persone arrivano e ci sanno fare, come dicono i francesi chapeau”. Hai detto che Salvini sarebbe perfetto per un film porno, perché?: “Ha la faccia un po’ da maialone. Salvini lo vedo bene come un giovane Roberto Malone. E’ il Malone degli anni nuovi. Salvini ha la faccia del tiratore”. E Cristiano Ronaldo?: “Adesso vi racconto una cosa. Lui è venuto nel locale di Jessica Rizzo a Roma prima che diventasse famosissimo. Pensate che per andare a scopare un tipo come lui che gli cadono da tutti i lati, è andato lì…Significa che è un numero uno, uno cui piace la vita, il sesso. Da quello che ho visto, quella sera lì si è divertito molto”.
· Eva Henger.
Mercedesz Henger, la rivelazione shock: «Mio padre non era Riccardo Schicchi». Pubblicato lunedì, 25 novembre 2019 da Michela Proietti su Corriere.it. Per tutti è sempre stata la figlia di Eva Henger e Riccardo Schicchi. Ma ora Mercedesz Jelinek Schicchi, modella, cantante e personaggio televisivo, ha deciso di raccontare la verità: Riccardo Schicchi, l’imprenditore del porno morto nel 2012 a soli 59 anni, non era il padre biologico. Mercedesz, statuaria bellezza di un metro e 80 di altezza con un seguito social di 641 mila follower, racconterà i dettagli di questo retroscena familiare a Non è la D’Urso, il live serale condotto da Barbara D’Urso. Una confessione che confermerà i gossip che si sono susseguiti negli ultimi anni incentrati proprio sulla paternità di Schicchi. La coppia, una delle più celebri del porno italiano, si era conosciuta in Ungheria alla fine degli anni Ottanta ma sarà solo qualche anno più tardi a Roma, durante una sessione fotografica, che nascerà l’amore: nel 1994 si sposano e con loro c’è già una bambina di 3 anni, Mercedesz, per tutti figlia di Riccardo. Per Schicchi Eva Henger è l’ultima di una lunga serie di stelle del porno: prima di lei c’era stata la storia con Cicciolina e poi l’infatuazione professionale per Moana Pozzi, che sotto la regia di Schicchi e della sua agenzia Diva Futura diventerà la regina italiana del porno. «Dopo due mesi che ci conoscevamo già vivevamo insieme in un appartamento sulla Cassia», ha rivelato la stessa Henger, originaria di Gyor, paese dell’Ungheria dove oggi vive con il secondo marito. Nel 1995 la famiglia si allarga e nasce Riccardo: qualche anno più tardi la coppia entra in crisi, si separa e viene anche travolta dagli scandali, entrambi accusati di aver organizzato un giro per favorire l’ingresso in Italia di giovani donne dall’Est per avviarle alla prostituzione. Nonostante la separazione e le varie vicissitudini la coppia rimane in buoni rapporti: anche se Eva Henger si rifà una vita con Massimiliano Caroletti, con quale avrà la terza figlia, Jennifer, non lascerà mai solo Riccardo Schicchi nei periodi della malattia, standogli accanto fino al giorno della morte. «Ero timidissima, facevo fatica a esprimermi, sia con le parole che con il corpo. Con Riccardo Schicchi sono sbocciata», ha rivelato in una intervista rilasciata qualche anno fa la Henger, sottolineando come si trattasse di un legame speciale. «Il mio primo marito per me è stato più di un padre. Quello che lui amava, io amavo. Quello che lui desiderava, desideravo». Un rapporto esclusivo, che genera più di un imbarazzo alla piccola Mercedesz. «All’inizio avevamo un rapporto strettissimo. La portavo sempre nel marsupio anche quando lavavo i piatti - ha rivelato a Libero la ex pornostar -. La portavo con me in auto a Venezia, dove facevo gli spettacoli, eravamo in macchina anche con mia madre e cantavamo. Finiti gli spettacoli andavamo in giro per la città al parco di Gardaland». Poi con l’età dell’adolescenza le cose si complicano: «A scuola hanno iniziato a prenderla in giro per il mio lavoro, stava diventando aggressiva e abbiamo deciso di mandarla in Inghilterra a studiare: aveva 17 anni e soffriva. È una ragazza sensibile ma anche ribelle, non agisce secondo quello che le conviene», ha commentato la madre Eva dopo lo scontro di Mercedesz sull’Isola dei Famosi con Simona Ventura. Proprio durante la partecipazione al reality, nel 2016, Mercedesz si spinge al limite pur di vincere la prova di apnea: in studio credono stia soffocando, la mamma Eva Henger, ospite tra il pubblico, si sente male e Alessia Marcuzzi scoppia in lacrime. Un temperamento che non ha paura delle sfide. Anche la decisione di raccontare un dettaglio così privato della sua vita va in questa direzione: non si conosce l’identità del vero padre di Mercedesz, ma c’è da scommettere che si aprirà la caccia al nome. All’epoca della nascita, infatti, Eva e Riccardo erano già una coppia, sebbene non ancora sposati, e Mercedesz potrebbe essere il frutto di una relazione extraconiugale.
Mercedesz Henger contro sua madre Eva: "Non la voglio vedere". A Pomeriggio5, Mercedesz Henger ha risposto alle affermazioni di sua madre Eva e ha per il momento messo un punto al loro rapporto, affermando con fermezza di non volerla più vedere. Francesca Galici, Mercoledì 04/12/2019, su Il Giornale. Non sembra essere destinata a una fine immediata la “guerra” tra Mercedesz Henger e sua madre Eva, di nuovo protagoniste del gossip. Le dichiarazioni di Mercedesz in merito alla verità sul suo padre biologico non sono piaciute a Eva Henger, che prima tramite i social e poi dai microfoni di Live – Non è la d'Urso ha duramente attaccato la ragazza. Oggi, mercoledì 4 dicembre, Mercedesz Henger era ospite di Barbara d'Urso a Pomeriggio5 nell'ambito del talk sulle “famiglie in guerra” per rispondere alle dichiarazioni di sua madre. Eva Henger lunedì sera ha dichiarato che non è vero fosse un segreto che Riccardo Schicchi non fosse il suo padre biologico. Stando alle parole della vedova del re del porno italiano, infatti, erano decine le persone a conoscenza di questo. Una circostanza sotto gli occhi di tutti da sempre, visto che Mercedesz porta il cognome del suo vero padre, un uomo ungherese che l'ha riconosciuta ma di cui lei non ha alcun ricordo. Dopo aver visto parte dell'intervista rilasciata dalla madre, Mercedesz Henger ha voluto ribadire la sua verità, che contraddice quella di Eva. In questi giorni, la ragazza ha ricevuto le chiamate di numerosi volti noti della tv che la conoscono da tantissimo tempo, amici di famiglia dei suoi genitori che non erano a conoscenza di questo dettaglio. La compagna di Lucas Peracchi ha fatto due nomi esemplificativi, quello di Eleonora Giorgi e quello di Nadia Rinaldi. La prima è la madre di Paolo Ciavarro, che per 13 anni è stato a scuola con Mercedesz ma che, nonostante questo, non ha mai fatto caso al cognome della ragazza. La Rinaldi, invece, ha frequentato per tanti anni la casa di Riccardo Schicchi essendo un'amica di famiglia di lungo corso ma pare che né Riccardo né tanto meno Eva lo abbiano mai voluto raccontare. La madre di Mercedesz Henger ha più volte ribadito in questi giorni che Riccardo Schicchi non avrebbe mai voluto rivelare di non essere il padre biologico della ragazza, proprio per non sentirti defraudato del suo ruolo. “Ho difeso questa notizia. Mia madre è un'ennesima delusione, è una cosa che mi ferisce. Ho elogiato mio padre in tutti i modi. La memoria di mio padre si sporca trasformandola in una faida tra me e mia mamma”, ha detto Mercedesz a Barbara d'Urso. L'ennesima discussione pubblica tra madre e figlia in poche settimane non ha fatto altro che deteriorare ulteriormente un rapporto già complicato, tanto che Mercedesz Henger ha chiuso il suo intervento con una frase molto forte e inaspettata: “Mia madre mi sta attaccando, mi fa molto male. Io tuttora, vedendo la reazione di mia mamma, non credo di aver sbagliato. Sarà sempre mia madre ma per il momento non la voglio proprio vedere.”
· Morena Capoccia.
Dagospia il 25 novembre 2019. Comunicato stampa. La “scalda camionisti” è una prostituta che invece di pubblicare un annuncio all’interno di un sito di incontri o direttamente battendo per strada si propone facendosi vedere in abiti succinti nei parcheggi degli autogrill o nelle aree di sosta di autostrade e tangenziali; il contatto diretto con il cliente avviene tramite il baracchino CB che ha all’interno della sua Fiat Panda bianca (il suo ufficio mobile) mettendosi in conversazione con i camionisti che si fermano per sostare. Il tariffario che propone Morena Capoccia detta anche “la Troia di Spoleto” è alla portata di tutti, sono prezzi accessibili, ma non è una che si risparmia, anzi, si da in tutto e per tutto; il servizio che offre è completissimo. L’incontro di sesso avviene quasi sempre all’interno del camion del cliente pagante. La porno attrice spoletina qualche tempo fa è stata avvisata che il suo fans club ha fatto recapitare una lettera al sindaco della città Umberto De Augustinis affinché le dia un riconoscimento; il gruppo di accaniti sostenitori con dovizia di particolari spiegano che la signora Capoccia merita di essere insignita della cittadinanza onoraria per essersi distinta nelle arti amatorie, sottolineando che la missione dell’attrice a luci rosse in questa vita è quella di soddisfare quanti più uomini e donne possibili senza distinzione di razza, età, aspetto fisico, religione. L’esplosiva Morena lusingata ed onorata dichiara: “io tengo al mio titolo di pornoattrice e scalda-camionisti come il dottore tiene al suo oppure come l’avvocato tiene al suo; io mi sono distinta, e di questo devono rendermene atto, nelle arti cinematografiche di genere e nelle arti amatorie con professionalità e passione, il sesso è la mia vita e non lo nascondo! Sono una grande Troia e me ne vanto!”.
· Rossana Doll.
“SONO DIVENTATA PORNOSTAR PER VOCAZIONE”. Dagospia il 03 dicembre 2019. Comunicato stampa. La storia del libro scritto da Rossana Doll in collaborazione con il giornalista Alberto Selvaggi ha inizio nell’inverno del 1994. Il Corriere della Sera pubblica un articolo in cui la signora Doll racconta di favori sessuali da lei offerti a politici e notabili in cambio di un posto di hostess di volo, tra l’altro mai ottenuto. La casa editrice “Stampa Alternativa” decide di pubblicare la storia della vita di Rossana, pornostar per scelta e disponibile a fare nomi e cognomi sul perverso e diffuso sistema delle “tangenti sessuali”. Nasce così un libro che, per primo in Italia, indaga sulla vita privata dei politici nella sua pubblica rilevanza. La casa editrice ne affida il concepimento e l’elaborazione letteraria in forma di romanzo breve al giornalista barese Alberto Selvaggi, sulla base delle dichiarazioni della pornostar. La pubblicazione del libro, proprio in quel periodo storico, non è casuale. Dopo decenni di corruzione politica, economica e giudiziaria, in Italia si è in pieno clima di “repulisti” e di ribellione contro i potenti del malaffare. Il pool di Milano con le sue inchieste dà voce al desiderio di legalità dei cittadini, alla volontà di archiviare la Prima Repubblica ed i suoi costumi perversi. A Tangentopoli manca un solo capitolo: quello della “tangente sessuale”, sistema analogo a quello della tangente politico-finanziaria. Dal testo di Membri di Partito nascono così i termini ed i concetti di “Sessopoli” e “Pornopoli”. L’uscita di questo storico libro ha un grande clamore sui mass-media, come è documentato nell’ultima parte del libro, e si apre anche il dibattito sulla privacy dei personaggi pubblici citati. Il caso letterario-giudiziario di Membri di Partito ancora oggi nel 2019 continua a far parlare...Rossana Doll oggi ha 52 anni ed ha alle spalle ben 30 anni di carriera del mondo del cinema e dello spettacolo a luci rosse. Discendente da una importantissima famiglia barese, il padre Salvatore è stato procuratore capo dell’intendenza della finanza di Bari, mentre la madre Elda è stata una stimata avvocatessa. Oggi l’occupazione principale di Rossana Di Pierro in arte Rossana Doll é quella di mamma di un ragazzino di 13 anni e di un ragazzo di 26 anni, poi ama occuparsi dei suoi 5 gatti che ha adottato perché erano stati abbandonati, ama tenersi in forma andando in palestra e ogni tanto fa ancora qualche spettacolo e partecipa a qualche evento sexy nel torinese, città che l’ha adottata parecchi anni fa. Rossana dichiara: “Sono diventata Pornostar per scelta e vocazione, 30 anni fa non era facile come adesso, e poi con la famiglia che avevo figuriamoci le difficoltà che hanno avuto nell’accettarlo! Le donne che screditano e criticano il lavoro che io ho fatto sono donne frustrate e gelose e vorrebbero essere al mio posto. Io facendo i film hard mi sentivo al centro dell’attenzione e desiderata, essendo esibizionista e narcisista per me era il raggiungimento del massimo dell’apoteosi. L’esperienza più estrema che ho fatto sessualmente? Aver soddisfatto da sola circa 500 uomini alla fiera erotica di Barcellona circa 20 anni fa, esperienza unica e soddisfacente! Un altra grande soddisfazione che mi sono tolta nel 2016 a 49 anni è stata quella di vincere il premio di Miss Erotismo”.
· Omar Pedrini.
Omar Pedrini a Le Iene: “Sono un brutto che piace”. Le Iene il 02 dicembre 2019. Omar Pedrini, il cantautore degli anni ’90 chiamato anche Zio Rock, si riscalda a Le Iene prima del suo concerto di lunedì 2 dicembre al Fabrique di Milano. Parla delle sue preferenze musicali, Sanremo e sesso. E ci canta anche due pezzi. Omar Pedrini, ex leader dei Timoria è nato nel 1967 e anche il suo cuore appartiene agli anni ’70. Della musica di oggi dice: “Qualcosa capisco, qualcosa meno”. Per esempio: capisce Calcutta, Coma Cose, Frah Quintale, la trap però gli fa strano. “Frank Zappa è anche meglio di tuo marito” è la sua frase preferita. Per lui “love is the answer” (l’amore è la risposta) e nomina il Dio invano quando guarda il Brescia: “Poi mi pento e chiedo anche perdono”. “Sono un brutto che piace”. Ha avuto molte donne? “Ho avuto quelle che desideravo”. Mai desiderato una donna degli altri? “Si, quotidianamente”. Invidiato qualcuno? “No, è un sentimento che non mi appartiene”. Per essere a posto con se stesso ha bisogno di 5 accoppiamenti a settimana. E sua moglie sembra che non abbia “quasi mai mal di testa”. Partiamo con le domande più piccanti: hai mai fatto sesso con una sconosciuta? “Se i camerini degli anni ’90 parlassero, ne avrebbero da dire”. Parliamo di musica: se lo invitano a Sanremo? Va. X-FActor? “Anche”. Con il concerto di lunedì 2 dicembre al Fabrique fa in totale 48 date. Salute? “Potrei rischiare di essere operato per la quarta volta, ma per me è una cosa normale, che mi fa apprezzare di più il mio tempo”, dice il cantautore.
· Ottavia Piccolo.
Pier Luigi Vercesi per il “Corriere della Sera” il 03 dicembre 2019.
«Ma sei così? Mi dice sconfortato Giorgio Strehler un pomeriggio del 1972 al Piccolo Teatro di Milano. Mi osserva meglio: "Oddio, sei un manzo!". Avevo 23 anni, ero alta un metro e settanta, né grassa né magra. Mi aveva scelto per il ruolo di Cordelia nel Re Lear di Shakespeare, ricordandomi com' ero a 15 anni, quando mi diede la parte di Checca nelle Baruffe chiozzotte di Goldoni. "Visto che sei qui..."».
Niente male per infondere sicurezza in un' attrice. Ottavia Piccolo, fortuna sua, era già una star. Circolava persino la voce che il teatro di Milano si chiamasse così in suo onore. Ma cominciamo dall' inizio. Lei calcava le scene all' età di 11 anni: figlia d' arte?
«Scherza? Mio padre era un maresciallo dei carabinieri di origini pugliesi. Quando sono nata aveva 48 anni. Mamma era nata a Tripoli da genitori marchigiani. Venni alla luce casualmente a Bolzano, dove passai nove mesi nella pancia e altrettanti fuori, poi ci trasferimmo a Roma, quartiere popolare di San Paolo fuori le Mura nelle case del Comune, 30 metri quadrati. Mamma si appassionò al teatro ascoltandolo alla radio. Mai visto dal vivo. Un giorno legge sul giornale che cercano una bambina per Anna dei miracoli , ispirato alla vera storia della sordo-cieca Helen Keller. "Ottavia ci andiamo? Così vediamo com' è fatto un teatro". Al Quirino di Roma spalancammo gli occhi come bambine nella fabbrica della cioccolata. Mi presero per il fisico: mingherlina, dimostravo meno dei miei 10 anni, capelli biondi lunghi. Poi si accorsero che avevo un modo buffo di stare sul palcoscenico».
Non sarà stato facile farlo accettare a un padre carabiniere.
«Papà mi considerava una cosa miracolosa.
Gli avessi chiesto di scalare l' Himalaya, me l' avrebbe concesso, pur di vedermi sorridere. Fu felicissimo. Un po' meno quando infilammo i nostri quattro stracci nella valigia e andammo in tournée per sette mesi. Rimase solo, con il ricordo della prima ufficiale, a Milano, dove venne e pianse l' anima vedendomi recitare. Quando mi scritturarono, io e mamma ci guardammo incredule: 6.500 lire al giorno; papà portava a casa 35 mila lire al mese. Però mamma disse: "È un gioco, se ti stufi, si torna a casa". Non avevamo calcolato di dover pagare alberghi e ristoranti. A un certo punto abbiamo dovuto farci mandare un vaglia da Roma».
Le permisero di non andare a scuola?
«Frequentavo un istituto di monache, saltai la prima e, quando tornai, recuperai le tre medie. Lavorando però. L' anno dopo mi diedero una parte in tv con Monica Vitti. Dio mio se ero invidiosa! Faceva tutto lei, io, figlia del custode, solo tre battute. Nel '63 mi scritturano per interpretare la figlia del principe di Salina nel Gattopardo di Luchino Visconti».
Immagino le suore: povera bambina sulla strada della perdizione...
«La preside era una sveglia. Mi chiama tutta eccitata: "Chi interpreta il principe?". Burt Lancaster. "Uh, per carità, mica è adatto". Faceva il tifo per me. Prima degli esami di terza media chiama mamma e dice: "Qui abbiamo le magistrali, se la iscrive chiudiamo un occhio sulle assenze". Assolutamente no, dico io che sono tignosetta. Faccio un liceo vero. E mi mandano al Virgilio. La mattina scuola, il pomeriggio prove, la sera in teatro. Dopo aver dormito 15 giorni sul banco, getto la spugna. Quando decido di iscrivermi all' Accademia d' Arte drammatica, gli amici che la frequentavano, Gabriele Lavia e Paola Gassman, dicono che sono matta: "Adesso ti vogliono tutti, se stacchi e non ti chiama più nessuno?". Penso abbiano ragione e cerco di sopperire con un' indigestione di letture. Un anno tutto Shakespeare, ed è una gran marmellata. Il successivo i russi, e il risultato non è migliore».
Luchino Visconti: non le tremavano le gambe?
«Stavo al mio posto e veniva naturale a tutti darmi dei buffetti. Almeno quando non ero in scena. Mamma era discreta, non una di quelle alla Bellissima ("più bella la mia, più bella la mia..."). Quando provavamo si rintanava nei camerini per permettere al regista di rimproverami. Visconti era il direttore del Circo Barnum, una macchina infernale, metteva insieme elefanti, serpenti e giocolieri. Aveva cinque vice e due assistenti. Centinaia di persone correvano su e giù, parlando una lingua diversa. Le maestranze creavano dal nulla scenari. Vivevo in una fiaba. Due mesi a Palermo, poi saltai i quaranta giorni del ballo. Rientrai per le scene girate vicino a Roma. Mi tremavano le gambe quando urlava "più a destra, più a sinistra" e io non capivo. Nel '66 lo incontro di nuovo per una parte nel Giardino dei ciliegi . Mi avevano dato un testo da imparare a memoria, ma in quel periodo ero cialtrona e fatalista. All' audizione ammetto di non sapere la parte. "Allora recitami una poesia". "Non so poesie", rispondo. "Una parte qualunque che sai". Me la cavo con una battuta e lui mi caccia via a male parole. Arrivo a casa mogia, so di aver esagerato. Squilla il telefono. L' amministratore del teatro mi dice: "Domani venga a firmare, la parte nel Giardino è sua". Tiranno Visconti? Non più di Strehler, l'uomo che mi ha cresciuta, migliorata, dicendomi cose terribili. L' avevo sempre addosso: "Non sai usare la voce. Non si sente". Non sapevo fare il salto mortale. "Sai almeno fare una capriola e suonare il flauto?". Mi veniva la febbre ogni volta che dovevo andare in teatro. Ho ancora il copione dove Gabriele Lavia (impersonava Edgar) mi scriveva di nascosto messaggi: "Sigh! Non gli piaccio". Eravamo convinti ce l' avesse con noi perché eravamo due personaggi positivi e lui odiava i buoni. Ma mi plasmò, mi diede la forza di andare avanti nei momenti più difficili della mia vita: mentre lavoravo con lui morì mio padre, poi mia madre, mi lasciai con il fidanzato, mi sposai, rimasi incinta... Mi ha dato la consapevolezza dei miei mezzi».
Strehler e anche Luca Ronconi. Con lui fece l'«Orlando furioso», l' opera che gli diede una notorietà mondiale. Com' era?
«Con Ronconi, un genio assoluto, era difficile dialogare. Era timidissimo, tartagliava e a volte non si capiva cosa diceva. L' Orlando fu travagliato, prima facemmo lo spettacolo, poi lo sceneggiato tv e infine il film. Si cominciava e si smetteva perché mancavano i soldi. Era il '69, avevo vent' anni e, finito lo spettacolo, fuggivo perché stavo girando Metello».
Quel film la trasformò in diva: David di Donatello, Nastro d' argento, Globo d' oro, migliore interpretazione femminile a Cannes. E il flirt con Massimo Ranieri...
«Falso. Era impossibile. Nell' Italia degli anni Sessanta, Massimo era un vero divo, con un cordone sanitario che lo proteggeva persino a cena. Come con Adriano Celentano, quando l' anno prima girai Serafino. Aveva appena inciso Azzurro. Peggio che a Hollywood. Cosa che proprio non amo. I miei modelli non erano Sophia Loren o Gina Lollobrigida, erano Vanessa Redgrave, Julie Christie, Glenda Jackson. Non sopporto chi si atteggia: "Oddio, non mi parlare che sto entrando nel personaggio". Voglio vedere se non ti sposti quando casca il riflettore perché sei nel personaggio... In tv poi ho fatto parti in sceneggiati non da stadio. Oltre all' Orlando furioso , Il mulino del Po , La coscienza di Zeno... ».
Certo, ha rifiutato di fare la Perla di Labuan in «Sandokan». In compenso è tornata a lavorare con Alain Delon in «Zorro». Lei è felicemente sposata da 45 anni, ma un minimo di fascino l' avrà pur subito?
«Non quello di Delon, gran professionista. Il primo giorno delle riprese di Zorro arriva, va dall' operatore delle luci, si leva i Ray-Ban, e dice: "Di che colore sono questi occhi?". "Azzurri". "Con questi io ci mangio da anni. Mi raccomando, già la mascherina mi gioca contro...". Quanto a Sandokan , semplicemente non mi andava di allontanarmi troppo dall' Italia».
Ci fu una parentesi politica. Come mai si candidò nelle liste del Psi?
«Me lo chiese Claudio Martelli, di cui ero amica. Alla fine degli anni Settanta Milano era la città del teatro. Era sindaco Aldo Aniasi, c' era Carlo Fontana. Io e mio marito ci trasferimmo per riaprire il Carcano insieme ad altri. Era una città vivace e il mio mondo ruotava attorno ad alcuni ambienti socialisti. Craxi sembrava il nuovo: sapeva prendere decisioni. Non le so dire perché cedetti alle insistenze di Claudio, ma quando mi disse che dovevo tenere dei comizi risposi: "Io so parlare con le parole degli altri, non con le mie". Presi pochi voti e la mia carriera politica finì, anche perché, di lì a poco, si cominciarono a vedere cose che sarebbero poi sfociate in Tangentopoli».
· Miriana Trevisan.
Miriana Trevisan: «A “Non è la Rai” c’era un po’ di bullismo. Alcune mamme facevano dispetti». Pubblicato martedì, 03 dicembre 2019 su Corriere.it da Candida Morvillo. Miriana Trevisan, soubrette, ex volto di «Non è la Rai», si è lasciata andare ai ricordi. Intervistata su Rai Radio2, nella trasmissione «I Lunatici», parlando del programma che l’ha lanciata, ha detto: «Era una grande fiaba vivente, almeno io la vivevo così. Io ero una ragazzina che scendeva sotto casa e andava a comprare le gomme da masticare, poi appena ho iniziato la mia vita è cambiata, non potevo più uscire di casa perché trovavo centinaia di persone ad aspettarmi. Tutti gli ammiratori volevano un pezzettino di te. Un sorriso, un bacio, un autografo. Potevi stare lì ore a farti foto, firmare autografi, era una cosa incredibile». Nelle parole di Trevisan, non sono mancati gli accenni alle difficoltà: «Mi sono divertita tantissimo, era un grande sogno. Ancora sono in contatto con la prima ragazza a cui ho firmato un autografo. Si chiama Maria Lucia. Non è vero che tra ragazze ci odiavamo. Almeno io non odiavo. Però è molto probabile che ci fosse, visto che eravamo molte giovani, qualche dispetto. C’era anche un po’ di bullismo. Soprattutto da parte di alcune mamme. Forse bullismo è un termine esagerato, ma quando ci sono cento ragazze posso capitare dinamiche simili». Quindi, un passaggio sui tempi al fianco di Mike, alla «Ruota della fortuna». «Non mi ricordo niente di quando vinse Renzi. Mike mi chiedeva ogni giorno a che ora fossi andata a dormire la sera prima. E io rispondevo sempre che ero uscita col mio fidanzato e che ero andata a dormire presto. Mike non vedeva l’ora che sbagliassi per divertirsi. Si divertiva tantissimo». E a proposito di Corrado e della sua esperienza alla «Corrida»: «Era ancora tutto fatto a mano. Lo spettacolo veniva curato in ogni dettaglio. E poi raccontavamo il vero Paese. Corrado aveva un pensiero e un attenzione per tutti. Anche per la sorveglianza che doveva aprire la porta. Si preoccupava che tutti fossero accontentati. Era gentile, premuroso. Sembrava di parlare con un grande principe». Un ricordo, infine, anche su Vianello: «Era di una ironia incredibile. Appena entravi in studio ti veniva da ridere. Ti guardava con fare furbino e tu capivi che stava per arrivare la battuta. Mi chiedeva sempre “e tu chi sei?”. Faceva finta di fare il tonto, era meraviglioso. Parlava sempre di Sandra».
Dagospia il 3 dicembre 2019. Da I Lunatici Radio2. Miriana Trevisan è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e metta alle sei. La Trevisan è tornata a parlare degli anni di 'Non è la Rai': "Una grande fiaba vivente, almeno io la vivevo così. Io ero una ragazzina che scendeva sotto casa e andava a comprare le gomme da masticare, poi appena ho iniziato la mia vita è cambiata, non potevo più uscire di casa perché trovavo centinaia di persone ad aspettarmi. Tutti gli ammiratori volevano un pezzettino di te. Un sorriso, un bacio, un autografo. Potevi stare lì ore a farti foto, firmare autografi, era una cosa incredibile. Mi sono divertita tantissimo, era un grande sogno. Ancora sono in contatto con la prima ragazza a cui ho firmato un autografo. Si chiama Maria Lucia. Non è vero che tra ragazze ci odiavamo. Almeno io non odiavo. Però è molto probabile che ci fosse, visto che eravamo molte giovani, qualche dispetto. C'era anche un po' di bullismo. Soprattutto da parte di alcune mamme. Forse bullismo è un termine esagerato, ma quando ci sono cento ragazze posso capitare dinamiche simili". Miriana Trevisan ha partecipato anche a 'La ruota della fortuna' con Mike Bongiorno: "Non mi ricordo niente di quando vinse Renzi! Mike mi chiedeva ogni giorno a che ora fossi andata a dormire la sera prima. E io rispondevo sempre che ero uscita col mio fidanzato e che ero andata a dormire presto. Mike non vedeva l'ora che sbagliassi per divertirsi. Si divertiva tantissimo". A proposito della Corrida con Corrado: "Era ancora tutto fatto a mano. Lo spettacolo veniva curato in ogni dettaglio. E poi raccontavamo il vero Paese. Corrado aveva un pensiero e un attenzione per tutti. Anche per la sorveglianza che doveva aprire la porta. Si preoccupava che tutti fossero accontentati. Era gentile, premuroso. Sembrava di parlare con un grande principe". La Trevisan ha fatto anche dei programmi con Raimondo Vianello: "Prima del programma non mancava mai la cioccolata fondente. Era di una ironia incredibile. Appena entravi in studio ti veniva da ridere. Ti guardava con fare furbino e tu capivi che stava per arrivare la battuta. Mi chiedeva sempre 'e tu chi sei?'. Faceva finta di fare il tonto, era meraviglioso. Parlava sempre di Sandra". Sul rapporto con l'ex marito Pago: "Ci stimiamo molto. Qualcuno ha scritto che ci siamo riavvicinati? Si è comportato molto bene, non c'è un riavvicinamento ad essere onesti, ma c'è un grande legame visto che abbiamo un figlio. Speriamo di essere un buon esempio per lui".
Miriana Trevisan: ha ragione Asia Argento, se non la dai te la fanno pagare. Dal caso Weinstein Asia Argento in poi, le consuetudini del mondo dello spettacolo generano isolamento in chi non le vuole accettare. La testimonianza della showgirl Miriana Trevisan: «mi dicevano: “non fai pubbliche relazioni”», scrive Miriana Trevisan su "L’Inkiesta" il 13 Ottobre 2017. Ho letto le parole di Asia Argento. Ho letto le orribili testimonianze contro Weinstein. È proprio vero che tutto si accende (o si riaccende) come un virus latente quando qualcuno lo rimette in giro e lo porta a galla. Basta un articolo e le parole diventano fuoco e ti i svegli una mattina con il sapore amaro in bocca e la consapevolezza che quello stesso attacco l’hai subito anche tu. E non solo tu. Il problema è che, quando accade, non lo riconosci perché è invisibile mentre sei convinta di essere stata tu, l’invisibile. Forse perché scappare, imparare a essere trasparente, fare silenzio o avere un milione di dubbi e di incertezze pensi che ti possa aiutare. E se poi cerchi la perfezione fuori da te stessa ti specchi in persone talmente abituate a convivere con atteggiamenti di sottomissione e maschilismo strisciante tanto da considerarla una consuetudine: finisci tu per diventare l’inconsueta, la strana, la stupidata scema, la solita ragazza di ignorante provenienza. Compi le tue scelte e rischi di impazzire da sola nella tua stanza, nella confusione che forse “deve essere davvero così” e che non sei adatta o non sei all’altezza e non hai bisogno di addormentarti il cervello (e la coscienza) con droghe o alcool: ti ripeti “datti da fare, studia, cerca di parlare l’italiano correttamente, impara a cantare e sfilare e recitare ma per favore non perderti nella confusione”. Invece in certi ambienti in confusione ci vai, eccome. A vent’anni, da sola, con un po’ di bulimia, un po’ di anoressia, qualche libro di filosofia. Chissà se sono salva. Ti dici: dai, sono salva. Poi arriva l’anziana cialtrona truccatrice delle star che mentre ti prepara ti dice “Miriana, tu non capisci, è il mondo che va così”. E il dubbio ti viene, eccome. E se ti viene reagisci scappando. E se scappi “non fai pubbliche relazioni”, ti dicono. Ti fai le feste ma eviti gli incontri, prendi il taxi per tornare a casa piuttosto di qualche auto di lusso; fai finta di non avere capito di essere stata invitata sullo yacht finché alla fine non ti invitano più davvero. Molte delle mie colleghe negli anni del mio lavoro in televisione mi hanno detto la stessa cosa: “hai potenzialità (dicevano bellezza ma intendevano la figa) e non la sfrutti, sei un pazza”, “ci sono calciatori e produttori che sbavano per te: dopo te la lavi ed è tutto come prima”. Consigli dati come se fossi stata un’aliena. Poi ti succede di uscire da un camerino, dopo un’imbarazzante chiacchierata con un mostro sacro della televisione, e una sua dolce collaboratrice ti dice: “hai ancora il rossetto, non ti vedremo più” e con un sorriso di pena ti congeda. E se poi ti fai prendere dall’entusiasmo per una promessa di un ruolo in un film, che quasi ci credi di essere tu, proprio tu, quella giusta per quel personaggio, poi “dobbiamo parlarne più intensamente nel mio albergo, ho una suite”, ti dice il regista italiano osannato nel mondo. E tu ancora provi a convincerti: che male c’è, io sono la prescelta, devo solo studiare e studiare, dare arte in forma di bellezza, che ci vuole. E invece no. È tutto un buio di parole, parole buie, che entrano solo in vicoli bui. Lo spiraglio, per alcuni di loro, l’unico spiraglio è la figa. Mi proponevano anche la soluzione: il fidanzato giusto, dicevano. Ma il chiodo per me è stato sempre troppo stretto, io scivolo come sapone di Marsiglia. Io, l’aliena, ho pensato che lui mi dovesse piacere, che dovesse profumare di pulito. E quando vai avanti così inevitabilmente ti isoli. Come un chiodo, sì, ma l’unico in una parete vuota, immensa. Una parete che qualcuno chiama arte ma io ne ho dipinta una mia, piena d’amore, che chiamo dignità.
· Roberto Brunetti, “Er Patata”.
Da huffingtonpost.it il 25 novembre 2019. “Sono uscito dal carcere. Ora voglio ripartire”. A parlare è Roberto Brunetti, attore conosciuto ai più con il nome d’arte “Er Patata”. Ospite di Barbara D’Urso durante la trasmissione Domenica Live, l’artista ha parlato dell’arresto per detenzione di sostanze stupefacenti che lo aveva coinvolto qualche anno fa. “Mi hanno trovato con un po’ di erba. Sai quella disperazione che ti porta a fare un po’ di stupidaggini. Ho pagato con due anni di reclusione: 6 mesi a casa, e gli altri alla casa circondariale di Velletri”, ha raccontato Brunetti. L’attore ha aggiunto: “Nel 2009 sono stato assolto. Poi aperto ho una pescheria, ma non si lavorava. La crisi, la depressione, mi sono rotto un braccio, la gamba, ho messo la protesi e ho dovuto chiudere l’attività”. Dopo le vicissitudini legali e legate all’attività commerciale, “Er Patata” ha parlato del passato amore per l’attrice Monica Scattini, attrice morta nel 2015 in seguito ad una malattia. ”È stato un grandissimo amore. Erano passati 17 anni. Ho saputo che non stava tanto bene, l’ho chiamata, ci siamo visti al bar, ci siamo presi un caffè, ma lei non parlava, era un po’ arrabbiata. E poi un nostro amico comune, che mi chiamava tutti i giorni, un giorno mi ha chiamato e ho saputo che lei non c’era più”, ha detto commosso l’attore. Dopo il periodo difficile, Roberto Brunetti si dice deciso a ricominciare da zero. “In questi mesi ho pensato tanto, ho pensato a quanto sono scemo. Con me c’erano compagni di brutte avventure... Ora voglio ripartire, voglio essere un buon padre (l’attore ha una figlia, ndr)”, ha concluso.
· Tina Turner compie 80 anni.
Tina Turner compie 80 anni: le due vite di un'icona senza tempo. Trionfi, riconoscimenti, drammi familiari, problemi di salute: la vera storia della più grande performer di sempre. Gianni Poglio il 26 novembre 2019 su Panorama. Tina Turner non è solo un'eccezionale vocalist. Tina è una donna che ha vissuto almeno due vite alternando trionfi e drammi personali in un'altalena di adrenalina, dolori e successi straordinari. Oggi festeggiamo gli 80 anni di una regina della musica black e del pop, nata a Nutbush il 26 novembre 1939 e registrata all'anagrafe come Anna Mae Bullock. Una voce pazzesca quella della Turner abbinata ad una capacità straordinaria di stare sul palco. Non a caso, per molti, è la più grande performer di sempre. A dieci anni, Tina canta nel coro della chiesa della sua città, dove il padre, Richard, è pastore. Nel 1956 i genitori si separano; Anna Mae e la sorella Alline si trasferiscono a St. Louis. Qui incontra il musicista Ike Turner. Il primo turning point della sua vita: con Ike Turner, arriva il successo grazie a canzoni immortali come "Proud Mary", "Nutbush City Limits" e "River Deep Mountain High". Eppure, la vita di Tina è un incubo a causa del carattere violento e minaccioso di Ike. Quando Tina decide di fuggire da lui, lo fa senza portare nulla con sè, se non la l'irresistibile voglia di ricomonciare da zero. Senza Turner accanto nella vita e nella carriera, la Turner sbanca letteralmente le classifiche con il remake di di Let's Stay Together di Al Green, Private Dancer, What's Love Got To Do With It, The Best. In tutto oltre 200 milioni di dischi venduti, concerti sold out ovunque, 11 Grammy e riconoscimenti a pioggia (tra cui l'ammissione nella Rock and Roll Hall of Fame) e poi ancora i ruoli al cinema come l'indimenticabile Acid Queen in Tommy degli Who e Aunty Entity in Mad Max, nella cui colonna sonora è presente uno dei suoi brani più famosi: We Don't Need Another Hero. Un numero impressionante di trionfi ma anche di drammi personali come il suicidio, nel 2018, del figlio Craig Raymond avuto a 18 anni. E poi, i mille problemi di salute a cominciare da un infarto nel 2013 e un trapianto di rene nel 2017. Niente è stato facile nella vita di Tina, ma oggi è un giorno di festa per lei e per i suoi milioni di fan sparsi nel mondo. Che sicuramente trovaranno una manciata di minuti per riascoltare il più classico dei suoi album: Private Dancer.
DAGONEWS il 26 novembre 2019. Nel primo estratto della sua avvincente biografia "My Love Story: A Memoir", la regina del soul-rock Tina Turner ha raccontato come la sua vita sia stata salvata da un nuovo rene (donato dal marito), il divorzio da Ike e l’incontro magico con David Bowie. La cantante ricorda di come in tribunale, durante la causa di divorzio da Ike, si sia battuta per avere i diritti sul suo nome d’arte ‘Tina Turner’ che era stata un’idea dell’ex marito. Il giudice le diede ragione, ma lei uscì da quella relazione senza soldi per il cibo, per l'affitto e per le necessità primarie. «Ho passato due mesi a spostarmi dalla casa di un amico a un’altra. Mentre i padroni di casa erano fuori, lavavo i loro appartamenti da cima a fondo. Era il mio modo di creare ordine dal caos e di guadagnarmi il posto in cui stavo. Ike pensava che mi sarei uccisa senza di lui, che sarei tornata da lui gattonando, ma io avevo solo un obiettivo: dimostrare che ce l’avrei fatta senza di lui. Quando non mi sono presentata da lui è stato Ike a venire da me: si è presentato con un gruppo di tirapiedi e io ho chiamato la polizia. A quel punto mi ha spedito i nostri quattro figli e i soldi per il primo mese di affitto. Era come se fosse una sfida. Era come se mi dicesse: "Ci vediamo presto, implorerai la tua vecchia vita"». A quel punto Tina chiamò la manager Rhonda Graam, che ben resto scoprì che nessuno voleva investire su Tina senza Ike. Poi i primi lavoretti con Cher, la furia dell’ex marito dopo il rifiuto di collaborare ad alcuni progetti musicali e i sicari mandati per terrorizzare lei e Rhonda a colpi di pistola. Più tardi la cantante seppe che Ike aveva assoldato alcune persone per farla fuori. Il momento di svolta arrivò una sera a New York ed ebbe come protagonista David Bowie. Quel giorno The Duke aveva rifiutato una serie di impegni per vedere la sua cantante preferita, per l’appunto Tina, che si esibiva al Ritz. Dopo lo spettacolo Keith Richards e Bowie andarono nel suo camerino: passarono ore a parlare di musica e la serata finì in una suite a suonare e cantare fino alle prime luci dell’alba. Da quel momento il suo nuovo manager fu tartassato di chiamate e la sua vita cambiò, con nuove canzoni e un album. «Un giorno mio marito Erwin mi chiese: 'Perché Bowie e Jagger ti hanno preso sotto la loro ala? Non l'hanno fatto per nessun altro’. Io penso che abbiano visto una donna che avrebbe potuto affrontarli a livello vocale, collaborare sul palco in un modo rock'n'roll e far sembrare tutto molto divertente. David Bowie diceva sempre: "Quando balli con Tina, ti guarda negli occhi". Eravamo soci. Alla pari. Negli anni Ottanta, non c'erano donne che cantavano e ballavano come me, donne che potevano essere sexy senza essere trasformate esclusivamente in oggetti sessuali».
Da lastampa.it il 26 novembre 2019. È una Tina Turner a tutto tondo quella che si racconta in «My Love Story: A Memoir», libro in uscita il 15 ottobre, anticipato in un lungo articolo sul Daily Mail in cui la cantante si mette a nudo. Il primo matrimonio con Ike Turner, funestato da violenze e abusi, è sullo sfondo: il protagonista della storia d’amore è il secondo marito, Erwin Bach, dirigente della casa discografica Emi, che a un certo punto le ha fatto «il regalo della vita stessa», donandole un rene. Incontrato alla metà degli anni ’80, Tina comincia a frequentarlo - lui 30 anni, lei 46 - e la coppia si trasferisce prima a Colonia, in Germania, poi nel sud della Francia. Nel 1989, arriva la proposta di matrimonio ma la cantante non è sicura: «Le cose possono cambiare e, nella mia esperienza, non sempre in meglio». Quindi, nel 1995, ad Erwin chiedono di guidare l’ufficio Emi in Svizzera, e i due si trasferirono in una villa sul Lago di Zurigo, Chateau Algonquin, dove vivono tuttora. L’anno delle nozze è il 2013 e stavolta il sì della Turner è squillante: lui ha 57 anni, lei 73, ma si sente bene. «Non ho mai fumato né preso droghe, ero ancora in forma dopo 50 anni di intenso lavoro sul palcoscenico» tanto che «Vogue Germania mi chiese di posare per la copertina». Nello stesso anno, però, a ottobre, «mi sono svegliata e ho sentito un fulmine nella mia testa e nella gamba destra, ho tentato di parlare ma non riuscivo a proferire parola, stavo avendo un ictus». Da allora, i problemi di salute si moltiplicano: i reni lavorano male, le viene diagnosticato un cancro all’intestino allo stadio iniziale, per il quale viene operata; la pressione sanguigna alta, di cui soffre da tempo, si aggrava, complice anche il fatto che la Turner interrompe le cure tradizionali. Nel dicembre 2016 la situazione precipita e i dottori le lasciano solo due scelte: la dialisi o un trapianto. La prima opzione le fa orrore: «Non voglio vivere attaccata a una macchina», confessa cominciando a «pensare alla morte»: «uno dei benefici di vivere in Svizzera è che permette il suicidio assistito». È allora che interviene Erwin e si offre di donargli il suo rene. «Ero sopraffatta dall’enormità della sua offerta, ma siccome lo amo la mia prima risposta è stata di farlo ragionare su un passo serio e irreversibile». Lui è un «uomo giovane» che si assumeva un «rischio per donare anni in più a una donna più vecchia». «Ma Erwin aveva deciso, il mio futuro è il nostro, mi ha detto». L’operazione nell’aprile 2017 va bene, ma nelle settimane seguenti Tina Turner deve prendere massicce dosi di immunosoppressori ed è costretta a lunghi soggiorni in ospedale per il rischio di un rigetto. Finalmente lo scorso Natale cominciano a tornarle le forze. «So che la mia avventura medica è lontana dall’essere conclusa: dopo un trapianto sembra sempre che ci sia davanti un altro esame, un altro appuntamento con il dottore o un’altra biopsia. Ma sono ancora qui, siamo entrambi ancora qui, più vicini di quanto abbiamo mai immaginato, e questa è una ragione per festeggiare». «Dopo così tanti anni di paura e malattia, mi sto godendo la pura gioia di essere viva».
· Parla Stefania Casini.
STEFANIA CASINI. Maria Laura Giovagnini per Io Donna- Corriere della Sera 31 marzo 2019. Era tenero con me, mi vedeva come un animalino da proteggere. “Dovresti sposare un ricco americano” ripeteva, e mi presentava uomini facoltosi». Quel genio di Andy Warhol non aveva capito mica tanto il tipo: Stefania Casini è del lignaggio delle donne libere e guerriere. «Un’amazzone» precisa lei, nell’accogliente salotto della sua casa romana al Celio. Alla parete, un ritratto di Mick Jagger firmato - appunto - Warhol («Mi doveva dei soldi, mi ha pagato con un quadro»). L’ha capita bene - invece - Federico Bondi, che l’ha voluta madre di una trentacinquenne con la sindrome di Down (la travolgente Carolina Raspanti, autrice tra l’altro di due romanzi autobiografici) in un piccolo, importante film: Dafne, premio Fipresci al Festival di Berlino.
Zero melassa, zero retorica. Procediamo per capitoli. Come iniziò il suo percorso eclettico?
«Sono una montanara della provincia di Sondrio, ma arrivata a Milano da piccola. Abitavamo al Vigentino: era periferia (soltanto prati e il nostro palazzo), oggi è zona di movida. La messa in scena era il gioco infantile preferito: alle elementari già scrivevo piccole commedie e le dirigevo. Questo mi ha portato a iscrivermi ad Architettura all’università».
Mmmm, ci sfugge il legame.
«I miei mi avevano avvertito: “Se pensi di diventare attrice ok, però prima devi prendere una laurea”. Allora assieme a Maurizio Nichetti, con cui avevo creato la compagnia teatrale del liceo, decisi per quella facoltà: “Alla peggio, diventeremo scenografi”».
Non c’è stata necessità del piano B.
«Ero all’Accademia dei Filodrammatici già alle superiori: non ho mai dormito, queste occhiaie hanno un perché...Prima paga, seimila lire. Sono come Bruce Chatwin, che nei taccuini annotava le spese: eh, il senso del denaro della Vergine, che in realtà lo sperpera. Qualcuno mi avvisò che Pietro Germi cercava una ragazza da affiancare a Gianni Morandi. Mi presentai al provino».
Era per Le castagne sono buone. Venne presa.
«Eravamo rimaste in lizza io e Sabina Ciuffini, oggi ci scherziamo su! A Roma mi appoggiavo a un’amica che stava al sesto piano, senza ascensore e senza telefono: esasperato dalla difficoltà di comunicare con me, Germi decise che vivessi nella casa affittata per la protagonista. Fu un debutto totalizzante: sul set lavoravo e vivevo, coi macchinisti che mi svegliavano al mattino... Era il 1970, potete immaginare quali film andassero per la maggiore, parecchi ruoli da “pupa del gangster”. Terminate le riprese scelsi il teatro ed ebbi la soddisfazione maggiore: figliastra in Sei personaggi in cerca d’autore con Tino Buazzelli. È stato lui a insegnarmi tutto».
Però al cinema c’è tornata dopo poco.
«Roma in quel periodo era tutto un fermento: c’era Glauber Rocha (storico regista brasiliano,ndr), c’era Warhol che aveva ideato Dracula cerca sangue di vergine...e morì di sete!!!,facendolo dirigere al regista Paul Morrissey: mi chiamarono. Avevano affittato una villa sull’Appia Antica dove passava chiunque, da Roman Polanski a Mick Jagger. Organizzavano grandi feste, ma Andy rimaneva in cucina e osservava come un entomologo».
Feste, la villa sull’Appia, le star... Sesso droga e rock’n’roll?
«Un po’, comunque non erano “festini”: era il ritrovo di persone più o meno geniali, di poeti come Taylor Mead».
Non si incontravano donne di genio?
«Mi pare Susan Sontag. Non so, a quel tempo ero più concentrata - causa scariche ormonali (ride) - verso gli uomini, ero molto...sperimentatrice. Sono stata un paio d’anni con Joe Dallesandro (protagonista di Dracula cerca sangue di vergine..., ndr)».
Novecento come arriva?
«Di Bertolucci ero amica prima che girasse Ultimo tango. Mi ha comunicato: “Ho ideato una parte per te”».
E così è nata una scena memorabile: il rapporto a tre fra la prostituta malata Neve, Olmo/Depardieu, Alfredo/De Niro.
«Non fu complesso girarla, Bernardo era straordinario e delicato. La crisi epilettica era la cosa davvero impegnativa per me: stare nuda mi veniva naturale, non ho mai avuto senso del pudore, né sensi di colpa. A disagio erano piuttosto Robert e Gérard: per un uomo mostrarsi è più difficile».
E qui si avvia il capitolo americano.
«Finito Suspiria, Warhol mi ha cercato per un’altra pellicola, Il male di Andy Warhol, e a New York mi sono fermata per quattro anni. Frequentavo gli artisti: con la loro estetica rivoluzionaria mi interessavano più degli attori. Francesco Clemente, Julian Schnabel, graffitisti come Basquiat e Keith Haring. E proprio ad Haring feci scoprire il museo di Villa Giulia. Eccola con Carolina Raspanti, 35 anni, in Dafne, appena arrivato nei cinema. Stefania con Gérard Depardieu, oggi 70enne, e Robert De Niro, 75enne, in Novecento (1976). Regista con Francesca Marciano, oggi 63enne, sul set di Lontano da dove (1983). La Casini nel 1973 con l’amica Marisa Berenson, oggi 72enne».
Dall’intelligentsia cosmopolita alla conduzione di Sanremo.
«Era il 1978: intendevano trasformare il festival perché rispecchiasse l’anima dei tempi. Ad annunciare le canzoni c’era Maria Giovanna Elmi, la novità erano i monologhi di Beppe Grillo e le mie interviste dai palchi alle vecchie glorie».
Com’era Grillo?
«Boh, non è che ci abbia interagito,stavo sempre con Rino Gaetano! E sono tornata in America subito».
Ennesima valigia.
«Sono nomade nella testa! Ho iniziato a realizzare servizi di costume per la Rai, dai pomodori quadrati alla scimmia che parlava... Lì con Francesca Marciano abbiamo deciso di scrivere (e dirigere) Lontano da dove, che in pratica raccontava di noi, un gruppo di giovani italiani espatriati a New York. È stato il debutto di Claudio Amendola».
Era un’icona femminista e al tempo stesso un sex symbol che posava per Playboy. Come si coniugavano le due immagini?
«All’insegna dello slogan dell’epoca: “Il corpo è mio e lo gestisco io!”. Non fu per i soldi, mi avranno dato 600 mila lire...»
In fondo, Bernard-Henri Lévy sostiene che per le donne ha fatto più Catherine Deneuve con i suoi film delle paladine del #MeToo.
«Non bisogna esagerare con la demonizzazione: se uno ti mette la mano sul ginocchio, gentilmente gliela sposti, non occorre denuncia. Però il problema non è il sesso, è l’esercizio del potere. Siamo in una società maschilista».
Ne ricorderà di avance moleste.
«Ah sì, però io ero vaccinata, venivo dal ’68, dalla lotta studentesca: ero abituata a reagire. Una diciottenne oggi non ha la fiducia in se stessa e le armi per un “no”. C’è un unico modo per cambiare la situazione: dare alle donne la possibilità di crescere nel potere. Come Dea (il comitato Donne e audiovisivo di cui è membro, ndr) abbiamo appena presentato una ricerca che si commenta da sola: le registe in Italia sono il 14,9 per cento, le sceneggiatrici il 24,le autrici del soggetto il 22».
Nel 14,9 lei rientra.
«Sì, benché mi stia dedicando esclusivamente ai documentari: mi interessa di più la vita reale. Negli anni ’90 mi ero occupata di Islam, di pasionarie in America Latina, di Africa...Nella Rai di Giovanni Minoli c’era spazio».
E in questo periodo?
«Sto finendo di produrre Valentina, sul personaggio creato da Guido Crepax».
Ecco perché il caschetto.
«Tra Valentina e Louise Brooks. Ho i capelli lisci, viene facile: “Se cadono perle si infilano”, invitava saggia mia madre... Mio marito, che dirige il doc, ama i fumetti: è appena uscito il suo Diabolik sono io».
Da quanto lei e Giancarlo Soldi siete marito e moglie?
«Da cinque anni, ma stiamo assieme da trenta. Quando ho scoperto di avere un cancro al seno, gli ho proposto: «Lasciamoci, è noioso stare con una donna malata». E lui: «No, io ti voglio sposare»».
Chapeau! La malattia le ha insegnato qualcosa? È stata una compagna interessante.
«Intanto, mi ha confermato che è inutile attaccarsi alle cose (fosse per me, abiterei in un cubo vuoto), che bisogna vivere minuto per minuto, concentrandosi sulle priorità e gettando le zavorre per navigare in acque burrascose. Oddio, concetti che mi erano ben chiari...»
Ah sì? Come mai?
«Grazie all’incontro con la filosofia taoista e con il tai chi (tre decenni fa!).Il tumore è stato la prova del fuoco. Ti resta un senso di instabilità: nulla è più certo, però in questa non-certezza c’è una sua forza... Essere colpite al seno provoca un freno forte alla sessualità e le cicatrici rendono evidente quanto sia stupido essere orgogliosi del corpo, che inevitabilmente cambierà.»
Lei non può lamentarsi del passare del tempo.
«Nessun “elisir” segreto oltre al tai chi e al chi kung (sono pure insegnante). Non amo i dolci e non mangio carne, ecco tutto. Prima non confessavo la mia età, adesso - a 70 anni - sì. Ho scoperto che c’è persino una definizione per quelle come me: siamo “perennial”».
· Martina Smeraldi.
Da ilfattoquotidiano.it. Si chiama Martina Smeraldi, ha 19 anni e la sua carriera nel porno è iniziata con Max Felicitas, che afferma di averla scoperta. Martina ha dichiarato di voler seguire la carriera di Moana Pozzi: “Voglio fare questo lavoro perché mi piace il sesso e mi piace essere vista”. Martina e Malena Mastromarino, detta Malena La Pugliese, sono tra le più note pornostar italiane e ha fatto il giro del web una foto dove la giovane annuncia un film proprio con la collega ex sostenitrice del Pd: “Io e Malena contro tutti in un film di Rocco Siffredi”. Poi l’emoticon del fuoco, del vietato ai minori di 18 anni, della cinepresa e della corona. Il film è prodotto da Rocco Siffredi: “Martina vs Malena, perché Martina che affronta la vera star Malena – ha detto l’attore hard e imprenditore sul suo canale Youtube – Devo dirvi che il film sta venendo fuori al top, perché piano piano questa competizione sana sta diventando complicità e divertimento. Questa coppietta qui è esplosiva. Attenti a queste due”.
Dagospia il 7 novembre 2019. Da “la Zanzara - Radio24”. Dramma sul set porno. Durante le riprese di Martina contro Malena, sabato scorso a Bologna all’interno di un noto locale, uno degli aspiranti attori si è fratturato il pene mentre era impegnato in una scena con Martina Smeraldi, la nuova giovane star ingaggiata da Rocco Siffredi. E’ la stessa Smeraldi (che girava in coppia con Malena Mastromarino detta Malena la pugliese) a raccontarlo a La Zanzara su Radio 24 con alcuni particolari impressionanti: “Abbiamo girato questa mega gang bang con 67 persone, con la regia di Rocco. Io sarò stata in due giorni con trenta uomini. Non tutti riuscivano ad eccitarsi, altri sono venuti subito”. E poi, che è successo?: “A un certo punto a uno che faceva sesso anale con me si è rotto il pisello mentre era dentro, dietro. Io non mi sono accorta di nulla, mi sono girata e ho solo visto una grande chiazza di sangue sul lenzuolo. Tutti pensavano che si trattasse della rottura del filetto, poi si è scoperto che il ragazzo si era fatto una puntura per mantenere l’erezione. Probabilmente si è fatto male questa puntura, ha esagerato e si è rotto l’uretra, la canna. Adesso si deve operare, e sarà una cosa lunga. Il suo pisello prima di tornare normale ci metterà del tempo”. Ho visto il video, mi sembravi tranquilla: “Ero sicura che a me non era successo nulla, non sentivo dolore. Il sangue non era il mio. Non che non mi interessi del suo cazzo, ma se doveva accadere qualcosa meglio a lui che a me”. Per la Smeraldi “meglio fare cilecca che esagerare con le punture”. Dice Rocco: “Troppe persone fanno uso di doping pesante. Questa roba è molto pericolosa se non la sai usare. I professionisti la sanno usare, la usano con molta cautela, mentre alcuni cominciano a trapanare forte per far capire quanto sono bravi. E allora può succedere che quando è troppo duro prendi l’angolazione sbagliata e si rompe. Come la bottiglia. Ci sono passato anch’io anni fa, anche se si sono rotte due venuzze esterne alla canna”.
Da unionesarda.it il 9 ottobre 2019. "È nata una star". Parola di Rocco Siffredi. La nuova Moana Pozzi è una 19enne cagliaritana, studentessa universitaria, con un nome d'arte scelto da lei: "Mi chiamo Martina Smeraldi", attacca davanti alle telecamere, e racconta che il suo sogno di diventare attrice pornografica risale a circa un anno fa. "Ma già a 11 ho avuto le mie prime esperienze con molti ragazzini”. A 12 “il primo rapporto completo”. Affermazione che ha fatto impallidire persino Siffredi, suo intervistatore d’eccezione. Per cominciare la carriera di pornostar entrerà proprio nell’accademia del noto attore, regista e produttore porno. “Voglio fare questo lavoro perché mi piace il sesso e mi piace essere vista”. Mora, capelli lunghi, occhi grandi ben sottolineati dal trucco, le labbra rifatte racchiudono una dentatura perfetta. L’abitino lamé argento con sottili spalline scopre un décolleté quasi acerbo. Altezza non pervenuta. In tutto diversa dalla statuaria Moana nazionale, da molti apprezzata e non solo per le sue qualità di attrice. “Era un bel cervello”, dicono ancora di lei. Anche la Moana “de noantri” ha una sua personalità, ma dovrà calcare molti stage prima di somigliare all’altra, della quale è determinata a seguire le orme anche contro il volere dei genitori: “Mia madre non è molto contenta, ma lo accetta”, dice a Siffredi davanti alle telecamere. “Mio papà invece non mi parla, ma gli passerà”. Non dev’essere facile, per loro, accettare che l’unica figlia si cimenti in un mestiere come questo, ma lei non molla. “Non possono farci nulla”. Le domande che Rocco pone non sono incalzanti, a tratti è imbarazzato, paterno e paternale, ma va diretto: “La prima volta a che età, completo?”. “Allora…completo a 12”, è la risposta. E a lui scappa un “Azz…!”. Lei ride, a proprio agio. Poi racconta che ha fatto molte esperienze. Un unico fidanzato, lasciato perché “c’era molta intesa sessuale ma… mi piace cambiare”. Rocco le chiede: “All’università quanti ne sono rimasti?”, e lei risponde divertita: “Non mi fanno impazzire i ragazzi dell’università, però…”.
Emanuele Ambrosio per ilsussidiario.net il 15 ottobre 2019. Martina Smeraldi è la pornostar che ieri è stata ospite a Live Non è la d’Urso e che proprio Barbara d’Urso ha lanciato come scoperta di Rocco Siffredi. Qualcuno sui social non è contento di questa definizione e la stessa Martina ha deciso di condividere le storie di questo ragazzo, Max Felicitas (Edoardo Barbares all’anagrafe), ventitreenne friulano che è riuscito a sfondare come pornoattore. Proprio lui stanotte ha preso la parola nelle storie su Instagram invitando Barbara d’Urso ad informarsi un po’ prima di fare televisione e spiegando: “Io non ho niente contro Rocco e nemmeno contro la d’Urso ma se uno fa tv deve informarsi, basta andare sul profilo di Martina e scoprire chi l’ha fatta conoscere al grande pubblico e scoprire che sono io… non mi va di aggiungere altro e creare polemica e con questo aggiungo che la tv… sono certo che correggerai questo piccolo, grande errore di distrazione”. Barbara d’Urso ora prenderà la palla al balzo per citare Max e scusarsi magari invitandolo in trasmissione insieme a lei? (Hedda Hopper)
Martina Smeraldi pronta ad un film con Malena?
Martina Smeraldi è la 19enne cagliaritana nuova scoperta di Rocco Siffredi. La giovanissima, promessa del cinema porno, si è raccontata per la prima volta a Live – Non è la D’Urso su Canale 5 in cui ha rivelato: “sono contentissima della scelta, ma i miei genitori no”. La cagliaritana, nonostante la giovane età, ha le idee molto chiare: “mi è sempre piaciuto fare il sesso, sono convinta di fare questo” e poco dopo racconta come è arrivata al mondo di Rocco Siffredi: “sono arrivata da poco da Rocco Siffredi, sono arrivata grazie ad un ragazzo che lavora nella sua accademia”. In studio c’è anche Malena, ex concorrente de L’Isola dei Famosi e pornostar che parlando proprio della giovane cagliaritana rivela: “faremo un film insieme in un crescendo di trasgressioni e perversioni insieme, devo ancora testarla, non sono assolutamente in sfida, nel nostro lavoro c’è molta collaborazione”. (aggiornamento di Emanuele Ambrosio)
La nuova pornostar di Rocco Siffredi “mi piace il sesso”. Martina Smeraldi è la nuova star del porno made in Italy. Parola di Rocco Siffredi che ha deciso di puntare sulla giovanissima cagliaritana che da circa un anno ha cominciato ad appassionarsi al mondo dell’hard. Ha 19 anni, viene da Cagliari e sogna di diventare la Moana de noantri. “Mi chiamo Martina Smeraldi, già a 11 ho avuto le mie prime esperienze con molti ragazzini, mentre a 12 anni ho avuto il primo rapporto completo”. Si presenta così la 19enne cagliaritana che è entrata nella scuderia di Rocco Siffredi che la dirigerà nei primissimi film. “Voglio fare questo lavoro perché mi piace il sesso e mi piace essere vista” ha raccontato la giovane porno star che, nonostante la giovanissima età, ha già avuto diverse esperienze in ambito sessuale. A 15 anni, infatti, ha vissuto la prima esperienza di gruppo come ha raccontato durante un’intervista rilasciata a La Zanzara: “sì, qualche anno fa, ne avevo quindici. Un’ammucchiata”.
Martina Smeraldi: “i miei genitori sono contrari, ma non possono farci nulla”. Ospite del programma radiofonico La Zanzara, Martina Smeraldi ha raccontato come si è avvicinata al mondo del porno: “ci penso da più di un anno e a un certo punto ho contattato uno che ha lavorato con Rocco, Max Felicitas. Cercava delle persone per fare dei provini e gli ho risposto via Instagram. Ci siamo incontrati e abbiamo girato delle scene. Poi a Siffredi sono arrivata attraverso un’altra persona che aveva lavorato con lui. Sono molto determinata”. Una scelta non condivisa dai genitori contrari alla volontà della figlia di lavorare nel mondo dell’hard. A raccontarlo è la stessa Martina: “i miei genitori non sono contenti della mia scelta. Con mio padre non parlo più. Mamma non è contenta, ma almeno parliamo”. Nonostante il no dei genitori, Martina continua imperterrita a seguire il suo sogno di diventare la nuova Moana Pozzi: “non possono farci nulla, sono sicurissima della mia scelta. Fare l’avvocato o il notaio è troppo noioso, non mi interessa”. Contentissima della scelta, ma i miei genitori no. Malena “faremo un film insieme in un crescendo di trasgressioni e perversioni insieme”.
Barbara Costa per Dagospia il 30 novembre 2019. Mio caro Dago-lettore porcellone, è ora di rompere il salvadanaio, scalare euro dalla tua ricaricabile, farti un "sudato" regalo di Natale: i primi porno di Martina Smeraldi sono online! E non sono gratuiti, se non per alcuni frame, e guarda che 69 la nostra porno-stellina è capace di fare con quell’altra figa di Anastasia Brokelyn. È un caldo, porco porno saffico che Martina ha girato per "Lesbea", sito dedicato ai cultori delle pornate lesbian (e non solo) più scatenate: lo paghi, lo scarichi, e stai certo che non sono soldi – e seghe – spesi invano. In pochi mesi Martina Smeraldi ha terremotato il sonnolento porno italico come non succedeva da tanto, troppo tempo: mi son fatta un giretto tra le chat più porno-chiacchierone e, credimi, l’arrivo della bella sarda ha scatenato un putiferio!
Pagine e pagine di chat, anche più di 50, e tutti allupati a scannerizzare il suo corpo: si concorda sul c*lo, ci si arrapa col suo tatuaggio a giarrettiera, ci si scontra sui suoi seni, troppo piccoli, no, macché, perfetti così, eccellenti per forma, e si ritrova un punto di porno-accordo sulle labbra, troppo gonfie, troppo presto per rifarle, e in ogni caso, cara Martina, è fuor di dubbio: vai alla grande, non fermarti, tifiamo per te! Che pena mi fa chiunque posti a darle della "truzza", "tamarra da locale", e che noia mi fanno le truzze e le tamarre vere che sui social e nella loro vita privata di ogni gioia si elevano a Martina Smeraldi superiori, invidiose marce le profetizzano un futuro buio (“al massimo farà un reality”, “si riciclerà influencer”). Forse peggio sono quelle che si mettono a confronto di Martina e si auto-elogiano della loro libera opinabile scelta di tenersela stretta, al sicuro e, non sia mai, aprirsi al lato B..! Poverelle, per fortuna siete in poche, lo spero e mi beo della generazione a Martina coetanea, quelli nati dopo il 2000, che sui social sanno farsi sentire, e se della vita ovvio conoscono poco, ne hanno però capito il cuore: sono consapevoli che la responsabilità è personale e che ognuno risponde per sé, di conseguenza non condannano la decisione di Martina, se non la condividono la vedono nient’altro per quello che è: un lavoro non da tutti perché speciale, ma un lavoro. Sono sinceramente dalla sua parte specie nella polemicuccia social nata sulla foto di Martina postata sul suo profilo Ig, dove si vanta dei soldi ricevuti. Un gruppo di fessi ha abboccato all’amo, non passandogli neppure per l’anticamera del cervello che quella è una foto di scena, di un set porno, e non soldi guadagnati da Martina pornando (che poi non ci sarebbe nulla di male a mostrarli ma lasciamo stare). Fessi che sono partiti a post-offenderla, a forza di “vacca”, “troia”, “zoccola”, uno potrebbe sorvolare ma io no, ci tengo a rilevare la poraccitudine di tali padroni di cazzi ammosciati inservibili ad altro se non a pisciare, che se la prendono con questo fiore di ragazza, che ragiona e sceglie di testa sua, e non deve spiegazioni a nessuno. Scegliere il porno a 19 anni nel mondo del porno è la norma, se vogliamo dirla tutta è Malena "l’anomalia", essendo entrata nel porno tardi, a 31 anni, e meno male che c’è entrata, sono 3 anni che regna su un trono meritatissimo. Il problema nel porno è restarci, la maggior parte delle donne "dura" in media 2 anni. Martina è agli inizi, e però anche qui, eccola, l’anomalia, cioè il suo vantaggio, ha iniziato subito coi grandi del settore: se Rocco l’ha scelta e già pornata, figuriamoci se Rocco sbaglia, Rocco non ti sceglie e promuove per il tuo bel faccino o culetto se poi sul set ti riveli porno-imbranata. E Martina, la nostra Martina, aspira a diventare come Malena e a superarla, “niente per ora mi farà tornare indietro”, dice in faccia a Rocco che la intervista, e che le chiede quanti fidanzati ha avuto: “Uno solo”, intendendo una sola relazione importante, il resto sono scopamici, e Martina, hai avuto esperienze omosex? “Sì, ma è difficile che trovi una donna che mi piace”. E esperienze plurime? “L’ho fatto con due uomini”. E allora, Martina, “da 1 a 10, quanto ti piace scopare?”, “1000!”, chiosa, golosa e sorridente. Siffredi a Budapest se l’è tenuta 3 giorni, il primo svezzandola con un lesbo a 4 guidato da Rebecca Volpetti, continuando il secondo con un lesbo a 3, finendo il terzo con un threesome bisex. E questo prima della fenomenale gang-bang girata con Malena tra l’Academy e Bologna, e prima del porno-circus di cui fa parte anche Lady Blue. Intanto tu che fremi e tremi e scoppi di porno-voglia, spassatela col masturbing che una Martina Smeraldi nuda vogliosa godente si fa e ti fa su Pornhub. Fammi sapere poi come stai, se sei vivo, se ci sei, se ne sei uscito intero, a pezzi, quale pezzo ti è piaciuto di più.
· Milly D’Abbraccio.
Dagospia il 9 ottobre 2019. Comunicato stampa. L’eterna icona Milly D’Abbraccio vuole ritirarsi dalle scene del mondo dello spettacolo e vivere solo nei ricordi dei suoi tantissimi fans. “Le luci della ribalta non mi attirano più, oggi viviamo in un mondo globalizzato dove apparire ed essere sempre presenti sui social con una visibilità ossessiva sembra quasi la normalità. Secondo me oggi l’assenza è più presenza della presenza stessa; apparire a tutti i costi non serve, io ho già dato! Voglio dedicarmi a me stessa, ai miei due figli e alle mie passioni; sto per cambiare casa e sto ancora decidendo dove andare a vivere, ma un luogo vale l’altro ma molto probabilmente sceglierò il Veneto. Solo ora capisco che la felicità non è nei soldi e nel successo, era solo un inganno, non possedere significa essere felici, e chi possiede non possiede se stesso, è nella semplicità che vive la felicità! Il luogo ideale per la libertà è senza dubbio la musica ed io inseguo il mio sogno con la mia Community Musik Records sempre a caccia di nuovi talenti, per me aiutare i giovani talenti è una missione più che una passione, difatti anch’io mi diletto con la musica perché canto: ho fatto la cover di parole parole di Mina con il featuring di mio figlio Brandon Lowe e ho esordito come cantautrice con 20 gocce di dolore un po’ di mesi fa e presto uscirà il mio nuovo singolo. A dire il vero la musica è il mio primo vero amore, nel 1978 con lo pseudonimo di Milli Mou ho inciso il 45 giri con i brani Zip e Super man/ super galattico. Le uniche occasioni che il pubblico avrà di vedermi saranno nelle foto delle cover dei miei singoli e all’interno dei miei videoclip musicali.
Gabriella Sassone per Dagospia il 22 dicembre 2018. "Non rinnego il mio passato, il porno, i film che ho fatto. Ma basta! Nella vita si cresce, si cambia, si va avanti. Invece i giornalisti, anche quelli più radical-chic, mi chiamano per intervistarmi e vogliono farmi domande solo sul sesso. A me ora interessa solo la musica!". E' quasi uno sfogo quello che mi affida Milly D'Abbraccio, bellissima e giunonica ex diva a luci rosse. Un mondo che tra l'altro ha abbandonato nel 2008, oltre 10 anni fa, e col quale non ha più avuto niente a che fare. Ma chissà perchè gli appassionati del genere (leggasi zozzoni) fanno fatica a dimenticarla in pellicole cult come "La professoressa di lingue", L'onorevole", "Amiche del caxxo", "A culo nudo", "L'avvocata del diavolo" e via sporneggiando. Proprio adesso che il porno è stato sdoganato e le stelle dell'hard Rocco Siffredi e Malena spopolano in tv (a proposito: Malena ha appena rivelato a Fabrizio Corona che la intervistava sulle sue Storie di Instagram di voler passare una notte di sesso con Matteo Salvini. Ma va! Un nome a caso, guarda te!), Milly ne prende le distanze. Non ama neanche ricordare i suoi set e il suo successo ai tempi del "Diva Futura" di Riccardo Schicchi buonanima. Oggi Milly, che all'anagrafe si chiama Emilia Cucciniello, è un'altra donna. Ha avuto un grande dolore, la perdita improvvisa dell'adorata mamma Anna D'Abbraccio, ma ha deciso che anche per i suoi due figli deve andare avanti senza farsi abbattere dallo sconforto. Sempre appassionata e travolgente, si sta impegnando anima e corpo nel suo nuovo percorso di vita e di lavoro. Proprio oggi debutta come cantautrice col brano "20 gocce di dolore", nuovo singolo inedito dal sound electro-swing , che arriva dopo il successo della scorsa primavera, quando ha remixato e cantato in versione dance il mitico "Parole parole" di Mina. "20 gocce di dolore", che parla di una storia d'amore che lascia il segno e fa soffrire, è disponibile su tutti i Digital Store. Producer e arrangiatore del nuovo brano da lei scritto è il polistrumentista Davide Ferrario, noto per aver collaborato con grandi nomi della musica italiana tra i quali Pezzali e Battiato. Un esordio importante per l’ex attrice, quasi a voler onorare le origini musicali di famiglia: Milly infatti è figlia e nipote d’arte di musicisti napoletani. Il nonno materno era primo violinista al Teatro "San Carlo” di Napoli, così come lo zio noto compositore e musicista, cantante del famoso duo “Antonio e Marcello". "La mia passione per la musica nasce presto, a 14 anni. Nelle apparizioni tv mi facevo chiamare Milli Mou, poi il mio percorso si è spostato tra teatro e cinema. Adesso il mio futuro è sicuramente la musica e la produzione", dice Milly. Che ha anche creato l’etichetta “Community musik records”, per scovare e aiutare nuovi talenti emergenti della musica italiana, che non trovano sbocchi. Il prossimo gennaio è pronta per lanciare il primo singolo di Cristina Ferro, emergente italo-francese. Della “Community” fa parte anche il giovane musicista esperto di EDM Brandon Lowe, che ha collaborato al successo del brano “Parole Parole”, diventato prestissimo uno dei tormentoni della scorsa estate. Milly ama definirsi una persona controcorrente, ma non ha nessun rimpianto tranne quello di aver lasciato per molti anni la musica da parte. Ma oggi sta recuperando a grandi passi, con quella passione tenace tipica della sua terra, la Campania, per le cose che fa ed ama di più. Il suo nuovo ruolo di manager musicale e cantante le sta portando grandi soddisfazioni e la rende entusiasta, felice di condividere con le persone che la seguono il mondo musicale che ha sempre amato. "Per me ormai non esiste altro, neanche le storie d'amore. Sono single e me ne vanto: faccio l'amore solo con la musica". Brava! La castità è la nuova vera trasgressione in quest'epoca volgare e zozzona.
DAGONOTA il 28 gennaio 2018. Le foto che pubblichiamo sono state scattare il 15 luglio 1995 all’Aquapiper di Guidonia, in provincia di Roma. Milly D’Abbraccio, all’epoca 30enne, era (probabilmente) al suo primo spettacolo erotico in pubblico. Era l’Italia all’alba della seconda Repubblica: gaudente, curiosa e birichina che lasciava spazio alla trasgressione senza castigo. Se è vero che “la patonza deve girare” (copy Berlusconi), all’epoca problemi non ce n’erano: girava. Eccome.
SOLITE STORIE ITALIANE. Onox per tripadvisor.it il 28 gennaio 2018. Negli anni 90 questo parco fu una vera novità per la regione, una gestione quella di Mr Franz che portò il parco a livelli di notorietà nazionale, ottima gestione, buon intrattenimento, pulizia, e chi non ricorda l'abbinata parco aquatico di giorno e discoteca la sera con il support anche di quell'altro personaggio mito degli anni 90 Carlo Schicchi il promoter di quel team di pornostar da cicciolina alla pozzi ed altre che movimentavano le serate dell'acquapiper. Erano gli anni 90 tutto andava alla grande, poi la gestione passò di mano, e purtroppo passò a qualcuno con scarsi mezzi economici che pensò di far soldi al massimo campando di rendita sul nome acquisito e si arrivò ad una gestione pessima con ricorso massivo su personale non italiano per arrivare alla chiusura per norme igieniche. e ormai la struttura e l'ennesima morta che sta li in rovina... difficile possa ormai riaprire troppi I costi per riaprirla e e renderla appetibile come era nei suoi primi anni.
Da radiocusanocampus.it l'8 gennaio 2018. Milly D'Abbraccio è intervenuta stamattina ai microfoni di ECG, il programma condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio su Radio Cusano Campus, l'emittente dell'Università degli Studi Niccolò Cusano. Milly D'Abbraccio da pornodiva ad escort: "Mi fa strano che alcuni siti molto importanti debbano attingere a notizie vecchie, di sette anni fa, già riprese dalle Iene, per dar spago alla morbosità degli italiani. Questo è un cattivo giornalismo, giornalisti che valgono zero, meno di zero. Evidentemente si rivolgono a un pubblico di depravati, bacchettoni e repressi. Cosa c’è di male nel fare certe cose? Tu scopi? Penso che ognuno faccia sesso! Milly D’Abbraccio non può farlo? Che sia poi libero o a pagamento cosa cambia? Io faccio quello che voglio. Dov’è la morbosità? Dov’è lo scandalo? Io offro dei momenti di piacere ai miei fan dietro un pagamento abbastanza elevato. Non c’è niente di male, in America le pornodive da sempre oltre agli spettacoli e ai film fanno appuntamenti con i loro fan”. Dal set agli incontri sessuali con i fan: "Che differenza c’è? Nessuna! Anzi, i film sono molto più stressanti e faticosi. Nel privato, per un tuo fan accanito può andar bene anche uno spogliarello. Gli offri un momento di sogno con la sua attrice preferita. Non c’è niente di male, non comprendo questa morbosità. Che alcuni siti abbiano dato tanta importanza a questo fatto di Milly che fa questa cosa, vuol dire che non ci sono notizie. Non c’è differenza tra fare la pornodiva e andare con i fans in cambio di soldi. E’ come se fossi un cantante e andassi da un emiro a fare una canzone. Non ci vedo niente di male”. Sul maschilismo nel mondo del cinema: "C’è sempre stato un po’ di maschilismo, chi ha il potere lo esercita. Non è da sottovalutare lo stress psicologico che una donna deve subire ogni volta che le propongono dei compromessi un po’ squallidi. Nel momento in cui tu ti abbassi al potere dell’uomo stai al suo gioco, c’è poco da fare. Io per esempio ho scelto, piuttosto che sottostare ai produttori, di fare l’hard. Se dovevo sottostare a qualche vecchio schifoso, meglio fare i porno. Soldi subito, successo subito e magari mi faccio anche dei bei ragazzi”.
· Priscilla Salerno.
Dagospia il 21 novembre 2019. Comunicato stampa. “Dopo i centinaia di messaggi che mi sono arrivati in questo periodo da varie persone in cui mi viene chiesto come mai non partecipo ai talk show in cui si parla di trasgressione chiarisco una volta per tutte la mia posizione sugli “intoccabili” Rocco e Malena trattati dalla tv italiana come delle divinità. Io e Malena ci siamo intraviste ad una fiera erotica e basta, non ci siamo mai presentate per questo non la giudico a livello umano ma mi permetto di giudicarla a livello lavorativo dato che io faccio la pornostar professionista da dieci anni e lei da l’altro ieri. Il porno che fa lei non è reale, è devastante, preoccupante, volgare, non insegna niente, mentre il porno che faccio io è femminista, è fatto soprattutto per il godimento della donna. Chi lo dice che puoi diventare famosa ed avere successo solo se vieni battezzata artisticamente da Rocco? Io sono diventata famosa sia qui in Italia sia oltre oceano senza mai lavorare con lui, anzi dirò di più, non girerei mai con Rocco nemmeno per una cifra altissima, perché ho una dignità. Rocco propone e fa un porno maschilista e sessista, molte attrici hard che hanno lavorato con lui non vogliono ribellarsi per paura di non lavorare più; lo descrivono come uno che non si preoccupa se la ragazza nel rapporto sia a suo agio e non provi dolore: per me è un ultra cinquantenne che vuole avere rapporti con ragazze giovani senza aver alcun rispetto di loro e del loro corpo. Io non capisco perché Rocco Siffredi e Malena vengano sempre invitati nei salotti televisivi quando si parla di trasgressione, e come mai venga loro concesso di dire tutto anche le cose più squallide e irrispettose senza essere mai ripresi, anzi venendo osannati! Non esistono solo loro due, esistono tanti altri protagonisti del porno rispettoso e di pari opportunità a cui non viene la data voce che meritano!”.
· Giuseppe Povia.
Povia: “Volevo aprire una bancarella di frutta e verdura...” Cultura ed Identità/Il Giornale Off il 05/12/2019. E’ un artista controcorrente. E sappiamo quanto sia difficile essere controcorrente in Italia. Giuseppe Povia, classe 1972. Da Sanremo al Family Day ha cantato il suo dissenso, prendendo posizioni che altri non hanno avuto il coraggio di prendere. Ieri sera, ospite al Mondadori Store di Milano, si è raccontato in occasione del format condotto da Edoardo Sylos Labini. Contromano sulla strada del pensiero unico. Ho scelto di essere lontano dal pensiero unico, con conseguenze negative e positive. Ho 47 anni, sono papà di due bambine e sono un cantautore che si mette in discussione e trasforma in musica quei temi che considera importanti. Se i temi mi appassionano li studio, ma sono fondamentalmente un cantautore non intellettuale, cresciuto libero ma con due istituzioni importanti: la scuola e la famiglia. Se tornassi indietro nel tempo non rifarei il 90% delle cose che ho fatto, ma ci sono dei punti fermi e questi li ho affrontati con la mia musica. Ero un bravo ragazzo, ma… Non si può dire che abbia avuto una gioventù scapigliata: ero un bravo ragazzo, ma se mi bullizzavano io reagivo. Ma oggi credo che un bullo dovrebbe essere punito con cinque/sei ore in più di scuola!
L’importanza di fare il cameriere. Avrei voluto gestire una bancarella di frutta e verdura, come mio padre: e infatti per un certo periodo ho lavorato con lui. Poi ho fatto il cameriere e lì ho capito tantissime cose, che possiamo riassumere così: “Non siamo al mondo solo per noi stessi”. Io servivo ai tavoli e mi pagavano, ma oltre a far stare le persone con la pancia piena offrivo un servizio che le faceva star bene. E se facciamo stare bene le persone, allora queste ci emanano energia positiva. E così succede sul palcoscenico: il mio approccio con il pubblico è sempre positivo, anche quando giù dal palco mi sembra che uno spettatore mi stia guardando male!
Tutto nacque da mia mamma. Mia mamma faceva le pulizie di casa cantando. Erano canzoni della tradizione milanese e le cantava così bene da farmene innamorare. Quando uscivo di casa le fischiettavo. A scuola la maestra intuì questa mia nota intonata, ogni volta che cantavo una canzone storica milanese lei si commuoveva: avevo 7 anni e la mia prima apparizione in pubblico fu una diretta su Gazzettino Padano.
L’adolescenza, questa età difficile e benedetta…La cosa più importante che ho insegnato alle mie figlie di 1 e 14 anni è: parlare. Non condanno il fatto che il figlio un certo giorno entri in casa quasi senza salutare e si chiuda in camera: è un momento benedetto, perché vuol dire che si sta costruendo il suo mondo, anche se con le regole della casa. Non è comunque facile fare gli adolescenti. E’ importante dialogare con i nostri figli. Se sentono che il genitore c’è, sono più propensi a raccontare cose che altrimenti non racconterebbero. Vorrei che le mie figlie crescessero con le canzoni di papà e, perché no, che ogni tanto andassero anche a un suo concerto!, anche se ora sono ancora piccole per i concerti.
La famiglia, questa istituzione...anarchica. Sono sposato dal 2007 e ho sempre detto che la famiglia non nasce dagli Stati, dalle religioni, dal Parlamento: la famiglia è nata senza regole, è la prima istituzione anarchica, nata in un’epoca in cui non c’erano né religioni né Stati. Per questo mi hanno attaccato al Family Day, ma vedi oggi cosa sta succedendo? La Russia, proprio la Russia, si sta avvicinando a questo valore, mentre l’Occidente se ne sta allontanando sempre di più. I genitori, anche quelli separati, almeno su quattro, cinque punti dovrebbero stare uniti, perché oggi i nostri figli crescono bombardati da modelli sbagliati.
L’ovvio ormai è diventata sperimentazione. Nessuno ha il mondo contro, a parte me. C’è un caos culturale: oltre alla troika finanziaria c’è la troika “razzista, fascista, omofobo”, con cui si accusa chi oggi dice l’ovvio. Ho scritto una canzone “Immigrazia”, tratta da un pensiero di Marx e sono stato etichettato come razzista e fascista! Ti faccio un esempio storico: 376 d. C. , crollo dell’Impero Romano d’Oriente, arrivano i barbari e succede una babilonia struggente. Io ho raccontato questo nella mia canzone, dove in un verso dico: “Con la scusa del razzismo vogliono far fuori gli italiani”.
Alla Festa del PD, “Io non sono democratico”….Le vecchie sinistre dovevano ricostruire l’Italia, rilanciare la produzione interna, il lavoro, l’economia, cose che oggi sono invece riprese dalla nuova destra avanguardista. La parola sovranità era voluta più dalla sinistra che dalla destra. Io ho fatto parecchie uscite sul palcoscenico, anche della Lega; e alle feste del PD ho contato la canzone “Io non sono democratico”. Se l’artista è libero veramente, deve esprimersi ovunque.
“Luca era gay” e oggi la rifarei. Pensa se avessi cantato oggi “Luca era gay”: mi avrebbero massacrato. Certo, dieci anni fa ha creato un certo scompiglio, ma io volevo solo raccontare una storia di libertà assoluta. Sono stato tacciato di omofobia, una cosa pericolosissima oggi: è passata al Senato una legge contro l’omofobia, ma non si è chiarito quale atto sia omofobico: dire che la famiglia è quella del modello cattolico è omofobia? leggere i vangeli ad alta voce è omofobia? Queste cose succedevano solo nei regimi totalitari. Nel pensiero giuridico vero, uno deve sapere cosa gli succede dopo aver commesso un atto. Ed io ho paura di essere giudicato: tutto ciò che legge non deve essere per forza giusto.
Credo a Babbo Natale. Sono un po’ troppo arretrato, faccio il presepe e credo a Babbo Natale. Il Natale è un momento unico, in cui ti ritrovi con la tua famiglia; oggi è difficile unirsi, si tende a dividersi. Il Natale, per me, è un punto di aggregazione con le persone care.
L’uomo che canta controvento con il coraggio della sua chitarra. Intervista Di Alessandro Sansoni su culturaidentita.it del 4 novembre 2019. Imbracciare chitarra e coraggio. Giuseppe Povia, classe 1972, sposato dal 2007 con Teresa Gioli, è uno dei pochi artisti di un parterre italiano sempre meno stimolante che, al costo di sacrifici in termini di visibilità, ha sempre conservato una capacità creativa mai banale e un’onestà intellettuale quasi inconsueta di questi tempi. Da Sanremo al Family Day, Povia ha cantato controvento il suo dissenso, prendendo posizione in battaglie che altri non hanno avuto il coraggio di ingaggiare. Lo intervistiamo nel numero di questo mese per raccogliere la sua testimonianza di coraggio e lealtà verso se stesso.
Allora Giuse, la tua battaglia contro il politicamente corretto continua. Andare controcorrente ha solo dei costi o porta anche qualche beneficio?
«È più giusto dire “mediaticamente corretto”, ma credo sia così in tutto il mondo dei mass media, non solo in Italia. Bisogna sempre stare attenti a quello che si dice e cercare di stare sempre nel mezzo per non scontentare qualcuno che potrebbe, un giorno, non aiutarti più. Benefici? Sì, la gente mi vuole bene quando mi conosce».
Questo numero di CulturaIdentità è dedicato alla famiglia. Tu sei stato un testimonial del Family Day: cosa rappresenta per te l’istituto familiare?
«Togliendo i termini “tradizionale” o “religioso”, la famiglia naturale è la prima istituzione anarchica nata in questo mondo. Aristotele diceva “È una comunità che si amministra da sola” e Cicerone “la famiglia è la cellula più importante della società”. Negli ultimi 100mila anni – dati J.Coale – sono vissuti sulla terra 82 miliardi e 225 milioni di persone, e questo significa che la famiglia nasce prima di Parlamenti, Stati, leggi o Costituzioni. È spontanea e non ideologica, non la puoi distruggere e se lo fai, crolla il sistema».
Sei papà di Emma dal 2005 e di Amelia dal 2007: la tua identità ha subito una trasformazione dopo la nascita delle tue figlie?
«Si, vedendole crescere mi sento molto protettivo nei loro confronti: un po’ più responsabile, anche se imperfetto. Imparo molto dal loro entusiasmo e dalla loro voglia di raccontare le cose, e mi piace che condividano anche con babbo i loro stati d’animo. Quando lo faranno di meno sarò vigile ma anche contento, perché vorrà dire che stanno costruendo la loro intimità, il loro carattere e la loro identità profonda».
Il valore della mediazione, la lungimiranza, saper fare un passo indietro, sono questi gli ingredienti che nelle tue canzoni suggerisci per rendere duratura una vita di copia. Cosa manca alle coppie di oggi per far durare a lungo il loro matrimonio come avveniva per i nostri nonni?
«Non credo ci siano regole assolute, ogni storia è a sé. Se c’è il sentimento, una storia può superare anche i momenti più bui. A voler fare una battuta mi viene da dire che, con l’avvento dei social, tutti possono vedere tutti e in tutti i modi, quindi aumentano le distrazioni e anche la voglia di qualcos’altro(ride, ndr)»»
In Vorrei avere il becco proponi di mettere da parte i personalismi per dare solidità alla comunità familiare. Come si concilia questo con una carriera totalizzante come quella del cantante?
«Si parla sempre di rapporto strano quando il lavoro ti tiene molto fuori casa, e di rapporto normale e stabile quando invece 2 persone hanno un lavoro che gli permette di essere sempre insieme: ma anche qui, non ci sono regole. La troppa vicinanza può essere positiva e negativa tanto quanto la lontananza. Stare insieme è un progetto, non una regola».
Ai figli s’insegna o dai figli s’impara?
«Noi cerchiamo di prescrivere delle regole di convivenza reciproca, dopodiché la libertà è la parola d’ordine. Ai figli si insegna e dai figli si impara: si impara soprattutto a ricordarci di quando noi eravamo adolescenti».
L’Italia è fanalino di coda in Europa per tasso di natalità: è possibile invertire la tendenza?
«Senza l’economia non si può amare. Le persone che non arrivano a fine mese o che hanno mancanza di fondi sono più scontente, nervose, litigano, discutono di più, e alla fine sono scoraggiate e meno incentivate a far figli. Qui lo Stato dovrebbe salvaguardare con quelle due paroline che a molti danno fastidio: spesa pubblica. Il primo problema della sopravvivenza di uno Stato è infatti il tasso di natalità».
Nel 2016 è uscito il tuo ultimo album “Nuovo Contrordine Mondiale”, quali suggestioni derivanti dall’attualità e quali letture l’hanno ispirato?
«È un disco-discorso chiuso, ho tradotto in musica dei temi che mi hanno appassionato come il deficit, il debito pubblico, la storia del sud, la democrazia, la droga ricreativa – che resta sempre droga – e tanto altro di sociale. Ho letto libri e seguito convegni su questi temi: riscontro molto interesse da parte di tanta gente».
L’anno dopo hai proposto al pubblico il brano “Immigrazìa”: la denatalità in Italia va combattuta con l’arrivo di immigrati?
«No, sempre con la spesa pubblica. Le persone dovrebbero emigrare solo per il piacere di farlo e non perché costrette. Se il grande potere mondiale permettesse ai continenti o agli stati poveri di svilupparsi, il problema sarebbe risolto. “Immigrazìa” è un brano ispirato ad un pensiero di Karl Marx, 1870, immigrazione irlandese verso l’Inghilterra».
L’aprile scorso hai cominciato a diffondere il tuo ultimo pezzo “Cameriere” che si può acquistare liberamente sul tuo sito web: quali sono i tuoi prossimi progetti artistici in cantiere?
«Restare sempre indipendente, fare tanti concerti dovunque mi chiamino perché l’arte è libera espressione, e sperare che si apra qualche porta in tv. Come è andato il tuo tour questa estate? È stato bellissimo. Ho fatto più di 50 date all’insegna del divertimento: tant’è vero che lo spettacolo l’ho chiamato “divertimenTour” (ride, ndr)».
· Alanis Morissette.
Da ilfattoquotidiano.it il 9 ottobre 2019. “Soffro ancora di depressione post partum“. A rivelarlo è Alanis Morissette, la cantante canadese 45enne che ha raccontato che dopo il parto, lo scorso 8 agosto, del suo terzogenito, Winter Mercy, è caduta in una spirale di depressione come già le era successo dopo le gravidanze di Ever Imrie e Onyx Solace. Proprio per questo però, Alanis ha detto di sapere ora come affrontare “questo mostro dai mille tentacoli“, come lei stessa lo ha definito lei stessa in un lungo messaggio sul suo sito. “Non ero sicura che avrei avuto di nuovo la depressione post partum – si legge nello sfogo social – ma stavolta la sconfiggerò, perché ho delle risposte, dei protocolli e delle soluzioni da seguire”. I disturbi che le sta provocando “questa scimmia subdola che utilizza un machete per farsi largo nella mia psiche e nel mio corpo, nei miei giorni e nei miei pensieri” vanno dalla privazione del sonno all’annebbiamento, dal dolore fisico al senso di isolamento. “Questa volta mi sono però fermata nel bel mezzo di questa situazione – continua la Morissette – . Solo Dio sa quanto io non voglia perdermi neanche un minuto da trascorrere con i miei bambini, in questa vita così colorata, con tutti questi miracoli che mi circondano. E solo Dio sa quanto io desideri servire, amare e onorare tutto ciò che più mi è caro”. Ma grazie all’affetto e al supporto della famiglia e soprattutto del marito, il rapper Mario ‘Souleye’ Treadway, Alanis ha detto di sentirsi supportata nella sua battaglia cosa che invece non avviene a molte altre donne: “La nostra cultura non è preparata per aiutare nel modo giusto le donne dopo il parto – conclude la cantante – ma non sarebbe bello se trattassimo tutte le mamme e le famiglie post partum con consapevolezza e rispetto?”.
«Il mostro è tornato per la terza volta». Alanis Morissette, i parti e la depressione: «La mia ricetta? Cibo, sole, amici». Pubblicato giovedì, 10 ottobre 2019 su Corriere.it. Alanis Morissette lo chiama «il mostro dai mille tentacoli» e il mostro, ovvero la depressione post partum, è tornato a trovarla per la terza volta, ora che l’8 agosto è nato Winter Mercy, come già in passato dopo la nascita di Onyx Solace e di Ever Imre. La cantante canadese, 45 anni, l’ha raccontato sul suo sito, tentacolo per tentacolo: «I capricci degli ormoni, la privazione di sonno. Il dolore fisico. Il senso di solitudine. Il recupero dal parto, l’integrazione del nuovo angelo-bambino coi bambini-angeli più grandi. Il matrimonio. La sovrastimolazione. Questo corpo che prova a tornare indietro a una configurazione semi-riconoscibile... E poi, il dare troppo, il pretendere troppo, il lavorare troppo e tutte quelle belle qualità umane che il mio corpo non può più sostenere...». Scrive Alanis che ora, però, sa di farcela, perché è preparata, perché sa che le servono «cibo, supporto, amici, sole, un protocollo da seguire». E perché «non voglio perdermi un minuto con i miei bambini, in questa vita così colorata, con tutti questi miracoli che mi circondano». La foto sul suo profilo Instagram, con lei a letto che allatta, il sorriso che le riempie la faccia di denti, in mezzo alla sua tribù, fra i tre bimbi e il marito rapper Mario «Souleye» Treadway, aggiunge speranza a una testimonianza che ha fatto il giro del mondo. La depressione post partum, stando ai dati del ministero della Salute, colpisce dall’8 al 12 per cento delle mamme entro i primi mesi dalla nascita del figlio. Va distinta dal «baby blues», un effetto-malinconia più lieve, che compare poco dopo il parto, sparisce nel giro di una settimana o due e colpisce fino al 70 per cento delle madri. Sui forum online, le neomamme si sfogano, per lo più protette dall’anonimato: «Ho paura a dirlo, ma sento di non amare mio figlio come dovrei»; «piange di continuo. Ho il terrore di fargli male»... Si sentono inadeguate, in colpa, stanche, insonni, sbagliate. Si vergognano. «Si convincono di essere cattive madri, hanno paura di essere giudicate e non capite e perciò molte non chiedono aiuto», spiega la dottoressa Ylenia Barone, psichiatra del Centro per i disturbi d’ansia e di panico dell’ospedale Humanitas San Pio X di Milano, e specializzata in Psicopatologia Perinatale. L’antidoto sta nella prevenzione: «Le linee guida internazionali consigliano uno screening alle donne in gravidanza per rilevare i fattori di rischio. La sensibilizzazione è fondamentale: le neomamme devono sapere che questo disturbo esiste e che il ginecologo o il medico di base possono indirizzarle a uno psichiatra perinatale, per valutare l’opportunità di un trattamento farmacologico o psicoterapeutico o di entrambi». La conduttrice tv Camila Raznovich — ora su Raitre la domenica sera con Il borgo dei borghi — ha conosciuto la depressione post partum dieci anni fa, quando è nata la primogenita Viola e dice al Corriere: «Ho letto le parole di Alanis Morissette e ho pensato: non sono l’unica marziana che ne ha sofferto e l’ammette. Mi stupisco sempre di quanto poco si parli di questo malessere che pure, se trascurato, può finire in tragedia». Lei ne ha parlato in un libro del 2011 (M’ammazza, edito da Rizzoli) e ricorda d’aver ricevuto tanti messaggi di donne che le dicevano di essersi sentite come lei, ma di non averlo mai confessato. Camila osserva che oggi «partorisci, ma devi essere subito magra, produttiva, felice e con la piega perfetta. La saggezza delle nonne, invece, imponeva spazio e tempo per ritrovare le forze e la forma e per adattarsi alla situazione. Oggi, la neomamma ha perso il diritto a sentirsi una ciofeca». Rammenta: «Io avevo preso 15 chili, mi sentivo un baule, allattavo, non dormivo, Viola aveva le coliche e ha pianto per sei mesi. Vedevo tutto grigio, non mi sentivo abile a essere mamma. Ero certa di sbagliare tutto. Per fortuna, lo verbalizzavo con il mio compagno, con le amiche, con mamma che mi aiutava tanto. Aiutare significa dire: dammelo e vai a fare una passeggiata, un massaggio, una sauna».
· Natalie Imbruglia.
Natalie Imbruglia è diventata mamma: Max Valentine nato con la fecondazione in vitro. Natalie Imbruglia mamma single a 44 anni. L’annuncio: «È nato Max Valentine». Pubblicato mercoledì, 09 ottobre 2019 su Corriere.it da Simona Marchetti. A luglio la cantante che divenne celebre con «Torn» nel 1997 aveva rivelato di essere in dolce attesa grazie a un donatore. Il 24 luglio scorso Natalie Imbruglia aveva fatto un doppio annuncio social, rivelando ai fan di aver firmato un nuovo contratto con la BMG e di aspettare il primo figlio, che sarebbe nato in autunno grazie alla fecondazione artificiale con un donatore di sperma. «No, non ho ingoiato un'anguria», aveva scritto la 44enne cantante australiana nel post in cui anticipava le due novità. E martedì sera Natalie ha condiviso sempre su Instagram l'avvenuto lieto evento, postando una foto della sua mano mentre stringe quella di un neonato, di cui non si vede il viso. «Benvenuto al mondo....Max Valentine Imbruglia - si legge nella didascalia, conclusa dall'hashtag #myboy - il mio cuore sta scoppiando». L'identità del padre non è stata rivelata ed è probabile che resterà sempre segreta. «Chi mi conosce, sa che questa è una cosa che desideravo da tempo - aveva infatti scritto la stessa Imbruglia tre mesi fa - e sono felice che sia possibile con l'aiuto della fecondazione in vitro e di un donatore di sperma, ma pubblicamente non aggiungerò altro». Qualche anno fa l'artista aveva raccontato all'Evening Standard del suo desiderio di maternità: «Vorrei davvero diventare mamma ed è qualcosa che succederà. Spero ancora di incontrare qualcuno, ma potrei anche valutare altre opzioni se ciò non avvenisse». Nel 2008 Natalie ha divorziato da Daniel Johns, frontman dei Silverchair, dopo quattro anni di matrimonio e nel 2017 aveva ammesso di avere una storia con il fotografo Matt Field, ma è dall'anno scorso che i due non vengono fotografati insieme.
· Giordana Angi.
Giordana Angi: «Sono pronta per Sanremo e ho una canzone per Laura Pausini». Pubblicato mercoledì, 09 ottobre 2019 da Corriere.it. La rabbia ha lasciato il passo alla soddisfazione, l'urlo alla dolcezza. Per il secondo album, Voglio essere tua, Giordana Angi cambia forma e non solo a livello musicale. La incontriamo a Milano, i capelli sono un po' più lunghi, l'atteggiamento più timido, sono aumentati anche i tatuaggi che spuntano dalla camicia nera, il colore che accompagna tutto l'abbigliamento ma non l'umore. Perché oggi Giordana si definisce felice, ha trovato l'amore, ha una carriera in piena ascesa dopo quel meteorico Sanremo Giovani 2012 e la ripartenza con la scorsa stagione di Amici. Ora può dirsi davvero una vera cantante ed è l'amore il motore che la muove. «Nel nuovo disco c’è un filo conduttore che è l'amore inteso come innamoramento», racconta la ragazza classe 1994 nata in Francia ma cresciuta ad Aprilia, vicino Roma, «Dopo il primo album ho parlato con tante persone e ho visto quanto è importante avere un rapporto a due... è l'unico momento in cui ci si sente davvero liberi». Non a caso Voglio essere tua offre dieci tracce che raccontano le tante sfaccettature del sentimento più cantato di sempre. «Innamorandomi sono esplosa di colori, di voglia di vivere e di esplorare, questo disco è più leggero rispetto al primo, ora sono più tranquilla e più serena e così anche l'album è più solare». Ma quel Voglio essere tua non è solo una richiesta all'amata. Ha anche un altro senso: «Le persone mi vogliono bene e me ne stupisco ancora», rivela sorridendo ma senza mai scomporsi troppo, chiusa tra timidezza e fierezza, «La tv è stata fondamentale nella mia carriera, mi ero promessa di essere vera anche con le telecamere addosso e così la gente mi credeva anche quando dicevo le cose più scomode... Vedermi tutti i giorni mi ha avvicinata al mio pubblico, le persone si riconoscono in come mi esprimo e si immedesimano. Non tutti scrivono e cantano e io lo faccio io per loro, voglio essere loro». Con un sold out al concerto all'Alcatraz di Milano del 6 ottobre e uno per quello romano dell'11 ottobre, la ragazza ora è lanciata verso Sanremo 2020. «Dire che non penso a Sanremo sarebbe una bugia, è sicuramente un palco importantissimo, è una vetrina per gli autori, per far sentire gli inediti e le proprie canzoni». Il brano è già stato consegnato ad Amadeus (dopotutto mancano solo quattro mesi al via) ma Angi nicchia: «Voglio essere sicura della canzone che porto: sento che questa canzone c’è, vediamo che succede, non mi dispiacerebbe andarci». Ora che il razzo è partito non si ferma più. Lei che ha scritto testi per Tiziano Ferro e Nina Zilli (vedi Senza Appartenere portata al Festival 2018) sarebbe vicina a firmare un brano anche per un altro mostro sacro del pop italiano: Laura Pausini. La cantante glielo aveva chiesto ad aprile, «era successo durante Amici», ricorda Angi, «Laura mi aveva guardato e mi aveva fatto questa richiesta e io mi ero girata indietro... pensavo parlasse con qualcun altro», dice sorridendo, «Voglio mandarle una cosa di cui sono certa, ho bisogno di tempo. Ci sono anche altre richieste e ciò mi lusinga molto ma io devo sapere prima com'è l’altra persona, conoscerla, altrimenti non so cosa scrivere». E la scrittura è onnipresente nel gergo «angiano», compare in ogni frase. Angi dopotutto è una grafomane, scrive spesso, ovunque, a qualsiasi ora. «La partecipazione a Sanremo Giovani era nata da un pianoforte nella mia cameretta, a caso, poi sono arrivati i no e le porte in faccia, ho lavorato come animatrice e nei call center, magari tornavo alle 3 di notte a casa ma mi mettevo comunque a scrivere», racconta. Tiene diari quotidiani e proprio questi potrebbero essere la base per un libro, un altro tassello che non può mancare nella carriera di un artista di oggi. «È carina l’idea di poter far vedere chi sono in prosa, avere più tempo senza doversi limitare ai tre minuti di una canzone ma non so ancora che forma dargli, vorrei creare una cosa nuova». Il singolo «Stringimi più forte»Nell'attesa possiamo leggere i testi delle sue canzoni. Voglio essere tua uscirà l'11 ottobre ma il singolo Stringimi più forte è già in circolazione e su YouTube ha totalizzato 2,1 milioni di ascolti in sole due settimane. Mica poco.
"Scrivere brani è la mia vita Sanremo? Sarebbe un sogno". La cantautrice uscita da «Amici» pubblica il disco «Voglio essere tua». E collabora con Ferro e Pausini. Paolo Giordano, Giovedì 10/10/2019, su Il Giornale. Però c'è sempre un velo di malinconia negli occhi di Giordana Angi, un furore ispirato e nascosto che soltanto la musica riesce a scoprire. Arriva da Amici dove pian piano si è messa in evidenza con il talento eclettico di una polistrumentista che ha la voce graffiata dalle emozioni e la capacità di scrivere testi come si deve. Dopo l'album Casa, pubblica un altro disco, che si intitola Voglio essere tua (nel quale canta anche con Alberto Urso, con il quale partecipa ad Amici Celebrities) e gode della produzione di Carlo Avarello, uno degli ultimi artigiani della canzone che sappia davvero dare anima al suono di ogni brano. «Mi rendo conto che la mia vita è una bella vita - ha detto lei ieri - ma ci sono stati momenti duri e difficili». Insomma, ha fatto la gavetta, ha trovato porte chiuse, ha fatto l'animatrice e la centralinista i un call center arrivando a sfiorare il sogno a Sanremo Giovani nel 2012. Perciò oggi, a venticinque anni, attraversa il successo con la consapevolezza di chi non si fa travolgere dall'entusiasmo volatile. «Continuerò a scrivere per sempre, a meno che mi accorga di non avere più nulla da dire», spiega parlando lentamente, soppesando le parole come se le scrivesse e sorridendo raramente.
Adesso, Giordana Angi, c'è un filo conduttore in questo disco?
«Sì certo che c'è: è l'innamoramento, anzi l'importanza del rapporto a due. In ogni brano si specchia la voglia di vivere attraverso il sentimento».
C'è anche un brano che si intitola Sempre pronti a giudicare.
«È un brano che ho fatto mio e parla di chi spesso non conosce la realtà ma la giudica. Magari vede un amore diverso e si mette a giudicare. Se nel 2019 mi fanno ancora la domanda sull'omosessualità, vuol dire che c'è un problema. E con questo brano vorrei scuotere un po' la coscienza di chi mi ascolta».
La ascoltano il pubblico ma anche gli altri artisti. Ad esempio Tiziano Ferro.
«È sempre stato carino con me ed è un onore potergli fare ascoltare la mia musica. Nel suo nuovo disco ci saranno quattro brani scritti da me».
Scrive soltanto per lui?
«No in realtà anche Laura Pausini, quando è venuta ad Amici, mi ha ha chiesto di scrivere qualcosa. Naturalmente l'ho fatto e, se nel suo prossimo disco vedrete anche la mia firma, vorrà dire che il brano le è piaciuto».
A pensarci bene, cara Giordana, stavolta il sogno di Sanremo tra i Big potrebbe diventare realtà.
«Certo, ci ho pensato. Per me Sanremo è un palco importantissimo, una vetrina autentica. È il Festival più prestigioso nel mondo della musica e come si fa a dire di non pensarci?».
Ma ci andrà o no?
«Non posso saperlo, ovviamente. Ma credo di avere il brano giusto, almeno io lo sento così».
Quest'anno i cantanti in gara dovranno anche interpretare un pezzo della storia di Sanremo. Lei quale sceglierebbe?
«A me piacerebbe Stiamo come stiamo di Loredana Bertè e Mia Martini».
«Io la trovo eccezionale, è una delle artiste che mi hanno ispirato di più e nelle quali mi riconosco. Ogni sua parola è perfetta e compiuta».
Ma come mai ha deciso di intitolare il disco Voglio essere tua? A chi si riferisce?
«Al mio amore ma anche al pubblico che mi segue. Mi stupisce l'affetto che ricevo da chi ascolta la mia musica, è eccezionale».
Non a caso i suoi due concerti all'Alcatraz di Milano (il 6 ottobre) e all'Atlantico di Roma (domani) sono andati esauriti.
«Quella è la dimensione che mi piace di più, esattamente come quella di scrivere testi».
Solo testi?
«In realtà ogni sera scrivo il mio diario e chissà che da questa raccolta non esca anche un libro...».
· Piero Pelù.
«Le nozze sono rock». Pelù: «Non pensavo di sposarmi, ma a 57 anni ho cambiato idea». Pubblicato mercoledì, 09 ottobre 2019 su Corriere.it da Andrea Laffranchi. Un brano ambientalista (Picnic all’inferno») con la voce di Greta Thunberg, la famiglia, la carriera: parla il cantautore. La camicia di Piero Pelù è verde e vintage. Doppio segnale. Per «Picnic all’inferno», un nuovo pezzo rock tirato (con inserti elettronici) ha scelto di duettare con la voce di Greta Thunberg. «È una creatura scesa dalla luna, mi ha colpito quello che dice e la determinazione con cui lo dice. Ho preso il suo discorso di Katowice del 2018, meno politicizzato di quello all’Onu». Arrivata l’autorizzazione, il brano sarà presentato domani al festival Imaginaction.
«Canta e basta»: pronto alla reazione dei social?
«Certe cose me le dicono da anni, anche se i social hanno scatenato la sindrome da giustiziere. L’imprinting ambientale viene papà che ci portava a camminare sul monte Morello e dall’esperienza con i boyscout. Comunque, Litfiba o solista, dall’88 ho scritto 6 brani a tema».
Pelù boyscout?
«E persino quelli cattolici... altrimenti come sarebbe uscito il diablo? (ride)».
Facile fare canzoni ambientaliste. E in concreto?
«Mi definisco ambientalista anche se ogni parola in ista mi fa paura. Faccio 50mila chilometri l’anno, 15mila dei quali in treno. In attesa di macchine elettriche con batterie più pulite guido tenendo il motore sotto i 2 mila giri. Ho calcolato che produco 200 chili di CO2 l’anno. Per il resto cerco di vestirmi vintage e di fare la spesa al mercato dove non c’è packaging. La cosa di cui vado più orgoglioso sono i sacchi della spazzatura che tengo in macchina: in spiaggia e nelle passeggiate raccolgo chili di plastica. Voglio lasciare i posti meglio di come li ho trovati».
Era la missione del tour di Jova sulle spiagge. Ed è finita che ha litigato con gli ambientalisti. Che ne pensa?
«Anche io ho fatto concerti in spiaggia. Con Wwf, Greenpeace e sopratutto Legambiente ho ottimi rapporti. Ci sono poi gruppi più o meno intransigenti, ma benedico tutte le associazioni».
È fresco di matrimonio...
«I miei genitori avevano perso la speranza. Nonostante il forte legame con le madri delle mie figlie, l’idea non era mai affiorata. Ho conosciuto Gianna nel 2016 ed è arrivata la legnata. Si sono smosse cose importanti a livello mentale e non solo. In Gioconda cantavo “l’anello scordatelo”, adesso dovrei dire “mettilo qui” (mostra la fede stile rock, martellata e con pietre nere incastonate ndr)».
Sua moglie Gianna Fratta è direttrice d’orchestra. Abituata a essere al centro del palco. Scontro di ego?
«Non c’è motivo: lei ha 46 anni, io 57, abbiamo un lavoro che ci regala soddisfazioni. Piuttosto c’è sinergia. Ascolto le opere che lei studia e le faccio notare delle cose; lei sente i miei pezzi e dice la sua».
Quando la va a sentire a teatro si veste elegante?
«Mi vesto come sempre. Mia figlia, invece, mi obbligò a vestirmi bene per le sue nozze. Indossai uno smoking anni 80 e la accompagnai all’altare. Accettai la chiesa a una condizione, che celebrasse quel combattente di don Santoro».
E adesso diciamo pure che a Pelù piace il Papa...
«Criticai Wojtyła perché trovavo moralmente sbagliato il suo no al preservativo. L’Aids era un problema, mi aveva portato via tre amici. A papa Francesco auguro lunga vita. È un personaggio scomodo, quindi un rocker. Lo adoro, ma resto laico».
La canzone esce senza Litfiba. Vi siete risciolti?
«Siamo in pausa, nessun timore».
L’anno prossimo compie 40 anni di carriera...
«Il primo concerto dei Mugnions fu in un circolino a Firenze l’8 marzo 1980. Eravamo nella sala della tombola, ma siccome volevo volare con la musica e non stare coi piedi per terra costruii un palco legando con lo spago i tavoli. L’anno prossimo ci sarà da celebrare la scadenza».
Piero Pelù il suo "Picnic" con le parole di Greta. Paolo Giordano, Giovedì 10/10/2019, su Il Giornale. Di certo Piero Pelù non è uno che le manda a dire. Ha sempre avuto le idee chiare e le ha espresse urlando il suo rock con i Litfiba oppure da solista. Così stavolta torna quasi all'improvviso con il brano Picnic all'inferno che è un inno ambientalista arricchito dalla voce di Greta Thunberg e dalle parole del suo discorso a Katowice neanche un anno fa, nel dicembre 2018. «Mio fratello - spiega Pelù in formissima con un paio di splendidi stivali da rocker vecchio stile - è entrato in contatto con la famiglia di Greta, che lo segue in modo molto stretto. Hanno voluto ascoltare il mio brano e poi, dopo un po' di tempo, hanno dato l'ok per l'utilizzo della parole di Greta. Con lei finora ci sono stati contatti soltanto di questo tipo, non ci siamo mai incontrati finora». Quando parla, Pelù ha lo stesso furore che mostra sul palco. Si vede che ci crede. E non ha paura che qualcuno possa pensare a una sua scelta opportunistica: «Da sempre sono vicino ai temi ambientalisti e anche nella mia vita di tutti i giorni, cerco di evitare inquinamento. Vado anche a pulire le spiagge, che sono piene di plastica», spiega. A ispirarlo per la prima volta su questo tema è stato Il ragazzo della via Gluck di Adriano Celentano che è «sicuramente l'autore italiano più sensibile in questo campo». Dopotutto, sia da solista che con i Litfiba, Piero Pelù ha spesso affrontato questo tipo di argomenti (in Peste o Woda Woda o Stesso futuro, ad esempio) e quindi Picnic all'inferno è l'evoluzione naturale di questo percorso 8e il video sarà presentato domani a Imaginaction a Ravenna). E il brano sarà anche nella scaletta dei concerti che lui, neo sposo a 57 anni, inizierà il 13 novembre all'Atlantico di Roma per finire alla Tuscany Hall di Firenze. «Sarò con i Bandidos, che sono i musicisti che mi accompagnano dal vivo quando non vado in tour con i Litfiba». Intanto di prepara a festeggiare nel 2020 i quaranta anni di carriera e lo farà probabilmente con un nuovo disco dei Litfiba e una lunghissima serie di concerti.
· Parla Giorgia.
Giorgia: "La perdita di Alex Baroni è stata voragine nella mia vita". Giorgia, una delle artiste più amate del panorama musicale italiano, parla a Verissimo, su Canale 5, della scomparsa avvenuta nel 2002 del cantautore Alex Baroni, scrive Luisa De Montis, Venerdì 01/03/2019, su Il Giornale. "Non sono mai stata brava a parlare di lui, ma Alex va ricordato, come uomo e come artista, perché ha rappresentato un momento importante per la musica italiana". Giorgia, una delle artiste più amate del panorama musicale italiano, parla a Verissimo, su Canale 5, della scomparsa avvenuta nel 2002 del cantautore Alex Baroni: "La sua perdita è stata una voragine nella mia vita e in quella della sua famiglia. La sera prima di morire mi aveva lasciato un messaggio sul telefono al quale non avevo risposto. Questo messaggio l'ho conservato per molto tempo, poi mi si è cancellato, credo sia stato un segno". A Silvia Toffanin, che le chiede come abbia fatto a superare questo terribile dolore, la cantante romana confida: "Non so veramente come ho fatto. Sembra che sia successo un momento fa. Ho avuto una serie di anni di sbandamento, anni devastanti. Ci vuole del tempo per ritirarsi un po' su. Io sono stata aiutata dagli amici e da una ventina d'anni di psicoanalisi". Dopo anni drammatici, nel 2004, Giorgia incontra il suo attuale compagno, il ballerino e coreografo Emanuel Lo, unione dalla quale nasce il piccolo Samuel: "Finalmente, dopo sette anni in cui ci provavamo, è arrivato Samuel. Vivevo questa mancanza con grande tristezza, ma nel momento in cui ho rinunciato mentalmente all'idea di diventare madre, è arrivato questo biondino meraviglioso". Dopo quindici anni di unione, per coronare questo amore mancherebbe solamente un matrimonio. A tal proposito Giorgia ammette: "In realtà molti anni fa Emanuel mi ha chiesto di sposarlo e io gli ho anche detto di sì. Poi, però, se non è la donna che organizza, l'uomo non lo fa, perciò è finita lì".
Claudia Gagliardi per optimagazine il 3 marzo 2019. Ospite per la prima volta nel programma di Canale5, Giorgia a Verissimo si è raccontata in una lunghissima intervista a Silvia Toffanin ripercorrendo la sua carriera, la sua adolescenza e gli anni precedenti il successo, ricordando amici scomparsi come Pino Daniele e Alex Baroni, ma anche parlando di obiettivi futuri. Nata e cresciuta in una famiglia di musicisti, Giorgia ha intrapreso la strada della musica inizialmente senza troppa convinzione, spinta più dalla passione per la musica ricevuta dal padre cantante (frontman del duo “Juli & Julie” e della suol band “Io vorrei la pelle nera”) che da un’effettiva ambizione di sfondare. Ma la sua voce non è rimasta a lungo lontana dai riflettori, nonostante la sua iniziale timidezza le rendesse difficile esibirsi in pubblico, come ha ricordato a Verissimo. Da bambina cantavo di nascosto o sotto un tavolo per non farmi vedere, temevo che mio padre cantante non apprezzasse la mia voce, ero un po’ timida ma poi ho avuto modo di lavorarci su e migliorare. Papà voleva darmi lezioni di canto ma abbiamo litigato subito, poi mio zio musicista Gianni mi presentò al tenore Luigi Rumbo che mi ha insegnato la disciplina e la gestione dello strumento della voce. Mi piaceva il canto, ero abituata a vivere in una famiglia di musicisti visto il successo di mio padre, mi dava gioia, ma non pensavo potesse diventare un lavoro: studiavo lingue e volevo fare l’insegnante, poi è cambiato tutto con Sanremo nel 1994 con Pippo Baudo, che è stato sempre molto protettivo e presente anche dopo quel Festival. Giorgia ha poi ricordato il suo duetto con Ray Charles in Georgia on my mind e l’episodio in cui si è ritrovata a raccontargli della bugia inventata da suo padre (“Quando ero bambina mi disse che quella canzone era stata scritta per me”), delle pene d’amore sofferte nel periodo dell’esordio sanremese e dell’importanza che ha avuto E Poi per la sua carriera, accennata a cappella in studio con tanto di standing ovation del pubblico. Scavando nelle pagine più dolorose della sua vita, Giorgia ha ricordato l’amico Pino Daniele, con cui aveva duettato in diverse occasioni ma soprattutto con cui aveva instaurato un legame d’affetto sincero. Ho avuto il privilegio di stargli accanto, conoscere la sua filosofia di vita, la sua onestà rispetto all’arte e alla musica con la quale componeva, cantava e suonava, continuava a studiare sempre, mi manca molto la sua musica, mi sarebbe piaciuto sentire altre cose da lui ma mi manca molto soprattutto lo scambio umano, il messaggio, la telefonata. Pino è stato uno dei pochissimi artisti con cui ho avuto un’amicizia vera e pura, mi manca l’artista ma soprattutto l’amico. Ci parlo ogni tanto, spero che qualcosa gli arrivi, spero sempre si possa sentire quello che non si vede: certi legami d’anima non spariscono perché una persona non c’è fisicamente. Ho scoperto una fede che va oltre la religione, io la reputo una capacità dell’essere umano di poter usare altri strumenti oltre i sensi, di avere un’essenza e una capacità di percepire, un’anima che non usiamo abbastanza: dovremmo usarla tanto quanto la mente, il mondo sarebbe un posto migliore. La cantautrice ha anche ricordato l’ex compagno Alex Baroni, tragicamente morto in un incidente stradale nel 2002, a soli 35 anni. Un dolore che per Giorgia è stato devastante, al punto da dover essere elaborato attraverso una terapia. E che solo oggi trova il coraggio di descrivere apertamente, dopo aver evitato per anni di parlarne anche per rispetto della sofferenza dei genitori di Baroni. Non sono mai stata brava a parlarne, ma penso che vada ricordato l’artista che è stato ed è ancora, visto che lui è tuttora imitatissimo. Quell’esperienza personale la definisco una voragine, ognuno di noi passa in un tunnel del dolore e poi decidi di attraversarlo e di essere una persona diversa, se decidi di non morire e sopravvivere devi trovare strumenti per andare avanti. Quello è stato un buco nero nelle nostre vite: sembra sempre accaduto da poco, se ti concentri sulla mancanza della persona è come se fosse successo un attimo fa. Io sono stata molto aiutata a superare quel periodo, ebbi un crollo totale, non me ne rendevo neanche conto, è stata una cosa troppo violenta e ingiusta. Non avevamo finito di dirci tutto. Ho imparato che non bisogna lasciare in sospeso nulla, le cose vanno vissute quando ci sono. Mi aveva lasciato un messaggio la sera prima che ho conservato per tanto tempo e poi non l’ho trovato più sul telefono: l’ho preso un segno che dovevo andare avanti. A quel messaggio non ho avuto il tempo di rispondere. Dopo la sua morte ho fatto vent’anni di psicanalisi. Nel 2004 è arrivato l’amore per il ballerino Emanuel Lo, da cui è nato il figlio Samuel, dopo due aborti che le avevano fatto temere di non poter avere bambini. Sono stati momenti molto difficili, poi è arrivato quando ormai avevo perso le speranze. Capisco la sofferenza delle donne che ci provano e non riescono ad averne, ma ci tengo a dire che una donna è madre anche senza figli. Samuel è nato con un parto naturale in casa, in una vasca gonfiabile nella stanzetta in cui poi sarebbe cresciuto: è stato doloroso ma breve, ho detto tante parolacce, e dopo 9 mesi senza alcool ho chiesto un dito di grappa. Il matrimonio? Emanuel me l’ha chiesto prima che nascesse Samuel, ho detto sì ma se la donna non organizza il matrimonio, l’uomo non lo fa. Ed è finita lì. Stiamo insieme da tanto, ma senza matrimonio non è come essere sposati.
· Parla Luisa Corna.
Luisa Corna torna dopo 20 anni: "Ecco perché non sono andata più in tv". La showgirl Luisa Corna rivela il motivo legato al suo addio alla tv in un'intervista concessa a Mara Venier a Domenica In, scrive Serena Granato, Lunedì 4/03/2019 su Il Giornale. Nella giornata di domenica 3 marzo è apparsa tra gli ospiti in studio al nuovo appuntamento televisivo di Domenica In Luisa Corna, la quale ha confidato alla conduttrice Mara Venier il motivo legato al suo addio ai riflettori televisivi. In occasione della nuova puntata di Domenica In, il talk-show condotto da Mara Venier e trasmesso su Rai 1, la showgirl Luisa Corna ha spiegato cosa c'è dietro la sua scelta di abbandonare la televisione, a ormai 20 anni dal suo ultimo lavoro per la Tv made in Italy. La carriera televisiva di Luisa Corna si concludeva agli inizi del 2000, e sul perché non sia mai tornata a lavorare in modo costante in Tv, la bella Luisa ha spiegato di essersi dedicata alla sua più grande passione, la musica, e di non essere mai stata ambiziosa come persona: "Ho sentito l'esigenza di fare un passo indietro per la conduzione, anche perché l'amore per la musica era più forte. Ho proseguito facendo Domenica In, poi la televisione era cambiata e i programmi con la musica erano sempre meno. Volevo seguire la mia grande passione e quindi sono uscita fuori dai radar. Non sono mai stata ambiziosa", ha sottolineato. Nel corso dell'intervista, la Corna ha anche menzionato Giampiero Galeazzi, ricordato da Mara Venier come "Il Bisteccone", con il quale aveva condotto Notti Mondiali nel 2002: "Galeazzi? È un po' che non lo vedo, ma ho un ricordo di un uomo stupendo, mi sono trovata bene". Queste ultime sono solo alcune delle dichiarazioni che ha rilasciato Luisa Corna nel salottino di Mara Venier. La showgirl ha confidato che entro la fine del 2019 convolerà a nozze con l'ufficiale dei Carabinieri Stefano Giovani, di 15 anni più giovane.
Domenica In, vent'anni dopo Luisa Corna confessa: "Perché non sono più andata in televisione", scrive il 3 Marzo 2019 Libero Quotidiano. Un ritorno in televisione per Luisa Corna, ospita a Domenica In di Mara Venier, nella puntata del 3 marzo trasmessa su Rai 1. Nel salottino di Zia Mara, la Corna ha ripercorso la sua carriera, che si è arrestata agli inizi del 2000. E sul perché non sia più tornata in modo costante in televisione, spiega: "Ho sentito l'esigenza di fare un passo indietro per la conduzione, anche perché l'amore per la musica era più forte. Ho proseguito facendo Domenica In, poi la televisione era cambiata e i programmi con la musica erano sempre meno. Volevo seguire la mia grande passione e quindi sono uscita fuori dai radar. Non sono mai stata ambiziosa", ha sottolineato. Nel corso dell'intervista, la Corna ha anche ricordato Giampiero Galeazzi, con il quale aveva condotto Notti Mondiali nel 2002: "Galeazzi? È un po' che non lo vedo, ma ho un ricordo di un uomo stupendo, mi sono trovata bene", ha affermato. Infine, Luisa Corna ha anticipato che sposerà Stefano Giovani, l'ufficiale dei Carabinieri di 15 anni più giovane: le nozze verranno celebrate a Palazzolo, il paese di Luisa, entro la fine del 2019.
Luisa Corna: “Quel segreto che non ho mai detto a nessuno...”, scrive Stefano Duranti Poccetti su Il Giornale il 05/03/2019. L’abbiamo rivista domenica 3 marzo tra gli ospiti di Domenica in con la conduttrice Mara Venier. Luisa Corna ha spiegato perchè avesse abbandonato la tv, nel 2000. Colpa della sua più grande passione, la musica: “Ho sentito l’esigenza di fare un passo indietro per la conduzione, anche perché l’amore per la musica era più forte”. Ma noi di OFF ve l’avevamo già anticipato in questa intervista (Redazione). Luisa Corna, cantante, modella, attrice, nota al grande pubblico per le sue apparizioni come conduttrice o ospite in programmi televisivi di successo come Tira e molla, Domenica In Controcampo, anche se la sua attività prevalente è sempre stata quella musicale. Di questo e di altro ci parla in questa intervista.
Nonostante la consacrazione televisiva, sei sempre rimasta fedele alla tua più grande passione, quella per la musica…
«Non sono mai riuscita a dimenticarmi della musica. Fin da piccola volevo essere una cantante, ma per una serie di situazioni e circostanze sono arrivata alla televisione. Ma ho partecipato a programmi con un’orchestra e questo mi permetteva di sfogare questa mia vena musicale. Poi negli ultimi anni è ritornato forte il desiderio della musica a 360 gradi, facendo quindi un passo indietro dalla tv».
C’è una ragione perché questo è accaduto?
«Ero avvezza ai programmi di varietà, che si fanno sempre di meno, dando privilegio ai talent e ai reality. C’è stato quindi un cambiamento e così anche la mia rotta è cambiata. In ogni caso, se in futuro mi dovessero coinvolgere in qualcosa di mio interesse, tornerei volentieri al piccolo schermo».
A proposito di reality, ti hanno mai chiesto di partecipare a qualche format?
Sì, ma non ho accettato, perché accanto al tuo personaggio devi portare anche la tua persona…si crea quindi una situazione delicata».
Dopo una carriera così vasta, che idea ti sei fatta della vita?
«Penso che nella vita ci si debba impegnare, dal nulla non nasce nulla. Ho riscontrato che quello che deve accadere accade sempre. A volte cerchiamo cose che non ci appartengono, altre volte evitiamo eventi che devono succedere. Sono fatalista e per questo so che bisogna essere preparati a non perdere occasioni, contando sempre sulla propria serietà professionale».
Come vedi e usi i social?
«Piano piano sto imparando a comunicare attraverso i social e mi rendo conto che c’è sempre qualche porta che bisogna stare attenti a varcare… c’è il rischio di dimenticarsi della propria vita».
Cosa pensi del nostro Paese, spesso e volentieri denigrato?
«Io sono innamorata dell’Italia, so che non potrei vivere in nessun altro posto se non qui. Poi, certo, si vivono anche tante ingiustizie, come credo in altri posti del mondo. Purtroppo il potere conta troppo e io da ecologista convinta penso che si debba ripartire da noi stessi, dalla terra. La rincorsa al denaro ci rende infelici e peggiori».
Ancora, dopo anni e anni di carriera, hai dei sogni da realizzare?
«Io sono una grande sognatrice, quindi sogno tante cose. Potrei dirti per esempio che mi piacerebbe ritornare sul palco dell’Ariston, dove ho cantato una sola volta».
Vuoi svelarci un “segreto” che non hai detto a nessuno?
«Vediamo un po’….amo scrivere poesie, mi piacerebbe pubblicarle… questo credo di non averlo mai detto a nessuno!»
· Giorgio Mastrota.
La gaffe hot di Caterina Balivo che ha fatto sbottare Giorgio Mastrota. Botta e risposta fra Giorgio Mastrota e Caterina Balivo a "Vieni da me" per una battuta di troppo da parte della conduttrice. Carlo Lanna, Mercoledì 05/06/2019 su Il Giornale. La tensione si è tagliata a fette nella scorsa puntata di Viene Da me, il talk show di Caterina Balivo. Come ha riportato Libero, una gaffe hot ha scatenato le reazioni del pubblico e di Giorgio Mastrota, ospite d’eccezione. Il re delle televendite, intervistato dalla solare conduttrice, ha rivelato dettagli sulla sua vita privata che hanno però scatenato battute da parte della Balivo, ritenute decisamente fuori dagli schemi. "Perché ti tira ancora?" Ma la provocazione non subisce l’effetto sperato. Caterina Balivo esordisce in questo modo quando Giorgio Mastrota afferma di essere pronto a diventare padre ancora una volta. Il conduttore ha glissato saggiamente e subito ha sviato il discorso, raccontato quanto è bello essere padre e, soprattutto, quando è bello essere legato a una donna come Floribeth Gutierrez. Mastrota inoltre afferma che sta pensando seriamente di sposarsi per la seconda volta. E la Balivo cinguetta, forse anche ingenuamente: "Il tuo matrimonio è finto quanto quello di Pamela Prati e Mark Caltagirone". Mastrota non resiste e sbotta pesantemente nei riguardi della conduttrice. "Ma a te cosa te ne frega?" Termina lì il botta e risposta, sotto lo sgomento del pubblico. "Sogno di condurre un altro tipo di programma, non solo televendite. Magari Linea Bianca", afferma subito dopo. Ma la gaffe hot e spregiudicata di Caterina Balivo non è passata inosservata dal pubblico del web, tanto è vero che da alcuni è stata definita "grezza" .
· Natalia Estrada senza rimpianti.
Natalia Estrada senza rimpianti: la mia vita lontana dalla tv. All’apice del successo, Natalia Estrada si è ritirata dalla televisione investendo parte dei suoi guadagni in un ranch di cavalli […], Scrive il 18 Dicembre 2015 funweek.it. All’apice del successo, Natalia Estrada si è ritirata dalla televisione investendo parte dei suoi guadagni in un ranch di cavalli in campagna, dove è rinata e ha trovato la sua felicità. Intervistata dal settimanale Visto, l’ex showgirl spagnola, confessa di non aver alcun rimpianto per la vita che faceva prima, né di essersi mai pentita della scelta radicale che ha fatto: “Gli abiti di lustrini li ho rispediti in Spagna dai miei genitori. Non ho nostalgia della tv, non ho neppure la televisione in casa”. “Non riuscivo a riconoscermi nei programmi che mi proponevano – spiega ancora Natalia Estrada – La televisione virava sempre più verso il reality, ma io avevo un percorso diverso legato allo spettacolo. Ho sempre prediletto il varietà, con quei programmi non mi sarei sentita me stessa”. L’ex moglie di Giorgio Mastrota si è definitivamente allontanata dal mondo dello spettacolo, anche se – ammette – qualche vero amico era riuscita a farselo. In particolare, Pietro Taricone, che come lei, aveva deciso con Kasia Smutniak di vivere in un ranch: “Nel mondo dello spettacolo ci sono persone molto più pazze dei cavalli, ma non mi ero trovata male. Anzi avevo anche trovato degli amici con i quali condividevo la passione per l'equitazione”. “Il più caro di tutti – ricorda – era Pietro Taricone, che come me amava gli spazi aperti della campagna. Spesso mi trovo ancora con qualche amica, come Ela Weber, ma la mia vita ormai è altrove”.
Natalia Estrada: vi racconto la mia nuova vita western con i cavalli. Pubblicato giovedì, 25 luglio 2019 da Candida Morvillo su Corriere.it. Natalia Estrada, celeberrima negli anni 90 e nei primi Duemila per show come La sai l’ultima? e per il Ciclone di Leonardo Pieraccioni, da 15 anni è sparita dalla tv.
Natalia, che fine ha fatto?
«Sono stata conquistata dai cavalli e dal mondo del ranch e dei working cowboys. Col mio compagno Andrea Mischianti, detto Drew, istruttore e campione di Ranch Roping, viviamo nella campagna astigiana e seguiamo allevamenti di bestiame alla vecchia maniera: liberi nei pascoli, con noi che andiamo a recuperarli al lazo quando è necessario vaccinarli, marchiarli, curarli o quando si allontanano troppo».
In pratica, vive in un film western?
«Lo so, suona anacronistico. Vestiamo anche alla cowboy, ma certe tradizioni è bene che non si perdano: gli allevamenti allo stato brado sono più salutari per gli animali e producono carni più sane per noi. Nell’Ovest americano, per esempio nel Montana dove io e Drew andiamo spesso, le estensioni di terra sono talmente grandi e selvagge che non esiste un modo diverso».
Che andate a fare nel Montana?
«Esperienza di ranch veri. E ne approfittiamo per portare studenti della nostra Ranch Academy».
Qual è la differenza fra il suo ranch e i loro?
«Che lì l’inverno è lunghissimo e freddissimo. Per cui, i cowboy fanno lunghe spedizioni di caccia per mettere qualcosa nel frigo per l’inverno. Noi abbiamo partecipato a una di pesca, fra i monti dell’Absaroka: dieci giorni, con le tende caricate sui muli, facendo la doccia col secchio d’acqua riscaldato sul fuoco, incontrando tracce di alce, orso, lupo. È una vita molto vera e anche giusta: non si caccia per mettere un trofeo in salotto, ma per necessità e seguendo codici severi».
Come nasce la sua passione per i cavalli?
«Claudio Lippi mi invitò in campagna e, per caso, ne montai uno. Fu come un colpo di fulmine che ti succede o non ti succede. Iniziai a prendere lezioni e gli studi tv iniziarono a starmi sempre più stretti. Volevo tempo per i cavalli: per me, l’equitazione è un’arte al pari della danza e, se vuoi fare una bella coppia col tuo cavallo, devi allenarti a tempo pieno, come quando studiavo balletto al Conservatorio di Madrid».
La passione per il ranch com’è arrivata?
«In principio, provavo tutto, dressage, salto a ostacoli e, appunto, reining, roping, monta americana. Lì, mi sono avvicinata a Drew, con cui sto da 12 anni, e ho trovato la mia dimensione nelle tradizioni del ranch e nella comunicazione uomo-cavallo. Il nostro mentore e maestro è Buck Brannaman».
L’uomo che sussurrava ai cavalli.
«Quello che ha ispirato il libro di Nicholas Evans e il film con Robert Redford. Non avrei mai pensato di conoscerlo. Agli inizi, ebbi un incidente col mio cavallo da salto, mi ruppi polso, faccia, stetti parecchio in ospedale e vidi quel film, che mi sembrava la mia storia, mi sentivo come Scarlett Johansson disarcionata. Conoscere Buck mi è sembrato una magia impensabile e oggi organizziamo i suoi Clinics in Italia».
La sua giornata tipo?
«Sveglia alle cinque e mezzo, monto due o tre cavalli, cucino, pranzo, e poi lavoriamo con gli allevamenti. Aiutiamo un amico che ne ha uno grande in Emilia Romagna, ma ci chiamano ovunque, in Italia e all’estero».
Dal «Gioco delle coppie» in poi, ha fatto solo programmi di successo. Non le manca quel mondo?
«Ho avuto tutto ciò che si poteva desiderare e ho lasciato quando potevo uscire dalla porta principale e c’era una qualità che non si è più vista in tv. Dopo, ho visto troppi programmi spietati verso personaggi di peso messi in situazioni imbarazzanti».
Quanti reality le hanno offerto?
«Li ho rifiutati tutti. Non c’è cifra che potrebbe convincermi. In fondo, la cosa intelligente che ha salvato gli animali dall’estinzione è l’evoluzione».
Quanto è stato duro dire no a un programma la prima volta?
«Il no, quando vuoi scappare da qualcosa, è un sollievo. Non mi andava più di chiudermi in uno studio per mesi né di passare ore dal parrucchiere».
Adesso, quanto va dal parrucchiere?
«Pochissimo, ho i capelli corti apposta. Ora, poi, sono anche nonna: un anno fa, Tali, che ha 24 anni, ha avuto Marlo e, presto, mi vedo impegnata a inseguire il nipotino sotto le gambe dei cavalli».
· Parla Enrico Beruschi.
ENRICO BERUSCHI. Da I Lunatici Radio2 il 10 marzo 2019. Enrico Beruschi è intervenuto ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta ogni notte. Beruschi ha parlato dei suoi esordi: "Prima di entrare nel mondo dello spettacolo facevo il ragioniere. Mi sono diplomato al Catania di Milano, con il massimo dei voti, il primo istituto d'Italia. Con Cochi eravamo compagni di banco al liceo, Pozzetto era mio compagno di scuola alle medie, ogni tanto andavo al Derby, il locale dove è nato il cabaret a Milano. A furia di andare, dicevano che avevano una certa faccia, poi mi hanno proposto di fare qualche serata, ho provato, iniziando con tre barzellette, è andata alla grande, mi hanno messo in cartellone e dopo due anni di dilettantismo ho lasciato il lavoro. Altrimenti rischiavo di diventare dirigente, i dirigente poi rischiano di esser seri". Poi l'incontro con Berlusconi: "Io ho messo in piedi il Drive In. C'era Liza Minelli a Milano, al Nuovo, in seconda fila c'era Berlusconi che mi fa 'ehi Enrico, hai visto o no che ho messo in piedi davvero la televisione? Cosa aspetti a farti vedere?'. Il giorno dopo il mio agente era lì, io sono stato tra quei dieci che il nostro Silvio ha tolto dal mercato per metterli a Mediaset. I giovani oggi dormono un po'. 36 anni fa, quando è nato il Drive In, c'era uno spirito goliardico, pieno di idee. Abbiamo fatto il Drive In con Ricci e Nicotra, abbiamo messo in piedi un programma. I primi che abbiamo chiamato sono stati Margherita Fumero ed Ezio Greggio. Poi, siccome io ero un po' troppo milanese, per bilanciare l'Italia abbiamo chiamato Gianfranco D'Angelo. Io ho avuto la fortuna di finire in copertina su Sorrisi e Canzoni. In quegli anni abbiamo cambiato il modo di fare televisione". Sul rapporto con Grillo: "Io e Beppe eravamo giocherelloni. Il comico storicamente non aveva mai avuto la barba. Nel '70 sono usciti due comici con la barba, io e Grillo. Giocavamo anche a farci vedere insieme, la gente ci confondeva. Abbiamo fatto tante cose belle insieme, ora le idee sono un po' diverse. Non ci sentiamo da anni, la scelta della politica non l'ho condivisa, ma ognuno è libero di fare quello che vuole. La politica è una cosa strana".
Viviana Persiani per "Libero quotidiano” il 12 aprile 2019. «Sarà un fiore, che cresce con la pioggia e con il sole». Vi ricordate il ritornello della canzone interpretata al Festival di Sanremo, edizione 1979, dal ragionier Beruschi, tormentone che ancora oggi viene canticchiato ispirando allegria? Il fiore, si sa, o forse no, alludeva a ben altro, come ricorda lo stesso Beruschi, ripensando a quello che fu uno dei suoi più grandi successi: «Si classificò ufficialmente quinto, ma fu il disco più venduto di quell' edizione del festival nazional-popolare, appassionando gli ascoltatori con il suo garbato doppio senso». Qualcuno si scandalizzò, ma il milanese Doc, ex ragioniere della Galbusera, interpretando il testo scritto a sei mani dagli autori Conti-Panzeri-Pace, capì che quella era la strada giusta per proseguire la sua carriera artistica giocando con quei calembours, o semplicemente giochi di parole allusivi che, sinceramente, non avevano nulla a che vedere con la volgarità. A parte la parentesi sanremese, Beruschi divenne un beniamino del pubblico televisivo consacrato nei panni indimenticabili del Beruscao, il penultimo mandingo, l' innamorato della Margherituccia che, sul palco del Drive In, con la sua mimica facciale, entrò nelle case degli italiani, conquistando giovani e meno giovani. «Credo che oggi il format del Drive In non possa più funzionare - confessa il meneghino Beruschi -, ma, come ho dichiarato su Facebook, le trasmissioni comiche odierne continuano ad ispirarsi a quella ideata da Antonio Ricci. Ovviamente, mi hanno attaccato, ma resto convinto che io e i miei colleghi, figli anche di Non Stop (famoso programma andato in onda tra il 1977 e il 1979, su Rete 1), abbiamo lasciato il segno nel mondo della comicità italiana. Eravamo in tanti al Drive In, ma la conduzione di Ricci è sempre stata presente e determinante. Nei nostri testi si intravedeva l' imprinting degli autori: ognuno aveva il proprio. Oggi, invece, sembra che ogni comico segua la propria strada e linea, interpretando, però, lo stesso autore. Monotematici, cercano di fare ridere con i giochi di parole e i doppi sensi poco sottili: almeno Beruscao era originale e non volgare». Perché secondo Beruschi, oggi, alcuni colleghi rasentano anche il blasfemo. Dopo aver calcato diversi palcoscenici dando vita a personaggi divertenti protagonisti di commedie esilaranti, Beruschi ha saputo rinnovarsi, investendo nella sua passione per il mondo della lirica: «Ho seguito per alcuni anni alcune delle regie, cambiando il modo di fare lirica. Il mio obiettivo era quello di allestire delle opere liriche senza spendere cifre astronomiche. Nei panni del regista ho messo in scena L' Elisir d' amore di Donizetti, La Bohème di Puccini, Il Barbiere di Siviglia con risorse ridotte, ma con grandi applausi. Peccato, però, che "pecunia non olet, ma tacat". Ora, sembra che qualcun altro stia portando avanti il progetto: sicuramente avrà gli agganci giusti, rispetto ai miei». E la televisione? «Sì certo, ogni tanto vengo invitato a partecipare a trasmissioni televisive: l' ultima volta ero ospite di un talk show dove ho parlato della mia pensione, inadeguata rispetto ai versamenti effettuati durante la mia vita lavorativa. Il copione prevedeva che l' ospite giovane mi dovesse attaccare. Ecco allora che sono partiti gli insulti, probabilmente ripetendo un testo studiato a memoria, o quasi. Senza contare le cinque sgallettate che urlavano, polemizzando. Oppure, un' altra volta, sono stato ospite di una trasmissione in Rai per parlare di droga leggera. Ma anche lì, il mio pensiero garbato, rispetto ai giovani che utilizzano droga, facilmente individuabili per l' occhio da rimbambiti, è stato attaccato malamente. Pazienza. Ecco perché la televisione odierna mi annoia: mi diverto da morire, invece, a leggere da solo e in pubblico i testi del Guareschi, di un' attualità sorprendente».
· Parla Anna Maria Barbera.
Anna Maria Barbera a «Domenica In»: «Ho passato un periodo difficile, ma non voglio più parlarne...», scrive il 10 marzo 2019 CorriereTv. Anna Maria Barbera, meglio conosciuta come Sconsolata, parla di un momento di grande difficoltà personale nell'intervista rilasciata a Mara Venier a «Domenica In». L'attrice, nota per il suo sorriso e l’autoironia, parla alle telecamere con gli occhi lucidi di un momento difficile che ha rallentato la sua carriera in tv. «Ho affrontato un periodo difficile - dice Barbera - il peggio è passato e non voglio più parlarne. Il problema è fare i conti con la sofferenza quando c’è un’assenza. Nel rispetto di tutti e della mia mamma, che tira avanti, io devo stare attenta a quello che dico. “Cara mamma, tutto apposto!”». Frasi rotte e tristi: anche la conduttrice non riesce a continuare la sua intervista. Sui social, molti i commenti che sottolineano come la comica non stesse bene e fosse sofferente.
· Parla la cornuta Simona Izzo.
Saverio Capobianco per davidemaggio.it il 26 novembre 2019. Vecchie ruggini rinverdiscono. Era il 2017 quando – durante la seconda edizione del Grande Fratello Vip 2 - si accendeva lo scontro tra Simona Izzo e Marco Predolin che nel corso del reality non aveva riservato parole lusinghiere nei confronti dell’attrice. In quel caso Ricky Tognazzi, marito di quest’ultima, aveva difeso la moglie e attaccato pesantemente l’ex conduttore (qui le dure parole). Ieri i coniugi Tognazzi, ospiti di Live – Non è la D’Urso, hanno affrontato Predolin per mettere una volta per tutte la parola fine al macello avvenuto due anni fa. Quando Marco prende la parola, però, i suoi propositi si dimostrano tutt’altro che pacifici: “Finalmente dopo due anni posso guardare in faccia questo stronzo! Una persona che scrive queste cose, celandosi dietro i social e non avendo le palle di venirmi a guardare in faccia e dirmi le cose che pensava, è quello che ho detto io (…) Io mi aspettavo che tu dicessi ’sì ho detto qualche cazzata in più’ (…) Ho fatto un reality con tua moglie, ma tu che cosa vuoi? (…) Impara a rispettare le persone”.
Tognazzi, spiazzato dagli attacchi di Predolin, non sta certo a guardare e gli risponde per le rime: “Tu nei dette molte (di cazaate, ndDM) (…) alle sue spalle (si riferisce Simona Izzo, ndDM) hai tirato fuori qualsiasi cosa. Io ti compatisco (…) Sei e rimani un maleducato, un incapace. Sai solo insultare gli omosessuali, sai insultare le donne, sai parlare male dietro le spalle (…) Ma chi cazzo sei? (…) Perché sei venuto oggi qua? Sei assente da allora!“.
Predolin – ferito nel suo ‘orgoglio’ – mette il carico da novanta, non solo sottolineando come l’attore non avesse avuto gli attributi di affrontarlo dal vivo, ma asserendo che Tognazzi fosse diventato famoso solo per essere figlio di Ugo: “Non devi rompermi i coglioni, va bene? Tu sei molto aggressivo e un maleducato. Continui a dire chi ti si vede, sei un fallito, ma come ti permetti? Tu ti chiami Ricky non Ugo, mettitelo in testa (…) Io rimarrò nella storia come chi ha fatto la televisione, tu rimarrai nella storia come ‘figlio di’ e quello che mangiava i sottaceti in televisione“. Le accuse continuano reciprocamente; Tognazzi esasperato arriva ad usare toni minacciosi (“Stai molto attento a quello che fai, molto attento a dove esci, da quale porta esci”), finché in studio la conduttrice – con l’aiuto degli altri opinionisti – prova a placare gli animi e smorzare i toni. Dopo una serie di resistenze i due decidono finalmente di scusarsi vicendevolmente e darsi la mano in segno di pace. La quiete dopo la tempesta.
Fabio Fabbretti per davidemaggio.it del 10 ottobre 2017. L’eliminazione di Simona Izzo dal Grande Fratello Vip 2017 ha portato ad un acceso faccia a faccia tra la regista e Marco Predolin. Tra i due non c’è mai stata molta simpatia, ma ieri sera l’ex conduttore, presente in studio nonostante la squalifica, ha tentato di prendere la scena attaccando quella che definirà come una “pessima attrice”. E su Twitter è esplosa l’ira del marito Ricky Tognazzi. Predolin in studio si è scatenato, desideroso probabilmente di mantenere accesi su di sé i riflettori del reality di Canale 5. Dopo aver accusato la Izzo di essere stata una manipolatrice all’interno della Casa, l’ha irrisa con una messinscena teatrale, fingendosi svenuto, perchè lei, entrando in studio, ha detto di non sentirsi bene. “Mi sento male, senti il mio cuore come batte”, diceva Simona tenendosi ad Alfonso. “Sto per svenire”, ha poi aggiunto. Ma sul ring, come lo chiama lei, dello scontro verbale la regista non sembra avere rivali, almeno in confronto agli altri concorrenti del programma. E quando Predolin le dice che “è ora di uscire di scena“, lei lo silura con una facilità quasi invidiabile: “Tu non sei mai entrato in scena, tesoro“. Applausi. Da casa, non quella del Grande Fratello ma quella di Tognazzi-Izzo, però, c’è un Ricky furioso contro Marco Predolin. L’ira del marito di Simona si consuma sul suo profilo ufficiale di Twitter: “Predolin si rivela per quello che è. Una nullità“. Tognazzi non si risparmia e, come si suol dire, ci va pensante, definendo Marco un “criptonazista“, termine che definisce chi ha ideali e metodi di stampo nazista. Questa mattina, invece, il tentativo – sempre via social – di dietrofront con tanto di scuse per i toni usati: “Chiedo scusa per quello che ho detto ieri notte su Predolin. Parole ingiuste dettate da rabbia e rancore“.
"VENDITTI? MI HA TRADITO E MI HA LASCIATO", di Annalisa Grandi per corriere.it del 13 marzo 2019. Parla a cuore aperto, del matrimonio finito tanti anni fa con Antonello Venditti, e anche dei suoi problemi di salute. Simona Izzo a «Vieni da Me», condotto da Caterina Balivo, confessa di soffrire di un disturbo bipolare: «Sono stata male è vero, - rivela - ma tendo a soffrire perché sono una bipolare subclinica e quindi ho dei momenti di grande felicità e momenti di grande sofferenza. Io ho delle gioie involontarie e delle depressioni involontarie su base endogena. Non deve succedere qualcosa di scatenante, ma questa voglia di non esserci prende il sopravvento. Amo anche questa parte di me, l’infelicità mi fa fare le cose». La Izzo, 65 anni, da 24 anni sposata con Ricky Tognazzi, parla poi del matrimonio con Antonello Venditti, durato dal 1975 al 1978 e da cui è nato il figlio Francesco Venditti. «È stato mio marito, abbiamo avuto un figlio ed è stata una grande storia d’amore. Le storie poi si sa, non finiscono mai bene se no non finirebbero e io non ho perdonato.» aggiunge però per poi spiegare «Mi ha lasciato, mi ha tradito, ma non sono più arrabbiata con lui». Parla a cuore aperto, del matrimonio finito tanti anni fa con Antonello Venditti, e anche dei suoi problemi di salute. Simona Izzo a «Vieni da Me», condotto da Caterina Balivo, confessa di soffrire di un disturbo bipolare: «Sono stata male è vero, - rivela - ma tendo a soffrire perché sono una bipolare subclinica e quindi ho dei momenti di grande felicità e momenti di grande sofferenza. Io ho delle gioie involontarie e delle depressioni involontarie su base endogena. Non deve succedere qualcosa di scatenante, ma questa voglia di non esserci prende il sopravvento. Amo anche questa parte di me, l’infelicità mi fa fare le cose». La Izzo, 65 anni, da 24 anni sposata con Ricky Tognazzi, parla poi del matrimonio con Antonello Venditti, durato dal 1975 al 1978 e da cui è nato il figlio Francesco Venditti. «È stato mio marito, abbiamo avuto un figlio ed è stata una grande storia d’amore. Le storie poi si sa, non finiscono mai bene se no non finirebbero e io non ho perdonato.» aggiunge però per poi spiegare «Mi ha lasciato, mi ha tradito, ma non sono più arrabbiata con lui».
Da Libero Quotidiano del 13 marzo 2019. Tutti sanno che Simona Izzo ha il polso fermo ma oggi ha davvero sorpreso tutti, sia Caterina Balivo che l’ha ospitata nel salotto di Vieni da me, sia i presenti in studio. La conduttrice non poteva non chiederle della sua vita privata e, soprattutto, del rapporto con il marito Ricky Tognazzi. A questo proposito la Izzo ha svelato un retroscena su un episodio di gelosia che ha lasciato di stucco la presentatrice. Caterina, infatti, le ha chiesto se avesse mai dubitato di Tognazzi e lei, con la solita franchezza ha risposto: "Sì, ho dubitato, infatti ho fatto molte ricerche". L’apice però è stato raggiunto quando Simona è entrata più nello specifico, ammettendo di essere stata preda della gelosia per il marito regista in un’occasione precisa: "Una volta però ho veramente dubitato. Era un’attrice, non ti dirò mai il suo nome. Molto bella, scura. (…) Lei lo ha invitato a cena e ci sono andata io. Ti piace?". La Balivo, visibilmente sorpresa, ha prontamente replicato con un "Adoro!".
Da dilei.it il 9 novembre 2019. Simona Izzo si lamenta dalla Balivo per la pensione troppo bassa e Maurizio Costanzo replica. La regista e il giornalista hanno vissuto una storia d’amore prima che lui incontrasse Maria De Filippi, durata dal 1983 al 1986. Il conduttore ha commentato le dichiarazioni dell’ex compagna sulle pagine del settimanale Nuovo dove ha una rubrica. Tutto era iniziato qualche giorno fa quando la Izzo era stata ospite di Vieni da Me, il programma di Caterina Balivo. La regista aveva parlato senza peli sulla lingua della sua condizione economica. “Io ho mille euro al mese di pensione – si era lamentata -, se non lavorassi non arriverei nemmeno a 1200 e non farei nulla. Ho partecipato al Grande Fratello Vip per pagare la scuola privata ai miei nipoti”. La Balivo aveva provato a mediare, certa che le sue parole avrebbero scatenato una polemica: “Se dici che hai partecipato al Gf Vip perché una regista famosa come te aveva bisogno di quei soldi ti attirerai tutte le critiche” aveva detto, ma la Izzo aveva scelto di continuare per la sua strada. “Se dico che lavoro per pagare le scuole ai miei nipoti dovrebbero dirmi brava”. La Izzo ha avuto un figlio da Antonello Venditti e dal 1995 è sposata con Ricky Tognazzi, celebre attore e regista. L’amore con Costanzo è stato breve, ma intenso. Questo però non ha impedito al giornalista di criticare il comportamento dell’ex compagna. “A volte si fanno polemiche inutili – ha detto Maurizio – e la responsabilità è pure di chi dice certe cose. Fossi stato in Simona Izzo, conoscendo le dinamiche della tv, non avrei parlato della pensione”. Simona Izzo non è l’unico vip che ha scelto di svelare pubblicamente in tv l’importo della sua pensione. Qualche tempo fa a farlo era stato Enzo Paolo Turchi che aveva confessato di percepire 720 euro di pensione al mese. Una cifra considerata troppo bassa dal marito di Carmen Russo, che si era lamentato nel corso di un’intervista. “Ci sono rimasto molto male: non per una questione di soldi – non sono in miseria – bensì per etica professionale – aveva spiegato-. Non si può trattare così un artista, famoso o non famoso che sia, dandogli un’elemosina. Tutti i miei contributi sono spariti, la ritengo un’offesa”.
Simona Izzo: “Vittorio De Sica mi fece piangere e…” Salvo Cagnazzo il 16/11/2019 su Il Giornale Off. Aneddoti e segreti del doppiaggio: Simona Izzo non poteva avere un destino diverso. Figlia del doppiatore e direttore del doppiaggio Renato, comincia la carriera nel mondo del cinema sin da bambina, per poi approdare negli anni ai dialoghi, alla sceneggiatura, alla recitazione e alla regia. L’abbiamo incontrata durante il CineFuturaFest di Roma, il festival di corti realizzati dagli studenti italiani: in questa intervista OFF la Maestra del doppiaggio italiano ci ha sorpreso raccontandoci i suoi inizi.
Durante il Festival ha sottolineato l’importanza della formazione e della preparazione.
«In Italia purtroppo queste cose mancano. Non vorrei mai che un giorno uno dei miei nipoti mi dicesse che vuole andare a New York per studiare cinema. Eppure è stata proprio la generazione dei nostri padri a fondare la cinematografia americana. C’è una grossa contraddizione, come se non avessimo capitalizzato ciò che ci hanno lasciato i nostri genitori».
Si può invece dire che lei sia nata nella famiglia perfetta. Ci vuole raccontare il suo debutto come doppiatrice?
«Fu con Vittorio De Sica per Il giudizio universale. Era il 1961, avevo 8 anni e andò malissimo: il Maestro mi disse che avrei dovuto doppiare un maschio e io, che ero molto vezzosa e carina, risposi: “No, grazie, io sono una femmina“. Mia madre cercò di convincermi e mi misi a piangere. De Sica registrò quel pianto: in quel ruolo avrei dovuto piangere. Iniziai così, piangendo».
E la sua più bella esperienza di doppiaggio?
«Sicuramente per Voglia di tenerezza: doppiavo Debra Winger, che aveva una voce molto cavernosa. Al provino imitai la sua voce, ma nel film la cambiai. Fu un’esperienza forte perché dovetti ripetere una scena per 32 volte!».
Ha mai conosciuto la Debra Winger?
«Sì, quando ci siamo conosciute mi disse: “Non è possibile che tu sia la mia voce italiana“. Allora le risposi imitandola e si fece un sacco di risate».
Qualche altra esperienza “forte”?
«Quando ho doppiato Jessica Lange in Il postino suona sempre due volte: la famosa scena d’amore della farina l’ho dovuta fare con mio padre, perché non c’era il doppiatore. Fu lui a propormelo, gli dissi che non l’avrei mai fatta. Alla fine mi rimproverò perché non sapevo “orgasmare”»!
Ha doppiato anche Madonna e Kim Basinger.
«Inizialmente, avendo una voce da bambina, mi occupavo solo di cartoni animati. Anni dopo mio padre mi disse che avrei dovuto sostenere un provino: “esci, fuma, prendi freddo e fai le ore piccole“. Servivano per doppiare Kim Basinger».
Lei ha anche collaborato per i dialoghi di Shining.
Sì, sono stata io ad inventarmi la parola “luccicanza”. Stanley Kubrick voleva una parola che non esisteva, con desinenza vernacolare. E nessuno riusciva a trovarla. Poi un giorno la governante romana di mia madre usò il termine “parannanza”. Allora mi venne in mente la “luccicanza”. La proposta arrivò a Kubrick, che si faceva sempre ritradurre i testi dall’italiano all’inglese. E accettò».
· Parla il truffato Corrado Guzzanti.
Guzzanti in tribunale: «Io truffato dal manager che mi svuotava i conti». Pubblicato martedì, 12 marzo 2019 da Giulio De Santis e Fulvio Fiano su Corriere.it. «Per un lungo periodo — dice Corrado Guzzanti, ricacciando indietro l’emozione con dei colpi di tosse — ho avuto difficoltà a dormire per gli incubi e gli scoppi di pianto nel sonno. Questa cosa mi imbarazza ma per fortuna, grazie alla mia compagna che mi è rimasta sempre vicina a farmi coraggio, con molta lentezza ho ripreso a vivere. Ero in difficoltà anche a fare la spesa. Nel 2014 me la sono cavata con due o tre lavori che mi hanno permesso di guadagnare abbastanza per pagare le tasse e la casa e sono stati come una specie di terapia per ripartire. Poi nel 2015 è arrivato un nuovo progetto». Terminate le domande del pm Antonio Carlucci, l’attore prende fiato. Dice: «Sono stanco», spiega di aver bisogno di una pausa. Poi attende la fissazione della prossima udienza e non nasconde che volentieri eviterebbe di ritornare in un’aula del tribunale di Roma per il controesame delle difese, lui parte offesa di una presunta truffa milionaria per mano di quello che oltre a essere il suo socio e manager, Valerio Terenzio Trigona, riteneva un amico. «Ogni volta che viene pronunciato il suo nome è una pugnalata al cuore. Il trauma emotivo, posso dire ora a cinque o sei anni di distanza, è stato più forte di quello economico e finanziario». Il decreto di citazione a giudizio riassume la complessità di una vicenda che per certi aspetti ricorda quella di sua sorella maggiore Sabina. Anche lei, assieme ad altre celebrità, fu vittima negli stessi anni di una truffa milionaria per mano del broker Gianfranco Lande, rinominato non a caso il «Madoff» dei Parioli. Tornando a Corrado, Trigona avrebbe agito assieme al suo dipendente, e presunto complice, Cesare Vecchio. Il primo nella qualità di produttore degli spettacoli di Guzzanti, il secondo come amministratore unico della Ambra srl. La truffa contestata nel processo ammonta a 400mila euro, ma come vedremo la cifra potrebbe essere molto superiore. Conosciuto nel 1994 ai tempi di Tunnel, condotto su Rai Tre da Serena Dandini, Trigona, già impresario di big della canzone come Dalla, Morandi, Ron, Vanoni, convince Guzzanti ad affidargli la gestione di una parte cospicua dei suoi guadagni per investirli in titoli tedeschi dai rendimenti elevati e certi. Il manager riceve in tal senso una delega ad operare sui conti dell’attore, al quale garantisce di occuparsi anche del pagamento delle relative imposte. Trigona mostra a Guzzanti anche dei rendiconti/prospetti sui guadagni ottenuti con quegli investimenti, che negli anni, a suo dire, sarebbero arrivati a 6,5 milioni di euro. E invece non solo i guadagni non ci sono, ma gli stessi bund tedeschi sono un’invenzione. Inesistente anche il conto di liquidità che Guzzanti crede di alimentare per le spese e dal quale Trigona, si legge nel capo d’imputazione, «effettua prelievi, dispone bonifici, effettua operazioni di giroconto e richiede assegni circolari», falsificando la firma dell’attore o facendola falsificare a Vecchio («ma lui ha solo eseguito», sostengono i legali Filiani e Petronzi). E Guzzanti si trova un debito di 900mila euro con l’erario. Non solo. Secondo la procura, Trigona convince l’attore a saldare gli scoperti sul conto della sua Kipli Entertainment srl con gli introiti del film «Fascisti su Marte», tramite una fideiussione da 230mila euro. Ma il saldo non avviene e anzi, sfruttando la circostanza che le società Kipli e Amba dividono lo stesso indirizzo, l’imputato intercetta tutta la corrispondenza e i solleciti invitati dalla Bnl, raggiungendo con la banca, all’insaputa di Guzzanti, un accordo per rateizzare il debito. Almeno fino a quando l’attore non si vede recapitare un decreto ingiuntivo di pagamento e in seguito il pignoramento della sua abitazione alle spalle di viale Mazzini, quartiere Prati. «Con Trigona — si legge nella denuncia dell’attore, assistito dall’avvocato Giuseppe Rossodivita — era nata una collaborazione professionale che ben presto era diventata anche una intensa amicizia contraddistinta, ritenevo purtroppo a torto, da un rapporto di reciproca fiducia. E invece hanno svuotato sistematicamente i miei conti bancari con la incredibile accondiscendenza degli operatori di sportello».
Michela Allegri e Enrico Lupino per “il Messaggero” il 13 marzo 2019. Dopo trent' anni di carriera nei supermercati cercava le scatolette di tonno meno care, non poteva permettersi altro. Era ridotto sul lastrico, come lo sconclusionato Lorenzo, uno dei suoi personaggi più riusciti. Quasi un milione di euro di debiti con il fisco e l'avviso di pignoramento della casa: a Corrado Guzzanti, maestro della comicità italiana, l'amicizia con il suo storico produttore Terenzio Valerio Trigona sarebbe costata tutto questo. E ora il manager si trova a processo col suo factotum e braccio destro dell'epoca, Cesare Vecchio: entrambi sono accusati di truffa ai danni dell'attore romano, sentito ieri in udienza come persona offesa. «Il nostro rapporto professionale (quello fra il comico e Trigona ndr) inizia nel 1994 e dura 19 anni, fino al 2013», racconta Guzzanti davanti al microfono del tribunale monocratico, iniziando una lunga deposizione che durerà oltre tre ore. Il sodalizio si interrompe sei anni fa «dopo avermi causato un danno da quasi un milione di euro e con la mia abitazione pignorata dalla banca». Trigona, stando alle parole di chi ha dato vita sul piccolo e grande schermo alle contraddizioni del Belpaese, avrebbe anche confidato al performer di averlo truffato. Era un'amicizia speciale quella fra Guzzanti e Trigona, tanto che l'impresario teatrale, impegnato in passato con artisti del calibro di Lucio Dalla e Gino Paoli, avrebbe assunto insieme a Vecchio il compito di mantenere per lungo tempo la contabilità dell'artista. «Un conflitto d' interesse ammette la stessa presunta vittima perché da una parte era il mio pagatore e dall' altra chi doveva emettere le fatture». «Realizziamo il primo spettacolo nel 1996, quando riprendo a lavorare con la Rai prosegue Guzzanti - Terenzio poi assume un ruolo di coproduzione, nel 2001 con L' ottavo nano, Terenzio è in veste di coproduttore». Programmi di prim'ordine, insomma, che avrebbero fruttato all' attore guadagni importanti. Da lì, l'idea del manager - riferisce in aula il comico rispondendo alle domande del pm Antonio Carluccio - di aprire un conto su obbligazioni tedesche al 4 per cento di interesse, in modo da poter pagare quanto dovuto al fisco, ma rateizzando e con un margine di ricavo. Trigona, dopo aver ottenuto la delega, avrebbe «riferito si legge nel capo di imputazione avrebbe di avere investito le somme come concordato, consegnando rendiconti/prospetti falsi, attestanti guadagni per 6,5 milioni di euro apparentemente ottenuti con i titoli tedeschi». Cifre di un conto che, soltanto anni dopo, si sarebbe rivelato «mai esistito» come specifica la procura. In quel periodo, però, Guzzanti, avendo «totale fiducia» nell' amico - come ripete in aula - non avrebbe controllato. Il raggiro però, come contestano i pubblici ministeri, sarebbe stato più ampio. Trigona infatti, avendo la disponibilità anche di altri conti correnti dell'asso della sua scuderia, «ometteva il pagamento delle imposte si legge negli atti o pagava parte di tali imposte in ritardo, generando un debito del Guzzanti verso l'erario di 900mila euro». Ci sarebbe stato pure un terzo episodio, poi denunciato dall' attore, riguardante il film Fascisti su Marte. «Era un film del tutto artigianale prodotto con Terenzio e Domenico Procacci. Ci tenevo quindi ad apparire fra i produttori, almeno come produttore artistico», continua l'attore che ricorda la proposta che nel 2006, data di uscita della pellicola, gli avrebbe fatto il manager: la sottoscrizione di una fideiussione bancaria con la rassicurazione che «tanto sarei rientrato dalla spesa». Così, Guzzanti avrebbe sborsato 230mila euro, cifra della quale l'imputato avrebbe riferito l'avvenuto saldo: anche questo «mai avvenuto» sostiene l'accusa. La mole di debiti sarebbe tornata come un boomerang contro l'attore che, anni dopo, nel 2013, si sarebbe visto presentare alla porta l'ufficiale giudiziario per un avviso di pignoramento della sua casa. Da qui la scoperta del raggiro, compresa una serie di prelievi, assegni e operazioni di giroconto avvenuti sul conto dello showman apponendo la sua firma falsa. Una condotta che la procura attribuisce non solo a Trigona, ma anche a Vecchio. «Ho scoperto di essere talmente rovinato che 500 euro mi avrebbero fatto comodo», racconta Guzzanti di quel periodo. Dopo 30 anni di carriera l'attore, infatti, avrebbe ripreso a «lavorare come un matto per salvare la casa». Un periodo di magra che lo avrebbe anche costretto ad andare avanti «a scatolette di tonno», ironizza.
· Elena Santarelli e la guerra contro il tumore del figlio.
Elena Santarelli e il tumore del figlio: "Ho avuto un crollo psicologico, ora sono in terapia". Libero Quotidiano il 16 Ottobre 2019. Elena Santarelli, in una recente intervista rilasciata al settimanale F, ha confessato di aver avuto un crollo psicologico in seguito alla lunga battaglia combattuta coraggiosamente al fianco del suo piccolo Giacomo, il figlio colpito da un tumore al cervello. "Chi ti dice di lasciarsi tutto alle spalle non sa di che cosa sta parlando, non ha vissuto la malattia", ha esordito la showgirl che ha voluto raccontare tutta la sua storia nel suo libro Una mamma lo sa, i cui proventi verranno devoluti all’associazione Heal (ente di ricerca nell’ambito della neuro-oncologia pediatrica). "Ripercorrere alcune vicende mi ha fatto male, per questo, e non mi vergogno a dirlo, sto seguendo una terapia psicologica. Si chiama Emdr e si basa sul movimento degli occhi tra la psicoterapeuta e il paziente per elaborare il dolore", ha spiegato Elena. "Quando Giacomo era sotto terapia, volevo fare tutto da sola, mi sentivo Wonder Woman. Il mio unico pensiero era andare avanti, sembravo dopata. Poi c’è stato il crollo e ho capito di aver bisogno di aiuto", ha confessato senza problemi. Fortunatamente Giacomo ad oggi è “sereno, felice. Siamo nella fase ‘Follow up’, quindi per i prossimi cinque anni dobbiamo comunque fare controlli, ma l’ottimismo non ci mancherà mai", ha concluso dimostrando davvero di essere una sepereroina.
Dagospia il 13 novembre 2019. Da I Lunatici Radio2. Elena Santarelli è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino. La Santarelli ha parlato del suo libro, 'Una mamma lo sa', in cui racconta la lunga e sofferta battaglia del figlio Giacomo: "Avevo molta paura. Quando sai che dietro a quelle pagine c'è la verità e non è una storia inventata può far paura aprire il libro e leggere. Mi fa piacere che stia andando bene. Ho ceduto tutti i miei diritti al progetto Heal, mi fa piacere ricevere tantissimi messaggi dalla gente, mi scrivono tante donne e tanti uomini da tutta Italia, ma anche tante ragazze e persone più giovani. Non è un libro solo per le mamme. Tante persone mi raccontano di essere cambiate, perché si lamentavano dalla mattina alla sera anche per un semplice mal di pancia, mentre questo libro le porta ad alzarsi dal divano con uno spirito diverso. Ho provato a descrivere quello che si prova. Una volta mi ha scritto una ragazza che si è ammalata come Giacomo a dieci anni. Lei ora ha ventitré anni, sta bene, ma ha capito con questo libro quello che hanno passato i suoi genitori". Elena Santarelli ha proseguito: "Tutte quelle pagine le ho dentro di me. Il capitolo più doloroso è quello che riguarda Marzia. La figlia della mia migliore amica di percorso che ora non c'è più. Io la penso tutte le mattine quando mi sveglio e tutte le sere quando vado a dormire. E' brutto dirlo ma tra il 2018 e il 2019 sono stata più a funerali di bambini che a compleanni. E' un messaggio forte, ma ho vissuto questa esperienza e non è facile passare attraverso certe cose. Io ho mentito per due anni. Non ho parlato con nessuno della malattia di Giacomo. Ho recitato con genitori, suoceri, parenti. Ho pagato a caro prezzo questa recita, ma è stata un'arma di difesa mia e di mio marito, volevamo circoscrivere il dolore e le notizie a noi. Ai miei genitori ho raccontato tutto solo quando la cosa è finita. Perché dovevo far preoccupare i nonni? Ancora ora nessuno sa quando facciamo i controlli. Ne parliamo solo a cose fatte". Lei aveva pensato di rasarsi i capelli a zero: "La psicologa dell'ospedale però mi ha detto che avrei sbagliato. Sarebbe stato come far capire a Giacomo che la situazione era veramente grave. Non dovevamo compatire Giacomo. Dovevamo accompagnarlo, ma non ci doveva fare pena. Questo concetto all'inizio era molto difficile da capire. Ma poi l'ho fatto mio. Continuare la vita di sempre, far finta di nulla, nei limiti del possibile, è stato importantissimo. Non bisogna fare di testa propria, i professionisti possono sempre dare una mano". Sul rapporto con il marito: "Tra me e Bernardo c'è un amore di base molto forte. Un amore vero, puro. Credo si veda che siamo una coppia un po' diversa...Sicuramente momenti di nervosismo ci sono stati, ma entrambi abbiamo capito che erano momenti dovuti a una situazione di difficoltà". Elena Santarelli ha parlato anche degli haters: "C'era una persona che mi criticava abbastanza, ma dopo aver letto il libro mi ha chiesto scusa. Era uno di quelli che mi scriveva che non dovevo andare a lavorare, perché dovevo stare a casa con mio figlio. Ce ne sono ancora di haters. Ce n'è uno tutti i giorni che ci augura le cose peggiori. Non ci sono chemio per certe persone. Purtroppo il male esiste. Instagram e Facebook hanno aperto le gabbie ai fuori di testa. Bisognerebbe far dare alla gente la propria carta d'identità e il proprio numero di telefono quando si apre un profilo. Dati che devono rimanere privati ma che devono rendere identificabile una persona se si rende protagonista di offese gravi".
Elena Santarelli: "Due anni fa scoprivo del tumore di Giacomo. Andai in bagno a vomitare". Elena Santarelli ha ricordato il giorno della drammatica scoperta della malattia del figlio. Oggi a due anni di distanza, qualcosa di bello è avvenuto e lo racconta sui social. Novella Toloni, Venerdì 29/11/2019 su Il Giornale. Sono passati due lunghi anni dalla scoperta del tumore cerebrale di suo figlio Giacomo e oggi Elena Santarelli ricorda quella data. In un post social pubblicato nelle scorse ore su Instagram, la showgirl ha condiviso con i suoi follower la drammatica ricorrenza: "Il 29/11/2017 ricordo che ero in bagno a vomitare e a piangere in silenzio, ero ignara che a pochi km da casa mia c’erano due genitori che piangevano per non poter più festeggiare il compleanno della loro bambina, nata lo stesso giorno in cui io ho ricevuto il pugno allo stomaco, scomparsa nel 2015 a causa di un tumore cerebrale". Una data che per la Santarelli ha una doppia valenza. Il dramma della scoperta e l'inizio di un percorso, lungo e faticoso, che ha portato però alla guarigione di suo figlio. Quel giorno rappresenta per la showgirl, e per tutti quei genitori che si trovano a lottare insieme ai loro bimbi affetti da un tumore, anche l'inizio di qualcosa di bello. "Da lì a pochi giorni - prosegue nel suo post social - ho conosciuto i suoi genitori,simone e serena che hanno seminato nel 2016 il primo seme al Progetto Heal in memoria di Gaia". Per Elena Santarelli tutto questo non sarebbe un caso, ma un qualcosa di scritto, che l'ha portato oggi a essere una delle testimonial più attive di questa associazione no profit: "Non è un caso che io abbia scoperto il tumore di Giacomo il 29/11/17 e che Gaia sia nata il 29/11/2010, oramai sono grande e non credo più alla casualità, qualsiasi fatto accade sempre per un motivo". Oggi, a nove anni di distanza dalla nascita di Gaia e a due dalla scoperta del tumore di suo figlio, Elena Santarelli parla di un nuovo miracolo: "Stasera Progetto Heal insieme a me, che sono la madrina e a Christian Vieri, nostro grande sostenitore, consegneremo i primi 250 mila euro al bambino Gesù per l’acquisto del simulatore in 3d che è già in uso per la neurochirurgia pediatrica del bambino Gesù di Roma". Ecco come una data tanto odiata, ha spiegato la Santarelli "si trasforma in miracolo, grazie a tutti voi e a Gaia per aver scelto me in questa missione mediatica e di cuore".
Elena Santarelli: "Volevo rasarmi a zero i capelli per mio figlio". Nella prima puntata di Seconda vita, la showgirl Elena Santarelli ha rilasciato alcune dichiarazioni sulla battaglia che il figlio Giacomo ha affrontato contro il cancro. Serena Granato, Giovedì 31/10/2019, su Il Giornale. Lo scorso 30 ottobre è stata trasmessa la prima puntata di Seconda vita, un viaggio nei ricordi dolorosi di chi abbia cercato una rinascita nonché un progetto di Gabriele Parpiglia, giornalista, autore e conduttore televisivo. E il nuovo appuntamento tv di Real time ha visto protagonista la showgirl di Italia sì, Elena Santarelli. La moglie dell'ex calciatore Bernardo Corradi si è raccontata a ruota libera su vita e carriera in un'intervista concessa a Parpiglia, non risparmiandosi sulla dura battaglia che il figlio Giacomo ha dovuto affrontare contro un tumore cerebrale. Nel suo intervento televisivo, la Santarelli ha confidato di aver maturato l'idea di compiere un gesto estremo, per amore del figlio, ovvero quello di rasarsi completamente a zero i capelli: "Io all’inizio volevo rasarmi i capelli per far sentire a Giacomo la mia vicinanza e quella del papà, nel dolore di aver perso i capelli. Un dolore atroce... La psicologa invece ce lo ha sconsigliato, 'neache il papà deve farlo. Non dovete compatirlo'. Perché se facevamo così, Giacomo capiva che la cosa era ancora più grave. Se tu parli ad una donna di 35 anni, di 40 0 di 50 anni, con un tumore al seno, ti dice che la cosa più dolorosa 'è la perdita dei capelli, indossare la parrucca'". L'intervistata non nasconde, poi, il dolore provato in quanto madre, per via della malattia che ha colpito Giacomo: "Perché non dovrebbe soffrire un bambino di 10 anni? Io odio quando mi dicono 'vabbé un bambino che ci fa'... no, un bambino è già un essere pensante e perché mio figlio dovrebbe guardarsi a 10 anni allo specchio e accettarsi senza capelli, questa è per lui la parte più dolorosa. O meglio Giacomo non conosce altro".
Elena Santarelli contro l'ignoranza. Incalzata dalle domande di Parpiglia, la testimonial del progetto Heal ha confessato di non aver voluto fare ad oggi chiarezza con suo figlio, Giacomo, circa le conseguenze che potrebbe comportare il cancro: "Quel rischio, che il cancro rappresenta, è un rischio che sappiamo noi genitori, ma che di certo non trasferiamo a nostro figlio. Per lui il problema sono i capelli. E poi la "sfortuna" di essere nato in una famiglia di due vip". Elena Santarelli, che ha deciso di condividere con i fan e non la sua battaglia contro il cancro nel libro Una mamma lo sa (il cui ricavato andrà devoluto alla Heal Onlus, ndr), a Seconda vita si è scagliata contro la spettacolarizzazione della malattia di suo figlio, che a 10 anni oggi è in "follow up", ovvero in fase di guarigione: "Vivo come un topo, se esco cominciano a tirare fuori i cellulari, a darsi le gomitate dicendo 'guarda c'è il figlio della Santarelli, quello con il tumore'. Quindi non voglio che a mio figlio arrivino questi audio all'orecchio. Lui lo sa. Non serve ribadirlo in un bar, magari, se stiamo facendo colazione. Quello fa parte dell'ignoranza delle persone".
Elena Santarelli e la malattia del figlio: "Giacomo mi ha chiesto "Ma posso morire?” Tvzap il 24 ottobre 2019. Ospite di Storie italiane la showgirl torna sul calvario vissuto con il suo piccolo e di come ha affrontato il dolore insieme al marito Bernardo Corradi. Elena Santarelli torna nuovamente sulla malattia del figlio Giacomo, che dopo un intervento e le cure ha vinto la sua battaglia contro un tumore cerebrale. Ora che il peggio è passato la showgirl ha pubblicato un libro, Una mamma lo sa, per condividere la sua epserienza. Ospite di Eleonora Daniele a Storie italiane spiega: “Io ho la possibilità di raccontarlo perché sono un personaggio popolare, però tutte le altre mamme sono forti come me, e quello che sto facendo con il libro è come se fosse un veicolo per dare voce a tutte quelle madri che vogliono raccontare questa storia”. Elena Santarelli rivela anche che inizialmente il rapporto con il marito Bernardo Corradi ha vissuto un periodo di difficoltà: “Il rapporto non si è rovinato per la malattia, non ci siamo mai lasciati io e Bernardo, ma per le prime due settimane io e lui abbiamo vissuto il dolore da soli, nella stessa casa ma io mi consolavo da sola e lui non so con i suoi amici. Era come se fossimo entrambi arrabbiati, e un giorno […] ad un certo punto ci siamo guardati in faccia, ci siamo uniti in un abbraccio fortissimo, e abbiamo continuato a combattere insieme e siamo diventati più forti”. Poi i ricordi più strazianti, come quando il piccolo Giacomo prima di essere operato ha posto una domanda alla madre: “Lui mi ha detto nella sala d’attesa prima di entrare in sala operatoria ‘Mamma ma io posso morire con questo intervento?‘”. Oggi la Santarelli sta recuperando le forze anche grazie a un supporto psicologico: “Io non voglio dimenticare, sto facendo una terapia che si chiama EMDR con una psicologa che mi sta aiutando a metabolizzare il dolore, a conviverci nella maniera giusta”.
Elena Santarelli a Domenica In: "Non sapevo se avrei rivisto mio figlio dopo l’operazione". Emozionante intervista di Elena Santarelli a Domenica In, dove la showgirl ha ripercorso i momenti terribili della malattia di sua figlio prima di ricevere il videomessaggio d'amore di suo marito Bernardo Corradi. Francesca Galici, Domenica 20/10/2019, su Il Giornale. Elena Santarelli è stata ospite nel salotto di Domenica In, dove ha raccontato il dramma della malattia di suo figlio Giacomo. Fortunatamente il bambino è riuscito a superare quel momento delicato ed è in via di guarigione definitiva ma i segni di quel passato restano e sono profondi per Elena Santarelli, che ha recentemente scritto un libro i cui ricavi andranno in beneficenza. Nel salotto domenicale della Rai, la showgirl ha raccontato tutto l'iter della malattia, un tumore cerebrale che in un 6 dicembre ha portato il bambino sotto i ferri. “Un’operazione di 14 ore. Nei 5 giorni precedenti non ho mangiato, poi ho preso delle gocce tranquillanti e non mi vergogno a dirlo”, ammette Elena Santarelli. Com'è normale per ogni madre, la showgirl ha un ricordo vivido di quei momenti terribili e pieni di angoscia: “Non sapevo se l’avrei rivisto e se sarebbe uscito vivo dalla sala operatoria.” A tal proposito, la showgirl racconta gli attimi prima dell'ingresso in sala operatoria del bambino: “Nella sala d’attesa, prima di entrare in sala operatoria, Giacomo mi ha tirato giù il braccio: "Posso morire?" "Ma no, durerà un’ora", gli ho risposto. Dopo qualche mese lui mi ha detto: "Sapevo che avevi paura. Ti ho visto, ti tremavano le mani".” È un racconto molto crudo ma profondamente vero quello di Elena Santarelli. La moglie di Bernardo Corradi ha ammesso che, saputa la notizia del tumore, il rapporto con suo marito ha scricchiolato per qualche settimana. I due hanno avuto reazioni differenti all'onda d'urto di un trauma così forte ma, proprio l'amore reciproco e quello per Jack, ha fatto sì che i due si ritrovassero e combattessero insieme questa battaglia. L'ex calciatore, da sempre schivo, ha voluto fare un regalo a sua moglie, con un messaggio toccante trasmesso in diretta: “Sei una donna con la D maiuscola e dovrei dirtelo più spesso, hai trovato il coraggio di aiutare gli altri in un momento di grande difficoltà.”
Elena Santarelli ammette: "Con Bernardo ci siamo allontanati per qualche settimana dopo la scoperta del tumore". Elena Santarelli racconta per la prima volta la gestione del rapporto di coppia con Bernardo Corradi nelle prime settimane dopo la scoperta del tumore di loro figlio Giacomo. Francesca Galici, Venerdì 18/10/2019, su Il Giornale. Nelle ultime settimane, soprattutto nell'ottica della promozione del suo libro i cui ricavati andranno devoluto interamente in beneficenza, Elena Santarelli è tornata a parlare della malattia di suo figlio Giacomo. Un dolore fortissimo per due genitori che all'improvviso devono affrontare qualcosa di molto più grande, come la paura di perdere un figlio. Paura e dolore possono essere nemici di una relazione, soprattutto perché ogni componente di una coppia li affronta in modo diverso. A Elena Santarelli e Bernardo Corradi è accaduto questo, perché dal momento in cui hanno appreso la notizia ognuno dei due ha scelto un percorso diverso dall'altro per metabolizzare una botta così forte, inaspettata. La showgirl si è raccontata recentemente ai microfoni di Grazia dove ha spiegato come hanno fatto a resistere e quale è stato il collante per continuare ad andare avanti. “L’enorme amore che esiste tra Bernardo e me da ben 14 anni e quello che ci lega a nostro figlio”, ha spiegato Elena Santarelli con apparente semplicità, anche se in situazioni simili non c'è nulla di semplice. “Subito dopo la scoperta del tumore, per qualche settimana, ci siamo allontanati. Ognuno voleva vivere il dolore a modo suo. Poi abbiamo combattuto insieme. Io sono stata spesso nervosa, intrattabile, ma mio marito è stato bravissimo a sopportarmi nonostante fosse devastato”, ha detto la showgirl, raccontando uno spaccato profondo della loro vita di coppia. In pubblico la Santarelli ha sempre mostrato il sorriso, ha dato forza a tantissime altre madri nella sua situazione ma solo lei e suo marito erano consapevoli del dolore che li corrodeva nell'anima. Elena Santarelli ha poi raccontato la sua esperienza vissuta nelle corsie dell'ospedale durante i lunghi ricoveri di Giacomo: “All’ospedale ho visto genitori litigare davanti ai bambini, mogli lasciate dai mariti, uomini capaci di tradire le compagne impegnate ad accudire i figli ricoverati.”
Elena Santarelli e la guerra contro il tumore del figlio: quando si può parlare di «vittoria»? Pubblicato sabato, 11 maggio 2019 da Corriere.it. Si laureano, si sposano, fanno dei figli. Molti pazienti curati per un tumore in età pediatrica o adolescenziale, grazie ai progressi nella diagnosi precoce e nelle terapie sempre meno aggressive (per limitare gli effetti collaterali nel tempo), tornano alla cosiddetta vita «normale». I successi conquistati dai ricercatori sono tangibili: se trent’anni fa sopravvivevano al cancro solo due bimbi su 10, oggi circa l’80 per cento di loro guarisce. Resta però spesso una battaglia durissima da combattere: il cancro rappresenta ancora oggi la prima causa di morte per malattia nei bambini e la seconda causa di decesso di assoluto, dopo gli incidenti. Certo è che portare a termine le cure e entrare nella fase di «follow up», quella in cui si fanno soltanto i controlli, come accade oggi per Giacomo, figlio di Elena Santarelli e Bernardo Corradi, è il primo grande traguardo che qualsiasi malato e i suoi familiari sperano di raggiungere.
Elena Santarelli: "Ho chiesto di vedere il tumore di mio figlio". Ospite di Paola Perego a Non Disturbare, Elena Santarelli confessa di aver chiesto di vedere il tumore di suo figlio: "Dopo aver guardato il mostro cattivo mi sono data pace". Gianni Nencini, Mercoledì 03/07/2019 su Il Giornale. Ospite di Paola Perego nella prima puntata della seconda edizione di Non Disturbare, Elena Santarelli è tornata a parlare della malattia del figlio e si è lasciata andare ad una confessione straziante: "Ho voluto vedere il tumore di Giacomo". Ogni volta che Elena Santarelli ripercorre il periodo di sofferenza del suo bambino, è un colpo al cuore per chi ascolta. Ora che il piccolo Giacomo - figlio della showgirl e del calciatore Bernardo Corradi - ha superato il momento più buio, Elena si mostra battagliera e determinata: "È come se si stesse giocando una partita di calcio. Il primo tempo l'abbiamo superato, ora ci sono tantissimi piccoli tempi supplementari da vincere". "Ok, hai finito di fare tutte le terapie e sei completamente pulito da cellule tumorali, i dottori hanno detto che sei in follow-up ma per i prossimi cinque anni e per altri anni seguiranno dei controlli in cui si spera che non si ripresenti più quella cosa lì", ha spiegato la donna. Elena Santarelli ha confessato la difficoltà di spiegare a un figlio piccolo una così tragica situazione. "Quando a volte diciamo ai nostri figli 'ti proteggerò da tutto e tutti' in parte è un po’ una bugia, perché non può essere vera questa cosa", ha aggiunto con crudo disincanto. Nell'intimità della chiacchierata con Paola Perego, la Santarelli si è aperta a una rivelazione inaspettata e lancinante: "Ho visto il tumore che Giacomo aveva, l’ho visto in fotografia". Elena Santarelli spiega di essere stata lei a fare questa controversa richiesta, lasciando di stucco anche la dottoressa che aveva in cura il bambino: "Quando l’ho chiesto all’oncologa mi ha detto: ‘ma sei pazza?!’. Io ho detto sì". La showgirl prova a definire meglio questa sua particolare esigenza: "Mi manca un pezzo di questo puzzle, ho tutti i personaggi e mi manca il mostro cattivo". La visione del "mostro cattivo" è stato un momento duro ma utile per Elena: "Me lo immaginavo diversamente, era orrendo!". "Però una volta che l’ho visto mi sono data pace", chiosa caparbia questa mamma guerriera.
Elena Santarelli: «Mio figlio e il tumore, storia a lieto fine». Pubblicato sabato, 11 maggio 2019 da Vera Martinella su Corriere.it. «Quando vi ho resi partecipi del problema che ci ha colpiti ho anche promesso che quando sarebbe arrivata la tanto attesa comunicazione della fine delle cure l’avrei condivisa con tutti voi. Ecco quel giorno è arrivato: Giacomo finalmente è in “follow up”!»: così Elena Santarelli, la showgirl sposata con l’ex calciatore Bernardo Corradi, ha annunciato su Instagram la fine di un incubo: suo figlio, di nove anni, è finalmente stato dichiarato guarito dal tumore cerebrale che gli era stato diagnosticato il 30 novembre del 2017. «Pochi giorni fa ha fatto la sua ultima terapia e i vari controlli hanno dimostrato che il nostro bellissimo bambino ha vinto questa battaglia. Oggi voglio testimoniare una storia a lieto fine per dare speranza a tante famiglie che ancora lottano o che si troveranno a lottare». Per la Santarelli è un’occasione anche per «infondere positività a molte famiglie, ma ricordando che ogni bambino ha la sua storia e il suo percorso». «Non fate troppi confronti». Dopo aver confidato al Corriere che non si era mai concessa il lusso di piangere di fronte al figlio, da quando avevano iniziato ad affrontare questa tremenda battaglia, oggi Santarelli ammette: «Quando si affronta un percorso così a volte non respiri dopo aver sentito altre storie». La paura che anche la propria storia possa avere un epilogo tragico è inevitabile. Ma ora che tutto sembra finito, il suo «consiglio è quello di vivere la propria storia senza fare troppi confronti, affidandosi ai medici che hanno in cura in nostri bambini». Santarelli è stata in questi mesi una madre coraggio: non si p mai vergognata della malattia del figlio, ha sempre aggiornato i suoi follower attraverso i canali social sui progressi della battaglia che stava conducendo, ha raccolto fondi per la ricerca e si è difesa strenuamente dalle critiche che le sono piovute addosso quando è comparsa in tv. Dopo aver confidato al Corriere che non si era mai concessa il lusso di piangere di fronte al figlio. I post di Santarelli sono due: in uno, dove si vede solo in parte Giacomo, annuncia la fine della malattia. Nell’altro, dove invece c’è lei con una t-shirt rosa che celebra «una bellissima giornata», c’è un lungo elenco di «persone da ringraziare». «La strada è ancora lunga e fatta di tanti controlli - conclude- ma oggi io, Bernardo e Greta ci godiamo e condividiamo con voi che ci siete stati sempre vicini il sorriso di Giacomo che finalmente si riaffaccia completamente alla vita».
Elena Santarelli, il dramma: suicida suo zio, prima le lascia questa straziante lettera. Libero Quotidiano il 24 Luglio 2019. Elena Santarelli vive un nuovo dramma famigliare. Lo zio Vittorio si è tolto la vita gettandosi dall’ottavo piano di un palazzo a Latina. Prima di fare l'estremo gesto l’uomo ha scritto una lettera ad Elena e lei la pubblica sul suo profilo Instagram: “La Prader-Willi mi ha consumato, distrutto senza forze, ora sento già il secondo mostro che si è impossessato di me. Chiedo scusa alla mia famiglia (tutta) ma non ho la forza per affrontarlo”. La sindrome di Prader-Willi è una malattia genetica rara che aveva colpito la figlia dell’uomo, Daniela. Fa diventare obesi fino alla morte. “Da 37 anni era l’ombra di sua figlia Daniela, era insieme a mia zia un vero e proprio “care giver” dedicando tutte le sue energie alla figlia malata, e come tutti i care giver ci si sente lasciati soli (non dalla famiglia)”, scrive la showgirl che poi aggiunge: “Pochi giorni fa aveva scoperto di essere affetto da una malattia, questo è il secondo mostro di cui parla”. Elena chiede ai suoi follower di non dare del vigliacco a suo zio: “Zio voleva che si parlasse della Prader-Willi e questo è il mio contributo al tuo volere zio Vito”. La lettera lasciata sul tavolo prima del suicidio si conclude con un appello ai politici: “Chiedo ai politici di fare di più per le famiglie con persone affette da handicap”.
Elena Santarelli racconta il dramma dello zio: "Una vita dedicata alla figlia malata". L'ex finanziere si è tolto la vita dopo aver dedicato anni di cure alla figlia, affetta dalla sindrome di Prader Willi. "Chiedo ai politici di fare di più per le famiglie con persone con handicap", ha scritto nel biglietto lasciato ai suoi cari e reso pubblico dalla showgirl su Instagram. Clemente Pistilli il 24 luglio 2019 su La Repubblica. "La Prader Willi mi ha consumato, distrutto, senza forze...". Prima di togliersi la vita, Vittorio Bonaldo, finanziere in pensione, ha esordito così nella lettera lasciata alla moglie sul tavolo di casa. Le sue sono le parole di un uomo esausto dopo aver dedicato 37 anni di vita a una figlia vittima della grave malattia genetica, che comporta gravi difficoltà anche dal punto di vista psichiatrico. La recente scoperta di essere anche lui malato lo ha fatto crollare. Ha lasciato poche righe per dire addio ai suoi cari e l'ex finanziere di Sermoneta, piccolo centro della provincia di Latina, ha voluto renderle pubbliche. A diffondere quella lettera, tramite Instagram, è stata così la nipote, la nota attrice e showgirl pontina Elena Santarelli, particolarmente sensibile ai temi della malattia, dopo aver lottato contro un tumore che aveva aggredito il primo figlio, fortunatamente guarito. "Mio zio aveva una figlia (Daniela) con la sindrome rara di Prader Willi, da 37 anni era l'ombra di sua figlia, era insieme a mia zia un vero e proprio "care giver "dedicando tutte le sue energie alla figlia malata, e come tutti i care giver ci si sente lasciati soli (non dalla famiglia)", ha scritto la showgirl su Instagram. Questo gesto che ha compiuto può essere giudicato come atto di vigliaccheria ma non è così ,un gesto chiaro di un ultimo sacrificio verso la famiglia e verso tutte le famiglie che vivono questa condizione. Zio Vittorio era una bella e brava persona che aiutava tutti con il sorriso sulle labbra e vorrei che tutti lo ricordassero per tutto quello che ha fatto prima di compiere questo gesto estremo. Zio voleva che si parlasse della Prader Willi e questo è' il mio contributo al tuo volere". Bonaldo ha voluto inoltre lanciare un messaggio, nella lettera lasciata prima di togliersi la vita: "Chiedo ai politici di fare di più per le famiglie con persone con handicap". Infine la richiesta di rendere pubblico tale appello: "Fai qualcosa sui giornali". Elena Santarelli ha definito il gesto dello zio "un ultimo sacrificio verso la famiglia e verso tutte le famiglie che vivono questa condizione". E ha concluso: "Zio voleva che si parlasse della Prader Willi e questo è il mio contributo". Un dramma che ripropone l'altro dramma, quello che vivono tante famiglie con figli portatori di handicap, troppo spesso lasciate sole o con aiuti davvero scarsi.
Da elenasantarelli: “La Prader willi mi ha consumato, distrutto senza forze, ora sento già il secondo mostro che si è impossessato di me.chiedo scusa alla mia famiglia (tutta) ma non ho la forza per affrontarlo Mario prendi il comando e già so che lo farai ,ciao ,grazie Dani ciao Vale scusa, Lalla scusa ciao. Tommi Vittoria nonno va sulla “luna “ciao bambini, ciao studiate . Ciao a tutti quelli a cui ho voluto bene ,amici cari. CHIEDO AI POLITICI DI FARE DI PIÙ PER LE FAMIGLIE CON “PERSONE CON HANDICAP” Vittorio Bonaldo . Fai qualcosa sui giornali , ciao Vito . Questa è la lettera che mio zio Vittorio ha lasciato a mia zia Clara (sorella di mia madre) ieri mattina sul tavolo prima di togliersi la vita dall’ottavo piano di un palazzo a Latina. Mio zio aveva una figlia (Daniela ) con la sindrome rara di prader willi ,da 37 anni era l’ombra di sua figlia Daniela ,era insieme a mia zia un vero e proprio “care giver “dedicando tutte le sue energie alla figlia malata , e come tutti i care giver ci si sente lasciati soli ( non dalla famiglia ). Pochi gg fa aveva scoperto di essere affetto da una malattia ,questo è il secondo mostro di cui parla . Questo gesto che ha compiuto può essere giudicato come atto di vigliaccheria ma non è così, un gesto chiaro di un ultimo sacrificio verso la famiglia e verso tutte le famiglie che vivono questa condizione .zio Vittorio era una bella e brava persona che aiutava tutti con il sorriso sulle labbra e vorrei che tutti lo ricordassero per tutto quello che ha fatto prima di compiere qs gesto estremo. Zio voleva che si parlasse della prader willi e questo è’ il mio contributo al tuo volere zio Vito.ti vogliamo tutti bene zio ,hai lasciato un grande vuoto .il repost è gradito. #caregiver #ciaozioVito #tivogliamobene . Ci prenderemo tutti cura della tua famiglia , Con affetto , tua nipote Elena.
· Si parla di Ambra Angiolini.
Verissimo, Ambra Angiolini commuove la Toffanin: "Cosa mi disse mio figlio quando mi lasciavo con Renga", scrive il 17 Marzo 2019 Libero Quotidiano. Una testimonianza toccante, quella offerta da Ambra Angiolini a Verissimo, il programma di Silvia Toffanin su Canale 5. Commossa, è tornata a parlare delle difficoltà sorte dopo la separazione da Francesco Renga, e rivela: "Penso che la lezione più grande ce l’abbia data nostro figlio. Ci disse: non dovete obbligarmi a essere felice. Posso capire la situazione, ma la felicità è un’altra cosa. E aveva ragione”. Ambra, che ora sta con il mister della Juventus, Massimiliano Allegri, parla anche delle ragioni che spinsero lei e Renga ad esporsi pubblicamente: "A volte è meglio parlare in pubblico per evitare che escano cose sui giornali che ‘sporcano’ una cosa che sporca non è. Però poi basta”. Ma il rapporto con il cantante, continua, è rimasto buono: "Gli voglio bene, vivo ancora a Brescia. Mi ha messa nelle peggiori condizioni, frequentare gli stessi posti, ma lo rifarei”.
Ambra Angiolini e i momenti bui: «La mia salvezza? Il volontariato, il coraggio e i miei amori». Pubblicato martedì, 08 ottobre 2019 da Corriere.it. Uno sguardo al passato e a tutto quello che è riuscito a farla crescere e a farla diventare la donna che oggi è. «Quando ero bambina, in quinta elementare, avevo un diario titolato “Cenerentola” in cui scrivevo che la cosa che volevo fare da grande era la mamma. A 14 anni, quando ovviamente non capitò, mi sembrava strano» racconta Ambra Angiolini, 42 anni, alla rivista Vanity Fair che la mette sulla copertina di ottobre (in edicola da mercoledì 9). E continua: «A 18, dopo Non è la Rai, non essere madre mi fece scoprire per la prima volta il volto della depressione. Il dottore mi disse di partire per il Brasile. Così presi l’aereo e andai a Rio per iniziare la mia esperienza come volontaria con un medico dell’Ospedale San Camillo di Roma che operava i bambini. Fu bellissimo e travolgente. Ma la vera sensazione di sazietà fu quando rimasi incinta di mia figlia. Era come se fossi stata affamata d’amore per tutta la vita e improvvisamente ero sazia». L’intervista dell’attrice è una confessione a cuore aperto, nella quale parla anche dell’amore per Massimiliano Allegri e degli impegni lavorativi visto che è pronta a tornare sul grande schermo, il 10 ottobre, con il film «Brave ragazze», di cui è protagonista e che è diretto da Michela Andreozzi.
Ambra Angiolini: "Mi sono innamorata di Massimiliano Allegri perché siamo due sbagli". Redazione Tvzap l'8 ottobre 2019. L’attrice racconta anche i suoi lati più oscuri dai quali l’ha salvata l’amore per l’ex allenatore della Juventus. Sogni, ma soprattutto paure sono quel che Ambra Angiolini racconta in una toccante intervista concessa a Vanity Fair. Buio come quando, tra il 2011 e il 2012 l’attrice iniziò ad avere paura di tutto: fare le scale, prendere l’ascensore, persino aiutare la figlia Jolanda a vestirsi: “Vado nell’altra stanza, mi metto a piangere per un’ora. Quella mattina ho capito che dovevo ricominciare da capo” racconta.
Ambra Angiolini e l’esperienza come volontaria in ospedale. La rinascita parte dal suo impegno come volontaria all’Ospedale di Brescia nel reparto di oncologia infantile, dove una ragazzina più di tutti la colpisce. Lei si chiama Silvia e “è respingente. Sbruffoncella. Antipatica. Mi colpisce subito perché è come uno specchio: è uguale a me. Maschera il suo oceanico bisogno d’amore sotto un’aria da dura. Impariamo a conoscerci. M’innamoro di lei. Prima diventiamo sorelle, poi divento sua zia”. La storia di Silvia non è delle più felici: quando, una volta guarita, esce dall’ospedale, si ammala sua madre e poco dopo muore: “Ma Silvia è una leonessa” assicura Ambra. “Oggi è parte della mia vita. Non potrei vivere senza Silvia. Mi ha salvato da me stessa“.
Ambra Angiolini: “Ecco perché mi sono innamorata di Massimiliano Allegri”. A salvarla però è stato anche Massimiliano Allegri che le dà “la sensazione di poter giocare con lui anche da adulta. E la cura che ha nei confronti della mia esistenza, di quella dei miei figli, della mia ex storia”. Ambra spiega il motivo per cui si sia innamorata proprio di lui: “Mi sono innamorata di lui perché come me è un tipo fuori moda. Mi sono accorta subito che mi piaceva perché siamo due sbagli. E due errori come noi, se si incontrano davvero, generano una cosa che sarebbe veramente stupido non affrontare. Quella cosa è la ripartenza dell’amore”.
AMBRA E IL SUO AMORE AL MAX (ALLEGRI). Simone Marchetti per vanityfair.it il 9 ottobre 2019. «Io sono sempre stata quella con i sogni più strani. E con i momenti più scuri di una notte buia». Racconta quei sogni e quei momenti – come mai aveva fatto prima – Ambra Angiolini a Vanity Fair, che le dedica la copertina del numero in edicola da mercoledì 9 ottobre, vigilia dell’uscita in sala del film Brave ragazze, di cui è protagonista e che è diretto dall’ex compagna di avventura a Non è la Rai, Michela Andreozzi. I sogni, spiega Ambra nell’intervista al direttore di Vanity Fair Simone Marchetti, hanno a che fare soprattutto con la maternità. «Quando ero bambina, in quinta elementare, avevo un diario titolato Cenerentola in cui scrivevo che la cosa che volevo fare da grande era la mamma. A 14 anni, quando ovviamente non capitò, mi sembrava strano. A 18, dopo Non è la Rai, non essere madre mi fece scoprire per la prima volta il volto della depressione. Il dottore mi disse di partire per il Brasile. Così presi l’aereo e andai a Rio per iniziare la mia esperienza come volontaria con un medico dell’Ospedale San Camillo di Roma che operava i bambini. Fu bellissimo e travolgente. Ma la vera sensazione di sazietà fu quando rimasi incinta di mia figlia. Era come se fossi stata affamata d’amore per tutta la vita e improvvisamente ero sazia». I momenti bui, invece, hanno a che fare con la paura. Una paura, racconta Ambra, misteriosa e paralizzante. «Inverno 2011. Forse 2012. Stavo facendo un lavoro importante e iniziai a sentire che avevo paura di tutto. Di fare le scale, di prendere l’ascensore. Poi l’aereo e il treno. Infine, quando anche il bagno è diventato un luogo inquietante, mi sono detta: il raggio della vita si sta stringendo troppo. Le paure stavano dominando la mia vita. E quando succede così è l’inizio del baratro. Stavo girando La Squadra e dissi stop. Poi una mattina è crollato tutto. Una mattina qualunque. Mia figlia Jolanda si sveglia, deve andare all’asilo. Il sole entra nella cameretta, l’armadio è colorato, bellissimo. Mi chiede: mamma mi aiuti a vestirmi? Io realizzo che è la cosa più difficile da fare. Vado nell’altra stanza, mi metto a piangere per un’ora. Quella mattina ho capito che dovevo ricominciare da capo». L’opportunità di ricominciare da capo, spiega, è arrivata da una psicologa dell’Ospedale Civile di Brescia, Simonetta. Che le ha detto «di provare a prendermi cura degli altri». Diventa così volontaria, nella Brescia in cui ha messo su famiglia con Francesco Renga e i loro due figli, tra gli adolescenti del reparto di oncologia infantile. «Al primo incontro faccio quello che so fare, una lezione di teatro. Dico: ora camminate come se ci fosse il sole. Ora come se facesse freddissimo. Ora con una gamba sola. Tutti partecipano tranne due ragazze. Me la prendo con una e le dico “perché non partecipi?”. Lei mi risponde: non ho più una gamba, non riesco a camminare. Volevo morire, sparire, dileguarmi. Invece la psicologa dell’ospedale mi dice: “Brava, li hai conquistati!”. Avevano capito che ero imperfetta come loro. Come la loro malattia. Come la vita. Ma la cosa più bella doveva ancora succedere. C’era un’altra ragazza, in un angolo, che mi guardava con sfida. Si chiama Silvia. È respingente. Sbruffoncella. Antipatica. Mi colpisce subito perché è come uno specchio: è uguale a me. Maschera il suo oceanico bisogno d’amore sotto un’aria da dura. Impariamo a conoscerci. M’innamoro di lei. Prima diventiamo sorelle, poi divento sua zia. Il percorso è lungo e duro però dopo alcuni mesi guarisce. Appena esce dall’ospedale, si ammala sua madre. Cinque mesi e non c’è più. Ma Silvia è una leonessa. Oggi è parte della mia vita. Non potrei vivere senza Silvia. Mi ha salvato da me stessa». L’ha salvata, racconta a Vanity Fair, anche Massimiliano Allegri, il compagno che è venuto dopo la separazione da Renga. «Tutto quello che le ho raccontato, quello che ho vissuto è stato rilegato da un tipografo d’eccezione. Quel tipografo d’eccezione è Massimiliano. La cosa che mi salva dai momenti dolorosi è la sensazione di poter giocare con lui anche da adulta. E la cura che ha nei confronti della mia esistenza, di quella dei miei figli, della mia ex storia. Non c’è un solo passaggio della mia vita che Massimiliano non rispetti. Mi sono innamorata di lui perché come me è un tipo fuori moda. Mi sono accorta subito che mi piaceva perché siamo due sbagli. E due errori come noi, se si incontrano davvero, generano una cosa che sarebbe veramente stupido non affrontare. Quella cosa è la ripartenza dell’amore».
Domenica In, Ambra Angiolini dalla Venier e massacrata: "Spocchiosa e stupida, proprio come...", scrive il 29 Aprile 2019 Libero Quotidiano. Nella puntata di ieri di Domenica In, programma pomeridiano targato Rai1, tra gli ospiti di Mara Venier c'è stata Ambra Angiolini, nata da Non è la Rai, l'ex show girl ha vinto anche un David di Donatello dopo essersi dedicata al cinema e alla televisione. Nel salotto di "zia Mara" ha parlato di sé, della sua carriera e della sua vita sentimentale, dopo la fine della storia con il cantante Francesco Renga e la sua attuale relazione con Massimiliano Allegri ma non sono state dolci le reazioni alle sue parole. Da parte del pubblico del web l'attrice dopo l'intervista è stata definita come "spocchiosa", "antipatica" e "stupida". In alcuni commenti espressi dai telespettatori attraverso il profilo di Mara Venier si legge: “Ambra Angiolini era stupida e antipatica ai tempi di Non è la Rai e con l'intervista di oggi ha dimostrato di non essere cambiata”, in altri “Ma Ambra fa il siparietto per sembrare antipatica? Ma ditegli che non c'è bisogno che finga poi così tanto”, e ancora “Ma quanto è superba Ambra...”. Dal canto suo Ambra ha deciso di non rispondere agli haters, stando inoltre alle promesse rilasciate alla Venier c'è la possibilità di rivederla a Domenica In già domenica prossima.
Mara Venier difende Ambra dalle critiche: “Ci siamo divertite”. Mara Venier, dopo le critiche nei confronti di Ambra Angiolini per l'intervista a Domenica In, è intervenuta via Instagram per difendere l'attrice. Luana Rosato, Martedì 30/04/2019 su Il Giornale. L’intervista di Ambra Angiolini ha scatenato una serie di polemiche sul web, ma a difesa dell’attrice è intervenuta direttamente Mara Venier. E’ stata la conduttrice del contenitore domenicale di Rai 1 a commentare l’accaduto con un post sul suo profilo Instagram in cui ha tentato di mettere a tacere le critiche dei follower che hanno definito Ambra una persona spocchiosa, antipatica e acida, proprio come ai tempi di Non è la Rai. Se in tanti, infatti, hanno ritenuto l’intervista della Angiolini una delle più brutte di Domenica In, Mara Venier ha raccontato di essersi divertita molto insieme alla sua ospite che, tra l’altro, ha anche promesso di ritornare dalla “zia”. “Ho letto alcuni commenti poco carini nei confronti di Ambra... – si legge sul profilo social della Venier - . Mi spiace molto! Ambra ieri a domenica in è stata molto spiritosa...abbiamo scherzato e ci siamo divertite”. Con queste poche righe, dunque, Mara ha voluto rigettare tutte le critiche di chi ha sostenuto che Ambra si sia presa gioco della Venier a Domenica In, ma ha ribadito quanto le due, insieme, si siano divertite durante il confronto. Tantissimi i commenti dei follower della conduttrice che hanno manifestato solidarietà nei confronti della Angiolini e che hanno ritenute le accuse fatte a quest’ultima infondate e frutto dell’invidia.
Luana Rosato per il Giornale il 29 aprile 2019. Ospite di Mara Venier a Domenica In, Ambra Angiolini si è raccontata a tutto tondo nel salotto della “zia”, ma il pubblico da casa non ha gradito l’atteggiamento dell’attrice e l’ha accusata di essere “spocchiosa e antipatica”. Chi segue Ambra sin dai suoi esordi a Non è la Rai, sa bene che non ama parlare pubblicamente della sua vita privata. Eppure, davanti ai microfoni di Rai 1, la Angiolini si è lasciata andare ad alcune confessioni riguardanti il suo passato sentimentale con Francesco Renga e la sua attuale e chiacchieratissima storia d’amore con l’allenatore della Juventus, Massimiliano Allegri. “Se a 42 anni decidi di farti tornare gli occhi a cuore ne deve valere la pena – ha detto riguardo alla sua relazione - . Non sento l’esigenza sociale di sposarmi, ho un mestiere, amo molto un uomo ma non voglio essere la moglie di, la compagna di. Per questo ho detto che ho deciso di sposare Ambra”. Nonostante le confessioni in tv, però, Ambra non è riuscita a raccogliere il consenso di una fetta di telespettatori che, attraverso il profilo Instagram di Mara Venier, hanno espresso il loro disappunto nei confronti dell’attrice. “Ambra Angiolini era stupida e antipatica ai tempi di Non è la Rai e con l'intervista di oggi ha dimostrato di non essere cambiata”, “Ma Ambra fa il siparietto per sembrare antipatica? Ma ditegli che non c'è bisogno che finga poi così tanto”, “Ma quanto è superba Ambra...”: sono questi alcuni dei commenti al vetriolo che si leggono nei confronti della Angiolini che, dal canto suo, ha preferito non rispondere agli hater ignorando le loro accuse.
L'attrice e showgirl, ospite oggi di "Domenica In", ha dichiarato di amare molto il suo nuovo compagno Massimiliano Allegri ma di non sentire per il momento nessuna esigenza di sposarsi. La sua priorità sono i due figli avuti dall'ex Francesca Renga. Sandra Rondini, Domenica 28/04/2019, su Il giornale. "Ci ho messo tanto a pensare di piacermi e non sento più l'esigenza sociale di essere moglie di qualcuno. Sennò siamo sempre 'fidanzate di', 'mogli di', 'ex di qualcun altro'. Io amo un uomo e questo può bastare”. Parola di Ambra Angiolini che oggi, ospite del salotto di “Domenica In” ha risposto alle domande di Mara Venier sulla sua relazione con Massimiliano Allegri, allenatore della Juventus. Visto l'affiatamento della coppia che appare più innamorata che mai, sono in tanti a vedere Ambra a un passo dall’altare. Tranne la diretta interessata. “Una donna che ha passato tutto quello che ho passato io, se decide, a 42 anni, di farsi tornare gli occhi a cuore deve valerne la pena” ha detto Ambra, rivelando che il nuovo compagno le “ha insegnato la tenerezza e la calma". Ma per ora nessun matrimonio all'orizzonte. Oggi Ambra Angiolini è una donna felice e realizzata, sia professionalmente che sentimentalmente, anche se il ruolo che più ama è quello di mamma. L’attrice e showgirl si è commossa guardando le foto di lei e dei suoi due figli nati dalla relazione con Francesco Renga che Mara Venier ha mandato in onda in un tenero video. Per i suoi figli Ambra è rimasta a vivere a Brescia, la città di Renga dove si era trasferita da Roma per dare solidità alla loro relazione e gettare le basi di una famiglia. Ora che tra i due è tutto finito, non se l’è sentita di trasferirsi nuovamente per evitare ai figli il trauma del trasloco in una città completamente nuova, lontani dal loro papà. "Rimanere a Brescia è stata una scelta altruista. Siamo persone che si vogliono molto bene io e Francesco, molto unite anche se non siamo più compagni".
L’AMBRA FURIOSA SI ABBATTE SUL CONCERTONE. Carlo Moretti per La Repubblica il 30 aprile 2019. Ambra entra a gamba tesa sulla presunta polemica sulla scarsa rappresentanza di donne tra gli artisti del Primo maggio. E la rituale conferenza stampa della vigilia del Concertone prende il volo: "Contare le donne nella lista di un concerto mi sembra davvero assurdo e dare al mondo della musica la sensazione che pur di realizzare il 50 e 50 ci si può infilare dentro chiunque, è davvero il colmo", dice la presentatrice dell'evento organizzato dai sindacati confederali in piazza San Giovanni a Roma. "Se vogliamo parlare di donne, parliamo della parità salariale, delle difficoltà di fare un figlio e mantenere il proprio posto: queste mi sembrano questioni serie. E del resto ci sono dei numeri che parlano: su mille giovani artisti iscritti al contest del Primo maggio si sono presentate 90 donne, più del 90 per cento sono uomini, questa è la fotografia della realtà. Ma è una realtà che c'era prima, il Primo maggio è l'ultimo anello di una catena produttiva, non è certo responsabile di quello che purtroppo ancora non succede nella discografia". Gli organizzatori hanno annunciato la presenza di Ilaria Cucchi sul palco del Concertone di Roma. E anche quella di Mara Venier che interagirà con Ambra. Tra gli artisti sono sette le donne presenti quest'anno al Primo maggio, comunque più dello scorso anno. "Non è la prima volta, mi succede spesso di essere in minoranza, nei festival in cui andiamo a suonare", racconta Isabella, voce di La Municipàl, una delle più belle realtà musicali presenti in questo cast molto caratterizzato da proposte indipendenti. "Bisognerebbe semmai parlare di dignità sul lavoro, di affrontare su quel piano la vera parità". Veronica Lucchesi, una delle tre donne del gruppo La rappresentante di lista sottolinea come "in contesti come questo il tema viene decisamente strumentalizzato, sarebbe meglio parlare di qualità artistica, perché le scelte andrebbero sempre fatte pensando alla qualità, al di là del genere dell'artista". Secondo Silvano Campioni della Cgil, "il cast rappresenta la musica attuale nel nostro Paese. I temi importanti sono quelli che sottolinea lo slogan scelto quest'anno, perché c'è bisogno di lavoro e di diritti, non di un lavoro a ogni costo. E perché è necessario coniugare Europa e stato sociale". Per Anna Greco della Cisl, quello di quest'anno "è un cast che ci lascia senza parole per la sua qualità. Mentre per quanto riguarda i temi del lavoro "la priorità è la sicurezza nei posti di lavoro". Antonio Ascenzi della Uil "si tratta di un cast di rilievo, davvero ottimo il lavoro di iCompany: il buon risultato di ascolti dello scorso anno è senz'altro dovuto alle scelte di cast. Del resto" conclude Ascenzi, "questo è un concerto che suscita tante gelosie, tutti vorrebbero esserci ma qui nulla è dovuto". Infine, il vicedirettore di Rai3 Giovanni Anversa sottolinea come "c'è qualcosa che salda il Primo maggio al successo del Festival di Sanremo". Effettivamente molti nomi coincidono con quelli in gara nell'ultima edizione del Festival.
Concerto primo maggio, Ambra sbotta: "Poche donne? Non siamo responsabili". Ambra Angiolini si infuria rispondendo a chi le fa notare la scarsa presenza di donne sul palco del concertone. Angelo Scarano, Martedì 30/04/2019, su Il Giornale. Ambra si infuria per il concerto del primo maggio. Alla conferenza stampa di presentazione dell'evento che si terrà come ogni anno domani a Roma, qualcuno fa notare all'attrice che le donne che canteranno sul palco sono poche. Ambra risponde piccata: "Contare le donne nella lista di un concerto mi sembra davvero assurdo e dare al mondo della musica la sensazione che pur di realizzare il 50 e 50 ci si può infilare dentro chiunque, è davvero il colmo", ha affermato la conduttrice (insieme a Lodo Guenzi) del concertone. Poi l'attrice ha rincarato la dose: "SSe vogliamo parlare di donne, parliamo della parità salariale, delle difficoltà di fare un figlio e mantenere il proprio posto: queste mi sembrano questioni serie. E del resto ci sono dei numeri che parlano: su mille giovani artisti iscritti al contest del Primo maggio si sono presentate 90 donne, più del 90 per cento sono uomini, questa è la fotografia della realtà. Ma è una realtà che c'era prima, il Primo maggio è l'ultimo anello di una catena produttiva, non è certo responsabile di quello che purtroppo ancora non succede nella discografia". Di fatto in questa edizione del concerto del primo maggio le donne che saliranno sul palco a cantare sono sette: "Non è la prima volta, mi succede spesso di essere in minoranza, nei festival in cui andiamo a suonare", racconta Isabella, voce di La Municipàl. Nella polemica è intervenuto anche Silvano Campioni della Cgil: "Il cast rappresenta la musica attuale nel nostro Paese. I temi importanti sono quelli che sottolinea lo slogan scelto quest'anno, perché c'è bisogno di lavoro e di diritti, non di un lavoro a ogni costo. E perché è necessario coniugare Europa e stato sociale".
· Francesco Renga.
Francesco Renga esce allo scoperto con la sua fidanzata. Improvvisamente, dopo quattro anni, Francesco Renga ha deciso di uscire allo scoperto presentando sui social la sua fidanzata Diana Poloni. Francesca Galici, Martedì 10/09/2019, su Il Giornale. Francesco Renga sembra aver voltato pagina dopo la fine della storica relazione con Angiolini. Se l'attrice già da qualche tempo fa coppia fissa pubblicamente con Massimiliano Allegri, con il quale si mormora che potrebbe convolare a nozze, il cantante è uscito allo scoperto da poco con la sua fidanzata.
Lei è Diana Poloni e Francesco Renga l'ha presentata ufficialmente sul suo profilo Instagram con un post molto romantico.
Dalla separazione con Ambra Angiolini, che l'ha reso padre di Jolanda, Francesco Renga ha tenuto la sua vita privata molto riservata. Da ormai tanti anni, circa quattro, il gossip mormorava di una presunta relazione tra il cantante e Diana Poloni ma nessuno dei due aveva mai ufficializzato la love story. La coppia è sempre sfuggita ai paparazzi, non ha mai dato adito a pettegolezzi e difficilmente si è mostrata in pubblico a eventi mondani. Probabilmente entrambi volevano avere la certezza che tra loro non fosse un semplice fuoco di paglia prima di renderlo noto a tutti ma è ancora più probabile che volessero vivere la loro storia lontani da occhi indiscreti. Era un po' il segreto di Pulcinella, tutti lo sapevano ma nessuno ne parlava per rispettare le volontà del cantante. Finalmente, senza preavviso, Francesco Renga ha però deciso di condividere sul suo profilo Instagram una foto che li ritrae insieme, abbracciati e felici, durante un lento. Uno scatto esemplificativo ma anche ironico da parte del cantante, che ha in questo modo deciso di uscire allo scoperto e di non nascondere più il grande amore per la sua donna. “Balliamo? In realtà mi muovo a ritmo di musica solo sul palco ma all’inizio del nostro tour manca ancora un mesetto, così mi alleno un po’” ha scritto il cantante a corredo dell'immagine. Su Diana Poloni non si sa molto, quel che è noto è che è una ristoratrice e che ha diversi locali nel bresciano. In molti sospettano che dietro la scelta di rendere pubblica la relazione ci sia l'imminente annuncio delle nozze. Non resta che aspettare...
· Pamela Petrarolo.
Vieni da Me, Pamela Petrarolo e il clamoroso sfogo su Ambra Angiolini: "Snervante, sono perseguitata", scrive il 14 Marzo 2019 Libero Quotidiano. Bisogna riavvolgere il nastro fino ai tempi di Non è la Rai, quando sul piccolo schermo impazzavano Ambra Angiolini e Pamela Petrarolo. Tra le due si diceva ci fosse un'aspra rivalità. Ma è la Petrarolo, ospite di Caterina Balivo a Vieni da Me su Rai 1, a smentire i dissapori. "Io sono perseguitata da questa storia della rivalità con Ambra. È davvero snervante. Non credo che a lei facciano le stesse domande che fanno a me. Il paragone, alla lunga, diventa pesante. Devo giustificarmi per qualcosa che non c’è - sottolinea stizzita -. Io e Ambra abbiamo condiviso tanto. Abbiamo fatto una vacanza assieme, da sole, a Londra, abbiamo condiviso tante cena insieme con le rispettive famiglie. Io la stimo come attrice, la trovo bravissima. La cosa che posso invidiare a lei è che non ho avuto le sue stesse opportunità", si è sfogata Pamela. E se ancora il concetto non fosse chiaro, ha aggiunto: "Nessuna gelosia per Ambra Angiolini, né all'epoca né oggi. Lei era la conduttrice, noi avevamo altri ruoli. Io non facevo la conduttrice ma cantavo e ballavo, facevo lo show all'interno del programma. Non avevo questa smania di condurre. Non mi interessava. Le nostre strade non si davano fastidio. Erano i media a creare questa rivalità. Per quanto mi riguarda era una sana competizione tra ragazze di 15-16 anni, come può esserci in una squadra di calcio o a scuola di danza", ha concluso.
Pamela Petrarolo: “MAI AVUTO PROPOSTE INDECENTI, PECCATO. SE ME L’AVESSE FATTE UN BEL FIGO, AVREI...”. Francesco Persili per Dagospia il 24 giugno 2019. “Mai avuto proposte indecenti, peccato. Se me l’avesse fatte un bel figo, magari ci avrei pensato…”. Pamela Petrarolo, ex ninfetta di “Non è la Rai”, racconta a Dagospia oltre 30 anni di carriera tra alti e bassi, sogni e rimpianti, libri (“Piccole donne”), balletti (quello di “Please dont’go” fa parte della storia della tv) e canzoni. “Come dice Vasco: “Eh già, io sono ancora qua”. Un’avventura iniziata a 5 anni con la danza: “A 8 partecipai al programma di Sandra Milo, “Piccoli Fans”. Nell’89, "Domenica In" con Boncompagni. A 12 anni già presentavo un gioco per bambini”. Poi lo stop. “Gianni mi chiese di fare l’edizione successiva. Ma mia madre voleva che prendessi la licenza media. Aveva ragione lei…”. La svolta grazie all’agendina di Renzo Arbore che un giorno il padre trovò nella sua bottega al mercato di Boccea. ”Credo nelle fatalità, quello era il segno che il destino dovesse andare in un certo modo. Avevo letto che c’erano i provini di “Non è la Rai”. Siccome io ricordavo che Gianni Boncompagni e Renzo Arbore erano molto amici, dissi ai miei di controllare se c’era il suo numero: lo chiamai. Gianni mi rispose subito, si ricordò di me e mi chiese se sapevo ballare il tip-tap…” Da lì la storia di Pamela Petrarolo si lega a doppio filo a quella di Non è la Rai. Le gare more-bionde, le prime canzoni in play-back, il colpo di genio di Bonco che scopre le sue doti canore e le fa incidere il primo album di cover “Io Non vivo senza te”. “Il disco dei record. Vendette 80mila copie, oggi sarebbero 3 dischi d’oro”. Poi venne il secondo album di inediti “Niente di importante”, con la stracult "Ma che dici" (“Solito sabato, a spasso i cuori sciolti senza meta/ non vedo l’ora che venga lunedì”) e il sogno di Sanremo. “Boncompagni mi aveva ribattezzato "The voice". Mi diceva che dovevo fare la rockstar, mi spronava a mettere a frutto il talento, sosteneva che avessi una marcia in più. Sostituii in conduzione per una settimana Ambra e la trasmissione fece ascolti altissimi. Poi Gianni mi affidò le coreografie del programma. Nella pagina degli spettacoli de "Il Messaggero" mi fece fare un articolo con titolo gigante “Ecco la coreografa più giovane del mondo”.
La sua ex collega Miriana Trevisan sostiene che eravate un po’ dilettanti allo sbaraglio.
“Non sono d’accordo. Per me era un lavoro, eravamo sul pezzo anche 10 ore al giorno, io non ho mai scherzato. Ho fatto due dischi in 4 mesi, quando curavo le coreografie del programma facevo le riunioni con gli sponsor e avevo solo 17 anni. Magari c’era inconsapevolezza, quella è stata la nostra marcia in più”.
Un fenomeno di culto tra gli adolescenti (e non solo) degli anni ’90, “Non è la Rai” è diventato il primo vero “reality” della tv. Gli studi televisivi del Biscione, a Roma, al Centro Safa-Palatino, erano meta di un pellegrinaggio incessante di ragazzotti che aspettavano ore per una foto o un autografo.
“C’erano centinaia di persone, venivano da tutta Italia, c’era perfino chi dormiva in macchina. Mi mandavano lettere, mi facevano regali pazzeschi. Qualcuno arrivò a rubare oggetti d’oro ai genitori..."
E’ nata qualche storia tra i fan e qualcuna di voi? "A me non è capitato…I miei fan mi riempivano di dichiarazioni d’amore. Imbrattavano anche i muri: "Pamela, I love you, Pamela ti voglio sposare. Ancora oggi mi scrivono in tantissimi…” E non c’erano i social: "Meglio così: a 15 anni con gli haters e i video virali sarebbe stato più difficile tenere i piedi per terra”.
In quegli anni le treccine di Gullit, la coda di Fiorello e la frangetta di Pamela campeggiavano sulle copertine delle riviste e sui poster nelle camerette di molti pischelli.
“Mi hanno inviato centinaia di foto dove molte ragazzine mi raccontavano che avevano fatto il taglio alla Pamela, alle feste di compleanno facevano i nostri balletti, eravamo sulle copertine di “Cioè” insieme ai miti di quel tempo come Luke Perry, il Dylan di Beverly Hills 90210, mi ricordo i fotoromanzi che ho fatto per Tv Stelle…”.
Una trasmissione simbolo dell’edonismo anni '90 che ha sollevato più di una polemica. “Però quel Boncompagni lì secondo me”, cantava Vasco Rossi in “Delusa”, con un messaggio sibillino al regista, ritenuto, a torto, il padre del tele-lolitismo. Bonco affidò la risposta alle ragazze: “Affatto deluse”.
“La cantammo a “Vota la Voce”, Vasco si divertì molto. Era un nostro grande fan. Diceva che “Non è la Rai” con tutte quelle ragazze era il paradiso e Gianni Boncompagni aveva capito tutto della vita…”. Molte di quelle ragazze si sono affermate come attrici e nel mondo dello spettacolo: “Claudia Gerini dolcissima e talentuosa, Lucia Ocone bravissima…Sono nate amicizie vere tra di noi. Con Emanuela Panatta siamo sorelle, abbiamo un gruppo WhatsApp con Eleonora Cecere, Francesca Pettinelli…”
Si è molto ricamato sulla tua presunta rivalità con Ambra specie durante una celebre puntata del Maurizio Costanzo Show in cui le chiedesti: “Hai smesso di tirartela?”
“Una vicenda stucchevole che fu strumentalizzata. Ci eravamo allontanate in quel periodo per chiacchiere fatte da terze persone ma non ho mai avuto nulla contro di lei. Siamo state molto amiche, abbiamo condiviso un bellissimo viaggio a Londra. Io la stimo moltissimo come attrice e la rispetto. Penso sia sbagliato fare paragoni tra due artiste. Lei ha fatto il suo percorso, io il mio. Non rinnegherò mai “Non è la Rai” perché mi dato una grandissima opportunità. In una carriera contano moltissimo le possibilità che ti vengono offerte e la fortuna. Ecco, forse, a me è mancata un po’ di fortuna”.
Rimpianti?
“Uno. Non è essere andata negli Stati Uniti, a 20 anni, all’Actor’s Studio. Ero molto legata alla famiglia…E’ andata così ma ho fatto 3 album, ho due bambine, mi sono tolta molte soddisfazioni e mi ritengo ancora giovane per togliermene altre. Ora mi sto giocando la carta della recitazione. Mi piacerebbe un musical, partecipare a “Tale e Quale show” anche se il mio vero obiettivo è rimasto sempre quello: cantare a Sanremo.
· Caterina Balivo.
Caterina Balivo: «Io omofoba? No, rinuncio al Gay Pride da discriminata». Pubblicato domenica, 23 giugno 2019 da Chiara Maffioletti su Corriere.it. «Quando ti invitano a una festa e la festa ti piace sei sempre molto contenta di partecipare. Se poi capisci che una buona fetta di invitati non gradisce la tua presenza, allora è bene non andarci». Caterina Balivo sintetizza così una vicenda che l’ha profondamente amareggiata: invitata ad essere la madrina del Milano Pride (il 29 giugno), ha deciso di fare retromarcia e ritirare la sua disponibilità dopo aver letto i molti commenti che non condividevano questa scelta. Il perché è da ricercare in alcune frasi della conduttrice ritenute offensive da una parte della comunità Lgbt. Tra tutte, il commento su Ricky Martin estrapolato da alcune sue storie Instagram, durante una serata tra amici: mentre lo guardava in tv, gli diceva «sei bono pure se sei fr...».
Avrebbe mai immaginato una polemica simile?
«Sinceramente sono molto colpita e mi interrogo un po’ sul genere umano. Valgono più testimonianze, fatti concreti, messaggi, video fatti nei miei programmi, davanti a milioni di persone, o espressioni decontestualizzate, una frase infelice?».
Solo di questo si tratta: frasi infelici?
«Certo, questa su Ricky Martin se decontestualizzata è orribile. Ma era un video di una serata tra amici, si scherzava, così come i miei amici omosessuali scherzano quando dicono a mio marito: perché vai con le donne? Mi chiedo se conta più la facciata o la sostanza. Ma poi: il Pride serve a unire e superare le barriere. Quale è la mission? Essere inclusivi o no? È stata esclusa una persona che da anni dice che l’amore è il protagonista e non il genere».
Quanto ci è rimasta male?
«Molto. Il primo matrimonio a cui è stato mio figlio, a cinque anni e mezzo, è stato un matrimonio gay e l’unica cosa che mi ha chiesto era perché non c’erano i confetti. Le mie amiche mi dicono: ma un amico etero da presentarci tu no eh? Hai solo amici gay».
Attenzione alla frase «ho tanti amici gay»...
«Magari anche questa non va bene, non so che dire. Avevo accettato l’invito degli organizzatori, volevo metterci la faccia. Loro sono stati carini, mi avevano detto di non preoccuparmi delle critiche ma dopo esserci confrontati ho deciso: se molti non mi vogliono, non vado. So quale è il mio percorso e il mio pensiero: non ci sto a essere additata, non ho mai discriminato nessuno. Una parte della comunità ha discriminato me».
C’è stato chi l’ha sostenuta?
«Tantissimi. In molti mi hanno scritto in privato dicendomi che pubblicamente era difficile esporsi. E qui mi chiedo anche perché si finisce sempre col dare credito a chi scrive male sul web. Non posso permetterlo. Vorrei almeno dialogare con loro guardandoli in faccia. E lo farò. Io che ho raccontato in tv, nelle mie trasmissioni, molto spesso storie, amori omosessuali».
Lo fa per un motivo?
«Una promessa. Nel 2008 ho conosciuto una mia fan molto giovane che si era innamorata di me. Lei, ragazza di una famiglia borghese, tremava mentre mi spiegava la sua difficoltà nel parlare della sua identità sessuale con i suoi e lì ho capito che quella che per me era normalità per altri poteva non esserlo. Prima liquidavo gli omofobi come dei cretini, lì ho realizzato che c’era anche altro. E allora mi sono detta: ho una faccia popolare e parlo alle famiglie, perché non iniziare a dire che l’unica cosa che conta è l’amore? Se potevo far venire almeno qualche dubbio, perché no? Lo avrei voluto fare anche al Pride, ma se devo essere un elemento di disturbo, no».
E resistere alle critiche?
«Mi sono dovuta ritirare con grande dispiacere perché non posso rovinare una festa. Il pregiudizio e la discriminazione sono sempre sbagliati: il Pride dovrebbe abbattere le barriere, ma alcuni ne hanno alzata una attorno a me».
L’hanno definita omofoba.
«Grave offesa. Penso agli articoli sul web, a quella parola vicina al mio nome: ma i miei figli, se dovessero essere gay, leggeranno che la madre ha fatto dichiarazioni omofobe? Assurdo. Inviterò chi mi ha criticata e mi confronterò: questa cosa non finisce così».
· Mara Venier.
Antonio Dipollina per “la Repubblica” il 21 settembre 2019. In quel luogo dello spirito che è la domenica pomeriggio di Rai 1, Mara Venier è tornata lo scorso anno dopo un rapido intervallo cinque anni fa e soprattutto dopo le edizioni d' oro di fine Novecento. L' altra volta, alla fine, le dissero che ormai era, come dire, vecchia per il programma. L' anno scorso, racconta, in un incontro casuale in treno con l' allora direttore generale Rai Mario Orfeo scoprì che a Rai 1, direttore Teodoli, rivolevano solo lei per Domenica In. Domani, secondo la vulgata, riparte la sfida con la concorrenza di Barbara D' Urso a Canale 5: in realtà, come se fosse Yalta, le due ragazze si dividono il territorio. Mara va fino alle 17.30, ora in cui su Canale 5 inizia Carmelita. La sfida è inapprezzabile, diciamo: ma così facendo c' è caso che alla fine tutti siano contenti. E Mara ribadisce: «Siamo amiche e ci facciamo grandi feste». Sembra la domenica dell' Italia pacificata.
Ci dice una cosa fondamentale che marca la differenza tra la tv di allora, quelle Domeniche, e oggi?
«Il pubblico. Una volta erano tutti lì, facevo otto milioni e anche oltre. Oggi la gente è dispersa tra canali e web e dobbiamo tenere botta. Secondo: la sottoscritta. Ricordo edizioni fantastiche ma ero una pedina in un gioco che non controllavo nemmeno un po'. Avevo paura di tutto e tutti, un' ansia ogni volta. Oggi ho accettato di tornare e ho detto: si fa a modo mio o niente. E mi prendo la responsabilità di tutto».
Aveva paura? Ma di cosa?
C' erano otto milioni osannanti, poca concorrenza...
«Terrore. Degli autori soprattutto, delle polemiche, dei giornali assetati di sangue. Poi successe quella cosa della maglietta». Ricordiamola. «Avevo la febbre alta, brividi, andai in scena con un maglione. Poi all' improvviso, caldo. Tolgo il maglione, rimane la maglietta. Ma io mica mi ricordavo che maglietta era e cosa c' era scritto». Il dovere impone di rievocarlo. « C'era scritto "Se vuoi dimagrire, caga"».
Bel colpo.
«Il giorno dopo ero in prima pagina su tutti i giornali, con la maglietta. Ah, e vogliamo parlare di quando arrivavano i politici ospiti? Un' ansia pazzesca. Per fortuna oggi non si può, o meglio si potrebbe in altra forma: ma se invito quelli che mi vanno poi devo invitare anche tutti gli altri. Quindi niente, meglio così».
Oggi si sta più tranquilli. Infatti lei adesso è universalmente Zia Mara. Rassicurante.
«E no, bello. Zia Mara è degli anni 90, ero in mezzo a una troupe giovane, tutti carini, anzi belli, e presero a chiamarmi zia. Ma nel senso». Non lo dica. «Masì, Grazie zia , Lisa Gastoni. C' era stato quel film di Samperi, ricorda?».
Sapesse. Lei ha ricominciato domenica scorsa. Pronti via, Romina Power. Ma proprio non si può partire senza Romina Power?
«A' bello, il 24-per-cento, quando c' era Romina. Lei che parla di una discarica in Puglia e il governatore Emiliano che telefona subito. Oppure l' ostetrica, una storia bellissima».
Giusto, l' ostetrica.
«Con qualche complicità riesco a combinare la cosa. Romina pensa che la sua ostetrica di quando è nata non ci sia più. Allora porto il discorso su di lei, Romina si intristisce e spiega che è morta e allora io: ma sei sicura? E lì sale la musica ed entra l'ostetrica».
Esce Romina ed entra Giulia De Lellis. Ora, provi come se lo dovesse spiegare a un bimbo delle elementari radical chic. Chi è Giulia De Lellis?
«Sa che non lo so? Ovvero non lo sapevo, però ha scritto questo libro sulle corna, vendutissimo. Piace ai giovani, ha fatto il Grande Fratello , ha un sacco di followers. E allora dico: va bene, chiamiamo Giulia De Lellis».
E quindi adesso l' ha intervistata e ci dice chi è.
«Boh. Sa che mica l' ho capito? Fa l' influencer, sta con Iannone, il motociclista, che prima stava con Belen boh».
Scusi, lei guarda la tv?
«Tutta. Ma da Netflix in avanti è un problema. Ci faccio le quattro di notte. Adesso sono in fissa con la Reina del Sur : la donna del narcotraffico, un drammone che mi ci perdo, e dopo che mi sono fatta centinaia di puntate tra Narcos, El Chapo».
L' impressione è che lei si diverta molto, questo è un bene.
«Ma dal programma si capisce. E insisto, ho chiesto di farlo come volevo io, prendendomi qualche rivincita dopo che mi avevano buttato via come vecchia».
A occhio l'ha presa male.
«Male? Malissimo. Ma non ho fatto né scenate né interviste rancorose. Sono stata nel mio, poi è arrivata Maria De Filippi che mi ha chiamato a Mediaset e sono rinata. E soprattutto ho incontrato un altro tipo di pubblico, più giovane soprattutto».
Che ora è saltato di qua, verso la Rai, di domenica?
«Guardi, quella cosa del pubblico della domenica addormentato sul divano dopo il pranzo è antichissima: oggi saranno magari di meno, ma è tutto più trasversale e ci sono anche i giovani».
Divertire. Però in un paese che è sempre più incattivito.
«Dice i social? Guardi, io ho un milione e settecentomila followers su Instagram, lo gestisco, spesso rispondo personalmente. Di odiatori ne ho pochi. Ma quando ne becco qualcuno può succedere che rispondo. L'altra volta c'era una foto con mio marito e uno che commentava: eh sì, certo, ma se non aveva i soldi figuriamoci se».
Ahia.
«Gli ho scritto: Caro, caro amore della Zia: vedi d' andartene aff».
Ok. Ma gli odiatori sono un problema allargato.
«Non so. Credo ci sia soprattutto frustrazione e infelicità, credo anche che bisognerebbe mettere delle regole. Poi ci penso bene e mi viene da essere più tollerante. Dipende dai momenti».
Curiosità. Spulciando la biografia a un certo punto si trova scritto: ha rifiutato di fare cinema con De Sica e teatro con Strehler. Questi delle biografie sono delle sagome.
«È tutto vero. Con ordine. De Sica. Mi chiamarono per Il giardino dei Finzi Contini . Provino, ma senza De Sica. Va tutto bene, mi vogliono fare un contratto di sette anni. Mi spaventai. Soprattutto non ero per niente sicura di voler fare l' attrice. E c' erano scene di nudo che non mi andavano. Girai al largo».
Strehler.
«Ah sì, quella fu notevole. Era per il Campiello, la protagonista. Metà anni 70, avevo appena avuto il secondo figlio. Ma mi prese la solita paura e ancora la domanda: ma voglio fare l' attrice? Dissi che avevo il figlio di pochi mesi da allattare. Lo dissi al telefono a Battistoni, assistente di Strehler e in sottofondo sentii il Maestro urlare "Ma come si permette questa troia"».
Ok. Era scherzoso-sarcastico, vero?
«Dice? Un anno dopo Battistoni mi invita alla prima, al Piccolo, decido di andarci. Alla fine incontro lui e Strehler, Battistoni gli ricorda chi sono e lui: "Hai visto, troia cosa ti sei persa??".
Bei momenti.
MEMENTO MARA. Michela Tamburrino per “la Stampa” il 26 giugno 2019. Incontriamo «zia Mara» a Sorrento, guarda caso seduta sul divano della suite di un grande albergo dedicata a Pavarotti. Due che la vita l’hanno guardata in faccia e se ne sono presi il bello e il cattivo, potendo, sempre con un sorriso. Lei che ha creato il format di se stessa, lo applica con generosità a qualsiasi programma conduca. Il successo arriva puntuale ma lo guarda come fosse un participio passato, più incuriosita da quello che succederà. Grande senso dell’amicizia e della gratitudine che porta Mara Venier a un approccio talebano con il male che va cancellato, assieme al portatore insano, persino se lo si riteneva amico. Su questi lidi invece ci è arrivata per affetto: condurrà sabato sera su Rai 1 assieme ad Alberto Matano la serata del Premio Biagio Agnes per il giornalismo internazionale che raccoglie il gotha dell’imprenditoria e del giornalismo e che Simona, la figlia del grande direttore generale Rai, porta avanti con piglio manageriale e infinito amore per il padre. Biagio Agnes una figura quasi mitologica che avendolo amico rivelava tratti scanzonati. Simpatizzò subito con Mara Venier, all’epoca fidanzata con Renzo Arbore, tanto che volle farle da testimone di nozze, persino quando scoprì che Mara sarebbe sì salita all’altare ma con un altro uomo.
Mara, si aspettava un ritorno tanto clamoroso?
«No. Arrivavo da una bella esperienza con Maria De Filippi che mi ha portato quel pubblico giovane che prima non avevo. Forse ha pagato la libertà totale che mi è stata concessa, in trasmissione ho proposto Mara con le gioie e i dolori, la vita di tutti i giorni. Ho invitato i miei amori passati, Renzo (Arbore), Jerry (Calà), gli amici veri».
Bella soddisfazione. Come è andata?
«Ero stata rottamata. Anna Maria Tarantola e Giancarlo Leone, rispettivamente presidente e direttore di rete, semplicemente ritenevano non fossi più in linea con il programma che loro volevano. Avevano fatto altre scelte, ci sta. Mi è dispiaciuto il modo, avrei gradito più eleganza. Eravamo rimasti che ci saremmo visti per il contratto poi l’agente mi ha detto che ero fuori. E io per vent’anni avevo dato l’anima alla Rai».
E il ritorno?
«Un viaggio in treno Milano-Roma, avevo accanto Mario Orfeo all’epoca direttore generale della Rai. Erano passati quattro anni dalla mia estromissione. Una bella chiacchierata. Poi ha chiamato l’allora direttore di Rai 1, Angelo Teodoli che mi ha detto a bruciapelo: “Mara ma quando torni a casa?”. Mi ha commossa. Andammo a pranzo insieme qualche giorno dopo con il mio avvocato che mi diceva di non accettare subito, di temporeggiare, avevo tante offerte e avevo accettato un programma di Discovery, un family cooking che avrei fatto volentieri. Ma davanti a Domenica in non ho resistito. Ho ceduto al secondo boccone. Nell’attesa che arrivassero dall’ansia avevo bevuto un prosecchino e mi sentivo friccicarella, altro che stratega. La verità è che volevo chiudere la mia carriera lì, come la quadratura di un cerchio. E mio marito neppure voleva».
Perché l’aveva sconsigliata?
«Mi diceva, “Ti intossicheranno la vita”, in realtà te la succhiano ma a me piace. Noi abbiamo la nostra casa a Santo Domingo, le nostre vacanze. Tutto stravolto».
Poi in Rai sono cambiati i vertici....
«Dalla nuova direttrice Teresa De Santis mi sono sentita subito protetta, una donna che mi ha capita e aiutata. Al Festival di Sanremo ha dimostrato quanto è capace. Con l’ad Salini gran risate. Non parlo mai di lavoro, forse per pudore».
Zia Mara un vulcano, dicono, cambierebbe qualcosa di se stessa?
«Alla mia età che vuoi cambiare. Io non so mentire e non so mediare, dico sempre quello che penso e l’ho pagato. Mi piacerebbe essere paracula ma non ne sono capace. Mi sveglio la mattina, mi arrivano mille proposte ma io sono troppo insicura e non considero. Ho sempre pensato di valere poco. Mia madre mi ha sempre rimproverato per questo. Ho paura di sbagliare».
C’è qualcuno che non avrebbe voluto avere ospite? Azzardo Pamela Prati?
«Durante l’intervista avevo capito che qualcosa non andava. Il giorno dopo mi chiama Roberto D’Agostino e mi dice che è tutta una bufala. Poco dopo a chiamarmi è l’ex fidanzato della Prati e anche lui mi dice che era tutto falso. Era partito un circo dal quale volevo rimanere fuori. Mi ha cercata e voleva tornare, piangeva “Sono innocente”. Una gran tristezza. Mi è dispiaciuto per lei».
Il divano, l’empatia immediata con chi ha di fronte. Succede pure a telecamere spente. La prossima stagione si replica. Un senso di rivalsa verso chi non l’aveva voluta più?
«Io non porto rancore, troppa fatica, troppa energia persa. Però faccio delle scelte radicali, persino dolorose. Ho escluso dalla mia vita chi mi ha fatto del male. Anche dalla mia vita social. Via, cancellati, senza lasciare traccia. È capitato che mi sia sentita tradita, guarda caso da alcune donne. Poche ma ci sono state. Non mi mancano. L’unico modo per proteggersi, anche in amore».
È stata fortunata in amore?
«Sì perché ho molto amato e anche molto sofferto. E oggi percepisco i pericoli. Di un uomo che amo vedo solo il positivo. Quando ho visto mio marito per la prima volta ho capito che con lui volevo arrivare alla fine della vita».
Intervista a Mara Venier: «Io, madre a 17 anni non ero matura. Ora è vera gioia». Pubblicato domenica, 25 agosto 2019 da Chiara Maffioletti su Corriere.it. Da Claudio, che ha due anni, si fa tirare i capelli («per fortuna non ho le extension»), riempire di baci decisamente fisici e lascia che i suoi pomeriggi liberi diventino il momento ideale per intensissime gare con il triciclo o infiniti tour sulle giostrine del parco. Giulio, invece, ormai è grande, ha 17 anni, ma anche se non sempre vuole che i suoi amici la vedano, lei non rinuncerebbe per niente al mondo al tempo passato insieme e quindi, senza fare una piega, lo aspetta mimetizzata dietro un muretto. Mara Venier adora i suoi due nipoti e adora essere nonna.
«Non ho paura di dire che i miei nipoti sono la mia ragione di vita. E anche la parola, nonna, mi piace proprio. Non mi ha mai spaventata. Sono diventata mamma a 17 anni, è stata una gioia grandissima ma non ero matura. Quando sono diventata nonna ne avevo poco più di 50 e poi 66: con i miei nipoti la gioia è diventata assoluta».
Che rapporto ha con loro?
«Giulio, che è un figo pazzesco, dice che sono una nonna rock, tendo molto a difenderlo, a sposare le sue ragioni. Claudietto è pazzo dei capelli biondi, io lo lascio giocare con i miei, li tira come un pazzo... passo dei momenti di totale felicità con loro».
Con loro fa cose che non ha potuto fare con i suoi figli?
«Più che altro ero giovane... nella mia vita la carriera non ha mai avuto la priorità, quindi non è stato quello. Il successo televisivo poi è arrivato tardi, avevo già 40 anni e i figli erano grandi».
Nella sua vita precedente come andavano le cose?
«Avevo seguito Francesco Ferracini, allora mio marito da cui avevo avuto Elisabetta, a Roma. Lui voleva fare la carriera di attore, io avevo aperto un negozietto sotto casa, a Campo dei fiori. In poco tempo ero diventata la stracciarola più famosa di Roma. Erano anni molto belli. Dei miei amici intellettuali si trovavano in questa libreria vicina, si chiamava Al tempo perso. Per fare il verso a loro avevo chiamato il mio negozio di stracci Al tempo ritrovato».
Oggi è una nonna bellissima e di successo...
«Io il desiderio di diventare nonna l’ho sempre avuto. Anzi, è diverso, io da nonna non capisco più niente. Quando Elisabetta mi ha detto che era incinta sono stata strafelice. Oggi sono molto orgogliosa di Giulio, del ragazzo che è diventato».
Come è con lui?
«C’è tanta complicità. Andiamo insieme per negozi, oppure ai concerti... Lui però non vuole si sappia troppo che sono sua nonna... quando lo vado a prendere a scuola lo aspetto dietro un muretto e quasi lui finge di non vedermi, all’inizio. Per scherzare un po’ ogni tanto gli scrivo su Instagram: “Amore della nonna”. Lui cancella subito i miei messaggi e io rido. Però ogni tanto anche mi dice: dai, taggami in questa foto così prendo qualche follower»,
e ride. C’è qualcosa che per lei è importante insegnare ai suoi nipoti?
«Cerco di ripetere al grande che quello che davvero conta è seguire il suo cuore. Che deve capire bene cosa desidera fare nella vita e provarci, non scegliendo di accontentare gli altri e facendo quello che si aspettano da lui».
E poi c’è il piccolo Claudio...
«Lui è arrivato in un momento particolare della mia vita. Avevo perso da poco mia mamma, che dava un senso alla mia vita. Non sorridevo più, non ho avuto voglia di farlo per un lunghissimo periodo... è stato molto, molto brutto per me. Poi è arrivato questo bimbo e mi ha ridato la felicità».
Che cosa fate assieme?
«Io con lui mi diverto proprio. In generale per i miei nipoti mi sbrodolo, ma con lui faccio tutto quello che mi chiede. Penso sia un miracolo mandato proprio dalla mia mamma. Insieme giochiamo a nascondino, facciamo di tutto. Ho due vertebre spostate, i medici mi hanno detto di non sollevare pesi ma me ne frego. È molto fisico, mi abbraccia tanto e lo lascio fare, eccome. E se sto due o tre giorni senza vederlo sto male, almeno dieci minuti ma devo salutarlo».
Che differenza c’è tra l’essere mamma e essere nonna?
«Da nonna sono molto apprensiva, ad esempio. A vent’anni ero più incosciente. Prima prendevo tutto con più leggerezza, da grandi ci si rimbambisce. Poi li difendo su tutto. Se a mio nipote dopo due ore tolgono la playstation dico ai suoi genitori: “Ma ridategliela ancora un pochino...”. Sì, mi metto in mezzo, li vizio. Quando Claudio dorme a casa con me, non mi vergogno a dire che mi piazzo fuori dalla porta e aspetto che si svegli, così se succede sono subito lì».
Le capita mai di fare la babysitter per lui?
«Poco, magari uscissero di più i suoi genitori e mi facessero fare la bambinaia. Non vorrei altro».
Ora le piacerebbe una nipotina?
«Posso essere sincera? Io vorrei solo maschi, ho proprio un debole».
· Stella Manente.
Luca De Vito per repubblica.it il 29 ottobre 2019. Aveva scatenato mille polemiche con una diretta Instagram, a luglio di quest'anno, in cui invocava Hitler insultando i partecipanti al Gay Pride di Milano perché la sfilata bloccava il traffico e lei rischiava di non arrivare in tempo in stazione. "Io sto perdendo il treno in mezzo a questa massa di ignoranti, andate tutti a morire, perché non esiste più Hitler? Sarebbe dovuto esistere Hitler. Tu guarda che ammasso di gente ignorante che sta bloccando la strada. Io veramente vorrei capire la polizia dove cazzo è". Stella Manente, influencer da oltre 200mila follower su Instagram, modella e attrice, aveva chiesto scusa, ma solo dopo che la sua storia sul social network aveva fatto il giro della Rete, grazie anche alla segnalazione dei Sentinelli di Milano. Diversi marchi si erano affrettati a precisare di non avere alcuna collaborazione con la modella, assicurando di non condividerne le parole. Sembrava pentita, la modella, si era scusata dicendo che non sapeva cosa fosse il Gay Pride, ma poi aveva querelato chi, sui social, l'aveva presa di mira. Mal gliene incolse: perché oggi il pm Mauro Clerici ha chiesto l'archiviazione per quella querela contro ignoti: "il comportamento della denunciante costituisce palesemente un fatto ingiusto perché invocare ad alta voce "ci vorrebbe Hitler, dov'è Hitler..." nel corso di una manifestazione quale il Gay pride significa evocare e giustificare le persecuzioni naziste contro gli omosessuali", si legge nella richiesta. Insomma, il pm bacchetta Manente e chiede di non procedere nei confronti dei responsabili di quei messaggi sulla base di quanto prescrive l'articolo 599 del codice penale: non è punibile chi compie alcuni gesti dopo essere stato provocato.
STELLA MANENTE & CADENTE. Da Libero Quotidiano l'1 luglio 2019. Querele e contratti a rischio per Stella Manente, modella e influencer molto nota sui social "inciampata" in una drammatica buccia di banana sul Gay Pride. Bloccata della folla scesa in strada a Milano sabato scorso, Stella ha rischiato di perdere l'aereo e ha deciso di sfogarsi brutalmente, ovviamente su Instagram: "Andate a morire tutti, ma perché Hitler non c'è più?". Una frase più che infelice che ha scatenato le ire degli attivisti LGBT e, come prevedibile, pure dei marchi a cui la influencer presta la propria immagine. Un film già visto, insomma. L'associazione Gay Lex ha annunciato querela contro di lei, mentre l'agenzia Caremoli Ruggeri si è "dissociata integralmente" dalla Manente e le ha chiesto di togliere dai suoi post ogni riferimento al marchio per timore di cattiva pubblicità. "Devo fare le mie più sentite scuse - ha spiegato la diretta interessata ancora su una Story di Instagram -, non era mia intenzione ferire nessuno. Non sapevo nemmeno dell'esistenza di questo Gay Pride e quando sono uscita di casa con questa folla a 40° ho sparlato".
Dalla pagina facebook di Caremoli Ruggeri: Ci dissociamo integralmente da quanto esternato dalla Sig.ra Manente tanto da averle fatto rimuovere ogni riferimento al nostro gruppo. L’agenzia gestisce una moltitudine di profili artistici e può solo non condividere o prendere posizione, ma non deve essere in alcun modo collegata a simili comportamenti o essere ritenuta responsabile di ciò che succede nella vita privata o delle posizioni filosofiche o politiche di ognuno . Detto ciò speriamo di aver chiarito definitivamente ogni sorta di interrogativo riguardante la nostra azienda, oltre ad essere dispiaciuti per l’accaduto .
Fabiano Minacci per bitchyf.it l'1 luglio 2019. Stella Manente, dopo aver dimostrato a tutta Italia la sua ignoranza ammettendo candidamente di non conoscere il gay pride, ha deciso di passare al contrattacco e – dopo aver offeso i gay e la polizia augurando ai primi Hitler ed accusando i secondi di masturbarsi invece di impedire la manifestazione – ha pubblicato una storia su Instagram in cui dichiara di voler passare ad azioni legali. “Sono costernata per l’interpretazione strumentale che è stata data ad una mia frase detta in fase di panico e stress. Pur ribadendo le scuse a chiunque si sia sentito (giustamente o ingiustamente) ferito o accusato dalle mie parole, devo precisare che mi tutelerò nelle sedi competenti nei confronti di chiunque mi ingiuri, mi diffami o mi minacci, come sta accadendo ormai da ieri”. Stella Manente ha anche condiviso su Instagram un messaggio in cui le viene suggerito di tutelarsi con un buon avvocato nelle sedi opportune. Già in alcune precedenti storie aveva candidamente ammesso di non conoscere il Gay Pride. “Una mia amica ieri mattina mi ha scritto ‘Andiamo a questo evento?’ e io le ho risposto ‘Di cosa si tratta?’ perché io non sapevo dell’esistenza di questa cosa. Per cui per me ieri è stato solo un ammasso di persone che mi impedivano di camminare. Tra l’altro sono claustrofobica e soffro di attacchi di panico per cui mi sono sentita davvero male ieri, ho reagito in maniera sicuramente errata. Però vi prego basta, fermatevi con questi commenti perché non sono riuscita a chiudere occhio, ho le mani che mi tremano e quello che state dicendo è di cattivo gusto perché siamo in un paese democratico e siamo essere umani, vi prego rispettiamoci. Sbagliare è umano, io ho sbagliato e vi sto chiedendo scusa, però vi prego con la mia anima perché quello che mi state dicendo è davvero cattivo”.
· Che allegria, c'è Diaco.
I segreti della «corazza» di Milly e la complicità di Diaco. Pubblicato martedì, 29 ottobre 2019 su Corriere.it da Aldo Grasso. È giusto riconoscere che il conduttore è dotato di talento per corteggiare le convenzionalità e programmare carriera e immagine pubblica. L’intervista di Pierluigi Diaco a Milly Carlucci è stata all’insegna dello sdilinquimento: un lungo chiacchiericcio da complici (Rai1, sabato, 23,55). La monarca di «Ballando con le stelle» ha rivelato una parte di quello che si nasconde dietro la «corazza», un lungo percorso per fare pace con sé stessa. Ma per favore! Dove appare Diaco si piange, ci si confessa, si fa finta di essere profondi e intelligenti immersi in una civetteria d’agonizzanti. Del resto, nessuno come lui ha saputo navigare nello scorrere degli eventi sapendo compiacere e approfittare per il fine supremo dell’apparire.Il nostro paraguru (il personaggio, non la persona) entrerebbe di diritto ne «Il libro dei mostri» di Rodolfo Wilcock, accanto, tanto per dire, al legnoso Erbo Meglio o al commercialista Occas Navi, in quella galleria dell’incongruo dove è impossibile scindere il tragico dal ridicolo. Ma Diaco non è ridicolo né tanto meno tragico, ruoli troppo gravosi per la sua provvista d’idee. Anche se recita molto bene la parte di chi ostenta le premure della complicità, non ne possiede il sentimento: è una fiamma senza fuoco, che non riscalda, ma non per questo cessa di spandere la sua luce.«Nientologo del tutto, tuttologo del niente», lo aveva definito anni fa Filippo Facci e resta un ritratto perfetto del blando abitatore del piccolo schermo.Tuttavia, è giusto riconoscerlo, ci vuole un certo talento per corteggiare spudoratamente le convenzionalità e programmare con pignoleria carriera e immagine pubblica, per imparare a memoria il codice dell’opinione pubblica. Soprattutto per non avere mai un pensiero ma fingere di averlo. Né gli fa difetto la vanagloria, quell’atteggiamento pieno di sussiego che gli permette di prendersi molto sul serio. Da giovane si esprimeva come un vecchio, corteggiando le smancerie, ora si comporta come un badante premuroso. Con modi educati e seducenti.
Che allegria, c'è Diaco. E meno male che la chiamano estate. “Io e te”, il nuovo programma pomeridiano di Rai Uno, è desolante come una giornata afosa senza aria condizionata. Beatrice Dondi l'1 luglio 2019 su La Repubblica. Pierluigi Diaco guarda dritto in camera e con modi compiti e buon italiano abbraccia il suo pubblico con un discorso semplice e chiaro: «Come formichine entreremo nelle case col rispetto che dobbiamo alle persone sole che non potranno permettersi le vacanze. Vi terremo compagnia onorando lo spirito di servizio che lega il servizio pubblico della Rai a voi». Poi dedica la puntata di “Io e te” alle vedove. Giusto per dare quel tocco di leggerezza e rendere chiaro a quella nicchia di italiani che non può fuggire verso mete amene che, come diceva Freak Antoni, la fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo. A quel punto una signora elegante entra in studio e con grazia racconta la sua storia, nonostante al suo fianco sul divano bianco sia accomodata una gigantografia del marito morto. Pierluigi, detto Pigi si commuove e con voce rotta dal pianto, mentre le lacrime scorrono, le chiede se ha conservato i suoi vestiti nell’armadio, se non soffre in quel letto vuoto e cosa sente quando pensa che lui è volato in cielo. Verrebbe da dire Amen se non fossero le due del pomeriggio ma su Rai Uno l’aria fresca ha ormai questo tenore. Giornalista, conduttore radiofonico ed ex enfant prodige, Diaco si ricorda per una memorabile “Isola dei famosi” in cui non superò la prova intelligenza. Ora è tornato ad allietare il pubblico dopo un recente passato da opinionista saltellante. Di salotto in salotto, ha elargito pareri sul reality di Lory Del Santo dopo la morte del figlio, ha bacchettato Barbara D’Urso per aver sbandierato questioni private dei suoi ospiti solo per amor di share e ha puntato il ditino qua e là per far capire da che parte stava. Poi però ha lasciato il tema in bianco e sul suo schieramento ancora oggi si interrogano in molti. Scelto dalla direttora Teresa De Santis per sviluppare un programma «con pochi soldi, tante idee e musica», ha deciso di imbracciare la chitarra per soddisfare almeno una richiesta. E confidando in Dio, che invoca ogni piè sospinto, strimpella appena possibile, con gli occhi chiusi e il capo a ritmo. Tra un’intervista a Bruno Vespa sulla fede e una ad Al Bano sulla preghiera preferita, Pierluigi fa in tempo a infilare quel certo non so che che lo rende il Diaco di sempre, quello che ricorda Zeffirelli come vittima perché «militò non nell’ortodossia prevalente in Italia», o quello che sottolinea come «nel 1969 nel clima politico di ribellione cantare l’amore era molto difficile». Così tra segni zodiacali e la posta del cuore di Sandra Milo (su cui è vietato proferire parola per rispetto), passano più o meno 150 minuti. Ma si sa che il tempo vola quando ci si diverte.
Pierluigi Diaco: "Io e mio marito Alessio Orsingher vorremmo poter adottare un bambino". Redazione Tvzap. 07 agosto 2019. Il giornalista si racconta e si commuove a Non disturbare, il programma di Paola Perego. Un’intervista che ha fatto commuovere Pierluigi Diaco: è quel che è successo nella puntata di Non disturbare in onda su Rai 1 martedì 6 agosto. Paola Perego ha incontrato il giornalista parlando con lui della sua carriera ma anche della vita privata, a partire dal legame con il marito Alessio Orsingher con il quale è sposato dal 2017. A unirli è anche il bassotto Ugo, con loro da 3 anni e mezzo: “Rappresenta il sentimento e l’amore che unisce me e Alessio sotto forma di un animale domestico” ha spiegato Diaco, e alla Perego che gli ha chiesto conto di questa affermazione ha replicato: “Naturalmente non possiamo avere dei figli. Qualora la legge un giorno permettesse l’adozione a me farebbe molto piacere poter adottare un bambino, credo anche ad Alessio. Ovviamente un animale domestico non è un surrogato e non è neanche paragonabile però non c’è dubbio che avere un altro essere vivente dentro casa ti dà la sensazione di poter fare qualcosa per qualcun altro”.
Pierluigi Diaco si commuove ricordando il padre. Come detto c’è stato spazio anche parlare dell‘”amorevole assenza” di suo padre, scomparso quando Pierluigi aveva solo 5 anni e che lo ha sinceramente commosso al termine dell’incontro con Paola Perego: “Amava la musica, vivere la sera con i suoi amici e con mia mamma andavano spesso a ballare” ha raccontato di lui riconoscendo invece alla madre il fatto di avergli trasmesso la disciplina e un forte senso del dovere.
Pierluigi Diaco racconta il suo amore per il marito. Pierluigi Diaco parla in tv da Mara Venier della sua felicità con il marito Alessio Orsingher, giornalista televisivo su La7. Alessandro Pagliuca, Sabato 29/06/2019, su Il Giornale. Mara Venier ha colpito ancora. Dopo la telefonata a sorpresa che ha spiazzato l’amico Pierluigi Diaco durante il neonato programma "Io e Te", la conduttrice si è presentata di persona con tutta la vitalità che la contraddistingue nel bel mezzo della diretta televisiva di Rai Uno. Un abbraccio tra i due ha enfatizzato l’emozione di Diaco legato alla Venier da un profondo affetto. La presenza di Mara (raggiunta anche da una romantica proposta da parte del marito Nicola Carraro) è diventata quindi l’occasione che ha permesso al conduttore della trasmissione di diventare protagonista di un’intervista eccezionale. Nell'intervista Pierluigi Diaco ha infatti parlato del marito Alessio Orsingher e dell’amore che lo lega a lui. Grazie alla presenza di Mara Venier, Pierluigi Diaco si è spogliato delle vesti di conduttore per lasciarsi intervistare dall’ospite speciale e palare anche della sua vita privata. “Ho fatto il solista per tantissimi anni, ho cominciato molto presto a fare questo mestiere, non avevo cultura e carattere per affrontare certe esperienze. Sono stato coraggioso, ma molto spericolato”, ha spiegato il timoniere di "Io e Te" prima di parlare della sua vita privata e del marito Alessio Orsingher, giornalista di La7 nel programma Tagadà con cui si è unito civilmente nel 2017. "Prima di lui non onoravo seriamente i rapporti, ero concentrato su di me, sul mio fanatismo, sul mio piacere a tutti i costi. Per molti anni sono stato insicuro", ha confidato rispondendo alle domande dell’intervistatrice d’eccezione Mara Venier. "Alessio mi ha cambiato la vita. Alessio è la vita insieme. Ho conosciuto la sicurezza quando l'ho incontrato".
Io e te, Pierluigi Diaco piange per il marito Alessio Orsingher. Il conduttore del format di Rai 1 si è lasciato andare ad un momento di commozione, nello studio televisivo dell'ultima puntata di Io e te. Serena Granato, Domenica 08/09/2019 su Il Giornale. Nel corso dell'ultima puntata di Io e te, trasmessa lo scorso venerdì 6 settembre, Pierluigi Diaco si è lasciato andare ad un momento di commozione e condivisione con il fedele pubblico di Rai 1. Il format Io e te è giunto al termine, passando il testimone alla trasmissione condotta da Caterina Balivo, Vieni da me, che tornerà nel palinsesto Rai lunedì 9 settembre. E, in occasione della puntata finale del suo programma, Diaco ha intervistato Maurizio Costanzo, il quale ha officiato la sua unione civile, celebrata nel 2017, con Alessio Orsingher. Così, nel corso dell'ultima diretta, che segna l'addio alla stagione estiva in tv di Io e te, Diaco ha voluto ritagliarsi uno spazio in trasmissione, da dedicare ai telespettatori. "Non vi nascondo l'emozione dell'incontro con Maurizio (Maurizio Costanzo, ndr) -ha esordito il conduttore nel corso della sua confessione intimista con il pubblico -. Volevo prendermi qualche minuto per noi. Ho iniziato a quindici anni a fare questo mestiere, tra radio e televisione, ho commesso tanti errori, ho dovuto governare la parte più spigolosa del mio carattere. Ho avuto varie occasione di lavorare in Rai, occasioni anche perse, perché non ero strutturato dal punto di vista comportamentale. Negli anni ho anche fatto un percorso. Devo l'uomo che sono diventato alla mia famiglia, alla mia mamma, alle mie tre sorelle. Ma devo la mia serenità e questo programma , che in realtà non si chiama "Io e te" e neanche "Io e voi", ma si chiama "Io e Alessio", la cosa a cui tengo di più".
La dedica di Diaco a Io e te. Dopo aver parlato al suo pubblico, Pierluigi Diaco (42 anni) ha voluto destinare una dedica a cuore aperto all'uomo che è riuscito a stravolgere la sua vita, il giornalista di La7 Alessio Orsingher (33 anni): "È il mio nucleo familiare. Mi rendo conto che per alcuni, chiamare famiglia due persone dello stesso sesso è un po' forte. Forse avete anche ragione, forse no. Non sta a me stabilirlo. Ho sempre tentato di accompagnare per mano anche chi è avverso a questo tipo di amore, alla conoscenza di questo sentimento. Non credo di avere la verità in tasca, non credo di essere perfetto, non credo di poter essere depositario di verità e di fare lezioni agli altri su come si deve vivere e su che sentimenti si debba avere. Quello che so è che da quando ho incontrato Alessio e nella mia vita è entrato Ugo, il mio cuore ha un altro modo di battere. Voglio condividere con voi la canzone del cuore mia, di Alessio e di Ugo".
Pierluigi Diaco: età, altezza, peso, il marito Alessio e i figli. Caffeinamagazine.it il 17 luglio 2019. Pierluigi Diaco ha un passato da idolo in tv e nel giornalismo addirittura prima della maturità, a 15 anni già faceva intervista ai politici su Italia Radio mentre a 16 anni era sul piccolo schermo a Tele Monte Carlo. Nel 1992 Pierluigi Diaco è tra i fondatori del Coordinamento Antimafia a Roma: in quegli stessi anni aderisce al Movimento per la Democrazia – La Rete. Nel 1995 debutta nel programma “TMC Giovani” nel 1995. Nella stessa stagione 1995-1996 conduce il programma Generazione X poi passa alle reti Rai. Qui conduce “La cantina” e “Maglioni marroni”. Qualche anno dopo Pierluigi Diaco arriva a Sky con il programma di approfondimento ‘’C’è Diaco’’. Conosciuto anche per l’attività di speaker radiofonico a Rtl 102.5, nel 2010 Pierluigi Diaco torna in Rai al timone di “Uno Mattina”, mentre l’anno successivo parteciperà come autore di “Bontà Loro” di Maurizio Costanzo. Opinionista fisso di “Domenica In”, raggiunge la notorietà anche con il programma “Io e Te”, una trasmissione piena d confronti e interviste svolte tra conduttore e ospiti in studio, e che punta tutta sull’emozionalità. In studio insieme a lui ci sono anche la comica Valeria Graci e Sandra Milo.
Pierluigi Diaco è sposato con il giornalista Alessio Orsingher. Il 16 novembre del 2017 Alessio e Perluigi si sono detti ”sì”. La coppia ha scelto una chiesa sconsacrata per unirsi in matrimonio con pochi amici e parenti. A celebrare l’unione civile è stato il collega e amico storico di Diaco, Maurizio Costanzo. Mentre una dei testimoni è stata l’autrice televisiva Irene Ghergo. La cerimonia civile è stata seguita da un piccolo ricevimento rigorosamente per familiari e amici più intimi, mentre gli invitati hanno avuto il divieto assoluto di condividere scatti sui social. Pierluigi e Alessio si sono conosciuti nel 2015 ad una festa. Qualche mese prima delle nozze Pierluigi Diaco aveva parlato della sua situazione sentimentale, raccontando della convivenza col compagno: “Convivo con il mio compagno, Alessio. È la prima volta che ne parlo. Nei weekend, quando posso prendermi una pausa dal lavoro, andiamo al mare. Spesso al cinema. Abbiamo un bassotto molto simpatico, si chiama Ugo. Per molti anni, sono stato insicuro. Ho conosciuto la sicurezza quando l’ho incontrato. Alessio è una persona che mi sta affianco, non davanti. Tra i due, che sono colleghi, condividendo la professione giornalistica, sembra esserci tanto feeling. “Non credo nelle definizioni. – aveva detto – La sessualità è un dettaglio della personalità, non una patente d’identità. Non mi sono mai chiesto se ero etero, bisessuale o che altro. Ho sempre condiviso serenamente le mie storie con amici e familiari. Non sono stato sereno, semmai, dentro relazioni in cui la sessualità non si univa al sentimento. Poi, quando le due cose coincidono, è un momento: lo senti, è l’amore“. Pierluigi Diaco è alto un metro e settantasette centimetri per un peso di settantasei chili. È nato a Roma il 23 giugno del 1977, all’età di cinque anni è diventato orfano di padre e la mamma si è trovata a 39 anni a crescere tre figli.
· Chi è Alessio Orsingher marito di Pierluigi Diaco.
Chi è Alessio Orsingher marito di Pierluigi Diaco: età, lavoro e carriera. Amalfi Notizie il 6 Settembre 2019. Alessio Orsingher è uno dei giornalisti più amati e conosciuti del piccolo schermo. Grazie alla sua simpatia e alla sua professionalità, ha conquistato l’ammirazione di migliaia di persone che lo seguono con affetto.
Chi è Alessio Orsingher marito Pierluigi Diaco: età, lavoro e carriera. Alessio Orsingher è nato il 19 febbraio del 1986 a Massa. Sin da giovanissimo si avvicina al mondo dello sport. In gioventù ha avuto anche una parentesi nel mondo della pallavolo che gli ha dato grandi soddisfazioni. Dopo il diploma ha conseguito la laurea in Scienze Giuridiche all’Università di Pisa. Per far diventare la sua passione per il giornalismo un vero e proprio mestiere, ha preso parte al Master in Giornalismo “Walter Tobagi” di Milano. La sua carriera si è sviluppata poi in televisione. In questa stagione è stato uno dei protagonisti della trasmissione Tagadà in onda su La7. In pochi sapevano della relazione tra Alessio Orsingher e Pierluigi Diaco fino al 2017 quando quest’ultimo ha rivelato al mondo l’intenzione di convolare a nozze. Il 16 novembre del 2017 Alessio e Perluigi si sono detti ”sì”. La coppia ha scelto una chiesa sconsacrata per unirsi in matrimonio con pochi amici e parenti. E’ stato proprio Diaco a rivelare nella prima puntata della sua nuova trasmissione in onda su Rai 1 Io e te che da quando conosce il compagno la sua vita è cambiata in meglio. In un’intervista hanno raccontato che tra di loro è stato un vero e proprio un colpo di fulmine dal quale sono stati travolti entrambi.
· Aldo Baglio confessa.
Verissimo, Aldo Baglio confessa: "Perché ho lasciato Aldo, Giovanni e Giacomo", il crac, scrive il 16 Marzo 2019 Libero Quotidiano. Tra gli ospiti di Silvia Toffanin a Verissimo, nella puntata di sabato 16 marzo su Canale 5, anche Aldo Baglio, storico componente del trio Aldo, Giovanni e Giacomo. Trio che però, Aldo, ha lasciato per cimentarsi in un film tutto suo, Scappo da casa, ora nelle sale cinematografiche di tutta Italia. L'artista siciliano, stando alle indiscrezioni, avrebbe deciso di lasciare il trio proprio per concentrarsi su questa pellicola e la nuova avventura. Insomma, l'allontanamento nasce come temporaneo: in futuro, si vedrà. Aldo, Giovanni e Giacomo, dopo molti film e centinaia di spettacoli, si sono insomma presi una pausa di riflessione, per la disperazione di tutti i loro fan.
Fulvia Caprara per “la Stampa” il 19 marzo 2019. La prima volta di Aldo Baglio senza i compagni di sempre, Giovanni e Giacomo, è un apologo sorridente sul tema del giorno, ma anche, allargando lo sguardo, sul concetto del non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Scatenato viveur, amante di notti folli e belle donne, completo di parrucchino e macchina di lusso, dipendente dai social e innamorato del Rolex, il protagonista di Scappo a casa Michele, in viaggio di lavoro a Budapest, si ritrova migrante tra i migranti, scambiato per extracomunitario, registrato come tunisino, obbligato a dividere le sorti con gente di cui, fino a quel momento, aveva ignorato destini e necessità: «Il mio - dice l' attore - non è un film sull' immigrazione, un tema troppo grande e delicato perché io potessi occuparmene degnamente. Volevo solo raccontare la storia di un uomo superficiale, che scopre quanto è bello guardare oltre le proprie paure e le proprie resistenze. Fino a rischiare per gli altri. Non saprei dire se alla fine Michele diventi un uomo migliore, di sicuro sarà più felice di prima». Il processo di cambiamento Insomma, più che di razzismo, Scappo a casa , diretto da Enrico Lando (e da giovedì in 400 sale con Medusa), parla di un «processo di cambiamento, del percorso interiore di una persona egoista e intollerante che si ritrova con lo zaino in spalla, costretta a camminare per il mondo». E a scoprire, come osserva Baglio, che «tutti siamo troppo abituati a parlare con le parole degli altri» e che «mettere muri non serve a niente, di certo non a fermare la valanga di persone che migrano» . Palermitano, classe 1958, fino ad oggi definito «il 33,3% del trio comico più famoso d' Italia», Aldo Baglio ha fatto i conti molto presto con i nodi dell' emarginazione: «Sono cresciuto a Milano, mi davano spesso del "terrone", ma poi mi sono accorto che da quelle parti c' erano molti più terroni che a casa mia. L' odio fra gli uomini è sempre esistito, accettare e farsi accettare è un passaggio importante, bisognerebbe riuscire a compierlo e ad andare oltre, con maggiore spirito di collaborazione». Una qualità finora poco praticata: «Dovevamo essere i guardiani della Terra, e invece abbiamo fallito. Il mondo è rotto da tutte le parti, a livello ambientale la situazione è così, e non si risolverà, né ora né tra cento anni». Del neo-Baglio, momentaneamente in versione solista, fanno parte aspetti finora rimasti in ombra, nascosti sotto la patina del comico da risata facile : «Con il telefonino ho un rapporto terribile, c' è troppa roba da imparare e io sono molto pigro. So che in giro ci sono molti miei cloni, ma non mi interessa. Facebook può diventare facilmente uno strumento per escludere gli altri. Basta che qualcuno scriva una cattiveria ed ecco che tutti ti isolano». A chi gli chiede se, nella prova in solitaria, abbia avuto Checco Zalone come modello ispiratore, Baglio risponde con un mezzo sorriso: «No, ho cercato di essere me stesso, semmai, oltre a Tre uomini e una gamba , ho citato Sergio Leone, il mio è uno "spaghetti eastern"». L' esperimento di Scappo a casa (che doveva chiamarsi «L' indesiderato» , ma poi, proprio per dare un' idea di maggiore leggerezza, ha cambiato nome) potrebbe avere seguiti: «In genere quando apro una porta, poi non la richiudo. Se le cose andranno bene, potrei portare avanti altri progetti da solo». «Nessuna rottura traumatica» Per adesso, di sicuro, c' è che «in agosto, con Giovanni e Giacomo, inizieremo a girare il nuovo film». Il periodo di lontananza ha giovato a tutti («Giacomo ha fatto uno spettacolo teatrale, Giovanni ha scritto un libro») e la voglia di misurarsi su fronti diversi non era il frutto di una rottura traumatica: «A un certo punto - spiega Baglio -, ho sentito l' esigenza di mettermi in primo piano. Devo dire che ogni tanto ho provato paura e mi sono sentito perso, ma alla soglia dei 60 certi timori vanno superati». Nel frattempo, a rassicurare Baglio, ci pensa Jacky Ido , l' attore francese di colore che, sullo schermo, interpreta Mugambi, il compagno di viaggio del protagonista: « Scappo a casa è un film estremamente politico, si allontana dall' analisi e si concentra sull' umanità, mostrando persone che, in genere, sono trattate come fossero invisibili».
· Franco Battiato: il ritorno del maestro.
Battiato sacro e profano Il profeta antimoderno sempre un passo avanti. Nelle opere dell'autore siciliano misticismo e filosofia sfidano la cultura pop. E vincono. Luigi Iannone, Venerdì 23/08/2019 su Il Giornale. Rispetto ai giullari di corte e ai predicatori che ingolfano i media e fanno della sociologia spiccia un mestiere, Franco Battiato è stato ed è di molte spanne superiore. Ne avevamo avuto avvisaglie negli anni Settanta, quando i cantautori impegnati surrogarono la canzone leggera con temi sociali e politici e la resero tanto noiosa da sfiorare il soporifero, mentre lui, «viaggiatore anomalo in territori mistici», incominciò a strutturare uno stile unico e contenuti alternativi. Se infatti quelli «impegnati» disegnano scenari, prospettano soluzioni pratiche, ma restano legati alla materialità di un livello tutto orizzontale, Battiato, che è musicista classico, ma anche sperimentatore d'avanguardia e operista, pur avendo all'inizio di carriera collaborato con alcuni di loro, non ha masse da educare e parla all'individuo. Da qui la differenza abissale con questa cricca cantautorale che prima ha ceduto il passo all'idea palingenetica della società e poi si è autoconvinta di essere il faro di questa renovatio. Nel suo caso, la ricerca sarebbe questione estremamente personale, privata. Cammino di meditazione, di studio e di solitudine che precede la ricerca di Dio che è anelito lontano, come recita in Lode all'Inviolato o ne L'ombra della luce: «Perché le gioie del più profondo affetto, o dei più lievi aneliti del cuore, sono solo l'ombra della luce». Parla al singolo che deve rinnovarsi in ogni fase della esistenza, anche nella vecchiaia («e il mio maestro m'insegnò com'è difficile trovare l'alba dentro l'imbrunire») e lo fa evocando. A volte stimolando induzioni attraverso frasi apparentemente fuori contesto, in cui abbondano citazioni, nonsense, intuizioni e rime fantasiose, altre addirittura utilizzando strumenti elettronici che parrebbero più adatti alla greve espressione artistica contemporanea. Un artigiano della parola che si muove in una dimensione onirica che acquista un senso nel tutto, dove i fumi sciamanici che sgorgano da pentagrammi e testi accordano questa finta vaporosità e l'apparente frivolezza lessicale con una delineata funziona maieutica. Per quanto possibile nello spazio limitato di pochi minuti, la canzonetta diventa grimaldello che apre all'ignoto, o almeno a ciò che era noto agli abitatori di un tempo lontano. Ecco perché Camminando con le aquile, sottotitolo scelto da David Nieri per il suo ultimo libro, Franco Battiato (Edizioni Clichy, pagg. 136, euro 7,90) sembra quello più adatto. Gli uccelli (l'aquila in modo particolare) sono una delle simbologie più sviluppate e ricorrenti («le aquile non volano a stormi»), e rappresentano un ponte fra Oriente e Occidente, Nord e Sud, la prospettiva terrena e quella soprannaturale («voli imprevedibili ed ascese velocissime, traiettorie impercettibili, codici di geometria esistenziale»). Condivisibile anche la chiave di lettura di Nieri che inquadra Battiato nella categoria dei profeti antimoderni. Lettura avvalorata dal fatto che si conosce poco della vita privata e qualche ruzzolone pubblico, come l'adesione alla sciagurata giunta siciliana di Rosario Crocetta, potremmo annoverarlo come una eccezione. Le diverse fasi della carriera, seppur con caratteristiche proprie e definite, a leggerle adesso, paiono infatti senza soluzioni di continuità e con un livello di intensità qualitativo eccelso. Da Giusto Pio a Manlio Sgalambro, è un elevarsi oltre le apparenze, dove «niente è come sembra, niente è come appare», e sempre alla ricerca di una dimensione dell'essere che trascende il tutto, anche e soprattutto il rumore di una quotidianità che ci sovrasta con «paura, stress, sindrome da traffico, ansia, stati emotivi, primordiali malesseri, pericoli imminenti» (Il vuoto, 2007). Dunque, quello di Battiato è un itinerario da profeta antimoderno, segnato sin da quel 1979, quindi dieci anni prima della caduta del Muro, quando, incrociando tra gli altri Guénon e Gurdjieff, intravede la deriva materialistica occidentale e pubblica Il Re del mondo e L'era del cinghiale bianco (il cinghiale è, nella mitologia dei Celti, animale sacro, simbolo dell'autorità spirituale in contrapposizione all'orso, emblema del potere temporale). E le sue tristi previsioni in Tramonto occidentale (qui torna Spengler) del 1983, dove la poetica visionaria decritta un mondo passivo privo di volontà di cambiamento, le racconterà di nuovo in Shock in My Town del 1998, dove l'incubo di una civiltà regredita allo stato primitivo fa il paio con il progresso tecnologico e l'imbarbarimento dei costumi.
IL RITORNO DEL MAESTRO. Da Il Messaggero il 22 marzo 2019. Franco Battiato pubblica una nota, dopo molti mesi durante i quali erano circolate voci su una presunta grave malattia. Battiato, che domani compie 74 anni, parla in occasione del 20ø anniversario di «Fleurs - Esempi Affini di Scritture e Simili» (1999), per il quale Universal pubblica per la prima volta un'edizione limitata e numerata in vinile. «A chi mi chiede della mia salute dico che il peggio è passato. Ora va molto meglio, sono tornato a mio agio con la pittura e talvolta mi siedo al pianoforte. Oggi sto lavorando ad un brano nuovo».
È bello aspettare ancora, l'era del cinghiale bianco. Con quel disco esplose il fenomeno Franco Battiato . Innovatore nel segno della Tradizione e della poesia, scrive Francesco Maria Del Vigo, Domenica 24/03/2019 su Il Giornale. «Spero che ritorni presto l'era del cinghiale bianco». Sono passati quarant'anni, ma non è ancora tornata. Ahinoi. Epperò è ancora lì che circola nelle orecchie di almeno un paio di generazioni. Parliamo dell'Era del cinghiale bianco, disco e omonima e celeberrima canzone di Franco Battiato, che vide la luce, per l'appunto, nel 1979. Un disco dirompente, ma dal successo non travolgente. Un longseller più che un bestseller. Non vendette tantissime copie, ma segnò una svolta per la musica leggera d'autore e soprattutto per l'autore. Fino a quel momento Battiato infatti aveva fatto per lo più musica sperimentale e d'avanguardia, ad eccezione di qualche incursione nel pop di fine anni Sessanta. Suoni sconosciuti, rudimentalmente elettrificati dai primi sintetizzatori; rumori di quotidianità infilati in mezzo a sinfonie classiche, radio che sfrequenzano all'impazzata cuocendo nella stessa pentola frammenti sonori incomprensibili. «È vero, allora facevo una musica con un suono distruttivo, esagerato, suicida», ebbe modo di dire anni dopo l'artista catanese. La furia da astronauta dei suoni pian piano si placa, l'esplorazione delle vibrazioni diventa più razionale. Ma nel 1978 Battiato dà alle stampe un Lp ai più ancora incomprensibile: L'Egitto prima delle sabbie, titolo dell'album e di una delle due canzoni che contiene. La prima traccia dura 14 minuti e 15 secondi, durante i quali viene ripetuta la stessa nota variando solo la distanza tra le esecuzioni. Un disco non esattamente radiofonico. Non lo capisce quasi nessuno, a parte quel genio matto di Karlheinz Stockhausen che gli tributa l'omonimo premio. Siamo nel 1978. Passano dodici mesi e con L'era del cinghiale bianco Battiato cambia tutto, a partire da se stesso. In pochi mesi sembra distillare la sintesi - radiofonica e commerciale, seppur sempre alta - di oltre un decennio di studi, sperimentazioni, provocazioni e follie musicali. Il 1979 è l'anno decisivo. Se Francesco Battiato nasce a Ionia nel 1945, il Franco Battiato che conosciamo oggi, il sacerdote del pop d'autore, nasce nel 1979 negli studi della Emi italiana a Milano. Il 10 settembre la casa discografica rilascia l'album L'era del cinghiale bianco, sette tracce per trenta minuti e una manciata di secondi. Il genere? Inutile porsi questa domanda di fronte all'opera di Battiato. Battiato diventa un genere lui stesso, difficile da riporre negli scaffali della musica tradizionale. Fa quello che gli pare e sposta il suo tappeto volante da uno stile musicale all'altro. Ed è sorprendente la maestria con la quale, dopo anni di sonorità aspre e spigolose e dischi gloriosamente invenduti, in men che non si dica riesce ad affascinare il pubblico di massa e a maneggiare materiale da hit parade. Sempre a modo suo, ovviamente. In questo disco c'è il meglio di tutto il Battiato prodotto fino a quel momento e ci sono i germi di tutto quello che succederà negli anni successivi. C'è l'esoterismo - per nulla nascosto, ma anzi ostentato -, l'esotismo, la spiritualità, l'amore per le filosofie orientali, la fascinazione per l'India e la Tradizione, lo spirito caustico e ironico nei confronti del mondo moderno e il legame con la propria terra, la Sicilia. È un disco premonitore persino a livello personale, non solo delle tematiche che Battiato svilupperà negli anni successivi. Nella seconda traccia, Magic shop, il cantante ironizza: «C'è chi parte con un raga della sera e finisce per cantare la paloma». Insomma, inizi dalle sacre sinfonie e finisci per fare le hit da discoteca. Dagli altari dello spirito al dance floor. Due anni dopo, nel 1981, sarà il primo italiano a sfondare il muro del milione di copie vendute sulla breccia di una canzone che ha fatto storia. Il titolo? Cuccurucucù. Scherzi del destino. In L'era del cinghiale bianco Battiato filtra tutte le sue passioni e le comprime in un disco. Il paradosso è che si tratta di un disco dalle sonorità assolutamente pop con testi molto ermetici e riferimenti a una cultura più elitaria che popolare. Accanto a lui si esibisce un dream team: al violino Giusto Pio, alle percussioni Tullio De Piscopo, alla chitarra Alberto Radius e alle tastiere Antonio Ballista. Luna Indiana, traccia strumentale e ipnotica, viene eseguita dal duo pianistico Danilo Lorenzini e Michele Fedrigotti. A partire dal titolo il disco si richiama apertamente a René Guénon, filosofo e studioso del sacro e della Tradizione. Battiato trasforma l'esoterico in essoterico, cioè diffonde ai più quello che appartiene ai pochi. Giocando sempre sul filo del nonsense e della non comprensione, fa cantare migliaia di persone di corpi astrali, credenze celtiche, tradizioni induiste e passi di testi di Gurdjieff. Ma, come in un ascensore fuori controllo, l'alto si mescola con il basso e spuntano Amanda Lear, i peli del Papa, Wall Street e gli incensi di Dior. Il cinghiale bianco è il simbolo dell'autorità spirituale contro il potere temporale, l'eterna lotta tra l'alto e il basso, il verticale e l'orizzontale. Il tutto ambientato in un clima tiepido ed esotico da Arabia Felix, fra temporali tunisini, sigarette turche e studenti di Damasco. Il tema della critica al materialismo della modernità torna anche nella traccia Il re del mondo - una delle più belle composte da Battiato -, titolo appunto di uno dei libri dell'esoterista Guénon. «Nei vestiti bianchi a ruota echi delle danze sufi, nelle metro giapponesi oggi macchine di ossigeno, più diventa tutto inutile e più credi che sia vero. E il giorno della fine non ti servirà l'inglese». Come distruggere i nostri tic moderni con poche strofe in bilico tra la poesia e la denuncia, la nostalgia e il sarcasmo. Quarant'anni dopo nulla è cambiato. Nemmeno L'era del cinghiale bianco, che non è tornata perché, in fondo, l'attualità del disco non se n'è mai andata.
Franco Battiato e il male misterioso. Il manager: «Questa sarà la sua ultima canzone». Pubblicato martedì, 15 ottobre 2019 su Corriere.it da Andrea Laffranchi. Venerdì esce il disco «Torneremo ancora», dopo un lungo periodo di assenza. Ma Francesco Cattini, che segue il cantautore, avverte: «Non c’è altro materiale». «Non c’è più nulla nei cassetti. Direi che questo è l’ultimo album di Franco Battiato». Franz Cattini, manager del cantautore, non lascia speranze. Esce venerdì «Torneremo ancora», disco in cui l’omonima canzone inedita si accompagna a una selezione di brani del passato. Tutto suonato dalla Royal Philharmonic Concert Orchestra diretta da Carlo Guaitoli, durante le prove di un tour del 2017 per il repertorio e a maggio, invece, per il nuovo brano. E poi basta. Battiato non sta bene. Si è ritirato dalle scene. In questi mesi in un clima di sospetto fra famiglia, amici e collaboratori si sono rincorse voci sulle sue condizioni di salute, sono uscite sue presunte dichiarazioni, qualche scatto privato, la casa messa in vendita e subito ritirata. Ora c’è un video ufficiale. Immagini girate in agosto nella casa di Milo: un paio di minuti in cui, camicia bianca e foulard al collo, il maestro siciliano discute (l’audio è silenziato) con i collaboratori sui dettagli del progetto. L’aspetto e lo sguardo sono stanchi. «Non possiamo dire che stia male, quando lo sentiamo al telefono dice di stare bene. Ma non sta sufficientemente bene da poter essere qui a parlare con tutti noi», chiarisce Cattini. Questa la storia della nuova canzone, scritta con Juri Camisasca. «Nasce da una richiesta di Caterina Caselli che voleva un brano per Bocelli — racconta Cattini —. Franco aveva inciso la sua voce guida a cavallo fra 2016 e 2017 per farla sentire al tenore. Non se ne è poi fatto nulla. La voce è quella, l’orchestra invece è stata registrata a Londra a maggio, usando le partiture scritte all’epoca da Franco». L’inedito — una ballad dai toni eterei tipicamente battiateschi in cui la voce dialoga con piano e orchestra — avrebbe dovuto chiamarsi «I migranti di Ganden», un riferimento alla fuga dei monaci tibetani alle persecuzioni politiche, ma il titolo avrebbe tratto in inganno. Il testo di Battiato non parla di popoli in fuga e di una tragedia umanitaria, la sua è una riflessione spirituale su una ricerca di una «terra senza confini» dove «la vita non finisce, è come il sonno» e in cui «torneremo ancora». Battiato non era alla presentazione, ma nelle note c’è una dichiarazione a lui attribuita: «Da anni ho lavorato sulla conoscenza del mistero insondabile del passaggio. “Torneremo ancora” ne è una ulteriore testimonianza». Sul perché non ci sia ulteriore materiale in archivio, la spiegazione di Cattini rimanda al modus operandi sistematico di Battiato: «Non scriveva quando l’ispirazione gli arrivava in sogno, ma quando doveva preparare un nuovo album». In realtà esiste un’altra canzone, scritta con Roberto Ferri e pensata per Tiziano Ferro, di cui Battiato ha inciso, conferma Cattini, la voce guida. Ferri è stato anche il primo a raccontare delle difficoltà di salute di Battiato e ha rilasciato dichiarazioni ostili a questo progetto («Hanno voluto tirare fuori qualcosa per tenere vivo quello che, purtroppo, è già morto»). Sui social qualche fan ha chiesto rispetto per la privacy dell’artista. Risponde indirettamente Pino «Pinaxa» Pischetola, soundengineer che collabora con il cantautore da 20 anni: «Rispetto al passato ci sono state due differenze in questo progetto: Franco non è venuto a Londra per la registrazione dell’orchestra e invece che fare i mix finali assieme a me Milano glieli ho portati da sentire a casa sua a Milo. L’ho visto commosso in quell’occasione. Quando penso a quel momento vanno via tutte le polemiche che si leggono in giro». I cassetti musicali di Battiato sono quindi vuoti. La sua creatività aveva però altri sbocchi. «C’è una sceneggiatura cinematografica, realizzata con Francesco Martinotti, su Handel — conferma cattini —. Franco negli ultimi anni ha letto 18 libri sul compositore barocco, ma non è una semplice biografia. È una storia in cui c’è anche un versante romanzato».
Marco Molendini per Dagospia il 15 ottobre 2019. C'è qualcosa che disturba attorno al nuovo (in questo modo è stato lanciato) disco di Franco Battiato. Qualcosa che stona. Ora tutti sappiamo, purtroppo, che Franco non sta bene, se ne parla da tempo, la famiglia ha opposto una fiera coltre di protezione che rispetta il carattere del cantautore più schivo del pop nazionale, ha combattuto le speculazioni, le rivelazioni, eccetera eccetera. Giustissimo, perfino nobile. E fa male Roberto Fabbri a continuare a sparare sulla croce rossa, con frasi pesanti e davvero inutili come ha fatto in queste ore dicendo «cercano di tenere in vita qualcosa che è già morto», vale a dire insistendo sulle voci che legano il destino di Battiato all'Alzheimer. Una delle regole della comunicazione insegna che più si oppone il velo del mistero, più aumenta la curiosità. Insomma, bastava fare da parte della famiglia Battiato una dichiarazione secca, sincera, senza bisogno di entrare nei particolari, senza bisogno neppure di stare a fare previsioni sul futuro. Ma, se si decide di pubblicare un album a nome suo, sempre per rispetto nei confronti dell'artista, ma anche del popolo dei suoi ascoltatori bisogna evitare che il non detto diventi ambiguità. Non è corretto lanciare un album registrato dal vivo un paio di anni fa, durante quella che è stata sua ultima tournèe, fatta con la Royal Philarmonic Concert Orchestra, come un nuovo progetto dell'artista basandosi sul fatto che a completare il disco ci sia un inedito. Che poi è nuovo fino a un certo punto, perché è la rielaborazione di una canzone di anni fa, un pezzo classico alla Battiato, etereo, spirituale, con la sua voce che si sente netta e distinta, ancora capace di fascino, ma che non nasconde di avere delle incertezze. Non si sa quando il pezzo sia stato registrato e nessuno ha, per ora, spiegato in che modo Franco abbia potuto partecipare al missaggio finale della canzone firmata con Juri Camisasca. Anche il fatto stesso di ribattezzarla ‘’Torneremo ancora’’, il titolo originale era ‘’I migranti di Ganden’’, sa di desiderio di alimentare la speranza e di lasciare una finestra aperta sul futuro. Tanto più che il testo, è giocato sul mito della reincarnazione tanto caro a Franco. Oltretutto, ad anticipare l'uscita, è stata pubblicata una foto di Battiato che non dice nulla: lo si vede seduto di profilo alla scrivania con Pino Pischetola che lo guarda: come dire, il maestro è al lavoro. Circostanza suffragata dalla frase di Franco che accompagna l'album: «Nelle versioni con la Royal Philharmonic Concert Orchestra ho trovato nel suono, nel colore quasi metafisico che si è generato, ulteriori stimoli per scavare più in profondità». E confermata dal corredo di una testimonianza del maestro Guaitoli, che ha diretto l'orchestra, che dice di «aver visto Franco stesso commuoversi durante l’ascolto finale dell’intero disco». Non abbiamo motivo di dubitarne. E l'ottimismo non è un peccato, l'opportunismo però può esserlo, specie se si basa sul filo emotivo del mistero che avvolge lo stato di salute di un personaggio carismatico come Franco Battiato. Quanto al live, è ovviamente l'occasione per mettere in fila tutte le sue grandi canzoni, capolavori che vanno da ‘’La cura’’ a ‘’L'era del cighiale bianco’’, tutti pezzi di cui esistono varie versioni e di cui certamente queste non sono le migliori, anche perché sono palesi i segni di stanchezza e di incertezza nella voce, come erano percepibili in quei concerti e come sarebbe stato difficile cancellare.
Ma al riservatissimo Battiato piacciono tutte queste parole su come sta Battiato? Mentre esce il nuovo disco, il Maestro si ritrova al centro di illazioni e litigi. Paolo Giordano, Venerdì 18/10/2019, su Il Giornale. Ma siamo sicuri che a Battiato piacerebbe tutto questo chiacchiericcio sulla sua salute? Lui, uno degli artisti più riservati di sempre, uno che quel poco che ha detto di sé, lo ha sempre detto con un filo di misteriosa ironia? L'uscita del disco Torneremo ancora ha riaperto i rubinetti delle polemiche, delle accuse, dei si sa ma non si dice, insomma il cinico rituale che di solito accompagna la scomparsa di un personaggio pubblico. E invece Franco Battiato, 74 anni, è ancora vivo, seppure distante, e non in buone condizioni di salute. Prima che uscisse il disco, il musicista e sedicente collaboratore Roberto Ferri annuncia che «cercano di tenere in vita qualcosa che è già morto», ma poi parla «per amore di verità», spiega che «voglio avere rispetto» e, già che c'è, conferma l'esistenza di un brano inedito che «per ora» non pensa di pubblicare. Tutto come se Battiato non ci fosse più. Invece no. Nel corso della presentazione del disco, il manager Franz Cattini ha detto che «non possiamo dire che (Battiato) stia male. Quando lo sentiamo e glielo chiediamo, dice di stare bene. Ma non sta sufficientemente bene da essere qui a parlare con noi". Poi però ha confermato che «non c'è più nulla nei cassetti. Direi che questo è l'ultimo album di Franco Battiato». Amen. Però lui c'è. Il video che è stato proiettato durante la presentazione lo mostra dimagrito, quasi provato, lo sguardo dimesso, quasi spento, i capelli più radi e ingrigiti di quelli che aveva nelle sue ultime apparizioni pubbliche. L'audio è silenziato ma si vede lui che si confronta con i collaboratori vestito da una camicia bianca e un foulard al collo nella sua casa di Milo vicino all'Etna. A occhio e croce, una scena come un'altra, ma con un retrogusto quasi spettrale. Nel frattempo, sui social i fan si sono scatenati chi a favore e chi contro questa scelta di parlare di Battiato senza Battiato mentre Battiato «sta bene ma non abbastanza bene» e «questo è l'ultimo album» ma forse c'è un brano inedito che risulta depositato alla Siae ma non risultano conferme ufficiali del suo entourage. Come se non bastasse, sempre Fanpage.it (che aveva intervistato Ferri) ha parlato con il fratello dell'artista sofferente, ossia Michele, uno al quale va riconosciuto un grande riserbo negli anni ma che adesso si ritrova a confermare la «messa in vendita della casa» di Franco perché «io devo pensare anche al futuro». In poche parole, in questi pochi anni di assenza dalle scene si è parlato delle vita privata di Franco Battiato molto di più di quanto si sia fatto in tutta la sua carriera iniziata verso la metà degli anni Sessanta. Gli piacerebbe? Difficile crederci. Anzi, per quanto ha dimostrato in quasi mezzo secolo con i suoi testi e il continuo bisogno di riservatezza, tutte queste chiacchiere gli farebbero orrore e probabilmente le riassumerebbe con qualche feroce ironia delle sue, sperando che lo spettacolino si sia concluso.
COME STA FRANCO BATTIATO? Da Corriere.it il 20 Agosto 2019.
Le preoccupazioni. Da oltre un anno si rincorrono voci e speculazioni sulle condizioni di salute di Franco Battiato, da quando, l’estate scorsa, un post su Facebook (poi rimosso) dell’amico e collega Roberto Ferri, aveva destato molta preoccupazione, alludendo a una possibile grave malattia del maestro catanese. Le persone vicine al cantautore hanno sempre chiesto riserbo per tutelare la privacy dell’artista che non compare in pubblico dal 2017. Ma è poi stato lo stesso Battiato a rassicurare i suoi fan, tornando sui social con delle foto e, a marzo 2019, con una nota in cui raccontava di stare meglio. In questi giorni si è tornato a parlare di lui per la possibile pubblicazione di un disco e per una vendita, poi smentita, della sua casa di Milo.
La vendita della casa. Negli ultimi giorni in rete sono state pubblicate indiscrezioni riguardanti una possibile vendita della casa di Milo di Franco Battiato dovute a degli annunci immobiliari che, a quanto sembra, nei mesi scorsi proponevano in vendita una villa identificabile con la residenza del cantautore. Sulla vicenda è intervenuto anche il sindaco di Milo che presiede il comitato «Milo e Franco Battiato» e che si era detto disposto ad acquistare l’immobile per preservarlo e farne una casa museo, lanciando anche una petizione su change.org.
La smentita. Lunedì, invece, è arrivata la smentita ufficiale: la casa di Milo non è in vendita. L’ufficio stampa di Franco Battiato ha fatto sapere che ogni altra notizia è priva di fondamento, smentendo categoricamente la vendita e mettendo fine ai rumors.
Il nuovo disco. Secondo quanto riporta il sito RagusaNews, invece, sarebbe in arrivo un’uscita discografica: un nuovo album di Franco Battiato dovrebbe uscire a ottobre e conterrebbe i brani eseguiti dal vivo con la Royal Philharmonic Concert Orchestra, oltre a un inedito, risalente però al 2015. A occuparsi della pubblicazione, spiega ancora RagusaNews, sarebbe la famiglia del cantautore.
Come sta. Ma come sta Franco Battiato? Gli ultimi aggiornamenti sulle sue condizioni di salute risalgono a marzo e li ha dati lui stesso in una nota che ha rilasciato in occasione dei 20 anni del suo disco «Fleurs» che è stato ripubblicato in edizione limitata in vinile. Battiato, 74 anni, ha scritto: «A chi mi chiede della mia salute dico che il peggio è passato. Ora va molto meglio, sono tornato a mio agio con la pittura e talvolta mi siedo al pianoforte. Oggi sto lavorando ad un brano nuovo». Parole rassicuranti, a cui finora non è stato aggiunto niente altro.
Estratto dell’articolo di Ernesto Assante per “la Repubblica” il 19 Agosto 2019. Il futuro della casa di Franco Battiato a Milo è oggetto di una piccola ma animata battaglia tra la famiglia di Battiato e un comitato, "Milo e Franco Battiato", presieduto dal Sindaco di Milo, Alfio Cosentino. Mesi fa su alcuni siti immobiliari erano apparsi degli annunci in cui la casa di Battiato sembrava essere stata messa in vendita, annunci che avevano immediatamente scatenato la reazione di appassionati, fan, amici, preoccupati per il destino di "Villa Grazia" (dal nome della madre di Battiato), situata nella frazione di Praino. Alcuni, capitanati dal giornalista Franco Zanetti di Rockol avevano addirittura chiesto l' intervento della Siae per acquistare la casa, scatenando addirittura una petizione su Change.org: "In un paese come la Francia", ha scritto Zanetti, "interverrebbe lo Stato per impedire che un' abitazione di grande valenza culturale come è la casa di Franco Battiato finisse nelle mani di qualcuno che non sappia valorizzarla. Penso all' Espace Georges Brassens a Séte, un museo interattivo meta di migliaia di visitatori. Chi, in Italia, potrebbe essere chiamato a compiere un gesto di mecenatismo culturale? Penso alla SIAE, che potrebbe acquisire la proprietà dell'abitazione, consentendo a Battiato di abitarla finché sarà in vita e poi farne un archivio-museo delle opere dell' artista". «Noi, allora», dice il Sindaco di Milo, «abbiamo realizzato questo comitato con lo scopo di creare una fondazione che abbia come obbiettivo quello di far risaltare il legame tra Franco Battiato e il territorio in cui ha vissuto una grande parte della sua vita. Nel momento in cui la casa viene messa in vendita la fondazione vorrebbe essere l' interlocutore privilegiato ». Ma la casa, dice il fratello di Battiato, Michele, "non è in vendita", e gli annunci sono infatti scomparsi: «È tutto nato per un' equivoco, la casa resta di Franco, non c' è nessun progetto in tal senso». Anche se alcuni dei vecchi annunci usciti in primavera sono ancora sulla rete. (…) «Proprio per il forte rapporto che lo ha legato a questa terra», dice ancora il sindaco di Milo, «vorremmo costruire una rete più ampia, abbiamo scritto una lettera a tutti i sindaci del territorio e a personalità del mondo della cultura e dello spettacolo per fare in modo che questo rapporto continui e venga esaltato». Ma i rapporti tra il comitato e la famiglia non sono buoni, le iniziative del comitato sono state prese, sottolinea il fratello del musicista, senza l' accordo della famiglia, «ma noi vorremmo», dice ancora il Sindaco, «che della fondazione facessero parte anche loro, crediamo che sia importante per tutti». (…) Le preoccupazioni dei colleghi e degli amici di Battiato negli ultimi tempi erano soprattutto dovute alle condizioni di salute del musicista siciliano, che ha attraversato un periodo molto difficile: negli ultimi due anni si è dovuto ritirare dalle scene per una serie di problemi di salute che, soprattutto negli ultimi tempi, sembrano essere finalmente superati, come testimoniano amici e colleghi che lo hanno incontrato negli ultimi giorni proprio nella casa di Milo. (…)
· Memo Remigi.
Memo Remigi smaschera Fabio Fazio: "Irriconoscente che se la tira, cosa dovete sapere". Alessandro Dell'Orto su Libero Quotidiano 4 Giugno 2019.
Memo Remigi, è ancora bello innamorarsi a Milano?
«Ah, non so: da 15 anni mi sono trasferito a Varese e la metropoli non mi manca poi così tanto. Milano ora è più ricca, più internazionale».
Ci torna spesso?
«Per prendere il treno e andare a Roma al programma Propaganda Live».
Già, ormai è un ospite fisso su LA7.
«Mi hanno chiamato la prima volta per farmi cantare "Innamorati a Milano" e non me ne sono più andato. Sono dei pazzi geniali, mi diverto: a 80 anni ho scoperto Twitter e che ci sono giovani che amano la satira politica, non solo il Grande Fratello e i reality».
Mica sarà diventato un simbolo della sinistra?
«Ma no, ha presente come mi vesto? Loro sono sempre in maglietta, io mi sono presentato in giacca e cravatta e non ho mai cambiato look: sembriamo i Ricchi e Poveri».
"Innamorati a Milano" l' ha rilanciata in tv a 54 anni di distanza.
«È da sempre il mio biglietto da visita».
Canzone memorabile. Come nasce?
«Merito di mia moglie Lucia. Ci conosciamo quando abbiamo 21 anni, io sto a Como e lei a Milano. Tutti i giorni vado a trovarla in treno e la grande città mi mette paura, ma allo stesso tempo mi incuriosisce. Tutti hanno fretta, c' è caos. Così nasce l' idea di raccontare questo nostro amore sotto il Duomo».
D' accordo, ma ci sarà stato un preciso momento in cui le è venuta l' idea?
«Studio del maestro Giovanni D' Anzi, facciamo il gioco delle rime. Ognuno dice una frase cazzeggiando finché a me viene: "Come è strano innamorarsi a Milano". Mi blocca. "Bella questa, lavoraci". Quando è pronta la ascolta e sentenzia: "Resterà nella storia come la mia O mia bela madunina". Aveva ragione».
Nel '76 il brano è la sigla di apertura e chiusura di Telemilano58, l' emittente di Berlusconi.
«Silvio mi invita ad Arcore, mi prende sotto braccio e va al pianoforte: "Mi consenta Memo, mi fa ascoltare Innamorati a Milano che è la mia canzone preferita?"».
Bel modo per conoscerlo.
«In realtà ci eravamo già incrociati quando non era ancora il vero Berlusconi».
Cioè?
«Metà anni '60, io ed Enrico Simonetti siamo ospiti delle navi da crociera italiane per esibirci nella serata del Gran Galà. Ogni pomeriggio, però, i turisti vengono intrattenuti da un gruppo musicale: al piano suona un certo Confalonieri e il cantante è un certo Berlusconi. Dopo qualche giorno li rivedo in un corridoio stanchi e faccio il gesto da lontano: vi state facendo un culo così, eh?».
Lei invece in quegli anni è già un artista affermato. Facciamo ancora un passo indietro, al piccolo Memo.
«Nasco a Erba il 27 maggio 1938 e da bambino sono un fanatico del pallone. Gioco nelle giovanili della Libertas Como e con me c' è un ragazzino che si chiama Gigi Meroni...».
È proprio lui?
«Lui. Poi passo al Como, ma sono troppo gracile e mio padre, per evitare che mi ammali, mi convince a sperimentare il golf. Sono bravo, arrivo fino in nazionale e giro il mondo».
Scusi, e la musica?
«Papà suona il piano e io lo accompagno con la fisarmonica, faccio dei concertini in casa. Ma ad un certo punto devo scegliere: lo sport o la canzone. E non ho dubbi».
Nel '66 si sposa con Lucia Russo.
«La conosco sui campi da golf e la rubo a un avversario. Per lei mi trasferisco a Milano: abbiamo un figlio e quattro nipoti e siamo ancora insieme dopo 53 anni».
Complimenti per la fedeltà. Scusi, perché questo sospiro?
«Beh, qualche scivolata l' ho fatta, ma mi ha sempre perdonato».
Ce ne è stata una più pericolosa delle altre?
«Barbara D' Urso. Lei aveva 20 anni, io 39: siamo stati insieme quattro anni. Era sveglia e le ho insegnato molto».
I giornali hanno raccontato anche di Catherine Spaak.
«C' è stato qualcosa su un set. Ma è meglio cambiare argomento...».
Memo, torniamo alla sua incredibile carriera. Musica, tv, radio, lei ha lavorato con tutti i più grandi. Qualcuno da ricordare?
«Bruno Lauzi, amico vero. Maestro di ironia anche nella difficoltà. Aveva il morbo di Parkinson e diceva: "A me piace il vino, ma da quando ho questa malattia ne bevo poco perché è più quello che verso a terra"».
Walter Chiari?
«Un genio. Lavoriamo insieme a Fantastico e ogni settimana viene da me per l' ispirazione: "Raccontami qualche barzelletta". Sceglie la migliore, la arricchisce e alla fine diventa il suo monologo di venti minuti, irresistibile».
Topo Gigio?
«Le racconto di adesso. Ogni tanto c' è qualche papà di 50 anni che mi ferma e chiede di fare Topo Gigio al figlio. "Ciao piccolo, ma cosa mi dici mai?". E il bimbo mi guarda come per dire: "Ma chi è questo cretino?"».
Lei ha conosciuto il primissimo Fabio Fazio, vero?
«Lavoravamo al "Loretta Goggi Quiz", era agli inizi e faceva l' imitatore. Veniva da Savona in treno, si cambiava a casa mia ed era sempre mio ospite. Ora se la tira: in 35 anni mi ha chiamato solo una volta. Un vero irriconoscente».
Memo, lei ha appena compiuto 81 anni, ma non sembra aver voglia di fermarsi. Ha altri progetti?
«Ho girato il film "Se mi vuoi bene" di Fausto Brizzi, con Claudio Bisio e Sergio Rubini. Uscirà il 17 ottobre: io faccio il padre di Bisio, un maestro di tennis. Poi ci sono i concerti».
Va ancora in tour?
«Sì, ma mentre i miei colleghi si esibiscono negli stadi e nei teatri, io giro per case di riposo ed è un successo strepitoso. L' ultima volta chiedo a una tizia in sedia a rotelle: "Come ti chiami?". "Pina". E io, trattandola come una vecchietta ormai mezza rimbambita: "Pina, quanti anni hai?". Lei, brillantissima: "78!". Ops...».
· Quelli di Propaganda Live.
"Ci siamo organizzati senza di lui". Caos a Propaganda live per l’assenza di Mirko Matteucci. Ci sono molte questioni insolute a Propaganda Live per l'assenza di Mirko Matteucci, il quale per ora sembra non essere intenzionato a tornare su La 7, Carlo Lanna, Sabato 28/09/2019, su Il Giornale. Il celebre Mirko Matteucci, in arte Missuori 4, è stato uno dei volti più apprezzati di Propaganda Live. A quanto pare, la trasmissione di La 7, dovrà fare a meno del celebre conduttore, infatti nelle prime puntate della nuova edizione, la banda formata da Diego “Zoro” Bianchi, ha visto l’assenza di Missuori 4. Secondo le indiscrezioni trapelate da Next Quotidiano, non ci sarebbe nessuna scissione all’interno di Propaganda Live, la decisione è stata presa solo ed esclusivamente di Mirko Matteucci. "Noi abbiamo pensato che prima o poi sarebbe tornato in trasmissione, anche se in estate le sue affermazioni sono state molto precise – afferma Zoro -. Noi ci siamo organizzati senza di lui ma gli abbiamo lasciato la sedia libera e vuota. Purtroppo non si è presentato neanche nella seconda puntata. Speriamo che possa ravvedersi". Dalle parole si intuisce chiaramente come il programma continuerà senza la presenza di Mirko Matteucci, anche se pesa molto la sua assenza. "Abbiamo smesso di cercarlo anche perché in giro ci sono molti top player. Gli auguriamo tanta felicità e pace interiore", continua Zoro. La sua assenza, almeno fino a ora, è senza una giusta spiegazione, e Leonardo Parata che seguiva Matteucci nelle inchieste, resta da solo. Gli spettatori però vogliano una risposta e su Twitter chiedono una spiegazione, ma nessuno osa aprire l’argomento dato che deve essere Mirko a spiegare i reali motivi.
Propaganda Live, Mirko Matteucci tranquillizza i fan: «Ho perso un po’ di pace interiore, ma sto alla grande». Pubblicato venerdì, 04 ottobre 2019 da Corriere.it. «Rompo il silenzio social e chiedo subito scusa a voi perché v’ho fatto preoccupà!» È con un breve videomessaggio su Instagram e Twitter che Mirko Matteucci, alias Missouri 4, torna a parlare ai suoi follower dopo settimane di incertezza in merito alle ragioni della sua assenza nelle prime puntate di Propaganda Live, su La7. Il tassista-opinionista, tuttavia, rimane sul vago, e in terza persona afferma: «Quando Missouri 4 perde un po’ di pace interiore me se chiude a riccio, me diventa intimista, meditativo, sta cercando di capire quello che vorrà fà da grande». Nessuna spaccatura dunque con il programma - «Propaganda Live per me è sempre stata e sempre rimarrà una grande famiglia» -, ma un periodo complicato che sembra ormai alle spalle. «Grazie a tutti veramente - ha detto - io sto alla stragrandissima, pace interiore, il vostro affetto mi sta aiutando moltissimo». Di fatto, il messaggio di Matteucci sembra avvalorare quanto raccontato la scorsa settimana dal conduttore Zoro: «Mirko Matteucci - aveva spiegato in diretta - non s’è più sentito, finché non ha detto: “Organizzatevi senza di me”. E noi abbiamo pensato che comunque sarebbe arrivato lo stesso alla prima puntata. Noi ci siamo organizzati senza di lui, abbiamo lasciato la sedia vuota, non è venuto nemmeno alla seconda puntata. Da parte sua nessun ravvedimento, pensiero verso questa squadra che l’ha fatto diventare un top player. Ma la squadra si deve organizzare anche senza di lui e abbiamo smesso di cercarlo anche perché ci sono tanti top player. E quindi gli auguriamo tanta felicità e tanta pace interiore». Se da una parte, considerate le parole di Zoro, un ritorno di Missouri 4 a Propaganda Live appare alquanto improbabile, dall’altro il videomessaggio odierno ha fatto tirare un sospiro di sollievo ai suoi fan. Di lui, infatti, non si avevano più notizie da mesi: l’ultimo post su Instagram risaliva al 30 maggio, l’ultimo retweet di Twitter al 27 giugno. Ora un nuovo inizio. Da dove?
· Milva ne fa 80.
Milva 80. Mario Luzzatto Fegiz per il “Corriere della Sera” il 18 luglio 2019. Ilva Biolcati, in arte Milva, compie oggi 80 anni. Assieme a Mina e Ornella Vanoni è una delle più grandi cantanti italiane. Per estensione vocale, per varietà di repertorio e per un intrinseco talento. Stupiva la sua capacità di incantare il pubblico tedesco con i Lied cantati in lingua originale. Lucida, disturbata da due fratture del femore, esce poco. Milva, nata a Goro, un paesino del delta padano, (da cui l' attributo «La pantera di Goro») è stata tra i protagonisti di Sanremo e di importanti palcoscenici nel mondo. A Milano era la beniamina di Paolo Grassi e Giorgio Strehler, ma anche la preferita della sinistra italiana e internazionale: amica di Teodorakis, di Luciano Berio, interprete brechtiana per eccellenza. Ha avuto onorificenze in Francia, in Germania e in Italia. Raiuno la celebra stasera a Techetecheté , Goro la festeggia sabato 20. Per i suoi 80 anni Milva ha concesso un' intervista al Corriere , aiutata dalla figlia Martina e da Edith, la sua assistente.
Ha appena acceso una sigaretta. Irriducibile?
«Mi dà piacere fumare».
A parte il fumo che cosa le dà ancora emozioni?
«Fumare non è un' emozione, è solo un piacere, un piccolo vizio se vuole. Trovo delle emozioni nella musica, in un' opera d' arte, nell'affetto profondo dei miei familiari e nelle persone che mi sono vicine, nei tortellini come li faceva mia madre e nel dormire bene».
Quali figure sono state determinanti per la sua vita artistica?
«Parecchie ma in fondo non moltissime: mio marito, Maurizio Corgnati; il regista Giorgio Strehler; Astor Piazzolla e, per altri versi, Franco Battiato, Enzo Jannacci e Luciano Berio. Un' altra persona alla quale devo molto è Klaus Ebert, il mio primo produttore discografico in Germania e alcuni altri».
Chi è stato fondamentale nella sua vita privata?
«Mia mamma Noemi (mi ricordo di lei tutti i giorni e la sua presenza mi manca ancora); Madre Giannina: ero una bambina nel periodo che ho passato a Bassano del Grappa in collegio dalle suore Canossiane; Madre Teresa che mi ha insegnato a suonare l' organo e il pianoforte; mia sorella Luciana che è sempre stata con me soprattutto agli inizi della mia carriera; mio marito Maurizio; mia figlia Martina... forse non è stato facile quando lei era piccola ma siamo sempre state profondamente unite; Massimo Gallerani, con cui ho avuto una lunga storia, importante; e la mia assistente Edith Meier, alla quale sono molto legata».
Come è riuscita a cantare i «lied» meglio dei tedeschi?
«Non lo so, non so se sia meglio l' ho fatto a mio modo, con un calore e un coinvolgimento che a me era indispensabile e che forse era diverso».
Le manca il palcoscenico?
«Sempre e mai. Fra i sogni, qualche volta è un incubo ma anche un bisogno e una missione che, a mio modo, credo di aver compiuto».
Come ha visto cambiare negli anni in teatro e la canzone italiana?
«E' cambiata, ma non saprei dire con esattezza in che modo. Penso che oggi come allora ci siano dei grandi talenti. Dei giovani mi piace Francesco Gabbani che riesce ancora a divertirmi, Laura Pausini e pochi altri».
Lei è stata attrice e cantante molto versatile, da Battiato a Strehler. Ma c' è qualcosa che ha prevalso nei suoi gusti personali?
«Sono lusingata di aver collaborato con grandi personaggi e uomini di cultura come Strehler o Werner Herzog però io ho sempre fatto quello che mi piaceva, che mi sembrava importante e, comunque, nel mio gusto. La buona musica mi ha sempre raggiunta nel più profondo dell' anima e ho cercato di renderle giustizia con la mia voce. Interpretare è amare».
Guarda la tv?
«Guardo poco la televisione, soprattutto dei buoni film ma anche tanti documentari su luoghi che magari ho attraversato senza vederli davvero. E poi arte, tanta arte».
Un consiglio alle nuove generazioni...
«Rischiare, essere ambiziosi, andare fino in fondo. Come il messaggio che ho voluto mia figlia portasse a Sanremo: "Gli artisti spazzano via la polvere dalla vita degli uomini ma perché questo accada l' arte deve essere continua ricerca. Bisogna studiare, attingere dal passato e modellare il sentimento, le emozioni e il gusto del presente».
Che cosa significa per lei la vecchiaia?
«I pregi, a dire il vero, sono davvero pochi. Ma forse c' è più tempo per ricreare equilibri, fare valutazioni, assaporare il vissuto, arrivare a una saggezza».
Come si sente?
«Sempre in bilico, indecisa su tutto, come 60 anni fa, quando iniziai la mia carriera. Sono onorata che Goro, il paese dove sono nata, il 20 luglio dedicherà a me una giornata con degli artisti locali».
Rimpianti?
«Keine Stunde, tut mir Leid . È il titolo di un mio cavallo di battaglia (di Peter Maffay e Burkhard Brozat) , l'ho cantato tantissime volte in Germania Vuol dire: "Nemmeno un' ora rimpiango"».
· Ornella Vanoni: ragazza irresistibile.
Valeria Morini per fanpage.it il 3 dicembre 2019. Domenica 1 dicembre è andata in onda la prima puntata di "In arte", il nuovo programma di Rai3 con Pino Strabioli. Nel primo dei due appuntamenti previsti, il conduttore si è dedicato alla grande Ornella Vanoni, mescolando filmati di repertorio a una splendida intervista. Autoironica e sarcastica come sempre, la cantante ha regalato un'ora e mezza di meraviglia, che avrebbe certamente meritato di più rispetto al misero 2,7% di share raccolto agli ascolti tv. Ho una testa libera ormai, completamente a mio agio con me stessa. Sono contenta di aver raggiunto tutto questo. Da anni non ho un compagno e non è male. La morte? Non ne ho paura: ho attraversato la tisi, la guerra, un sacco di cose. Ci sono tanti modi per morire.
Le perle di Ornella Vanoni. Nel corso dell'intervista all'interno di "In arte" (che l'8 dicembre continuerà con uno speciale su Gianna Nannini), la Vanoni ha alternato gli aneddoti su una carriera leggendaria ad alcune perle strepitose: da "Faccio ancora la pipì nei prati" a "Ho scritto i miei testi, non la musica. Magari sapessi la musica, non sono mica Lady Gaga" e "Io definita ‘chiappe d'oro'? Sì, ero mica male". Dalla rivelazione sulla genesi del verso ‘Cocca polpa d'albicocca' di "Vai Valentina" (nata "Una volta che sono andata a fare la pipì") alla battuta sulla sua adorata barboncina, al suo fianco per tutta l'intervista: "La prima volta che ho voluto darle un croccantino, non distinguevo il davanti e il dietro. Volevo infilarglielo da… dietro". La cantante ha inoltre svelato senza remore di fare uso di marijuana da decenni: Mi faccio una canna prima di andare a dormire. Un giorno mi hanno fatto fumare una canna, erano anni che non dormivo e quella notte ho dormito. Ho pensato: vuoi vedere che è la mia medicina? Il mio psichiatra dice che va bene: "Ormai sono 55 anni che te le fai". Quindi devo trovare delle badanti che rollano.
Sugli amori con Giorgio Strehler e Gino Paoli. "Giorgio Strehler è stato l'uomo che mi ha amato di più", ha dichiarato la cantante parlando della sua relazione con il celebre regista teatrale, "Non mi ha mai perdonato di essere diventata famosa. Ci riparlammo ma non volevo più tornare con lui". L'altra grande storia d'amore della sua vita è stata quella con Gino Paoli: Io non ne posso più di parlare di Gino. L'ho amato, ok. Lui mi ha amata? Sì, quindi chiedete a lui ogni tanto di parlare di me. Al nostro primo incontro mi avevano detto che fosse gay. Noi due eravamo strani, io sempre vestita di nero sempre, e lui pure, quando ci incontriamo mi dicono "lui è fr…." e lui chiede "quella rossa là, è lesbica? E poi porta male, è la cantante della mala. Mi scrive Senza fine. Ci sediamo su un muretto e gli chiedo: "Ma non sei fr…?" Lui: "Io?". Io ho cercato in un uomo la protezione che mi dava mio padre, ma quest'uomo non c'è.
La frecciatina su Mina. Bellissime le parole della Vanoni su colleghi come Umberto Bindi ("Ha sofferto per la sua omosessualità. Se Califano era sicuro di sé, lui era timido. Ecco, è stato un po' abbandonato") e Lucio Dalla ("Per me Lucio non è mai andato via, rimane il più grande di tutti, non c’è discussione"). Non poteva infine mancare una battuta sull'eterna rivalità con Mina, di cui è riuscita a eguagliare la popolarità solo con il successo de "L'appuntamento". Brano che oggi canta svogliatamente. Lei ha portato la gioia nella musica, e io… Cosa ho portato? Lei andava avanti e io no! Lei era popolare, io ero sofisticata. Finché non ho cantato L'appuntamento. Mi "costringono" a cantarla ancora in concerto, io faccio sempre un gioco: dico "Non la canto!". "Domani è un un altro giorno" la sento più mia.
Ornella Vanoni e gli altri ragazzi irresistibili: ogni programma ha un cantante in quota cento. E poi l'onnipresente Al Bano, l'elegante Remigi... Fateci caso: ormai non esiste una trasmissione che non ospiti una vecchia gloria musicale. Tra tenerezza diffusa e briciole di preziosa memoria. Con qualche (triste) eccezione, scrive Betrice Dondi il 25 marzo 2019 su L'Espresso. Mentre il mondo tenta di darsi una svegliata grazie a una meravigliosa ragazzina con le trecce, la nostra tv si abbarbica con le unghie e con i denti alle vecchie glorie. Possibilmente dotate di ugola d’oro dei tempi che furono. L’elenco parla da sé: vuoi per sincero rimpianto, vuoi per quella pigrizia endemica che permette agli autori di seppellire chissà dove il seme della curiosità, non c’è programma, show o talk che non chieda almeno un contributo a un cantante dall’esordio in bianco e nero, quasi che nel Paese assorto in un triste silenzio ideativo la nostalgia sia capace di evocare quantomeno una nota di colore. Così Memo Remigi è l’elegante, Iva Zanicchi l’opinionista, Shel Shapiro il giurato. Da La 7 a Rai Uno. Ad Al Bano invece, visto che è stato negato l’ingresso in Ucraina, sono state spalancate le porte più o meno di qualunque altro studio a dimostrazione che la quota cento in realtà è più simile ai lavori forzati di quanto si voglia credere. Intanto mentre Fausto Leali regala acuti, la deriva trash naufragata sull’isola dei non famosi ha avuto bisogno della pubblica umiliazione a carico di Riccardo Fogli, amabile ex Pooh ridotto a pelle e riso. Amadeus invece è passato in cassa a riscuotere il meritato frutto del duro lavoro dopo aver messo insieme l’italiano vero di Toto Cutugno, le mossette ibernate della brunetta dei Ricchi e Poveri e i gorgheggi dell’onnipresente Orietta. Dopo anni di effetto annuncio Adriano Celentano ha tenuto sulle spine il suo pubblico nascondendosi dietro i muscoli di un cartone, mentre Canzian detto Red occupa gli studi saltellando da un’intervista all’altra. Infine c’è lei, divina tra le divine, la signora Vanoni da Milano. Tornata alla ribalta dopo un’apparizione folgorante a Sanremo in cui è riuscita in una sola arricciata di labbra a far sbellicare sanamente ben più della comica titolare, Ornella è contesa come una star della prima ora, e pazienza se le scappa un pisolino a metà serata. Il suo bacio con Patty Pravo ha oscurato Madonna e le sue sorelle, cancellando in un battito di ciglia la sua data di nascita ferma al secolo scorso solo per vezzo. Alla fine l’effetto che resta di questo desiderio spasmodico da revival più che della polvere sui trumeau è quello della tenerezza diffusa, briciole di preziosa memoria lasciate sulla tavola comune da chi a buon diritto sa che ormai può dire ciò che vuole. Perché come “I ragazzi irresistibili”, ogni aneddoto e ditata sulla giacca altrui gli verrà perdonato con l’indulgenza che merita. A meno che non abbia chiesto un martello troppo a lungo. E abbia deciso di usarlo a caso, in testa a chi non gli va.
Ornella Vanoni: "Quando morirò scriveranno due cazzate su di me e poi puff". La cantante compie 85 anni il 22 settembre e in un’intervista a “Vanity Fair” rivela: “Quando morirò venderanno due dischi, scriveranno due cagate su di me e poi puff sparisci”. Alessandro Zoppo, Mercoledì 11/09/2019, su Il Giornale. Ornella Vanoni compirà 85 anni il 22 settembre 2019. Ora che ha “l’età per essere libera”, la cantante si racconta in un’intervista a Vanity Fair, nella quale ripercorre le sue canzoni, i suoi amori, la sua vita e i suoi demoni privati. “Da ragazza – racconta la divina Ornella – mi infiammavo per una sciocchezza. Oggi non ne ho più voglia, vivo molto meglio e voglio ridere... In questo mondo di me**a ridere è il bene più prezioso che ci resti”. “Da giovane ero timidissima – spiega la cantante – a causa di un’insicurezza cronica, ho fatto fatica. Arrossivo e cercavo la mia identità tra un silenzio e un azzardo. A 15 anni mi rasai a zero e mi feci bionda. Dormivo poco. Mi facevo schifo. Avevo paura... Era genetica, delle stesse paure soffriva mio padre”. Una delle sue paure più grandi è il denaro. “Ho lavorato tantissimo – confessa la Vanoni – e oggi dovrei essere ricca. Invece di soldi non mi sono mai occupata, non ho mai controllato i conti, ho dato carta bianca a una banca che mi ha fregato 4 miliardi di lire e ho dissipato tutto quel che ho guadagnato. Sono stata una cretina e mi si è rivelata una verità: quando hai paura di qualcosa la perdi”. Da Gino Paoli a Giorgio Strehler, sono stati folgoranti i suoi grandi amori. Degli anni vissuti accanto al regista teatrale, ricorda anche i vizi e gli eccessi. “Adesso la sera – rivela la cantante – fumo una canna prima di addormentarmi. Mi serve per dormire”. Icona della musica italiana e interprete straordinaria, Ornella Vanoni non si tira indietro quando deve dire la sua sulle femministe di oggi. “Esistono le donne che ce l’hanno fatta – dichiara convinta – e sono molte, anche se non si può certo dire che in assoluto la donna viva un gran momento. Chiede all’uomo cose inutili: ‘Quanto guadagni?’ o ‘Che lavoro fai?’, e intanto avanza un esercito di pseudomodelle magre se non anoressiche, sempre arrabbiate perché non mangiano, davanti al quale il maschio fugge sollevato [...] poi ci stupiamo che siano diventati tutti froci. Io dico che è normale, donne così farebbero fuggire chiunque”. Dopo aver sofferto di depressione, la Vanoni non ha paura delle morte. “Quando morirò – conclude ironica come suo solito – venderanno due dischi, scriveranno due cagate su di me e poi puff sparisci”.
Da Dagospia il il 27 marzo 2019. “Grande grande grande? La rifiutai perché la ritenevo troppo volgare, si capiva benissimo a cosa alludeva… Un convoglio, una littorina” A “Il Rosario della Sera”, su Radio Deejay, Ornella Vanoni racconta a Fiorello perché non incise il brano scritto da Tony Renis nel 1966 e reso celebre da Mina. La “signora della musica italiana” (“Mi chiamava così Mike Bongiorno, mi dà un fastidio…”) ricorda quando recitò, da milanese doc in “Rugantino” e le lezioni di romanesco prese da Aldo Fabrizi: “Tutti oggi si lamentano di Roma ma non rompano le palle con ‘sta monnezza. La bellezza della città ripaga di tutto”. E “Tutto il resto è noia”. Ma con Califano non c’è stato nulla: “Non ci sono mai andata a letto. Perché impossibile? La dovevo dar via come un frisbee? E non ero neanche male…” La Vanoni vola leggera con Fiorello tra “canzoni short” (meraviglioso il duetto sulle note di “Io più te”), amarcord e aneddoti. “Gino Paoli? Ci sono stata abbastanza per soffrire come un cane. La sua canzone più bella? Averti addosso”. Ma Ornella ricorda anche l’amore “scandaloso” con Strehler (“Mi seguì per un anno, io prendevo il tram e lui dietro con la macchina…”), una chicca sulla rima “cocca, polpa di albicocca” di “Vai, Valentina” nata mentre era “a fare la pipì”. Finale con un flash-back sulle scorribande in macchina con Renato Zero. “Una volta ci fermano due sorcini. Uno gli fa: Quando ti posso vedere dal vivo? Risposta: ‘A Nì, più vivo de così”…
Selvaggia Lucarelli per il Fatto Quotidiano il 27 marzo 2019. Si invecchia in tanti modi e quale sia il migliore non si è mai capito. C' è chi si oppone stoicamente al tempo che passa e si rompe il femore lanciandosi col parapendio. C' è chi asseconda le pieghe e gli acciacchi e mette su lo sguardo fatalista dell' accettazione. C' è chi si incazza perché questa cosa di invecchiare è una vigliaccata della biologia e diventa il vicino che fruga nell' immondizia per scovare il condomino che butta la carta nella plastica. C' è chi si isola e trova il suo tempo, chi gira il mondo perché c' è poco tempo, chi compra il passeggino per cani, chi fa il genitore coi nipotini, chi prende il viagra dalla scatola o l' ostia dal prete per la prima volta. Poi, in una bolla sospesa, isolata dalle cose terrene, c' è Ornella Vanoni. Lei. La donna dai tanti talenti che con un colpo di coda inatteso, alla rispettabile età di 84 anni, afferra l' ultimo dei talenti rimasti, quello più raro e inespugnabile, e lo fa suo. Ornella Vanoni s' è presa il talento di invecchiare bene. E non ci avrei scommesso un euro, qualche anno fa, quando l' ho vista per la prima volta stravolta dalla chirurgia, con i suoi spigoli arrotondati, i suoi incavi riempiti, con la sua unicità piegata a quello standard estetico di chi fa la guerra al tempo. Pensavo che Ornella fosse destinata a diventare l' ombra malinconica di se stessa come certe dive aggrappate ai loro fotogrammi di 50 anni fa. Come la Loren e le sue scollature, la Lollobrigida e le sue cofane. Come la Bertè e le sue minigonne e i suoi capricci. O che si sarebbe riciclata come la Zanicchi, nel ruolo della vaiassa naïf in qualche salotto tv, che ora è così di moda. Oppure - ho pensato - tra un po' si eclisserà come Mina. "Mina non farti più vedere mi raccomando, rimani lì a Lugano, rimani il mito, la Madonna pellegrina che sei, rintanata nel tuo castello per sempre giovane e magra, almeno nei nostri ricordi!", disse una volta proprio la Zanicchi in tv, facendo un appello alla tigre di Cremona. Perché invecchiare dopo che sei stata Mina, dopo che sei stata Patty Pravo, dopo che sei stata Ornella Vanoni è mica un lavoro facile. E invece non avevo capito niente. Ornella stava prendendo le misure. Stava sbagliando, stava procedendo a tentoni, stava andando a tentativi. Il bisturi era il passaggio della paura. Poi è arrivato il coraggio. E Ornella Vanoni è diventata quella che è oggi, nella fase più genuina, anticonformista e scanzonata della sua carriera. Ornella, tanto per cominciare, non si è riciclata come altre. Si è scoperta. Lei che ha vissuto per decenni nelle vesti sofisticate della cantante ricercata, dell' ex compagna e musa di Strehler, della donna spigolosa, sensuale e austera, della donna dai travagli amorosi con i cantautori schivi alla Paoli e dalle rivalità feroci con le colleghe, si è spogliata di tutto per diventare improvvisamente simpatica. "Hai un gran talento ma non i nervi per fare questo mestiere" le disse molto tempo fa Strehler, alludendo al suo noto terrore di stare sul palco. La Vanoni ha sempre detto che il maestro aveva ragione, che per lei l' ansia da prestazione è sempre stata un inferno. Ecco, oggi a 84 anni Ornella sale sul palco e capisci che quell' ansia è passata. Che l' ha curata con la leggerezza e l' autoironia di chi invecchia divertendosi come i bambini, abolendo i filtri, parlando ad alta voce alle cerimonie, fregandosene dei cliché. Fingendosi rimbambita quando serve al gioco, ma tornando lucida un attimo dopo. A Sanremo, per dire, il suo siparietto con la Raffaele è stata la gag più riuscita di tutte le puntate e forse era la meno scritta. Ornella che rimprovera la sua imitatrice di dipingerla come una vecchia rimbambita sessuomane ed esclama quel "porca puttana!" che fa appassire i fiori del teatro e di tutte le serre di Sanremo, rimarrà nella storia della kermesse più della vittoria dei Jalisse. O della farfallina di Belen. Ornella che ironizza sulla sua presenza a titolo gratuito e prima di andarsene si rivolge alla Rai coi dirigenti incravattati in prima fila esclamando: "Questa volta sono venuta aggratis, ma che non diventi l' abitudine eh!" o che si presenta su quel palco col vestito dell' anno prima "Visto che dici che so' rincoglionita!" rimarrà uno spasso indimenticabile. Per non parlare del siparietto da Fazio con Patty Pravo. "Da quanto siete amiche?", chiede il conduttore. "Da mai!", risponde lei sbracata sulla sedia come se non fosse in tv ma davanti alla tv, sul divano, con la tisana e il barboncino sul grembo. E perfino il carisma della Pravo soccombe di fronte alla furia divertita della Vanoni che riesce ad inanellare una battuta dopo l' altra: "Fazio io sono qui ma non ho niente da presentare, se vuoi ti racconto una barzelletta!". "La Raffaele mi dipinge come una che la dà via come un frisbee", oppure, rivolta alla Pravo che raccontava di sue avventure in cammello: "Lei è un po' surreale, ama infiocchettare la realtà perché la realtà è banale, del resto non si fa selfie in questi viaggi, quindi non ci sono prove!". Infine, quando Fazio la invita a cantare perché "Ti ho vista da Amadeus e so che dopo le dieci di sera ti viene sonno", lei replica "Non avevo sonno, lì mi stavo annoiando". Perché sì, tra le altre cose la Vanoni, quest' anno, si è addormentata durante una puntata di Ora o mai più, una versione geriatrica di Amici dove cantanti il cui successo è ormai lontano si sfidano tra di loro. Lei era la maestra di Paolo Vallesi, uno a cui "La forza della vita" per star dietro all' imprevedibilità della Vanoni è servita tutta, ma che alla fine ha pure vinto. Inutile dire che la protagonista assoluta dello show è stata Ornella con i suoi cazziatoni al capro espiatorio di turno (Toto Cutugno), con le sue gag con il tablet, con le sue dichiarazioni senza fronzoli tipo quella riservata al povero Amedeo Minghi al quale serviva un' Ornella Vanoni per conoscere finalmente la verità dopo 30 anni: "Ma che è 'sto trottolino amoroso? Trottolino è una canzone per bambini, quale donna vuole un trottolino amoroso?". Non che l' amore per la verità, talvolta pecoreccia, a dire il vero le sia mai mancato. "Ho rifiutato Grande grande grande ai tempi nonostante mia madre mi dicesse di cantarla. Io le rispondevo 'dai avanti, si capisce a cosa allude' e alla fine se l' è presa Mina" o "Quando Gino Paoli mi vide per la prima volta gli dissero che ero la cantante della mala, portavo sfiga ed ero lesbica", ha detto. E ne continua a dire tante, mai banale, senza autocelebrarsi per quello che è stata ma raccontandosi per quello che è oggi. E cioè un capolavoro di ironia, di eccentricità e di senso dello spettacolo mescolati alla stravagante intemperanza da gattara chic, che ha imparato a prendersi il meglio dalla vecchiaia. "Sono stata depressa più volte e mi sono curata con le medicine. Sì, ho fatto anche la psicanalisi, ma la psicanalisi è un bellissimo viaggio intellettuale, la verità è che io sono stata meglio quando ho imparato a essere meno importante per me stessa". Ecco. La Vanoni ha smesso di fare ombra a Ornella. E questa Ornella illuminata di humor e intelligenza è uno splendore. Senza fine.
Ornella Vanoni: “Mi facevo schifo, ora non ho più paura. Mi sono liberata della Vanoni”. Redazione Tvzap il 12 settembre 2019. Ottantacinque tra pochi giorni, il 22 settembre 2019, Ornella Vanoni si racconta “senza filtri”, come ormai fa da tempo, a Malcom Pagani su Vanity Fair.
Ornella Vanoni: “Quando morirò scriveranno due cagate su di me e poi puff”. Le sue indimenticabili canzoni, l’amore e le paure più private sono gli argomenti che Ornella affronta, con piglio e ironia impareggiabili: “Quando morirò venderanno due dischi, scriveranno due cagate su di me e poi puff sparisci”. “I francesi hanno il senso del mito, noi molto meno. In Francia quando è morto Johnny Halliday sembrava fosse andato in cielo De Gaulle”.
Già, l’ironia: “Il sarcasmo è orrendo perché è crudele mentre l’ironia è un balsamo. Come diceva Hugo Pratt, tra ironia e sarcasmo balla la stessa differenza che esiste tra un sospiro e un rutto”. “In questo mondo di merda ridere è il bene più prezioso che ci resti. In un tempo triste e nevrotico ci salverà solo la risata. Da giovane ero timidissima – spiega Ornella Vanoni – a causa di un’insicurezza cronica, ho fatto fatica. Arrossivo e cercavo la mia identità tra un silenzio e un azzardo. A 15 anni mi rasai a zero e mi feci bionda. Dormivo poco. Mi facevo schifo. Avevo paura… Era genetica, delle stesse paure soffriva mio padre”.
“La depressione è tremenda. Dal cancro hai l’illusione di guarire, dalla depressione no.” Adesso invece, non ha più paura: “Da quando l’anno scorso sono stata a Sanremo mi sono definitivamente liberata dalla Vanoni. Non ne potevo più di lei. E’ rimasta solo Ornella. Ora sono io ed è tutta un’altra vita”.
Ornella Vanoni e il sesso: “Un trin trin, tran tran che diventa routine”. Nella sua biografia, parla di sesso e droga: “Le droghe sono legate al periodo in cui stavo con Giorgio Strehler. Lo seguii fino a quando mi fu possibile, perché se stai con un uomo ci stai fino in fondo, poi finì perché non ce la facevo più. Adesso la sera fumo una canna prima di addormentarmi. Mi serve per dormire”. Sul sesso: “Quando andai in Inghilterra feci l’amore con tanti ragazzi. Alla lunga quel trin trin tran tran mi parve pura routine. Con Strehler c’era lo stesso trin trin tran tran, ma non era noioso per niente”. Di Gino Paoli invece racconta: “Era un amore impossibili, ma mi è rimasto nel cuore. Gino era sposato, io non ho mai lottato per tenere un uomo vicino a me.”
Ornella Vanoni: “Ho dissipato tutti i miei soldi”. “Ho lavorato tantissimo – rivela la Vanoni – e oggi dovrei essere ricca. Invece di soldi non mi sono mai occupata, non ho mai controllato i conti, ho dato carta bianca a una banca che mi ha fregato 4 miliardi di lire e ho dissipato tutto quel che ho guadagnato. Sono stata una cretina e mi si è rivelata una verità: quando hai paura di qualcosa la perdi”.
Ornella Vanoni: “Il flop di Adrian non mi stupisce”. Ornella ricorda i tanti miti incontrati. Da Sophia Loren: “Avevo sempre immaginato fosse altissima, invece mi sembrò minuta” a Ugo Tognazzi: “Era un grandissimo attore, ma come cuoco e regista aveva i suoi difetti. Era distratto”. Passando per Mina: “Ha creato questo mito per cui meno si vede più c’è”, Lucio Dalla: “Il più geniale, il migliore. Quando hai intelligenza e fascino, l’aspetto fisico sparisce.”. Celentano: “Non esce da anni, è blindato. Adrian è stato un flop costato decine di milioni di euro, ma non mi sono stupita. Se perdi il contatto con la realtà, ti fai guidare dalla presunzione e non dall’autocritica e credi di essere il massimo, il minimo che possa accaderti è finire contro un muro.”
Malcom Pagani per Vanity Fair il 12 settembre 2019. Stato dell’arte: «Le femministe non ci sono più. Esistono le donne che ce l’hanno fatta e sono molte, anche se non si può certo dire che in assoluto la donna viva un gran momento. Chiede all’uomo cose inutili: “Quanto guadagni?” o “Che lavoro fai?”, e intanto avanza un esercito di pseudo modelle magre se non anoressiche, sempre arrabbiate perché non mangiano, davanti al quale il maschio fugge sollevato: “Sei questa? Allora tu stai a casa tua che io sto a casa mia”. Poi ci stupiamo che siano diventati tutti froci. Io dico che è normale, donne così farebbero fuggire chiunque». In un ristorante di Brera in cui lei e Mina, in foto, si danno il cambio alle pareti e Gigi, il proprietario, ha più o meno la sua età, Ornella Vanoni ha imparato che senza ironia il tempo non ha senso: «Il sarcasmo è orrendo perché è crudele mentre l’ironia è un balsamo. Come diceva Hugo Pratt, tra ironia e sarcasmo balla la stessa differenza che esiste tra un sospiro e un rutto», e domani non può diventare un altro giorno: «Auspico un ritorno al romanticismo, a una donna che, come cantava Vecchioni, non sia per forza stronza come un uomo». A un ciuffo di ore dai suoi primi 85 anni, Vanoni continua a parlare con il suo barboncino nero: «La mia bambina che quando vede il mare abbaia alle onde perché è felice», a definire il loro posto nel mondo: «Io e il mio cane siamo due ragazze sole», a rubare poesia saltando da un’ispirazione all’altra: «Cerco di vivere in maniera meno ansiosa e provo a non incazzarmi più. Da ragazza mi infiammavo per una sciocchezza. Oggi non ne ho più voglia, vivo molto meglio e voglio ridere».
È merito dell’età?
«Ma non si guarda intorno? Non vede l’isterismo? In un tempo triste e nevrotico, ci salverà solo la risata. In questo mondo di merda ridere è il bene più prezioso che ci resti».
Sono anni così tremendi?
«Abbiamo vissuto in epoche cupe, penso agli anni ’70, tempi in cui ci si sparava in mezzo alla strada, e li abbiamo superati proprio perché sapevamo che sarebbero passati. Qui il problema è che non si sa dove si va a parare. Non abbiamo più un’identità, e se ce l’abbiamo è indirizzata dal denaro. Il mondo è in mano a cinesi, russi e arabi. Comprano interi pezzi di Paese. Sanno che siamo deboli. Tra un po’ suoneranno al campanello di casa nostra e acquisteranno anche noi».
Farebbero un buon affare con lei?
«Non credo. Tra neanche una settimana compio 85 anni. Cantare, viaggiare, esibirsi. È stata una vita devastante. A forza di alberghi e caselli, facendo centinaia di chilometri al giorno, qualche acciacco mi è venuto. È vero che mi sento benissimo, ma è anche vero che per andare avanti ti devi curare, che se ti lasci andare sei bello che finito e che non mi resta un orizzonte sconfinato».
Franca Valeri di anni ne ha 99 e dice che non riesce a immaginare un mondo senza di lei.
«Adoro Franca, ma non voglio campare così tanto. Ho paura di non vedere, di non muovermi, di star male. Che due coglioni, ma se lo immagina?».
Non riesco.
«La aiuto io allora, quando me ne andrò si terranno le mie esequie. E chissà che funerale sarà».
Paolo Villaggio sosteneva che la vera cifra dell’importanza del nostro segno sulla terra sia data dal nostro funerale.
«In Francia, quando è morto Johnny Hallyday, sembrava fosse andato in cielo De Gaulle. I francesi hanno il senso del mito, noi molto meno. Venderanno due dischi, scriveranno due cagate su di me e poi puff, sparisci, finisce tutto».
La sua è una lunga storia.
«Ero timidissima e, a causa di un’insicurezza cronica, ho fatto fatica. Arrossivo e cercavo la mia identità tra un silenzio e un azzardo. A 15 anni mi rasai a zero e mi feci bionda. Dormivo poco. Mi facevo schifo. Avevo paura. Un inferno».
È difficile avere paura a 15 anni?
«Se incontravo qualcuno che conoscevo mi nascondevo. La mia paura era genetica, delle stesse soffriva mio padre».
Che paure erano?
«Per esempio quella del denaro. Ho lavorato tantissimo e oggi dovrei essere ricca. Invece di soldi non mi sono mai occupata, non ho mai controllato i conti, ho dato carta bianca a una banca che mi ha fregato 4 miliardi di lire e ho dissipato tutto quel che ho guadagnato. Sono stata una cretina e mi si è rivelata una verità: quando hai paura di qualcosa la perdi».
Non ha più paura?
«Ne sono uscita dopo tanti anni, con un grande sforzo. Adesso non solo non ho più paura, ma da quando l’anno scorso sono stata a Sanremo, mi sono definitivamente liberata».
Da chi?
«Dalla Vanoni. Non ne potevo più di lei. È rimasta solo Ornella. Ora sono io ed è tutta un’altra vita».
Della primissima cosa ricorda?
«Un senso di smarrimento. Volevo fare l’estetista. Avevo sofferto di acne e mi illudevo di alleviare la sofferenza altrui. Mio padre cassò l’ambizione: “Scordati che ti apra un salone, non sapresti neanche da dove iniziare”. Ero tornata dall’estero dopo aver studiato a Parigi e a Losanna e cominciai a gironzolare per Milano senza costrutto».
Cosa cercava?
«Non cercavo niente, ma dopo tanti anni fuori mi sentivo sperduta. Un’amica di mia madre mi sentì parlare e mi suggerì: “Perché non fai l’attrice?”. “E come si fa?”. “Si va alla scuola del Piccolo”. “Va bene, ci provo”. Andò così».
Ci pensò e ci provò.
«Mi presentai. Entrai per ultima, quasi all’ora di pranzo. Portai La morte avrà i tuoi occhi e un brano dell’Elettra. Fuori splendeva il sole, ma dentro c’erano nuvole nerissime. I membri della commissione sbuffavano. Mi salvò la Ferrati: “State attenti, qui c’è qualcosa di interessante”».
Il Piccolo per lei significa anche Strehler.
«L’uomo che forse mi ha amata di più. Avevo 21 anni, lui 13 in più. Giorgio aveva molti vizi. Per un po’ li assecondai. Poi, a un tratto, dissi basta».
Nella sua biografia, Una bellissima ragazza, lei parla di sesso sfrenato e cocaina.
«Lo seguii fino a quando mi fu possibile perché se stai con un uomo ci stai fino in fondo, poi arriva un momento in cui questa sensazione di invincibilità che ti porta a fare Milano-Parigi in un giorno lascia spazio alla stanchezza, alla voglia di riprendere in mano la tua vita, al desiderio di realtà. Con Giorgio finì anche perché non ce la facevo più».
Con le droghe che rapporto ha avuto?
«Legato agli anni con Giorgio. Adesso la sera fumo una canna prima di addormentarmi. Mi serve per dormire, per 20 anni l’ho fatto poco e male. Sa cos’è? Le persone come me hanno un cervello simile a una lampadina che non si spegne».
Tra voi, chi lasciò chi?
«Praticamente ci lasciammo. Luchino Visconti mi gettò nelle braccia di Renato Salvatori, uscirono alcune foto e Giorgio impazzì. Mi diceva: “Senza di te non riesco a vivere, ma con te non posso vivere”. Poi cambiò idea. Quando mi sposai con Lucio Ardenzi mi telefonava tutte le sere. Faceva stalkeraggio con un telefono fisso. Era un lupo ferito. Ululava al di là della cornetta: “Puttana, maledetta, dove sei?”. Cercavo di calmarlo: “Giorgio ti prego, non fare così”».
Il matrimonio con Ardenzi durò poco.
«Forse sarebbe stato più onesto non sposarsi proprio».
Avete avuto un figlio.
«Io e mio figlio abbiamo un bel rapporto. E basta così. Il mio esempio è Mina, quando le chiedono: “Come va a casa?”, dice soltanto: “Bene, grazie”».
Lei e Mina siete state molto amiche.
«Eravamo amiche, ora lei è rintanata a Lugano e non la vedo più. Mina ha portato la gioia nella musica, con quegli occhioni e le mille bolle blu ha rotto gli schemi. Io ero sofisticata e impopolare, lei no. Io ero odiata dalle donne, che mi hanno sempre tradita, e lei amatissima. Ma non mi crucciavo: “Se non sarò la prima”, mi ripetevo, “sarò la seconda”».
Poi Mina lasciò le scene per sempre.
«Ha creato questo mito per cui più non si vede, più c’è. Un giorno mi disse: “Più sto lontana dalle paillettes e meglio mi sento”. Penso sia contenta di stare a Lugano, so che ha comprato alcune case lì ed è sicuramente felicissima di aver lasciato le scene. D’altra parte è così. Si lascia sempre qualcuno o qualcosa».
Lei invece perché lasciò Ardenzi?
«Perché avevo già incontrato Paoli. Per un po’ restammo in clandestinità, poi la sbandata divenne lampante. Gino l’avevo visto di sfuggita per la prima volta alla Ricordi e notato subito, in mezzo a mille. Chiesi chi fosse e mi risposero: “Uno che prova a cantare, un culattone”. Sa qual è la cosa strana?».
Quale?
«Che anche lui aveva chiesto di me in giro e gli avevano risposto: “È la cantante della Mala, è lesbica”. Decidemmo di frequentarci. Parlavamo, facevamo camminate estenuanti. Io con i tacchi a spillo, lui con il suo montgomery e le tasche vuote. Non aveva una macchina, né un soldo. Un giorno, stravolti dalla fatica, come nella sua canzone, ci sedemmo in un caffè con i camerieri maleducati e finalmente ci baciammo».
È stata una grande storia d’amore?
«Avrebbe potuto esserlo. Ma Gino era sposato. In amore sono stata irrequieta e ho sofferto tantissimo, ma non ho mai lottato per tenere un uomo vicino a me. Gino aveva sua moglie, era combattuto. Un giorno a Forte dei Marmi gli dissi: “Accompagnami al treno, me ne vado”. Lui non mi guardò mai negli occhi e così non capì il mio dolore. Gino era un amore impossibile, però mi è rimasto nel cuore».
Il sesso per lei è stato importante?
«Fu bello perdere la verginità con un uomo più grande di me, dolcissimo e molto innamorato. Quando andai in Inghilterra feci l’amore con tanti ragazzi. Ma mi chiedevo sempre: “Che cos’è l’amore? È davvero questa cosa qui?”. Alla lunga, quel trin trin, tran tran mi parve pura routine. “Ma che noia”, mi dicevo. Non fu sempre così però. Con Strehler c’era lo stesso trin trin tran tran, ma non era noioso per niente».
Ha letto del MeToo?
«Uomini e donne hanno una fratellanza inquieta, ma secondo me vanno avanti insieme. Separati non siamo più così brillanti, bravi, intelligenti e rischiamo di ghettizzarci. Quando ho scritto dei bei testi, amato, provato a volare, l’ho fatto sempre con un uomo. Il MeToo ha messo al centro del dibattito qualcosa di cui sembrava addirittura impossibile parlare, ma invece di essere liberatorio è stato orribile».
Come mai?
«Prima di tutto il dibattito è partito da Asia Argento che però poi si è comportata in un modo che non giustificava né lei, né la piega che aveva preso la discussione. E poi per un’altra ragione fondamentale: tutti si sono impegnati a parlare delle attrici, di cui francamente non ci frega niente, e nessuna si è interrogata sulle sopraffazioni vere, sulle dinamiche da ufficio o da supermercato in cui se non ti concedi al capo perdi il lavoro».
Lei è sempre stata bella. Ha mai avuto problemi simili?
«Sono stata corteggiata e, come dice la Deneuve, essere corteggiati è normale. Se continuiamo così nessun uomo oserà più metterci la mano sulla spalla. Comunque gliel’ho detto prima: io non mi sono mai sentita bella».
Però la chiamavano culo d’oro. Lina Sotis diceva: «Quando passa Ornella, le donne guardano il vestito. Gli uomini guardano anche dentro il vestito».
«Un giorno ero con Laura Betti a pranzo e si avvicinò Pasolini: “Tu sei l’unico culo femminile che mi fa vibrare”. Diventai paonazza. Laura era molto simpatica, aveva sempre fame, ingrassava in continuazione e fece montare una grata con il lucchetto davanti al frigo. Un giorno, nel tentativo di espugnarla, rimase incastrata e la dovettero liberare».
Altre passioni femminili?
«Sophia Loren, che avevo sempre immaginato altissima e che quando incontrai mi sembrò invece piccola e minuta».
Avrebbe potuto essere un’ottima attrice anche lei.
«Appena misi piede in teatro mi premiarono come attrice rivelazione. Pochi mesi fa mi hanno proposto un film: sa cosa le dico? Magari accetto. Il cinema era divertente, ma serviva applicazione. Tognazzi era un grandissimo attore ma come cuoco e regista aveva i suoi difetti. Era distratto. Una volta sul set gli dico: “Ugo, ma nell’inquadratura precedente non avevi l’orologio?”. E lui: “Oh cazzo, lo sai che hai ragione?”».
Cosa le piaceva negli uomini?
«La dolcezza, la poesia, la capacità di commuoversi. Quando Giorgio mi portava a Trieste e ripercorreva la sua infanzia gli scendevano le lacrime. Io ero rapita. Se Giorgio fosse stato più equilibrato non l’avrei mai lasciato. Perché avrei dovuto? Lo amavo, mi aveva inventata. Era stato lui a insegnarmi il piacere della lettura, a guidarmi nella magia del teatro, a farmi vedere i film chiave della mia vita. Giorgio mi riteneva un gran talento senza la necessaria tenuta nervosa per farcela».
Si sbagliava.
«No, non si sbagliava perché pur di andare avanti mi sono fatta a pezzi. C’è voluto coraggio perché una cosa è indiscutibile: senza coraggio, il talento non serve a niente».
Lei lo ha avuto?
«Certo, ma ho avuto anche le mie cadute. Le mie depressioni. Sono stata chiusa un anno dentro casa senza voler vedere nessuno. Una mia amica, anzi una ex amica che credevo tale e si dimostrò una stronza, mi diceva: “Lo fai per farti notare”. Invece la depressione è tremenda. Dal cancro hai l’illusione di guarire, dalla depressione no. È una malattia vera e sottovalutata. E gli altri pian piano evaporano perché stare vicino a un depresso è tra le cose più difficili che ci siano».
Quando finalmente riemergeva che sensazione aveva?
«Quella di conoscere meglio me stessa. Rinascevo da un letargo doloroso e scrivevo subito una canzone, inventavo uno spettacolo, smettevo di piangere».
Oggi piange?
«Sempre di più e su tutto. Un cagnolino disperso, un uccellino che muore, i disperati che affogano in mezzo al mare o i loro figli che mi chiedo dove vadano a finire. Quando si invecchia il cuore diventa più fragile».
Il ricordo la consola?
«Ho conosciuto gente straordinaria».
Tra i cantanti?
«Il più geniale, il migliore, era Dalla. Com’era spiritoso Lucio. “Ho scopato la nipote di Stockhausen”, mi diceva, “mi sembrava di scopare il maestro”. Quando hai intelligenza e fascino, l’aspetto fisico sparisce. Lucio era brutto, aveva dita che somigliavano a piccoli wurstel e se entrava in acqua, per i peli, pareva indossasse la muta, ma se cantava ti spalancava un mondo. Era sensibile e per amore ha sofferto molto. L’amore è così. Anche se le storie finiscono, se hai amato qualcuno, a meno che non sia una persona orribile, continui ad amarlo».
Lei ha conosciuto bene anche Celentano?
«Non lo vedo da tanto tempo. Adriano non esce da anni, è blindato. Adrian è stato un flop costato decine di milioni di euro, ma io non mi sono stupita. Se perdi il contatto con la realtà, ti fai guidare dalla presunzione e non dall’autocritica e credi di essere il massimo, il minimo che possa accaderti è di finire contro un muro».
Periodicamente Celentano parla di politica. A lei interessa?
«Lui sulla politica dice tante sciocchezze e non mi interessano. La politica la conosco. Ho visto il ’68, con i contestatori che facevano le barricate con i mobili degli altri e ho preferito andare al mare con Renato Zero. Poi anni dopo ho conosciuto Berlusconi, che era piccolo di statura, ma anche molto bello e con una gran faccia. E naturalmente ho conosciuto Craxi. Stella Pende diceva: “Ridateci il ciccione”. Qualche volta capita di pensarlo anche a me. Ci diede l’illusione di essere felici, Craxi. Mica poco, sa? Andai a trovarlo ad Hammamet. Dimenticato da tutti, abbandonato da tutti».
Teme possa accadere anche a lei?
«Non temo più niente. Come dice Frida Kahlo, bisogna lottare senza arrendersi».
Pensa mai alla morte?
«Ci penso e non ho tanta paura. Non me la immagino, la morte, e non voglio neanche saper quanti natali festeggerò ancora. Ricorda Blade Runner? Lui chiede a lei quando sia la sua scadenza e l’altra risponde: “Non dirmela”. Una scadenza l’abbiamo tutti, ma non sappiamo qual è e soprattutto non possiamo saperla».
Ornella Vanoni: «Ero bellissima, ma infelice. L’ultima delusione a 60 anni». Pubblicato sabato, 22 giugno 2019 da Candida Morvillo su Corriere.it. E poi, dopo forse tre ore che parliamo dei suoi 84 anni, dei 63 in cui ha sempre cantato e molto vissuto, di Dario Fo che le scriveva le canzoni della mala, di Toquinho e Vinícius de Moraes con cui incise La voglia la pazzia l’incoscienza l’allegria, «roba che neanche un brasiliano ha fatto un disco così», dopo che ha raccontato di Gino Paoli che per lei compose Senza fine in mezz’ora e che lei amò «come nessun altro mai», e delle lacrime di sua madre che l’aveva educata fra Orsoline e collegi svizzeri e se la ritrovò ventenne a dare scandalo amando Giorgio Strehler che era sposato, Ornella Vanoni accarezza il barboncino Ondina e sussurra: «Da artista, sono felice della vita che ho avuto. Ma dall’amore, sono così delusa che sono sola da vent’anni». Ricorda: «A 60, ho preso una di quelle tranvate... Ho confuso la durezza con la forza. Non voglio neanche nominarlo, era arido e permaloso, io sono ironica, può immaginare il disastro». Però, non si è mai soli quando sai stare attaccato alla vita. E, allora, dallo smartphone di Ornella, spuntano le foto, i messaggi, le poesie, e volti e parole di uomini che, a loro modo, la amano. Che, a suo modo, lei ama. Il primo: Pino Roveredo, 64 anni, lo scrittore Premio Campiello 2005 con Mandami a dire. «L’ho conosciuto alla presentazione di un suo libro, raccontava dei genitori sordomuti, alcolisti, l’ho abbracciato, gli ho cantato Mi sono innamorata di te».
Che cosa è per lei?
«Sono innamorata. Non c’è sesso, ma un amore poetico, virtuale. Ci vediamo poco, lui sta a Trieste, io a Milano. Le leggo una sua poesia» (la cerca sul telefono, ordina all’assistente di trovare la versione ricopiata a mano. Dice «saranno venti, non ne trovo una». L’assistente le porge un faldone. Lei: «Sollievo! E non ci sono solo le sue...»).
Che altre poesie ci sono?
«Aspetti... Titolo: Forse, spero, tanto. Testo: “E quando arriverai lo farai col passo dolce della prima volta, infilando tutti i miei forse, chi sa, spero tanto... E allora, come la prima ora, soffierai i tuoi respiri sulla mia polvere, appenderai le tue perle... Ingoierai file di lacrime nel sorriso... E poi, come la prima volta, abbandonerai il tuo miracolo del nostro ultimo letto... lasciandomi il privilegio di amarti”».
Che amore è?
«Che non si consuma, perciò eterno».
Perché non si consuma?
«Perché no, perché lui è complicato».
Cosa sono le file di lacrime nel sorriso?
«Le poesie sono indecifrabili. Francesco Leto me ne ha scritte di più, molte in inglese».
E chi è Francesco Leto?
«Un amico dell’anima. Un poeta. “I leave my heart on the table, you can hold it in your hand. My black eyes in your cup of tea...”. Ha 36 anni, dormiamo nello stesso letto, spesso».
La ama?
«Sì che mi ama, a suo modo. Questa è del 2016: “Ornella è una danza, che gira nel cielo, sotto le gambe degli angeli... e lei si riprende le sue lacrime appese sul chiodo del dolore... La troverai nel sapore veloce di un insulto”. Ecco, ormai preferisco gli amori così. Uso ancora il cuore, ma un uomo nel letto non lo voglio».
Prima, però, ha detto che dorme con lui.
«Per poter parlare di notte. Per esempio, cantavo a Parigi con Paolo Fresu, Francesco è venuto a trovarmi, abbiamo dormito insieme. Non cerco storie convenzionali. A 80 anni, il sesso non ti riempie il cuore e a convivere ti viene l’orticaria. Ho i miei vizi, voglio vedere Netflix fino all’alba».(Passo indietro, all’incontro nel suo appartamento milanese color salvia, con le sculture di Arnaldo Pomodoro sul pavimento).
Di recente, in tv, a «Ora o mai più», ha cantato e ballato; a Sanremo, ha fatto furore con Virginia Raffaele; a Milano, è scesa in piazza contro il razzismo. Dove trova l’energia?
«Basta decidere che non ti stanchi».
Perché è scesa in piazza?
«Per attirare l’attenzione sul futuro dei giovani. Ho due nipoti, una di 20 anni, che fa volontariato in India, è una ragazza felice».
Lei, a vent’anni, era felice?
«Per niente. Avevo una cicatrice da tisi sul collo, di cui mi vergognavo. Soffrivo la timidezza. Per vincerla un’amica mi spinse a tentare la scuola del Piccolo».
Strehler la vede e s’innamora di lei.
«Il primo anno seguiva in auto il mio tram. Poi mi accompagnò a casa e fu amore».
Era il ’54, lei era figlia di un industriale farmaceutico, non la spaventava lo scandalo?
«Giorgio era un tale genio e la passione mi ha talmente travolta... A papà venne meno la voce. Vivevo al Piccolo, dormivo con Giorgio. È stato l’uomo che mi ha amata di più».
Lei lo ha amato?
«Meno di lui. L’ho lasciato, mi faceva soffrire, aveva vizi che non potevo sopportare. Però mi ha fatto scoprire la cultura. Lui parlava e io stavo zitta: avevo solo da imparare. Ha intuito che potevo cantare, mi ha fatto scrivere le canzoni della mala».
Lei però recitò solo quando vi lasciaste.
«Feci L’idiota di Marcel Achard e fui premiata come rivelazione del teatro. Lui andò fuori di testa, ripeteva: ma non è possibile».
Di lei aveva detto: «Ha talento, ma non i nervi per sostenere il palco». Sbagliava?
«Aveva ragione. Ero terrorizzata. Dovendo esibirmi, non dormivo la notte, ma per anni».
Quando è passata la paura?
«Quando è rimasta solo l’emozione e ho acquisito sicurezza, forse quindici anni fa».
Agli esordi era famosa per la bellezza.
«Ero bellissima, ma non mi amavo. È stata una fortuna: se no, perdi l’autocritica e fai errori. Dicevano che ero sensuale. Ma è perché, a 14 anni, avevo l’acne e la cicatrice e mandavo avanti il corpo, in shorts e zoccoli alti. A Paraggi pigliavo multe per oltraggio al pudore».
Come era stata la guerra per lei?
«Al primo bombardamento, la stazione di Milano era un inferno, mio padre mi ha afferrata per la vita per mettermi sul treno, ho avuto un’immagine come di John Wayne. Dopo, ho sempre voluto l’uomo che mi prende e mi porta via. Siamo andati a Varese, un cugino partigiano è stato ucciso, a noi hanno sparato in casa. Quando hai avuto la certezza che puoi morire, sei più coraggioso».
Quando se l’è dovuto rammentare?
«Ho sofferto di depressioni gravi. Mi ha salvato un grande psichiatra, che mi segue ancora. Chi butta gli psicofarmaci è pazzo».
Quando è cominciata la depressione?
«Presto. Sono sempre stata malinconica, oltre che solare. E fino al ’70, quando ho cantato L’Appuntamento, non ero popolare e sentivo ansia, inadeguatezza».
La depressione più buia?
«La mia patologia è semplice: soffro d’ansia, non dormo, dopo tre mesi che non dormo, cado in depressione. Ho fatto Sanremo due anni fa, poi ho avuto un anno vuoto ed ero triste, ora lavoro tanto e sono rinata».
Cosa ricorda del Sanremo 1967 in cui Luigi Tenco si suicidò?
«Gli dissi: tieni gli occhi aperti perché noi timidi, se li teniamo chiusi, non arriviamo al pubblico. Lui li apre e sembrava un gufo. Era imbottito di Pronox e cognac».
Come si diventa una grande interprete?
«Dando il giusto senso alle parole che canti».
Grandi interpreti giovani ce ne sono?
«A considerarle giovani, Arisa ed Elisa».
Come avvenne l’incontro con Paoli?
«Ci presentarono. Scrisse Senza fine lì per lì. Solo la musica. Poi, ci siamo innamorati e ha scritto il testo, lungo, lungo. Ho scelto io le strofe».
Nel ’60, amava Paoli, ma sposò il produttore Lucio Ardenzi. Ricercava la vita borghese?
«Macché, di borghese non c’era più niente. Non sapevo cosa fare di me. Mi ero lasciata con Strehler che era sposato, amavo Paoli che era sposato, incontro Ardenzi, mi sposo».
Paoli ha detto: «Ornella di noi ricorda sempre le lacrime, io le risate».
«Intanto, mi tradiva in continuazione. Poi, non lo trovavo mai. E piangevo. L’ho lasciato col cuore che era uno spezzatino. Sua moglie mi disse: “Se me lo porti via, non vivo”, io me ne andai. Lui mi ha dato la colpa d’essere sparita e si mise subito con Stefania Sandrelli».
Cosa è stato per lei l’amore?
«Una cosa necessaria. Per me, è più importante amare che essere amata».
Il ricordo più bello della carriera?
«La riapertura dello Strehler due anni fa. Ho parlato di Giorgio, piangevano tutti».
La canzone preferita?
«Amo le “orfanelle”, le meno famose, come La voglia di sognare. Ora voglio farne un disco, un tour, voglio fare tutto. Anche qualcosa con Checco Zalone... E voglio ricantare con Fresu. Sono innamorata pazza di lui».
Nel senso che dorme anche con Fresu?
«Nooo, a Parigi, anni fa, gli ho fatto una dichiarazione d’amore impossibile. Era sotto il tavolo per la timidezza. Ma io sono così: degli uomini di talento posso solo innamorarmi».
· Peppino di Capri, 80 anni e non sentirli.
Peppino Di Capri, gli 80 anni e il lutto: «Ho visto da lontano i funerali di mia moglie». Pubblicato domenica, 15 settembre 2019 su Corriere.it da Candida Morvillo. Il cantante: «Senza la mia Giuliana non ho più un punto di riferimento. Commuoversi fa bene, ci si sente liberi. Il ritiro? A 13 anni già lavoravo, ma canto ancora come un ventenne...» Quest’estate, Peppino di Capri ha compiuto 80 anni e ha perso la moglie Giuliana, con la quale ha passato più di metà della vita. Il funerale, confessa, l’ha visto da lontano. «Dalla curva che porta a casa». Silenzio. Primo momento di commozione. «Già quando morì mia madre non andai. Volevo ricordarla viva, bellissima quando cantava a squarciagola e puliva la casa. Erano canzoni napoletane, una più bella d’altra. Mi tornarono in mente quando dal ’58 incisi i primi dischi e le spumeggiai, le rifeci rock».
Nacquero Malatia, Nun è peccato...
«I tradizionalisti erano scandalizzati, ma io tenevo insieme la mia anima rock e quella sentimentale. Poi, ahimè, il disco più venduto è rimasto Let’s twist again».
Lanciò lei il twist, perché «ahimè»?
«Avrei preferito una canzone italiana a una in un inglese un po’ inventato. Componevamo mettendo dei ta-ta-tà a caso, poi inserivamo le parole. E, ta-ta-tà, nacque Saint Tropez Twist. Io a Saint Tropez non c’ero mai stato. Andai anni dopo con Gino Paoli. Era inverno. Arriviamo. Tutto chiuso, tutto triste. E noi: ma le giacche in lamé della canzone dove sono?».
Che ha visto dalla curva che porta a casa il giorno del funerale?
«Ti torna in mente tutto, scorri una vita insieme. Dopo, la musica mi ha aiutato. Mi ha tenuto impegnato».
Ha fatto concerti, si è esibito a Miss Italia, ha scritto un album, Mister Peppino di Capri, che uscirà a ottobre. Ma com’è stata davvero quest’estate?
«Non sei mai preparato, anche se la malattia c’era da un anno. Alti e bassi di speranza. Ti dicono: a Milano c’è un medico, in America ce n’è uno più bravo. Ti dicono “è operabile” e poi non è più operabile. Poi: non c’è niente da fare. Ma a Roma dicono: non è vero. Ed è un’altra trafila, un altro barlume. Invece, “no, portatela a casa”. Passano due mesi, tre. E solo quando non c’è più, senti la mancanza profonda. Il punto di riferimento era lei. La soddisfazione di far sentire un brano nuovo... Ora, a chi lo fai sentire?».
Aveva annunciato il ritiro nel 2019.
«È una cavolata che s’è inventato qualcuno, non ci penso affatto. A inizio anno, ho fatto un tour in Brasile e conoscevano tutte le canzoni. La voce è rimasta quella dei vent’anni. Sto sempre coi giovani, amici dei tre figli. Ho perso anche 11 chili, togliendo i dolci e senza fare sport, mi bastano le passeggiate nella mia Capri».
Qual è la sua passeggiata preferita?
«Il sentiero che passa per l’Arco Naturale e arriva a un ristorantino buono. Lo facevo da bambino per andare a studiare piano dalla mia maestra tedesca».
Chi era quel bimbo nato nel ’39?
«La guerra inizia con me che nasco e finisce con me che suono il piano per i soldati americani alla fine del ‘44. Eravamo poveri, non avevo giocattoli, solo un piano scordato. All’inizio, ho imparato a orecchio, da solo. Mio zio era chef dell’albergo che ospitava gli alleati e mi portava a suonare per loro. Ho la foto con me che suono per il generale Mark Clark».
Il talento arriva dal papà musicista?
«Era diplomato in violoncello, ha suonato sax e clarino nei locali di Capri. Era stato chiamato sotto le armi che avevo sei mesi. Quando tornò, mi nascondevo in tutte le stanze. Ero timidissimo. Poi, mi misi al piano a suonare. Conoscerlo e insieme fargli vedere cosa avevo imparato fu un’emozione fortissima».
Quando è passata la timidezza?
«Resto uno che non si propone. Infatti non mi hanno mai dato uno special tv. E neppure un premio alla carriera a Sanremo: ne ho fatti 15, vinti due».
Ha venduto oltre 35 milioni di dischi, scritto 519 brani. Li ricorda tutti?
«No, per carità. A volte, ne riscopro uno su Youtube».
I suoi preferiti?
«Gli ultimi, come I miei capelli bianchi: sono per la novità, la ricerca. Ma m’identifico nel sognatore».
Lo è ancora?
«Sogno ancora che resti la melodia, l’emozione, una musica oltre il plug-in che aggiusta le voci e crea successo facile. Io a 13 anni cantavo la notte nei night, poi andavo a scuola, studiavo piano, mi si raccoglieva col cucchiaino. Non devo dire grazie a nessuno».
Momenti bui ne ha avuti?
«Fra il ’67 e il ’70. Tutti facevano i capelloni che imitavano i Beatles e io non volevo essere una caricatura».
Nel ‘64, lei aprì i loro concerti italiani.
«Perché avevo tante canzoni in classifica. Roberta, il twist... Loro erano così blindati che riuscii a fare una foto solo l’ultimo giorno. Dopo, la mia casa discografica era nella fase “avanti un altro”. Mi rifiutarono pure Scende la pioggia e Io per lei, che divennero successi di Morandi e dei Camaleonti. Ho capito che significa non essere filato, non andare in tv, gli amici che spariscono e i veri valori».
Come ne è uscito?
«Una sera, rannicchiato a casa, vidi in tv Georges Moustaki che cantava Lo straniero. Rimasi paralizzato. Mi dissi: ma io che ci faccio qua? Fu una spinta bellissima. Mi scusi, mi sto commuovendo».
Che cosa ancora la commuove?
«Quel momento. La forza che ebbi di andare a Roma e dire: perché io no? Mi risposero: siete troppi e tu costi troppo. E io: quanto mi offrite? E ripartii da capo».
Quei tre anni coincidono con la crisi del matrimonio con Roberta Stoppa.
«Ci eravamo sposati a 20 anni, era una modella, la vidi ballare con William Holden a Ischia e le dedicai una canzone. Il giorno dopo la trovo al locale con un leoncino in braccio. Se l’era fatto prestare per far colpo. Col senno di poi, è stato più un amore da show che di sostanza, l’opposto che con Giuliana, di buona famiglia, biologa. Il padre di me diceva: nun se po’ guarda’. Perché ero cantante e non c’era il divorzio. Successe pure che ebbi una rentrée di una notte con Roberta e nacque il mio primo figlio. Fu un trauma, ma Giuliana era molto avanti di mentalità e capì. Mi fa dire un’ultima cosa?».
Prego.
«Prima mi sono commosso, ma commuoversi fa sentire liberi. Infatti ora sto meglio».
Peppino di Capri, 80 anni e non sentirli: auguri all'artista che ha fatto ballare l'Italia. Il compleanno di uno degli artisti più amati di sempre che ha reso "cool" la canzone napoletana. Grazie a lui la scoperta del twist, le sue canzoni sono degli evergreen, alcuni titoli veri e propri tormentoni. La Repubblica il 26 luglio 2019. Ci sono i ragazzi rock, come Mick Jagger, che hanno dato alla loro vita la stessa impronta della musica che hanno portato in giro per il mondo, e ci sono i ragazzi twist che quando li senti cantare pensi a quel dondolìo allegro, nient'affatto aggressivo, che sa di divertimento e spensieratezza. Noi il ragazzo twist ce l'abbiamo ed è l'emblema del genere, compie ottant'anni ma l'anagrafe, in questo caso, è un dettaglio. Quelli così non invecchiano e, anzi, per molte generazioni sono l'emblema di gioventù e anni felici. Tanti auguri a Peppino di Capri, amatissimo in Italia e nel mondo, testi che sono entrati nel lessico comune perché ci puoi scommettere che, se qualcuno pronuncia la parola "champagne", c'è qualcun altro che subito aggiunge "per brindare a un incontro". Ottant'anni (domani il 27 luglio) e sessanta di carriera celebrati un anno fa al San Carlo di Napoli, non tutte gioie perché al destino frega poco che tu sia twist o rock, e a Peppino è mancata la moglie amatissima poco tempo fa, Giuliana, malata da tempo. Per questo, dicono, non festeggerà il compleanno ma l'affetto dei fan, quello no, non lo puoi fermare. Peppino di Capri è il simbolo dell'Italia che si voleva divertire, l'Italia che aspettava il Boom e poi lo viveva fino in fondo ascoltando le sue canzoni e partecipando alla sua rivoluzione, dolce e rock'n'roll, che sapeva un po' di America e un po' di luna caprese, un po' di modernità e un po' di tradizione, un po' di mozzarella e un po' di Costa Azzurra, un po' di sandali di cuoio lavorati a mano e un po' di giacche di lamé, quelle che indossava quando suonava nei night club con gli occhialoni spessi, tanto glam come si direbbe oggi, già un po' beat, di sicuro avanti come pochi tant'è che fu l'unico italiano ammesso alla corte dei Beatles, sul palco prima di loro nella celebre tournée italiana del 1965. Un'arte, la sua che ha attraversato e continua ad attraversare stili e generazioni, un timbro inconfondibile, la voce così nasale, la melodia e il coraggio di shakerare nuove musiche e canzone napoletana, mai tanto cool come nelle sue canzoni. Vulgata vuole che già a quattro anni si esibisse per i militari americani di stanza a Capri, bimbo prodigio, prima di fare gavetta nei night club dell'isola quand'era ancora il paradiso che tutti i turisti del mondo sognavano di visitare e non il teatro di maratone giapponesi mordi-e-fuggi, scendi dall'aliscafo gira in tondo e riparti, com'è oggi. Il segreto è nella parola Malatia, il titolo del primo grande successo che lo catapulta nell'olimpo delle star insieme ai Rockers, la sua band. Da quel momento è un rosario di evergreen che hanno fatto ballare - e innamorare - pure i faraglioni, Don't play that song, Voce 'e notte, Luna caprese, Nun è peccato, St. Tropez twist, Nessuno al mondo, Let's twist again, quest'ultimo il suo disco più venduto. Il passaggio dagli anni Sessanta ai più complessi Settanta lo lascia indenne, con Me chiamme ammore vince l'ultimo Festival di Napoli nel 1970, partecipa a ben quindici Festival di Sanremo, roba da record, ne vince due, quello del '73 con Un grande amore e niente più e quello del '76 con Non lo faccio più. Un canzoniere praticamente sterminato che è anche un viaggio nella storia e nel costume degli italiani e pure nella sua privata, di storia, basta pensare a Roberta, la canzone dedicata all'allora moglie Roberta Stoppa, un tormentone sempre vivo che ai suoi concerti il pubblico canta a squarciagola, quel pubblico che lo ama e che lo segue, trasversale, giovane e meno giovane, un ideale passaggio di consegne fra chi ha vissuto l'epoca d'oro del nostro paese e chi ha imparato a conoscerla dai vinili di mamma e papà.
Gli 80 anni di Peppino di Capri, l’italiano che suonò con i Beatles (e fu la rovina). Pubblicato sabato, 27 luglio 2019 da Renato Franco e Giuseppe Gaetano su Corriere.it. Quindici Festival di Sanremo, due vittorie (nel 1973 e nel 1976), 54 album e 35 milioni di dischi venduti, l’unico cantante italiano a salire sullo stesso palco dove suonavano i Beatles: Giuseppe Faiella compie 80 anni. Detto così un fenomeno di cui nessuno ha sentito parlare, ma al suono di Peppino di Capri — ah è lui — tutto torna. Nato il 27 luglio 1939, ovviamente a Capri, la sua carriera è stata un’altalena: i grandi successi — Champagne e Roberta su tutti —, le cadute, la rinascita fino a diventare il monumento di se stesso. Originario di una famiglia di musicisti, comincia davvero presto: a quattro anni suona il pianoforte davanti alle truppe americane di stanza sull’isola durante la guerra. Ha l’America nelle orecchie perché i suoi inizi sono nel solco del rock d’importazione, ma il dna alla fine viene fuori e diventa un simbolo della canzone tradizionale all’italiana. Nel giugno del 1965 peppino di Capri suonava già con i Beatles (cioè lui scendeva dal palco quando loro salivano, ma vuoi mettere la soddisfazione): «Guardavo i loro amplificatori giganti e pensavo che fossero armadi — ha raccontato in un’intervista di qualche tempo fa —. Per fare una foto con loro ho dovuto attendere l’ultimo pomeriggio della tournée. Hanno smosso il mercato, ma noi abbiamo esagerato: dal giorno dopo tutti con le chitarre e i capelli lunghi». Arriva a incidere versioni italiane di Yesterday e di Girl, ma strana la vita, perché proprio lì ecco la crisi: «Non mi chiamava più nessuno. Ci facemmo prestare tre chitarre elettriche. Mi ritrovai sul palco a cantare She loves you. Poi la sera mi guardavo allo specchio: ma che stai facendo? E sono tornato alla mia musica». Peppino e la giacca di lamè: «Vivevo a Capri, coccolato da grandi stilisti. Mi sono messo la giacca di lamé, la gente impazzì. Mi feci arrivare dalla Cina una stoffa con alberi e uccelli per una giacca su misura: me la rubarono a Maranello a fine serata. La poggio su una sedia, firmo un autografo, mi giro e non c’è più. Ogni tanto la rivedo su qualche foto». Peppino e Sanremo. «Ci andrei in eterno: in una sera becchi 15 milioni di spettatori. Ora puntano sui giovani, ma troppi sono costruiti a tavolino». Due mogli — la modella Roberta Stoppa e Giuliana Gagliardi, morta tre settimane fa —, tre figli e una vita privata sacrificata in favore della musica: «Avrei potuto stare di più con la famiglia nella fase migliore della mia vita tra il 1958 e il 1968. Dopo è arrivato un appannamento, ma mi sono ripreso e ho riacciuffato il mio pubblico che in realtà non aveva mai smesso di seguirmi. Avevo pensato di smettere, ma mi dissi che era il mio lavoro. Presi la macchina e tornai in giro a propormi. “Lei è caro, ci rivolgiamo a altri cantanti”, mi disse un impresario. “Vengo a meno”, gli risposi».
· Gli ABBA: i giganti del Pop.
Abba: il suono senza tempo dei giganti del pop (in studio dopo 35 anni). Nuove canzoni in arrivo, un probabile tour con tanto di avatar e un catalogo di brani che non passa mai di moda...Gianni Poglio il 24 luglio 2019 su Panorama. Non esistono più dal 1982, ma in realtà non se ne sono mai andati. Sono rimasti senza esserci, godendosi dalle poltrone delle loro ville scandinave il più grande successo della storia del pop dopo i Beatles. “Non ci siamo mai sciolti, ci siamo solo concessi una lunga vacanza” raccontano beffardi, oggi, Bjorn e Benny i “ragazzi” della band svedese (rispettivamente 74 e 72 anni), gli alchimisti nonché i teorici della canzone che è tutta un ritornello. Martellante, ossessivo, costruito scientificamente su armonie e melodie che si insinuano per sempre nella memoria al primo ascolto. Nessuno ha mai realmente compreso il segreto che sta dietro ai loro brani, di sicuro non i critici che li hanno sempre stroncati senza attenuanti, e nemmeno i colleghi musicisti, che li hanno sempre bistrattati con snobistico distacco, salvo poi presentarsi di nascosto ai loro concerti. Come quello leggendario alla Wembley Arena di Londra, nel 1979, dove mimetizzati tra i fan degli Abba c’erano due icone del punk, Ian Dury e Joe Strummer dei Clash, oltre a vari membri dei Deep Purple, dei Led Zeppelin e dei Moody Blues. Tutti increduli davanti al delirio collettivo per brani dalle melodie nazional popolari e dai titoli improbabili come Fernando, Ciquitita, Voulez-Vous e Waterloo. Loro, i rocker duri e puri, raccontavano nelle interviste di acrobazie sessuali, viaggi lisergici e incidenti in auto, gli Abba, ai tempi due coppie sposate (Benny con Frida e Bjorn con Agnetha), di passeggiate e picnic a base di aringhe e vino nelle foreste svedesi intorno a Vallentuna, e di quanto fossero scomodi i loro attillatissimi costumi di scena: “Nel tragitto tra l’albergo e l’arena del concerto siamo obbligati a viaggiare in piedi sul mini bus per non squarciare i pantaloni”. Quei costumi, un mix improbabile tra le mise circensi, il glam e le divise delle majorette erano in realtà un escamotage fiscale, visto che la legislazione svedese permetteva di dedurre dalle tasse gli outfit di scena, ma a condizione che si trattasse di abiti veramente pittoreschi, non indossabili nella vita di tutti i giorni. Così, ingaggiarono un paio di sarte per diventare i campioni del kitsch in musica. Per decenni, i fantastici quattro si sono tenuti a debita distanza dal loro mito, appagati dalla pioggia di milioni di dollari derivanti dai diritti d’autore delle hit, dallo straordinario boom al botteghino di Broadway del musical Mamma Mia! e ancor più della sua versione cinematografica con Meryl Streep e Pierce Brosnan. A metà anni Duemila un’offerta da un miliardo di dollari per un reunion tour venne rimandata al mittente, ma adesso qualcosa è cambiato. I quattro, pacificamente divorziati “alla svedese” senza strascichi legali e rancori, sono, contro ogni previsione, chiusi in uno studio di Stoccolma a registrare nuove canzoni, Per il momento ce ne sono nove pronte (I still have faith in you e Don’t shut me down sono i titoli di due dei brani) che dovrebbero fare da colonna sonora al ritorno in concerto. Che dovrebbe avvenire secondo modalità assolutamente inedite, mai sperimentate prima da nessuna band di questo livello. Lo scenario a cui stanno lavorando da mesi ingegneri informatici, programmatori, designer e manager prevede i veri Abba, nelle retrovie dal palco, o anche a casa, sostituiti da quattro avatar digitali e tridimensionali plasmati sulla loro immagine e le loro movenze di fine Anni Settanta. Una follia kitsch che minerebbe la credibilità di qualsiasi altra band al mondo… “Immaginate che meraviglia” ha invece raccontato estasiato Benny Andersson alla Bbc, “Una vera band che suona le nostre canzoni più famose, ballerini, luci, coreografie spettacolari, coristi e gli avatar: In pratica, ci sarebbe tutto degli Abba… Tranne gli Abba!”. Se dovesse funzionare, e le previsioni dei principali promoter mondiali dicono che in vista c’è un potenziale trionfo, sarebbe il colpo di genio definitivo, la chiusura del cerchio di una carriera rivoluzionaria e talmente controcorrente da ribaltare le regole del music business, del marketing e della comunicazione. E loro lo sanno bene, visto che nei turbolenti e “impegnati” anni Settanta hanno sbancato le classifiche con ritornelli solari e testi ispirati alla vita comune, senza messaggi politici tra le righe. “I giovani ribelli ascoltavano le canzoni delle band ribelli, noi ci siamo rivolti a tutti gli altri, che non erano pochi, che in fondo non se la passavano male e non volevano a tutti i costi ribaltare la società come un calzino” dice Benny svelando così l’attitudine che li ha sempre contraddistinti. Astuzia, senso del business, ma anche un’ingenuità che li ha resi irresistibilmente simpatici ai tanti detrattori. Perché non si può non amare una band che nel 1977 si presentò in scena a Sydney indossando zeppe a suola liscia altre 12 centimetri mentre sul palco pioveva a dirotto. Prima, scivolarono goffamente come cartoni animati, poi, terrorizzati, rimasero immobili per un’ora e mezzo muovendo solo gli occhi e le labbra. Alla fine, mentre la gente sfollava, ci misero un quarto d’ora per guadagnare l’uscita dal palco…
Abba: in arrivo un album di brani inediti dopo 38 anni. Gabriele Antonucci l'11 giugno 2019 su Panorama. «Abbiamo deciso di proseguire con l'eccitante progetto di un avatar tour, ma soprattutto dopo 35 anni siamo entrati in uno studio di registrazione per incidere della nuova musica: è stato come se il tempo si fosse fermato. Ci siamo sentiti come se ci fossimo presi una breve vacanza».
Così il 27 aprile 2018 è arrivata come un fulmine a ciel sereno su Instagram la notizia di una clamorosa reunion degli Abba, più volte smentita nel corso degli anni, anche se solo per incidere due nuove canzoni. Uno dei due nuovi brani sarà I Still Have Faith In You, che doveva essere presentato in uno speciale prodotto da Nbc e Bbc previsto per lo scorso dicembre. Il motivo di quella mancata messa in onda è ora più chiaro: secondo l'Express Online è quasi pronto un nuovo album di inediti, a 38 anni di distanza dal loro ultimo lavoro in studio The Visitors. Il sito ha riportato ieri le parole di una fonte accreditata (ma che vuole restare anonima) che ha rivelato l' uscita di un disco di inediti e non solo di un paio di tracce, come era stato anticipato alcuni mesi fa. "Benny è molto cauto e meticoloso, non vuole macchiare l'eredità del gruppo con qualcosa di inferiore al passato, quindi si sta prendendo il suo tempo nello scrivere le nuove canzoni, ma stanno prendendo forma piuttosto rapidamente", assicura la fonte. Benny Andersson, la mente musicale della band, ha già scritto otto nuove canzoni originali, cinque delle quali sono completamente registrate e Agnetha e Anni-Frida hanno appena terminato di incidere le parti vocali. Le canzoni faranno parte di un album che, realisticamente, sarà pronto per il ricco mercato natalizio. Inoltre, sembra che sia stato già girato un video di ultima generazione, utilizzando una tecnologia mai vista finora, per un costo di 15 milioni di sterline, di imminente uscita. Gli Abba si sono formati a Stoccolma nel 1972 e hanno conosciuto il successo su scala mondiale con l'hit Waterloo, la canzone con cui hanno trionfato all'Eurovision Song Contest nel 1974. Si calcola che il gruppo abbia venduto complessivamente la cifra record oltre 400 milioni di dischi nel mondo. Le canzoni degli Abba erano e sono un unicum nel music business: melodie avvolgenti, ritornelli memorabili, ritmiche disco music e voci potenti. Niente fronzoli o divagazioni soliste. Nel 2014 hanno pubblicato Live at Wembley Arena un doppio cd live, storica testimonianza dei leggendari concerti di Londra nel 1979. Nella tracklist sono presenti molte dei grandi successi della band: da Dancing Queen a Thank you for the music, Chiquita, Gimme! Gimme! Gimme!, Money, Money, Money, SOS e Fernando. I milioni di fan degli ABBA hanno da alcuni anni il loro tempio nell'Abba The Museum, situato nel cuore di Stoccolma, sull'isola di Djiurgarden e ricavato nella più grande Swedish Hall of Fame, in un vecchio edificio delle dogane svedesi. Zeppo di cimeli, abiti di scena, gigantografie, il museo vuole far sperimentare al visitatore la sensazione di essere il quinto membro degli Abba, accanto a Agnetha, Anni-frida, Bjorn e Benny. Mentre il musical Mamma Mia! continua a macinare milioni di incassi in tutti i teatri del mondo, alcuni mesi fa è uscito nei cinema Mamma Mia! Here we go again, il sequel del film campione di incassi Mamma Mia!. Benny Andersson e Björn Ulvaeus sono stati coinvolti nel progetto come produttori esecutivi della parte musicale: il vero segreto del successo delle canzoni degli Abba.
· Rosalina Neri.
"Io, una vita per lo spettacolo iniziai come sosia di Marilyn". All'attrice lombarda, 91 anni, il Premio Enriquez alla carriera. Dalla televisione alla prosa al Piccolo. Antonio Bozzo, Sabato 17/08/2019, su Il Giornale. È segno della nostra epoca: trovarsi davanti persone con un gran numero di anni che ti fanno sentire vecchio e stanco, a dispetto dell'età ancora non veneranda. Rosalina Neri è una di queste. Ha 91 anni, la voce fresca, il sorriso spontaneo, progetti, amici («facciamo presto con l'intervista, mi aspetta un amico a pranzo dall'altra parte di Milano, gli porto il mio roast beef»). Ha una vita piena di affetti, con la figlia Angela e le nipoti grandi: una attrice, l'altra allieva di danza classica. Rosalina è un'enciclopedia vivente dello spettacolo, suo mondo fin dai primi anni 50, quando lei, ragazza di Arcisate, Varese, venne lanciata nella televisione degli esordi come Marilyn Monroe italiana, da Marcello Marchesi. «Mi fece un bello scherzo. Non mi sentivo la stupidina che imita Marilyn. Però lo ringrazio: quella definizione mi portò in Inghilterra, dove le sosia della Monroe andavano per la maggiore. Non sapevo una parola di inglese. Incontrai l'uomo della mia vita, il direttore d'orchestra e impresario Jack Hylton. Avevo 23 anni, Jack 65. Ma era lui il più giovane. Aveva un carattere meraviglioso. Lo amai come non avrei più amato nessuno. Jack è il papà di mia figlia Angela, ma non l'ha mai conosciuta: morì prima che lei nascesse». Vivere quel grande amore significò entrare nel giro delle persone inseguite dai paparazzi. Lei bellissima - dicevano fosse più seduttiva della vera Marilyn -, con Jack, i divi, i cantanti, personaggi della cultura. Persino presidenti. «A New York, dove Jack aveva un appartamento, cenammo con John Kennedy: rane fritte alla provenzale al Twenty One di Manhattan. Kennedy aveva un fascino incredibile». Rosalina Neri restò in Inghilterra dodici anni. Imparò bene l'inglese («ma ho ancora il mio bell'accento lombardo»), mise in moto la sua intelligenza e con spettacoli di primo piano fece dimenticare d'essere stata sosia di Marilyn Monroe. «Tornata in Italia, mi rigettò in pista il regista Filippo Crivelli, un amico, tuttora in attività. Fu lui a portarmi alla Scala, alla Piccola Scala, teatrino dove si osava, adesso ricovero delle scene dismesse». Si dice nemo propheta in patria, per Rosalina così non fu. Recital, prosa, operette e opera come cantante, cabaret, televisione, cinema: non si è fatta mancare nulla. Ecco perché è meritato il premio alla carriera che riceverà il 30 agosto a Sirolo, nelle Marche, nell'ambito dei riconoscimenti intitolati a Franco Enriquez, assegnati ogni anno a chi si è distinto nel teatro e nella cultura. «Sono felice del Premio. Il regista Enriquez lo conobbi di sfuggita: bellissimo, colto, intelligente. Un uomo raro». E Strehler? Che ricordo ne ha? «Quando gli dissi: ma perché mi ha fatto protagonista, non ho mai studiato recitazione, Strehler rispose che era proprio per questo. Mi diede il ruolo principale, al fianco di Franco Parenti, nella Grande Magia' di Eduardo De Filippo. Strehler aveva un senso dell'umorismo non italiano, simile a quello degli inglesi, che apprezzavo nel mio Jack, ma anche in Crivelli». Dell'amica Valentina Cortese, scomparsa di recente, dice: «Povera stella, mi manca da matti. Andavo a trovarla e mi chiedeva se avevo portato pane e salame. A volte cantavamo insieme, per rivivere momenti della nostra vita. Negli ultimi anni non le hanno fatto mancare nulla, era accudita in tutto, ma questo non evitava che vivesse attimi di grande solitudine. Succede. Ho perso una vera amica, che mi ha aiutato tanto. La conobbi al Piccolo. Finite le prove di uno spettacolo invitò noi del cast a casa sua, per mangiare qualcosa. Da quel lontano pane e salame agli ultimi tempi della sua vita, l'amicizia non ebbe mai ripensamenti». Pesano gli anni? «Non li sento, ho sempre da fare. Sto aspettando la conferma per un recital a Lione, in autunno. Poi vogliono convincermi a mettere ordine nei miei ricordi. Da sempre tengo un diario, ne potrebbe saltare fuori un libro. Forse lo farò. Ma un pochino mi immalinconisce. Quando Valentina pubblicò il libro di memorie, poche settimane dopo ne trovai quattro copie abbandonate sulle panche della stazione Centrale. Una tristezza! Anche se pare vada di moda abbandonare libri, affinché vengano presi e letti».
· Giovanna Ralli.
Lavinia Capritti per OGGI il 26 luglio 2019. Signora Ralli ma e vera questa storia? Una sera era a cena con la Magnani, Sergio Amidei e Marisa Merlini. La Merlini, che aveva recitato nel teatro di rivista durante il fascismo, per provocare il comunista Amidei, porto un libro su Mussolini. Lo tiro fuori tra il primo e il secondo, Amidei non ci vide più, tirò un pugno fortissimo alla boiserie e si ruppe il braccio. Cosi, per tutto il mese e mezzo successivo rimase con il braccio perennemente alzato in un saluto romano. «Certo che è vero, lo può scrivere». Giovanna Ralli, a 84 anni, ha il piglio di una trentenne in carriera, un trucco perfetto (che si fa da se), una voce magnetica e una risata contagiosa. Seduta nel suo salone ai Parioli, ascolta curiosa le domande, risponde solo a quelle a cui ha voglia di rispondere, e si preoccupa che ci sia acqua e caffè. Indossa, anche se siamo in penombra, occhiali fumè perchè girava i primi piani con i “bruti” (imponenti fari in grado di generare fasci luminosi) e la sensibilità dei suoi occhi e cambiata. Da un lato ha il ritratto che le fece Guttuso, dall’altro quello che le fece Carlo Levi. In un’altra parte della casa, ben incorniciata, c’è la dichiarazione d’amore di Almodovar verso il cinema italiano e la Ralli in particolare, fatta all’epoca di Volver.
Da dove cominciamo?
«Dall’inizio, avevo 13 anni e non è che volessi fare l’attrice, ma evidentemente avevo talento. Feci la generica per Eduardo De Filippo, conobbi Fellini che mi chiese: “Ti piacerebbe fare il cinema?”. Risposi: “Quanto mi date al giorno?”».
Non ha recitato solo per loro due, è stata l’attrice di Rossellini.
«Il cinema era della sinistra, Rossellini, Amidei, appunto. Cominciarono tutti a regalarmi libri, quando mi fu regalato Guerra e pace l’ho dovuto leggere sei volte. Avevo 15 anni e frequentavo queste persone».
Arrivo a Hollywood.
«Il provino andò bene, il primo mese andai ad abitare al Belmond Hotel, una volta nella hall incontrai Modugno: sai quando ci si incontra all’estero, ci si abbraccia entusiasti, si diventa nazionalisti. Quella sera, dovevo uscire con Omar Sharif e Barbra Streisand che stavano insieme dopo Funny Girl. A Modugno dissi: «Perchè non vieni anche tu cosi conosci Barbra?». Fini con Modugno che, nella sua suite, ci suono Meraviglioso con la chitarra. Barbra cantò con lui».
Si ferma un attimo e mostra sorridendo foto di lei vestita con abiti meravigliosi: «Sono andata a molti cocktail con questi vestiti che Valentino mi fece prima che partissi per l’America, allora era alle prime armi. Questo - e indica un abito con pantaloni amplissimi - l’indossò anche Marella Agnelli».
Di quella vita che cosa ricorda?
«Presi una villa accanto a quella di Jack Lemmon, lo invitavo a mangiare l’amatriciana. Avevo la mia segretaria, il mio camerino era quello di Carole Lombard, una roulotte leopardata. Ero l’unica attrice del film (Papa, ma che cosa hai fatto in guerra, ndr) ed ero molto coccolata, sa?».
Chi altri conobbe?
«Andavo ai party di Vincente Minnelli, c’era anche Virna Lisi. Con lei ci divertivamo a fare la spesa la domenica nei supermarket, in Italia non esistevano e per noi era un’evasione».
In Italia, invece, ha frequentato molto la Magnani.
«Anna mi adorava. Quando doveva interpretare La ciociara, De Sica organizzo una cena perchè voleva che Rossellini si riappacificasse con lei dopo che si era messo con la Bergman. De Sica e la Magnani cominciarono a parlare del film e Anna disse: “Io non posso avere come figlia la Loren. Vorrei che mia figlia fosse Giovanna che e più ragazzina e poi e più bassa di me”. Cosi mi disse: “Alzati, alzati un po’, Giovanna”. Io pur di fare il film piegai le ginocchia, perchè allora si portavano le gonne larghe e lunghe, ma alla fine Anna non accetto il ruolo».
Magnani, Rossellini, Scola, Mastroianni, Sordi, ha lavorato con tutti. Il ricordo più bello della sua vita?
«L’amore per mio marito, Ettore Boschi, un grandissimo avvocato. Io avevo 42 anni e nessuno mi aveva chiesto di sposarlo, erano tutti già sposati. Non e vero che bisogna vivere insieme per capire se il matrimonio va o non va. Noi ci siamo sposati dopo tre mesi e siamo stati insieme 36 anni. Lui per me e stato tutto».
· Cucinotta: “51 anni di magia grazie a Massimo Troisi”.
Cucinotta: “51 anni di magia grazie a Massimo Troisi”. Il Giornale Off il 27/07/2019. Oggi spegne 51 candeline. Maria Grazia Cucinotta (Messina, 27 luglio 1968) è una delle più belle attrici italiane. Di recente ha confessato di aver dovuto affrontare un “complesso” derivante dal suo aspetto fisico: “Mia madre mi ha salvato a 19 anni, quando stavo per commettere l’errore più grande della mia vita. Mi volevo ridurre il seno. Per me era ingombrante […], lo consideravo un incubo, soprattutto da ragazzina, quando sentivo gli occhi addosso e le battute degli adulti”. Vi proponiamo l’intervista di Moreno Amantini a questa incarnazione della bellezza mediterranea (Redazione – fonte: urbanpost.it). Dal terzo posto a Miss Italia nel 1987 per poi approdare in tv con Renzo Arbore a Indietro Tutta!, fino alla consacrazione cinematografica con Il Postino. Maria Grazia Cucinotta, neo cinquantenne, si racconta tra passato, presente e futuro.
Il Postino è il film che ti ha consacrata nel panorama cinematografico internazionale. Che ricordo hai di Massimo Troisi?
«Più che un ricordo è una realtà costante. Se non avessi fatto quel film la mia carriera non sarebbe quella che è oggi. Provo un’enorme gratitudine nei confronti di Massimo. Ogni giorno».
Il 27 luglio spegnerai 51 candeline. Che rapporto hai con il tempo che passa?
«Un rapporto bellissimo perché già che passa vuol dire che sei vivo. Io sto vivendo ogni attimo della mia vita intensamente, come ho sempre voluto, senza risparmiare minuti, ore o secondi. Non ho un rapporto morboso con il tempo, riempio le mie giornate con mille iniziative e tante cose da fare. Non mi annoio e non amo perdere tempo. Facendo così mi trovo a non avere rimpianti. Se potessi rivivrei tutto esattamente così come è stato».
Sei una donna molto forte, decisa, determinata. C’è qualcosa che ti spaventa?
«Vedere soffrire le persone a me care. Perdere gli affetti e le persone che amo».
Un aneddoto OFF della tua carriera?
«Il mio primo book fotografico. Non avevo una lira e le agenzie per realizzarlo mi chiedevano delle cifre di cui non disponevo così, alla fine, me lo feci fare da mio fratello, spacciandolo poi per un lavoro professionale».
Attrice, doppiatrice, produttrice e regista. Chi è Maria Grazia Cucinotta?
«Tutto questo. Amo mettere tutta me stessa in ogni cosa che faccio».
Come le vedi le sorti dei giovani nel nostro Paese?
«I ragazzi sono intelligenti e pieni di sogni. Purtroppo nel nostro Paese si fa poco per loro. Né lo stato né il Governo pensano al loro futuro. Si parla tanto di crisi e di tagli ma mai di creare un’evoluzione del lavoro».
Qual è, secondo te, il segreto del tuo successo?
«A saperlo! Gli americani hanno provato a studiare cosa fossero sia il successo che il carisma e non ci sono riusciti. Io credo un insieme di energie e riuscire a far star bene gli altri».
Progetti futuri?
«Mi vedrete nei panni di una cantante di liscio. Mi sono misurata con qualcosa di molto lontana da me».
· Martina Colombari.
Martina Colombari: "Io mangio positivo". La sua attenzione al cibo è da manuale. Come tiene insieme rigore e gola? Con una ricetta, di vita. Massimo Castelli il 26 luglio 2019 su Panorama. «Signori, Miss Italia 1991 è...». Fabrizio Frizzi, con quei fogli arruffati in mano e l’annuncio in canna, sembra persino più emozionato delle due ragazzine che aspettano composte il verdetto. «La numero 9... Martina Colombari!». Baci, abbracci, qualche lacrima. Su YouTube si rivede tutto. Anche un Alain Delon già attempatello che fa il piacione mentre la incorona («Preferisco suo figlio» lo rimbalzerà poco dopo la vincitrice). Da allora sono passati 28 anni. La 16enne Martina Colombari è diventata 44enne pochi giorni fa. E nel mezzo ci sono state tante cose. Ha fatto la modella, la presentatrice tivù e l’attrice; ha acceso le cronache rosa grazie al lungo fidanzamento con Alberto Tomba (conosciuto perché il campione del mondo di sci era proprio tra i giurati di Miss Italia) e poi a quello con il giocatore del Milan Alessandro Costacurta, che diventerà suo marito e padre di Achille, oggi 15enne. Ma che sera quella sera...Il volto acerbo e le sopracciglia folte come usava, il sincero accento romagnolo, Martina era «la» ragazza della porta accanto, la bellissima straitaliana che fino al giorno prima aveva aiutato al ristorante di famiglia, nella sua Riccione, cresciuta com’era fra tortelli e piade. «Mio nonno cominciò facendo il cameriere in un bar-gelateria» ricorda. «Dopo ha aperto un piccolissimo bar suo, poi diventato pizzeria, poi tavola calda, infine ristorante vero e propro, 45 anni fa. Ci lavoravano una trentina di persone ed era aperto quasi 24 ore al giorno. Si chiamava Da Gianni, sulla passeggiata. C’è ancora, anche se non è più nostro. In compenso mio zio ha un bar ristorante in spiaggia».
Nome?
«Compreso Iva. Con Alessandro (Costacurta) e Achille ci andiamo a mangiare quando siamo al mare a Riccione. Nella nostra famiglia c’è sempre stata la ristorazione».
Il che la rende perfetta testimonial di questo Speciale food. Che ricordi conserva di quando era bambina?
«Dove mi mettevo davo fastidio. Se andavo in cucina... «No, c’è la friggitrice!». Se mi spostavo alla tavola calda... «No, c’è la griglia, ti scotti!». Dietro al bar... «No, c’è la macchina del caffè e ti ustioni!». Dovevo mangiare alle sei del pomeriggio come le galline oppure scendere giù in cantina. Un sotterraneo dove mi apparecchiavano un tristissimo tavolino. Cenavo da sola, faccia al muro».
La dura vita dei ristoratori. Poi è cresciuta.
«E sono diventata addetta alle birre alla spina».
Scommetto che i clienti venivano solo per vederla.
«Non saprei, avevo appena 16 anni quando sono diventata Miss Italia. Quello che so è che fino a pochi giorni prima servivo tortellini, strozzapreti, passatelli in brodo o al sugo di pesce. E che dal giorno dopo cambiò tutto. Tornata a Riccione il sindaco aveva organizzato una conferenza stampa proprio dentro il ristorante, io con la corona in testa. A quel punto sì, veniva tanta gente per vedermi».
Con radici così profonde nella ristorazione, chissà che manicaretti prepara a casa sua.
«Io non so cucinare. Io odio cucinare!»
Ah...
«A casa mia si mangia in modo semplice e salutare».
Dica dica.
«Non troppa carne rossa, niente fritti o umidi, tanto pesce cucinato in modo semplice. Nel nostro piatto ci sono sempre proteine, verdure e carboidrati, magari integrali. Quindi hamburger di lenticchie, zuppa di legumi, pesce. Sì, ogni tanto mi concedo un passatello in brodo ma è un’eccezione».
È un’attenta salutista.
«Ultimamente ho fatto anche il test del Dna per vedere quali valori devo tenere sotto controllo».
Risultato?
«Sono un po’ intollerante al glutine».
Non è che le tolgono i natali riccionesi? Scomunicata per rifiuto del cibo tradizionale.
«Stia tranquillo che quando mangio da mia nonna a Riccione mi godo le sue tagliatelle al ragù, le lasagne, i tortellini pasticciati... Mangiar sano non significa seguire una dieta, ma il regime alimentare che scegli tu».
Almeno una piada la saprà fare. Consigli?
«La piada va mangiata normale. Sicuramente non va arrotolata come la propongono tutti i bar dei milanesi: non s’è mai visto in Romagna il rotolo di piadina. Si fa a mezzaluna e poi la tagli a spicchi».
Ingredienti?
«Ovviamente i classici. Stracchino e rucola. Oppure insalata crudo e squacquerone. O prosciutto e mozzarella. Ma c’è anche il cassone con erbette di campagna, pomodoro e mozzarella».
Però è più forte sulle verdure.
«Mangio tutti i tipi di verdure e cucinate in tutti modi. Le faccio con avocado, frutta secca, semi e proteine, come tocchetti di salmone, oppure uovo. Ma non bisogna esagerare con l’insalata, che può far male. Inoltre si deve rispettare la stagionalità di frutta e verdura. Le mele in estate? Scherziamo? Inutile poi stupirsi che le coltivazioni sono sballate, riempite di conservanti, modificate geneticamente o provenienti da chissà dove. Con il cibo serve consapevolezza. In casa nostra cerchiamo di averla».
Per suo figlio quindicenne dev’essere dura avere genitori così talebani. Scommetto che ha trovato in giro cartacce di merendine e tubi di Pringles vuoti.
«Lo ammetto: in camera sua mio figlio ha il «cassetto delle schifezze» e guai a toccarglielo. Dentro c’è di tutto, mezzo scartato, mezzo mangiato... A Milano hanno aperto due negozi di dolci americani e lui ne fa incetta. Dal burro di arachidi al marshmallow spalmabile. Altri barattoli sembrano colla vinilica. Le brodaglie da bere hanno colori che non esistono in natura».
E a lei non piacciono i dolci?
«Sarei capace di finire mezzo chilo di gelato».
È il suo cibo preferito?
«No, è la pizza. Da quella che trovi all’autogrill a quella gourmand, oggi diffusissima».
Il cibo è più sofisticato di una volta. Negli anni Ottanta e Novanta si mangiavano i tortellini panna e prosciutto.
«E le penne alla vodka. E il cocktail di scampi serviti nella simil-conchiglia. Che schifo! (ride) E il risotto allo champagne».
E il Galestro capsula viola.
«E la vodka alla pesca.
Altri tempi anche se per lei, il tempo, non sembra essere passato. Sarà che fa un sacco di attività fisica.
«Ogni giorno. Dalla corsa in su».
Su Instagram ha quasi un milioni di follower ma gli hater la accusano di essere troppo magra.
«Sui social c’è di tutto.
Posta anche foto in costume, alcune obiettivamente sexy. Si sente sexy?
«Mi sento viva».
È la 44enne più in forma del mondo.
«Rimanere giovani non significa avere meno rughe ma essere più sani. Darsi delle regole, sei tu che scegli cosa entra nella tua bocca. Se la sera mangi come un diavolo e vai a letto tardi non ti puoi lamentare che la mattina sei una larva».
Mi sta sgridando?
«Perché, è così sregolato?»
Beh…
«E allora deve cambiare stile di vita! Di vita ce n’è una sola, sa, e questo vale per tutti! Per cui o mangi bene adesso o dopo sarà troppo tardi».
Appena sveglio mi faccio un espresso con diversi biscotti al cioccolato. Dice che non va bene?
«Ma proprio no! Un po’ di acqua calda e limone... un po’ di frutta... un po’ di proteine le vorrà mangiare. Che sia uno yogurt, che sia un uovo sodo, un avocado, dei pancake con farine arricchite con polveri proteiche naturali. Non bisogna trascurarci».
E a pranzo mangio spesso un panino.
«Cosa?! (grida ridendo) Mi sta provocando? Lo dice apposta per farmi arrabbiare? Mangia davvero così, con questa... questa... dieta errata?»
Qualche saggio consiglio?
«Alla sera si cucina una dose un po’ più abbondante della cena, così per il pranzo del giorno dopo c’è pronta la schiscetta. Non pretendo che si metta a cucinare al mattino perché mi sputa in un occhio».
In questa stagione non si può rinunciare al rito dell’aperitivo. O vuol toglierci anche quello.
«No no, quello va bene. Un moscow mule o un bel bicchiere di rosso ogni tanto... Come dicevo, si vive una volta sola».
Sta rapidamente diventando la mia guru.
«E lei sfotte. La fa meditazione?»
La medi-che?
«Ahahaha. Meditazione. Aiuta. Che non è solo quella «oom» con le gambe incrociate. Ti fa aprire gli occhi sulla vita. Quante volte sei consapevole di ciò che davvero stai facendo? Non molte durante la giornata. Vai in automatico. Invece il nostro destino lo decidiamo noi».
In una parola...
«È sempre la stessa: «Consapevolezza»».
· Paola Turci.
Francesca Schianchi per la Stampa il 12 dicembre 2019. «Seguo con curiosità il movimento delle sardine». Trent' anni di musica, nove Festival di Sanremo, Paola Turci è un' artista che non teme di esporsi: dalla scorta a Liliana Segre («assurdo, inconcepibile, osceno») al caso dell' ex sindaco di Riace Mimmo Lucano («umanità, la parola dal significato più nobile sembra diventata una parolaccia»), dai suoi social commenta spesso l' attualità. In questo autunno di manifestazioni, ragiona con interesse di piazze e partecipazione.
Che impressione le fa il ritorno delle persone in piazza?
«Quando c' è stata la prima piazza delle sardine a Bologna, il 14 novembre, ero lì per la seconda data del mio tour.Ci siamo sentiti con Gianni Morandi, abbiamo commentato Salvini al Paladozza e la contromanifestazione. Avevo invitato al concerto un' amica, Elly Schlein (ex europarlamentare di Possibile, ndr.): "Non posso - mi ha detto - devo andare dalle sardine". Poi mi ha mandato la foto della piazza piena, bellissima. Io mi sento di sinistra all' emiliana, quella accogliente e solidale. Non avessi avuto il concerto quella sera sarei andata in piazza anch' io».
Andrà sabato a Roma?
«Penso di sì, ci stiamo scrivendo con le mie amiche in queste ore. Vorrei partecipare a questo risveglio delle coscienze, per scuotere una classe politica bloccata da slogan, algoritmi, becera propaganda».
Le sardine nascono in contrapposizione alla Lega, ma molti le interpretano anche come monito al centrosinistra. È d' accordo?
«Io penso che la decisione di scendere in piazza nasca prima di tutto dalla volontà di ribadire il concetto di antifascismo. Sembrerebbe qualcosa di antico, ma è importante arginare derive pericolose».
Quindi hanno fatto bene i fondatori a chiarire che CasaPound non è la benvenuta.
«Certo. La cosa bella di questi ragazzi è che sanno riconoscere i loro errori: hanno commesso un' ingenuità, lo si dice e si va avanti».
Chi li critica dice: protestano ma non propongono.
«Quando qualcuno lo dice penso: ti dispiace eh che non ci hai pensato tu a questo movimento?... Le sardine non devono proporre nulla, il loro ruolo è far scendere la gente in piazza con un linguaggio civile. Il loro messaggio di civiltà e democrazia è fortissimo».
Non vogliono diventare un partito. Tutta questa energia alle urne dove andrà a finire?
«Chi lo sa, forse come faccio io alle Politiche, in una scheda bianca perché non so chi votare».
Martedì c' è stata un' altra piazza piena, a Milano, accanto a Liliana Segre.
«Commovente. Ho scritto al sindaco Sala via Instagram: "Sarebbe ora per me di tornare a Milano". Quella piazza è il mondo che vorrei, dove la società civile risponde con dolcezza prendendosi per mano».
«Lasciamo l' odio agli anonimi da tastiera», dice la Segre.Lei ha haters?
«Oh sì. Quando sono state assegnate le Olimpiadi invernali a Milano ho scritto: "E a Roma, la città più bella del mondo, vanno le Olimpiadi della monnezza". Non ce l' avevo col sindaco, constatavo come è messa la mia città, qualunque ne sia la ragione. Mi hanno massacrata. Su Twitter segnalo gli haters, anche quelli non miei».
Si dice che i renziani pensino a lei come candidata alle suppletive per il collegio Roma 1 alla Camera.
«Grazie, non mi interessa. Se qualcuno mi proponesse di lavorare attivamente a qualche associazione probabilmente accetterei, in particolare sulla questione delle donne. Ma la politica no».
Da “la Stampa” il 12 dicembre 2019. «Stanno cercando di trasformarmi in un mostro»: Roman Polanski parla per la prima volta dopo le accuse di stupro mosse a suo carico dalla fotografa francese Valentine Monnier. «Questa storia è aberrante» dice Polanski a Paris-Match, in edicola domani. Come aveva già fatto attraverso il suo avvocato, l'ottantaseienne regista torna a «negare totalmente» le accuse della Monnier, secondo cui Polanski l'avrebbe violentata nel 1975, quando lei aveva 18 anni, nel suo chalet in Svizzera. Il regista si ricorda «appena» della Monnier. «E non ho alcun ricordo di quel che racconta, perché è falso. Il suo viso, nelle foto pubblicate, mi dice qualcosa, ma niente di più. Racconta che una sua amica l'aveva invitata a passare qualche giorno a casa mia ma non ricorda più di chi fosse! È facile accusare qualcuno quando tutto è prescritto da decenni e si è sicuri che non mi sarà possibile discolparmi in giudizio. Racconta che le avrei chiesto, mentre eravamo in seggiovia: do you want to fuck? Ma perché lo avrei fatto in inglese? Dice che ci sono tre testimoni dello stupro, tre miei amici, presenti nello chalet: ma due sono morti e una introvabile: è troppo facile. Io mi sono abituato alle calunnie - conclude - e le mia pelle si è indurita come una corazza. Ma per i miei figli e per Emmanuelle (Seigner, sua moglie) tutto questo è spaventoso».
Paola Turci insultata per un tweet critico sulle Olimpiadi. Pubblicato martedì, 25 giugno 2019 da Annalisa Grandi su Corriere.it. Lei aveva twittato sottolineando il degrado della sua città, Roma. Le hanno risposto criticandola, insultandola e facendo riferimento al suo viso. Paola Turci presa di mira dagli haters in Rete dopo un tweet pubblicato nel giorno dell’assegnazione delle Olimpiadi invernali del 2026 a Milano e Cortina. «E a Roma, la città più bella del mondo, vanno le olimpiadi della monnezza» aveva scritto la cantante facendo riferimento alla situazione di degrado nella Capitale. Parole che però non sono piaciute a diverse persone, in Rete. E se alcuni hanno espresso il loro dissenso in modo pacato e pacifico, altri si sono scagliati contro di lei con offese professionali e non solo. «I tuoi tweet fanno quasi più schifo delle canzoni che canti» si legge in un messaggio. Ma a scatenare l’indignazione è un altro tweet in cui si legge: «Ma che le è successo alla faccia? Si sniffa la differenziata dell’umido in estate?». Il riferimento è al viso della cantante, che il 15 agosto del 1993 era rimasta coinvolta in un grave incidente stradale sulla Salerno-Reggio Calabria: a causa delle ferite riportate le erano stati messi cento punti di sutura e aveva dovuto sottoporsi a tredici interventi al volto, dodici dei quali all’occhio destro. «Per due anni mi hanno tolto pezzi di vetro dalla faccia» aveva raccontato la Turci.
Daniela Lanni per “la Stampa” il 4 novembre 2019. Prima del tour ho un chiodo fisso in testa, è come il primo appuntamento d' amore. Pensi solo a come ti devi vestire, se sarai pronta, piacerai, ma non vedi l' ora che inizi. Il concerto è la massima espressione di questo mestiere». E il conto alla rovescia per Paola Turci è ormai agli sgoccioli. Il 12 novembre, dal Teatro Colosseo di Torino, parte il suo tour «Viva Da Morire», che prende il nome dal titolo dell' ultimo album e che per un mese attraverserà l' Italia.
Dodici date in un luogo che ha sempre amato.
«Il teatro è la mia dimensione, rappresenta il luogo dell' attenzione, dei respiri, del possibile. Un contatto di sfumature impercettibili che riescono ad arrivare sia a chi è sul palco che a chi è sotto. E poi mi dà la possibilità di fare caciara mettendo la vita al centro di tutto, vivendo le emozioni in modo profondo. E sentire tutti i sapori che ci girano intorno».
Questo inno alla vita da che cosa nasce?
«Dall' esperienza di averla vista sfuggire. Solo chi ha provato questa sensazione, con il pensiero che tutto sia finito, sa cosa significhi davvero. Ti rendi conto di quanto sia bella. La vita può essere una scelta se ti costringe a dover scegliere, ma non è un' ovvietà. Le cose accadono e le occasioni non si devono perdere».
Come avete creato la scaletta?
«Torino sarà il concerto che abbiamo pensato, poi dopo la prima mi renderò conto se c' è qualcosa da migliorare, improvvisare, togliere o aggiungere. A un certo punto deve decidere il pubblico, non voglio forzarlo. Si inizia con l' ultimo disco poi si continua con le canzoni che hanno caratterizzato la mia carriera e il numero di vite che ho avuto».
Perché quante ne ha avute?
«Almeno quattro o cinque. Ognuna è segnata da una canzone e quella attuale è Fatti Bella per Te che lancia un messaggio sull' autostima».
Rivolto a tutte le donne.
«Oggi c' è ancora molta disuguaglianza tra uomo e donna, non sempre viene notata e potrebbe sembrare qualcosa di normale, ma non lo è. Come i commenti per strada, e non parlo di complimenti. Una libertà maschile, un piccolo seme che piantato fa germogliare il senso di proprietà. Se ne parli però diventi antipatica, brutta e fai paura agli uomini. In realtà chiedo solo che torni l' equilibrio tra esseri umani».
Perché una donna forte fa paura?
«È un concetto malvisto e mal posto. Per donna forte si intende una che alza la voce, è arrogante, non ascolta. Invece l' accezione di "forte" ha a che fare con sensibile, intelligente, con il concetto di differenza di trattamento. Io insisto nel dire che sono femminista in quanto rivendico il diritto all' uguaglianza tra uomo e donna, nessuna superiorità. E attenzione perché molti uomini potrebbero avere o hanno un' idea femminista».
A 55 anni come si sente?
«Una che comincia a non avere più paura di mettere paura. Prima mi facevo mille scrupoli, soprattutto con gli uomini. Pensavo di essere sbagliata, di dover essere più dolce altrimenti li spaventavo. Ma io lo sono sempre stata. Se l' uomo si spaventa il problema è suo, non mio. La chiave di volta è stata la mia insofferenza nel nascondermi dopo l' incidente, facendo finta di non farlo. A un certo punto ho mollato, ho imparato ad accettare me e le mie cicatrici. Viviamo in una società in cui ci sono conformismo e omologazione che, a volte, neanche vediamo. Riuscire a essere quello che siamo credo sia una grande conquista».
Quali sono le sue priorità?
«Essere libera dai pregiudizi su me stessa, forse più che libera, liberata. Stare bene, essere serena e avere una buona dose di allegria. Famiglia e nipoti sono sempre stati il mio equilibrio, poi ci sono amicizia e amore».
È innamorata?
«No e non ne soffro, anzi sto bene e sono tranquilla. Ho il cuore leggero. Mi sono innamorata diverse volte, più che altro mi sono addolorata diverse volte (dice ridendo)».
Progetti in cantiere?
«Sto scrivendo un romanzo. Ci sto lavorando con lunghe pause per mancanza di tempo ma conto di finirlo. Poi ho tre nuove canzoni che mi stanno girando per la testa e la prossima settimana vado a chiuderle in studio con il mio produttore. È un momento bellissimo».
L'album comincia e si chiude con un brano per suo padre. L' ha definito il suo «supereroe». Cosa crede le direbbe?
«Sarebbe felice come lo era prima di andarsene. Mi direbbe "brava", e sento che me lo dice».
· Sabrina Salerno.
Sabrina Salerno: “Quando sfondarono i vetri pur di fotografarmi..” Tommaso Martinelli il 25/11/2019 su Il Giornale Off. All’estero i suoi concerti continuano a registrare regolarmente il “sold-out”, ma presto anche in Italia potrebbe tornare ad avere un ruolo primo piano nel mondo dello spettacolo. Sabrina Salerno, cantante, attrice e conduttrice, si racconta a Off.
Sabrina, hai debuttato giovanissima nel mondo dello spettacolo…
«È vero, quando ho esordito avevo diciassette anni e da un momento all’altro mi sono ritrovata in un contesto di cui sapevo pochissimo. Fortunatamente, però, ho avuto modo di imparare in fretta, grazie all’opportunità che ho avuto di collaborare sin da subito con straordinari professionisti del calibro di Gino Landi o di dividere il palcoscenico con Johnny Dorelli. In quel periodo sono riuscita a conquistare più spazio in più settori contemporaneamente, divenendo protagonista sul piccolo schermo di programmi come Premiatissima, ma anche nel mondo della discografia, grazie ad alcune canzoni che spopolarono e conquistare la vetta delle hit-parade».
Nel corso degli anni, però, hai ottenuto successo soprattutto all’estero…
«L’Italia è un paese non meritocratico, purtroppo questa è la realtà: se non sei schierata o se non hai “padrini” o “madrine” è un problema, diventa tutto più difficile. Io sono andata avanti grazie alla mia professionalità: anzi, ho pagato lo scotto di non aver mai avuto aiuti da nessuno. Il tempo, però, premia l’onestà artistica e morale così come il pubblico che ha bisogno di personaggi veri».
In futuro a quale tipo di progetti ti piacerebbe dedicarti?
«In questo periodo sono impegnata con una lunga tournée all’estero ma nella mia agenda ho anche tanti progetti importanti che partiranno nel 2020: insomma un bel po’ di impegni! La soddisfazione più grande è che finalmente mi sono state fatte delle proposte interessanti e serie che riguardano anche l’Italia, che è il Paese in cui sono rimasta a vivere».
Cantante, attrice e conduttrice: c’è un altro lato di te che il pubblico ancora non conosce?
«Anche se faccio l’artista ho una mente molto analitica e razionale, insomma ho un certo fiuto per gli affari: il mio commercialista mi dice sempre che avrei dovuto prendere le redini di qualche azienda (ride, ndr)».
Ci racconti un episodio off della tua carriera?
«Non dimenticherò mai quando, una volta, atterrai all’aeroporto di Barcellona e vidi una trentina di fotografi dietro la vetrata. In un primo momento, pensai che stessero lì ad aspettare chissà quale star mondiale. Poco dopo, invece, mi resi conto che erano lì proprio per me. Improvvisamente sfondarono i vetri pur di fotografarmi e per quello provai un forte spavento ma, lo devo ammettere, fu anche una bella soddisfazione».
Un’ultima curiosità: con tutti questi impegni lavorativi, come riesci a conciliare vita professionale e privata?
«Per fortuna, sono sempre riuscita a conciliare tutti i vari aspetti della mia vita. Riesco a prendere anche due o tre aerei nella stessa giornata, pur di stare accanto alla famiglia. Dopo tutti questi anni, sono ormai abituata: mi piace vivere così, sempre in movimento».
Sabrina Salerno confessa: "Ricevo richieste allucinanti, il feticista è la cosa più normale". La cantante e showgirl icona degli anni ’80 si racconta a 360 gradi, in un momento di pausa della sua tournée internazionale, parlando del suo rapporto con il web, della personale lotta al cyberbullismo e delle richieste assurde che riceve da feticisti e fanatici. Novella Toloni, Martedì 12/11/2019, su Il Giornale. Sabrina Salerno è e rimarrà un’icona degli anni ’80 e ’90. Grazie alla sua grinta e alla sua determinazione è riuscita a rimanere sulla cresta dell’onda, stando al passo con i tempi e con le mode pur rimanendo sempre se stessa. La cantante e showgirl è una fiume in piena, energia allo stato puro: la tournée europea in corso, la passione per il fitness, la famiglia e i progetti futuri a cui sta lavorando, confermano il suo momento d’oro. Merito anche dei social network che l'hanno avvicinata al grande pubblico del web. In esclusiva per i lettori de ilGiornale.it, Sabrina Salerno ha svelato qual è il suo rapporto con i social, tra aneddoti e richieste assurde, puntando però anche l’attenzione sul fenomeno dilagante del cyberbullismo di cui, anche lei, è stata suo malgrado vittima.
Attualmente sei impegnata in Europa con una serie di concerti?
"Torno la domenica e il mercoledì riparto quindi ho solo due giorni per recuperare , sono pochi per sistemare le cose, per fare palestra, per fare le spese, tutto di corsa insomma, però fino al 21 dicembre sarò impegnata nella tournée internazionale".
Pubblichi molte storie su Instagram, condividi foto e video con i tuoi fan su Facebook, insomma sei molto attiva sul web. Che rapporto hai con i social network?
"Credo che siano un ottimo mezzo per far capire alle persone che ti seguono cosa stai facendo e in che direzione stai andando. Io principalmente pubblico cose professionali, l’unica cosa più ludica che condivido è la palestra, poi tutto il resto è legato al lavoro. Sono un ottimo mezzo di promozione: per la gente, oggi, è come guardare la televisione, guardare chi ti piace. Come un reality, però, con la differenza che il protagonista sceglie cosa vuol far passare, che non è da poco. Nei reality sei alla mercé di tutto, vai in bagno, litighi… invece sui social mandi solo quello che ti va".
Poche settimane fa, hai denunciato alcuni profili social di persone che ti avevano insultato. Cosa è successo? Cosa ti avevano scritto?
"Non sono stati neanche insulti così pesanti. Una signora della mia età, tra l'altro, mi ha insultato fisicamente, dicendo che le mie foto non erano appropriate. Non capisco cosa volesse intendere veramente, però l’ho denunciata perché non volevo far passare il messaggio che tutti, siccome sei un personaggio pubblico, possono permettersi di dirti la qualunque. Io mi sono un po’ stufata di questa cosa, è una questione di rispetto. Se io non ti piaccio è inutile che tu venga sul mio profilo e fai dei commenti inappropriati. Io mi difenderò sempre da tutto, non sono quella che sta zitta. Ti faccio un paragone un po’ diverso. Oggi sai che il bullismo nelle scuole è un grosso problema. Parlo spesso con la polizia postale, dove ho degli amici, e ci sono situazioni e atteggiamenti dei ragazzi di oggi che chiamano le ragazze 'troia' e 'puttana'. Questa cosa è diventata quasi la normalità e le ragazze la prendono come se niente fosse. Ma le parole sono importanti, le parole sono come sassi tirati in faccia che fanno male e non vanno accettate, assolutamente. Motivo per il quale se una persona mi insulta su Instagram non sto zitta. Il cyberbullismo sta dilagando tra i ragazzi e nelle scuole, per questo bisogna far passare il messaggio, anche nelle scuole, dove sono andata a parlare. Oggi c’è una violenza, una crudeltà in questi giovani che fa paura”.
Ma i social sono anche il terreno ideale di chi ha idea un po' particolari, dei feticisti e non solo. Sei mai stata contattata sul web per richieste particolari?
"Me ne capitano ogni giorno. Potrei scrivere un libro per tutte le richieste che ricevo, dalle richieste di matrimonio, come se la gente non sapesse che sono sposata, a tanto altro. Certe cose non le racconto neanche perché sono talmente allucinanti che il feticista è la cosa più normale. Sono disposti a qualsiasi cosa. Evidentemente c’è qualcuno che accetta sennò non ci proverebbero. Sono fuori, molto alternativi e creativi, per lo più degli uomini che credono di poter comprare tutto".
Puoi raccontarci un episodio?
"La cosa più assurda mi è successa con un feticista, che voleva regalarmi delle Louboutin: mi mandava le foto e mi voleva regalare tre paia di queste scarpe. Io ovviamente non gli ho dato il mio indirizzo, se proprio le voglio me le vado a comprare. Ma aveva una fissa, durata del tempo, poi fortunatamente ha smesso. Io appena vedevo i suoi messaggi li eliminavo, è stata una cosa incredibile. Ti dà l’idea di uno che pensa: 'Ti mando le Louboutin perché vorrei vederle indossate su di te'. Secondo te io mi faccio mandare le scarpe per poi inviarti delle foto? No, ma ce ne sono una marea di persone così. Chi ha a che fare con tante persone sui social si rende conto che questo è un mondo un po’ particolare, un po’ matto. Ci sono persone fantastiche che ho conosciuto grazie a Instagram, persone del passato con le quali non avevo più contatti, mi ha permesso di riprendere amicizie, di conoscere artisti meravigliosi, da pittori a truccatori incredibili. Poi ci sono gli ossessionati, che vivono su Instagram dalla mattina alla sera e sono anche grandi, gente di 40/45 anni e questo lo trovo un po’ strano, perché neanche mio figlio (che ha 15 anni) ci sta tanto. Anche se mio figlio non fa testo perché su Instagram ha pubblicato una foto e non si fa selfie".
Sei uno dei sex simbol degli anni ’80 e ’90 e ancora oggi il sogno di migliaia di italiani e non solo. Ti vedremo presto in tv?
"Fino al 2020 sono impegnata con la nuova tournée internazionale con la Cheyenne Production che terminerà al Casinò di Parigi, ho in ballo progetti importanti ma per quanto riguarda la televisione, dipende…si…no? (ride, ndr)".
Barbara Costa per Dagospia il 29 giugno 2019. “Ti sbatterei come un’onda su uno scoglio”, “perlamiseriaccia, che figa”, “sei la topa più topa che ci sia”, “ti farei un cappotto di saliva”, “mamma, che provole!”: traduci queste frasi in inglese, francese, spagnolo, e avrai il top dei messaggi che fan adoranti lasciano sul profilo Instagram della “topolona da formula uno” Sabrina Salerno, selfie-girl, le cui sexy curve allietano i sogni di migliaia di italiani – e non – dalla metà degli anni '80 a oggi. Instagram ne ha risvegliato i sensi, scatenandoli: tutte le emozioni che le sinuosità di Sabrina accendevano – da adolescenti ieri, e uomini con prole oggi – erompono sulla pagina di questa diva nostrana, che mostra curve identiche a quelle bombastiche strizzate in quel mitico bikini bianco di due taglie in meno, protagonista del videoclip "Boys", come delle fantasie più peccaminose. Fantasie finto-sopite, che si destano e schizzano sui social ogni volta che Sabrina posta una nuova foto o appare in tv. Dopo lo scherzo de "Le Iene", sul suo profilo i “dimmi dove tinderizzi” s’ammontano, insieme ai ricordi delle prime, acerbe esperienze onanistiche che Sabrina incendiava, e c’è chi si lascia andare a confessioni quali “eri nuda e nascosta tra le pagine del mio diario”, “avevo un cuscino con la tua foto”, “è per il tuo corpo che porto gli occhiali”, “chissà perché non sono diventato cieco!”. Messaggi spinti ma sinceri, Sabrina non li blasta, nessuno tra loro supera i limiti della decenza, i suoi fan sono la gran parte rispettosi, al massimo si indignano per le foto con "inopportuni" emoji (“perché copri il capezzolo? Io te lo mangerei…”), e tra loro non mancano sbavate di millennial e più giovani, riassunti in un “potresti esser mia madre, ma sei una gnocca assurda”. Se trovi spudorati complimenti e dichiarazioni d’amore in più lingue, è perché Sabrina Salerno è una delle cantanti italiane più famose all’estero, dall’Europa al Sudamerica: alla faccia di quelle – poche, va detto – utenti di sesso femminile che spezzano i deliri d’amore dei suoi fan, postando commenti non antipatici ma parecchio invidiosi, dove godono a ricordarle quanto erano brutte, e vuote, e prive di contenuto neuronale le sue canzoni, con quelle canzoncine disco-pop Sabrina ha venduto – sentite qua – 20 milioni di dischi, e ha raggiunto il terzo posto in Inghilterra, piazzando il suo album d’esordio dopo quelli di Michael Jackson e Madonna. Sabrina è stata tra le prime a cantare a Mosca quando il Muro era ancora in piedi, Sabrina è stata tra le più ascoltate e vendute in Spagna, in Germania, in Finlandia. Le sue movenze, la sua esuberanza, i suoi videoclip censurati su MTV per le sue magliette bagnate appiccicate a un seno che eruttava pensieri immondi fin nelle menti più bigotte, hanno fatto strage di cuori, mandando all’aria ogni residuo di perbenismo. Cuori che battono ancora oggi e non solo in rete, se è vero che Sabrina fa concerti da tutto esaurito in Francia, e ha l’agenda piena di impegni canori fino al 2020. Se gli spagnoli crearono un "chewin-gum Sabrina Salerno", correndo a frotte a scartarlo e a masticarlo, quale sarà stato il motivo? Tutto merito delle tette? Del suo lato b? Dei suoi ammiccamenti sexy? Non bastano, seppur un fisico simile lasci di stucco, fisico che Sabrina ha saputo ben spogliare, per sedurre ai confini del lecito. Una seduzione continua, fremente, gaudente, un sex appeal che ha rapito il maestro Milo Manara se è vero che una Sabrina Salerno a fumetto si impossessò della sua matita aguzzandone il tratto, un seno semicoperto di bianco, e l’altro nudo, artigliato tra le dita di Satana. Sabrina avrebbe dovuto interpretare la burrosa Miele in una riduzione cinematografica a firma di Fellini, e di questo progetto mai nato c’è rimasto l’estro di Manara su carta, e la sua Sabrina Salerno che ci guarda dritto negli occhi, da quelle tavole come da una telecamera, e ora dai social, sempre beffarda, senza paura. Sembra non aver mai avuto paura, Sabrina: una bellezza sfrontata e sapientemente gestita, e dire che sulle prime a lei quell’omaggio di Manara non piaceva, non condividendone la presa demoniaca. Oggi posta che ha cambiato idea, ma non credo voglia mutare di una virgola l’intraprendenza con cui a 20 anni rispondeva a femministe inacidite o meglio, gelose di quel ben di Dio a loro non toccato: “Giovane e raccomandata: così all’inizio spiegavano il mio successo. Invece per conquistarlo sono dovuta andare all’estero, dove neppure sapevano pronunciare il mio nome!”. O forse a certe donne fa rabbia che Sabrina sia rimasta la “dea da venerare e sognare di sc*pare” (copyright di un suo fan infoiato) che è. Il suo esercito di schiavetti in amore non fa che lusingarla rimarcando quanto lei dia “la paga alle 20enni”, sicché “Belen e Diletta Leotta scansateve proprio, state muuuteee!!!”. Ciò che fa davvero dannare molte sue colleghe credo sia ben più inarrivabile del suo fisico “da paura”, ed è svelato da Sabrina Salerno in alcune interviste: il suo non stare mediaticamente "a galla" col gossip, non essere un “contenitore televisivo h24”, il suo dire no alle porte dei reality più attiranti, il suo andare in tv “solo se mi pagano bene, e se devo promuovere qualcosa”. Il suo esserci, ma solo il necessario. Che è poi quel che serve a far venire quell’irrefrenabile prurito, quell’acquolina in bocca impastata d’impazienza, ai suoi devoti followers, fieri e proni a “tanta gnoccanza italica”.
Dagospia il 20 ottobre 2019. Estratti dell’intervista di Pierluigi Diaco a Sabrina Salerno per “Io e te - di notte” - Raiuno.
DIACO: tu hai conosciuto il successo molto presto (…) ancora oggi in alcune parti del mondo sei richiestissima…
SALERNO: Sì sì! lavoro moltissimo. Adesso, a novembre e dicembre sono in Francia per tutti e due i mesi, torno il 21 di dicembre, ahimè! Io ho iniziato giovanissima, il successo è stato anche inaspettato sinceramente… quindi è stato come salire su un treno… io dico sempre “sono salita su un treno, mi è andata bene” ed è stato tutto così veloce che era anche difficile da elaborare. Considera poi che io ero da sola, ero una ragazzina sola. Avevo vicino un manager che in realtà non era un manager… Sai, nel momento di massimo successo, inizi a dare tutto per scontato da una parte, e dall’altra, invece, cerchi di fidarti, non fidarti… io sono una diffidente, veramente molto diffidente, e sapevo che questa persona non andava bene per me, però quello avevo! Ci sono state vicino a me persone molto negative, ma mi sono sempre assunta la responsabilità di questo e sono comunque andata sempre avanti per la mia strada senza farmi condizionare, anche se poi le ho pagate care!
DIACO: questa è una seduta che assomiglia a quello che avresti voluto fare da ragazza (…) so che tu avresti voluto fare psicologia…
SALERNO: Sì sì! Infatti, ho una sorella che fa la psicologa… a 12 anni leggevo Freud, ovviamente non ci capivo niente, ma mi davo delle risposte. Ero alla ricerca di risposte. Siccome ho avuto una vita un po’ particolare e vivevo delle situazioni particolari, ero sempre alla ricerca, ma lo sono ancora oggi, sono sempre molto alla ricerca del perché, analizzo, scandaglio… anche perché credo che la cosa più difficile per un essere umano è veramente conoscersi bene, è in assoluto la cosa più complicata perché noi mentiamo, mentiamo alla nostra mente e molto spesso questa può essere una delle nostre più grandi nemiche perché ci manipola. Io per anni ho cercato di lottare contro me stessa. Per esempio, io ero una timida cronica. Adesso lo sono in determinate situazioni, ma normalmente no, non posso più dire di essere molto timida, ma in alcune situazioni sì lo posso diventare, dipende. Ho cercato nonostante tutto di rompere questo muro della mente, di andare contro la paura, di andare contro la mia timidezza perché comunque si doveva andare avanti. Quando si hanno quei dolori che ti vengono nella vita, non mi sono mai fatta sopraffare, perché se mi facevo prendere dal dolore era finita per me, quindi dovevo sempre andare avanti e reagire. Io sono una che reagisce sempre in maniera anche violenta, aggressiva. Mio marito ogni volta mi dice: “ma sei incazzata? Io ti sto facendo una domanda, parlo normalmente e tu sei incazzata”.
DIACO: (mostra foto sabrina con la mamma) molti padri si sottraggono dalla responsabilità genitoriale e se ne vanno. tuo papà se ne è andato subito…
SALERNO: brevemente perché non è più un argomento del quale io voglio parlare perché è mancato qualche mese fa. Ti posso dire soltanto in tutta sincerità che io mio padre l’ho visto tipo 10 volte in tutta la mia vita, 12 forse a farla grossa. Sono stata riconosciuta a un certo punto della mia vita. Ci sono molti uomini che non hanno questo senso della responsabilità nei confronti dei figli ed è molto difficile da accettare questo per un qualsiasi essere umano. È doloroso! Io ho ottenuto quello che volevo, ma era più per una cosa personale il riconoscimento, perché l’amore, quello non… lui me lo disse: “Guarda che il fatto di riconoscerti significa che io non ti darò mai nessuna forma di affetto!” io ho fatto una risata perché avevo già 45 anni, “dico, vabbè, ciao! Dico ma ti pare che sono così idiota che mi aspetto a 45 anni che uno possa volermi bene quando comunque ha sempre rifiutato tutto ciò”.
DIACO: però tu all’inizio lo sei andata a cercare…
SALERNO: Certo, io a 12 anni sono andata a cercarlo perché ero curiosissima, volevo sapere chi era questo uomo che mi aveva messo al mondo. Comunque la curiosità c’è! È come quelli che vengono adottati, hanno dei genitori magnifici, meravigliosi affianco però a un certo punto prende loro la curiosità di conoscere la madre biologica o il padre biologico, quindi figurati io! Molto spesso alcuni rimangono delusi e altri no. Io credo sempre ci sia un risvolto positivo in tutto, ci sia sempre un perché o un motivo a qualsiasi cosa. Sono le cose negative che ci rafforzano, che ci fanno crescere, che ci danno un pensiero più profondo nei confronti della vita!
DIACO: ti sei andata a cercare dei padri, dei punti di riferimento maschili?
SALERNO: All’inizio sì, però sono stata molto sveglia e scaltra perché già a 23 anni ho detto: “basta!” Ho interrotto il meccanismo e, infatti, non a caso, a 24 mi sono messa con mio marito col quale ho 6 anni di differenza, quindi insomma ci sta! Ma a 23 anni io ho detto: “io cerco un papà e basta, non ha senso!”. Erano tutti uomini più grandi di me. Certo, cercavo disperatamente un punto di riferimento. Poi sai, quando sei giovane e prorompente di padri che sono disponibili ne trovi ovunque, no? RIDE
DIACO: che effetto ti fa ancora oggi essere destinataria di questo tipo di attenzioni che a volte rasentano perfino la volgarità?
SALERNO: Ma sai, io credo che il mondo è fatto di persone intelligenti e non.
DIACO: (mostra foto Sabrina sul cavallino a 4 anni) col senno del poi cosa ti senti di dire a quella bambina, alla bambina che sei stata?
SALERNO: Credo che quella sia stata una bambina fortissima. Forte, con delle grandissime fragilità, ma grandi fragilità, grandi paure, ma che è riuscita a superarle tutte. Provo una grande ammirazione, se mi stacco provo una grande ammirazione per quella bambina.
DIACO: tu sei andata incontro a quella che alcuni di noi hanno vissuto come patologia, cioè la depressione.
SALERNO: Guarda, no! Parlare di depressione forse è assolutamente sbagliato perché proprio di recente parlando con uno psichiatra mi ha detto: “Guardi signora, Lei è tutto tranne che depressa e sono sicuro che Lei non è mai stata depressa!”. Nel senso che, io sono una tendente alla malinconia e alla tristezza, ma sono una che alla fine è entusiasta della vita –questa è la mia grande fortuna! Mi basta pochissimo per entusiasmarmi! Un film, un libro e vado fuori di testa! A me piace troppo questa vita. Sono fortunatissima perché ho un sacco di donne amiche, un sacco… adesso non esageriamo, però…
DIACO: tu sei riuscita a non essere odiata dalle donne!
SALERNO: Ma perché è sempre un discorso di intelligenza. Guarda, il mondo si distingue in intelligenti e non intelligenti. Alcune hanno fatto veramente la mia fortuna, molto più degli uomini. Nel senso che mi hanno protetta, mi hanno fatto comprendere. E poi sai, io con le donne ho un atteggiamento diverso. Nel senso che, mentre con gli uomini sono più incazzata, per la storia di mio padre… sono una che tenderebbe a comandarli. Vorrei comandarli tutti gli uomini. Con le donne non ho questa cosa, assolutamente, anzi!
SALERNO: Io ormai di artefatto non ho più niente! Se prima dovevo nascondere la mia timidezza, adesso non nascondo più niente. Sono una donna abbastanza serena.
DIACO: si vede anche dalla postura che hai un distacco nei confronti del mezzo televisivo. come se non ti interessasse più.
SALERNO: Mi interessa, però… prima mi terrorizzava. Io a 16 anni mi sono trovata a lavorare con Johnny Dorelli, Nino Manfredi e non sapevo fare un fico secco. Avevo Brian e Garrison che mi facevano fare le coreografie. Augusto Martelli che dovevo cantare a tutti i costi in sala d’incisione così. Gino Landi come regista. Erano il top dei top. Io ero contenta, ma alla fine quando si illuminava quella cosa lì, il mio cervello andava in tilt. Per me tutto è stato molto casuale. Io mica lo volevo fare questo mestiere. Io sono qui per caso. Mi è capitata questa occasione, ho fatto questo provino, mi hanno scelto subito, ho detto: “ci provo!”. Ti giuro non ci pensavo proprio. I miei progetti erano tutt’altro.
DIACO: sei sempre stata anticonvenzionale.
SALERNO: Ricordo che una volta ero a cena con Pippo Baudo, e Pippo mi dice: “Ma tu non puoi dire queste cose. Stai dicendo cose impopolari. Tu sei matta!”. Io ho detto: “Guarda Pippo, non me ne frega niente. Io sono come sono”. Voglio rispettare il mio pensiero e la mia parola anche se mi metto contro il modo. Non sono una diplomatica, non sono una public relations, io sono forse un po’ stronza perché dico veramente quello che penso, nel bene e nel male. E questo sai benissimo che nel nostro ambiente non porta sempre molta fortuna. Io ho detto delle cose terribili a delle persone che si sono talmente offese che se la sono legata al dito.
DIACO: sei una donna sensuale nel senso più alto del termine.
SALERNO: è una cosa che mi dicono anche le donne… me l’ha detto anche una mia collega e sono diventata tutta rossa! Ho coscienza del mio aspetto fisico, ma questa sensualità io non la percepisco. Non comprendo.
DIACO: ma dalle donne sei mai stata attratta?
SALERNO: Mai! Molto spesso dico: “Peccato!”. E mi dispiace molto perché non avendo una grandissima stima nei confronti degli uomini - eccezione fatta per mio marito che stimo moltissimo, poi ho anche un figlio maschio, e ho avuto la fortuna di conoscere uomini di un certo tipo - sono molto più delusa dal genere maschile. Ogni tanto mi è capitato di dire era meglio se fossi stata lesbica così almeno certi problemi non ce li avrei avuti. Piano piano mollerò questa cosa. Devo lavorare su questo mio aspetto aggressivo.
DIACO: ti piace o no l’aggressività che abita in te?
SALERNO: è stata la mia salvezza. Non mi sono mai fatta mettere i piedi in testa da nessuno e non mi sono mai fatta comprare da nessuno, e questo molte persone lo sanno.
Jo Squillo e Sabrina Salerno, quattro gambe, 100 anni in due. Dagli anni 90 ad oggi. Pubblicato giovedì, 12 settembre 2019 da Maria Teresa Veneziani su Corriere.it. Trent’anni dopo tornano insieme per il TDD alla Triennale. Si sono liberate dagli anni 80 senza rinnegarli. Tornano insieme in esclusiva per il Tempo delle donne alla Triennale. Nella tre giorni a parlare di corpo e femminilità anche Alba Parietti, Eva Cantarella, Nina Zilli, Beatrice Venezi e Giordana Angi. Nel ‘91 in minigonna e short sul palco di Sanremo cantavano «Siamo donne… oltre le gambe c’è di più», Jo Squillo e Sabrina Salerno 30 anni dopo hanno accettato di tornare insieme, in esclusiva per il Tempo delle Donne, alla Triennale, sabato 14 alle 18.30 allo spiazio Impluvium. Jo e Sabrina, ragazze indipendenti e controverse, inseguendo la loro vena rock pop, stavano anticipando quel modello di femminismo più giovane e meno ideologico nel quale oggi si riconoscono da Beyoncé a Elisa: «Siamo troppo bersagliate per il discorso estetico; si può sculettare e dire cose profonde». Oltre 100 anni in due, come le modelle degli Anni ‘90 hanno curato il proprio corpo, facendone l’alleato per il successo: cantante e showgirl la prima (gira il mondo con i suoi spettacoli), presentatrice di moda e cantante e regista la seconda, entrambe imprenditrici di sé stesse, senza mai scordare l’impegno. Jo, per esempio, si batte contro la violenza sulle donne, dal Wall of Dolls all’ultimo docufilm «Donne in prigione si raccontano». La parola femminismo oggi va stretta a tutte, oggi, «ma siamo ancora sotto pressione rispetto ai maschi», come ribadisce Beatrice Venezi, a 29 anni la più giovane direttrice d’orchestra al mondo ad avere una carriera internazionale (sarà al Tdd domenica 15 alle 10,30 in Teatro), costretta ad ammettere che in Italia stare sul podio per una donna è ancora molto difficile: «Serve un rinnovamento per scardinare un mondo troppo elitario e ingessato» e anche per questo rivendica il diritto di dirigere con i suoi amati abiti rossi iper sensuali. I corpi della calciatrici della squadra azzurra hanno fatto passare un messaggio liberatorio per tutti: spiriti di innovazione e di voglia di vivere fuori dagli stereotipi. Milena Bertolini, coach della nazionale femminile, sarà ospite alla serata inaugurale (ore 21 del 13 settembre, teatro dell’arte). La bellezza estrema non è più aspirazionale. Non ci si identifica come qualche anno fa. E anche il look costruito è superato: la tendenza cominciata dalle teenager su Instagram è arrivata sul lettino dei chirurghi estetici. «Tutti vogliono apparire persone vere e ora mi pagano un sacco di soldi per togliere i filler e sembrare più autentici» dice il chirurgo delle star Renato Calabria. «Facciamoci smontare: il reverse» è il titolo dell’incontro con la storica e sociologa Eva Cantarella, Alba Parietti e Nina Zilli, venerdì 13 alle 18.30, nel Salone d’onore della Triennale (con un contributo video del dottor Calabria). Crede nell’impegno e nella dimensione sociale della musica anche Giordana Angi, trionfatrice ad «Amici» con la sua canzone «Ti ho creduto», che parla di stupro. La cantante sarà presente in parole e musica nell’incontro che analizza cosa resta nel corpo e nella mente di una donna dopo una violenza subita (sabato 14 alle 17, teatro dell’arte).
· Dramma per Valentina Persia.
Dramma per Valentina Persia: il suo fidanzato morto poco prima delle nozze. Dramma per Valentina Persia racconta di aver perso il suo fidanzato a poche settimane dalle nozze. Alessandro Pagliuca, Sabato 29/06/2019 su Il Giornale. Valentina Persia ha dovuto superare diverse prove nella sua vita. Sicuramente a cambiarla completamente sono state la perdita del suo promesso sposo ed una depressione post partum. Il suo coraggio e la sua voglia di vivere però l'hanno trasformata in una delle comiche più importante del panorama televisivo italiano.
Valentina Persia tra morte del compagno e depressione post partum. In diverse intervista la Persia ha raccontato dei suoi drammi privati. Il primo nel 2004 quando il compagno col quale si sarebbe dovuta sposare entro breve tempo morì all’improvviso. Si chiamava Salvo e faceva l’architetto e di lui Valentina ha parlato con bellissime parole. "Sono single perché così sono andate le cose. Ho avuto delle parentesi piuttosto dolorose nella mia vita, poiché ho subìto un abbandono. Ho perso, purtroppo, il mio compagno, che è morto prematuramente; il destino ha fatto il suo corso e mi ha portato dove sono ora. Ho avuto l’amore, l’ho avuto per quattro splendidi anni: ho amato tantissimo e sono stata amata, e sono contenta di questo. Lui era una persona fantastica che adorava il mio modo di fare e rideva delle mie battute; e soprattutto gli piaceva che io facessi sorridere la gente. Quindi, continuo con il mio lavoro e lo faccio pensando sempre a lui, lo faccio in suo onore. Ci sono persone che impiegano una vita a dispensare il bene che hanno dentro: lui lo ha fatto tutto in una volta. E io ho avuto la fortuna di incrociare il suo cammino e di condividere una parte della mia vita con lui". Poi nel 2015 dopo la nascita dei suoi figli gemelli Valentina Persia che era sola nel crescerli è stata colpita da depressione post partum. "Quando me li hanno messi sul petto. io non ho sentito niente. Mi sentivo inadatta. Ho avuto un crollo psicologico. Ero solo stanca. Quell’amore che tutti mi dicevano che avrei avvertito immediatamente, io non lo avvertivo. Avevo paura di non farcela e non dare supporto a due estranei. Io sono crollata e sono arrivata a punto di graffiarmi a sangue la faccia. I miei bambini dormivano tutta la notte e io non dormivo".
· Si parla di Paola Barale.
Marco Bellavia: "Paola Barale mi lasciò e si mise con Gianni Sperti". Marco Bellavia racconta la sua storia d'amore con Paola Barale che, dopo averlo lasciato, si mise con Gianni Sperti che, ai tempi, era solo suo amico, scrive Luana Rosato, Venerdì 29/03/2019, su Il Giornale. E’ stato uno dei volti più amati di Bim Bum Bam e, ai tempi del suo successo televisivo, Marco Bellavia era fidanzato con Paola Barale che, poi, lo lasciò legandosi a quello che diventò suo marito: Gianni Sperti. A raccontare il “triangolo” amoroso è stato proprio Bellavia che, ospite di Caterina Balivo a Vieni da me, ha ricordato con il sorriso sulle labbra il periodo vissuto accanto alla Barale. “Le storie finiscono è normale – ha detto ai microfoni di Rai 1 - . Lasciai la moto a casa sua e lei mi fece uno scherzetto. Quando ci siamo lasciati io sono andato a cercare un altro appartamento in un’altra zona di Milano. Prima noi vivevamo insieme”. Marco Bellavia, infatti, ha spiegato di aver convissuto con Paola Barale quando entrambi vivevano nel capoluogo lombardo: “Eravamo piccoli ma in un certo senso già grandi. Io non avevo posto per la moto e quindi la lasciai a casa sua. Quindi dovevo cercarmi un’altra casa. Paola era amica di Gianni Sperti e dopo di me decise di stare in casa con lui”. Bellavia, poi, ha svelato cosa successe tra loro tre: “Lei fece un filmino con Gianni Sperti, con cui all’epoca divideva l’appartamento e che era ancora solo un amico, e mi ha preso in giro per mesi, poi ho recuperato la moto”. Nessun astio, però, nei confronti di Paola Barale. Oggi, Marco Bellavia è sposato con Elena ed è papà di Filippo: “Posso dire che oggi faccio il ciclista e sono un felice papà. Mi sono trasferito a Parabiago e pian piano sono uscito dal giro del mondo dello spettacolo".
Da Blogo.it l'11 luglio 2019. Sette anni assieme alla Ruota della Fortuna fino alla separazione, mai perdonata dal conduttore. Paola Barale ricorda la lunga esperienza lavorativa al fianco di Mike Bongiorno a cavallo tra gli anni ottanta e novanta. Lei, fino a quel momento nota come sosia di Madonna (“prendevo un milione di lire a serata, davvero tanti soldi”), si ritrovò catapultata nientemeno che nel preserale di Canale 5. “Penso che Mike mi abbia preso per quel motivo, era molto amante dell’America”, racconta la showgirl a Non Disturbare. Tra i momenti più divertenti, la Barale cita la storica performance del concorrente Giancarlo sulle Amazzoni: “Nell’ultima parola c’era una f, un vuoto, una g e una a. La soluzione era ‘vinsero battaglie grazie alla loro foga’. Però lui disse figa!”. Anni splendidi, fino alla chiamata de La Sai l’Ultima. Nel 1995 la Barale venne scelta come partner di Gerry Scotti e dovette comunicare la decisione dell’addio a Mike. “Fu una cosa poco carina, mi dissero ‘A Mike lo dici tu’, ho dovuto dirglielo. Non reagì bene, mi fece un culo in studio davanti a tutti. Dovevamo registrare ancora un mese di puntate e non mi rivolse più la parola. Non facemmo mai pace. Fu una sgridata da padre a figlia”.
Paola Barale a Io e te: "Sono stata quasi una geisha. Dal punto di vista erotico...", confessioni spinte. Libero Quotidiano il 24 Novembre 2019. Tempo di confessioni, anche piuttosto spinte e personali, per Paola Barale. Ospite di Pierluigi Diaco a Io e te su Rai 1, la showgirl si racconta e si lascia andare. Si parte dal rapporto tra uomini e donne, Diaco le ricorda che "c'è molta insoddisfazione tra le donne che criticano gli uomini, anche dal punto di vista più intimo, quello erotico". Paola Barale non si fa troppi scrupoli a rispondere: "Io da quel punto di vista ho sempre avuto delle belle soddisfazioni", ammette. Dunque le viene chiesto che cosa la ha delusa, degli uomini: "All'inizio ti metti molto in discussione, hai delle intuizioni ma ti fai dei giri nella testa e fai di tutto per pensare ad un’altra soluzione - premette Paola Barale -. Io ho capito che le prime impressioni sono quelle vere. Ma quando davanti hai una persona che si mostra per quello che non è, tu sei innamorata e ci credi. Quindi forse la vita mi ha fatto trovare delle situazioni molto estreme per capire che devo credere un po' meno a babbo natale. Il problema è che quando ti cadono le fette di salame dagli occhi vedi la verità per quella che è". C'è poi spazio per un po' di mea-culpa: "Sono una scema io con gli uomini, sono stata quasi una geisha e poi ho capito che le geishe hanno ragione di esistere laddove c’è un contratto, esiste il ruolo. Altrimenti poche geishe ragazze. Ci vuole parità altrimenti se ne approfittano, non capiscono", ammette.
Paola Barale: «Io fluida? Ci sono state parecchie voci su di me». Pubblicato domenica, 24 novembre 2019 da Corriere.it. «Non amo distinguere. Ognuno fa quello che vuole nella vita. La nostra società ci ha inculcato che dobbiamo scegliere per forza una strada o un’altra. Detto questo ci sono già state parecchie voci su di me e non erano vere». Così Paola Barale a Pierluigi Diaco, durante un’intervista a Io e te su Rai 1. Il giornalista l’aveva definita «fluida, uno perde qualsiasi tipo di identità sessuale quando ti incontra. Sei una donna che riesce a parlare anche a chi ha altri tipi di piaceri». Poi, le ha chiesto le se voci che si sono rincorse in questi anni l’abbiano infastidita. «Io non sono una di quelle persone che dice basta che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli. Per me meno se ne parla meglio sto. Sembra una contraddizione ma io non sono così esibizionista», ha risposto Barale.
Sul suo rapporto con gli uomini: «Sono molto delusa e la cosa che mi spiace è che ho perso tutta la mia parte più romantica. Io sono sempre stata una persona che ama stare in coppia, anche perché avendo l’esempio della mia famiglia (i miei stanno insieme da 58 anni), molto unita…».
Sul futuro: «Mi piacerebbe fare un programma che mi somigli. Mi piacerebbe recitare e infatti ultimamente ho iniziato con il teatro. Tornando alla tv, comunque, mi piacerebbe molto fare un programma fuori dallo studio; un programma di viaggio che sia sì divertente che di contenuto. Mi piacciono quelle cose che ci fanno fermare e riflettere».
Sul passato: «Io non volevo fare questo mestiere, io volevo fare l’insegnate di educazione fisica infatti ho fatto l’Isef che poi non ho mai finito perché è arrivata questa occasione che mi dava la libertà». E: «Ho avuto una famiglia meravigliosa molto modesta: lavorava solo mio papà, eravamo 5 in famiglia. Mamma casalinga, papà rappresentante. Quindi non c’era quasi mai perché partiva spesso ma non mi ha mai fatto sentire la sua mancanza. Ricordo che il sabato quando veniva a prendermi a scuola ero felicissima perché gli altri giorni non c’era, ricordo questo momento con grande gioia ma non ricordo mai di aver sentito la sua mancanza non perché non gli volessi bene ma perché c’era comunque».
Su Madonna: «Non ci siamo mai conosciute. Ma penso che lei bene o male sappia chi sono io. (ndr Madonna in quegli anni pubblicò per sbaglio una foto della Barale pensando di essere lei)».
Dagospia il 24 novembre 2019. Estratti dell’intervista a Paola Barale, ospite a “Io e Te” di Pierluigi Diaco su Raiuno.
DIACO: SO CHE NON TI PIACE FARTI INTERVISTARE NO?
BARALE: Ho un senso del pudore abbastanza spiccato: ho bisogno della mia privacy, della mia vita privata. Non sono una persona gelosa ma della mia vita privata sì.
DIACO: Tu non vivi di televisione. È una scelta che trovo curiosa: una persona che ha frequentato molto la televisione, vive la televisione come fosse un gioco. Con un certo snobismo.
BARALE: Non è snobismo. Io amo la televisione, voglio bene alla televisione e penso che la televisione mi voglia bene perché la tv anche nei momenti in cui mi sono allontanata, è venuta a ripescarmi nei momenti più bui, in cui avevo bisogno. C’è stato un momento abbastanza particolare della mia vita nel 2008 dove io ero lontana e la televisione è arrivata all’improvviso, mi ha portata in Sudafrica a fare l’inviata della talpa. Così come un anno fa, che era un periodo un po’ particolare… La televisione mi ha portata a fare Pechino express. Io ho una bella connection con la televisione, ci capiamo. Forse perché ci frequentiamo poco. Sai quando ci si frequenta troppo ci si annoia, invece io amo molto la tv e ringrazio la tv perché mi ha dato la possibilità di fare la vita che amo.
DIACO: La sensazione che ho sempre avuto è che a te piace un certo tipo di televisione ma spesso hai fatto una tv che ti somigliava poco.
BARALE: Quando ho cominciato io amavo la tv. Parlo dei periodi di Buona Domenica con Maurizio, Un disco per l’estate con Fiorello, il varietà. Io adoro l’intrattenimento, il varietà mi è sempre piaciuto, mi piace cantare, mi piace lo spettacolo. Ultimamente è un po’ cambiata la tv e quindi ho deciso di lasciare la tv proprio nel momento in cui stava cambiando perché con l’arrivo dei reality si cercavano altre cose.
DIACO: Di cosa ti sei appassionata, qual è stato il surrogato all’impegno televisivo?
BARALE: Quando ho lasciato Buona Domenica non volevo lasciare totalmente la tv quindi mi sono dovuta adattare. Io ho iniziato molto presto con Mike per 7 anni a la “Ruota della Fortuna”, avevamo milioni di spettatori. Per questo la gente mi conosce. All’improvviso non esserci più così prepotentemente la gente si chiedeva dove fossi finita.
DIACO: Tu nel privato hai delle passioni che nel momento in cui è venuta meno la tv ti hanno intrattenuta, non vivi solo nell’attesa della telefonata.
BARALE: No, non vivo nell’attesa della telefonata anzi ho lavorato per fare ancora tv. Ho scritto insieme a degli autori un sacco di cose anche molto belle che poi quando si presentano dicono tutti: “ah bello” ma poi non si realizzano mai e non si capisce perché.
DIACO: Cosa ti piacerebbe fare?
BARALE: Un programma che mi somigli. Mi piacerebbe recitare e infatti ultimamente ho iniziato con il teatro. Tornando alla tv, comunque, mi piacerebbe molto fare un programma fuori dallo studio; un programma di viaggio che sia sì divertente che di contenuto. Mi piacciono quelle cose che ci fanno fermare e riflettere.
DIACO: Tu hai un sano esibizionismo di cui vai anche fiera, che hai allenato sin da piccola perché mi dicono che hai sempre avuto questa predisposizione allo spettacolo.
BARALE: Ma sai io non volevo fare questo mestiere, io volevo fare l’insegnate di educazione fisica infatti ho fatto l’Isef che poi non ho mai finito perché è arrivata questa occasione che mi dava la libertà.
DIACO: Com’eri, disciplinata?
BARALE: Io amo la disciplina quando non ce n’è troppa. Ci vogliono le regole che poi vanno trasgredite. Del teatro la cosa che mi piace tantissimo è questa disciplina. Forse perché l’ho imparata dai grandi maestri con cui ho lavorato: Mike, Maurizio, Costanzo, Corrado, Pippo Baudo.
DIACO: L’evasione o la trasgressione che tu rappresenti pur non frequentando queste cose con grande assiduità è un tratto abbastanza chiaro della tua identità. Qualche anno fa sono andato ad un festival di musica elettronica, Sonica, ad un certo punto entro in una tenda e ho visto una cosa bellissima: te assorta che con sensualità ballavi questa canzone.
BARALE: Perché non sei venuto a salutarmi. 5 anni fa già ci conoscevamo.
DIACO: Tutte e due eravamo in uno “stato di grazia” tale per cui ho preferito non interrompere un’emozione. Mettiamola così.
BARALE: Quindi c’è questo rischio che durante le serate ci possiamo incontrare.
DIACO: Tu sei fluida, uno perde qualsiasi tipo di identità sessuale quando ti incontra.
BARALE: In che senso scusa?
DIACO: Nel senso che sei una donna che riesce a parlare anche a chi ha altri tipi di piaceri.
BARALE: Non amo distinguere. Ognuno fa quello che vuole nella vita. La nostra società ci ha inculcato che dobbiamo scegliere per forza una strada o un’altra. Detto questo ci sono già state parecchie voci su di me e non erano vere.
DIACO: immagino che queste voci ti abbiano infastidito ma abbiano anche contribuito a creare un alone di mistero intorno a te.
BARALE: Io non sono una di quelle persone che dice basta che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli. Per me meno se ne parla meglio sto. Sembra una contraddizione ma io non sono così esibizionista come dici tu. Io ho iniziato a fare questo mestiere perché è un mestiere che mi ha dato un certo tipo di libertà. Io con il primo stipendio della ruota della fortuna mi sono comprata una moto: una honda parigi dakar 200, comprata dal mio vicino di casa. E poi sono andata a vivere da sola, perché io ho bisogno di sentirmi libera e indipendente. Forse è anche per questo che non mi sono mai fidanzata con uomini molto ricchi perché io voglio la mia libertà.
DIACO: Il tuo primo viaggio in moto quale è stato? Dove sei andata?
BARALE: Viaggi lunghi in moto non ne ho mai fatti. Giravo, usavo la moto come la usano tutti in città. Siccome vorrei andare per le vacanze di Natale in India in Kerala forse farò un tratto anche in moto, me l’hanno proposto ieri e ci sto pensando perché è da un po’ che non la guido.
DIACO: Che infanzia hai avuto?
BARALE: Bellissima, ho avuto una famiglia meravigliosa molto modesta: lavorava solo mio papà, eravamo 5 in famiglia. Mamma casalinga, papà rappresentante. Quindi non c’era quasi mai perché partiva spesso ma non mi ha mai fatto sentire la sua mancanza. Ricordo che il sabato quando veniva a prendermi a scuola ero felicissima perché gli altri giorni non c’era, ricordo questo momento con grande gioia ma non ricordo mai di aver sentito la sua mancanza non perché non gli volessi bene ma perché c’era comunque.
DIACO: Tu ti basti da sola?
BARALE: Mi basto abbastanza. Sicuramente non sono più disposta a scendere a compromessi e a farmi andare bene le cose.
DIACO: Ma ti hanno proprio deluso gli uomini.
BARALE: Sì, sono molto delusa e la cosa che mi spiace è che ho perso tutta la mia parte più romantica. Io sono sempre stata una persona che ama stare in coppia, anche perché avendo l’esempio della mia famiglia (i miei stanno insieme da 58 anni), molto unita…
DIACO: C’è molta insoddisfazione tra le donne che criticano gli uomini, anche dal punto di vista più intimo, quello erotico…
BARALE: Io da quel punto di vista ho sempre avuto delle belle soddisfazioni fortunatamente.
DIACO: E quindi cosa ti ha deluso degli uomini?
BARALE: All’inizio ti metti molto in discussione, hai delle intuizioni ma ti fai dei giri nella testa e fai di tutto per pensare ad un’altra soluzione. Io ho capito che le prime impressioni sono quelle vere. Ma quando davanti hai una persona che si mostra per quello che non è, tu sei innamorata e ci credi. Quindi forse la vita mi ha fatto trovare delle situazioni molto estreme per capire che devo credere un po’ meno a babbo natale. Il problema è che quando ti cadono le fette di salame dagli occhi vedi la verità per quella che è.
DIACO: Sei tenera con gli uomini?
BARALE: Sono una scema io con gli uomini, sono stata quasi una geisha e poi ho capito che le geishe hanno ragione di esistere laddove c’è un contratto, esiste il ruolo. Altrimenti poche geishe ragazze. Ci vuole parità altrimenti se ne approfittano, non capiscono.
DIACO: Che rapporto hai con la solitudine?
BARALE: Bellissimo e la cosa un po’ mi spaventa perché spesso preferisco stare da sola. Sto bene parlo con me stessa. Ho ritrovato una vecchia amica, Paola, con cui faccio dei discorsi meravigliosi.
DIACO: Ci sono dei momenti in cui oltre ad amarti, ti odi?
BARALE: Ci sono dei momenti in cui mi sto tremendamente antipatica.
DIACO: Qual è l’aspetto di te che ti sta più antipatico?
BARALE: Quando non riesco a mantenere la calma in determinate situazioni o non riesco a parlare, a esporre del disappunto con calma.
DIACO: Sei più coraggiosa o spericolata?
BARALE: Forse nessuna delle due.
DIACO: Perché?
BARALE: Perché non credo di essere molto coraggiosa: mi piacerebbe moltissimo provare a volare col paracadute e non lo faccio perché ho paura.
DIACO: Nei sentimenti sei coraggiosa o spericolata?
BARALE: Sono coraggiosissima. Là mi butto ma adesso sono diventata più diffidente. Il problema è che se tu sei una persona leale non pensi che il tuo interlocutore ti stia dicendo qualcosa di falso.
DIACO: Ma c’è una corresponsabilità o la responsabilità è sempre altrui?
BARALE: Nono c’è una corresponsabilità perché io quando percepisco che ci sono delle cose che non vanno devo subito smetterla di far finta che le cose non vanno bene. Me la racconto. E quindi sbaglia chi non si comporta in modo onesto ma sbaglio anch’io a far finta che le cose vadano bene.
DIACO: Oggi con il senno di poi che cosa ti senti di dire alla ragazza che sei stata?
BARALE: A quella ragazza direi:Hai fatto bene perché ti sei divertita. Erano altri tempi. Io a 14 anni vendevo i giornalini di seconda mano al mare, facevo i braccialetti.
DIACO: Tu hai una dimensione fricchettona di cui sono pazzo.
BARALE: No ma io non sono fricchettona, sono una persona aperta e solare e mi sento molto giovane. Sono una donna di un’età certa e non di una certa età. Questo lo dico sempre ma non è mia devo dire la verità. L’ho rubata ad una signora con cui ho lavorato per un periodo. Una donna molto in gamba, una imprenditrice più grande di me che un giorno mi ha detto questa cosa e che io approvo totalmente.
BARALE: Io odio questo filmato perché non mi piaccio. Avevo 22 anni ed era il mio primo lavoro dove mi davano tantissimi soldi per fare la sosia di madonna. Madonna da sempre è stato un grandissimo personaggio che faceva delle cose molto importanti. Io arrivavo da Fossano e questa guêpiere che indossavo era stata fatta da mia mamma, mentre quella di Madonna da Gautier.
DIACO: Mi sembra una cosa molto dolce.
BARALE: Sì dolce ma siccome io amo fare le cose bene, mi imbarazzava questa cosa e non mi piaceva fare qualcun altro.
DIACO: Quindi lo facevi per soldi?
BARALE: Certo.
DIACO: Ma te e Madonna vi siete mai conosciute?
BARALE: No, non ci siamo mai conosciute. Ma penso che lei bene o male sappia chi sono io. (ndr Madonna in quegli anni pubblicò per sbaglio una foto della Barale pensando di essere lei).
DIACO: Com’è lo stato di salute delle vibrazioni in questo periodo della tua vita?
BARALE: Molto alte. Mi sento un vulcano che sta per esplodere. Mi devo sfogare, faccio sempre qualcosa. Sono molto alte le mie vibrazioni.
BARALE: Ogni volta si parla delle persone importanti con cui ho lavorato si citano Mike, Costanzo, ecc… Ma non si cita quasi mai la Carrà perché io ho avuto pochissime occasioni, perché non ho mai fatto un programma con lei. Ma questa è una delle cose che ricordo con amore perché lei oltre ad essere di una professionalità meravigliosa, ma questa è la tv che mi piace.
DIACO: Tutta declinata al passato.
BARALE: Vedi le persone mi dipingono come trasgressiva ma io non sono così. Forse perché sono molto libera e dico le cose che mi vengono in mente.
DIACO: Ti capita che questa voce o i ricordi ti vengano a trovare?
BARALE: Ma certo, non potrò mai dimenticare Mike. Sono molto legata a lui e se siamo qui a parlare lo devo a lui. Io penso molto alle cose che ho fatto.
DIACO: Non sei una nostalgica però.
BARALE: A me piace vivere il presente, me la voglio godere adesso. Non mi piace vivere aspettando che succeda qualcosa: voglio raggiungere un obiettivo ma nel frattempo me la devo godere.
Stefania Rocco per tv.fanpage.it il 6 settembre 2019. Durante la puntata speciale del Maurizio Costanzo Show dedicata all’indimenticabile Mike Bongiorno, la valletta storica Paola Barale si è sottoposta alle domande di Pio e Amedeo. Il duo comico, improvvisando uni dei quiz cari a Mike, ha pungolato la conduttrice sul precedente matrimonio con Gianni Sperti. Lei, stando al gioco, ha risposto: “Siamo accomunati dalla capacità di guadagnare in televisione senza fare un cazzo”. Paola Barale, storica valletta di Mike Bongiorno, ha preso parte alla puntata del Maurizio Costanzo Show dedicata all’indimenticabile conduttore scomparso. Ospiti del giornalista e conduttore anche Pio e Amedeo, duo comico leccese diventato particolarmente famoso per la sua irriverenza. Una prova in tal senso è arrivata dal quiz improvvisato dai due che, ricalcando lo stile di Mike, hanno chiesto a Simona Ventura di sottoporsi una serie di domande. L’ultima riguardava proprio la Barale e il matrimonio con Gianni Sperti, un argomento che l’ex valletta di Mike non tocca mai volentieri.
Le battute di Paola Barale su Gianni Sperti. Rivolgendosi alla Ventura, Pio e Amedeo hanno chiesto: “Cosa ha accomunato per anni Paola Barale e Gianni Sperti? A: la passione per il ballo. B: le stesse sopracciglia ad ali di gabbiano. C: la capacità di guadagnare in televisione senza fare un cazzo”. Cavando fuori d’impaccio la collega Simona Ventura, è stata proprio la Barale a rispondere.
Paola Barale ricorda Mike Bongiorno. Anche la Barale, che per 7 anni fu valletta di Mike Bongiorno, ha quindi ricordato il grande conduttore scomparso: “Ho lavorato con Mike per 7 anni e quando andai via per fare La sai l’ultima si arrabbiò moltissimo. La rete mi offrì di fare questo programma con Gerry Scotti ma mi fu comunicato che a Mike avrei dovuto dirlo io. Lui sul momento accusò il colpo, non fu molto contento ma registrammo la puntata e andò a casa. Il giorno dopo tornò secondo copione e mi fece una piazzata, la più grande della mia vita. Mi disse delle cose forti, come un padre che sgrida la figlia. Mi accusò di volerlo lasciare perché avevo un interesse per Gerry. Non era vero. Ci rimase molto male per tutta la situazione”.
Paola Barale caustica su Gianni Sperti: "Quando eravamo sposati non aveva l'estetista". Il divorzio tra Paola Barale e Gianni Sperti non è stato tranquillo e nel parlare del suo ex marito, la bionda showgirl non ha risparmiato una battuta al veleno sul suo look. Francesca Galici, Sabato 07/09/2019 su Il Giornale. Gianni Sperti e Paola Barale sono stati una delle più belle coppie televisive per lunghi anni. La showgirl e il ballerino hanno spesso condiviso il palco e la loro unione sembrava più solida che mai finché i due non sono giunti al divorzio. Una separazione giunta in maniera burrascosa, senza che i due siano riusciti a mantenere un rapporto civile. Le motivazioni che hanno portato Paola Barale e Gianni Sperti all'allontanamento non sono mai state rese note, quel che si sa è che non hanno più avuto modo e interesse di vedersi, se non nelle aule del tribunale per il divorzio. La Barale non parla volentieri di Gianni Sperti a differenza di quanto accade con Raz Degan, suo compagno per moltissimi anni dopo la separazione dal ballerino. L'occasione per tornare sull'argomento è stata il Costanzo Show per mano dei duo comico Pio e Amedeo che ha stuzzicato la showgirl. Insieme alla Barale era ospite anche Simona Ventura ed è a lei che i due si sono rivolti per una domanda caustica sull'ex coppia: “Cosa ha accomunato per anni Paola Barale e Gianni Sperti? A: la passione per il ballo. B: le stesse sopracciglia ad ali di gabbiano. C: la capacità di guadagnare in televisione senza fare niente.” Prima che la Ventura potesse intervenire, è stata la stessa Paola Barale a rispondere a Pio e Amedeo: “Le sopracciglia le aveva diverse allora. Te la dico io la risposta, la C. All’epoca non faceva ancora le sopracciglia, non aveva l’estetista.” Le parole della Barale sono state accolte da una risata generale e dall'applauso del teatro Parioli. Gianni Sperti, oramai opinionista fisso di Maria De Filippi a Uomini e Donne, avrà modo di replicare?
Paola Barale confessa: "Mike mi ha fatto un c... in studio e non mi ha più parlato". Ospite del programma Rai "Non disturbare", Paola Barale si racconta ma svela soprattutto un aneddoto inedito sul suo rapporto con Mike Bongiorno, ricordando quel giorno in cui smise di parlarle. Paola Francioni, Venerdì 12/07/2019, su Il Giornale. L'intervista rilasciata da Paola Barale a Paola Perego è di quelle che fanno discutere e che fanno parlare a lungo, per i contenuti e la schiettezza dell'intervistata. La showgirl difficilmente si tira indietro quando si tratta di confidarsi. Lo ha dimostrato anche nel programma "Non disturbare", dove ha parlato senza filtri della sua relazione con Raz Degan, della sua grande passione per i viaggi ma, soprattutto, del rapporto con Mike Bongiorno. A proposito del grande conduttore, Paola Barale ha rivelato dettagli nuovi che non aveva mai rivelato. L'occasione è stata l'ammissione da parte della conduttrice di essere stata scartata come valletta perché troppo alta. È a quel punto che Mike Bongiorno scelse Paola Barale, che lavorò a La Ruota della fortuna per ben 7 anni, facendosi conoscere al grande pubblico. Tutte le esperienze finiscono e anche quella di Paola con Mike Bongiorno giunse al termine. La Barale era una giovane showgirl intraprendente, che si sentiva forse troppo stretta nei panni della valletta muta. Quando le venne proposta l'occasione di prendere parte a La sai l'ultima? Con Gerry Scotti nella stagione 95/96 nel ruolo di co-conduttrice, per lei fu un'occasione imperdibile. L'unico nodo da sciogliere sarebbe stata la comunicazione a Mike Bongiorno. Tutti conoscevano il carattere fumantino del conduttore e nessuno avrebbe voluto dargli una notizia simile. Venne quindi incaricata la stessa Barale, che ancora parla con rispetto e pudore di quell'occasione. Non lo ricorda come un bel momento della sua vita, perché da quel giorno il conduttore non le rivolse mai più la parola. Il tono della voce di Paola Barale si abbassa quando rievoca quel giorno: “Mi ha fatto un culo, in studio, davanti a tutti e poi dovevamo registrare ancora un mese di puntate in 15 giorni e non mi ha più proprio calcolata, non mi rivolgeva la parola.” Per Mike Bongiorno quello fu un tradimento, un abbandono da parte di una sua creatura, troppo difficile da perdonare. Rievocando quell'episodio, la Barale confessa che più che essere stato un litigio lavorativo, l'ha percepita più come una strigliata di un padre a una figlia. Sono cariche di malinconia anche le parole che Paola Barale ha riservato alla fine della love-story con il modello israeliano: "Il momento più difficile della mia vita è stato sicuramente quando è finita la relazione con il mio ultimo fidanzato. Io non volevo. Parlo di Raz Degan. Lasciare andare una persona che ami moltissimo, a cui vuoi molto bene, è molto difficile e credo che questo sia un grande atto di amore e di maturità."
· Raz Degan.
«Viaggi in 120 Paesi. Ora sono in Puglia sul tetto di un trullo». Pubblicato mercoledì, 28 agosto 2019 da Candida Morvillo su Corriere.it. Raz Degan, l’ultimo programma sulla televisione generalista è stato «l’Isola dei famosi», vinto nel 2017.
Dove è stato da allora?
«A coltivare, innaffiare, gioire, inspirare ed espirare, vivere e creare. Ora sto rispondendo dal tetto del mio trullo in Puglia. Il telefono prende male, ma la vera ricchezza non è avere WiFi, 5G, 4G. La gente con tutti questi cavolo di G ammetterà mai di non essere davvero connesso a niente?».
A giudicare dal suo Instagram, è perennemente impegnato in viaggi avventurosi.
«Sono stato in più di 120 Paesi e non troverà un solo selfie con la faccia di tre quarti che sembra una melanzana. Viaggio perché non posso stare fermo. Per portare al mondo il mio film del 2016 "L’ultimo sciamano", sono stato in Amazzonia per cinque anni di incubo totale».
Perché «incubo»?
«Tutti vedono che è stato su Sky e in America su Netflix o che l’ha coprodotto Leonardo DiCaprio, ma nessuno immagina che, per farlo, sono stato vicino alla morte, alla depressione, alla stregoneria, ai piranha, a pazzi che si credono sciamani capaci di guarire il mondo. Ma uno sciamano vero, Pepe, l’ho trovato. È stato un viaggio e la destinazione finale ancora non la so. La ricerca è questo: conoscersi, superare i propri limiti, entrare in contatto con se stessi».
Cosa l’ha portata laggiù?
«Un viaggio precedente. Mi ero rotto di lavorare a contenuti banali, avevo capito che stare comodo è una sconfitta e cercavo qualcosa, non sapevo cosa. Nel 2010, facevo a piedi la via della Seta e, in un villaggio sperduto fra Nepal e Tibet, mi venne la polmonite. Pensavo sarei morto, feci testamento lasciando il trullo a una fondazione sugli squali».
Tuttavia, non morì.
«Trovai le forze per andare in aereo a Goa, da una sciamana che curava con l’Ayahuasca. Dopo un giorno di infusi, correvo già sulla spiaggia. A quel punto, decisi di partire per scoprire i poteri di quella pianta. Poi, ci ho costruito un film, portando con me James Freeman, un giovane americano con una depressione grave e disposto a un’ultima impresa disperata per salvarsi».
James si è salvato?
«Sta divinamente, si è laureato. Io mi sto dedicando a un film su un personaggio partito negli Anni ’60 per cercare il Nirvana e a una serie tv sulle scelte strane che la gente fa per trovare Dio».
Alla fine, ha scoperto che l’Ayahuasca ci salverà?
«Ho scoperto che ne bevono più a Los Angeles che in Amazzonia, ma che se lo bevi circondato da ego ed elettricità, e non bevi anche la saggezza della cerimonia sciamanica portandola nel quotidiano, non serve a niente».
Com’è stato lavorare con DiCaprio?
«È uno che cerca la verità e cose che rendono questo mondo migliore».
Quanti no ha detto alla tv tradizionale?
«Dire certi no ti rende più forte: più lo fai, più capisci che viviamo in un mondo virtuale. Auguro a tutti i giovani di saper staccare il telefono per piantare un albero o dei pomodori».
Perché andò all’«Isola dei famosi»?
«Per soldi: mia madre era malata. Laggiù ho incontrato molta ignoranza, i paguri hanno più dignità, però la natura era un regalo che mi ha caricato nell’anima».
Dopo, per Sky, ha girato documentari fra le tribù di Etiopia, Sumatra e Papua Occidentale. Che ha trovato fra gli indigeni?
«Verità, sincerità e voglia di mandare a quel paese chi mette a rischio di estinzione gente senza la quale non possiamo ricordarci da dove veniamo».
Lei è stato diretto, fra gli altri, da Oliver Stone, Ermanno Olmi, Robert Altman: fare l’attore non le manca?
«Sono stato diretto da quelli bravi e da quelli idioti, che sanno chi sono, perché gliel’ho detto. Presto, però, forse, torno a recitare: mi hanno offerto un personaggio bello. Nel frattempo, sto montando un corto per l’amaro Jägermeister, a 25 anni dallo spot che mi rese famoso e avendo ormai 50 anni. Ne sono direttore creativo e regista, oltre che protagonista».
La celebre battuta «sono fatti miei» avrà un sequel?
«Sarà una sorpresa, è un prodotto innovativo, una storia sull’essenza della vita».
E in 25 anni che cosa ha capito sull’essenza della vita?
«Che ognuno deve creare il suo paradiso. E che, aldilà della pioggia e delle nuvole, il sole c’è sempre».
· Alena Seredova.
Da corrieredellosport.it il 22 novembre 2019. “Il tradimento di Buffon? L’ho saputo alla radio. Sono stata la penultima a saperlo. Dopo di me l’ha saputo mio padre. Penso di essere diventata migliore dopo quell’episodio, sono stata fortunata, abbiamo ancora una famiglia equilibrata, da una parte e dall’altra”. Alena Seredova ha raccontato la fine del matrimonio con il portiere della Juve a ‘Vieni da me’, il programma Rai condotto da Caterina Balivo. “A casa oggi ho ancora le foto, sarò strana, ma il passato uno può anche rinnegarlo se non ci sono i figli, ma quando ci sono loro è ridicolo farlo - ha dichiarato la showgirl ceca -. Quando eravamo in difficoltà sono stata me stessa, ho pensato ai ragazzi e sono stata meno impulsiva del passato”.
La vita privata di Alena Seredova. Oggi Alena Seredova è legata all’imprenditore Alessandro Nasi: “Si è preso una donna con due bagagli, una donna fragile che era arrabbiata con tutto il mondo, con tutti gli uomini, era triste e frignava sempre. Ha avuto la pazienza di farla rifiorire. Sono stata una persona super fortunata perché non sempre quando si chiude una porta arriva il vero uomo della tua vita”.
Alena Seredova: «Io, Torino, Alessandro Nasi, Buffon e i figli: vi racconto tutto». Pubblicato domenica, 24 novembre 2019 da Candida Morvillo su Corriere.it.
Alena Seredova, rammenta la sua prima volta a Torino?
«Era il 2005. Mi sembrò di rivedere Praga, col fiume in mezzo, le costruzioni del centro preziose, tanto verde. Ero venuta per una partita della Juve. Tifavo bianconero per via di Pavel Nedved, ceco come me».
Poi, sposerà Gigi Buffon. Torino e la Juve erano nel suo destino.
«Nel bene e nel male».
Verrebbe da chiedere «nel male perché?», ma non si può cominciare un’intervista parlando dei momenti peggiori e conviene stare ancora un po’ su quel 2005 in cui lei, ventisettenne, abbagliava sul calendario di Max.
«Mi sentivo bella, mi piacevo», ricorda.
L’Italia era già la sua casa: aveva fatto moda, cinema, tv, ma abitava a Milano e non immaginava che sarebbe tornata a Torino per viverci, due anni dopo, incinta del primo figlio né che ci sarebbe rimasta dopo la separazione,o che ci avrebbe trovato il suo nuovo amore, Alessandro Nasi, oggi 45 anni, vicepresidente del consiglio di Amministrazione di Exor N.V. e amministratore della cassaforte di famiglia che porta il nome del bisnonno, la Giovanni Agnelli B.V.
Com’era arrivata in Italia?
«Facendo la modella. La prima volta, a 16 anni. Giravo tanto: New York, Parigi, la Grecia… Ma ai tempi, l’America era troppo lontana per viverci: mi mancava la famiglia e ogni tanto mi facevo un pianto. I miei mi chiamavano dalle cabine, con la scheda, e telefonando in Italia parlavamo cinque minuti, chiamando a New York dicevi “ciao” e cadeva la linea».
Com’era stato crescere nella Praga comunista?
«Ho avuto genitori intelligenti abbastanza da non spiegarmi perfettamente le cose, perciò non pativo tanto. Sventolare una bandiera rossa mi divertiva e, non sapendo che esistessero le Maldive, amavo le vacanze nella Germania Est. Solo dopo ho capito certi sacrifici fatti dai miei, cose che ormai fanno sorridere… Li chiamo “i mei ricordi da ospizio”».
Un «ricordo da ospizio»?
«La volta che, per comprare un’auto, mamma e papà hanno fatto due giorni di fila col sacco a pelo per ritirare il relativo voucher. Poi, è arrivata la macchina, ma papà è alto due metri, mamma era incinta di mia sorella e abbiamo scoperto che la macchina era così piccola che non ci stavamo e abbiamo dovuto venderla».
Quando e perché diventa modella?
«Nonna faceva maglioni ai ferri per una rivista e li fotografava addosso a me. Fu grazie a lei che feci la prima sfilata, per una ditta di wurstel e salumi. Ero minorenne e non potendo pagarmi, mi regalarono un enorme salame. In regime di razionamento, non era una cosa che potevi comprare e quel salame ancora ce lo ricordiamo, in famiglia…».
Dopo il salame?
«Sognavo di diventare insegnante, ma accompagnai un’amica a un concorso di modelle e i selezionatori presero me. L’amicizia finì, la mia vita cominciò».
L’esordio nel sabato sera di Giorgio Panariello?
«Fu la mia agenzia a mandarmi al casting. Non parlavo italiano, non cantavo, non ballavo: fu un provino di alto livello… Dissi: scusate, io vado. Invece, mi richiamarono, ma Panariello stava al mare in Toscana e io nella Repubblica Ceca, in campeggio a badare a cento orfani. Feci un viaggio allucinante: aereo, treno, bus. Arrivo ed ero pettinata niente, vestita in tuta. Lui mi offre un’insalatina e io imploro birra e cotoletta. Lo conquistò la normalità».
L’incontro con Buffon?
«A un evento di calcio. Dopo, non sembrava niente di diverso di due che iniziano a frequentarsi. Invece, ci siamo innamorati, abbiamo avuto due figli, ci siamo sposati».
Fu difficile ambientarsi a Torino?
«So che dicono che sia una città chiusa, ma io parlo anche coi muri e mi sono fatta tanti amici. La prima fu Valentina Zambrotta».
Prima ha detto che la Juve era nel suo destino nel bene e nel male.
«Il passaggio negativo della mia vita credo sia ben noto. E la popolarità è stata un peso ulteriore: se il tuo dolore è sempre sui giornali, le ferite restano vive più a lungo».
Davvero scoprì dai giornali che suo marito stava con Ilaria D’Amico?
«Sì. Fu un colpo secco. E molto, molto, duro. La rabbia sarebbe arrivata, ma prima ho dovuto assicurarmi che non stessi sognando. E avevo due bambini che dipendevano da me per tutto. La capacità di tenere divise le cose mi ha aiutata. E non sono una che si rigira il coltello nella piaga né sono vendicativa. Non mi tengo niente, ho la sfuriata facile, ma come mi accendo mi spengo. E ho pianto, ovviamente non davanti ai ragazzi».
Buffon, in un’intervista a Sky, le ha riconosciuto «una dignità incredibile per aver messo la famiglia davanti al suo ego». Come ci è riuscita?
«Sulla carta, non ci avrei giurato: sono istintiva, ma ho scoperto che, nelle situazioni critiche, mi so frenare. Sono contenta di come sono. Gli altri non so».
Che cosa l’ha aiutata a uscirne?
«La presenza dei figli. E, sembrerà sciocco, quella del cane, Sprint, un ridgeback rhodesiano: mi faceva compagnia quando mettevo i ragazzi a letto fingendo che andasse tutto bene e iniziava la lunga notte insonne. Al cane potevo dire tutto. Mi lamentavo, mi sfogavo e lui ascoltava e non giudicava».
Cosa non ha funzionato fra lei e Buffon?
«Forse due modi diversi di vivere la famiglia. Io coi ragazzi mi diverto e, quando conosci una persona e siete entrambi senza bagaglio, non sai come diventa quando arrivano le responsabilità. A me è successo che mi sono dedicata completamente ai figli. Invece, Alessandro mi ha conosciuto già mamma e si è innamorato anche del mio modo di essere madre. Ci siamo incontrati a casa di amici e il rapporto ha acquisito valori e sfumature piano piano, in un modo bello. Avevo due bimbi, ero ferita e lui mi ha convinto con resistenza e pazienza. Non potevo desiderare un uomo migliore».
Come l’ha accolta la sua famiglia? Aristocrazia torinese, lui cugino di Lapo e John Elkann…
«Bene. Perché l’hanno visto felice, credo. Poi, sono famiglie con tanti rami. Io ero amica di Lavinia Elkann prima di lui e lo sono adesso, ma non mischio le cose».
Pensa mai a un terzo figlio?
«Se arriva, sarebbe un bellissimo regalo».
E a un secondo matrimonio?
«Certe cose sono una priorità a vent’anni, ma è ovvio che se una donna, dopo una separazione, s’innamora di nuovo, quell’uomo l’ha scelto per la vita».
Lei che mamma è?
«Sono per le regole. Per anni, alle 19,30, i figli hanno preso il loro pupazzo e si andava a nanna senza che dovessi dirlo io. Credo d’aver seminato bene: a scuola, non c’è mai una lamentela. David Lee, 10 anni, e Louis Thomas, 12 a dicembre, sono due bravi ragazzi».
Vogliono diventare calciatori?
«Il grande è orientato su quello, l’altro gioca a calcio, ma ama anche il violoncello».
Avete traslocato a ottobre. Ora dove state?
«Sempre in zona Gran Madre. Prediligo la collina, dove puoi fare belle passeggiate e hai i tuoi negozietti come se fosse un paese. Il ristorante della domenica, Ceccarelli, è lo stesso dove Alessandro andava, bambino, coi nonni».
Dopo la separazione, ha pensato di lasciare Torino?
«Ho sognato di trasferirmi a New York dove nessuno sa di chi sono l’ex moglie. Da sola, l’avrei fatto, ma ho scelto di non scombussolare i ragazzi che a Torino avevano anche il padre».
Che poi è stato a Parigi e ora è tornato.
«Per i ragazzi, è stato faticoso raggiungerlo due volte al mese. Ora, la gestione è più facile».
Lei e Buffon siete in buoni rapporti?
«Dire pessimi sarebbe una bugia. Siamo in buoni rapporti per quello che c’entrano i figli, ma non è più mio amico come prima».
Una foto su Instagram in cui manda i figli a scuola con le magliette sgualcite l’ha resa l’eroina delle mamme che non riescono a far tutto. Stira di più da allora?
«Continuo a battere la pista che erano stirate e i due le stropicciano subito. Però, è vero che preferisco stare coi figli piuttosto che stirare. Da mamma, ho rallentato anche il lavoro, poi, quando avrei voluto riprendere, era diventato difficile. Faccio ancora pubblicità, presenze varie e produco una linea di profumi».
Le essenze sono quattro: Milano, Levanto, Praga, Torino. Che profumo ha Torino?
«È maschile, ma potrebbe essere unisex. Sa di legna, frutta, fiori. Mi fa venire in mente il mio compagno».
Alena Seredova e Giovannino, malato e abbandonato: «L’ho conosciuto, non mi sento di giudicare i genitori». Pubblicato giovedì, 07 novembre 2019 da Corriere.it. Alena Seredova conosce Giovannino, l’ha tenuto in braccio, e sa — per motivi personali — cos’è l’ittiosi che lo affligge e che ha spinto i suoi genitori ad abbandonarlo appena nato. La modella, che vive a Torino da quando vi si trasferì con l’ex marito Gigi Buffon, frequenta spesso il reparto di terapia intensiva infantile dell’ospedale di Corso Spezia. «Dal 2005, sono testimonial della Onlus Crescere Insieme al Sant’Anna, ho cominciato con una vendita di fiori», racconta, «poi, il primario di Neonatologia Daniele Farina è diventato il pediatra dei miei figli Louis Thomas e David Lee». È così che a settembre, si è imbattuta in Giovannino. La memoria è andata subito a quello che la sua mamma e il suo papà le raccontano di quando è nata lei: «A Praga, i medici pensavano che avessi l’ittiosi anch’io», spiega, «papà ricorda sempre che, quando mi vide nella culla dell’ospedale, tutta coperta di squame, fece un balzo all’indietro per lo spavento, poi cominciò a piangere».
Che cosa aveva?
«La mia pelle era tutta secca, come rivestita da una corazza ruvida e irregolare. I medici parlarono di ittiosi, ma l’ittiosi arlecchino che ha Giovannino, purtroppo per lui, è una malattia rara per la quale non si conosce cura. Io, invece, ero solo nata con la pelle molto asciutta perché ero stata troppo in pancia: 42 settimane bella comoda».
Come la curarono?
«Fecero quello che oggi fanno a Giovannino: lo ungono per dare sollievo alla pelle che tira. Per una settimana, mi ungevano tutti i giorni, immergendomi in una bacinella di olio emolliente. Dissero a mia madre che sarei sempre stata male, che non avrei potuto prendere il sole. Poi, la mia pelle fece la muta, come quella di un serpente, e non ho mai avuto problemi cutanei di alcun tipo».
Come ha conosciuto Giovannino?
«L’ho visto a settembre. Ero andata a programmare le raccolte fondi per Natale, con la vendita dei panettoni. Quel reparto è un gioiello, anche grazie alle donazioni dei privati. Per esempio, i genitori possono entrare quando vogliono, ed è molto utile se hai altri figli a casa o se lavori. Mi hanno presentato questo cucciolo, mi hanno raccontato la sua storia e vederlo è stato un momento molto forte».
Le trema la voce.
«Pensi che non l’ho visto nella fase peggiore, cioè appena nato. Ho capito che deve essere una patologia molto dolorosa: la pelle è talmente secca che si rompe, fa le piaghe. Ma medici e infermieri lo tengono sempre unto e, quando l’ho conosciuto, non sembrava sofferente, non piangeva. Si vedeva che era curato con amore. Ho incontrato un bimbo molto vispo, super sveglio. A quanto mi dicono, non ha problemi cognitivi o neurologici, è solo un bimbo che avrà sempre bisogno di cure speciali. Io l’ho portato un po’ in giro nel passeggino. Ho pensato a quanto dovesse essere stato doloroso per i genitori decidere di lasciarlo. So che sono più o meno miei coetanei, che l’hanno avuto con una fecondazione assistita e che, nonostante, tutti gli esami preventivi, era stato impossibile diagnosticare in anticipo una malattia così rara. Non mi sento di giudicarli».
Cosa gli augura per il futuro?
«Di trovare una famiglia o comunque di essere trattato e curato con amore. Io, da ragazzina, nella Repubblica Ceca, facevo volontariato in un orfanotrofio: nella vita volevo occuparmi di bambini, poi è andata diversamente. E gli auguro di trovare una passione compatibile con la sua patologia, che so… Il pianoforte».
Tornerà a trovarlo?
«Spero di non fare in tempo. Idealmente, spero che qualcuno venga già oggi e se lo porti via per dargli una mamma, un papà, una famiglia».
Alena Seredova: “Le foto su Instagram con i miei figli «stropicciati»? Stiro meno e sto più tempo con loro”. Pubblicato martedì, 08 ottobre 2019 su Corriere.it da Candida Morvillo. La replica della showgirl ai critici dopo la foto postata sui social: «Parliamo di ragazzi, non andavano mica in ufficio...» Alena Seredova ha messo su Instagram la foto dei due figli pronti per andare a scuola, ma con le magliette sgualcite, ed è diventata l’eroina di un popolo di mamme a cui 24 ore non bastano per far tutto, figuriamoci per stirare alla perfezione le divise scolastiche. Prima sono arrivate le critiche: «Almeno mandali con le magliette stirate, ma che figura gli fai fare?»; «stirare no... sono bambini... giusto?»; «non li lavare nemmeno, tanto si sporcheranno». Al che, si è sollevato il coro delle mamme no-stiro: mille commenti per dire che nemmeno i loro figli sembrano usciti da una stireria, o che loro odiano stirare ma l’importante è che i bimbi siano sereni, o che è evidente che le t-shirt erano state stirate ma s’erano sgualcite per via delle cinture di sicurezza. E ancora, in linea con l’«Era Greta Thunberg», si scatenano le mamme a emissioni zero, quelle che «non lo sapete che stirare fa male al clima?». E qui è rissa nella rissa, con quelle che «ma sì, c’è il riscaldamento globale: torniamo nelle caverne». Un putiferio. Alena per prima ne è stupita. Aveva postato le foto dei figli avuti dall’ex marito Gigi Buffon solo «perché avevano due facce buffe». David Lee, 10 anni, va in quinta elementare, Louis Thomas, 12 a dicembre, fa la seconda media. «Alle magliette stropicciate non avevo fatto caso», spiega l’attrice e modella, «sono sembrate sgualcite solo perché non avete idea di come sono conciati i ragazzi quando tornano da scuola».
Insomma, in origine, le magliette erano stirate o no?
«Erano state stirate a fine scuola, a giugno. Infatti, si nota la piega del ferro da stiro sulla manica. Però, erano finite in una scatola per fare spazio nell’armadio ai vestiti delle vacanze e si vede che hanno patito un po’. Comunque, pure se non le avessi stirate, non ci trovo niente di male».
Rivendica il diritto di non stirare?
«Certe cose non c’è bisogno di farle super-piegate. Tanto, poi, in un attimo, si stropicciano e hai perso solo tempo. Preferisco stirare meno e stare più con i miei figli, a differenza di chi sta a polemizzare sui social e magari trascura i familiari. Sono una mamma che lavora, ho appena lanciato una linea di profumi, ma ho scelto di dedicarmi molto ai figli e di sacrificare qualcosa per loro. Però, non si può far tutto e su qualcosa mollo. Credo che, un giorno, David Lee e Louis Thomas daranno valore a queste cose più che se li avessi fatti uscire inamidati. Fra l’altro, il primo a criticare è stato un maschio trentenne: si vede che le camicie gliele stira ancora la mamma».
Lei gli ha risposto: «Non vanno mica in ufficio».
«Parliamo di ragazzi. Se tornano coi pantaloni rotti sul ginocchio, non faccio i salti di gioia, ma ci cucio una toppa e sono felice perché penso che sono sani, che corrono, si divertono».
Molti l’hanno difesa perché stirare emette anidride carbonica.
«Non ci avevo mai riflettuto. Però, già mi capita di non stirare tute da casa, calzini, pigiami: non li vede nessuno, l’importante è che siano puliti. Ora so che c’è anche un effetto ecologico e ben venga».
Pare che stirare una camicia con mano esperta emetta 14 grammi di Co2, ma se si è lenti e incapaci, si sale a 70.
«Le camicie non sono il mio forte. Sotto questi due numeri scriva: ecco perché non le stiro io. Scriva anche che quelli che criticano sui social scaricano il cellulare, consumano energia e certo non salvano l’ambiente».
C’è chi l’ha accusata di tirchieria. Uno ha scritto «non stiri tu, spendili questi euro».
«Non mi piace chi guarda in casa d’altri cosa ci si può permettere e cosa no. Io non giudico chi sta meglio di me e ai miei figli insegno a non vantarsi di quello che hanno. Sono nata in una famiglia in cui mamma fa ancora tutto da sola e io so fare, e ho fatto, tutti i lavori domestici. A casa, a Torino, faccio ancora tanto. Cucino tutti i giorni, mi piace far trovare la cena pronta ai ragazzi quando tornano dagli sport. Il grande ha un orario come se andasse in ufficio: fa scuola calcio e, quattro volte alla settimana, torna alle 20,30 passate».
Quante magliette da sport le tocca stirare?
«Quelle, per fortuna, si appendono e basta. Sono di un tessuto che si stira da solo».
Da I Lunatici Radio2 il 20 settembre 2019. Alena Seredova è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino. La Serodova ha ricordato il suo arrivo in Italia: "Ormai sono passati diversi anni da quando sono arrivata in Italia. Il Paese è cambiato moltissimo, devo dire non soltanto in meglio, anzi. Il cambiamento non è stato piacevole, si stava molto meglio quando ero arrivata. Però ho fatto una scelta di diventare cittadina italiana, quindi a questo Paese ci tengo tantissimo". A proposito di televisione: "C'è una grande differenza tra la tv del 2000 e quella di oggi. Sono due mondi totalmente diversi. Con Panariello, quando facevamo 'Torno Sabato', facevamo degli share pazzeschi. Mi sono divertita tantissimo. Probabilmente quel programma oggi non avrebbe lo stesso successo. Oggi la tv si concentra di più litigi. Se ti piace litigare, vai benissimo. Se l'intervento in tv ti deve portare a litigare o a sparlare di qualcun altro allora tanto vale stare a casa e imparare a far le lasagne". Sul rapporto con il suo corpo: "Per me è stato un complesso grandissimo. Parliamo del seno ad esempio. Averlo grande a scuola era difficile. Avevo un complesso enorme. Un giorno mia madre mi disse che tutte le mie compagne il seno avrebbero dovuto comprarlo, mentre a me lo aveva dato la natura. Poi avevo il complesso dell'altezza. Con i tacchi ero più alta di tutti i miei compagni. Ho iniziato a superare questi complessi quando sono arrivati i miei bambini". Sulle insidie nascosto nel mondo dello spettacolo: "Per subire certi ricatti non serve il mondo dello spettacolo. Ma io sono del parere che puoi sempre dire di no. Io qualche no l'ho detto. Forse se non l'avessi fatto avrei condotto qualche programma in più. Ma almeno ho fatto quello che ho fatto senza fare compromessi". Sui social: "Non ho molti haters, ogni tanto qualche critica arriva ma cerco di non farci caso. Capitano anche che ci siano pazzi che mandano qualche foto di troppo. Mi arrivano delle foto di uomini nudi, con il risveglio mattutino. Tutte le volte che pubblico una foto in cui si vede il piede, invece, i feticisti impazziscono. Eppure il piede è un altro pezzo del mio corpo che mi ha creato tanti complessi in passato". Su Buffon: "Il nostro rapporto è quello di due persone intelligenti che comunque rimarranno legate per tutta la vita, visto che abbiamo due figli. Non si può cancellare, non si può modificare. Io non dimentico il passato. A casa di papà ne parliamo tranquillamente. Mi secca parlarne con gli altri, anche per rispetto del mio nuovo compagno. Sono molto innamorata del mio nuovo compagno. E' un arricchimento anche per i miei figli, prima avevano due genitori, oggi hanno due genitori e altre due persone che possono essere un punto di riferimento importante. Devo dire che ogni tanto qualche tifoso della Juventus mi scrive ancora. Mi chiamano la capitana. Gli voglio bene, non ci siamo separati. Resto una tifosa della Juventus".
· Eleonora Pedron.
Da I Lunatici di Radio2 il 19 settembre 2019. Eleonora Pedron è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino. La Pedron ha parlato di Miss Italia, il concorso di bellezza che vinse nel 2002: "Una esperienza indimenticabile. La vittoria di Miss Italia è stata una emozione unica che ha cambiato la mia vita. Venivo dal paesino di campagna e poi mi sono ritrovata catapultata in un mondo un po' diverso, in una realtà che era molto lontana da me ma che sognavo sin da quando ero piccola. Per me è sempre stata irraggiungibile. La vedevo con i miei genitori, non me ne perdevo una, con mia madre e mio padre cercavamo sempre di individuare quale sarebbe stata poi la vincitrice. Credo che il concorso faccia parte della tradizione italiana, non ci vedo nulla di male, è molto pulito. Apre le porte, poi la ragazza che vince sceglie quale percorso seguire. Io non ci trovo nulla di strano, anzi. Ci vedo tanto romanticismo, ha mantenuto le note romantiche che ci sono da sempre. Miss Italia è un concorso elegante, bello, a me piace". Sul suo rapporto con la bellezza: "Non ho mai pensato al fatto di essere bella. Era mia nonna a spingermi a fare i concorsi di bellezza. Io ero una ragazza normalissima, come tante altre, che andava a scuola, studiava e tornava a casa. A scuola, però, soprattutto alle superiori, le mie amiche spesso non volevano che io uscissi con loro, perché dicevano che le facevo passare in secondo piano. Per questo mi trovavo spesso fuori dal gruppo. Tra donne purtroppo c'è ancora oggi una grossa dose d'invidia. Non l'ho mai capita, cerco di evitarla". Sulle insidie nascoste nel mondo dello spettacolo: "Certe cose sono un po' dappertutto. Sta alla ragazza scegliere che tipo di percorso vuole fare. Con la voglia di riuscire ad arrivare i propri sogni si può arrivare anche in maniera molto semplice e pulita. A me è capitato a 17 anni, ero ancora giovane, di trovarmi in una situazione difficile. Ma ne sono uscita in modo sereno e tranquillo. Sono situazioni che capitano, lì sta all'intelligenza e alla scelta della ragazza decidere come comportarsi". Sul rapporto con paparazzi e gossip: "Ho sempre rispettato i paparazzi, quando diventi un personaggio pubblico vai incontro anche a questo. Non è sempre bello essere fotografati nei momenti di vita privata, ma non la vivo troppo male. So che è una cosa che devi accettare". Sui social: "Ho un rapporto normale, non sono malata di social, non faccio l'influencer, ma mi piace da sempre la fotografia. Ho la mia macchina fotografica, adoro scattare. I feticisti? E' pieno. C'è gente che chiede le foto dei piedi, sui social chiedono un po' di tutto. Una volta avevo pubblicato una foto a Venezia e un ragazzo si presentò nello stesso posto perché era convinto che lo stessi aspettando per prendere un aperitivo. Capitano anche aspiranti schiavi e quelli che vogliono le scarpe usate".
Eleonora Pedron, orgoglio Miss Italia: "Che palle le critiche dei politici. Non dimentico cosa mi disse Frizzi". Gianluca Veneziani su Libero Quotidiano il 26 Agosto 2019. La storia della cultura occidentale è cominciata con un concorso di bellezza: tre divinità, Era, Atena e Afrodite, erano in gara e Paride scelse di affidare a quest’ultima il pomo di più bella, originando la guerra di Troia e permettendo che venisse concepita l’Iliade. Devono esserselo dimenticato i censori accecati dall’ideologia, le femministe per partito preso che, in occasione di ogni Miss Italia, gridano alla mercificazione del corpo della donna. E hanno alzato ancora più la voce quest’anno, dato che il concorso di bellezza, alla sua 80ma edizione, tornerà sul servizio pubblico (andrà in onda su RaiUno il 6 settembre). Ma a questa visione riduttiva del programma si oppone chi miss è stata e mai si è sentita donna-oggetto, come Eleonora Pedron, reginetta di bellezza nel 2002. Pedron, tre membri del cda Rai sostengono che a Miss Italia «le donne vengono valutate solo per il loro aspetto esteriore, mercificando il loro corpo», un fatto inopportuno mentre crescono le violenze sulle donne. E intanto Michele Anzaldi del Pd chiede un voto contro la decisione di riportare il programma in Rai. Sbagliano?
«Che due p… queste polemiche, chi critica il programma forse non ha nient’altro da dire. Miss Italia è l’esatto opposto della mercificazione della donna: è un evento raffinato ed elegante, in cui si riscopre la dimensione del romanticismo, del sogno, della favola. Altroché sfruttamento e volgarità. Metterlo in relazione ai femminicidi è poi follia totale. D’altronde, Miss Italia fa parte della tradizione del Paese: guardarla è un rito familiare, che si consuma nel focolare domestico, in cui tutti, grandi e piccini, si divertono a indovinare chi sarà la vincitrice».
Perché allora, secondo lei, scattano puntualmente agli attacchi a Miss Italia? C’è più moralismo o più invidia, da parte di alcune donne?
«Credo che quanti creano polemica lo facciano con l’unico scopo di schierarsi, darsi un tono e ottenere visibilità. Ma sbagliano completamente il bersaglio. I costumi da bagno delle partecipanti sono tutto fuorché provocanti: non si è mai visto a Miss Italia un perizoma o un seno mezzo scoperto. Sono costumi castigati quasi da nuotatrice olimpica».
Il ritorno in Rai aiuterà gli ascolti del programma che negli ultimi anni, su La 7, erano scesi sotto il milione di telespettatori?
«La Rai è come la casa di Miss Italia, il suo luogo naturale, ed è bello che vi torni una cosa antica, che lì è sempre stata seguitissima. Questo ritorno al futuro, a mio avviso, sarà anche vantaggioso per gli ascolti».
Lei che ricordi ha della Miss Italia vinta 17 anni fa?
«Fu non la mia prima, ma la mia seconda Miss Italia. Avevo già partecipato tre anni prima, nel 1999. Fu papà a incoraggiarmi a riprovarci, ci teneva, ma purtroppo si spense a pochi mesi dalla mia seconda partecipazione. Decisi di rimettermi in gioco come un omaggio a lui, altrimenti non lo avrei mai fatto. E alla fine vinsi. Ricordo quell’esperienza come un grande campo scuola in cui entrai in contatto con ragazze che arrivavano da un contesto molto diverso dal mio. Venivo da un piccolo paese in Veneto, Camposampiero, e se non avessi fatto Miss Italia forse sarei rimasta lì. Quel concorso fu il mio secondo passaggio verso la maturità, dopo il primo traumatico, la perdita di papà».
Quell’anno venne proclamata reginetta da Fabrizio Frizzi. Cosa le disse al momento della vittoria?
«Una sua frase mi resterà indelebile: “Miss Italia è la Favola e l’Eleganza in sé”. Aveva colto alla perfezione lo spirito di quella manifestazione. Dopo siamo diventati amici, è stato anche il padrino di mai figlia. Sono stata l’ultima reginetta da lui proclamata prima di un’assenza durata dieci anni. Quando tornò alla conduzione mi volle con sé nel programma. La chiusura di un cerchio».
Quest’anno Eleonora Pedron che ruolo avrà a Miss Italia?
«Farò parte della giuria. E mia figlia guarderà il programma da casa. Ha dieci anni, ma mi dice che un giorno piacerebbe anche a lei partecipare. Magari darà seguito alla tradizione familiare: mamma e figlia entrambe vincitrici, come è già capitato a Marisa Jossa e Roberta Capua». Gianluca Veneziani
· La velina Mikaela Neaze Silva.
Striscia la Notizia, la velina Mikaela Neaze Silva ha ottenuto la cittadinanza: "Ho pianto". Libero Quotidiano il 26 Agosto 2019. Mikaela Neaze Silva, la bella velina di Striscia la Notizia - in onda su Canale5 - è riuscita finalmente ad ottenere la cittadinanza italiana. "Il momento più bello della mia vita? Quest’anno, quando ho avuto la cittadinanza italiana. Mia mamma e mia sorella l’avevano già ottenuta, ma per me è stato complicato avere la documentazione dalla Russia. Quando ce l’ho fatta è stata un’emozione grandissima, ho pianto", ha raccontato la velina al settimanale Confidenze. Una grande emozione, un sogno inseguito da tempo e che si è finalmente concretizzato. È infatti dal 2017, anno in cui è diventata famosa grazie al tg satirico di Antonio Ricci, che la Neaze Silva aspetta questo giorno. La ballerina, nata a Mosca nel 1994, da padre angolano e madre afghana, è arrivata in Italia all'età di 6 anni, e ha sempre dichiarato di sentirsi italiana a tutti gli effetti. Così la ballerina aveva infatti toccato l'argomento qualche anno fa: "Bisognerebbe parlare più correttamente di ius culturae. Vede, un bambino, come sono stata io, cresciuto in Italia, ha assorbito la cultura italiana, per forza di cose. Ha studiato qui, assieme a compagni italiani, ha acquisito una mentalità italiana. Dunque, è giusto che gli venga riconosciuta l’italianità. Quando sono all’estero, io mi dichiaro italiana, e i miei nuovi amici stranieri riconoscono in me un’italiana".
· Lorena Bianchetti.
Lorena Bianchetti: “Mio padre è morto tre giorni dopo il matrimonio”. Lorena Bianchetti ha dovuto affrontare il dolore della morte del padre pochi giorni dopo le nozze con Bernardo De Luca: il suo racconto a Storie Italiane. Luana Rosato, Mercoledì 25/09/2019 su Il Giornale. La triste confessione di Lorena Bianchetti nel salotto di Storie Italiane, dove ha ricordato il papà scomparso tre giorni dopo il matrimonio con Bernardo De Luca. Ai microfoni di Eleonora Daniele, la conduttrice Rai di 'A sua immagine' ha parlato con affetto della sua famiglia e del forte legame che ancora oggi la unisce al genitore venuto a mancare qualche anno fa. “È mancato tre giorni dopo il matrimonio – ha rivelato lei, riuscendo a non commuoversi nonostante i ricordi siano ancora vivi in lei - . Sono felice che ci sia stato. È già stato un dono. I disegni del cielo sono buffi e bizzarri”. "Dovevamo partire per il viaggio di nozze e quel giorno è volato in cielo – ha continuato a raccontare l’ospite di Storie Italiane - . Lo strappo per noi è stato fortissimo. Quando perdi un amore così grande non scompare mai il dolore, impari a conviverci. Una felicità piena è più difficile. Ma vive dentro di me ogni volta che ne ho bisogno”. L’assenza del padre, però, non ha scalfito i rapporti con il resto della famiglia alla quale Lorena Bianchetti continua ad essere grata per gli insegnamenti e i valori che le sono stati trasmessi. “Sono stata molto fortunata, ho avuto una famiglia molto speciale – ha detto - . Mi ha insegnato il senso dell'onestà, cioè a guardare tutto con onestà e trasparenza”. “Sono stata in diretta la domenica della morte di mio padre – ha spiegato - . È stato difficile ma è stato l'ultimo regalo che ho fatto a mio padre. Ero felice di concretizzare quella che era stata la sua testimonianza”.
· Bianca Guaccero.
Da I Lunatici Radio2 l'11 giugno 2019. Bianca Guaccero è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta ogni notte dall'1.30 alle 6.00 del mattino. L'attrice e conduttrice ha parlato un po' di sé e del suo libro 'Il tuo cuore è come il mare, lettera a mia figlia sulla vita e sulle favole. E su come nasce una perla': "Come nasce una perla? Da una crisi. Nel senso che la perla si forma perché quando entra un parassita all'interno della conchiglia che protegge il mollusco all'interno, lui per difendersi crea strati e strati di madreperla. La madreperla serve al mollusco per difendersi dall'attacco del parassita. La mia metafora arriva direttamente dalla natura e mi sembra straordinaria per descrivere quelle che sono le crisi dell'animo umano. Io nei periodi di crisi ho trovato e riscoperto tante cose belle, sia legate alla vita che all'animo umano. Le crisi sono grandi opportunità, nelle crisi siamo tutti più umani. Nella tristezza, nel dolore, c'è una grandissima dose di umanità che viene fuori. Sto approfittando di questi gironi per girare l'Italia e presentare il libro. Le presentazioni diventano quasi delle sedute, c'è un confronto con la gente, è molto bello quando le persone mi dicono che grazie a questo libro si sono sentite meno sole. Io a 14 anni soffrivo di attacchi di panico, se qualcuno ne avesse parlato, se ci fosse stato meno tabù in questo senso, forse mi sarei sentita meno fuori dal mondo". Su "Detto fatto": "L'ho definito un miracolo, per me è stato un dono immenso, in un momento in cui affrontavo una fase delicata della mia vita. E' arrivato questo sole a riscaldarmi il cuore e l'anima, mi ha ributtato nella gioia, nella vita, nella quotidianità, nel contatto con il pubblico. Mi ha cambiato vita, mi sono trasferita a Milano, mi ha allontanato dai pensieri, dalle cose, da una situazione. E' come se mi avesse trovata e mi avesse portata su un arcobaleno. Sogni? Mi piacerebbe cantare. Ma visto che non voglio rubare il mestiere a nessuno, mi piacerebbe tantissimo trovare un autore che scriva una canzone per me. Una canzone che racconti una storia".
Emiliana Costa per il Messaggero il 18 ottobre 2019. Bianca Guaccero si sfoga in diretta a Detto Fatto. Durante la puntata, la conduttrice del factual show di Rai2 si è sfogata per alcuni attacchi feroci ricevuti sulla sua magrezza. Durante la rubrica di Jonathan sui vip, si parla di cambiamenti drastici di peso. Bianca Guaccero confessa di aver subito attacchi molto duri da parte degli haters sui social: «La cosa più brutta che mi hanno scritto è stata durante la mia partecipazione a Tale e Quale Show, mi hanno detto ‘Fai schifo, vai in una clinica per l’anoressia'. Io non rispondo quasi mai, ma quella volta lo feci e scrissi ‘Se fossi stata veramente malata di anoressia, una cosa del genere mi avrebbe aiutato?'». Bianca Guaccero conclude così: «Molti invece di andare da uno psicologo di sfogano sui social network».
Emiliana Costa per leggo.it il 18 ottobre 2019. Bianca Guaccero parla di sesso a Detto Fatto, poi la domanda choc che la imbarazza. «Non rispondo...». Oggi, durante la rubrica di gossip con Jonathan, si è parlato dei vip che hanno scelto per un periodo la castità. Tra loro, perfino Brad Pitt dopo la separazione da Angiolina Jolie. E proprio durante questo spazio, Jonathan pone a Bianca Guaccero una domanda che la spiazza. Ma andiamo con ordine. L'esperto di gossip le chiede: «Bianca sei casta?». La conduttrice replica con una domanda ironica: «Ma cosa vuol dire castità oggi?». A quel punto Jonathan, senza peli sulla lingua, sbotta: «Fai sesso? Hai le ragnatele?». Bianca Guaccero prima resta senza fiato e fa segno con la mano che non vuole rispondere. Poi ci scherza su: «Come fai a saperlo?». Risate in studio. E dopo la gag hot, la rubrica di gossip continua.
· Parla Rita Dalla Chiesa.
Rita Dalla Chiesa apre il suo cuore e si toglie i sassolini: "Non ho mai chiesto nulla a nessuno". Libero Quotidiano il 25 Settembre 2019. Rita Dalla Chiesa rilascia una lunga intervista al Nuovo Tv. Su Facebook dichiara: "Ci sono volte che tu rilasci un’intervista, e ti ritrovi poi con titoli che lasciano intuire cose che non ti sei mai sognata di dire. Qui e’ tutto vero. Vero che sia stata 'adottata' da una Rai che mi stima e mi vuole bene. Una vera signora, nei miei confronti", si spende nell'elogio di Viale Mazzini. Rita parla poi dei suoi amici veri nel mondo dello spettacolo. "Vero che abbia incontrato persone per bene come Marco Liorni, che mi ha voluta fortissimamente a Italiasì, fin dall’anno scorso. Vera la mia amicizia con Eleonora Daniele. Veri il mio affetto, ricambiato, per Lorella Cuccarini e Alberto Matano. Vero l’enorme bene per Mara Venier". Tutte queste persone hanno dato qualcosa a Rita come lei stessa dice: "Mi hanno fatte sentire nuovamente parte di una squadra, che per me è importantissimo. Vero anche che non avrei mai dovuto lasciare Forum, ma questa è un’altra storia. Le pagine della vita sono tante. Ne sto leggendo un’altra". "La cosa che mi fa più piacere", conclude l'amata conduttrice, "è che io non ho MAI chiesto a nessun giornale di farmi un’intervista, né a nessun direttore di farmi lavorare. Quello che arriva, arriva da solo. E questo è sempre stato il mio percorso di vita".
Rita Dalla Chiesa ricorda Fabrizio Frizzi: "Era il mio amico della notte". Dopo aver detto addio a Forum, Rita Dalla Chiesa copre un nuovo ruolo a Italia Sì e, in un'intervista, ha ricordato alcuni dettagli del suo amore vissuto con il compianto Fabrizio Frizzi. Serena Granato, Mercoledì 25/09/2019, su Il Giornale. In una nuova intervista concessa a Nuovo tv, il settimanale diretto da Riccardo Signoretti, la conduttrice Rita Dalla Chiesa ha rivelato alcune indiscrezioni sulla sua vita privata e sulla sua carriera. In particolare, la Dalla Chiesa ha parlato a ruota libera dell'addio a Forum, il nuovo ingaggio a Italia sì e l'amore vissuto con il compianto Fabrizio Frizzi. Particolarmente forti sono le dichiarazioni che la Dalla Chiesa ha rilasciato sul conto della sua relazione vissuta con l'ex conduttore de L'Eredità, Fabrizio Frizzi, il quale è venuto recentemente a mancare per via di un'emorraggia cerebrale rivelatasi fatale. "Era l’amico della notte- ha esordito l'ex conduttrice di Forum ricordando così l'indimenticabile Frizzi, con cui ha avuto una storia d'amore per sedici anni-. Mi chiamava molto tardi e mi invitata a mangiare i cornetti che lasciava sotto casa per me e mia figlia Giulia, che all’epoca era piccola. Cercava di conquistare il mio cuore". Al noto rotocalco di gossip, Nuovo tv, Rita Dalla Chiesa ha confidato anche di aver vissuto dolorosamente la scelta di abbandonare la trasmissione Forum: "L’ho lasciato per orgoglio, perchè mi era stato detto che sarebbe stato chiuso. Ho commesso l’errore di non chiedere spiegazioni ai vertici Mediaset. Per quello strappo, sono stata malissimo". Adesso, però, l'ex timoniera di Forum si sente "adottata" da mamma Rai, che l'ha ingaggiata per farle coprire il ruolo di saggio consigliere su Rai 1, insieme alla collega Elena Santarelli e ai nuovi arrivati Adriano Panatta e Manuel Bortuzzo, spalleggiando così il conduttore Marco Liorni a Italia sì.
Giuseppe Fantasia peer Huffingtonpost il 24 settembre 2019. Quando si incontra una come Rita dalla Chiesa, è come incontrare un amico di famiglia o un parente: è come se la si conoscesse da sempre. Personaggio storico della tv privata e generalista, è entrata e continua ad entrare da trent’anni nelle case degli italiani con quel garbo che la contraddistingue, amplificato da un tono di voce che è sempre rassicurante anche quelle volte in cui – come tutti - ce l’ha col mondo, perché – magari – qualcosa non è andato o non sta andando come lei vorrebbe. Piace al grande pubblico perché è sé stessa, senza schemi precostituiti e senza erigere barriere, sempre attenta all’ascolto prima che agli ascolti. “Sono come incapsulata nel silenzio di un urlo che dura oramai da tutta una vita” - racconta però all’HuffPost quando la incontriamo a Pordenone, dove è stata ospite della ventesima edizione di Pordenonelegge – e ciò mi ha portato a scrivere questo mio libro, (“Mi salvo da sola”, pubblicato da Mondadori, ndr). “Ci ho impiegato solo tre mesi per scriverlo – continua – perché avevo delle cose pesanti che dovevo portare a galla invece di tenermele sempre dentro. Non volevo che fosse cambiata neanche una virgola. Tutto quello che c’è nel libro mi appartiene davvero”.
Lo dedica alle onde della sua vita che l’hanno aiutata a tornare a riva. Ci spieghi meglio.
“Sì, è così. Ognuno cerca la propria onda nella vita. Uso spesso queste metafore sul mare, perché vivendo di mare, le onde sono le voci che mi arrivano da chi questo mare lo ha attraversato, da Ulisse a oggi. Vedo queste onde che mi sono state vicine, che si sono allontanate iniziando un loro viaggio. Arrivano e se ne vanno. È come se mi parlassero in quel momento, è come se mi raccontassero delle cose e poi le portassero a largo. È difficile da spiegare, ma sono molto importanti”.
La Rita “casinista con il suo mondo incasinato, imperfetto, ma non ancora diventata inferno”, come scrive, è tornata?
“È tornata, ma in modo diverso. Ho dovuto mediare tra la Rita di allora e quella che si era costruita scrivendo il libro. Ho fatto come si fa con un puzzle: si butta tutto all’aria e poi però si ricomincia. L’ho fatto con maggiore maturità però. Gli anni passano e le situazioni sono cambiate e sono diverse. Sono razionale e precisa come il mio segno, la Vergine, una rompiscatole in servizio permanente affettivo, ma ho anche l’ascendente Cancro”.
Questo cosa aggiunge?
“Che non vivo e non respiro se non ho un sogno. Ho bisogno del sentimento e amo le persone che mi danno subito la sensazione dell’abbraccio e della cuccia. Sono una persona che si innamora sempre e mi innamorerò sempre. Mio nipote Lorenzo che oggi ha undici anni, mi dice sempre che mi devo fidanzare. Ha capito di me e che non rinuncio alla vita, a innamorarmi così come alle emozioni”.
Del resto, perché dovrebbe rinunciarvi?
“Infatti, perché dovrei rinunciare? Mi dicono in molti: “ma datti una calmata”, e io rispondo sempre “ma manco per niente!”.
L’amore non ha età, come ci insegna Kent Haruf ne “Le nostre anime di notte” e non soltanto lui?
“No assolutamente. La sessualità esiste a qualunque età e non cambia neanche forma, non cambia l’essenza. È il donarsi, il darsi reciprocamente. È una cosa bellissima.
Pronta a fidanzarsi di nuovo?
“Se ci sarà l’occasione, perché no? Io ci sarò. Non ho chiuso con i miei sentimenti e tutto il resto, sono aperta a qualunque possibilità, a qualunque emozione e a qualunque forma di amore mi arrivi”.
Aveva 34 anni quando suo padre veniva ucciso dalla mafia in via Carini, a Palermo. Oggi sono passati 37 anni da quella tragedia: lei e i suoi fratelli vi siete sentiti più considerati?
“Mattarella ha definito papà un innovatore e un lungimirante, c’’è stata la traccia della maturità di quest’anno dedicata a lui…Qualcosa è cambiato nei confronti di mio padre, sicuramente. Lui non era siciliano, ma la Sicilia ha fatto da collante alle nostre vite. In Sicilia però sono sempre stati portati a pensare a Falcone e a Borsellino mentre il generale Dalla Chiesa era il generale, c’era un grande amore nei suoi confronti, ma come se fosse in secondo piano. Nel resto d’Italia è stato amato moltissimo, soprattutto Milano”.
Ai funerali arrivò l’allora presidente Pertini per farle le condoglianze, ma lei non volle salutarlo e restò accanto a suo padre tutto il tempo. “Io da loro non voglio niente - disse e scrive - perché sono tutti complici”.
“Restai vicino alla bara di mio padre, non l’ho volli lasciare solo manco un secondo, perché volevo fargli compagnia in un periodo in cui era rimasto solo”.
Andreotti ai funerali non c’era e lui giustificò l’assenza dicendo che preferiva andare ai battesimi più che ai funerali: come interpretò quella frase?
(Sospira un po’ e poi ci fissa) “L’ho interpretata come una sfida e come un coinvolgimento”.
Giorgio Bocca scrisse che la mafia uccide solo quando si accorge che ti hanno lasciato solo.
“Esatto. Bocca ci ha raccontato che incontrò mio padre all’uscita della prefettura completamente solo, lo aveva già capito da tempo che non c’era nessuno con lui e attorno a lui. Noi lo avevamo capito a Ferragosto quando aveva cercato di mettersi in contatto con alcuni politici dell’epoca da Spadolini a De Mita: nessuno gli rispondeva a telefono. Lì ho iniziato ad avere la sensazione che non avevo prima che potesse succedere qualche cosa”.
Come si sconfigge mafia? È una frase che può avere risposta?
“No, la mafia non la sconfiggi, è una mentalità. Non è solo impersonata in uomini o in azioni, ma in un pensiero. La mafia è un pensiero che esiste, che c’è e che non si riesce a bloccare, continua a esserci purtroppo. In Sicilia da qualche tempo ha ricominciato ad esserci questo pensiero strisciante”.
Del giudice Giovanni Falcone che ricordo ha?
“Leggeva con me e i miei fratelli i diari di mio padre per cercare di capire qualcosa in più. Continuava ad insistere sulla preoccupazione di mio padre che io mi fossi separata (dal primo marito, Roberto Cirese, da cui ha avuto la figlia Giulia, ndr). Ricordo i suoi occhi, come mi guardava mentre leggevamo quei diari e la sua ironia. Aveva un’ironia, un guizzo tipicamente siciliano dell’uomo che cerca di capire ma che poi ti fa capire che puoi parlare, ma che poi ci pensa lui”.
Ha visto “Il traditore” di Bellocchio?
“Sì, mi è piaciuto, ma soffro ogni volta che vedo o sento parlare di Falcone. Anche in una fiction mi era successo, quando lui si affaccia alla finestra e parla di papà. Di Falcone non posso che avere un amore profondo, un rispetto per la sua memoria e anche se poteva sembrare ruvido, un uomo non un facile alla commozione, era di una sensibilità infinita. Ci chiamò in via dei Selci, a Roma, era la prima volta che lo vedevamo. Noi fratelli ci guardavamo, non ci fidavamo. Lui con uno sguardo capì che davanti quel giudice non avremmo parlato. Lo ha fatto allontanare, aveva una grande risma davanti, tirò fuori la stilo e dalle due del pomeriggio alla nove di sera ha scritto la deposizione di noi tre fratelli a mano”.
Tornando a suo padre, nel libro scrive che “non ha mai avuto la scorta per non mettere in pericolo la vita di altri uomini”.
“Oggi la scorta ce l’hanno tutti, anche persone di cui dici: ma perché ce l’hanno?
Mesi fa disse la sua anche sulla scorta a Roberto Saviano.
“Sono stata attaccata sui social. Non dicevo di togliere la scorta a lui, ma di ridarla al capitano Ultimo, che è una cosa diversa. Perché a lui doveva essere tolta e lasciata a Saviano? O tutti e due o nessuno dei due.
Lei, quindi, è per la scorta ad entrambi?
“Sì, certo, per tutti e due. Adesso la vogliono ritogliere a Ultimo. C’è un qualcosa che deve essere rivisto nell’ufficio scorte. La scorta è una cosa seria, sono uomini che vengono tolti dalla strada dove servirebbero di più e poi dovrebbe essere data a persone che rischiano veramente, perché hanno denunciato veramente”.
Arriviamo a Fabrizio Frizzi, il suo grande amore.
“Era l’amico della notte che mi telefonava sempre, un ragazzo che conobbi con una sciarpa di seta bianca e una rosa rossa che poi mi regalò”.
Sedici anni insieme, undici anni più giovane di lei: mai avuto paura della differenza di età?
“All’inizio, poi no. Mi diceva che tra i due, la ragazzina ero io. Il rapporto era talmente forte e molto possessivo per entrambi, ma siamo stati bene insieme. Gli sono grato di quello e basta. Ho sofferto più quando ci siamo separati che quando è morto”.
Anche se racconta che quando vi siete separati lui la teneva per mano.
“Me l’ha presa e abbiamo firmato insieme. Lui poi è venuto a togliermi la fede e io a lui. Un amore fortissimo, il vostro, come quello del pubblico per lui. Fabrizio Non è stato però ripagato della sua fedeltà sul lavoro. Berlusconi lo voleva a tutti i costi e a ogni prezzo, ma lui rimase sempre fedele alla sua Rai, ma la Rai di quel periodo non è stata fedele a Fabrizio. Per un periodo non ha più lavorato, tra l’altro”.
Quando?
“Da quando durante Miss Italia Del Noce gli disse in diretta che quella era una trasmissione noiosa e lenta. Tu non puoi dire quella frase a un conduttore che sta portando faticosamente a casa una trasmissione che dura quattro ore. Dal tuo direttore di rete ti aspetti un “bravo”, non una critica e perlopiù in diretta. La faccia di Fabrizio in quell’occasione non me la dimenticherò mai”.
Anche il critico Aldo Grasso ce l’aveva con lui.
“Grasso ce l’ha sempre avuta con Fabrizio, non si capisce il perché".
Nella lettera scritta da suo fratello Nando il giorno dei funerali di Fabrizio si parla anche di quel critico.
“Si, ma non lo nomina mai per scelta, però ne parla”.
Ha lavorato per anni per la tv di Berlusconi: che ricordo ha di lui?
“L’ho adorato come presidente di Fininvest e Mediaset. Quell’uomo ha un’umanità che poi è stata sommersa purtroppo da altre cose. È un uomo buono e generoso, si è sempre occupato delle persone con cui lavorava a Mediaset. Conosceva i nomi di tutti i tecnici e di tutti i cameraman, si è sempre occupato con le persone con cui lavorava”.
Questo l’ha imparato da lui, lo fa anche lei.
“Sì, perché non siamo nessuno, non saremmo e non siamo nessuno, questo tutti, mettiamocelo bene in testa. Nel nostro lavoro si deve sempre dire “noi”. A me l’ha insegnato Berlusconi. Quelli che sono venuti dopo e che non hanno lavorato con lui, si comportano in modo molto diverso. La tv è molto cambiata oggi anche da quel punto di vista. Si parla sempre di “io” e del “noi” se ne ricordano all’ultima puntata. Li devi ringraziare tutti i giorni con il rispetto per loro”.
Dal 1988 al 1997 è stata il volto di “Forum” e poi di nuovo fino al 2013, poi non più. Cosa è successo, qual è la verità su quell’addio?
″È un programma che mi sono cucita addosso, un abito sartoriale, non acquistato nel primo negozio che capita. Stavamo lavorando alla nuova edizione, ero andata a fare delle telepromozioni ai materassi, torno su alla produzione e mi dicono di sedermi perché mi devono dare una notizia. “Forum – mi dissero -finisce a novembre. Cosa ne sarebbe stato dei contratti agli autori e ai redattori già firmati? Il mezzogiorno, mi dissero, serviva a qualcun altro”.
La dalla Chiesa trattata un po’ come Mike Bongiorno?
“No, perché Mike non aveva la trasmissione, noi ce l’avevamo e stavamo lavorando alla nuova edizione”.
Quindi, dopo, Forum è stato sospeso?
“No, io sono andata via – ho sbagliato a non andare a Mediaset da Piersilvio a chiedergli cosa stesse succedendo”.
“Non ho mai saputo chiedere”, scrive nel libro.
“Sì, è vero, oggi so che funziona il contrario. Non andai a chiedere, ma poi Cairo mi offrì un contratto una settimana dopo da lui nel suo ufficio dove c’era una grande tavolo con tutte le cose che avevo fatto, articoli e introiti portati a Publitalia con Forum. Firmai il contratto il 7 settembre del 2013, Barbara Palombelli (attuale conduttrice del programma, ndr) lo ha firmato il suo con Mediaset ad agosto. Loro potevano chiamarmi e dirmi: “Rita, ma che stai facendo? Torna con noi”. Ecco, questo mi è mancato”.
Ovviamente in tutto questo non ce l’ha con la Palombelli.
“Ma certo che no, lei che c’entra. Anzi, dico sempre “chapeau”, perché prendersi una gatta da pelare come Forum dopo che l’avevo fatto io per tanti anni non era semplice. Barbara non c’entra, è bravissima”.
“Uscivo la mattina alle otto e rientravo la sera tardi”, scrive nel libro: come la D’Urso oggi?
“Quello che fa lei oggi è stato già fatto. Lo facevo io, ma in maniera meno esposta, perché non c’erano i social come adesso. Ero totalmente dedicata a loro, affettivamente non solo professionalmente”.
Tra la D’Urso e la Venier chi sceglie?
“Scelgo Mara, è la mia amica di sempre. Siamo molto diverse, ma simili sulla comprensione e l’ascolto. E poi non ce la tiriamo. Lei ha un carattere più brusco del mio, anche sul lavoro. È una che ti manda all’altro Paese in tre secondi”.
È soddisfatta di quello che fa oggi, il pomeriggio del sabato Rai Uno e poi la radio?
“Sì, ma se fosse per me, sparirei dalla tv. Oggi la guardo più da spettatrice. Ma non si può sparire”.
“Sono libera, precisa nel libro: gli ideali a differenza del potere ti rendono libera”. È così?
“Sì, è vero, sono libera, sono mia. Non seguo il gregge, non appartengo a nessun partito politico, ho le mie idee”.
Quali sono?
“Posso avere delle idee possono rappresentare le idee di Forza Italia per una cosa, le idee del PD per altro, quella dei grillini per altro. Meno in realtà per i grillini devo dire – o per la Lega”.
Un mix insomma.
“Qualcuno mi dice infatti che io non ho le idee chiare, ma non è affatto vero: io ho le idee libere, sono gli altri che non le hanno chiare”.
Meloni la voleva sindaca di Roma, ma durante un comizio elettorale fu criticata proprio dall’estrema destra.
“Casapound mi fischiava perché stavo parlando dei diritti gay. Salvini mi ha difesa. Sono contro la caccia, le pellicce, sono vegetariana, Sono cresciuta vicino a mio fratello che mi ha fatto assorbire alcune cose, sono vissuta in caserma con i carabinieri e ne ho assorbite altre. Per questo ho idee, ma nessuno mi può ingabbiare”.
Rita dalla Chiesa è social?
“Molto. Sto tanto su Twitter e Instagram, anche su Facebook, ma meno. Su Twitter hai la percezione di quello che la gente pensa in quel momento”.
Lei è spesso è attaccata dagli haters: perché?
“Perché dico quello che penso. Internet è vero che ha dato parola agli imbecilli, ma è anche vero che l’ha data anche a molti intelligenti che ci hanno fatto conoscere realtà che altrimenti non avremmo mai conosciuto”.
Un attacco lo ricevette quando difese la Cuccarini, la “sovranista” attaccata da Heather Parisi.
“In un tweet la Parisi diceva: “Cercasi ascolti per ballerina sovranista”. A una collega non lo puoi fare secondo me. Lorella è una persona deliziosa che va d’accordo con tutti, ma come si può?”.
Del fenomeno Chiara Ferragni cosa ne pensa? Il suo documentario è entrato nella storia del cinema italiano per essere stato il più visto in un week end.
“Allora Tornatore non serve a niente? E Ozpetek? È terribile questa cosa. Se è stato visto, è un fenomeno sicuramente e qualche sociologo ce lo spiegherà. Io francamente il fenomeno Ferragni non lo capisco. Lei deve essere sicuramente un genio che si è creata un impero di lavoro, ma chi va a vedere un film sulla Ferragni, lo capisco meno. Mi dispiace allora, sono vecchia, non capisco” (ride, ndr).
Tra gli altri fenomeni, nel libro parla anche di Ambra e delle ragazze di “Non è la Rai”che erano sue vicine negli studi al Palatino.
“Sì, con Ambra litigavo spesso per l’aria condizionata. Ma litigo con tutti per quello, sui treni, con i controllore e non solo e poi lo scrivo su twitter”.
Lei ama Milano, lo dice sempre: perché?
“Oggi deve diventare la Capitale d’Italia, mi batto per questo”.
E Roma?
“A Roma ci abito, ma non si sopravvive, vedi sempre più gente che se ne vuole andare, perché dall’altra parte non hai risposte. È tutto uno stiamo lavorando, stiamo valutando, stiamo risolvendo ma non si risolve niente e anche il romano più radicato sul territorio oggi si sta rendendo conto che Roma non è vivibile. Abbiamo un turismo che non ha nessuna altra città e di questo in pochissimi se ne rendono conto”.
Si è mai pentita di non essere diventata sindaca della Capitale come voleva la Meloni?
“No, sono felice, perché la politica mi piace molto, ma non mi andava e non ma di mettermi in una cosa simile”.
Della Raggi cosa ne pensa?
“Non credo che non sia una brava persona, ma penso che sia inadeguata, è troppo giovane”.
Nessuno si salva da solo, neanche lì, ma lei dice – come recita anche il titolo del suo libro – che si salva da sola: come si fa?
“Devi concentrarti su te stesso ed essere libero, questo è il segreto. Provateci”.
Rita Dalla Chiesa: «La gente mi ferma per parlarmi di papà. Con Lauzi amore senza baci». Pubblicato da Roberta Scorranese sabato, 30 marzo 2019 su Corriere.it. La primavera romana filtra dalle finestre dell’ultimo piano e illumina una casa tutta rossa: il divano, i cuscini, le poltrone, i tappeti, le lampade, le tende. Un micromondo vermiglio che sembra fatto apposta per far risaltare i capelli biondi della padrona di casa. La quale, in jeans e maglione, se ne sta accoccolata sul divano con un cuscino stretto al petto.
Rita, è curiosa questa immagine di lei aggrappata a un cuscino in una casa così dolce, calda, colorata. Come se volesse difendersi.
«Sono cresciuta senza una casa davvero mia. L’infanzia e l’adolescenza le ho passate traslocando da un appartamento all’altro con la famiglia. Adesso io la mia casa me la tengo stretta, letteralmente. E la voglio simile a me».
Colorata?
«Vivace. Piena delle mie cose. Dei ricordi, delle fotografie che raccontano la mia vita. È come se sentissi il bisogno di segnare il territorio, quasi avessi paura di dover andare via».
Fotografie sul tavolinetto basso del soggiorno. Foto alle pareti, sul trumeau dell’ingresso. Quelle in bianco e nero, quelle dai colori seppiati e quindi (più recenti) quelle dai colori vivi. C’è una bellissima ragazza bionda, Giulia, che Rita dalla Chiesa ha avuto dal primo marito, Roberto Cirese. C’è Thomas, il cagnolino che gli affezionati di «Forum» hanno imparato a conoscere in ogni vezzo. E poi, in un angolo, ce n’è una così bella che invita a fermarsi, a guardarla da vicino, a coglierne i dettagli. Qui lei, giovanissima, balla con suo padre, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Lui è altero ma ironico, in divisa. Pare rilassato.
«Non ricordo l’anno di questa immagine, ma ricordo la sua stretta salda. Papà non mi ha mai mostrato la sua pistola d’ordinanza in tutta la sua vita, eppure ancora oggi è l’uomo più forte che abbia mai conosciuto».
La sua autobiografia in uscita per Mondadori è un racconto che passa per lo sguardo di suo padre. Come se lei gli chiedesse di accompagnarla per chiarire certi nodi. È così?
«È inevitabile: la vita accanto a lui e l’episodio della sua morte hanno segnato il mio destino. Le mie scelte, forse i miei errori».
Cominciamo dalle case d’altri?
«Sì, quelle che eravamo costretti ad abitare “a tempo”, spostandoci ogni volta, anche a distanza di qualche mese. Una volta era un casermone di campagna dove io, Nando e Simona (i fratelli, ndr) potevamo andare in bici per gli enormi corridoi; qualche volta erano bilocali striminziti dove dovevamo dormire tutti assieme. Mamma era diventata bravissima ad accorciare e ad allungare le tende».
Certo, perché suo padre ha combattuto due grandi battaglie italiane: contro le Brigate Rosse prima e contro la mafia poi.
«E io sono cresciuta in caserma, con le abitudini dei carabinieri, con i loro valori».
È per questo che lei oggi è di destra?
«Non è corretto. Io sostengo alcuni valori che sono ascrivibili alla destra, come l’amor patrio. E porto avanti alcune battaglie che sono tipicamente di sinistra, come quella contro la caccia. Però della destra non tollero alcune chiusure sui diritti civili. E l’ho detto chiaro e tondo. Prendendomi anche gli insulti di Forza Nuova e di una parte di Fratelli d’Italia».
Quando Giorgia Meloni le chiese di candidarsi a sindaco di Roma?
«Le dissi di no, pur rispettandola come persona e come politico. Ma ho detto spesso no alla politica, che mi corteggia da tempo».
Per esempio?
«Be’, di recente ho detto no ancora una volta a Berlusconi, che mi voleva in campo per le Europee. Ho rifiutato l’invito di un uomo che stimo molto e al quale devo tutto. Pur precisando che alle sue aziende anche io ho dato tanto».
Però un giorno, di punto in bianco, le hanno detto che «Forum» non si faceva più.
«Dopo trent’anni a Mediaset quella cancellazione annunciata fu un colpo durissimo per me. Era il 2013, una giornata nella quale dovevo registrare ventotto telepromozioni, tanto per dare l’idea della popolarità della trasmissione e di tutta la pubblicità che arrivava. Intere generazioni di avvocati erano cresciute a pane e Forum, lo share era alle stelle. “Perché la chiudono?” mi chiedevo. La risposta era semplice: il mezzogiorno serviva a qualcun altro. Allora me ne andai da Mediaset. Senza chiedere spiegazioni ma anche senza che nessuno si facesse avanti per propormi qualcosa d’altro».
Poi la trasmissione ripartì, con Palombelli.
«Sa che non ne ho mai visto nemmeno una puntata? Anzi, se per caso facendo zapping mi imbatto nel nuovo “Forum” cambio canale».
Addirittura?
«E non è per la conduttrice, anzi, chapeau a Barbara che è una grande giornalista. Ma quella è una ferita aperta per me. Sa che cosa mi manca più di tutto? La gente che, al mercato, mi chiede: “Signora Rita com’è andata a finire poi con quella causa?”. La verità è che alla gente piace vedere due persone che si contendono qualcosa, veder litigare. Le nostre controversie però erano tutte rigorosamente vere».
Non è che ha fatto con «Forum» quello che ha fatto con la sua casa, cioè se l’è cucito addosso, sempre per quella atavica paura del trasloco, della perdita del territorio?
«È vero, me lo ero cucito addosso come un abito sartoriale. Quella trasmissione era cresciuta con me, era cambiata insieme a me e alla straordinaria squadra di autori. Faccio sempre così, anche in amore: ho bisogno di legami fortissimi, non tollero i tradimenti».
Eppure, come lei racconta nel libro, la sua famiglia a volte è stata tradita, a cominciare dallo stesso generale dalla Chiesa. Parliamo della casa di Prata, vicino ad Avellino?
«Due giorni dopo l’assassinio di papà per mano della mafia, nel 1982, la casa che era dei miei nonni materni è stata devastata. Hanno rubato oggetti e documenti da quello che mio padre aveva adibito a studio. Ci hanno lasciato solo due civette morte. Quella era la casa nella quale, durante la guerra, papà e mamma si incontravano di nascosto. Mamma era sfollata e lui non resisteva senza la sua Doretta».
A tradirvi di certo non fu Giovanni Falcone.
«Ho la certezza che lui, anche quando si trasferì a Roma, ha continuato fino alla fine la sua ricerca della verità. Qualche giorno dopo l’attentato in cui morì papà, mi ricevette a Palermo, nel suo studio, per verificare alcuni dettagli dei diari del generale. Mi chiese se volevo un caffè. Entrò un appuntato con un vassoio: sopra c’erano dieci tazzine, ma in quella stanza eravamo solo io e il giudice! Guardai Falcone con aria interrogativa e lui scosse la testa: “Non si sa mai”, disse scegliendo una tazzina a caso. Chissà quante volte ne ha preso una sperando che dentro ci fosse il caffè e nient’altro».
La sua posizione e soprattutto quella di suo fratello Nando (che a questa causa ha dedicato una vita) sono chiare da sempre: suo padre a volte è stato osteggiato. Quali politici invece rimasero accanto alla sua famiglia?
«Per esempio Achille Occhetto, persona splendida. Oppure Luigi Colajanni, anche lui del Pci. Ma ricordo benissimo l’affetto disinteressato e la vicinanza concreta di Bettino Craxi. Qualche giorno dopo mi chiamò e mi disse che di nascosto sarebbe andato a portare dei fiori sulla tomba del generale, a Parma. Non voleva giornalisti al seguito, voleva solo sapere se avevo voglia di accompagnarlo».
E lei, Rita? Da chi si è sentita tradita?
«Non di certo dalla gente comune, che ancora oggi mi ferma per strada e mi dice: “Signora, non la abbraccio perché lei fa la televisione, ma la fermo perché lei è la figlia del generale”. Non di certo mi sono sentita tradita dagli amici di sempre. Mi sentii tradita in qualche modo da chi stava al Comando generale in quel momento, che non provvide a farmi avvisare di quello che era successo a Palermo, e nemmeno a trovarmi un aereo quella notte per farmi arrivare in Sicilia il prima possibile, insieme ai tanti giornalisti che partivano».
Una vita da persona fedele. Ha avuto più di un amore, certo, però da tutti ha preteso lealtà. Colpisce il legame con Bruno Lauzi.
«Mi dedicò la canzone Ti ruberò che avevo appena diciotto anni. Il brano poi venne inserito nella colonna sonora del film “La grande bellezza”. Peccato che lui non c’era già più. Con lui non c’è mai stato nemmeno un bacio, ma forse qualcosa di più complesso. Di testa».
Di che cosa si pente, oggi?
«Forse di alcuni gesti impulsivi. Per esempio quando lasciai Mediaset accettai la proposta di La7 per pensare a una nuova trasmissione. Le prime idee non ci convincevano e allora Urbano Cairo mi propose di fermarmi qualche mese per riflettere. Ma io non ero abituata a stare in panchina, non ce la facevo! E così me ne andai. Oggi, se potessi, lo ringrazierei e mi fermerei per pensare a qualcosa di adatto». Che cosa ha imparato dagli anni?«A essere paziente, stare da sola, non prendere troppe pillole per dormire. Ad aver bisogno dei miei amici di sempre: Mara Venier più di tutti. Ma nella mia vita hanno avuto un peso anche altri, come Massimo Ranieri. Senza contare Paola, amica del cuore, quasi una sorella».
Si è accorta che siamo arrivati al termine senza parlare di Fabrizio Frizzi?
«La nostra storia è stata di dominio pubblico, non c’è nulla da aggiungere, se non che mi dispiace che ogni volta che ne parlo, io assomigli a una che continua a pretendere un posto che oggi è di un’altra. Io e Carlotta (Mantovan, ultima moglie di Frizzi ndr) ci sentiamo spesso, con lei c’è un rapporto bello. Vorrei ricordare Fabrizio con la stessa limpidezza che ha rischiarato il nostro legame».
· Ilary Blasi. Lady Totti.
Anticipazione da Oggi - oggi.it il 16 ottobre 2019. «Da un po’ il cinema mi incuriosisce, prima non ci pensavo proprio. Ma non mi chiama nessuno!». Così dice Ilary Blasi in un’intervista a OGGI, in edicola da domani. «Mi vergogno quasi a esprimere altri sogni, ma non nascondo che superato un obiettivo me ne prefiggo subito un altro. Se no che noia sarebbe la vita! Mi piace spingermi sempre oltre e avere nuove mete perché ho fame, non mi sento arrivata. Mi sento a metà percorso. Ma non è necessariamente solo di tv che parlo». La conduttrice parla del programma che guida su Canale 5, «Eurogames». «Adoro il rischio, l’imprevisto, non voglio essere scontata. Mi piace osare anche con l’abbigliamento e se piovono le critiche vado dritta. Ho rimesso in piedi un gioco amarcord che può piacere o no, ma mi assumo il rischio perché l’ho fortemente voluto. Va bene, va male? In ogni caso ce ne faremo una ragione. Non è che muore qualcuno, sono altre le tragedie!... Dati e risultati li lascio agli altri, non ci ho mai badato. Il dato di ascolto certamente è importante, non lo nego. Ma la personalità è più importante ancora». E confida di non soffrire mai di ansia: « Non mi appartiene nemmeno come mamma». Con OGGI Ilary Blasi parla anche di Totti: « La vita privata è stata impegnativa: eravamo giovani e ogni Velina e ogni Letterina si metteva col calciatore. Era un binomio scontato, erano storie che poi magari duravano poco. Anche la nostra sembrava destinata a finire. Per questo motivo venivano additate spesso terze persone fra noi. Se non fossimo stati saldi, saremmo impazziti… evidentemente era più forte il nostro mondo “interno”, visto che siamo ancora qui… È subentrata la protezione verso ciò in cui credevamo, spontaneamente, inconsciamente. Abbiamo sempre avuto una vita normale con i nostri amici, la nostra famiglia. Francesco, pur essendo “il Capitano”, provava a vivere la sua normalità. Ed è stata la protezione reciproca che ci ha salvati».
Barbara Costa per Dagospia il 14 ottobre 2019. “Ilary Blasi fai abbastanza schifo, le tue tette sono di gomma, le tue labbra sono due canotti! Secondo me il silicone ti è arrivato al cervello!”; “Ilary, io te vuless chiava’”; “Ilary sei bellissima, ma rifatevi voi e vediamo se il risultato è lo stesso”; “Ilary, sembri un trans burino! Di quelli che stanno a Tor di Quinto. Terribile!”; “State zitti, dietro questa grande donna c’è un grande uomo, Francesco Totti, quindi Ilary non si tocca!!!”. L’Italia è spaccata in due: Nord e Sud? No. Salvini vs. Renzi? Nemmeno. Greta ha ragione o porta sfiga? Non hai capito, non sono questi i veri problemi, la questione principale che anima 1 milione di follower, più un numero notevole di infoiati sparsi dentro e fuori dal web, è questa: Ilary Blasi, è rifatta sì o no? Da tale cruciale dilemma discendono sotto-temi non meno assillanti: Ilary era più bona prima? Come è oggi, ci attizza lo stesso? Di più? Di meno? Non dico da non dormirci la notte, ma da sbirciare e commentare sul suo profilo Instagram sì, eccome, Ilary vi posta pochi e selezionati scatti, ma ecco che, appena lo fa, l’Italia insorge. Ilary è esteticamente ed eroticamente divisiva, e infatti, lo avete visto, alla prima puntata di "Eurogames", quel lato B macché scoperto e stuzzicante parecchio, quei pantaloni scesi a pericolosamente scoprirle le natiche, e la foto così vestita subito da Ilary postata ha acceso i fan, e l’ala ultras più perplessa capitanata da Totti in persona, che ha video-preso in giro la moglie per l’outfit scelto. Ilary, in fatto di look non è la prima volta che osi troppo, e non secondo me, a me piaci sempre e specie quando indossi quei vestiti strambi, esagerati, trasparenti che ci vedi e bene l’intimo, gli stessi per cui secondo alcuni “ma 'ndo vai, così conciata, me pari 'na cubista”, insomma, quel body nero sgambato, chiapposo, stimolante fantasie le più bagnate, (“Ilary, te farei er cucchiaio”) non è piaciuto: “Ilary, sei una gran gnocca ma dammi retta: è 'na cafonata pazzesca”. Ilary, vogliamo parlare dei tuoi capelli? Le extension bionde, “stile Panicucci, nooo”, “stai raggiungendo Donatella Versace, Ilary, te prego, fermate!”. Un giorno Ilary ha avuto l’idea di postare una sua foto accanto a una di Chiara Ferragni in cui sfoggiano la stessa acconciatura: inutile chiedere chi delle due è la migliore, non c’è gara, “vince Ilary”, “see… esse' bella come te, je piacerebbe, alla Ferragni”. Tranne un follower maltrattato per l’insolenza di postare: “Ilary, ma che fai, copi gli outfit vecchi della Ferragni?”, per Chiara sono sberleffi, e il più gettonato è: “Ilary, a te la Ferragni te spiccia casa!”. Ilary, te se ama e te se invidia, tu posti stories del tuo quotidiano e subito raccogli migliaia di visualizzazioni, e attacchi e critiche e insofferenze per i tuoi soldi. I follower, specie se romani, sono tremendi: tutto sanno, dove vai a mangiare la pizza, dove vai a fare la spesa, e dove non arrivano intuiscono, e a volte quel che inventano e scrivono e postano acquista errata credibilità: così è stato per la polemica senza capo né coda della foto postata da Ilary sullo sfondo di un panorama romano mozzafiato, e giù a dirle che non si fa, che è una pazza, a star seduta a strapiombo, sulla terrazza di un grattacielo, quello della sua casa all’Eurosky Tower, quando Ilary in quello scatto stava “al Giardino degli Aranci, 'gnoranti!”. Vabbè, non tutti conoscono Roma, ma ci sono follower che tutto credono di sapere, e per questo rinfacciare, come i soldi spesi dai Totti per il loro attico supertecnologico di 36 stanze, tra cui sala cinema e piscina: 14 milioni di euro, come se davvero fosse la cifra esatta, come se fossero affari loro quanto l’hanno pagato, e però lo shopping di Ilary è preso di mira, vedi il video in cui lei si avvicina a un vu cumprà, non si vede se compri qualcosa, ma sono incalcolabili gli attacchi che le sono "postati" addosso: “è illegale”, “vergognati, alimenti il mercato nero”, “ma con tutti i soldi che hai”, e via social-moraleggiando. Ilary, e con la cellulite, come si fa? Questione complessa, intrigo su cui campano i giornali di gossip un’estate sì e l’altra pure, ogni volta che paparazzano Ilary in spiaggia, in bikini, cellulite che io non ho mai visto, ma qui è la stessa Ilary a buttare acqua sul fuoco: “I paparazzi mi fanno le foto così da vicino che si vede anche la cellulite che avrò fra 3 anni! Ma non scendo in spiaggia coperta, sto bene così”. Sta bene lei, di meno i suoi hater che mai si saziano, mai ne hanno abbastanza, perché “Ilary, ti sei rifatta naso, pancia e seno, alzato gli zigomi, gonfiato le labbra, e rifatto il c*lo”, proprio tu, Ilary che “l’unico c*lo che hai avuto è stato quello di incontrare Totti e farci 3 figli!”. “Per me, Totti non ti soddisfa”, le scrive convinto un follower, sarà, ma sono 14 anni che il re e la regina di Roma, ma pure “la bidella e er fruttarolo”, cioè Ilary e Francesco Totti per chi non ama particolarmente i loro outfit di coppia esibiti su Ig, sono sposati. Ilary dice che si sono conosciuti un gennaio e a marzo già convivevano. All’inizio lui l’avrebbe corteggiata con degli sms (il massimo della vita social, ai tempi!) e dopo 4 giorni dal primo bacio in macchina, hanno fatto sesso una mattina, a casa di lui e, come prima volta, è stata una tripletta…
“FARFALLINA? HO LA FARFALLONA”. Da Il Messaggero il 15 settembre 2019. Ilary Blasi a Verissimo infila una gaffe hot dietro l'altra. Ospite di Silvia Toffanin, già dall'ingresso in studio non riesce a contenere la sua carica esplosiva. Il primo ingresso, infatti, è fuori scaletta: la Blasi ruba la scena alla padrona di casa per presentare l'ospite Alberto Urso, vincitore dell'ultima edizione di Amici. Vestita di un abito tailleur con un profondo spacco, la moglie di Francesco Totti si accomoda sullo sgabello che le è stato assegnato e tira su la gonna per non restare del tutto scoperta. La Toffanin controlla che sia tutto a posto, poi commenta: «Tanto tu non hai la farfallina», facendo riferimento all'ormai famoso tatuaggio di Belen Rodriguez. Ilary Blasi risponde prontamente: «No, io ho la farfallona». Gelo in studio, ma la Toffanin insiste a rimarcare il doppio senso: «L'avete capita la battuta?». L'intervista prosegue parlando della scelta di Francesco Totti di lasciare la Roma anche come dirigente. Ilary commenta: «Gliel'appoggio», intendendo che condivide in pieno le scelte del marito. Ma la Toffanin vede del marcio anche qui...A proposito del marito Francesco Totti, la Blasi ha detto alla Toffanin: «So che il suo addio alla Roma ha fatto molto scalpore, io lo sosterrò sempre. Lui non vorrebbe fare l'allenatore, non lo vedo in quel ruolo e vorrebbe stare sempre con la famiglia». E aggiunge: «Da due anni a questa parte, ci baciamo: veniamo immortalati sempre così mentre siamo in vacanza, invece prima i servizi delle riviste erano sempre su presunti litigi e musi lunghi». Si parla poi della vita pubblica, ma anche della famiglia. «Solo questa estate sono diventata davvero social, ora se ho qualcosa di divertente da raccontare, lo faccio volentieri, così come Francesco. Il matrimonio di mia sorella Silvia, questa estate, è stato speciale: lei è la più grande di noi tre sorelle, aveva già dei figli ma era una "peccatrice", perché non era sposata. Anche se per me, lo era già. Mancava solo lei, è stato emozionante».
Da Dilei.it il 15 settembre 2019. Ilary Blasi fa una gaffe su Belen, archivia un’estate da protagonista, si prepara ad una nuova avventura in tv e rivela un aneddoto inedito sul rapporto tra lei e il suo partner televisivo di sempre, Alvin. Ospite di Silvia Toffanin nel salotto di Verissimo, la bionda conduttrice romana, scatenata, ha parlato a ruota libera del bel momento che sta vivendo, sia dal punto di vista professionale che da quello personale. Archiviata un’estate che l’ha vista protagonista anche grazie all’inedita, massiccia, presenza sui social, la Blasi ora è carica per affrontare la nuova sfida: Eurogames il nuovo programma che esordirà su Canale 5 giovedì 19 settembre. L’esordio dell’intervista è vulcanico: Ilary si presenta in trasmissione indossando un lungo vestito con spacco profondissimo, e la padrona di casa la provoca: “Anche tu hai una farfallina” con riferimento al famoso tatuaggio di Belen, “no, io ho la farfallona!” risponde lady Totti, spiazzando la conduttrice, che si affretta a cambiare discorso e ad allontanarsi da territori un po’ troppo hot per la fascia pomeridiana e chiedendo all’amica- collega di come sia andata la sua vivacissima estate. “È stata un’estate bellissima -conferma Ilary – mi sono veramente divertita tanto tra mare, feste, aperitivi e tramonti”. Un’estate che l’ha vista sbarcare finalmente sui social, per la gioia dei suoi tanti fan: “Ebbene sì: anch’io, a grande richiesta, alla fine, sono diventata social e ho avuto il mio bel da fare a postare foto, post e stories”. Tra i più apprezzati post, ovviamente, quelli attraverso cui Ilary racconta la quotidianità condivisa con il marito, Francesco Totti. L’ex calciatore, dopo aver detto addio al calcio giocato, quest’anno ha anche dato le dimissioni da dirigente dell’A S Roma e, libero da impegni, è quindi sempre più presente in casa e nella vita della sua famiglia. “Quest’estate abbiamo condiviso tanto tempo e tante cose”, racconta la showgirl, “Francesco è sempre più presente, ma noi siamo ormai una coppia molto ben rodata. Stiamo insieme da più di venti anni e ognuno ha i suoi spazi, ci amalgamiamo più che bene”.
Roberto Mallò per Davide Maggio.it il 5 luglio 2019. Nella prossima stagione tv, il Grande Fratello Vip dovrà fare a meno della sua storica conduttrice. Ilary Blasi ha deciso infatti di lasciare il comando ad Alfonso Signorini per dedicarsi ad altri progetti, tra cui spicca, come vi abbiamo anticipato tempo fa, il nuovo Giochi Senza Frontiere. Lady Totti parla per la prima volta dell’addio al reality, sottolineando di volersi concentrare su un tipo di televisione più leggera, in grado di far divertire i telespettatori, e meno mirata sulle vite personali dei suoi protagonisti: “Era un programma che desideravo molto fare e mi sono tolta questa soddisfazione. Ogni anno è venuta fuori una parte di me ma, come in tutte le cose, c’è un inizio e una fine. Ho capito come funzionava e volevo lasciare il GF Vip quando ancora per me era una figata farlo, non volevo correre il rischio di annoiarmi“ ha dichiarato a Chi. Alla base del mancato ritorno, la difficoltà nel doversi calare nelle dinamiche e vite personali dei concorrenti: “Quando conduci un reality sai che c’è un po’ di tutto. Ecco, a me piace la parte divertente, mentre mi riesce più difficile quella in cui si parla di cose personali, perché lì non è più un gioco, ma devi andare a scavare a fondo, a volte anche troppo. E’ vero che nei reality bisogna mettersi in discussione, ma ci sono dei paletti e, quando si sorpassano certi limiti, dove magari un’altra ci sguazzerebbe, io faccio fatica perché a me piace di più ridere“. Dopo l’addio a Le Iene, avvenuto lo scorso anno proprio per questa sua voglia di cambiare le carte in tavola, arriva dunque quello al GF Vip. Nel futuro televisivo della Blasi ci sarà, come detto, la nuova edizione di Giochi Senza Frontiere: “Era un altro sogno che avevo: quando ero piccola, d’estate, tutta la mia famiglia si trovava a vedere Giochi Senza Frontiere e sono felice di portare in tv la versione 2.0“. Infine, parla anche di Temptation Island Vip, la cui conduzione non è ancora definita. Una cosa è certa ed è che non sarà lei a farlo: “Premesso che non lo farò io, è un programma che mi piace molto seguire, e credo che anche il conduttore abbia più un ruolo da osservatore, non può cambiare il corso degli eventi proprio perché non ha questo compito. Ma poi non so se sarei adatta, di fronte a certi soggetti sbroccherei sicuramente“.
Blasi intimissima: "Totti fissato col sesso? È invecchiato". Ilary Blasi intervistata da Chi parla della sua vita sotto le lenzuola con Francesco Totti con risposte che hanno del sorprendente. Alessandro Pagliuca, Venerdì 05/07/2019, su Il Giornale. Ilary Blasi senza filtri. Intervistata dal settimanale "Chi", la conduttrice si è lasciata andare a confidenze personali e professionali, dall'amore con il marito Francesco Totti, ai progetti professionali, che la vedranno presto al timone di 'EuroGames', nuovo show televisivo ispirato a "Giochi senza frontiere". Ilary e Francesco sono inseparabili. E così la presentatrice racconta il suo punto di vista a proposito dell'addio del dirigente alla Roma, arrivato recentemente: "Io sono sempre con lui, qualunque cosa faccia. Ma questa volta è diverso rispetto a quando ha smesso di giocare, adesso penso che il cambiamento faccia bene, lo vedo come un elemento positivo". Poi un'incursione tra le pareti di casa e qui Ilary parla davvero senza filtri. "Noi vita noiosa? Ci sottovalutate - dice -. Noi facciamo tutto, dal sacro al profano, altrimenti sai che noia. Certo, non possiamo andare in discoteca a Roma, ma facciamo feste in casa con gli amici, balliamo, ci divertiamo. Avevo detto che Francesco era fissato con il sesso e per fortuna c’erano i ritiri? Adesso sono passati dieci anni, è invecchiato".
· Sylvie Lubamba riparte dalla moda.
Dagospia il 9 ottobre 2019. Comunicato stampa. La showgirl Sylvie Lubamba nata in Italia da genitori congolesi non se la passa di certo bene, dopo essere stata arrestata nell’agosto 2014 e rilasciata nel dicembre 2017 per uso indebito di carte di credito dopo aver riavuto la libertà non vive affatto come si può pensare.“Le persone pensano che noi così detti vip ce la passiamo bene e viviamo da nababbi, invece non è affatto così, io non lavoro da anni con continuità, l’ultimo contratto l’ho firmato più di 10 anni fa, nel 2008 per il programma Markette condotto Piero Chiambretti il mio mentore, in cui facevo parte del cast. Ho fatto richiesta del reddito di cittadinanza ed attendo risposta, sono in graduatoria per la casa popolare e sto anche cercando un lavoro normale; sento spesso che la gente fa fatica ad arrivare a fine mese, io invece faccio fatica ad arrivare alla terza settimana, ma non mi lamento, voglio dirlo solo per far capire alla gente comune che anch’io ho le stesse difficoltà loro, che anch’io sono una del popolo come loro, nonostante la mia popolarità! ringraziando il cielo mia madre mi aiuta e mi nutro quotidianamente dell’affetto di amici, famiglia e nipoti che mi amamo!”
Sylvie Lubamba riparte dalla moda: «La tv con Chiambretti e il carcere». Pubblicato domenica, 15 settembre 2019 su Corriere.it da Andrea Galli. L’incontro con la show girl. Il carcere, il Papa, il sogno di diventare mamma, il «suo» pubblico che la ferma per strada. Il prossimo Natale, saranno due anni esatti dalla fine dei quasi tre e mezzo trascorsi in carcere (nei penitenziari di Rebibbia a Roma, San Vittore e Bollate). Giovedì, Sylvie Lubamba sfilerà alla «Milano fashion week». Un «nuovo» debutto in passerella da quando ha chiuso con la prigione ed è andata a stare nella lontana periferia dalla mamma, grazie alla cui pensione vive («Ma non piango miseria, non mi faccia passare per una disperata»), e aspettando una chiamata dal suo mondo, quello della televisione, che la vide imporsi con la trasmissione «Markette» di Piero Chiambretti. Allora, Sylvie aveva spedito una lettera alla redazione («Senza farmi illusioni») in cui «chiedevo di partecipare all’ultimo blocco del programma dedicato ai nuovi volti». Tempo due settimane e la chiamarono. Oggi, questa donna di 47 anni è tornata a vivere così: «Passo le ore al computer, scrivo email, propongo idee».
La televisione. Finora ancora nulla: esiste un eterno veto a prescindere?
«Ho pagato le mie colpe».
Ricordiamo per cosa.
«Alberghi a cinque stelle e acquisti pagati con carte di credito non mie».
Chi sta in carcere sogna la prima faccia che vedrà una volta fuori, il primo gesto.
«Alle sette del mattino del 25 dicembre 2017, la polizia penitenziaria di Bollate mi chiamò per comunicare il fine pena. “Lubamba esci”. Ti chiamano per cognome, tipo a scuola. Spedii subito un pacco di alimenti alla mia compagna di cella. Zenzero, miele, zucchero di canna. In carcere non c’erano».
Questa è la fine. L’inizio invece?
«In cella stai per giorni, settimane, in una situazione sospesa, di incredulità. Ti dici: “Ma no, è un incubo, dai, adesso mi sveglio”. Poi ne prendi atto e, come dire, diventi di pietra».
In che senso?
«Ci sono altre detenute che compiono gesti di autolesionismo, che picchiano la testa contro i muri, che urlano, e giuro, sono urla strazianti... All’inizio corri, consoli... poi, appunto, ci fai l’abitudine, anche se non mancheranno mai abbracci intensi, carezze che commuovono... Ma è così ogni giorno, sarà così domani. È il carcere. Devi già resistere per salvare la tua dignità. La tua dignità di donna».
Si riesce?
«Amo indossare determinati vestiti, truccarmi, portare i tacchi, specie il mio preferito, tacco quindici; amo prendermi cura a lungo della mia femminilità, sperimentare, scegliere... Ma in cella sei in cinque in uno spazio minuscolo condividendo un gabinetto lì a due metri, e la tua intimità è quella che è, pensiamo soltanto alla gestione dei giorni del ciclo...».
Rebibbia è il carcere dell’incontro con il Papa.
«Dodici detenuti ai quali ha lavato i piedi, a Pasqua».
Hanno detto: era in prima fila per cercare una vetrina.
«Annunciarono la visita e dissero: “Scegliete sei uomini e sei donne”. Eravamo duecento detenute, ne parlammo... Dissi che per me era importante, molto importante.»
Perché?
«Avevo dei problemi fisici, rischiavo di perdere l’utero... Volevo e voglio provare a diventare madre. Le detenute dissero: “Tu vai”. Col Papa, ho ritrovato la dignità, ho ritrovato me stessa. Successivamente mi ricoverarono d’urgenza, due settimane in ospedale, ma andò bene».
Con chi è stata in cella?
«Assassine, ladre, rapinatrici, truffatrici».
Cosa si condivide oltre allo spazio fisico?
«Dei reati non si parla. Tu non dici, gli altri non chiedono. Poi, se partono rapporti di amicizia, ti confidi. Sempre partendo da quando si era bambini, da mamma e papà, dai primi amori. Ci sono azioni criminali che “nascono” nell’infanzia e non lo sai...».
Chi le è stato vicino?
«Extra famiglia, a Rebibbia una volta al mese vedevo al colloquio un amico, per un’ora. Stop».
Lei come si definisce?
«Leale, schietta e allegra, ma con un pizzico di malinconia. Dopo il carcere, sono riflessiva, attenta».
Ha più ritrovato il suo pubblico?
«Lo ritrovo ogni giorno».
Dove?
«Al bar, al supermercato... Mi fermano, chiedono quando tornerò in televisione...».
Cosa resta del carcere?
«Dopo la perdita di un figlio e una malattia grave, è la prova più terribile per una persona. Sono una testimone. Se mi venisse offerta la possibilità di uno spazio, anche di piccole conduzioni, o una presenza in un reality, avrei parecchio da offrire, da condividere. Da professionista quale sono, e senza rinunciare alla comicità, agli istanti di leggerezza, alla mia anima, nel rispetto della vastità della commedia umana».
In prigione cosa faceva?
«Partecipavo a qualunque corso. Da Bollate, sono uscita anche col mio piccolo stipendio. Lavoravo in cucina. Inserviente. Pulivo i pentoloni. Dalle 7 alle 13 e dalle 16 alle 19».
Ecco, Bollate, l’ultimo penitenziario. Cosa ha messo nel borsone?
«Vestiti, Bibbia e una raccolta di lettere di detenute».
· Le Donatella tornano alla musica.
Le Donatella tornano alla musica: «In futuro ci piacerebbe Sanremo. Oppure la giuria di un talent». Pubblicato giovedì, 09 maggio 2019 da Chiara Maffioletti su Corriere.it. A rivedere il video con cui si sono presentate come concorrenti a «X Factor», sembra passata un’era geologica. Un’era fatta di reality, programmi tv, foto sui giornali e dj set. Ora Le Donatella — Giulia e Silvia Provvedi, classe 1993, sorelle gemelle — tornano alla musica con un nuovo singolo, «Scusami ma esco».
Sono passati cinque anni dal primo e unico disco pubblicato. Come mai questo ritorno alla musica?
«E’ il momento giusto. E’ un singolo con le vibrazioni dell’estate. Racconta la storia di due amiche — perché noi, oltre ad essere gemelle, siamo anche due amiche — che per andare a fare il classico casino in vacanza lasciano a casa gli uomini, ribaltando un po’ la medaglia. Di solito accade il contrario».
Pensate ci siano ancora molte differenze di genere? Anche tra i giovani?
«Per noi non ci sono. Dobbiamo dire che abbiamo un fortissimo pubblico femminile, ci seguono molte più donne che uomini e per loro siamo presentissime: ci confrontiamo su un sacco di cose. Ci chiediamo sempre come mai sono soprattutto loro a seguirci: forse ci vedono come amiche, non come personaggi pubblici. E personaggi non ci sentiamo nemmeno noi, non ci sentiamo di essere diverse da nessuno e questo forse viene percepito».
Che effetto vi fa ripensare agli inizi di tutto, come concorrenti?
«Eh, ne abbiamo fatte un po’... è stato un periodo pazzesco per noi, fatto anche di scelte azzardate ma abbiamo voluto lanciarci in ogni avventura. Essendo gemelle, non abbiamo mai perso per strada una chiave critica: non abbiamo l’una con l’altra peli sulla lingua».
C’è mai stato un momento in questi anni in cui vi siete sentite più distanti?
«No anzi, nei momenti di difficoltà siamo state ancora più unite. Il nostro è un rapporto speciale, che rende speciali anche i nostri progetti. Siamo legatissime ma anche molto diverse, molto indipendenti. E non ci ostacoliamo mai. Crescendo ci siamo rese conto che c’è sempre una soluzione, a tutto. Ci si può sempre risollevare».
Come mai vi siete dedicate così tanto alla televisione negli ultimi anni?
«Abbiamo sempre fatto scelte in funzione del periodo storico. L’Isola dei famosi per noi è stata un trionfo, anche di emozioni e di energie, ma poi ogni nostro progetto è arrivato la momento giusto: ora era giusto quello per il nostro singolo, che, siamo certe, sarà il primo di una serie».
Cosa avete imparato in questi anni?
«Sicuramente che non bisogna mollare mai. Una frase forse un po’ scontata, ma noi studiamo ogni giorno per migliorarci e la nostra fortuna è stata crederci sempre, pur non dando per scontata la posizione in cui ci troviamo».
Un personaggio dello spettacolo che vi ha lasciato qualcosa più degli altri?
«Arisa, da quando eravamo concorrenti a X Factor. E’ un’artista che stimiamo tantissimo: è stata lei a dare il via al nostro percorso. Con lei ci sentiamo regolarmente, non ci aspettavamo che potesse essere così presente nella nostra vita anche molti anni dopo».
In futuro come vi immaginate?
«Non ci poniamo limiti, amando lo show in generale. Siamo due avventuriere, stiamo lavorando già a un progetto tutto nostro, siamo artiste che non si precludono nulla. Abbiamo sempre seguito quello che volevamo fare».
Pensate che lo spettacolo si un mondo meritocratico?
«Assolutamente sì. Lavorando si ottiene tutto».
Se proponessero una cosa a una e non all’altra?
«Non ci è mai successo ma penso saremmo lucide e saremmo felici l’una per l’altra. Ma al momento vogliamo rimanere unite e mai divise».
La storia con Fabrizio Corona lo ha fatto, in un certo modo: Silvia, di colpo, è finita su tutti i giornali...
«Per me è una storia assolutamente archiviata».
Sanremo, se poteste scegliere di partecipare come cantanti in gara o come presentatrici?
«E’ una scelta ardua. Magari lo condurremmo per poi fare sul palco dei piccoli sketch musicali».
L’idea di diventare coach in qualche talent?
«Perchè no? Ma siamo troppo buone: non bersaglieremmo mai altri concorrenti essendo state dall’altra parte. Ci rivediamo nelle ragazze che si presentano ai provini e teniamo conto di tutto».
· Ligabue tra Palco e realtà.
Ligabue rivela: "Il mio tour non sta andando come pensavo". Tornato a cantare dopo l’operazione alle corde vocali, il rocker di Correggio confessa sui social l’amarezza per la scarsa affluenza di pubblico. Alessandro Zoppo, Martedì 18/06/2019, su Il Giornale. Luciano Ligabue non nasconde una certa amarezza per come sta andando il tour negli stadi italiani che l’ha visto tornare sul palco dopo tanti mesi. In un post affidato ai suoi account social, il rocker di Correggio ha ammesso che il numero di biglietti venduti è stato inferiore rispetto alle aspettative. “Il tour è cominciato – scrive Liga su Facebook – e se da un lato è vero che in alcuni stadi, a questo giro, l’affluenza di pubblico è inferiore alle previsioni dell’agenzia, dall’altro è anche vero che l’altra sera a Bari è stato meraviglioso ritrovarvi con tutta quella energia e passione e bellezza che solo voi sapete sprigionare. Ne avevo bisogno visto che da un anno e mezzo non vi avevo davanti”.
Ligabue: “Fantastico sentire la mia voce a pieno regime”. In occasione del concerto a Bari, il palco è stato spostato verso la curva per via dei pochi biglietti venduti. D’altronde il cantautore ha vissuto un anno a dir poco travagliato: l’operazione che ha subito alle corde vocali ha messo a serio rischio la sua carriera. La paura di dover appendere al chiodo la chitarra e il microfono è stata forte. “È fantastico – ha aggiunto il cantante – sentire la mia voce a pieno regime anche se (fortunatamente) sommersa dalle vostre. La produzione (e quindi lo spettacolo) che stiamo portando in giro è una delle nostre migliori di sempre (e non verrà ridotta in nessuna situazione), la band è in formissima e il cantante c’ha più voglia che mai”. Insieme a Liga ci sono i collaboratori e amici di sempre: Max Cottafavi e Federico Poggipollini alle chitarre, Luciano Luisi alle testiere, Davide Pezzin al basso e la new entry Ivano Zanotti alla batteria. Lo Start Tour 2019 proseguirà quindi senza intoppi per le sue altre sette date previste: il 21 giugno allo Stadio Adriatico di Pescara, il 25 all’Artemio Franchi di Firenze, il 28 a San Siro, il 2 luglio allo Stadio Olimpico di Torino, il 6 al Dall’Ara di Bologna, il 9 all’Euganeo di Padova e gran finale il 12 allo Stadio Olimpico di Roma.
Ligabue: perché la verità vale più dei sold out. Negli stadi del suo tour c'è meno gente del previsto e il rocker lo ammette. Applausi per Liga...Gianni Poglio il 20 giugno 2019 su Panorama. La realtà. Ecco, se c'è un merito da attribuire a Ligabue in questi giorni, è quello di aver interrotto il patetico mantra del sold out sempre e comunque, la retorica del successo a tutti i costi anche contro i numeri e le evidenze. In un contesto dove tutti gli spettacoli, compresi quelli di artisti improbabili e che definire meteore sarebbe un complimento, sono sempre sold out e tutti i dischi sono come minimo d'oro o di platino, ammettere che ai propri concerti negli stadi viene meno gente di quella che ti aspettavi è un gesto quasi rivoluzionario. Un gesto sano, di verità, che buca la grande bolla in cui vive la musica italiana (e non solo) da anni. Il mito del sold out di tutti, dei record a getto continuo sulle piattaforme streaming ("il brano più ascoltato nella prima settimana d'uscita, nel primo mese o nelle prime 24 ore") dei clic su Youtube del videoclip... Parole parole, parole... I fatti sono che la musica italiana, specie quella di nuova generazione, è al punto più basso di sempre e che, tra una manciata d'anni, dei campioni dei clic di questo tempo non si ricorderà quasi nessuno. Detto questo, l'ammissione del Liga di non riuscire a riempire gli stadi come si sarebbe aspettato è bel gesto, un gesto che rimette al centro la verità. Le carriere di solo alti non esistono o sono una straordinaria eccezione. Così, in quest'era di sparate ad effetto, ben venga un artista che ammette una défaillance. Un artista che i milioni di album li ha venduti davvero e che quando si presenta in concerto ha una quindicina di classici che da tempo sono stampati nella memoria di tutti gli italiani... Qui di seguito le parole di Ligabue presenti nel post della sua pagina Facebook: "Allora: il tour è cominciato e se da un lato è vero che in alcuni stadi, a questo giro, l’affluenza di pubblico è inferiore alle previsioni dell’agenzia, dall’altro è anche vero che l’altra sera a Bari è stato meraviglioso ritrovarvi con tutta quella energia e passione e bellezza che solo voi sapete sprigionare. Ne avevo bisogno visto che da un anno e mezzo non vi avevo davanti. E ora, dopo la paura di non poter più cantare del 2017, è fantastico sentire la mia voce a pieno regime anche se (fortunatamente) sommersa dalle vostre. La produzione (e quindi lo spettacolo) che stiamo portando in giro è una delle nostre migliori di sempre (e non verrà ridotta in nessuna situazione), la band è in formissima e il cantante c’ha più voglia che mai".
Il nuovo tour di Ligabue non decolla e lui ammette: «Affluenza di pubblico inferiore alle aspettative». Pubblicato martedì, 18 giugno 2019 su Corriere.it. Il tour di Ligabue è iniziato in sordina, sicuramente sotto le aspettative. Ad ammetterlo è il cantautore di Correggio in persona, in un post su Facebook pubblicato all’indomani del concerto di Bari, in occasione del quale il palco è stato spostato verso la curva dello stadio San Nicola perché i biglietti venduti erano meno del previsto. «Se da un lato è vero che in alcuni stadi, a questo giro, l’affluenza di pubblico è inferiore alle previsioni dell’agenzia», ha scritto Ligabue, «dall’altro è anche vero che l’altra sera a Bari è stato meraviglioso ritrovarvi con tutta quella energia e passione e bellezza che solo voi sapete sprigionare». Non c’è amarezza, però, nelle parole di Ligabue, che al contrario si dice entusiasta di aver ritrovato il contatto con il suo pubblico. A maggior ragione dopo quanto gli era avvenuto nel 2017, quando il cantautore era stato costretto a rimandare diversi concerti per colpa di un polipo intracordale. In seguito si era sottoposto a un’operazione alle corde vocali. «Dopo la paura di non poter più cantare del 2017, è fantastico sentire la mia voce a pieno regime anche se (fortunatamente) sommersa dalle vostre», scrive oggi su Facebook. «La produzione che stiamo portando in giro è una delle nostre migliori di sempre (e non verrà ridotta in nessuna situazione), la band è in formissima e il cantante c’ha più voglia che mai». Lo Start Tour 2019, nel frattempo, continua. Neanche il concerto del 17 giugno a Messina è andato “sold out” (15mila i biglietti staccati) e, stando a Ticketone, lo stesso vale — almeno per ora — per le prossime date del cantautore emiliano. Il tour si concluderà il 12 luglio allo Stadio Olimpico di Roma.
Ligabue tra Palco e realtà. Da Vanityfair.it il 21 maggio 2019. «Certo che ho avuto paura di non poter tornare a cantare: se la porta dietro chiunque debba subire quel tipo di operazione. Da un lato c’è un esercito di persone a rassicurarti, “lo fanno tutti”, “non ti preoccupare”, “la voce dopo è meglio di prima”. Dall’altro ci sei tu che devi provarlo sulla tua pelle. Devi fidarti, ma la voce è il tuo strumento e quindi ti ripeti: “adesso lo vediamo come va, lo vediamo veramente”». Alla vigilia di un tour negli stadi d’Italia – prima data Bari, 14 giugno – e a 10 mesi da un compleanno importante («A quanto mi dicono, dovrei compierne 60. So che è una menzogna e per sanarla ho deciso di andare all’anagrafe con una rivoltella. Farò un bel discorso: “I casi sono due, o mi ridate subito indietro gli ultimi 40 o qui finisce male”») Luciano Ligabue si racconta in un’intervista a Vanity Fair, che gli dedica la copertina del numero in edicola da mercoledì 22 maggio. E per la prima volta entra nei dettagli del periodo difficile vissuto due anni fa, quando dovette operarsi alle corde vocali.
«Partiamo per il tour», ricorda, «e mi viene un’influenza talmente forte da dovere cancellare la prima a Jesolo. Mi curo, ma non passa. Arriva marzo e festeggio il mio compleanno al Forum di Milano dove faccio un concerto bellissimo. “Cazzo”, mi dico, “ne sono uscito”. La mattina dopo sono completamente afono. Ho un’altra serata milanese e dopo aver lavorato con il vocal trainer, faccio una puntura di cortisone e vado in scena. Il Forum è pieno, sono tutti lì per noi e dopo 3 pezzi crollo. Pensavo una nota e me ne usciva un’altra. Immagini la frustrazione. Credo sia stata la peggiore esibizione della mia vita, ma di mollare non me la sentivo. Ho chiesto scusa al pubblico, ho finito il concerto e il giorno dopo mi hanno detto “ti devi operare e devi farlo subito”».
Dei giorni successivi all’intervento, confessa Ligabue a Vanity Fair, ricorda «la sensazione stranissima di non poter parlare. Nella prima settimana comunicavo soltanto con i tablet, e il silenzio di quei giorni non solo non me lo sono scordato, ma non mi è dispiaciuto. C’era un senso di solitudine amplificato, non brutto. Abbiamo bisogno di saper ascoltare noi stessi e gli altri, ma per riuscirci abbiamo bisogno di più tempo e di più silenzio». Quando è iniziata la rieducazione, spiega, «è stato il momento di vincere un po’ di resistenze e di paure. La voce non è solo una corda da far vibrare, ma è anche anima, cuore, psicologia. All’inizio il timore mi ha frenato, poi è successo quello che mi avevano promesso. Ho ritrovato il timbro di ieri e ho risentito me stesso. È incredibile, ma vero. La voce è proprio migliorata».
Nel trattare un bilancio della sua carriera («Sono stato fortunato, e non ho nessun tipo di pudore o vergogna nel dirlo»), Ligabue rimpiange «l’incoscienza del primo anno… Immerso in un mondo che non conoscevo ancora, vivevo quel che accadeva con leggerezza. Dopo magari sono arrivati successi più appaganti, ma quella libertà non l’ho più ritrovata. Il successo può restituirti un’euforia di fondo, ma non rende per forza felici». Anche perché «dà dipendenza. Pensare che ti venga a mancare all’improvviso l’attenzione della gente può creare ansia. Diamo spesso per scontato quello che abbiamo e ci spaventiamo quando pensiamo di perderlo… Credo di avere un patto forte con il pubblico. Ci fidiamo l’uno dell’altro e l’idea che in questo rapporto qualcosa si possa incrinare mi inquieta». E a volte si rimprovera di non regalare abbastanza leggerezza: «Amo le canzoni che non hanno nessun compito se non quello di far cantare qualcuno con concetti che non devono essere per forza pensosi o sofferti. Anche se non ne ho scritte così tante, sono le canzoni che fanno star bene me e quelli che le intonano. Mi pare che alcuni miei “colleghi” se ne sbattono e vivono meglio. Forse per carattere o forse per la radice cattocomunista che mi porto dietro, non riesco a pensare che il mio privilegio sia gratis. Questo bisogno di dare il massimo un po’ di tormenti me li crea».
Nell’intervista a Vanity Fair, Luciano Ligabue si definisce timido: «Lo sono sempre stato. Mio padre, un uomo che cambiò tantissimi lavori e proprio come mia madre si fidava della vita, non si capacitava di avere un figlio timido. Quell’eredità, la fiducia nella vita, anche se a metà, è presente. Però io ero introverso e ho sempre avuto un mio mondo». Dice di credere sempre all’amore («L’età non mi ha disilluso sull’amore. Anzi»), confessa uno dei suoi più grandi dolori («Dover ammettere il fallimento del mio primo matrimonio e dover portare avanti non solo quel tipo di dolore, ma anche tutte le implicazioni che sarebbero venute da lì in poi, a patire dalla gestione di un figlio») e spiega perché non smetterà di cantare Balliamo sul mondo: «Avevo detto che non ero sicuro di voler continuare a farla dopo i 50. Poi fortunatamente vedo Mick Jagger sculettare ancora cantando Satisfaction e mi dico che posso andare avanti un po’ anch’io».
Ligabue: "Torno tra palco e realtà da vero cantautore con una band rock". Venerdì parte il suo nuovo tour negli stadi Abbiamo assistito alle prove generali...Paolo Giordano, Lunedì 10/06/2019, su Il Giornale. E poi sale all'improvviso su di un palco talmente grande che «si viene e si va» coem recita uno dei brani in scaletta. Fiera di Reggio Emilia, ora del tramonto e dell'adunata delle zanzare. Ligabue ha appena finito «una delle prove generali più grandi che abbia mai fatto» per mettere a punto ogni dettagli dello Start Tour che inizia al San Nicola di bari e attraversa altri sette stadi prima di chiudersi il 12 luglio all'Olimpico di Roma. Un megaschermo centrale e altri sei laterali sorvegliano un palco lungo 58 metri e largo 22 con due passerelle asimmetriche entrano fin nel cuore della platea: «Prenderò una navetta per andare da una parte all'altra» ride lui dopo due ore e un quarto che aprono con Polvere di stelle, inseriscono altri sei brani del nuovo Start (favolosa La Cattiva compagnia) e poi alternano super classici come Balliamo sul mondo (molto elettrica), Certe notti, Bambolina e barracuda (con tanto di copertina di Never mind... dei Sex Pistols proiettata sullo schermo) e due medley a geometria variabile perché potranno cambiare concerto dopo concerto (più quello suonato solo con chitarra e voce che quello rock con tutta la band). Una maratona con arrangiamenti garbati che la voce controlla bene e che gli assoli di chitarra (bravo Fede Poggipollini) ricamano più del solito: «Mi diverto in tanti modi, ma il concerto è il modo che mi diverte di più», dice un Ligabue sempre più asciutto nel fisico e nelle risposte perché, si sa, preferisce lasciar parlare la musica.
Ligabue, nel 2020 celebra 30 anni di carriera, ormai non sarà facile scegliere i brani da suonare dal vivo.
«L'ho pensata per il pubblico che viene negli stadi. Non ci sono soltanto i miei fan abituali ma anche spettatori occasionali e quindi mi fa piacere che ascoltino anche le canzoni del nuovo disco».
A proposito, La cattiva compagnia è accolta da scariche elettriche sugli schermi e molti watt nelle chitarre. Quali sono le cattive compagnie?
«I fantasmi che ci popolano e le paure che ci impediscono di essere come siamo davvero. La chiamerei incapacità di essere felici».
Però nel nuovo disco Start c'è più «felicità» del solito. E Polvere di stelle o Certe donne brillano sembrano una dedica a sua moglie.
«C'è anche Mai dire mai nella quale racconto le prime volte della storia che poi ci ha portato a sposarci».
Dedica a lei il nuovo tour?
«Non è intenzionale, ma, volendo, sì».
A che punto siamo tra «palco e realtà»?
«Per tanto tempo è stato molto difficile per me gestire la differenza tra palco e realtà. Tra il tempo trascorso in scena e quello nella vita privata, di tutti i giorni. Ora va meglio, ma fare concerti resta per me è una sorta di dipendenza. Adesso non vedo l'ora di iniziare e già so che, a fine tour, avrò voglia di tornare sul palco. Insomma, adesso faccio questi concerti e soffro già al pensiero che alla fine sia buona lì».
Durante Vita morte e miracoli ci sono le immagini di un parto.
«Le ho scelte apposta, sono parte del racconto di questa canzone. C'è un parto che dà il via al percorso della vita di ciascuno di noi e poi, dall'altra parte degli schermi, si arriva a vedere un uomo con il suo nipote».
Lei è un habituè di San Siro. Ma si dice possano chiuderlo.
«Beh allora tutti perderemmo qualcosa».
Ricorda sempre qual era il suo obiettivo prima di diventare famoso?
«Sì, volevo essere un cantautore con il suono di una band. E difatti la mia band ha provato anche undici ore al giorno su questo palco, noi abbiamo il suono al centro dei pensieri».
E lei quante ore?
«Anche quattro o cinque».
Lo sa vero che qualcuno già si immagina un nuovo Campovolo per i suoi trent'anni di carriera.
«Se mi chiedi sì o no, rispondo ni o so. Ma tante cose fanno pensare a un sì».
Nel frattempo collabora a un musical.
«Mi hanno fatto leggere questo copione scritto da Chiara Noschese, figlia del grande Alighiero. Mi è piaciuto al punto che ho scritto un contributo. Ma ne riparleremo dopo l'estate. Adesso lasciatemi lasciare la realtà per salire sul palco».
Estratto dell’articolo di Luca Bortolotti per la Repubblica il 10 giugno 2019. C' è un conto alla rovescia che appare sul maxischermo del nuovo mega palco che Ligabue avrà con sé in giro per l' Italia nel tour che lo riporta negli stadi dopo cinque anni. Idealmente, quello che il rocker di Correggio sta recitando dentro di sé in attesa dell' esordio venerdì al San Nicola di Bari: «Stare fermo è la cosa più difficile, non c' è nulla che mi diverta di più di suonare, è anche un po' una dipendenza», ammette. Nelle scenografie del tour, invece, quel countdown appare durante Non è tempo per noi , sovrapponendosi alle immagini delle marce ambientaliste, di fabbriche, plastiche e disboscamenti. Unico momento sociale, se non quasi politico, del nuovo show, finché il conto alla rovescia s' interrompe, quando allo scadere manca giusto un secondo. «Vuol dire che abbiamo ancora tempo, poco, per fare qualcosa - spiega Ligabue - . Quello dell' ambiente è un tema che mi è sempre stato caro e su quella canzone mi sembrava adeguato parlarne». Insomma, dicono che ci stiamo buttando via, ma possiamo ancora essere bravi a raccoglierci, come insegna Greta. …
Malcom Pagani per Vanity Fair il 16 giugno 2019. A parte che gli anni passano, per non ripassare più: «Tra 10 mesi, a quanto mi dicono, dovrei compierne 60. So che è una menzogna e per sanarla ho deciso di andare all’anagrafe con una rivoltella. Farò un bel discorso: “I casi sono due, o mi ridate subito indietro gli ultimi 40 o qui finisce male”». Luciano Ligabue continua a proteggere l’autoironia e i sogni di rock’n’roll che nel quadro immobile della pianura, tra un biliardo e un cielo bianco, lo hanno fatto tornare sempre al punto di partenza. Il patto, stringersi di più, è lo stesso di quando iniziò, quasi per caso, a metà degli ’80: «Fu una benedizione. Non avevo nessuna aspettativa o paura e accadde tutto con una naturalezza impressionante. Mi capitarono, in sequenza, una serie di colpi di culo uno dopo l’altro». Guardandosi indietro, a un passo dal tour negli stadi che lo vedrà viaggiare da sud a nord, Ligabue scopre di essere stato fortunato: «E non ho nessun tipo di pudore o vergogna nel dirlo».
Perché dovrebbe averla?
«Magari per scaramanzia. La fortuna, anche se tendiamo a negarlo, serve a chiunque».
Non credeva di avere questo successo?
«Se ci ripenso, rimpiango l’incoscienza del primo anno. Il più bello. Il più disincantato. All’epoca da parte mia non c’era nessuna assunzione di responsabilità. Immerso in un mondo che non conoscevo ancora, vivevo quel che accadeva con leggerezza. Dopo magari sono arrivati successi più appaganti, ma quella libertà non l’ho più ritrovata».
Si sente meno libero oggi?
«Sicuramente. Il successo può restituirti un’euforia di fondo, ma non rende per forza felici. Siamo educati a pensare che raggiungeremo la felicità affermandoci nel nostro lavoro, però se penso a Elvis, o al club dei grandi artisti morti a 27 anni, da Janis Joplin a Kurt Cobain, capisco che è un’equazione impropria».
Accade di riscoprirsi più soli?
«Dipende da come si è. Io faccio caso al fatto che quando qualcuno mi parla, non si rivolge a me, ma alla persona che pensa io sia. È un atteggiamento che può far sentire soli e a volte mi dispiace. Una cosa però l’ho capita».
Quale?
«Il successo dà dipendenza. Pensare che ti venga a mancare all’improvviso l’attenzione della gente può creare ansia. Diamo spesso per scontato quello che abbiamo e ci spaventiamo quando pensiamo di perderlo».
Ha mai temuto di perderlo?
«Ogni tanto sì, o almeno di perderne una buona parte. Credo di avere un patto forte con il pubblico. Ci fidiamo l’uno dell’altro e l’idea che in questo rapporto qualcosa si possa incrinare mi inquieta: chi mi segue si aspetta da me un certo tipo di verità. Io te la offro, se la sfanculeggi o la metti in discussione divento più fragile».
I vecchi del paese dicevano: «Quello non lavora, canta».
«Avevano ragione. Cantare è stato ed è un gran divertimento e un privilegio indiscutibile, però nel tempo l’inconsapevolezza si è trasformata in altro. Ho avvertito il peso delle aspettative, delle responsabilità».
Un peso che confina con l’amore per quel che si fa?
«Non è che confina, ci finisce dentro di brutto».
Se non avvertisse responsabilità comporrebbe brutte canzoni.
«Non so, magari succede comunque» (sorride). Amo le canzoni che non hanno nessun compito se non quello di far cantare qualcuno con concetti che non devono essere per forza pensosi o sofferti. Anche se non ne ho scritte così tante, sono le canzoni che fanno star bene me e quelli che le intonano».
Le manca leggerezza?
«Forse sì. Mi pare che alcuni miei “colleghi” se ne sbattano e vivono meglio. Forse per carattere o forse per la radice catto-comunista che mi porto dietro, non riesco a pensare che il mio privilegio sia gratis. Questo bisogno di dare il massimo un po’ di tormenti me li crea».
«Leggero, nel vestito migliore, nella testa un po’ di sole ed in bocca una canzone» l’aspirazione la cantava già tempo fa.
«Sono abituato a vivere a forte intensità emotiva. Sottopormi alle sollecitazioni è un tema quotidiano. Un modo di vivere al quale sono ormai abituato e che forse crea qualche difficoltà a chi mi sta vicino. Confrontarsi con questa intensità non è semplice. Non a caso forse tifo per l’Inter».
Ci spieghi il nesso.
«L’Inter da sempre è vittima dei propri umori. Perde in casa col Parma e poi vince all’ultimo respiro col Tottenham. Sempre estrema. Imprevedibile. Mai banale. Comunque non è una squadra per cardiopatici».
Lei come fa a tenersi al riparo dai propri umori?
«Non ce la faccio mica, è la mia natura. Sono fatto così. So che la saggezza starebbe nel vivere le emozioni e non nel farsi vivere da loro, però non sempre ce la faccio».
Sapere come si è fatti non è consolante?
«Ci sono tante parti di me che conosco meno, questa, diciamo, l’ho esplorata a lungo».
Quando ha cominciato a capire chi era?
«Il mio mestiere amplifica le cose. Se non ti accorgi di come sei neanche in presenza di questa amplificazione significa che sei un po’ cretino».
Lei cretino non si sente.
«Cretino no, timido sicuramente. Lo sono sempre stato. Mio padre, un uomo che cambiò tantissimi lavori e proprio come mia madre si fidava della vita, non si capacitava di avere un figlio timido. Quell’eredità, la fiducia nella vita, anche se soltanto a metà, è presente. Però io ero introverso e ho sempre avuto un mio mondo. Pensavo a come poter vivere una vita migliore mentre magari facevo il ragioniere. Non è che avessi chiaro come poter fare. Intanto cercavo di vivere al massimo il tempo libero».
Le ragazze?
«Piaciucchiavo e quindi avevo la fortuna di non dover fare il primo passo. Se mi capitava di avere una relazione per lo più tacevo. Stavo zitto e loro confondevano la timidezza con la figura del macho misterioso. Ero solo imbranato e faticavo a espormi e a raccontarmi. Non era una tattica, ma funzionava».
Si ricorda la sua prima volta?
«A 15 anni, con una di più di venti. Non credo si sia divertita tanto. Comunque anche per me non fu quel granché. Credevo meglio».
Ogni tanto veniva deluso?
«Ebbi un innamoramento forte in età adolescenziale. Lei mi mollò e io, rivedendola vent’anni dopo un po’ conciata, ci ho scritto una canzone lievemente sadica e vendicativa: Eri bellissima. Piuttosto chiara la mia immaturità, eh? Comunque la canzone mi piace».
Il tempo passa. Cambia anche la percezione dell’amore?
«L’età non mi ha disilluso sull’amore. Anzi. Come si sa l’amore è una condizione, non solo un sentimento verso una persona. Apre al mondo mentre la paura chiude. Negli anni mi sembra sempre di più di espormi su quel tema in tutto quello che faccio. In Polvere di stelle (che apre Start, ndr) riesco finalmente a dire: “Ho bisogno di te che hai bisogno di me per cambiare il tuo mondo. Hai bisogno di me che ho bisogno di te per cambiare il mio mondo”. E il mondo lo si cambia trasformando il proprio mondo personale».
Le costa fatica?
«In generale, non chiedo mai niente. Mi rendo conto che il mestiere che faccio è una contraddizione in termini. Sono introverso, ma vado sul palco e lì mi mostro più sicuro di me di quanto non sia nella vita».
In questi decenni si è intravista una certa coerenza artistica.
«Quello non posso non concedermelo. Propongo al pubblico la verità di cui le parlavo e lo faccio con i cambiamenti naturali della vita. Cambio io, cambia la società, cambio io all’interno della società. L’autoritratto che ne viene fuori è l’album che esce di volta in volta. Poi c’è sempre chi dice: “Ah però i primi dischi”».
E lei cosa risponde?
«Che se avessi continuato a fare la stessa cosa sarei stato disonesto. Non so neanche se rimestare la minestra di ieri avrebbe restituito un buon sapore. Conosco l’autocritica, la pratico, la frequento».
Non pretende di piacere a tutti.
«L’inizio fu talmente folgorante che al principio mi illusi si potesse. Una cosa veramente da fuori di testa, eh? Ma sono stato capace di pensare anche quello. Poi ho capito molto presto che non era possibile e me ne sono fatto una ragione. Sono molto orgoglioso. Faccio il mio nel modo in cui so farlo e lo metto in circolo con il massimo dell’impegno».
Quando ha capito di poter raccontare delle storie ambientate soprattutto in un luogo?
«Uno dei miei segreti è stato credere che quel luogo fosse raccontabile. È una cosa che richiede incoscienza e un po’ di presunzione. Me lo spiegò Pier Vittorio Tondelli, di Correggio, come me. Scriveva: “Ognuno la vita se la fa e se la disfa da solo”. Aveva ragione. Io l’ho fatto in un posto preciso. Ho giocato in un campionato totalmente mio. In un territorio che conoscevo e nel quale ho vissuto per tutta la vita. Il mio raggio d’azione artistico è stato geograficamente limitato, ma mi ha permesso di andare ovunque, anche sotto il pelo dell’acqua».
E cosa ci ha trovato?
«Tutte le domande che si fa chiunque sul senso dell’esistenza. Non è detto che abbia trovato le risposte, ma non ho smesso di cercarle».
Ligabue crede in dio?
«Sono stato cattolico e non lo sono più da tanto tempo, ma ho da sempre un forte bisogno spirituale. È una ricerca costante, un percorso che sto facendo da tanto tempo. Credo che ci siano un po’ di regole nell’universo capaci di dare senso a quel che facciamo e a collocarci, che tu faccia il cantante o il benzinaio, in un impianto più generale. Se le vuoi chiamare dio o altro, importa il giusto».
Che rapporto ha avuto con la malinconia?
«Ho un’indole un po’ malinconica e credo lo spieghino molte delle mie canzoni. È uno stato d’animo che conosco abbastanza bene. A volte mi piace anche provarla, altre meno».
È così che va per tutti, per citarla.
«Anche se la predisposizione sarebbe quella, cerco di non cadere nella trappola della nostalgia. Evito di pensare che ieri fosse tutto migliore di quanto non sia oggi».
La più grande cazzata che ha fatto in vita sua?
«Non ne ho una in particolare, ma un buon numero che si piazzano tra le prime 30. La verità è che non mi sono mai messo in guai serissimi».
Qualche volta non si è piaciuto?
«Ah, perché, dò la sensazione di piacermi? Pensa te. Dover ammettere il fallimento del mio primo matrimonio e dover portare avanti non solo quel tipo di dolore, ma anche tutte le implicazioni che sarebbero venute da lì in poi, a partire dalla gestione di un figlio, mi ha fatto sentire molto male. Non la considero una cazzata, ma un processo inevitabile della mia vita che forse doveva capitare. Nonostante questo non ne vado fiero».
Poi le ferite si rimarginano.
«Se fossero ancora aperte dopo tutti questi anni non sarei conciato benissimo».
In Quello che mi fa la guerra si sfiora l’autobiografia e il nemico, sembra dirci, è dentro di lei.
«L’ho beccato. L’ho stanato. Ognuno di noi ha dentro di sé il suo migliore amico e il suo peggior nemico e le nostre decisioni dipendono da quello a cui diamo più ascolto. Poi come sappiamo combattere un pensiero vuol dire dargli forza. Se provi a sfidare uno stato d’animo, un po’ di consapevolezza è necessaria».
Sta per tornare negli stadi con un concerto in cui porterà il nuovo disco e tutte le sue hit storiche. Aveva detto di non essere certo di cantare Balliamo sul mondo sull’orlo dei 60 anni.
«Avevo detto sull’orlo dei 50. Poi fortunatamente vedo Mick Jagger sculettare ancora cantando Satisfaction e mi dico che posso andare avanti un po’ anch’io».
Ci vuole scienza, ci vuol costanza a invecchiare senza maturità diceva Guccini. Ci è riuscito?
«Penso che quello che mi è capitato nella vita mi abbia messo nella condizione di sviluppare una mia maturità: dovevo prendere delle decisioni e farlo con gli occhi addosso, essere rapido e lucido. Però nel momento in cui dico che il successo dà dipendenza, ammetto già che il processo di crescita è ancora lungo. Un certo grado di immaturità continua ad appartenermi».
Ci vuole anche per cantare davanti a decine di migliaia di persone in uno stadio? La prima volta fu nel ’97.
«Una sola cosa mi è molto chiara: finalmente arriva quello che conta. I dischi li canti, li produci, ci pensi tantissimo. Lo stadio è un’altra cosa: è come se sul palco ci fosse una gigantesca calamita».
E che succede?
«Io sono il ferro. Non farmi salire sul palco fin dal pomeriggio è un problema: non vedo l’ora di cominciare. Quando sono lì non mi preoccupo tanto della performance canora perfetta e non ragiono come un cantante, ma come uno che ti deve dire le cose e che ha una voglia pazza di urlarle. Cantandole si sentono meglio. È così oggi ed era così anche nel ’97. Nel pomeriggio ci fu una bufera. Piovve per ore, nell’aria c’era tensione, sembrava non funzionasse niente. Poi arrivò il momento di salire e le nubi sparirono. L’adrenalina era tale che diedi a tutto braccio una pennata alla chitarra. Mi tagliai un piccolo callo e mi partì quasi la punta del dito. Avevo una camicia e una canottiera bianca. La canottiera si macchiò di sangue e la gente, sotto, forse pensò si trattasse di un colpo di scena».
Maioli, lo storico manager che segue Luciano da trent’anni, fuori campo, conferma. «Volevo che scendesse». Luciano chiosa sorridendo: «Risposi: “Col cazzo che scendo!”. Forse fu uno spettacolo un po’ macabro, ma se Ozzy Osbourne mangiava la testa dei pipistrelli, potevo avere un po’ di sangue sulla camicia a San Siro anch’io».
Start, il suo disco, è la filiazione di una paura più seria. L’operazione alle corde vocali è del 2017.
«Partiamo per il tour e mi viene un’influenza talmente forte da dovere cancellare la prima a Jesolo. Mi curo, ma non passa. Cancelliamo anche le 5 date di Roma e ricominciamo da Acireale. In mezzo, ci sono due o tre ricadute, poi arriva marzo e festeggio il mio compleanno al Forum di Milano dove faccio un concerto bellissimo. “Cazzo” mi dico “ne sono uscito”. La mattina dopo sono completamente afono.
Ho un’altra serata milanese e dopo aver lavorato con il vocal trainer, faccio una puntura di cortisone e vado in scena. Il forum è pieno, sono tutti lì per noi e dopo 3 pezzi crollo. Pensavo a una nota e me ne usciva un’altra. Immagini la frustrazione. Credo sia stata la peggiore esibizione della mia vita, ma di mollare non me la sentivo. Ho chiesto scusa al pubblico, ho finito il concerto e il giorno dopo mi hanno detto “ti devi operare e devi farlo subito”».
Ha mai avuto paura di non poter tornare a cantare?
«Certo, quella paura l’ho avuta: se la porta dietro chiunque debba subire quel tipo di operazione. È una partita molto delicata. Da un lato c’è un esercito di persone a rassicurarti, “guarda, lo fanno tutti”, “non ti preoccupare”, “la voce dopo è meglio di prima”. Dall’altro ci sei tu che devi provarlo sulla tua pelle. Devi fidarti, ma la voce è il tuo strumento e quindi ti ripeti: “Adesso lo vediamo come va, lo vediamo veramente”».
E l’ha visto.
«Prima è arrivata la rieducazione e poi è stato il momento di vincere un po’ di resistenze e di paure. La voce non è solo una corda da far vibrare, ma è anche anima, cuore, psicologia. All’inizio il timore mi ha frenato, poi è successo quello che mi avevano promesso. Ho ritrovato il timbro di ieri e ho risentito me stesso. È incredibile, ma vero. La voce è proprio migliorata».
In quei giorni ha dovuto far fronte anche a seri problemi logistici.
«Credo di detenere il triste primato del più grande spostamento di date della storia della musica italiana. 34 serate già fissate, centinaia di migliaia di biglietti. Mi è arrivata un’onda di affetto incredibile, da gente che magari si era programmata un sabato a Milano e si è ritrovata spostata in un lunedì del cazzo. Hanno tutti conservato il biglietto per sei mesi e per me è stato uno di quei gesti che allora, olé, devo dare per forza ancora di più. Lo farò».
Che sensazioni ha provato in quel periodo?
«Quella stranissima di non poter parlare. Nella prima settimana comunicavo soltanto con i tablet e il silenzio di quei giorni non solo non me lo sono scordato, ma non mi è dispiaciuto. C’era un senso di solitudine amplificato, non brutto. Abbiamo bisogno di saper ascoltare noi stessi e gli altri, ma per riuscirci abbiamo bisogno di più tempo e di più silenzio. È difficile, soprattutto ora che è tutto così convulso e veloce. La corsa è a parlarsi addosso ed è difficile che si creino le condizioni giuste. Ma crearle è una delle chiavi per star bene nella vita. Siamo nati per accogliere e abbiamo bisogno di essere accolti dagli altri, ma dobbiamo anche tornare ad apprezzare il silenzio».
A proposito di accoglienza. I migranti sono diventati un tema di scontro politico. Il Paese le pare incattivito?
«Più che incattivito, in buona parte è esasperato dai problemi. Tra cui la gestione di questo tema. Ad ascoltare il dibattito non sembra ci siano possibilità di discussione: o è porto aperto o è porto chiuso, o è porta aperta o è porta chiusa. O on oppure off. Ma quello dell’accoglienza è un tema troppo grosso e importante per essere liquidato con un interruttore».
· Le corna di Clizia Incorvaia a Francesco Sarcina.
L’amore ferito di Francesco Sarcina: «Io tradito da mia moglie. E da Scamarcio, testimone di nozze». Pubblicato sabato, 13 luglio 2019 da Candida Morvillo su Corriere.it. «Quando mia moglie mi ha confessato di avermi tradito con Scamarcio, mi ha devastato. Riccardo è stato il mio testimone di nozze, un amico, un fratello. Mi sono sentito pugnalato ovunque». Francesco Sarcina tira il fiato come se avesse parlato in apnea. Pausa. «Vabbè, le sofferenze sono materiale buono per scrivere canzoni». Il leader delle Vibrazioni, l’autore di successi come «Vieni da me», prova anche a scherzare, ma volentieri si sarebbe risparmiato questo dolore. A Clizia Incorvaia, sposata il 5 giugno 2015, aveva dedicato l’album da solista Femmina. «Femmina perché era incinta di Nina. Ancora mi commuovo vedendo le sue foto col pancione», dice. Pochi giorni fa, la moglie ha annunciato su Instagram la fine dell’amore, poi, il settimanale Oggi ha scritto che è stata lei a lasciarlo, per via dell’attore. Francesco, cos’è successo?
«Qualcosa che speravo rimanesse privato. Odio chi parla dei cavoli propri, però la notizia è uscita e ha destabilizzato tanti che mi vogliono bene, perciò mi sento di dover chiarire, ora e poi mai più. L’episodio con Riccardo risale a mesi fa, è isolato ed è stata lei a confessarmelo. Fine. Clizia resta la donna che mi ha dato una figlia meravigliosa e che ho profondamente amato, la donna che ho deciso di sposare con una cerimonia all’americana da pazzi, perché il mio era un amore pazzesco».
Quindi, i due non stanno insieme?
«Non che io sappia. Hanno avuto il loro momento, poi che ne so. A me interessa solo pensare ai figli: a Nina, e al primo, Tobia, che ha 12 anni. Voglio dedicarmi a loro e al lavoro. Mi sono sempre fatto un mazzo così per lavorare in situazioni difficili: per dieci anni, da figlio unico, sono stato vicino a mio padre paralizzato per un ictus. Non mi farò abbattere adesso».
A novembre, sua moglie aveva annunciato su Instagram una crisi di coppia. A febbraio, aveva postato la foto della riconciliazione: vi eravate tatuati due cuori gemelli. Dove si colloca Scamarcio in questa cronistoria?
«Una o due settimane dopo la crisi di novembre. Però, lei me l’ha confessato a Pasqua. Nel mezzo, avevo provato a ricucire. Per me, ricostruire la famiglia era un atto di fede. Quel tatuaggio è il ricordo del lavoro fatto per riconquistarla: ho fatto di tutto, andando dall’analista, cambiando».
Cambiando che cosa?
«Capisco che può dare fastidio vivere con un artista che è sempre in giro, fa concerti e riceve tante attenzioni. Lei ne soffriva e ho cercato di mettermi nei panni di chi ha questa debolezza».
Come e perché arriva la confessione?
«Io ho una sensibilità acutissima: sentivo che mi nascondeva qualcosa. Le dicevo: tiralo fuori, ricominciamo da capo, consapevoli».
E ha offerto il petto alla pugnalata.
«Eravamo in macchina. Giuro, ho vomitato. Sono sceso e ho iniziato a disperarmi peggio di quando ho perso mio padre. Papà era malato, me l’aspettavo. Ma questa non potevo aspettarmela. Ho rivisto i momenti in cui, con Riccardo, mangiavamo insieme con le rispettive compagne. È stato un trauma che sto curando e ora la pubblicità ha riaperto la ferita».
Sua moglie come si è giustificata?
«Non so dirlo. Ci eravamo lasciati. Che cambia se l’ha cercato lei, se covava un desiderio o se l’ha fatto per farmi male? Il punto è che non puoi tradirmi con mio fratello. Sono cose che, in un attimo, ti fanno cadere il senso di amore, di amicizia. Il cuore ti si pietrifica».
Ne ha parlato con Riccardo?
«No, e lui neanche mi ha più cercato».
Mi risulta che le abbia mandato messaggi di scuse, sostenendo di essere stato sedotto e comunque di non essere andato a letto con sua moglie. «Ha mandato un vocale quando gli ho scritto “ma che schifo devo venire a sapere”. Però, se provi a parlarmi la sera stessa, come puoi aspettarti che voglia ascoltarti? Di sicuro, dopo, non dovevo cercarlo io. Poi, la verità la sanno loro due e la casa dove si sono visti».
Sceso dall’auto, è lei che dice basta?
«Al momento, sì. Però io sono un cretino così innamorato che poi ho cercato di perdonarla e darle delle ragioni. Dopodiché, mi sono reso conto che non mi sarei comportato come loro. Riccardo è il mio migliore amico da 15 anni, abbiamo giurato fedeltà davanti a Dio e a lui».
Se lui le dimostrasse che non è accaduto l’irreparabile, lo perdonerebbe?
«Non lo so. Se mi uccidi, è difficile che cambio idea».
L’annuncio di Clizia su Instagram era concordato?
«Si figuri. È lei che ama il gossip. Io penso che, prima di muoversi, bisognerebbe pensare che i bimbi leggono, sentono, vengono a sapere. Ma lei fa l’influencer, ha un altro modo, che mi sono sforzato di capire, al punto che l’avevo accompagnata a Pechino Express».
In questi mesi di dolore, ha scritto?
«Canzoni abbastanza trucide su quando non puoi fare a meno di una persona. Per fortuna, ora, sono in tour con amici amorevoli. La notte fatico ancora a dormire. Poi mi dico che nell’universo, in un modo o nell’altro, è tutto già a posto».
Chi è Clizia Incorvaia, la moglie di Francesco Sarcina (che l’ha tradito con Riccardo Scamarcio). Pubblicato domenica, 14 luglio 2019 su Corriere.it. Il suo blog, risulta inaccessibile. Il suo nome invece rimbalza su tutti i siti. Clizia Incorvaia, modella, showgirl e fashion blogger, nonché moglie di Francesco Sarcina, frontman delle «Vibrazioni» è la donna di cui tutti parlano, da quando lo stesso Sarcina ha confermato di essere stato tradito da lei con Riccardo Scamarcio. Nata a Pordenone nel 1986 ma cresciuta ad Agrigento, diplomata al Liceo Classico, è laureata in Scienze della Comunicazione.
Da Leggo 14 luglio 2019. «Una gogna mediatica», Clizia Incorvaia commenta così lo scandalo scoppiato dopo le parole dell'ex Francesco Sarcina. Il leader delle Vibrazioni ha confessato in un'intervista al "Corriere della Sera" di essere stato tradito dalla moglie e dall'amico Riccardo Scamarcio. Sulle sue pagine social, la Incorvaia ha parlato di «cose inventate e prive di fondamento». «Grazie donne vere per sostenermi. Posterò qui di seguito un po’ dei vostri messaggi che in questo momento di gogna mediatica mi danno forza», ha scritto nelle sue stories prima di pubblicare tutti i messaggi di donne che hanno scelto di sostenerla in questo momento difficile. Tante le parole di conforto e c'è chi accusa Sarcina spiegando che questa storia non avrebbe dovuto uscire dalle mura domestiche. «Io ho una sensibilità acutissima: sentivo che mi nascondeva qualcosa – ha raccontato Sarcina -. Le dicevo: tiralo fuori, ricominciamo da capo, consapevoli. Eravamo in macchina. Giuro, ho vomitato. Sono sceso e ho iniziato a disperarmi peggio di quando ho perso mio padre. Papà era malato, me l’aspettavo. Ma questa non potevo aspettarmela. Ho rivisto i momenti in cui, con Riccardo, mangiavamo insieme con le rispettive compagne. È stato un trauma che sto curando e ora la pubblicità ha riaperto la ferita». Sarcina ha poi dichiarato di aver tentato una riconciliazione con la moglie, non andato a buon fine, e di non aver più visto Scamarcio. «Ci eravamo lasciati. Che cambia se l’ha cercato lei, se covava un desiderio o se l’ha fatto per farmi male? – ha concluso -. Il punto è che non puoi tradirmi con mio fratello. Sono cose che, in un attimo, ti fanno cadere il senso di amore, di amicizia. Il cuore ti si pietrifica».
Clizia Incorvaia replica alle accuse: «Non ho mai tradito Francesco, ora proteggo mia figlia Nina». Pubblicato lunedì, 15 luglio 2019 da Corriere.it. «Non ho mai tradito il padre di mia figlia». Lo dice chiaro e tondo, e rompe il silenzio con un primo post su Instagram dopo la dichiarazioni del marito Francesco Sarcina. Clizia Incorvaia nega il tradimento con Riccardo Scamarcio, di cui proprio il cantante delle Vibrazioni aveva parlato in un’intervista al «Corriere». «È partito il tribunale della Santa Inquisizione» aveva scritto Clizia nel post con cui per la prima volta rompeva il silenzio dopo l’intervista di Francesco. E poi, a chi la critica e a chi commenta proprio quei fatti, la fashion blogger risponde con una storia. Anzi, due, perché inizialmente è più diretta, poi sfuma i toni: «Ragazzi cari mi spiace litighiate sui miei social per cose che non sapete. Non ho tradito il padre di mia figlia, mai. L ’ho sempre amato e rispettato». E ancora, aggiunge, in quella che sembra invece una frecciata proprio a Sarcina: «Apprezzo e ringrazio chi mi protegge. Detto ciò chi va protetta è mia figlia Nina. E un vero genitore dovrebbe ponderare ciò, senza saziarsi del proprio ego». Nell’intervista al «Corriere» la versione del cantante delle Vibrazioni era però diversa da quella fornita dalla moglie Clizia ora a mezzo social. Sarcina aveva spiegato di come proprio la Incorvaia gli avesse confessato di averlo tradito con Riccardo Scamarcio: Mi ha devastato. Riccardo è stato il mio testimone di nozze, un amico, un fratello. Mi sono sentito pugnalato ovunque» aveva detto Sarcina.
Clizia Incorvaia respinge ogni accusa: “Non ho tradito il padre di mia figlia”. Da Today.it il 15 luglio 2019. Clizia Incorvaia si difende dalle accuse di tradimento. “Ragazzi cari mi spiace litighiate sui miei social per cose che non sapete. Non ho tradito il padre di mia figlia mai. Sempre amato e rispettato. Detto ciò proteggo mia figlia Nina. Cosa che i genitori dovrebbero fare, prima di pensare al proprio amato EGO”: questo il messaggio pubblicato da Clizia Incorvaia poco fa in merito alle accuse che la indicano come responsabile del tradimento ai danni del marito Francesco Sarcina con il miglior amico di lui Riccardo Scamarcio. Tuttavia, guardando adesso le sue storie IG, il testo così riportato nello screenshot ripreso da Fanpage sembra essere stato poi modificato, poiché non c’è più alcun accenno alla smentita del tradimento al cantante riportato. “Non dovete litigare sulla mia bacheca. Energia sprecata. Apprezzo e ringrazio chi mi protegge. Detto ciò chi va protetta è Nina, mia figlia. E un vero genitore dovrebbe ponderare ciò, senza saziarsi del proprio ego”, è quanto si legge adesso nei post della influencer, pronta a denunciare gli haters ("É partito il tribunale della Santa Inquisizione", si legge nell'ultimo post) e grata a tutti coloro che le stanno dimostrando il loro affetto in un momento così delicato. In tutto ciò Riccardo Scamarcio continua a tacere: da parte sua nessun commento rispetto alla vicenda privatissima della ex coppia Sarcina – Incorvaia che lo ha coinvolto come terzo incomodo.
Gennaro Marco Duello per Fanpage.it il 15 luglio 2019. Clizia Incorvaia è da giorni protagonista suo malgrado dello scandalo dell'estate. Dopo essersi lasciata con il marito Francesco Sarcina, sono fioccate le indiscrezioni su un presunto tradimento messo in atto da lei e dall'attore Riccardo Scamarcio, testimone di nozze e migliore amico del cantante delle Vibrazioni. Lo stesso cantante ha confermato ogni cosa in una intervista al Corriere della Sera, ma la Incorvaia dopo aver negato tutto continua con una stories a dire la sua: "Io non ho tradito il padre di mia figlia. L'ho sempre amato e rispettato".
La replica di Clizia Incorvaia. Nella giornata di sabato, Clizia Incorvaia aveva già fatto sapere che avrebbe replicato a breve, negando qualsiasi cosa: "Replicherò a breve. E saprete la mia verità, non cose inventate prive di fondamento". Poi ha intimato quanti l'hanno offesa di smetterla, minacciando segnalazioni e provvedimenti. Continuano, infatti, le offese via social che stanno raggiungendo il profilo e la posta privata della Incorvaia, obiettivo della sassaiola digitale dopo il gossip. Pochi minuti fa, la modella e influencer ha detto la sua via Instagram, ribadendo la sua completa estraneità ai fatti. Ragazzi cari mi spiace litighiate sui miei social per cose che non sapete. Non ho tradito il padre di mia figlia mai. Sempre amato e rispettato. Detto ciò proteggo mia figlia Nina. Cosa che i genitori dovrebbero fare, prima di pensare al proprio amato EGO.
L'intervista di Francesco Sarcina. "Speravo rimanesse privato. Odio chi parla dei cavoli propri, però la notizia è uscita e ha destabilizzato tanti che mi vogliono bene". Così Francesco Sarcina, cantante de Le Vibrazioni, nel confermare al Corriere della Sera tutte le indiscrezioni dei giorni scorsi. Apparso provato nelle sue parole, Sarcina conferma di aver saputo del tradimento di sua moglie con Riccardo Scamarcio: "È successo tutto una o due settimane dopo la crisi di novembre, però lei me l'ha confessato a Pasqua". Su questo triangolo, c'è per adesso il silenzio assoluto dell'attore pugliese.
Annalisa Grandi per Corriere.it il 15 luglio 2019. «É partito il tribunale della Santa Inquisizione» affida a Instagram, da brava influencer qual è, Clizia Incorvaia, accusata dal marito Francesco Sarcina, frontman delle Vibrazioni, di averla tradita con Riccardo Scamarcio, per altro loro testimone di nozze ( i due hanno anche avuto una bambina Nina). Questa per ora la sua laconica reazione, mentre il terzo lato del triangolo, Scamarcio, tace. Ma chi è Clizia Incorvaia: eccovi un breve ritratto
Chi è Clizia. Il suo blog, risulta inaccessibile. Il suo nome invece rimbalza su tutti i siti. Clizia Incorvaia, modella, showgirl e fashion blogger, nonché moglie di Francesco Sarcina, frontman delle «Vibrazioni» è la donna di cui tutti parlano, da quando lo stesso Sarcina ha confermato di essere stato tradito da lei con Riccardo Scamarcio. Nata a Pordenone nel 1986 ma cresciuta ad Agrigento, diplomata al Liceo Classico, è laureata in Scienze della Comunicazione.
Gli inizi come modella. A Milano, dove si è laureata, ha iniziato facendo la modella: volto di numerosi brand celebri, protagonista del video musicale «Guardami negli occhi» di Paolo Meneguzzi, l’abbiamo vista in programmi come «Markette» e «Chiambretti Night». Nel 2016 ha partecipato a Pechino Express proprio con il marito Francesco Sarcina.
L’incontro con Francesco. Clizia e Francesco si erano conosciuti nel 2011, nel locale aperto da Sarcina sui Navigli. Lei all’epoca era fidanzata, lui pare stesse attraversando un periodo complicato della vita. Si ritrovano quando lei è tornata single e da lì la convivenza, il matrimonio nel 2015 e la nascita della figlia Nina.
Il blog. In Rete la notorietà Clizia la deve anche a un blog (ora inaccessibile), chiamato «Il Punto C», dove dà suggerimenti sui viaggi e la moda. Insieme alla cantante argentina Lola Ponce ha fondato un brand di moda (presentato ad Agrigento).
I social. Su Instagram, dove aveva annunciato rottura e ritorno di fiamma con Francesco Sarcina, Clizia ha oltre 217mila follower, 28mila su Facebook.
Clizia Incorvaia: «Con Sarcina ci eravamo già lasciati. Scamarcio? Di lui non parlo». Pubblicato giovedì, 18 luglio 2019 da Candida Morvillo su Corriere.it. «Leggo gli insulti sui social per il mio cosiddetto tradimento con Riccardo Scamarcio e penso a Pirandello quando diceva: prima di giudicare la mia vita… mettiti le mie scarpe… Vivi i miei dolori…». L’influencer Clizia Incorvaia ci ha pensato per giorni prima di rispondere all’intervista del marito Francesco Sarcina al Corriere, quella in cui lui si dispera perché lei è stata col suo migliore amico, nonché testimone di nozze. «Quattro anni fa, ci eravamo giurati fedeltà davanti a Dio e a lui», aveva detto sabato il cantautore e leader delle Vibrazioni.
Clizia, perché replicare?
«Perché vivo una gogna mediatica: ricevo immagini e insulti raccapriccianti, un tizio mi ha mandato la foto del suo membro con scritto “stai con me”, mi hanno augurato di bruciare all’inferno. Ho dovuto fare denunce alla polizia postale. Davanti a tanta tristezza, mi sono detta: devo insegnare questo a mia figlia Nina? Mi sono risposta che, invece, le insegnerò ad amare e rispettare gli altri e andrò a testa alta fra i frustrati che sfogano il malessere in una caccia alla strega, sparando a zero non sapendo la verità».
Quale sarebbe la verità?
«L’ha detta anche Sarcina, ma nessuno ci bada: io e lui ci eravamo già lasciati. Io specifico meglio le date: il 16 novembre, avevamo firmato il ricorso per una separazione consensuale, avviata a settembre. Di quanto è successo dopo non sono tenuta a render conto. Ma posso dire che ero uscita di casa il 13 novembre e, due giorni dopo, torno a prendere dei vestiti e lo trovo in cucina con una tipa».
A far cosa?
«Ho un video che non userò. Quest’uomo così ferito e innamorato parla di un’infedeltà che non c’è, in quanto eravamo separati. Lui sbaglia a coinvolgere terze persone e io non ne coinvolgerò altre».
In definitiva, lei è stata con Scamarcio per ripicca?
«Quello che è successo oppure no è la mia vita privata. Nessuno chiede a Sarcina delle sue situazioni in giro per l’Italia, in ristoranti con donne sempre diverse di cui mi arrivavano notizie e foto. Io non racconto cosa faceva lui, ma durante il matrimonio io sono stata monogama. E prevengo la domanda successiva: ora, non sto con Scamarcio né con altri».
Per suo marito, lei era libera di far tutto, non di andare con «suo fratello».
«Dovrebbe anche dire che lui si faceva la sua vita da prima e che io l’ho lasciato perché ho passato gli ultimi due anni da sola».
Da sola perché?
«Lui fa due mesi di tour, poi potrebbe stare a casa, invece è sempre fuori fino all’alba o a Milano. A far cosa non lo so, ma ho sempre creduto alla sua sincerità».
Com’è stato leggere la sua intervista?
«Ho pianto. Proprio lui, che disprezza il gossip e mi addita per la mia vita social con cui mi guadagno l’indipendenza, ha usato il gossip, per amor proprio o per vendere il prossimo singolo, esponendoci al disprezzo, dimenticandosi di proteggere la figlia. Però, voglio considerarlo sempre il padre splendido che è stato e, da principessa guerriera, combattere e salvarmi da sola. Eppure, avevo provato a resistere: a febbraio, ci ero tornata per amore della famiglia».
S’è pentita d’avergli detto, a Pasqua, di Scamarcio?
«Non rispondo perché non dico neanche se con lui qualcosa c’è stato o no».
La separazione diventerà giudiziale e con addebiti?
«Io ho sperato che ci lasciassimo con un abbraccio, ma valuteremo con gli avvocati. Spero di uscirne ancora convinta che esistano uomini che ti fanno sognare e che mia figlia sarà rispettata dal suo compagno».
Sarcina dice che la notte non dorme. Lei dorme?
«Non credo che non dorma, lo dice per ingraziarsi i moralisti. Però, esiste anche l’Italia che sta con me e mi scrive con affetto. Io dormo perché sono stata sincera».
Anticipazione dell’articolo di Alberto Dandolo per “Oggi” il 24 luglio 2019. Riccardo Scamarcio, Clizia Incorvaia e Francesco Sarcina: il triangolo amoroso tra i due (ex) amici fraterni e i due (ex) coniugi svelato da Oggi è lo scandalo dell’estate. E il settimanale Oggi (in edicola da giovedì 25 luglio) per la prima volta fa sentire la voce di Scamarcio: ecco le confidenze fatte dall’attore a una persona a lui molto vicina.
LA CONFIDENZA A UN AMICO - «È una storia che non sta né in cielo né in terra! Inventata di sana pianta da Clizia». Così Riccardo Scamarcio, secondo una persona a lui molto vicina, avrebbe commentato il suo presunto flirt con Clizia Incorvaia, ormai ex moglie del cantante delle Vibrazioni Francesco Sarcina, suo grande amico. L’attore pugliese non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione ufficiale in merito all’intricata vicenda. Ha preferito la via del basso profilo in attesa che col tempo il clima si rassereni e che si allenti la grande attenzione e pressione mediatica di queste ultime settimane.
“ERA OSSESSIONATA” - Ma una persona molto vicina a Scamarcio ha confessato a Oggi: «Ho incontrato Riccardo qualche giorno fa. Mi è apparso sereno e rilassato. Sulla questione “corna” mi ha liquidato con queste poche ma significative parole». La versione di Scamarcio, raccolta dal suo amico, è questa: «Riccardo mi ha detto: “Devi sapere che Clizia era ossessionata dal mio rapporto con Francesco. Noi avevamo una complicità che raramente si stabilisce in un’amicizia. Ci capivamo al volo, avevamo le stesse passioni ed eravamo in grado di anticipare l’uno le azioni dell’altro. La Incorvaia non tollerava il nostro affetto e ha deciso di farmela pagare. È stata lei, a causa della sua gelosia patologica, a creare tutto questo casino rivelando a Francesco una passione che tra me e lei non si è mai consumata. Se la sua intenzione era quella di uccidere per sempre un’amicizia devo dire che non avrebbe potuto trovare modo migliore per farlo».
La verità di Clizia Incorvaia: «Tra Riccardo Scamarcio e il mio ex marito Francesco Sarcina un patto machista. Ora vi dico cosa è successo davvero». Pubblicato mercoledì, 24 luglio 2019 su Corriere.it. «Riccardo Scamarcio dice che mi sono inventata tutto e che fra noi non c’è mai stato niente? Mi fa sorridere questa solidarietà maschile. E mi spiace che, mentre il mio ex marito Francesco Sarcina mi voglia far passare per la protagonista della Lettera Scarlatta, il signor Scamarcio mi voglia far passare per bugiarda». Clizia Incorvaia non ha preso bene l’indiscrezione del settimanale Oggi. Non una vera dichiarazione dell’attore, ma una fonte anonima, un «amico di Scamarcio», secondo il quale lei si sarebbe inventata il tradimento per far litigare i due amici del cuore. Scamarcio, infatti, era stato il testimone di nozze del cantautore, leader delle Vibrazioni. Riassunto delle puntate precedenti. I primi di luglio, il settimanale Oggi scrive che Sarcina e la moglie si sono lasciati e che lei sta con Scamarcio. Il 13, sul Corriere, Sarcina dice che la moglie le ha confessato d’averlo tradito con l’attore, nonché suo amico fraterno, che la confessione risale alla scorsa Pasqua e il tradimento a novembre 2018, nel mezzo di un periodo di crisi di coppia. Già allora, il Corriere scriveva che risultava che Scamarcio negasse di essere stato a letto con la moglie dell’amico. Sarcina rispondeva: «La verità la sanno loro due e la casa dove si sono visti». Pochi giorni dopo, Clizia replica all’intervista del marito, specificando che avevano firmato la separazione il 16 novembre e, che se pure lei fosse stata successivamente con Scamarcio, era una donna libera che non doveva rendere conto a nessuno. Clizia, cosa si sente di aggiungere a quello che ha già detto? «Che mai avrei pensato di trovarmi trascinata in chiacchiere di questo tenore, che ho fatto di tutto per difendere da queste storie mia figlia, che ha quattro anni. La cresco coi valori di una famiglia matriarcale, fatta di donne forti, dove mia nonna manteneva tutti e veniva trattata come una regina. Però, adesso, devo per forza difendermi, devo essere la Clizia guerriera che non può farsi vittima sacrificale del maschilismo di uomini che si danno man forte fra loro. Mi sento come Scarlett Johansson in Match Point, quando finisce ammazzata». In sintesi, adesso rivendica di essere stata con Scamarcio? «Io ero separata. Era dicembre e Francesco si stava facendo la sua vita. Ho incontrato Riccardo a casa sua, in amicizia, e c’è stato un bacio, di cui ci siamo pentiti subito dopo. Non siamo stati a letto insieme, ci siamo subito ritratti. Nessuno ha ossessionato l’altro, nessuno voleva stare con l’altro. È successo in un momento forse di fragilità, ci siamo riavuti subito, per me non ha contato nulla e per lui nemmeno». Dopo, cos’è successo? «Che io, per evitare di rovinare l’amicizia fra Francesco e Riccardo, sono stata zitta. Che a febbraio, per amore della famiglia, mi sono fatta convincere a dare un’altra occasione al nostro matrimonio e che mi sono guardata bene dal raccontare quell’episodio». Che ha confessato a Pasqua. «Io e Francesco tornavamo dalle vacanze di Pasqua, eravamo stati in Puglia, anche da Scamarcio. Al ritorno, nel corso di un viaggio in auto di otto ore, Francesco mi ha messa sotto torchio, mi ha fatto un interrogatorio. Diceva che ero strana, che si sentiva che gli nascondevo qualcosa, che lui è uno Scorpione, che le cose le sogna, le capisce». E lei ha confessato. «Mi ha lanciato via il telefono, mi ha messo pressione, e gliel’ho detto». Lui non ha creduto al casto bacio.«È come nella fiaba dove ci sono due ombre proiettate sulla parete, l’innamorato vede due amanti e l’assassino vede uno che sta ammazzando un altro. Io sono una persona onesta e, se mi dici una cosa, ci credo, neanche m’immagino che mi si possa raccontare una bugia. Lui ha voluto vedere la bugia». Scamarcio, o meglio la fonte anonima che parlerebbe per lui, sostiene che lei si è inventata tutto per rovinare la loro amicizia. «Io, per amore di mio marito, ho accolto i suoi amici e ho messo da parte i miei, i compagni di laurea della Cattolica di Milano. Quando loro due si chiudevano nello studio, portavo amorevoli aperitivi. Quando è successo l’incidente, ho cercato di proteggere tutti. Io so che ora il mio ex marito è una persona ferita che non voleva essere lasciato. Era un’anima rock che amava star fuori la notte e tornare a casa da Clizia a respirare aria di famiglia. Il nodo è che io non volevo stare con un uomo machista e che lui non sopporta di essere stato lasciato, e che l’amico, gli dà manforte. È la solita, brutta, storia di gettare melma su una donna che non deve aver diritto di essere felice».
Anteprima stampa da “Chi” in edicola da mercoledì 7 agosto. «Scamarcio dice che mi sono inventata la storia del nostro bacio per farmi pubblicità e sfruttare la fine del mio matrimonio con Francesco Sarcina. Intanto è stato Francesco a raccontare tutto. E prima che questo accadesse io lavoravo di più. Altro che pubblicità. In seconda battuta, in realtà Scamarcio ha parlato tramite un amico. Ma io devo rispondere a Scamarcio o al suo amico? Se deve parlare, parli e io risponderò a lui, non agli amici. Il mondo è fatto di uomini, mezzi uomini, ominicchi e quaquaraquà. Che il signor Scamarcio si prenda le sue responsabilità». Non usa mezzi termini Clizia Incorvaia, nel commentare sulle pagine di Chi, in edicola da mercoledì 7 agosto, le polemiche nate dopo le rivelazioni sulla fine del suo matrimonio con Francesco Sarcina, fine che ha visto coinvolto anche Riccardo Scamarcio, un tempo migliore amico del musicista e suo testimone di nozze. Sarcina ha rivelato di aver saputo dall'ex moglie che lei lo aveva tradito con Scamarcio circostanza che l'attore avrebbe negato non direttamente ma attraverso un amico. Ora per la prima volta la protagonista femminile della Storia, Clizia Incorvaia racconta la sua verità in una lunga intervista, la prima da quando è scoppiato lo scandalo, al settimanale diretto da Alfonso Signorini. «È successo di tutto, mi hanno scritto di bruciare all’inferno, mi hanno mandato foto che mai avrei pensato di ricevere. Ho dovuto sporgere varie denunce alla polizia postale, siamo arrivati a un livello incredibile di violenza: ormai sembro la protagonista della Lettera scarlatta». Sarcina ha detto che, quando ha saputo del bacio, eravate in auto e lui è sceso per vomitare. «Veramente è uscito dalla macchina a vomitare parolacce: “Sei una t...”. », spiega Clizia a Chi. «Ma quel bacio non ha rappresentato proprio niente nella mia separazione: ci siamo ritratti subito, pentiti immediatamente, è stata una cosa stupida e priva di senso. Ma ero io che venivo tradita, che restavo a casa da sola, che subivo violenza psicologica. Francesco voleva farmi sentire una nullità, invece io voglio essere una donna forte. Anche per mia figlia. Prima vivevo nel mio mondo fatato, mi sentivo una principessa che voleva essere salvata: adesso so che, se mi salvo, mi salvo da sola. E poi ho capito che è inutile ingoiare tanti rospi per un uomo: anche se lo fai, quell’uomo non si trasformerà mai in un principe».
Valeria Morini per tv.fanpage.it il 14 ottobre 2019. Il clamoroso triangolo Clizia Incorvaia-Francesco Sarcina-Riccardo Scamarcio, uno dei casi di gossip più chiacchierati dell'estate, torna prepotentemente in primo piano a Live – Non è la D'Urso. Fu il cantante delle Vibrazioni a sostenere di essere stato tradito dalla ex con Scamarcio, ma la Incorvaia, ospite da Barbara D'Urso nella puntata del 14 ottobre, ha raccontato la sua versione dei fatti, diametralmente opposta. La situazione è delicata, ci sono di mezzo gli avvocati. Finora ho protetto mia figlia Nina, ma ho deciso di dare voce alla verità. Non temo nessuno. Non ci eravamo separati a settembre, a febbraio siamo tornati insieme perché credevo ancora all'amore eterno. Ad aprile lui dice: "Vuotiamo il sacco, voglio che tu mi dica cosa hai fatto durante la nostra separazione, io ti dirò cosa ho fatto". Io non volevo, eravamo fragili, non volevo sapere delle sue donne, era masochismo puro. Quella sera mi fece violenza psicologica, otto ore di interrogatorio, spaccò il telefono. Ho confessato il bacio con Scamarcio.
Incorvaia: Mi ha lasciato due anni da sola a casa. Barbara D'Urso l'ha invitata a fare attenzione alle parole, ma la Incorvaia ha rincarato la dose: “Ho subito due anni pesantissimi, che non auguro a nessuna donna sulla Terra, i più brutti della mia vita. Sono stata danneggiata da punto di vista psicologico, morale, della sessualità. Ho vissuto due anni sola a casa, con mia figlia Nina, l'ho cresciuta sola tipo ragazza madre. E lui ogni giorno in giro, fuori fino alle sei di mattina. Lui fa i tour solo d'estate. D'inverno aveva una cena di lavoro ogni sera, dal lunedì alla domenica. Io da cretina credevo sempre. Poi mi arrivavano le segnalazioni. Lui denigrava il mio lavoro nella moda, mi lasciava fuori dagli eventi. Toglievo attenzione alle Vibrazioni e non potevo uscire con loro. Andava ai party e mi arrivavano segnalazioni su Instagram di ragazze che erano state con lui. Ho trovato delle chat su Facebook con le fan, di lui che scriveva a ragazze italiane, chiedendo in cambio materiale pornografico e incontri. Ho tutto conservato".
La gogna mediatica, Sarcina definito un egocentrico maschilista. La modella e influencer, dunque, ha smentito di aver tradito l'ex marito, in quanto l'incontro fugace con Scamarcio sarebbe avvenuto nei mesi della separazione. Al contempo ha replicato alla dichiarazione di un amico dell'attore, che – parlando a suo nome – ha del tutto smentito quello stesso incontro. Le parole di Clizia (che con Sarcina fece Pechino Express) sono durissime e parlano di un matrimonio traumatizzante e all'insegna di continui tradimenti da parte di lui. Per giunta, la Incorvaia non dimentica l'inferno delle critiche che ha subito sui social in questi mesi. Ho avuto due anni di attacchi panico. Ho sempre avuto autostima, e uomini meravigliosi prima di lui. Ora non so come mi relazionerò con gli altri, con un uomo. Non potevo stare più zitta. Quando è scoppiato questo bombardamento mediatico ed è lui che ha additato me, lui che chattava con altre a un mese dalla nostra relazione, ho scoperto di essere stata con un bluff. Mio marito mi voleva far passare per una poco di buono, e Riccardo per una bugiarda. Incredibile il patto machista tra uomini. Il bacio c'è stato, Riccardo probabilmente nega perché Francesco pensa ci sia stato altro. Ho capito che si sente tradito dal suo migliore amico, ma eravamo separati. E non è che lui era in Tibet, stava morendo e lei è una stronza. Si stava facendo la sua vita, durante e dopo il matrimonio. Dovrebbe apprezzare il fatto che ho detto la verità, quanti l'avrebbero fatto? Non ha vomitato come ha detto dopo che gliene ho parlato, ha vomitato parolacce. Ho ferito solo l'ego di un egocentrico maschilista, che vuole fare rock'n'roll ma poi vuole la brava mogliettina a casa, che ha cresciuto anche suo figlio Tobia (nato da una precedente relazione, ndr) come una seconda madre. Ho colpito nel suo orgoglio di maschio. In che rapporti sono oggi Francesco Sarcina e Riccardo Scamarcio? Non lo so. Sento il mio ex marito solo per messaggio, per parlare di nostra figlia. Scamarcio non l’ho più sentito, visto che ha fatto parlare il suo amico; se vuole mi parlerà lui, io non parlo con l'amico di Scamarcio. Non esiste che una donna debba subire un bullismo mediatico, mi hanno detto di bruciare all'inferno. C'è gente che è caduta in depressione e ragazze che si sono ammazzate per queste cose. Nella vita bisogna essere coerenti. Essere rock, come direbbe Celentano, è un'altra cosa.
Clizia Incorvaia torna a parlare di Sarcina: "Ho visto le chat". Nuove ombre oscure sulla vicenda del triangolo tra Clizia Incorvaia, Francesco Sarcina e Riccardo Scamarcio, raccontate durante "Live non è la d'Urso". Roberta Damiata, Martedì 29/10/2019, su Il Giornale. Torna a “Live non è la d’Urso” Clizia Incorvaia, l’ex moglie del cantante Francesco Sarcina accusata con un’intervista del cantante di averla tradita con il suo migliore amico nonché testimone di nozze Riccardo Scamarcio. La volta scorsa la Incorvaia aveva raccontato la sua versione dei fatti, dicendo che con Scamarcio c’era stato solo un bacio e che l’intervista dell’ex marito l’aveva esposta ad una gogna mediatica e raccontava la sua versione dei fatti. Questa settimana, Barbara l’ha voluta di nuovo in studio non dopo aver sentito la versione di Francesco Sarcina, che però non vuole comparire, e che ha detto che quelle raccontate da Clizia sono tutte bugie. “Nega cosa? - risponde arrabbiata la Incorvaia - io ho tutte le chat che lui si scriveva con le ragazze sui social, e dopo la mia intervista sono stata invasa dalle telefonate di ragazze che hanno avuto relazioni più o meno lunghe con lui”. La cosa però non piace ad uno degli opinionisti che la attacca: “Ma tu dove vuoi arrivare? Vuoi il sangue? Ma lo sai che tua figlia porta il suo cognome?” “Io voglio raccontare la verità - sbotta Clizia - perché lui mi ha sottoposto ad una gogna mediatica, mi ha impedito per due anni di uscire da casa perché diceva che la band si era appena rimessa insieme e io potevo interferire”. Ma la cosa che lancia sospetti e anche ombre oscure è quella di Giovanni Ciacci, molto amico della Incorvaia che la difende, perché con lei ha passato un’estate intera e sa come si è comportata anche e soprattutto nei confronti della bambina. “Clizia, sta difendendo sua figlia - racconta Ciacci - e non sta raccontando tante cose che sono successe”. Clizia conferma, e dice che comunque alla figlia continua a raccontare che il papà è un principe e lo sarà per sempre. E preferisce che quando sarà più grande preferisce che legga di una sciocchezza come un bacio dato a Scamarcio, piuttosto che cose più forti di suo padre. Il mistero rimane.
Francesco Fredella per Nuovo il 31 ottobre 2019. Colpo di scena sul caso di Francesco Sarcina e Clizia Incorvaia. A gettare benzina sul fuoco della crisi tra il leader de Le Vibrazioni e la showgirl è Barbara Cocca. La modella racconta in esclusiva a Nuovo, in un’intervista firmata da Francesco Fredella, di come lui l’abbia corteggiata - prima sul web poi di persona - mentre era ancora sposato. Dichiarazioni, le sue, che confermerebbero le recenti accuse dell’ex moglie di Sarcina. Lui sostiene che a far finire il matrimonio sia stato il flirt della Incorvaia con l’amico e testimone di nozze Riccardo Scamarcio, lei punta il dito contro il cantante accusandolo di averla tradita con ragazze di tutta Italia. A questo punto interviene la Cocca: “Dopo l’intervista della Incorvaia in tv le ho scritto un messaggio sui social, lei ha voluto il mio numero e ci siamo parlate”, spiega la giovane romana avvicinata da Sarcina con le stesse modalità raccontate dall’ex moglie dell’artista nel salotto tv di Barbara d’Urso. Nuovo raggiunge anche lui. Ma taglia corto e dice: “Se volete un’intervista contattate il mio ufficio stampa. Però io parlo solo della mia carriera musicale: lasciamo le chiacchiere ai chiacchieroni”. La Cocca, a Nuovo, rivela: “Credevo fosse separato. Mi faceva credere di essere libero”. Su Nuovo, in edicola questa settimana, l'intervista completa.
· Pippo Franco.
Dagospia il 16 novembre 2019. Da I Lunatici Radio2. Pippo Franco è intervenuto ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino. Il popolare attore e comico romano ha raccontato alcuni aspetti di se: "Quando andavo a scuola ero uno che non si faceva notare, abbastanza timido. Poi di colpo sono diventato scalpitante e sono esploso al liceo, ho fatto l'artistico, sono diventato senza freni, sotto tutti i profili. Anche con i professori avevo un rapporto meraviglioso, ho iniziato a fare il pittore prima e poi il musicista. Nel 1960 ho fatto il mio primo film, c'erano Modugno e Mina, debuttavano anche Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Mi si è posto un dilemma: il film si girava nel giorno in cui avevo un esame. Mi sono chiesto cosa avrei dovuto fare. Se preferire il film o fare l'esame. Ho preso un treno, sono partito, ho fatto il film e da lì è cambiata la mia vita. La vita ti pone sempre davanti a delle scelte. Per fare quella giusta, bisogna seguire la nostra parte istintuale, che è in contatto diretto con la dimensione artistica e spirituale che ci appartiene. Se ci facciamo guidare solo dalla mente rischiamo di sbagliare. Se seguiamo gli istinti non sbagliamo mai". Ancora sulla sua carriera: "Abbiamo inventato un genere, quello della satira politica e di costume. I politici facevano a gara per venire da noi al Bagaglino. Solo uno non è mai stato nostro ospite: Bettino Craxi. Pensavo non gli piacessimo, ma quando ho avuto modo di conoscerlo mi ha mostrato molta simpatia. Credevo che a lui il nostro programma non piacesse perché c'era un nostro attore che lo imitava e gli somigliava parecchio, invece mi ha fatto capire che lo gradiva, esprimendo anche un senso dell'umorismo che non conoscevo. La politica nel passare degli anni è cambiata, all'epoca potevamo mettere in scena tutto quello che accadeva perché durante la settimana accadevano alcune cose. Oggi non faremmo in tempo a stare dietro ai politici perché vanno a una velocità supersonica, andando in onda dopo una settimana le notizie sarebbero tutte quante vecchie. Oggi tutto cambia con una velocità enorme, ci sono talmente tante contraddizioni che è difficile spiegarle tutte". Sulle donne con cui ha lavorato: "Ho lavorato con le donne più belle e più brave dello spettacolo italiano. Dalla Fenech in poi. Vedevo la loro incertezza, la loro fragilità, cercavo di proteggerle e di portare avanti il lavoro. Le ho viste sempre sotto un altro profilo, il mio compito era quello di proteggerle e di essere presente con tutto l'umorismo di cui ero capace. Bellissime donne, ma soprattutto esseri umani. Sul bagaglino Pamela Prati e Valeria Marini hanno segnato parecchio il senso della popolarità. Sono apparse in un momento in cui le cose stavano cambiando. Si sono alternate. La Prati era il simbolo della donna tipica del bagaglino, della soubrette. Valeria Marini negli anni ha fatto un botto importante. Ha fatto dimenticare tutte le bellone dell'epoca surclassandole tutte. Nel corso della vita poi è diventata molto sveglia, intelligente, è cresciuta in un modo per me inimmaginabile. Anche la Prati si è data talmente tanto da fare che di recente non si parlava altro che di lei. Senza dubbio sono le due figure che hanno avuto il successo maggiore".
Da radiocusanocampus.it il 18 ottobre 2019. Pippo Franco è intervenuto ai microfoni di “Un Giorno Da Ascoltare” con Misa Urbano e Arianna Caramanti su Radio Cusano Campus, svelando qualche retroscena sulla fidanzata di suo figlio Gabriele, dopo l’esperienza di Temptation Island Vip. Sulla televisione italiana. “La speranza di rivedermi in tv è vana, ormai la tv è finta e fortemente degradata, non c’è più nulla di vero ed è tutto quanto costruito: tutta la tv di oggi si basa su realtà più o meno inesistenti, c’è il bisogno di fare gossip, di fare scandalo. Non esiste più quella che era l’interpretazione del nostro tempo, ovvero la satira politica e di costume: oggi è diventato tutto esteriore, vedo soltanto ombre in televisione! Le uniche cose che guardo volentieri in tv sono i telegiornali perché oggi quello che viene proposto è il vuoto, l’esteriorità, l’uomo è diventato un numero e in prima serata si vedono solo cose leggere e inerenti al gossip! La tv ormai non mi appartiene più. Un programma come il Bagaglino che faceva satira politica ai nostri tempi non si potrebbe fare perché oggi i politici smentiscono prima ancora di dichiarare le cose: oggi viene detta una cosa, domani viene detto il contrario, ormai funziona così, si va a una velocità supersonica!” Su Temptation Island Vip. “La partecipazione di Gabriele, mio figlio, a Temptation Island Vip l’ho vissuta con una sorta di patema d’animo: è un mondo impervio, accadono cose incredibili, è il programma delle coppie che scoppiano! Al di là di tutto, conosco Gabriele ed ero sicuro che se la sarebbe cavata anche in questa esperienza. Guardando Silvia in tv, la fidanzata di mio figlio, finalmente ho scoperto che persona sia, è servito a me e mia moglie per conoscerla perché non ho mai parlato con lei, l’ho vista solo di passaggio quattro al massimo cinque volte ma ci siamo sempre limitati a un “ciao”! Lei si è fatta vedere per quello che realmente è così come Gabriele che è una persona, come si è visto nel programma, allegra e divertente. In molti infatti mi hanno detto che hanno rivisto me in Gabriele per molti lati caratteriali anche se io non so fare il twerk. Tutto sommato sono molto contento per come si è fatto conoscere al grande pubblico e anche per come sono andate le cose con Silvia”. Un reality show con suo figlio Gabriele. “Farei molto volentieri un reality show con mio figlio, il problema è che i dirigenti televisivi non ci arrivano o per lo meno sono troppo legati alle convenzioni e si spaventano per le nuove idee, non hanno idea del fatto che fare audience è un vero e proprio mestiere: mettere a confronto due generazioni attraverso un reality sarebbe sicuramente un’idea vincente ma i dirigenti non lo capiscono e a volte hanno fatto addirittura fallire un’intera rete”.
· Christian De Sica.
Marco Giusti per Dagospia l'11 novembre 2019. Brrrr…. Paura…. “Ma che è sto bagnaticcio?” – “Me so’ pisciato addosso”. “Chi sei?” – “Sto cazzo!”. Ci risiamo. Torna Christian De Sica, attore e regista, con l’aiuto del figlio Brando, in questo spettacolare Sono solo fantasmi, divertente horror-comico su soggetto di Nicola Guaglianone e Menotti, sceneggiatura scritta assieme a Andrea Bassi e Luigi Di Capua, che vede tre fratelli acchiappafantasmi interpretati da Carlo Buccirosso, Gian Marco Tognazzi e dallo stesso Christian, alle prese con una marea di fantasmi napoletani particolarmente aggressivi. Il più fetente è il fantasma scorreggione che tormenta il ristorante “La cozza d’oro” di Tommaso Bianco, che vediamo volare in mezzo al salone centrale sparando merda su tutti. La più cattiva è la il fantasma della strega Janira che vuole vendicarsi sui napoletani seppellendoli sotto il Vesuvio. Rispetto ai cinepanettoni dell’epoca De Laurentiis con Boldi e Christian siamo qui alle prese con una commedia decisamente moderna, all’americana, girata con trucchi e effetti speciali più che onorevoli, e le vecchie battute del genere, i vattelapigliand…. sono relegate a punteggiature del personaggio di Christian. Più sostanziale, insomma, è la rilettura alla Guaglianone del genere, il mischiare Napoli, commedia e fantasmi, che funziona molto bene, direi, grazie al set, grazie al cast e grazie a una regia a quattro mani che lascia la commedia al De Sica padre e l’horror al De Sica figlio. Orfani del giocatore incallito e viveur, i tre orfanelli, figli di madri diverse, Thomas, cioè Christian, mago cialtrone romano, Carlo, Carlo Buccirosso, napoletano trapiantato a Milano sposato con moglie ricca e antipatica, che parla anche in milanese, e Ugo, Gian Marco Tognazzi, il più matto, quello che studia i fantasmi di Napoli, scoprano ben presto che il padre gli ha lasciato solo una casa a Napoli, grande sì ma sotto ipoteca da 150 mila euro. Se entro 40 giorni non troveranno quella cifra, la perderanno. Diventati acchiappa-fantasmi grazie agli studi del fratello Ugo, scoprono così che Napoli è piena di fantasmi e di gente pronta a pagarli per eliminarli. Decidono così di salvare la loro proprietà. Il resto ve lo vedete. Ripeto. E’ divertente. E anche la parte horror funziona. Per non parlare dei tanti riferimenti ai film di De Sica padre legati a Napoli, da L’oro di Napoli con la signora Cuccurullo e alle battute di Leo Gullotta riprese da Oggi, domani e dopodomani. Christian, appesantito e con un capello che lo rende un mischione di parodia di Elvis Presley e del vero Richard Benson, è al meglio, si sdoppia perfino nel ruolo del padre Vittorio in una imitazione-omaggio impressionante da quante è perfetta. Buccirosso non perde una battuta, come al solito, e Tognazzi, anche se non è napoletano, si muove bene nel ruolo forse meno definito dei tre. Ai tre protagonisti si unisce un gran cast di attori di talento e di belle presenze, da Leo Gullotta, meraviglioso, a Tommaso Bianco, da Nadia Rinaldi a Carmen Russo, dalla “eduardiana” Graziella Marina come vecchia fantasma a Luciana De Falco a Mimma Lovoi. In sala dal 24 novembre.
Christian De Sica e i suoi tormentoni per Le Iene. Le Iene il 02 dicembre 2019. Ogni volta che parla di suo padre per lui è una festa. Christian De Sica, attore, regista e qualche volta sceneggiatore si racconta nella nostra intervista de Le Iene. Il senso della vita? Amare il prossimo. La paura più grande? La morte. E poi parla di cinema, rimpianti e proposte indecenti. Christian De Sica è un comico che dice di non sapere se è un bravo attore, anche se l’affetto della gente giovane glielo conferma. Considera “Vacanze per Natale” il film che rimarrà nella storia e dice che una persona seria non fa l’attore. Sposato da 40 anni, può perdonare un tradimento e non ha mai spiato il cellulare di sua moglie. “La mia superficialità mi ha sempre salvato, quando uno è incosciente vive meglio”, dice. Ci parla del suo ultimo film “Sono solo fantasmi” e ci dice perché dovremmo guardarlo. “Perché con un biglietto puoi guardare due film: un horror e una commedia”. Voti: 6 come attore, 7 come regista, 10 come cantante. Cosa gli dà fastidio? “Quando mi dicevano di essere figlio di papà, ma in realtà non avevo una lira. Mi sono fatto un grande culo”. Per questo dice di avere tantissimi nemici perché “sono invidiosi”. Come fa a tenersi giovane? “Frequento gente più giovane di me”. E comunque la mattina capisce che nemmeno questo lo aiuta: “Invece di alzarmi come prima, lo faccio piano piano”. Esistono anche vantaggi: quando si invecchia, si dice quello che si pensa. Maurizio Costanzo è per lui il suo mentore, mentre Isabella Rossellini un grande amore. A Carlo Verdone vuole un bene da morire, anche se “è un grande rompipalle”. L’attrice più bella? Ornella Muti. Parlando un po’ di gossip: cosa ne pensi di Massimo Boldi e la sua fidanzata 34enne, sei invidioso? “Eh, molto... per quello che fa!”. Abbastanza ricco per non lavorare? No, perché deve mantenere non una famiglia ma una cooperativa. I comici sono di sinistra? “Non tutti, i più grandi come Totò e Sordi erano di destra”. Ha paura della morte e vuole avere scritto sulla sua tomba: “Non mi rompete il cazzo”. Passiamo alle domande più piccanti. La prima volta l’ha fatto a 12 anni e gli è venuta anche la febbre: “Avevo scoperto la figa”. Cialis o Viagra? “Grazie a Dio ancora funziona da solo! E infine parliamo di proposte indecenti: “È successo una volta, non l’ho accettato. Ho dato in cambio una pizza. Era un uomo”.
La Napoli di Christian De Sica è piena di fantasmi (paterni). Nel nuovo film l'attore e regista racconta una Partenope misteriosa ma da ridere. E ridà vita al grande Vittorio. Cinzia Romani, Martedì 12/11/2019, su Il Giornale. Vedi Napoli e poi muori. E ce ne sono tante di anime in pena, in quel di Partenope. Così Christian De Sica, in un colpo solo, resuscita il padre Vittorio e lancia il figlio Brando con Sono solo fantasmi, commedia horror (da giovedì con Medusa) ambientata ai piedi del Vesuvio. Firmato, co-sceneggiato e interpretato dal comico romano, ma di fatto orchestrato da suo figlio - con gusto per gli effetti speciali- , il divertente film con Carlo Buccirosso e Gian Marco Tognazzi agita fantasmi tra Forcella e Posillipo. Primo fra tutti, lo spettro di papà Vittorio, evocato nel sembiante e nella voce. Perché i tre spiantati fratelli De Paolo, alla morte del padre giocatore e donnaiolo (come l'autore di Ladri di biciclette), scoprono d'aver ereditato debiti solamente. E s'improvvisano cacciatori di fantasmi a scopo di lucro. Mal gliene incoglie: la strega Janira si risveglia ed è tutto un vorticare di sedie, tavoli e zombies «Volevo fare un remake de L'Oscar insanguinato di Vincent Price, con Massimo Boldi: due attori falliti vanno in giro a uccidere giornalisti e critici di cinema, come Piera Detassis. Ma mi è venuto in aiuto mio figlio, specializzato in horror e ho raccontato una Napoli diversa, più solare rispetto a Gomorra e ai film sulla camorra. Certo, il personaggio di Vittorio, napoletano, giocatore e donnaiolo, con tre figli da tre madri diverse, è un omaggio a mio padre. In questo Paese si dimentica in fretta: chi parla più di Anna Magnani?», spiega Christian, qui travestito da suo padre, gessato, baffetti e aria da gentiluomo compresi. Magari, Christian ha mangiato troppe sfogliatelle per essere identico a De Sica senior, ma la somiglianza impressiona e fa nostalgia. Poiché non gli riesce di mettere in piedi Le porte del cielo, film sulla vicenda amorosa tra suo padre e sua madre, l'attrice spagnola Maria Mercader, anche sorella dell'assassino di Lev Trockij, Jaime Ramòn Mercader, Christian punta sulla horror comedy, genere da noi non più gettonato dai Settanta. «Pago lo scotto d'aver fatto tanti film leggeri, che m'hanno dato notorietà. Al mio nono film da regista, non posso più fare il puttaniere o il maschilista. Magari, il cardinale o il principe senza soldi, come mio padre negli ultimi tempi. Dopo 110 film volevo cambiare e una troupe giovane e l'entusiasmo di mio figlio, m'hanno dato la giusta energia», spiega l'interprete, nel tempo premiato con 3 David di Donatello, 2 Nastri d'Argento e vari Biglietti d'Oro. «Non so se sono bravo o mediocre, ma l'affetto del pubblico giovane mi colpisce», riflette Christian, raccontando che, ogni tanto, spuntava fuori una nuova sorella. «Al funerale di mio padre, una culona s'è girata e aveva la mia faccia! Le ho chiesto: E tu, chi sei?. E lei: Io sò Ines. Chiesi lumi a mia madre», scherza l'attore, qui nel ruolo d'un mago fallito, che saprà riscattarsi. Sono solo fantasmi è denso di citazioni: da L'oro di Napoli a Matrimonio all'italiana, circola l'atmosfera affettuosa d'un certo modo d'intendere il cinema. Carlo Buccirosso, inoltre, nella parte del fratello milanese d'adozione, è impagabile quando cambia registro linguistico e si ricorda d'essere partenopeo. Del terzetto è l'unico a non avere il nome in cartellone da lustri, l'altro protagonista essendo Gian Marco Tognazzi, figlio di Ugo (nel film, si chiama pure Ugo).
Da liberoquotidiano.it il 10 novembre 2019. L'intervista di Mara Venier a Christian De Sica in diretta a Domenica in, su Rai uno, ad un certo punto, ha avuto una impennata di comicità e imbarazzo. Alla fine della chiacchierata con la conduttrice, il figlio del maestro del cinema Vittorio De Sica, ha toccato il sedere alla Venier. Giustificandosi così: "Famme tocca' che porta bene". Ma i momenti di allegria non sono finiti qui. Ad un certo punto De Sica ha raccontato del suo primo grande show a Montecarlo alla presenza di Grace Kelly e consorte e molte altre celebrità. Dopo aver festeggiato con la sua band, ha rivelato, si è addormentato nell'ascensore dell'hotel ma mentre era assopito si è "liberato" lasciando un odoraccio nell'abitacolo. "Sai chi entrò dopo? La Regina di Giordania".
Da leggo.it il 10 novembre 2019. A Domenica In arriva Christian De Sica, che con verve comica e un po' di emozione racconta della sua vita, della sua famiglia e dell'ultimo film nelle sale. Non è mancato il ricordo di suo padre Vittorio, maestro del Neorealismo italiano: «Non ci ha lasciato in una situazione finanziaria felice perché era un giocatore d'azzardo. Ha fatto bene però, si è goduto la vita, e mi ha lasciato tanto altro, non i soldi, ma cose più importanti». Il padre desiderava che lui si laureasse, ma Christian aveva l'arte nel sangue e ha iniziato a fare cabaret e varietà quando era giovanissimo. «Mi dispiace che se ne sia andato così presto perché avrebbe potuto darmi dei consigli. All'inizio mi paragonavano a lui, ma è impossibile. Lui era un maestro del cinema, io volevo fare cose diverse». L'attore ha raccontato anche di quando era in punto di morte e ha fatto una battuta sul lato B di un'infermiera: «Mi voleva far ridere anche in questo momento. Lui mi diceva sempre "cerca di godere ogni attimo. Goditi anche l'attesa alla stazione"». Parole anche per suo fratello Manuel, scomparso recentemente, e per la mamma: «Mio fratello mi manca, ma la perdita più dolorosa è stata quella di mia madre. Sono fortunato perché mio padre lo vedo ovunque, nei film o nei video televisivi. Di mia madre ho solo fotografie». Mara Venier ha poi mostrato le immagini della famiglia costruita con la moglie Silvia Verdone, sorella del più famoso Carlo: «Ci sopportiamo da più di quarant'anni, da quando frequentavo la sua casa. Christian De Sica ha parlato, infine, del suo ultimo film, girato quasi interamente a Napoli con Gian Marco Tognazzi Carlo Buccirosso tutto a Napoli. Di questo lungometraggio è anche regista. Al suo fianco, come aiuto, suo figlio Brando.
“Una volta ci si vergognava di fare i film con Totò e Sordi”. Alessandro Savoia il 20/03/2019 su Il Giornale Off. Piroette e amarcord del grande Christian De Sica l’altra sera ospite del format di Radio DeeJay “Il Rosario della Sera” condotto da Fiorello. L’attore ha parlato del suo nuovo show -debutto il 30 marzo all’Auditorium Parco della Musica di Roma, un viaggio con Pino Strabioli tra canzoni, gag, e aneddoti (“Racconto un po’ di frescacce che mi sono capitate, perche c’ho un’età”), non senza un ricordo del grande padre Vittorio De Sica (“sono figlio di un uomo importante, un uomo di un’altra generazione. Una cosa che mi ha permesso di conoscere personaggi pazzeschi”), come Charlie Chaplin (“Poi da lui sono passato direttamente a Boldi”) a Montgomery Clift, che allora stava con Truman Capote. Immancabile un passaggio sui “cinepanettoni”, con una rivelazione forse inedita: “Il film che mi è piaciuto di più? Il primo Vacanze di Natale, di Carlo e Enrico Vanzina. Venivo da un periodo in cui io e mia moglie avevamo sofferto la fame. Quando andai a vedere la prima proiezione del film mi ricordo che diedi di gomito a mia moglie: A Silviè, da oggi se magna…” (fonte Dagospia). Intanto vi proponiamo la nostra intervista al grande attore, dove a proposito dei famosi cinepanettoni ci racconta di quell’editor della Mondadori che…(Redazione) L’allure di un divo d’altri tempi, la semplicità di un amico di famiglia. Christian De Sica torna dopo 13 anni a far coppia con Massimo Boldi con Amici come prima, di cui firma anche la regia.
De Sica, i suoi film hanno sempre fotografato il Paese…
«Abbiamo raccontato la borghesia degli anni ’80 e ’90 molto meglio di tanti film autoriali che non hanno lasciato il segno. Una volta Beppe Cottafavi, editor di Mondadori, mi disse che se uno volesse raccontare l’Italia degli anni ’80 dovrebbe capire Vacanze di Natale, perché è uno specchio preciso della società».
Anche se non sempre hanno ricevuto recensioni lusinghiere…
«I teorici del film storcono la bocca, a volte hanno anche a ragione, a volte per invidia. Perché l’Italia è un paese che non ti perdona il successo, difendono sempre dei film buoni o che non vede nessuno solo perché politicamente da una parte o indirizzati dal direttore del giornale. E’ un dato di fatto, è triste ma è così. Se Ladri di biciclette di mio padre non avesse vinto l’Oscar e se in Francia non avessero gridato al capolavoro, gli italiani lo avrebbero smontato».
Eppure il pubblico è sempre dalla sua parte, a parlare sono gli incassi…
«Se gli incassi vanno bene ti dicono quanto sei bravo, che sei una cosa incredibile, uno di famiglia. Se non va bene ti dicono che sei vecchio. Come diceva Eduardo,”gli esami non finisco mai”. In Francia l’attore vecchio è idolatrato. In Italia sei ci si dimentica dei grandi. Poi a differenza loro siamo molto affettuosi, pieni di calore ma allo stesso tempo spietati come i bambini, buoni ma terrificanti. In questo paese chi paga le tasse sono i borghesi, i poveri no e nemmeno i ricchi, che diventano sempre più ricchi e questa è la tragedia. Io devo lavorare per campare. Sono fortunato, ma sono arrivato a pagare il 74% allo Stato. Speriamo che vada bene questo film altrimenti è come se non avessi fatto nulla. La gente però ride. Col Paese che va così, regalare anche un’ora e mezza di qualcosa di superficiale e leggera con un po’ di risate è qualcosa di magico, ti soddisfa molto di più».
Tuttavia a far da padrone al box office sono sempre i prodotti di Hollywood.
«Il cinema italiano è stato un po’ massacrato. Noi facciamo film con due stuzzicadenti e un fil di ferro, per questo abbiamo speso 4 milioni, un miracolo. Loro spendono centinaia di milioni. Poi in questo periodo natalizio una volta c’eravamo solo noi, a volte Troisi. Ora la lotta è terribile, l’anno prossimo ci saranno Ficarra e Picone, io invece farò teatro, una commedia musicale».
Ad affiancarla in questa avventura tanti giovani, tra cui i suoi figli Brando e Maria Sole.
«Avevo proposto a Brando di fare la regia, ma ha rifiutato. Però mi ha aiutato, senza firmarsi; io mi sono occupato delle scenografie, dei costumi, delle location, degli attori e lui dei movimenti di macchina. Ha portato una troupe di giovani dal direttore della fotografia Arnone al montatore Galli. C’era anche Maria sole come aiuto ai costumi, ora è in giro per una serie Nexflix . Questa è stata la chiave di volta del film. Se noi sessantenni ci circondano di coetanei si comincia a parlare del passato e invece bisogna confrontarsi con i più giovani: l’errore che hanno commesso tanti colleghi più illustri di me che hanno deciso di chiudersi nei salotti di casa, senza più scendere in tram o prendere la moto, parlavano sempre delle stesse cose, così si invecchia. Per raccontare il presente bisogna stare per strada. L’amore e l’affetto che ricevo dai ragazzi è una cosa unica, per me. Una grande soddisfazione».
Tornando indietro avrebbe mai fatto una carriera da attore drammatico?
«No, la mia fortuna è stata questa, se da giovane avessi deciso di pormi come obiettivo di fare Ladri di biciclette avrei fallito. A me piaceva molto il varietè. Feci lo chansonnier in Bambole, non c’è una lira con la regia di Antonello Falqui. Così ho cominciato, insieme alle feste di piazza al Lupo di Rimini, il Rangio Fellone di Ischia. Il mio mondo è quello lì, poi è venuto fuori il cinema, ho scelto il cinema popolare perché il cinema popolare ha scelto me. Se avessi fatto l’autore sarei stato un fallito».
Quando però si è cimentato ha ottenuto tanti riconoscimenti.
«Quando ho fatto film drammatici, pochi, mi hanno dato molti premi con Il figlio più piccolo.. Quando faccio questi film mi snobbano. Il cinema popolare non è fatto dagli intellettuali, è fatto da Franco e Ciccio, da Totò e Peppino, dei geni a cui non mi paragono minimamente. E pensare che prima fare un film con Totò era una vergogna. Oppure Sordi nello Sceicco Bianco di Fellini non veniva nemmeno messo nel manifesto…»
· Antonio Sorgentone.
Da ilmessaggero.it il 18 ottobre 2019. Avrebbe ferito con un coltello un suo amico musicista e si sarebbe dato alla fuga facendo perdere le sue tracce. Protagonista dell'aggressione - secondo quanto si è appreso da fonti di polizia - è Antonio Sorgentone, vincitore dell'edizione 2019 di Italia's Got Talent. L'episodio è avvenuto ieri notte in un locale al Pigneto. Sul posto la polizia. La vittima, ferita lievemente a un gluteo e dimessa con 7 giorni di prognosi, avrebbe presentato oggi denuncia.
Da repubblica.it il 18 ottobre 2019. Dopo aver insultato e accoltellato un suo amico musicista si è dato alla fuga facendo perdere le proprie tracce. Protagonista dell'aggressione - secondo quanto riferito dalla vittima - è Antonio Sorgentone, vincitore con il suo "pianoforte infuocato" dell'edizione 2019 di Italia's Got Talent tra i talent show di punta di Sky. L'episodio nella notte tra mercoledì e giovedì, all'interno dell'Ellington Club, locale in zona Pigneto, periferia della Capitale. Il 39enne cantante e pianista tra i più gettonati in ambito rock'n'roll, swing e boogie woogie, in sostanza tutto il meglio degli anni '50, si sarebbe avvicinato a un altro musicista e, per motivi in via di accertamento, lo avrebbe accoltellato al gluteo sinistro. La vittima, Mirko D., 42 anni, musicista e gestore di un locale di Burlesque romano, sarebbe poi stata trasportata dal 118 all'ospedale San Giovanni con una prognosi di sette giorni per "una ferita lacero contusa al gluteo sinistro". Sul posto i poliziotti dei Reparti Volanti di Porta Maggiore e Torpignattara che indagano sui fatti. Sorgentone, che dopo l'aggressione si è dato alla fuga, è stato denunciato per lesioni: la ricostruzione fornita dalla vittima è ora al vaglio della polizia.
Accoltella musicista al gluteo: denunciato Sorgentone, vinse Italia's Got Talent. Antonio Sorgentone, ex vincitore dell'edizione 2019 di Italia's Got Talent, protagonista della cronaca per aver accoltellato un amico ed essere scappato via. Luana Rosato, Venerdì 18/10/2019, su Il giornale. Il vincitore dell’edizione 2019 di Italia's Got Talent, Antonio Sorgentone, finisce al centro della cronaca per aver accoltellato nella notte tra mercoledì 16 e giovedì 17 ottobre scorso un amico musicista nella zona del Pigneto, a Roma. Sorgentone, 39 anni, conosciuto come apprezzato fisarmonicista, pianista, cantante, performer e autore, era riuscito a trionfare nella scorsa edizione del talent show di Tv8 incantando tutti i giudici con le sue “esibizioni infuocate” al pianoforte. Tra i più conosciuti ed apprezzati nell’ambito delle musiche tipiche degli anni Cinquanta, come il rock'n'roll, lo swing e il boogie woogie, l’uomo si sarebbe reso autore di un gesto inconsulto proprio di un noto locale del settore, l'Ellington Club, alla periferia della Capitale. Secondo quanto riportato dalla vittima, Antonio Sorgentone avrebbe raggiunto l’amico, Mirko Dettori all’interno del locale per un saluto. Quest’ultimo, avvicinatogli, avrebbe rivolto una battuta al musicista che, infastidito, avrebbe tirato fuori un pugnale tentando di infierire un primo colpo – mancato – a mezzo busto e un secondo al gluteo sinistro provocando a Dettori una “ferita lacero contusa”. Pronto l’intervento del 118 che ha portato la vittima presso l’Ospedale San Giovanni dal quale è stata dimessa dopo poco con sette giorni di prognosi. Sorgentone, invece, è fuggito via facendo perdere le tracce di sé. Solo nel pomeriggio del 17 ottobre, si sarebbe fatto vivo con Dettori per inviargli un messaggio di scuse. “Ti chiedo scusa, sono un’idiota. Purtroppo, non sono riuscito a tenere a freno la mia impulsività”, avrebbe scritto il musicista all’amico colpito dal pugnale. La vittima, però, non ha accettato le scuse e ha deciso di proseguire per vie legali. “Non può passarla liscia – ha dichiarato a La Stampa - . Ma preferisco non parlare, credo che i processi vadano fatti nelle aule di tribunale e non sui giornali”.
· Taylor Mega.
Da tgcom24.mediaset.it il 12 dicembre 2019. Ne "La Repubblica delle donne" di Piero Chiambretti sono volati stracci tra Taylor Mega e Antonella Elia. La soubrette ha infatti attaccato la giovane influencer, criticando la sua continua ostentazione del lato sessuale: "Una bellezza così sfrontata è diseducativa. Siamo nel 2019 ma non vuol dire che dobbiamo essere tutte mignotte". Taylor Mega e la sorella Giada hanno diviso le ministre. Francesca Barra, Ambra e Lory Del Santo hanno infatti difeso la loro libertà di fare ciò che vogliono del proprio corpo, mentre Antonella Elia ha criticato le sorelle, ritenendo che abbiano delle responsabilità nei confronti dei ragazzi che le seguono. "Mi sento di fare la vecchia bacchettona perché non mandate il giusto messaggio ai vostri coetanei. Una bellezza così sfrontata è diseducativa. A me non interessa vedere il vostro culo e le vostre tette. Siamo nel 2019, ma non vuol dire che dobbiamo essere tutte mignotte, ha dichiarato la Elia. "E' un commento molto populista. E' il classico esempio di una donna con pensieri misogini, mi stai offendendo. Sei una donna e dovresti stare dalla parte delle donne. Io combatto la violenza di genere ed è per colpa di quelle come te che esiste. Ti devi vergognare!", ha replicato Taylor
Da dilei.it il 12 dicembre 2019. Taylor Mega torna a parlare della storia d’amore con Flavio Briatore ospite del programma di Piero Chiambretti. L’influencer ha partecipato allo show insieme alla sorella Jade per raccontare la sua vita lontano da Instagram, ma anche gossip, progetti futuri e amori. Come è noto la modella friulana è stata legata per un breve periodo a Briatore. Una love story di cui non ha mai parlato e che anche l’imprenditore si è sempre rifiutato di commentare. Durante l’intervista Chiambretti ha chiesto alla influencer se ci fosse stata davvero una relazione con l’ex marito di Elisabetta Gregoraci. “Lui non può smentire ciò che è vero” ha detto Alfonso Signorini. Poco dopo Taylor Mega ha svelato: “Non ne parlo spesso, ma vorrei chiarire molte cose. Nel periodo in cui c’è stato questo flirt io non volevo che si sapesse, infatti non pubblicavo niente quando ero con lui”. Non solo: l’influencer ha confessato che la storia sarebbe stata tenuta segreta e che sarebbe emersa solamente quando era terminata da circa un mese. “La storia è uscita un mese dopo – ha chiarito -, il flirt era già finito”. Poco dopo il divorzio, Elisabetta Gregoraci aveva ritrovato il sorriso accanto a Francesco Bettuzzi, mentre Taylor Mega era stata indicata come la nuova fiamma di Briatore. Sulla storia l’imprenditore non si è mai espresso e in seguito ha avuto altri flirt molto brevi. L’ultima love story è quella con Benedetta Bosi, studentessa ventenne con cui è stato paparazzato in Kenya. Il milionario ha smentito la relazione dopo il commento pungente della Gregoraci che aveva affermato di “rabbrividire” di fronte all’enorme differenza d’età fra i due. Elisabetta e Flavio hanno sempre avuto un ottimo rapporto anche dopo il divorzio, rimanendo uniti per il bene del figlio Nathan Falco. Qualche tempo fa la Mega aveva parlato della rottura con Briatore, svelando il fastidio della showgirl nei suoi confronti. “Elisabetta è una persona ancora molto presente e questo ha influito parecchio sulla nostra rottura – aveva detto -. pensi che l’ho incrociata qualche giorno fa in un hotel a Milano e… Diciamo che non mi ha accolta nel migliore dei modi. Anzi, era molto irritata nel vedermi”.
Lettera di Sara Manfuso a Dagospia il 13 dicembre 2019. Ho incontrato Antonella Elia la scorsa settimana a colazione fortuitamente in un hotel a Cologno Monzese, vicino gli studi Mediaset: io a un tavolo lei ad un altro. Avevo appena finito una diretta, lei doveva affrontare una registrazione. Rivederla dopo tanto tempo in televisione mi aveva quasi commossa, sono cresciuta con la sua sbadataggine - vera o finta, non l’ho mai capito - e con il suo fare giulivo in abiti succinti tra bronci e rivendicazioni varie al cospetto del grande Mike mentre girava le caselle del tabellone in jeans strizzati e batteva le lunghe ciglia a favore di telecamera. Ho sempre ritenuto che la sua intelligenza consistesse nel non aver paura di sembrare stupida (o “rimbambita” per dirla con Mike), anzi, nel prenderci tutti per culo facendo finta di esserlo. Cosa questa parecchio intelligente. Le ho fatto i complimenti perché ho pensato: toh, una che non ha paura di tornare in video con lo stesso identico look di un ventennio fa, caschetto biondo platino e aria spaesata, come se il tempo non fosse mai passato. Invece passa e oltre alle rughe (che sono estremamente democratiche anche quando ben stirate) dovrebbe impartire qualche lezione. Mi chiedo così: se i bikini della Taylor Mega sono diseducativi secondo la bacchettona-Elia (si è definita lei così), cosa c’è di educativo in una signora che chiama pubblicamente “mignotta” una ragazza che potrebbe avere l’età di sua figlia? Poi, non me ne voglia, non è che lei sia un Nobel.
Francesca Galici per il Giornale il 19 dicembre 2019. Non si placa la polemica tra Taylor Mega e Antonella Elia per quanto accaduto la settimana scorsa a La Repubblica delle Donne. In queste ore, l'influencer è voluta tornare sull'argomento con una lunga serie di storie postate sul suo profilo, nelle quali critica Piero Chiambretti per la gestione della questione. L'antefatto è noto a tutti e riguarda le frasi forti e provocatorie utilizzate da Antonella Elia nei confronti di Taylor Mega e di sua sorella Giada, entrambi ospiti di Piero Chiambretti. Dopo la discussione nel programma di Rete 4, le due protagoniste si sono affrontate anche nelle sfere di Live – Non è la d'Urso, dove comunque non sono riuscite a trovare un punto di incontro. Al termine della puntata di ieri de La Repubblica delle donne, Taylor Mega ha voluto registrare alcuni video-messaggi rivolgendosi direttamente a Piero Chiambretti. "Oggi è andata in onda La Repubblica delle donne e lui si è scusato per la scorsa puntata con il suo pubblico per il litigio tra donne che è andato in onda. Innanzitutto non era un litigio tra donne, perché io e mia sorella siamo state insultate pesantemente e minacciate da una tua opinionista", esordisce Taylor Mega, che anche in questo caso non rinuncia al suo filtro Instagram che simula l'uscita di banconote dagli occhi. "Quando una persona viene insultata e minacciata non è che sta zitta o ride a caso. Io ho risposto in maniera molto educata, accesa ma rimanendo nei limiti dell'educazione", ha detto la Mega a sua discolpa per i toni forti utilizzati. L'accusa dell'influencer contro il conduttore si basa sull'assenza di scuse da parte di Piero Chiambretti, che pare si sia sentito in dovere di scusarsi solamente con il pubblico a casa. "Il pubblico in studio ha applaudito quando questa donna si comportava in questa maniera e ha usato questi toni, e non ha chiesto scusa a me e mia sorella che siamo state le ospiti invitate in studio", ha sottolineato Taylor Mega, che si aspettava evidentemente le scuse palesi del conduttore per il comportamento scorretto di un'ospite nei confronti di un'altra ospite nel suo salotto. Taylor Mega ha, quindi, invitato Piero Chiambretti a visitare l'associazione di volontariato che l'influencer ha sostenuto con i ricavi del suo calendario, le cui foto sono state al centro degli attacchi da parte di Antonella Elia. La bionda friulana si sente vittima di violenza verbale da parte della prossima concorrente del Grande Fratello Vip. "Capirai cosa significa lottare ogni giorno contro le persone, come l'opinionista che hai tu in studio, che aggrediscono in maniera verbale e non altre donne andando anche a lederne la dignità. Così magari anche il tuo salotto televisivo sarà un luogo ci maggiore educazione, rispetto e civiltà", ha concluso Taylor Mega.
Taylor Mega si svela a 16 anni: "Ecco quando non ero rifatta..." A quante operazioni di chirurgia estetica si è sottoposta Taylor Mega e come era all’età di 16 anni? La famosissima influencer svela tutto senza filtri su Instagram. Ludovica Marchese, Lunedì 04/11/2019 su Il Giornale. La chirurgia estetica, si sa, fa miracoli. Eppure, anche se non se ne ha così disperatamente bisogno, cresce sempre di più il numero di personaggi del mondo dello spettacolo che decidono di ricorrere a dei piccoli ritocchini. Tuttavia, persino nei casi più eclatanti, sono pochissime le eccezioni di chi ammette di aver ceduto all’abile mano del chirurgo. Fortunatamente, però, c’è anche chi lo ammette come Taylor Mega. Nel suo caso, infatti, sarebbe stato inutile negare visto che le punturine alle labbra e l’aumento del seno – rifatto per ben due volte “perché il primo chirurgo aveva sbagliato l'intervento ed era diventato asimmetrico” – non sono certo passati inosservati. E così oggi Taylor Mega, 25 anni, mostra con una schiettezza tutta da ammirare alcune foto che la ritraggono da ragazzina, all’età di 16 anni, ovvero prima dei ritocchini a cui si è sottoposta. Lo fa attraverso le storie di Instagram, in risposta ai follower che mettono in dubbio persino la naturalità dei suoi occhi azzurri come il cielo. “Queste foto sono del 2014. Il naso è lo stesso, gli occhi sempre azzurri, le labbra molto più sottili. Capelli corti e scuri perché non andavo mai al mare, come ora. Le sopracciglia molto fine”. Questi scatti sono la testimonianza concreta di come, nel corso del tempo, sia cambiato il suo rapporto con il suo corpo, tra altri e bassi. “A 15 anni ero bellissima. Poi ho attraversato un periodo tossico e mi sono imbruttita da fare schifo. A 19 ero di nuovo un fiorellino. A 20 carina, poi 23 con labbra più gonfie e dopo aver imparato a truccarmi e a prendermi più cura di me sono migliorata parecchio”. Una cura di sé che non ha mai escluso il ricorso a rimedi artificiali. Chirurgia o no, sta di fatto che i suoi 2 milioni di follower stravedono per lei. La sua spontaneità, ma soprattutto la sua naturale schiettezza, è una dote non molto diffusa tra i Vip. Non sempre Taylor racconta quel che farebbe piacere sentire, anzi, il più delle volte si tratta di scorci della sua vita che – proprio come la chirurgia – possono essere condivisibili o meno. Tuttavia, fanno e faranno sempre parte di lei.
Lettera di Taylor Mega al direttore del ''Corriere della Sera'', pubblicata sulle sue stories di Instagram l'8 novembre 2019: Egregio direttore, Non è sempre semplice ed immediato comprendere le intuizioni e le scelte d avanguardia di un editore come il Presidente Cairo. Ma noi tutti non dobbiamo mai dimenticare che è proprio grazie a quelle intuizioni ed a quella precisa visione, che oggi possiamo confrontare liberamente le nostre idee in merito a cosa sia o non sia appropriato pubblicare tra le notizie di cronaca. Ciò che invece trovo davvero fuori luogo è non considerare che l intero cachet della sottoscritta relativo al calendario “for men” sia stato devoluto a favore di una associazione di volontariato che si occupa di difesa delle donne vittima di violenza. È proprio questa precisa scelta la cifra comunicativa dell'intero progetto: la solidarietà tra donne non ha confini o barriere di alcun tipo, e l interesse dei lettori credo sia proprio quello di sapere che una donna va difesa sempre e comunque, indipendentemente dal fatto che si tratti d una scrittrice, di una politica, di una casalinga madre di famiglia o di una bella show girl. Le donne sono donne in quanto tali, ed il nostro impegno deve essere quello di lavorare ogni giorno per estenderne dignità e diritti in tutti gli ambiti della società, andando oltre gli steccati tradizionali ed arrivando a toccare la platea più ampia possibile di persone. Io, contrariamente ad altri, intendo ringraziare ancora una volta il Presidente Cairo ed il Direttore Biavardi, anche a nome dell associazione........per avermi dato la possibilità di dimostrare che il tema della violenza di genere è talmente importante da non poter restare confinato in qualche salotto televisivo o in qualche convegno di addetti ai lavori, ma debba al contrario spingersi a toccare tutta la nostra società, arrivando specialmente ai settori più giovani, meno consapevoli e di conseguenza più deboli di essa. È proprio qui che si gioca la sfida più importante per il futuro di noi donne: restare unite ed essere pronte ad aiutarci l una con l altra, non importa se in minigonna o con il tailleur.
L'ARTICOLO DEL ''CORRIERE'' E DAGOSPIA SI CHIEDE: DOVE SARANNO LE GIORNALISTE DELLA 27^ ORA il 5 novembre 2019. La lettera che il comitato di redazione del ''Corriere'' ha inviato al direttore Luciano Fontana dopo aver visto articolo e foto sull'editore (del ''Corriere'' e di ''For Men Magazine'') Urbano Cairo. Caro Direttore, Stamattina molte colleghe e molti colleghi ci hanno segnalato il disagio provato nel leggere l’articolo di spalla a pagina 23 sul calendario di “For Men”. Comprendiamo l’esigenza del nostro editore di voler pubblicizzare l’iniziativa di uno dei suoi mensili, ma dedicargli addirittura un articolo sulle pagine delle Cronache Italiane con due foto, virgolettati, nomi e dettagli sugli sponsor che hanno pagato, è sembrato fuori luogo a molti, e purtroppo non solo all’interno del giornale. Al di là del dubbio gusto nel dare risalto al calendario di una showgirl, ci interroghiamo su quale possa essere l’interesse dei lettori del Corriere nel leggere notizie del genere. Con spirito costruttivo e di attaccamento al giornale ti chiediamo per il futuro una più attenta vigilanza su simili episodi che, a nostro giudizio, danneggiano l’autorevolezza del Corriere della Sera.
Alessandro Fulloni per il “Corriere della sera” il 5 novembre 2019. È Taylor Mega la protagonista del maxi calendario 2020 di For Men magazine , il mensile maschile leader in Italia, di Cairo Editore. La showgirl nata a Udine è stata scelta perché «rappresenta i nuovi stili di vita e di linguaggio e soprattutto perché è una influencer di primissimo piano e manager di se stessa - spiega Andrea Biavardi, direttore del mensile -. La sua pagina Instagram vanta oltre due milioni di follower. Ho apprezzato il fatto che Taylor ha deciso di dare il cachet in beneficenza» all' associazione Wall of dolls che si occupa di violenza di genere. Il calendario (presentato ieri al Just Cavalli di Milano e che è allegato a For Men magazine in edicola) ha due sponsor importanti. Uno è Figaro, marchio che prende il nome del più famoso barbiere per la sua linea di prodotti per il benessere quotidiano dell' uomo. L' altro è Keyjey Dnm, brand leader nel settore «jeans and streetwear». Il calendario, però, è un «gioco», ha sottolineato l' editore Urbano Cairo, «perché il successo della rivista è dato dai contenuti editoriali di ogni mese e, non a caso, siamo sempre in crescita».
Da affaritaliani.it il 5 novembre 2019. “È proprio il caso di dire che quest'anno For Men Magazine, il primo mensile maschile d'Italia, ha realizzato un Mega Maxi Calendario - afferma il direttore Andrea Biavardi - La protagonista dei 12 mesi più bollenti dell'editoria italiana è infatti Taylor Mega, una delle più belle e prorompenti protagoniste dello star system”. Taylor Mega è stata scelta non solo per la sua indiscutibile bellezza, ma anche perché rappresenta la modernità, i nuovi stili di vita e di linguaggio. “È un’influencer di primissimo piano e manager di se stessa – continua Andrea Biavardi, direttore del mensile maschile leader in Italia edito da Cairo Editore - La sua pagina Instagram vanta oltre 2milioni di follower. La sua notorietà è cresciuta al punto tale che ha partecipato al Grande Fratello e all'Isola dei Famosi”. Due main sponsor per il MAXI CALENDARIO 2020 DI “FOR MEN MAGAZINE” (in edicola al prezzo totale di 6,40 Euro), entrambi per la quarta volta: Figaro, il marchio che prende il nome del più famoso barbiere per la sua linea di prodotti per la cura e il benessere quotidiano dell'uomo, e Keyjey Dnm, brand sempre alla ricerca di dettagli, tendenze e originalità, con uno stile in cui la tradizione sartoriale e la modernità del capo “jeans and streetwear” sono in simbiosi. La tiratura complessiva sarà di 100.000 copie. A supporto dell’iniziativa è attiva una campagna TV sulle reti Mediaset e La7 e una campagna stampa sui quotidiani sportivi. Attenta alle tematiche sociali come lo sono le nuove generazioni, Taylor ha deciso di scattare per il MAXI CALENDARIO 2020 DI “FOR MEN MAGAZINE” rinunciando al suo compenso e devolvendolo all'associazione Wall of Dolls, che si occupa da anni di proteggere le donne dalla violenza di genere. “Taylor ha deciso di usare il suo corpo per una causa nobile – conclude il direttore - Io sono veramente fiero di aver contribuito a far sì che questa iniziativa diventasse realtà”. I 13 scatti (copertina e 12 mesi) del MAXI CALENDARIO 2020 DI “FOR MEN MAGAZINE” sono stati realizzati dal grande fotografo Dario Plozzer che ha voluto ricreare atmosfere dal sapore anni ‘80, un recupero vintage del miglior passato per guardare al futuro che avanza. Il MAXI CALENDARIO di FOR MEN MAGAZINE fa sognare i lettori dal 2003, anno di nascita del periodico e continua a valorizzare la bellezza e la passionalità delle donne dello show business. Anno dopo anno, sulle pagine del calendario, si sono succedute tante incantevoli donne: Cecilia Capriotti, Samantha De Grenet, Raffaella Fico, Claudia Galanti, Magda Gomez, Francesca Lodo, Veridiana Mallmann, Carolina Marconi, Dayane Mello, Nina Moric, Antonella Mosetti, Cecilia Rodriguez, Mariana Rodriguez, Sara Varone, Raffaella Modugno, Ria Antoniou, Manuela Ferrera e Fabiana Britto.
Alberto De Pisis racconta la storia con Taylor Mega: "Sapeva che ero gay". Nella nuova puntata di Pomeriggio 5, si è presentato in studio l'ex fidanzato gay di Taylor Mega, Alberto De Pisis, che ha rilasciato alcune dichiarazioni sul conto della sua ormai ex fiamma. Serena Granato, Martedì 05/11/2019, su Il Giornale. Nella nuova puntata di Pomeriggio 5, trasmessa lunedì 4 novembre, è apparso tra gli ospiti in studio Alberto De Pisis, l'ormai noto ex fidanzato gay di Taylor Mega. L'influencer, che ha stregato i telespettatori della sedicesima edizione del Grande Fratello 16, aveva rivelato ai suoi follower, attraverso una recente Instagram story, di aver avuto in passato una relazione importante con un ragazzo dichiaratamente gay. E lo stesso ragazzo omosessuale, con cui era stata in passato Taylor, ha deciso di rompere il silenzio rilasciando un'intervista al settimanale Novella 2000, per poi presentarsi da Barbara d'Urso. L'esperto di comunicazione, giovane e bello, ha confidato di aver avuto un rapporto limpido, all'insegna di sentimento e sesso, con l'influencer del Gf16, e senza alcun tipo di interesse mediatico. "Era una ragazza fragile. Una ragazza naïve-ha esordito così Alberto nell'intervista concessa a Pomeriggio 5, descrivendo la sua vecchia fiamma Taylor-. Non era la femme fatale che vediamo adesso sullo schermo. Nacque una simpatia, lei sapeva benissimo del mio orientamento. Io conobbi un’altra Taylor". “Io la conobbi a giugno 2018 -Alberto poi passa a sottolineare di aver instaurato un rapporto con Taylor nell'estate di un anno fa-, Taylor allora era del tutto sconosciuta al pubblico. Non faceva questo lavoro. Calcoliamo che L'isola lei l'ha fatta a gennaio di quest'anno. Nacque una simpatia, una conoscenza. Improvvisamente a inizio agosto 2018 ci siamo trovati in una situazione dove lei ha cominciato a vedermi in maniera diversa. Ha cominciato a farmi capire che c'era qualcosa di importante. Un frangente particolare, eravamo in macchina, mi prese la mano e mi disse 'Io sento di provare qualcosa di diverso per te, che va oltre il tuo aspetto estetico. Penso che mi piaci'. Io rimasi destabilizzato. Perché ero molto affascinato dalla sua dolcezza".
La fine della love-story tra Taylor Mega e Alberto De Pisis. In molti si domandano se ci sia stata una vera love-story tra Taylor Mega e l'ospite presentatosi a Pomeriggio 5. E, per i curiosi, lo stesso Alberto De Pisis lo ha voluto confermare a Barbara d'Urso: "Certo, c'è stata una storia d'amore, voluta con insistenza da lei. C'è stata una storia tra noi, all'insegna di un rapporto vero, sincero e puro.. Lei non era famosa e neanch'io lo ero". Incalzato dalle domande della conduttrice di Pomeriggio 5, De Pisis ha inoltre confidato alcuni dettagli hot, parlando della storia d'amore vissuta con l'ex protagonista del Grande Fratello 16: "La nostra storia ha avuto una componente sessuale anche molto importante, è durata 2 mesi. Taylor Mega è stata la prima donna della mia vita. La nostra è una cosa passata. Ero legato ad una persona che non riconosco in questo momento. Nel senso che non mi sarei mai aspettato che Taylor facesse una festa in mezzo ai dollari, per esempio". La storia dei due giovani sarebbe improvvisamente naufragata, per via di un flirt avuto da Taylor con un trapper molto amato dai giovani, così come ha riportato lo stesso Alberto nel suo intervento in tv: "La nostra storia è finita perché, proprio nel momento in cui stavo avendo un coinvolgimento emotivo serio, lei si è fidanzata con Sfera Ebbasta".
Taylor Mega a Mattino 5: "In un periodo brutto, ho visto una presenza demoniaca". Ospite di Mattino 5, Taylor Mega ha partecipato alla discussione sui contatti con entità astratte e ha confessato di aver ricevuto più volte la "visita" di una presenza demoniaca. Luana Rosato, Venerdì 18/10/2019, su Il Giornale. La puntata di oggi, 18 ottobre, di Mattino 5 si è concentrata sul rapporto tra i vip e l’aldilà e Taylor Mega, ospite del salotto di Federica Panicucci, ha raccontato la sua esperienza con una “presenza demoniaca”. A differenza degli altri presenti in studio, che hanno riportato le loro esperienze di connessione con defunti, la influencer ha rivelato qualcosa di più raccapricciante. “In un periodo buio della mia vita, mi è capitato di vedere una presenza demoniaca affianco al mio letto che si strofinava le mani – ha iniziato a spiegare Taylor Mega ai microfoni di Canale 5 - . Ed era come se questa presenza demoniaca volesse prendersi la mia anima. Mi sono spaventata tantissimo”. Federica Panicucci, quindi, ha invitato la sua ospite a spiegare meglio l’accaduto. “Io ero a letto. Stavo dormendo. Ad un certo punto mi sveglio, però il mio corpo rimane immobile. Io avevo la coscienza sveglia e vedevo questa presenza demoniaca affianco a me, come una persona con un mantello nero, che si strofinava le mani e mi guardava a me, distesa – ha approfondito Taylor che, incalzata dalla conduttrice, ha negato che si trattasse di un incubo - . Io ero sveglia. C’è un fenomeno, di cui non ricordo il nome, per il quale la coscienza è sveglia, ma il corpo è immobile. E a me è successo così”. Quell’episodio, tuttavia, non è stato l’unico accaduto a Taylor Mega. “Un’altra volta mi è successo che questa presenza demoniaca mi parlava con un alfabeto strano, non italiano, e la voce era tipo lo strumento della raganella – ha continuato a raccontare lei - . Poi il mio corpo si è svegliato e ho acceso la luce. Ho dormito così perché ho avuto una paura pazzesca”. “Inizialmente ero scettica, credevo in Dio ma non credevo in queste cose – ha concluso la Mega - . Poi me ne sono fatta una ragione e ho capito che, se esiste il bene, esiste anche altro”.
Massimo Murianni per “Novella 2000” il 2 novembre 2019. Eravamo bellissimi insieme. La gente ci fermava per strada per chiederci le foto, anche se io non sono famoso e lei ancora non lo era tanto come adesso, sarebbe partita per l’Isola dei famosi mesi dopo». Alberto De Pisis, esperto di comunicazione milanese di 29 anni, ricorda con piacere la storia che ha avuto con Taylor Mega.
Come vi siete conosciuti?
«Tramite amici comuni. Ci siamo incontrati, ci siamo piaciuti e ha iniziato a corteggiarmi. È lei che mi ha voluto, con una certa insistenza anche».
Nel senso che a lei non interessava una come Taylor?
«Io sono tendenzialmente gay. Però con Taylor è nato un feeling che poi si è trasformato in passione vera, fisica. Sicuramente è stato un rapporto limpido, senza alcun interesse mediatico».
Esistono rapporti con interessi mediatici?
«Gli altri amori di Taylor sono tutti famosi».
Qualcuno potrebbe pensare che fosse lei a cercare visibilità...
«No, guardi, a me non interessa proprio entrare in quel mondo».
Vi siete innamorati?
«Lei diceva di amarmi».
E lei?
«Non l’ho mai detto».
Però la passione era forte.
«Assolutamente sì. L’intesa eccellente. Mi diceva che ero tra i pochi a non sentirsi intimorito da lei a letto».
Quanto è durata tra di voi?
«Tra agosto e ottobre 2018. Poi lei si è messa con Sfera Ebbasta».
Ci è rimasto male?
«Un po’ sì, non è stato un bell’atteggiamento il suo».
E ora, è innamorato?
«Sono single».
"Taylor è tornata da me". Erica Piamonte rivela i rapporti con l’influencer. Taylor Mega ed Erica Piamonte si sono riavvicinate e sono pronte a ricostruire una rapporto dopo la tempesta delle ultime settimane. Le due erano insieme al compleanno dell'influencer e pare si stiano nuovamente frequentando. Francesca Galici, Sabato 02/11/2019 su Il Giornale. Sembra sia finalmente tornato il sereno tra Taylor Mega ed Erica Piamonte. L'ex commessa fiorentina è stata invitata dall'influencer friulana alla sua festa di compleanno esagerata che si è tenuta a Napoli e nello studio di Pomeriggio5 ha confermato di aver ritrovato un rapporto con la bella bionda. Ieri, 1 novembre, Erica Piamonte era presente in studio nel salotto di Barbara d'Urso per raccontare la festa superlusso di Taylor Mega. In collegamento c'era Giorgia Caldarulo, la modella che poche settimane fa aveva rubato il cuore della bionda influencer. Tra l'ex concorrente del Grande Fratello e la Mega i rapporti si erano congelati da quel momento, perché pare che Taylor avesse iniziato il flirt con la Caldarulo quando ancora frequentava la Piamonte. Sono seguiti giorni di botta e risposta social tra le due, dove Erica Piamonte accusava Taylor di essere falsa e di averla tradita con la modella barese. Di tutta risposta, l'influencer ha sempre negato di avere una relazione con la commessa toscana, derubricando il loro rapporto a una semplice frequentazione. Ora che sembra essere tutto finito tra Giorgia Caldarulo e Taylor Mega, per per la troppa pressione, quest'ultima ha fatto un passo indietro ed è tornata da Erica Piamonte, con la quale il flirt era iniziato all'interno della casa del Grande Fratello. Dopo averle mandato un bellissimo mazzo di rose, infatti, Taylor Mega ha invitato l'ex concorrente del reality di Canale5 al suo compleanno a Napoli, come testimoniano le tante foto e i video presenti sui social. A specifica domanda di Barbara d'Urso se fossero tornate insieme, la Piamonte ha risposto in maniera sibillina: “Non è tornata con me, è tornata da me.” È probabile che le due stiano rimettendo le basi per riprovare a costruire il loro rapporto, magari con presupposti diversi che stavolta non causino fraintendimenti come in passato.
Giorgia Venturini diffida Taylor Mega, lei replica. Volano insulti. Dopo la querela di Alan Fiordelmondo è arrivata la diffida di Giorgia Venturini ma Taylor Mega sembra non curarsi delle azioni legali nei suoi confronti e si mostra incurante sui social. Francesca Galici, Venerdì 18/10/2019, su Il Giornale. Sembra destinato a non avere una fine imminente l'affair che ruota attorno a Taylor Mega. Dopo la denuncia da parte del fotografo Alan Fiordelmondo per le dichiarazioni dell'influencer durante una diretta Instagram è arrivata anche la diffida da parte di Giorgia Venturini. Le due si sono affrontate durante l'ultima puntata di Live – Non è la d'Urso andata in onda la scorsa domenica 13. Fino a qualche settimane fa le due sembrava fossero amiche. Si sono conosciute durante la partecipazione all'ultima edizione dell'Isola dei Famosi, dove era nato un bel rapporto. Durante un'intervista rilasciata qualche tempo fa, però, l'opinionista di Tiki Taka ha svelato che durante il reality la bella Taylor le avrebbe proposto un fidanzamento fittizio per finire sui giornali. Questa versione è stata fermamente smentita da Taylor Mega ma, a supporto di Giorgia Venturini, durante la puntata di Pomeriggio5 di ieri, giovedì 17 ottobre, è intervenuta Sarah Altobello. La “sosia” di Melania Trump era una concorrente di quella stessa edizione e ha confermato le parole della Venturini. Nel salotto di Barbara d'Urso è intervenuta anche Giorgia Venturini, in collegamento video, che ha spiegato i motivi per i quali è giunta alla diffida nei confronti di Taylor Mega: “Domenica ho detto quello che dovevo dire sulla signora Todesco in diretta e abbiamo sentito che ha fatto affermazioni che hanno un rilievo penale. Anche dopo la diretta, lei sui suoi social si è esposta contro di me in maniera molto pesante.” La Venturini, quindi, ha spiegato di aver avuto per questo motivo un confronto con i suoi legali, giungendo alla conclusione di una diffida nei confronti dell'influencer. A poche ore da queste dichiarazioni a Pomeriggio5 è arrivata la reazione di Taylor Mega, che come spesso accade si è mostrata incurante. “Come reagisco alle vostre denunce”, ha scritto la bionda friulana in una serie di video in un cui si riprende mentre balla all'interno di un'auto di lusso. “Mi ci pulisco … “, ha proseguito in un altro video, lasciando intendere di non essere minimamente preoccupata per le azioni legali intraprese contro di lei.
Erica Piamonte: "Taylor non vorrebbe perdermi. Me lo ha scritto". L'ex gieffina Erica Piamonte ha rilasciato alcune dichiarazioni sul suo rapporto maturato con Taylor Mega, dopo il confronto a 3 avuto con quest'ultima e la neo fidanzata Giorgia Caldarulo a Live: non è la D'Urso. Serena Granato, Domenica 20/10/2019, su Il Giornale. Dopo aver animato il gioco della sedicesima edizione del Grande Fratello, dove ha avviato la sua frequentazione con Taylor Mega, Erica Piamonte è tornata al centro dell'attenzione mediatica. Resta ancora ignoto il mittente che, questa settimana, ha destinato ad Erica un bouquet di rose rosse in occasione del suo compleanno, celebratosi lo scorso 18 ottobre. Intanto, la Piamonte fa parlare di sé, soprattutto per via di alcune dichiarazioni rilasciate a margine della sua ospitata a Live: non è la d'Urso, nel corso della quale si era confrontata con la sua ex coinquilina Taylor e in presenza della neo fiamma di quest'ultima, Giorgia Caldarulo. "Taylor mi ha scritto che non vorrebbe perdermi e intende riallacciare i rapporti con me -esordisce così Erica, tornando a parlare di Taylor in una nuova intervista concessa a Lei settimanale-. Lo aveva detto anche durante il programma sotto gli occhi della sua ragazza. Anche se ci riavviciniamo e decidiamo di non stare insieme come coppia, restare amiche non sarebbe normale. Siamo sempre due persone che si piacciono". Nell'ultima intervista Erica, quindi, sembra sottolineare che quella avviata con Taylor al Grande Fratello sia una vera e propria relazione e che la stessa influencer, Mega, non sia certa dei sentimenti che sostiene di provare per l'ex corteggiatrice di Uomini e donne, Giorgia: "Credo che a questo punto lei non sappia come uscire da questo ca..no. Se mi pensasse solo come un’amica, perché mi starebbe a scrivere quando ha una nuova fiamma? Credo che il nostro incontro non l’abbia lasciata indifferente (Erica allude proprio al confronto avuto con Taylor e Giorgia, a Live). E questo dice molto…". Dunque -a detta della Piamonte- Taylor Mega continuerebbe a scriverle e potrebbe tornare molto presto da lei nonostante abbia ufficializzato la sua love-story con la Caldarulo. Se da una parte Taylor ha sostenuto a Live che quella avuta con Erica fosse una "relazione aperta, qualcosa di più di un'amicizia ma niente di ufficiale", dal suo canto la Piamonte sente che tra loro non sia ancora finita: "Sono assolutamente convinta che con me Taylor non abbia finto. Le mie sensazioni mi portano a pensare che tornerà da me, perché è stato tutto surreale".
Taylor Mega durissima contro Morgan: "Grazie a Dio mi sono disintossicata". Lo sfratto di Morgan è stato bloccato a seguito di un malore. Ma proprio in queste ore, Taylor Mega lancia una frecciatina al veleno. Anna Rossi, Venerdì 14/06/2019, su Il Giornale. Proprio questa mattina sarebbe dovuto iniziare lo sfratto di Morgan. La sua casa, infatti, è stata pignorata per il mancato pagamento degli alimenti ai figli delle ex compagne Asia Argento e Jessica Mazzoli. Tutto sembrava pronto, tutto era stato annunciato anche nel corso dell'ultima puntata di Live-Non è la d'Urso, ma ora sembra essere arrivato lo stop perché Morgan sta male e fuori dalla sua abitazione a Monza si sono fatti trovare decine di fan del cantante. Come riportato da Fanpage, quindi, pare che lo sfratto previsto per oggi, sia stato rimandato e che per il momento Morgan potrà rimanere nella sua abitazione in via Adamello a Monza. Il motivo del rinvio sarebbe l'arrivo di un medico sul posto, chiamato – probabilmente – per soccorrere il cantautore colto da un improvviso malore. Ma questi sono i fatti, ora spunta un commento piuttosto duro. Nel corso dell'ultima puntata di Live-Non è la d'Urso, infatti, Morgan si appellava ai suoi fan chiedendo di aiutarlo a "boicottare" questo sfratto. Il video dell'appello è diventato virale sui social e anche un'insospettabile Taylor Mega ha voluto commentarlo. "Ringrazio Dio di essermi disintossicata e di non aver fatto sta fine", scrive Taylor. Parlo fortissime che vanno a virare su un altro tema. Sempre piuttosto delicato...
· Giorgia Venturini.
Francesca Galici per il Giornale il 22 ottobre 2019. Sembra destinato a non avere una fine imminente l'affair che ruota attorno a Taylor Mega. Dopo la denuncia da parte del fotografo Alan Fiordelmondo per le dichiarazioni dell'influencer durante una diretta Instagram è arrivata anche la diffida da parte di Giorgia Venturini. Le due si sono affrontate durante l'ultima puntata di Live – Non è la d'Urso andata in onda la scorsa domenica 13. Fino a qualche settimane fa le due sembrava fossero amiche. Si sono conosciute durante la partecipazione all'ultima edizione dell'Isola dei Famosi, dove era nato un bel rapporto. Durante un'intervista rilasciata qualche tempo fa, però, l'opinionista di Tiki Taka ha svelato che durante il reality la bella Taylor le avrebbe proposto un fidanzamento fittizio per finire sui giornali. Questa versione è stata fermamente smentita da Taylor Mega ma, a supporto di Giorgia Venturini, durante la puntata di Pomeriggio5 di ieri, giovedì 17 ottobre, è intervenuta Sarah Altobello. La “sosia” di Melania Trump era una concorrente di quella stessa edizione e ha confermato le parole della Venturini. Nel salotto di Barbara d'Urso è intervenuta anche Giorgia Venturini, in collegamento video, che ha spiegato i motivi per i quali è giunta alla diffida nei confronti di Taylor Mega: “Domenica ho detto quello che dovevo dire sulla signora Todesco in diretta e abbiamo sentito che ha fatto affermazioni che hanno un rilievo penale. Anche dopo la diretta, lei sui suoi social si è esposta contro di me in maniera molto pesante.” La Venturini, quindi, ha spiegato di aver avuto per questo motivo un confronto con i suoi legali, giungendo alla conclusione di una diffida nei confronti dell'influencer. A poche ore da queste dichiarazioni a Pomeriggio5 è arrivata la reazione di Taylor Mega, che come spesso accade si è mostrata incurante. “Come reagisco alle vostre denunce”, ha scritto la bionda friulana in una serie di video in un cui si riprende mentre balla all'interno di un'auto di lusso. “Mi ci pulisco … “, ha proseguito in un altro video, lasciando intendere di non essere minimamente preoccupata per le azioni legali intraprese contro di lei.
Silvana Palazzo per ilsussidiario.net. Dopo le “sussurrate” lanciate maliziosamente ieri da Alberto Dandolo per Dagospia, arriva immediata la richiesta di rettifica e precisazione dai legali di Giorgia Venturini che non ha per nulla gradito l’allusione data dal quotidiano online di Roberto D’Agostino sulle presunte ospitate nelle “magioni sarde e romane” dell’ex Cavaliere. L’avvocato Martina Crociani ha chiesto (e ottenuto) la rettifica su Dagospia che ha anche provveduto a rimuovere l’articolo uscito ieri, 28 novembre 2017: «uonasera signor Dandolo,Le scrivo con riferimento al flash da lei pubblicato sul sito Dagospia sulla mia assistita, Giorgia Venturini. Le "magioni sarde e romane" di cui lei fantastica e che attribuisce al Presidente Berlusconi sono a disposizione della mia assistita in quanto oggetto di regolari contratti da lei stipulati ed ovviamente in suo possesso. Il riferimento malizioso all’ospitalità del Presidente a favore della Venturini é del tutto falso ed allusivo. Le chiedo, quindi, di rimuovere celermente la notizia. Diversamente mi vedrò costretta a tutelare le ragioni della mia assistita avanti alle competenti Autorità». Insomma, le case sarebbero con regolare affitto e la Vetturini non sarebbe invece entrata come “ospite per regalo di Berlusconi” come invece poteva sembrare dall’articolo lanciato in flash news ieri da Dandolo. (agg. di Niccolò Magnani).
La bellezza di Giorgia Venturini non passa inosservata. Cresciuta all’ombra di Nicole Minetti, è entrata pian piano nelle grazie di Silvio Berlusconi, con l’approvazione di Francesca Pasquale. Storica amica dell’ex consigliera regionale lombarda, ha convinto il Cavaliere, al punto tale che Dagospia parla di “moltissima stima” nei suoi confronti. Secondo quanto riportato da Alberto Dandolo, addirittura a Milano si sussurra di magioni sarde e romane che sarebbero state messe a sua disposizione, ma per ora restano solo rumors. Intanto cresce la curiosità su Giorgia Venturini. Chi è? Nata a Novafeltria il 15 agosto 1983, dopo la maturità al liceo linguistico si è trasferita a Firenze per frequentare la facoltà di Medicina e Chirurgia. Laureatasi in Igiene Dentale, comincia a muovere i primi passi nel mondo del lavoro, ma quando si trasferisce a Roma comincia ad occuparsi di pubbliche relazioni per una società di produzione cinematografica. Ora, invece, si occupa di supporto alle persone meno agiate ed è attiva per la salvaguardia degli animali e nella lotta al randagio. Inoltre, collabora come consulente per l’organizzazione di eventi con l’agenzia Macchioni Communications. Sono tante le cose che Giorgia Venturini ha in comune con Nicole Minetti, a partire dal percorso: entrambe hanno studiato Igiene Dentale, poi hanno intrapreso una strada diversa, diventando imprenditrici. Se la Minetti ha scelto la carriera politica, poi naufragata, la Venturini invece si è concentrata sulle pubblici reazioni e sull’organizzazione di eventi. Insieme però tempo fa volevano aprire a Roma uno studio dentistico e chirurgico e diventare così socie in affari. “Diciamo che è un progetto, uno dei tanti che abbiamo insieme. Ora sia io che lei abitiamo stabilmente a Roma, e abbiamo parlato anche della possibilità di aprire insieme uno studio dentistico”, aveva dichiarato all’epoca Giorgia Venturini. In passato ha fatto parlare di sé anche per un presunto flirt con Vladimir Doronin, ex fidanzato di Naomi Campbell. Paparazzata mano nella mano con il 51enne magnate russo, rinominato il Donald Trump di Mosca, dichiarò: “Quella con Vladimir è una buona amicizia. Ci siamo conosciuti a una cena organizzata da Eva Cavalli. Ultimamente sono abituata a finire sulle pagine di cronaca rosa, potrei fare un elenco”. E infatti durante un’edizione del Festival di Cannes fu fotografata con Leonardo Di Caprio…
· Sara Manfuso.
Dagospia il 22 ottobre 2019. Da la Zanzara - Radio 24. “Numero di piede? Ho un 41. Sono alta un metro e ottanta, quindi ho un piede che è un sacco lungo. Calli? No. C’è il segno delle scarpe coi tacchi”. A La Zanzara su Radio 24 Sara Manfuso, ex di Alfredo D’Attore attuale fidanzata del deputato del Pd Andrea Romano parla dei suoi piedi all’interno di un Feet Contest (Scegliere il piede più bello, tra gli ascoltatori del programma di Cruciani e Parenzo). “Tu (Cruciani, ndr) l’hai toccato adesso per vedere, per controllare, misurare – dice la Manfuso - però c’è chi l’ha apprezzato guardandolo. Perché ci sono uomini che chiedono le foto dei piedi, che amano guardare i piedi, si eccitano anche con le scarpe. Vabbe’, il feticismo mica lo scopriamo qui oggi. Diversi uomini mi hanno chiesto le scarpe usate, solo le mie scarpe. Non le ho mandate, però mi sono state chieste più volte come fonte, oggetto di desiderio”. Cruciani: “Alla fine, come valutazione finale il tuo piede è da 8. Poche irregolarità. Un piede egizio, con la tipica forma a scalare. Partendo dall'alluce fino a decrescere al quinto dito”. Hai fatto sesso coi piedi?: “No, penso tra l’altro sia una roba tecnicamente complicata. Gli uomini non mi hanno mai chiesto di succhiare il loro piede, a me invece si…”.
Sara Manfuso, ex modella ed ex compagna di Alfredo D'Attorre ha un nuovo compagno del Pd: chi è. Libero Quotidiano il 4 Dicembre 2019. Sara Manfuso ha bacchettato il piddino Andrea Romano, con il quale ha una relazione dopo la rottura con Alfredo D'Attorre, perché si è rasato i capelli a zero dopo aver perso una scommessa. A margine dell'iniziativa dell'associazione Io Così presieduta dalla Manfuso per la raccolta fondi a sostegno della Cooperativa sociale Parco del Mulino che si muove per favorire l'inclusione delle persone affette da sindrome di Down, la ex modella ha detto: "Quest'uomo qui che è il mio compagno si è fatto rapare. Le promesse che si mantengono sono quelle fatte agli elettori non alle trasmissioni". Romano si era fatto rasare i capelli in diretta a Un Giorno da Pecora, la trasmissione di Radiouno Rai. "Se facciamo il governo con il Movimento 5 Stelle torno qua e mi tagliate i capelli a zero", aveva detto prima di finire poi davvero a fare il governo con i grillini. Scommessa persa e sconfitta pagata, quindi. Il piddino allora si è presentato in studio e si è messo tra le mani di un parrucchiere che, armato di macchinetta e mantellino, è passato all'opera. "Se questo serve a tenere Matteo Salvini lontano dal governo...", ha detto Romano. "Questo sacrificio deve servire al Paese...", ha aggiunto, cercando di salvare almeno la barba.
· Hoara Borselli.
DAGO-TRASCRIZIONE DEL VIDEO DI NICOLA PORRO CONTRO NANNI DELBECCHI (CHE LUI CHIAMA DALBECCHI). Dagospia il 28 novembre 2019. Fatemi dire che oggi mi sono svegliato di buon umore perché questa mattina, come spesso avviene, c’è una specie di frustrato, che scrive sul Fatto Quotidiano, che si chiama Nanni Dalbecchi, che è quello che io… ho, ho capito perfettamente, erano quelli… quei bambini che avevano tutto il colletto chiuso così e che di nascosto vi rubavano la merendina. E quando ti rubavano la merendina tu dicevi: “Ma Nanni, perché mi rubi la merendina?” e quello faceva la faccetta da sfigato, com’è rimasto tutta la vita. Dovete sapere che questo Nanni Delbecchi oltre a essere quella roba lì, il ragazzo che ruba o a cui rubano la merendina a scuola e che è rimasto frustrato per tutta la vita di questa cosa, si occupa, purtroppo, anche delle cose sbagliate, cioè della televisione di cui capisce veramente poco. Ma il punto non è che si occupa della televisione, chi se ne frega, il punto fondamentale è che attacca le donne che vanno in televisione, perché ha un problema serio con il sesso. Ed è del tutto evidente perché della mia trasmissione della settimana scorsa si arrabbia perché c’è una ragazza che partecipa alla trasmissione e che ha partecipato nel passato a Ballando con le stelle. E lui chiosa - per quello ne voglio parlare con voi - “bello che in Italia si premia il merito”. Dalbecchiiii! Se si dovesse premiare il merito tu dovresti ancora stare la a prenderti gli scapaccioni a scuola. La dovevi rimanere. Ma perché una ragazza solo perché è gradevole e solo perché ha partecipato a uno show televisivo non merita di andare a raccontare o a parlare in televisione a Quarta repubblica. Qual è il criterio? TOC TOOOC! Selvaggia Lucarelli, tu che scrivi nello stesso giornale e difendi le donne, non ti verrebbe in mente forse di spiegare a Dalbecchi che forse non è quello che uno ha fatto nel passato ma quello che uno dice importante in televisione…? Poi a uno può piacere o non piacere, e a Dalbecchi ovviamente non piace, essendo lui grillino, perché incidentalmente questa ragazza non è grillina. Lasciamo perdere, andiamo sulle cose serie. Zaaac. Gli schiaffoni che si deve essere preso Dalbecchi quando stava a scuola, e non si è più ripreso. Che c’entra il merito… Il merito….
Da "la Repubblica" del 01 aprile 2011. «Dal 10 marzo di quest´anno la soubrette Hoara Borselli è stata assunta nella segreteria del ministro della Difesa La Russa come collaboratrice per i grandi eventi, con particolare riferimento alle manifestazioni del 150esimo anniversario dell´Unità nazionale. Certo, sembra un affare: lo stipendio è 16.120 euro annui, non degno del lungo curriculum della signora che annovera prestigiosi riconoscimenti, che iniziano con il premio Miss Malizia del ´92, passando per varie comparsate nel cinema fino alla partecipazione sul piccolo schermo a Cento Vetrine e alla vittoria di \"Ballando con le stelle\". Qualche domanda, tuttavia, è lecito porsela». E la pone Andrea Sarubbi, deputato del Pd, che sulla quindicesima consulente del ministero, fresca di incarico, presenta un´interrogazione. Sottolineando, tra l´altro, come il compenso della signora Borselli, classe ´76, fisico e aspetto da modella, «equivale alla paga annuale di due soldati in ferma prefissata annuale destinati anche ad operare in missioni internazionali». Ma la soubrette Hoara Borselli - ex compagna dell´allenatore Walter Zenga - percepisce un «semplice rimborso spese di 800 euro netti mensili» e la sua collaborazione con la Difesa «è stato un affare», gli replica La Russa attraverso i suoi uffici. Scelta «discrezionale», come in ogni ministero, sottolinea, e nel caso specifico la signora «è venuta in aiuto alle difficoltà del ministero che, per l’anno delle celebrazioni, avrebbe dovuto sobbarcarsi il costo di ripetuti e onerosi contratti per assicurarsi adeguate professionalità atte a condurre ogni singolo evento previsto e prevedibile». La Borselli già «il 17 ha presentato il concerto della fanfara dell'Esercito in Piazza di Spagna». Dunque - conclude la nota del ministero - «ringraziata per aver aderito con spirito volontaristico all'invito rivoltole dalla struttura della Difesa».
Nanni Delbecchi per il “Fatto quotidiano” il 28 novembre 2019. "I 5 Stelle sono finiti?" I sogni son desideri, ma anche talk-show. Per avverare il sogno, l' Uomo Vogue di Mediaset, al secolo Nicola Porro, ha invitato a Quarta Repubblica un ventaglio di ospiti come sempre all' insegna del pluralismo; il suo direttore al Giornale Sandro Sallusti, sicurissimo che i pentastellati siano finiti (come se Lothar chiedesse l' opinione di Mandrake), Maria Giovanna Maglie (d' accordo con Sallusti), Goffredo Buccini (d' accordo con la Maglie), Luca Telese nelle vesti dell' avvocato d' ufficio (quello di chi non può permettersene uno proprio). In studio c'erano i cartonati di Grillo e Di Maio a grandezza naturale; mancava la forca, come in C'era una volta il west, forse dovevano finire di montarla. Ma tra gli opinionisti c' era pure una certa Hoara. Però: vuoi vedere che arriva anche Rin Tin Tin? Ma no, falso allarme, nessun sergente O' Hara, solo un caso di omonimia con Hoara Borselli, signora di bella presenza ma mai sentita nominare. Siccome la credibilità di un talk si giudica anche dalle menti che lancia, ci siamo chiesti chi fosse tale insigne politologa (d' accordo con Sallusti, con Maglie e con Buccini), e abbiamo chiesto lumi a Wikipedia. Ebbene: Hoara è stata "letterata" di Paolo Bonolis nel varietà Il gatto e la volpe, vincitrice di Ballando con le stelle, primadonna nel varietà del Bagaglino Gabbia di matti E ora, dopo tanti titoli accademici, editorialista principe di Nicola Porro. Bello vedere che anche in Italia si premia il merito.
Dal profilo Facebook di Sara Manfuso il 28 novembre 2019. Se HoaraBorselli fosse stata grassa, bassa e con il naso adunco e se gli ascolti di Nicola Porro fossero meno alti, il polverone dei “malpensanti di professione” non si sarebbe sollevato. Tutto qui. Lezione di femminismo da parte di un giornalista-conduttore che ha il coraggio di invitare nelle sue trasmissioni donne in gamba (in senso letterale e metaforico) senza paura di apparire meno credibile.
Dagospia il 28 novembre 2019. Lettera di Giampiero Mughini a Dagospia. Caro Dago, siccome mi intendo di ospiti – uomini e donne – che seggono nei salottini televisivi, ti posso assicurare che Hoara Borselli è una ragazza intelligente e niente affatto banale. Non lo direi di molti altri “opinionisti” e “opinioniste” che mi sono trovato accanto negli anni. Un saluto al mio amico Nicola Porro, anche se quel siparietto da uno “inglese” come lui non me lo sarei aspettato e non lo avrei voluto.
Alessandro Sallusti per ''il Giornale'' il 30 novembre 2019. Quarta Repubblica, il programma condotto su Rete4 da Nicola Porro, cresce in ascolti e insidia la leadership dei salotti televisivi blasonati che, su Rai e Mediaset, fanno da palcoscenico soprattutto alla cultura e alla politica di sinistra. Tanto basta per finire nel mirino della compagnia di giro dei grillo-comunisti, che ha nel Fatto Quotidiano il suo braccio armato cartaceo. Ma come è possibile scrivono prima Nanni Delbecchi e poi Andrea Scanzi che Porro ospiti nel suo programma come opinionista tale Hoara Borselli, una bella signora con un passato da showgirl, ex compagna del portiere Walter Zenga e vincitrice di un Ballando con le stelle? Ma dove siamo finiti? Non conosco la signora Hoara Borselli, devo ammettere che non sapevo neppure del suo passato. L' ho vista in tv a Quarta Repubblica e mi è sembrato dicesse cose sensate e interessanti, ho apprezzato pure la sua bellezza ma mi rendo conto che agli occhi e alle orecchie di Delbecchi e Scanzi possa apparire imbarazzante. Il motivo è semplice: non è una donna di sinistra e dice cose di destra. E tanto basta per bollarla come inadeguata, spernacchiabile, risibile, ovviamente nel silenzio compiaciuto di tutte le femministe pronte a starnazzare se un maschietto critica anche solo la pettinatura di una di loro. Mi piacerebbe chiedere a Delbecchi e Scanzi: scusate, ma perché Hoara no e Alba Parietti sì? Perché Fiorella Mannoia (una cantante) e Sabrina Ferilli (una attrice) vengono interpellate con enfasi su temi politici manco fossero cattedratiche di Diritto Costituzionale e invece una ex ballerina non avrebbe titolo di dire la sua? Perché sulla politica l' ex compagna di Zenga no e la compagna di Buffon, Ilaria D' Amico (giornalista sportiva) sì? La risposta è ovvia: perché la Parietti, la Mannoia, la Ferilli e la D' Amico sono di sinistra e questo conferisce loro una patente di credibilità. E poi diciamolo, a proposito di curricula adeguati. Non mi sembra che Delbecchi e Scanzi abbiano mai eccepito che il Paese e la politica siano finiti nelle mani di un comico condannato per triplice omicidio. Anzi, i due ne sono appassionati portavoce. Lunga vita quindi a Hoara, opinionista (finalmente) bella, e alla libera Quarta Repubblica, che se cresce nel gradimento dei telespettatori un motivo ci sarà.
Lettera di Hoara Borselli al ''Fatto Quotidiano'' il 30 novembre 2019. Egregio Direttore, intendo replicare all' articolo gravemente diffamatorio, ai miei danni, a firma Nanni Delbecchi. Il mio accostamento a "Rin tin tin", lo stesso titolo dell' articolo, i dubbi espressi sul mio curriculum e, addirittura, alla mia intelligenza ("un talk si giudica anche dalle menti che lancia") travalicano ampiamente i limiti del diritto di critica per risolversi, invece, nel gratuito dileggio e nella diffamazione. Il Vostro critico ha attinto informazioni sul mio conto da Wikipedia. Gli è, peraltro, sfuggito che partecipo, da tempo, a due diverse trasmissioni tv (Quarta Repubblica e Non è L' Arena). Delbecchi si chiede, a quale titolo, un' ex donna dello spettacolo possa esprimere opinioni. Io credo in virtù della propria cultura, dell' interesse verso l' attualità ed anche degli studi fatti. I miei (ho un diploma magistrale) non sono culminati nella laurea, ma questo non mi impedisce di avere delle idee. Penso che la partecipazione di un professionista della tv vada valutata sulla base del contenuto dei suoi interventi e del rispetto che mostra di avere per le persone e le opinioni altrui. Rispetto che pare manchi, del tutto, al giornalista, per cui mi riservo di adire le sedi meglio viste a tutela del mio onore e del mio decoro.
LA REPLICA DI DELBECCHI: Gentile signora Hoara, l' accostamento a Rin Tin Tin a mio modo di vedere era lusinghiero; "Le avventure di Rin Tin Tin" con l' indimenticabile sergente O' Hara era uno dei miei programmi preferiti da bambino. Ma veniamo al punto che più mi preme. Lei scrive: "Delbecchi si chiede, a quale titolo, un' ex donna dello spettacolo possa esprimere opinioni". Non ho scritto questo, né avrei potuto, non avendo il piacere di conoscere la Sua carriera. Ho sostenuto invece, e lo ribadisco, che la credibilità di una trasmissione di parola si giudica dai suoi ospiti, nessuno escluso. Attribuirmi l' affermazione di cui sopra, con tutta la caccia alle streghe politicamente corrette che ne consegue: questo sì, mi pare elemento diffamatorio nei miei confronti.
Dall'articolo di Nanni Delbecchi per ''il Fatto Quotidiano'' il 30 novembre 2019. P.S. Nicola Porro ha trovato disdicevole la mia ignoranza a proposito di Hoara Borselli, già primadonna del Bagaglino, ora prima politologa di Quarta Repubblica. Devo averlo punto sul vivo. In effetti avevo dimenticato che nel 2011 è stata collaboratrice del ministro Ignazio La Russa quale conduttrice di eventi (tanto da essere soprannominata "Miss Difesa"). Un' omissione importante. Ce ne scusiamo con l' interessata, e con l' interessato.
Hoara Borselli da Porro, il Fatto risponde a Sallusti: "Il problema è chi la sceglie". Libero Quotidiano l'1 Dicembre 2019. Nanni Delbecchi torna a scrivere di Hoara Borselli e del suo ruolo di opinionista nella trasmissione di Nicola Porro Quarta Repubblica, in onda su Rete4 il lunedì in prima serata. Lo fa in un articolo pubblicato domenica 1 dicembre sul Fatto, replicando indirettamente anche ad Alessandro Sallusti che nel suo editoriale sul Giornale del 30 novembre ha difeso Porro e la Borselli. Delbecchi torna sulla questione della scelta degli ospiti in tv, in cui spiega che tema di fondo del suo corsivo polemico nei confronti della scelta della Borselli è il metodo con cui vengono costruiti i programmi di parola imperniati sull'analisi dell'economia e della politica. Il primo requisito dovrebbe essere l'onestà intellettuale, scrive Delbecchi. Temi concreti, dati certi e nutriti, forze in campo equilibrate, conduzione imparziale. Un'altra, fondamentale questione di metodo è il criterio con cui vengono selezionati gli ospiti. Non Hoara Borselli o Albert Einstein. Logica vorrebbe che a discutere di attualità venissero chiamate persone competenti, meglio se coinvolte direttamente nei temi trattati, chiosa sempre Delbecchi. Wikipedia ci informa che la signora Borselli ha alle spalle una lunga esperienza di attrice di soap opera e soubrette di varietà. Non si tratta di criticare lei, ma la visione maschilista della nostra Tv, a cui le prime a ribellarsi dovrebbero essere proprio le donne. Infine, chiude Delbecchi dando la colpa anche al conduttore Nicola Porro, se una soubrette viene creata dal nulla opinion leader, il genere e il curriculum non c' entrano niente: c'entrano le regole del gioco.
Dagospia l'1 dicembre 2019. Riceviamo e pubblichiamo: Caro Dago, Ho letto solo adesso il memorabile pezzo di Alessandro Sallusti sul Giornale in cui accusa Nanni Delbecchi e me di avere attaccato il poro por(r)o per avere ospitato Hoara Borselli. Mi perdonerai se ti uso come tramite. Ora, caro Alessandro, va bene tutto. Che tu mi definisca “grillo-comunista”, che tu mi rubi la merenda, che tu a Otto e mezzo - come ovunque - le prenda dialetticamente da me. Quella è la norma. Ma che tu mi accusi di non volere le belle donne in tivù, proprio no. Qui mi incazzo proprio, eh. La mia parte erotomane e donnaiola non può accettarlo. Io non ho MAI citato in vita mia Hoara Borselli e, in tutta onestà, fanno benissimo a ospitarla (casomai è lei grulla ad accettare di andare negli scantinati catodici). Sai cosa me ne frega se sia di destra o di sinistra. Mi sono divertito a zimbellare il poro Porro non per chi ospita, ma perché ha usato toni osceni con Nanni e, più in generale, perché in ogni cosa lavorativa che fa è squisitamente ridicolo, ontologicamente antiestetico e pervicacemente inutile. La sua sola esistenza suona come un’ingiusta provocazione sghemba a Darwin, e questo un po’ mi ferisce. Prima di citarmi sul Giornale, però, abbi almeno la compiacenza di leggermi. La Borselli non c’entrava proprio una beata sega. Dire che voglio in tivù la Parietti e non la Borselli è delirante. Ma scherzi? Io vorrei sempre in tivù entrambe. E non vorrei mai in tivù te, me e ovviamente il poro Porro. Sarebbe bellissimo. Non solo: vorrei Rossella Brescia come mistress, Eva Green come concubina e Justine Mattera come amante (sto su Instagram solo per vedere quanto è dannatamente sexy in ogni foto). Non osare mai più darmi del sinistrorso bighettone bacchettone, altrimenti mi troverò costretto a inseguirti col badile. E la mia compagna, travestita da Santanché, organizzerà attentati bolscevichi nella tua redazione. Alla mia fama di “edonista frivolo e uomo materiale” tengo molto, come ci tengono le para-femministe caricaturali e involontariamente salviniane à la Michela Murgia, che da anni mi accusano (con analoga propensione delirante) dell’esatto opposto di cui mi hai accusato tu. Tanto per cambiare, la penso come Gaber: “ Una donna emancipata è di sinistra/ riservata è già un po’ più di destra/ ma un figone resta sempre un’attrazione/ che va bene per sinistra o destra”. Stammi bene, Alessandro, e smettila di fare il renzusconiano triste: è da un po’ che ti aggiri in tivù più moscio e svilito di un Orfini in mutande cremisi e ciabatte fucsia.
Nanni Delbecchi per ''il Fatto Quotidiano'' il 2 dicembre 2019. Ringrazio Selvaggia Lucarelli per avermi fatto da badante e averlo fatto da par suo, illuminando nel merito la profondità di analisi dell' opinion leader Hoara Borselli, come invocato dalla medesima. Adesso sappiamo di cosa è capace. In effetti nel mio articolo di giovedì scorso non c' era nulla di tutto questo; non una sola riga di apprezzamento sulle sue affermazioni, come su quelle degli altri partecipanti al dibattito di Quarta Repubblica. Nel caso di Hoara c' era, sì, un po' di sorpresa; ero stato attratto proustianamente da quel nome antico - tutta colpa di Rin Tin Tin -, ma non avendo idea di chi fosse, e dunque temendo qualche mia grave lacuna, sono andato a documentarmi sul suo curriculum professionale dove ho potuto. E ho trascritto dei fatti (l' opinionista è lei). Sorvolerei anche sulla distorsione del mio pensiero fatta a tavolino da Nicola Porro. Vengo accusato di contestare la presenza della Borselli nel suo talk show (e quando mai? nel pezzo c' è solo un po' di stupore, non fugato dalla lettura di Wikipedia), falsificazione del mio pensiero per giustificare una scarica di insulti personali. Su questo attacco tendenzioso, come sul confine tra diritto di critica e diffamazione, avremo tempo di chiarirci in Tribunale. Qui vorrei tornare al tema di fondo del mio corsivo, appena accennato per ragioni di spazio: non il merito di qualsivoglia opinionista (absit iniuria verbis), ma il metodo con cui vengono costruiti i programmi di parola imperniati sull' analisi dell' economia e della politica. Il primo requisito dovrebbe essere l'onestà intellettuale. Temi concreti, dati certi e nutriti, forze in campo equilibrate, conduzione imparziale. Vediamo un po'. Il dibattito di Quarta Repubblica muoveva da una tesi precostituita ("I Cinquestelle sono finiti?"), era concepito in puro stile Processo di Biscardi ("Il Milan uscirà dalla crisi?") e allestito con tutti i vecchi ritrovati della faziosità televisiva: in studio quattro opinionisti su sei sdraiati sulle stesse posizioni ("Morte al grillino!"), il conduttore godeva come un riccio, né faceva mistero di essere con loro, le due uniche voci dissenzienti erano in collegamento esterno, scelte tra volti poco amati di chi segue la trasmissione. Quanto agli "imputati", ovvero i Cinquestelle, non c' erano proprio, se non in versione cartonata, per poterli meglio dileggiare. Un' altra, fondamentale questione di metodo, quella che ci riguarda più da vicino, è il criterio con cui vengono selezionati gli ospiti. Non Hoara Borselli o Albert Einstein. Tutti. Certo che tutti possono in teoria partecipare a un talk, anche se nella realtà le facce sono sempre le stesse, come in una compagnia di avanspettacolo poco aperta ai volti nuovi. Ma allora con quali criteri si entra nel cerchietto magico? Chi prima arriva prima alloggia, come dice il proverbio? La prenotazione, come al ristorante? Il sorteggio, come ha proposto Beppe Grillo per i senatori? Logica vorrebbe che a discutere di attualità venissero chiamate persone competenti, meglio se coinvolte direttamente nei temi trattati. Wikipedia ci informa che la signora Borselli ha alle spalle una lunga esperienza di attrice di soap opera e soubrette di varietà: mi sono parsi titoli accademici un po' debolucci, lo confesso. Intendiamoci, l' ex "Miss Malizia" non è la prima bella donna dello spettacolo che si materializza su poltrone e sofà e si improvvisa politologa con gli esiti illustratici da Selvaggia Lucarelli. Non si tratta di criticare lei, ma la visione maschilista della nostra Tv, a cui le prime a ribellarsi dovrebbero essere proprio le donne. Non servono quote rosa, servono quote di competenza alla peggior televisione italiana di sempre, ai talk ormai in piena deriva trash, dai guantoni di Mario Giordano alle colonscopie di Barbara D' Urso. Tutto questo è squalificante per la classe dirigente (i Cinquestelle hanno cominciato a guastarsi quando hanno iniziato a frequentare i talk), diseducativo per le giovani generazioni (guardate come si diventa famosi), specchio di una società inguardabile. Se una soubrette viene creata dal nulla opinion leader, il genere e il curriculum non c' entrano niente: c' entrano le regole del gioco.
· Gigi Marzullo.
Dagospia il 30 novembre 2019. Da I Lunatici Radio2. Gigi Marzullo è intervenuto ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino. Marzullo ha raccontato alcuni aspetti di se: "Iniziai ad aprire una luce televisiva nella notte di Rai1, il programma si chiamava 'Dopo mezzanotte'. Poi è arrivata “Mezzanotte e dintorni”, mentre nel 1994 è arrivata 'Sottovoce', che festeggia quest'anno i suoi primi 25 anni. Da bambino ero un po' pacioccone, tranquillo, studioso. Un po' per benino. Poi ho cercato un po' di cambiare le regole che giustamente mi avevano dato i miei genitori. Ho iniziato a farmi crescere i capelli, la barba, a prendere visione del mondo, a indirizzare le cose che per me non andavano bene. Ho iniziato l'università a Pisa, ho cambiato il mio modo di essere. Sono laureato in medicina e chirurgia, sono abilitato alla professione, ma se ho mal di testa chiedo consiglio ad un medico. I miei genitori mi hanno sempre lasciato libero, ma volevano prendessi una laurea. A diciannove anni volevo fare l'attore, mi piaceva il mondo dello spettacolo, poi ho iniziato a lavorare con alcune radio, poi al Mattino di Napoli, dopo è arrivata la Rai. Non recito, non cerco di fare il furbo, non mento né con gli altri né con me stesso. Ognuno nella vita deve fare quello che sente, senza pensare al traguardo da tagliare. Poi se arriva, bene. Nella mia carriera non c'è stata malizia, non c'è stata furbizia. Sono diventato Marzullo a mia insaputa". Si può vivere "sottovoce" nonostante i tempi in cui sembra vincere chi urla più forte: "L'importante non è urlare, ma dire la verità, dire le cose che si pensano. Poi il telespettatore, gli altri, capiscono. Quando sei in buonafede, anche se sbagli poi arriva il perdono". Sulle sue domande cult: "Alcune le ho sempre avute con me. Tipo quella "la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere meglio". E' anche in sintonia con l'orario in cui va in onda il mio programma. "Si faccia una domanda e si dia una risposta" non l'ho inventata io. All'università c'era un professore di chimica che quando era in una giornata positiva lo diceva agli studenti. Era la domanda a piacere che ognuno di noi forse ha incontrato nel percorso scolastico". Sulle persone intervistate che più lo hanno emozionato: "Uno dei primi incontri in un albergo di Roma l'ho fatto con Glenn Ford, un divo mondiale. Poi Sofia Loren, Woody Allen. Lui mi ha mandato un paio di suoi occhiali con una dedica. Ma non la montatura, proprio gli occhiali, con le lenti! Io da semplice ragazzo di provincia mi sono trovato davanti persone che per me erano dei veri miti. Ricordo anche Gassman, Sordi, Tognazzi. Ricordo Ugo Tognazzi in un camerino a Roma che parlando della morte urlava "Io non voglio morire"". E' uscito da poco il suo libro, edito da Rai Libri, 'Non ho capito la domanda, 365 dubbi e rovelli per tutto l'anno': "Nella mia vita è arrivato Fazio. Prima con "Quelli che il Calcio", po con "Che tempo che fa". Ha tirato fuori la parte auto-ironica che dovrebbe essere in ognuno di noi. In me c'è. Queste sono domande esistenziali Sono domande che sembrano banali, semplici, ma in realtà sono un po' esistenziali, che prevedono anche delle risposte molto profonde. Sono arrivate tante domande e questo libro è il risultato di un percorso che ormai dura da quattro anni, 'Che Tempo che Fa' e che 'Tempo che farà', questo libro è anche un po' figlio di quel programma. E' libro divertente, che può far evadere.
· Vittoria Hyde: front woman dei Vittoria and the Hyde Park.
Vittoria Hyde: “Quella serata romana con Daniel Craig… “ Marco Lomonaco il 28/11/2019 su Il Giornale Off. Vittoria Hyde, 34 anni, eccentrica front woman dei Vittoria and the Hyde Park, deejay e conduttrice radiofonica, si racconta a OFF.
Quando esce il nuovo lavoro dei Vittoria and the Hyde Park?
«Sarà un EP che uscirà con il nuovo anno, le date esatte le ufficializzeremo tramite i nostri canali social».
Descrivi Vittoria Hyde con un aggettivo.
«Enigmatica!»
Dal tuo accento non si capisce da dove vieni. Sei italiana, tedesca, inglese o… tutte e tre le cose?
«Sono nata a Monza da genitori tedeschi, trasferiti in Lombardia perché mio padre aveva ricevuto nel 1980 un’offerta irrinunciabile alla Scuola Tedesca di Milano. Poi siamo tornati in Germania dove ho fatto i primi anni di asilo a Singen… che ironia della sorte significa proprio cantare! Poi ho continuato a fare avanti e indietro e, alla fine, eccomi qua! Per quanto riguarda l’inglese invece: è una lingua che uso tantissimo per lavoro, ormai come una seconda (o terza) madre lingua».
Singen, quasi un segno del destino…
«Sì, non per niente la musica e il canto hanno sempre fatto parte di me. Pensa che all’età di 5 anni già giravo per casa cantando la lirica. Ero molto esibizionista già a quell’età (sorride, ndr): pensa che un giorno i miei genitori avevano organizzato una cena e mi avevano chiesto di non “dare spettacolo” e di rimanermene buona nella mia stanza. Io di tutto punto sono entrata nella sala da pranzo interrompendo la cena ballando e sono salita su un tavolo tirandomi giù la gonna».
Ti senti un po’ esibizionista anche oggi? Non c’è niente di male sia chiaro…
«Negli anni ho limato moltissimo questo aspetto del mio carattere. Quando ero piccola il mio obiettivo era quello di essere “calcolata” dagli adulti e facevo di tutto per mettermi in luce, oggi ho imparato che esiste un momento per tutto, a volte anche per stare un po’ più defilata».
E in questo immagino che la radio ti abbia molto aiutato, anche perché nei tuoi lavori radiofonici più importanti – come quello attuale a Nightcall su DEEJAY – hai un ruolo da co-conduttrice, o sbaglio?
«Hai ragione, infatti la radio mi è servita molto per crescere professionalmente ma anche professionalmente. Mi piacerebbe un giorno anche essere io a tirare le fila di una trasmissione ma per oggi mi sento più spalla e sono molto contenta del lavoro che stiamo facendo durante la notte a Radio DEEJAY con Chicco Giuliani».
Dicci di quella chiacchierata inaspettata con Bryan Adams…
«Ero in vacanza a Minorca e mi trovavo a uno spettacolo musicale di un duo che faceva cover: uno dei due artisti assomigliava tantissimo a Fiorello mentre l’altro a Bryan Adams. Allora ho fatto una foto e l’ho pubblicata sui social taggando tutti e due. Qualche ora dopo succede una cosa del tutto impensabile: Bryan Adams risponde al mio tag e iniziamo a chattare su Instagram. Abbiamo parlato di tutto e di più, di musica, del mio gruppo, finché lui stesso, che è anche un grande fotografo, si propone per curare la copertina del nostro nuovo album. Ora ci stiamo sentendo settimanalmente per capire come rendere concreta questa collaborazione che, per noi, sarebbe veramente preziosa essendo Bryan uno straordinario artista di fama internazionale».
Hai molti follower sui social, ti senti una influencer? Cosa significa per te questa parola?
«Allora, ho sempre cercato di fare cose creative tramite “canali pubblici”, anche prima che esplodesse la mania social tra Facebook, Instagram e Twitter. Ho avuto per anni, ad esempio, un canale YouTube in cui parlavo di moda in maniera un po’ OFF. Oggi però non mi sento una influencer in senso stretto, ovvero legato esclusivamente ai social, anche perché per me gli influencer nascono moltissimo tempo addietro: si pensi solo a David Bowie e Mick Jagger».
Raccontaci un episodio OFF della tua vita.
«Qualche anno fa mi trovavo a fare serata in una churrascaria brasiliana a Milano, quando ad un certo punto mentre ballavo ho visto un uomo in lontananza che mi guardava e sorrideva dal priveè (sopraelevato e separato con un ampia vetrata dal resto del locale). Qualche minuto dopo questo scambio di sguardi e di sorrisi, si è avvicinata a me una donna che ricordo essere piuttosto “pomposa”, dicendomi: “Ronaldinho vorrebbe conoscerti, ha chiesto di te”. Io un po’ stupita che il Pallone d’Oro avesse notato proprio me tra tutte le belle ragazze nel locale, chiarisco subito eventuali equivoci, poiché non ero e non sono il tipo di ragazza che si concede così. Così la manager mi ha accompagnata da Dinho che, avvicinandosi al mio orecchio ha iniziato a sussurrarmi “parole importanti”, lusingandomi e spiegandomi che mi aveva notata da un po’ per la mia sensualità. A qual punto, dopo aver chiarito anche con lui che non sarei stata disposta ad “andare oltre” quello scambio di battute, abbiamo iniziato a parlare del più e del meno, tra cui di musica. Insomma, quella serata straordinaria è terminata con un invito ufficiale e inaspettato al trentesimo compleanno di Ronaldinho, dove ho animato la serata e intrattenuto gli ospiti con la mia voce e la mia musica, ovviamente pagata!»
Per finire, facci sorridere: raccontaci una grossa figuraccia che hai fatto in questi anni…
«Ero a alla festa di compleanno di Riccardo Scamarcio a Roma insieme a tanti personaggi e attori della scena romana. Ad un certo punto della serata mi sono messa a chiacchierare con un bell’uomo, biondo, molto british, un volto noto che però a me in quel preciso momento sfuggiva. Finita la conversazione sono andata da Valeria Golino, all’epoca compagna di Scamarcio, dicendole: “ma io quel tipo l’ho già visto, chi è?”. La sua risposta, ridacchiando, è stata la seguente: “ma come chi è? Quello è Daniel Craig, James Bond”. Insomma, una grande figura di m!»
· Alfonso Signorini.
Alfonso Signorini spiazza a Cr4: "Tre mesi fa sono stato con una donna". Nella nuova puntata di Cr4: La Repubblica delle donne, Alfonso Signorini ha rivelato di aver avuto una liaison con una donna. Serena Granato, Sabato 30/11/2019 su Il Giornale. Lo scorso 27 novembre, è stata trasmessa la prima puntata della seconda edizione consecutiva di Cr4: la Repubblica delle donne, talk-show condotto da Piero Chiambretti. Un programma delle donne e per le donne, "perché le donne sono tutte prime", così come ha dichiarato il conduttore della trasmissione. Il nuovo appuntamento tv ha visto presentarsi tra gli ospiti in studio due volti noti ai telespettatori di Rete 4, ovvero l'ex gieffino Cristiano Malgioglio e il direttore di Chi magazine, Alfonso Signorini. Quest'ultimo, che è in procinto di condurre la quarta edizione del Grande Fratello Vip, reality show rimasto ormai orfano della conduttrice Ilary Blasi, ha rilasciato alcune inaspettate dichiarazioni circa il tema della "fluidità" dell'orientamento sessuale dell'uomo. Dichiaratamente omosessuale, nato a Milano e classe 1964, Signorini ha rivelato, per la prima volta in tv, di aver consumato un rapporto sessuale con una donna. Una notizia quest'ultima che, in poco tempo, ha fatto il giro del web. "Adesso dirò una mia opinione personale e alcuni potranno non condividerla -ha affermato il neo conduttore del Grande Fratello Vip al format condotto da Chiambretti-, ci mancherebbe... L’orientamento sessuale secondo me non è così definito per tutti. Io ad esempio ho fatto l’amore tre mesi fa con una donna. E allora?". Secondo il noto direttore di Chi, l'attrazione provata verso un particolare sesso dipenderebbe dalla connessione mentale esistente tra due persone, a prescindere quindi dalle proprie tendenze sessuali. "Il problema qual è? Cosa c’è? Ma perché parte tutto dalla testa -aggiunge nel suo intervento Signorini-. Se a me una mi affascina, comincia ad essere intrigante, parte il gioco di sguardi, mi affascina a livello intellettuale io allora la trovo sensualissima. Questo almeno è quello che capita a me, capite?". Al momento non ci è dato sapere il nome della donna che ha, a quanto pare, conquistato Signorini. In passato, lo stesso aveva rivelato di aver avuto una liaison amorosa con Valeria Marini, che durò per diversi mesi. "Ho avuto una relazione con Valeria Marini", dichiarava a suo tempo Signorini a "Domenica Live". Alfonso Signorini, da Barbara d'Urso, aveva inoltre confidato al pubblico che con Valeria non si era trattato della storia di una notte, "ma di una relazione di cinque/sei mesi. L'ho presentata persino a mia madre". Tra i due, finì per un particolare comportamento assunto dalla Marini, nella convivenza con Signorini: "Una sera, a casa mia, ha lavato i suoi perizomi nel lavandino della cucina di casa mia... inutile dirvi che c’è stata subito una discussione in merito. Vivere con una persona come lei è difficilissimo".
Alfonso Signorini e i "fluidi". Nel corso della sua ospitata a La Repubblica delle donne, Signorini ha spezzato una lancia a favore di quei vip che ad oggi non hanno mai rivelato il loro orientamento sessuale: "Ci sono degli artisti di cui si è parlato molto, che volutamente non si sono mai pronunciati né per un verso né per un altro. Sono i cosiddetti ‘fluidi’. Oltre a Gabriel Garko, penso a Mahmood, Marco Mengoni, Renato Zero, Roberto Bolle, Gianna Nannini…". Una scelta, quella dei cosidetti "fluidi", che il conduttore del GfVip 4 condivide in pieno, alla luce degli attacchi subiti in passato per via della sua omosessualità.
· Edwige Fenech.
Stefania Rocco per fanpage.it il 17 dicembre 2019. Verso la fine degli anni 80, a 40 anni non ancora compiuti, il manager Luca Cordero di Montezemolo incontrò la diva della sexy commedia all’italiana, Edwige Fenech, e ne rimase stregato. Lo ha raccontato a Caterina Balivo che lo ha ospitato a “Vieni da me”. Quel legame durato 17 anni conserva il potere di commuovere Montezemolo. “Diciassette anni della mia vita, mi commuovo se ci ripenso perché è stata una donna molto importante della mia vita ed è una bellissima persona. La conobbi quando aveva 38-39 anni” ha dichiarato ricordando quel periodo segnato dal grande amore vissuto pubblicamente nonostante le critiche feroci che quella storia costò a entrambi.
Edwige Fenech accusata di essere raccomandata. “Una raccomandata”: così Edwige fu bollata all’inizio della sua relazione con Montezemolo. La accusavano di essere riuscita ad arrivare in tv solo in virtù dell’intercessione dell’uomo potente del quale si era innamorata. “Quante gelosie, quante invidie” ricorda il manager “Quando conduceva Domenica in entrava nella casa di tutti. Ricordo i maligni: Ah, è lì perché è la compagna di Montezemolo. E intanto tentavano di screditare me perché doveva per forza essere poco serio un manager che stava con un’attrice”. Nemmeno per la Fenech fu facile far fronte a quelle voci insistenti. “Facevo grandi ascolti, ma ogni settimana uscivano sul mio conto critiche feroci: ‘Non sa fare niente, è imposta e raccomandata da Montezemolo” aveva raccontato in passato.
Tutte le donne di Luca Cordero di Montezemolo. La diva Edwige Fenech non è l’unica donna nota della quale Luca Cordero di Montezemolo si sia innamorato. Il primo matrimonio risale al 1975 quando il manager che discenderebbe dai Savoia sposò la regista Sandra Monteleoni, madre del suo primogenito, Matteo. Quelle nozze furono annullate pochi anni dopo dalla Sacra Rota e l’imprenditore si legò alla giornalista Barbara Parodi Delfino, madre di sua figlia Clementina. Un altro legame lunghissimo è stato quello vissuto con Ludovica Andreoni dalla quale ha avuto altri tre figli. Sposati dal 2000, i due si sono separati nel 2018. Da quel momento in poi, Cordero di Montezemolo non ha avuto altre relazioni note.
Quando la Fenech era la principessa sul pisello: Feltri proibito dietro le quinte del varietà Rai nel 1988. Vittorio Feltri su Libero Quotidiano il 30 Novembre 2019. La montagna partorisce il topolino, e il topolino se la mangia. Nella guerra degli indici di gradimento, ogni valore, buonsenso incluso, viene stritolato. E così succede che Edwige Fenech, impacciata presentatrice di Carnevale (Reteuno) ed ex protagonista di film cochon, diventi un simulacro venerabile per funzionari e registi, cameramen e truccatrici, sarte e generici vari al soldo dell' ex monopolio. Una dea per tutti, tranne che per il pubblico che assiste inerte e avvilito ai riti melensi del sabato sera. Visto da vicino, anzi da dietro, il programma della sempreverde algerina sembra una caricatura degli show tradizionali; una caricatura talmente forzata da risultare più assurda di quella architettata da Arbore. Paradossalmente, Carnevale è la parodia involontaria di Indietro tutta. Dopo lo sconquasso provocato da Celentano, è in atto un tentativo di videorestaurazione che riporta viale Mazzini alla paleotelevisione, quella di Lauretta Masiero, del mago Zurlì e del professor Cutolo. Nei padiglioni della Dear, in via Nomentana, non c'è il serpentone idrovoro dell'appuntato Frangipane, ma un codazzo di serventi che saltellano intorno alla Fenech per placarne i capricci e l'ansia. Clima da psicodramma. Quando entriamo negli stabilimenti cinematografici trasformati in dépendance della tivù di Stato, sono le 18 e 30. Mancano due ore all'inizio dello spettacolo che fa la concorrenza a quello di Raffaella Carrà. Ma è già un delirio a cui contribuiscono le prove di altre trasmissioni. Nello studio 2, imperversa Ieri Goggi domani; nell'1 si esercita Barbato per Va' pensiero; nel 5 si allestisce Domenica in. Il battaglione degli ospiti vaga nei corridoi in attesa dell'appello. E nel gran vociare emergono comandi gridati: "Luce, datemi le luci. Sposta quel carrello. Più in là, mortacci...". Il bar è come quello della stazione di Catania, affollato e polveroso, conquistare lo scontrino alla cassa è un cimento muscolare. Su una distesa di bucce di bruscolini, bivaccano bionde stoppose dall'incerto mestiere, forse sono ragazze ponpon; giovanotti di colore che col piede battono il ritmo di una musica immaginaria e guardano sognanti il soffitto annerito dal fumo. A un tavolo, gli orchestrali in smoking e mocassini con la para tirano le carte per un interminabile scopone scientifico, e al conteggio dei punti s'azzuffano rinfacciandosi le colpe di un 7 non spaiato e di una fallita primiera. Transita Banfi, che è preciso all'imitazione di se stesso, cioè uguale al finto cugino: la camicia di flanella a quadretti che gli esce dai pantaloni, maniche rimboccate, un'aria stravolta e pensosa, Gianfranco Jannuzzo passeggia nervoso. Stefano Nosei ce l'ha col nodo della cravatta. Renato Pozzetto stringe per mano una bambina col soprabito celeste (quella che ha fatto il film con lui sul fanciullo che divenne adulto in tre minuti) e conversa con tutti quelli che incontra. Ma dov' è Edwige? Otteniamo di avvicinarci alle sue stanze grazie all'intercessione di Marco Luce, paziente cucitore dei rapporti tra il circo della Rai e quello del stampa. Lo seguiamo negli ambulacri riservati agli addetti ai lavoratori e ci imbattiamo in un tale che suona la cornetta appoggiato a uno stipite. Ci affacciamo nella sala delle costumiste, e una dozzina di donne in grembiule bianco, stupite per l'intrusione, sollevano la faccia dal piatto di porchetta: sedute al tavolo delle imbastiture, approfittano di una pausa per cenare fra spagnolette, manichini e ferri da stiro. Odore di tela nuova e rosmarino fritto. Passiamo oltre. Ed ecco Cocciante, criniera ricciuta, in giacca con maniche alla raglan, sobria. Poi un tizio in canottiera, orecchini che brillano e stuzzicadenti che gli pende dalle labbra. E finalmente, il camerino-tabernacolo della Fenech. Ma lei non c' è. "Ancora non s'è fatta vedè - ci informa il parrucchiere piuttosto seccato -, e l'acconciatura è tutta da sistemare. Sempre così, mannaggia alla...". Torniamo nella bolgia dove spicca una calvizie: è quella di Pierluigi Zerbinati, il sosia di Craxi. L'attore, con Oreste Lionello mascherato da Andreotti, farà un numero in Carnevale. È molto più basso del segretario del Psi e gli somiglia vagamente, come vagamente si somigliano tutti i pelati dalla fronte in su. Indossa un completo di grisaglia senza pretese, e appare soddisfatto di sé. Come potrebbe non esserlo? Lo pagano per mettersi le mani sui fianchi, sporgere il petto e ripetere qualche luogo comune con timbro ducesco. Nessuno ride, ma lui incassa. Ormai, le spiritose vignette di Forattini hanno trovato una genia di imitatori in ogni ramo espressivo che spacciano patacche di Craxi con gli stivali: sono falsi grossolani che non divertono e minacciano di appassire anche la vis comica degli originali. La tivù è un tritasassi. Poco più di un anno fa, Grillo fu lapidato per un paio di battute convenzionali sui socialisti; adesso Zerbinati si esibisce impunemente, suscitando malinconia e disagio, in banali ritratti pseudosatirici che puntano sull'indole forte di Bettino. Al quale bisogna dare atto di essere forte sul serio, almeno di stomaco, essendo riuscito a digerirli insieme con l'autore e chi lo ha scritturato. Ma da queste ovvie riflessioni siamo distolti per un'improvvisa eccitazione che ha colto i tecnici. È il segnale che Edwige è arrivata. E cerchiamo di raggiungerla. Ma fuori dal camerino, il parrucchiere ci avverte: "Semaforo rosso, sta infilandosi il vestito". Aspettiamo cinque, dieci minuti. Sentiamo un bisbiglio. Ancora silenzio. Quindi una ragazza dalla pelle scura esce di corsa, gli occhi sbarrati, dice più sconsolata che disperata: "Mo' non se lo vuole mettere, non le piace". E si precipita in sartoria. Concitazione, strilli: "Le forbici, dove sono le forbici?". Si fa avanti una donna anziana, scuote il capo: "Fatemè dà uno sguardo". Conciliaboli. Altri strilli: "Svelte, i cerotti. E le spille. Non una, tre spille, quattro, te pozzino amm...". Il trambusto cresce. Una processione irrompe nello stanzino. E ci rendiamo conto che in Rai un abito che non sia gradito alla diva equivale a dipendenti alla morte di un parente stretto. Interviene Pozzetto con bimba-collega. Intervengono Nosei, un funzionario, uno dell'ufficio stampa, uno stuolo di lavoranti, un cameriere con due cartoni di acqua minerale. È uno di quei momenti, si intuisce, che precedono le tragedie se non le catastrofi. Siamo rassegnati a vedere la Fenech in déshabillé che sbatte la porta e se ne va in lacrime: "Basta, non ci sto più!". E dietro di lei un plotone di supplicanti: "No, resta, fallo per noi, Edwige". L'uscio si spalanca. Colpo di scena: da quella stanza, che deve essere come Versailles per contenere tanta gente, sortiscono esultanti le modiste, gli assistenti, tutti. E una signora annuncia: "Se l'è messo, grazie a Dio". Tocca a noi. Ci accingiamo a bussare, quando una mano di ferro blocca la nostra. "Calma", ammonisce il titolare del robusto arto. Siamo calmissimi. E attendiamo ancora. Fra dieci minuti attacca la diretta. Che l'intervista vada a farsi benedire? Miracolo. La Fenech appare. Bella. Altera. Un incedere lento, solenne: che sia un artifizio per valorizzare il portamento? No. Paura di cadere dai tacchi e oggettiva difficoltà a reggersi in precario equilibrio sulla punta degli spilli. Ella viene verso di noi, schiudendo la bocca in un sorriso che incanta. Abbiamo il sospetto che sia dedicato a qualcuno alle nostre spalle. E ci voltiamo, verificando che è proprio per noi. La Splendida ci concede l'onore di accompagnarla fino al proscenio e di interrogarla mentre percorriamo il tratto da qui alle telecamere.
- Perché trema?
Emozione, tanta emozione per il programma che si inizia.
Si distrae subito, stimando compiaciuta l' ammirazione che si legge nelle pupille del popolo che fendiamo per recarci nello studio.
- A che cosa sta pensando in questo istante, alla Carrà?
Figuriamoci, penso alla mia trasmissione.
- La considera un successo?
Sì. E spero che duri.
- Ora che ha scoperto il video, basta cinema e basta teatro?
A febbraio uscirà un mio film. Un film importante.
- Meglio il set o la tivù?
Apprezzo entrambi.
- Teme più l' Auditel o i riflettori?
Tutto. Niente, tutto, non so.
Ce la sottraggono tre o quattro dirigenti che la conducono al microfono. Si ode il fruscio dell'abito sul pavimento. Poi Edwige è sola, e dice d'un fiato quello che sa: "Signori, ecco a voi". Per la televisione è sufficiente, e lei si conferma diva. Vittorio Feltri
· Tony Sperandeo.
FINCHÉ C’È SPERANDEO C’È SPERANZA. Dagospia il 22 ottobre 2019. Da I Lunatici del week-end. Tony Sperandeo è intervenuto nel corso della trasmissione I Lunatici del week end in onda su Rai Radio 2 ogni sabato e domenica dall’1 alle 5, condotta da Andrea Santonastaso e Roberta Paris.
Sulla sua carriera: Alla fine si finisce anche per prendersi in giro da soli per i ruoli seri che si sono fatti. Ma è possibile che la gente si ricorda di me soltanto per il cattivo? Io per la Rai, ne “La Squadra”, ho lavorato 7 anni facendo il sovraintendente Salvatore Sciacca, un poliziotto e non se lo ricorda nessuno. Ho fatto “La Scorta” dove facevo il carabiniere e non se lo ricorda nessuno. Da quando ho vinto il David di Donatello facendo Gaetano Badalamenti de “I cento passi” quello è diventato il cattivo per eccellenza. Questo mi dispiace, perché mi piacerebbe rappresentare cose diverse, però quello che ho rappresentato dalla parte della legalità è molto bello. Poi parliamoci chiaro, io faccio l’attore quello che mi vogliono fare faccio.
Sul cinema: Se devo essere sincero il cinema non è più quello di una volta, adesso è facile diventare sceneggiatori, registi. Io con la mia esperienza ho fatto più di 100 film, 250 puntate de “La Squadra” ma li ho lasciati scrivere agli altri, perché il cinema una volta era cinema. Adesso chiunque arriva come comparsa e al secondo film fa il regista, quindi non è più credibile come prima. Se io devo fare qualcosa di serio devo essere sicuro di avere un’ottima sceneggiatura e una buona distribuzione, allora si che faccio tutto altrimenti cado nel ridicolo come tutte le altre cose. Una volta nel cinema noi superavamo l’industria americana, loro ci hanno copiati. Loro però sono rimasti una grande industria, noi no ed è un peccato perché il grande cinema l’ho abbiamo avuto noi. Questo cambiamento è dovuto al fatto che si muore e non ci sono gli eredi, non ci sono più i mattatori di una volta. Però ad esempio ci sono quelli come il mio conterraneo Giuseppe Tornatore, lui è cresciuto dietro la macchina da presa, ha fatto di tutto e di più quindi conosce bene il cinema. Roberto Benigni è un grande ma ne fa uno ogni tanto. Ci sono degli ottimi talenti però.
Sui social: I social non li ho mai curati, c’è qualcuno che me li cura perché non so manco come si fa Instagram. Con la mia compagna, Barbara, a causa del lavoro ci vediamo e non ci vediamo, i miei figli sono a Milano. Fortunatamente ho mia madre di 94 anni ancora in vita, ma lei vive a Palermo e io vivo a Roma. Le cose per me più importanti sono mia mamma, il mio lavoro, la cagnolina e poi tutto il resto.
Sul film I cento passi: A proposito di Badalamenti e di mamma, quando stavo preparando il personaggio sono andato a trovare la madre di Peppino Impastato che mi conosceva per il cabaret, allora facevo diverse serate. Quando Giovanni Impastato disse a sua madre che avrei interpretato Tano Badalamenti, ci mancava poco che mi buttava fuori di casa. La mamma è sempre la mamma e aveva perfettamente ragione. Quando ce ne siamo usciti, siamo stati fermati da dei loschi individui che mi hanno abbracciato dicendomi “Sperandeo facciamolo bene lo zio Tano, perché lo zio Tano è una persona che merita. E io me la sono fatta sotto”. L’importante è quello che sei nella vita, io sono orgoglioso di aver scritto un monologo sui due magistrati Falcone e Borsellino che porto nel cuore, perché sia loro che la Morvillo che i ragazzi della scorta, in tutti e due gli attentati, hanno dato la vita.
Su Antonio Albanese: “I Topi” di Antonio Albanese è una nuova serie che abbiamo fatto l’anno scorso e che ripropongono quest’anno. Sono felice di lavorare con Antonio Albanese che è un pazzo scatenato, un genio. Ho lavorato con tanti attori nazionali e internazionali ma lui è Antonio Albanese, è un genio. Mi ha chiamato due anni fa invitandomi a casa sua a Milano e mi propose questa sitcom che sembrava molto carina, quindi ho accettato anche perché lavorare con Albanese è una pacchia. Il mio ruolo è comico, è un film sulla mafia si ma è una presa per il culo alla mafia. Io e lui siamo due che scappano sempre che vivono nei tombini, nei cunicoli, da una vita. Per chi non l’avesse vista, l’anno scorso la polizia riesce a entrare in questi cunicoli, sbaglia e la polizia esce in Austria, noi invece a Novi Ligure. Questo lavoro con Albanese è molto carino, perché è una presa in giro a tutti questi mafiosi, quindi ci scassiamo dalle risate, lavoriamo e ci divertiamo. In questo lavoro non c’è alcun messaggio, ridi dall’inizio alla fine. È il non plus ultra dell’idiozia, come Cetto La Qualunque.
· Gli Iglesias.
Il mio tour mondiale da papà Julio? È un bravo vicino di casa". La popstar dal vivo al Forum di Milano il 2 novembre «Il reggaeton? Non snobbatelo, fa essere tutti felici». Paolo Giordano, Mercoledì 23/10/2019, su Il Giornale. Cosa puoi obiettare a Enrique Iglesias? Ha venduto oltre cento milioni di dischi, è figlio famoso di padre famoso, ha avuto due figli con una delle tenniste più belle di sempre e neppure se la tira. Pensate, a differenza di qualsiasi trapper anabolizzato da views magari farlocche, è educato, saluta e dice grazie come ogni bravo ragazzo. Forse per questo, ha iniziato la carriera con uno pseudonimo perché negli anni Novanta era troppo impegnativo chiamarsi Iglesias come Julio, quello di «pensami tanto tanto intensamente» e della valigia di un lungo viaggio. Insomma meglio un anonimo Enrique Martinez. Oggi, a 44 anni, dopo aver seminato successi planetari come Bailando, Duele el corazon oppure Sùbeme la radio, ha un pubblico trasversale e per niente snob che va ai concerti con due soli obiettivi: divertirsi e ballare e che male c'è. A furia di esibizioni, sta per arrivare al Forum di Milano (quasi) alla fine di un lunghissimo tour mondiale e sul palco porterà un campionario di pop latinoamericano fatto con stile, appiccicoso quanto basta e comunque arrangiato da signori professionisti. «È la mia vita», dice lui al telefono da Miami.
Ma come la sua vita? È diventato padre da poco.
«Sì, prima la mia vita era soltanto musica. Adesso mi realizzo attraverso le mie esibizioni dal vivo e quel contatto con il pubblico che si crea durante i concerti. Ma, da quasi due anni, si è aggiunta una componente fondamentale: sono diventato papà. Nicholas e Lucy sono nati nel dicembre del 2017 e da allora la mia vita ha decisamente molti riflessi diversi e più nutrienti».
La mamma è Anna Kurnikova, che a sedici anni arrivò alle semifinali di Wimbledon ed è stata una delle dive femminili del tennis.
«Anche se il mio lavoro mi porta in giro per il mondo, cerco di non stare lontano da casa per più di dieci giorni consecutivi. Piuttosto prendo un aereo, torno di corsa dalla mia famiglia e riprendo i concerti».
Per la mamma non deve essere stato facile accettarlo.
«Anna mi capisce perfettamente e questa comprensione reciproca è parte fondamentale del nostro rapporto».
Un equilibrio non facile da raggiungere.
«In effetti, quando si è abituati a essere solisti, si ragiona soltanto sulla base delle proprie singole necessità. Poi ti accorgi che non sei più tu soltanto. Oppure solo lei soltanto. Si è in due. E ci si accetta, calibrando gli equilibri».
Questa consapevolezza quanto aiuta nella composizione delle canzoni?
«In realtà ho sempre composto brani cercando di descrivere stati d'animo e di non essere in balìa di emozioni estemporanee. Se pubblico un brano, lo faccio perché credo mi rappresenti fino in fondo».
Ma se poi non è un successo?
«Beh mica ogni brano deve essere per forza un grande successo. Non si pubblicano soltanto canzoni che si pensa debbano andare al numero uno in classifica. Si pubblicano se ci rappresentano o rappresentano bene una situazione».
Il suo ultimo tour ha raccolto finora oltre un milione e mezzo di persone.
«Questa volta a Milano avrò una nuova scaletta e canterò brani che non cantavo prima».
Qui in Europa da almeno un paio d'anni siamo in piena fase reggaeton. L'hanno adottato anche i cantanti italiani.
«Il reggaeton è così popolare perché ti fa ballare. Anche io, se arrivo a casa soddisfatto, ascolto musica reggaeton. È una sonorità che consente a tutti, ma proprio tutti, di sentirsi parte di quelle parole e di quei ritmi».
Ma a lei piace davvero tutto il reggaeton che si sente in giro?
«È vero, se ne ascolta tantissimo. Ma a me piace soltanto quello che mi sembra buono. Non sono un integralista, so distinguere».
Quanto reggaeton ci sarà nel suo nuovo disco dopo tanti anni?
«Non posso ancora dirlo con certezza perché lo sto registrando e anche nelle prossime settimane, a parte i concerti, trascorrerò molto tempo in studio di registrazione».
Quando uscirà?
«Credo in primavera».
Intanto trascorrerà il tempo libero nella sua casa di Miami.
«E mio padre Julio abita poco distante, direi una ventina di minuti. È un brano vicino di casa, sa?».
· Michelle Pfeiffer.
"Per molto tempo ho pensato di non farcela". Michelle Pfeiffer rivela cosa vuol dire essere attrice a 60 anni. Tornata in grande forma per il film della Disney, Michelle Pfeiffer si rivela in una lunga e accorata intervista in cui rivela cosa vuol dire essere un'icona a 60 anni. Carlo Lanna, Mercoledì 16/10/2019, su Il Giornale. Celebre per aver segnato un’era del cinema a cavallo fra gli anni ’80 e ’90, Michelle Pfeiffer nonostante lo scorrere del tempo, conserva il suo fascino e la sua bellezza. A 60 anni è ancora un’icona di moda e stile. In vista della sua partecipazione al sequel di Maleficent, al fianco di Angelina Jolie, l’attrice si rivela in un’intervista a Vanity Fair in cui racconta il suo presente, il passato e il suo futuro. "Per molto tempo ho pensato di non potercela fare. Non avrei mai immaginato di diventare un’attrice di successo – esordisce Michelle Pfeiffer-. Ogni volta penso che mi licenzieranno entro la prima settimana di lavoro oppure ancor prima di cominciare. Sono così in ansia da pensare di andare via ancor prima di cominciare". Paure del tutto infondate ma che la Pfeiffer non riesce a scrollarsi di dosso. "Ora però riesco a concedermi un po’ di auto-indulgenza. Mi guardo alle spalle e mi rallegro nel vedere i quarant’anni di carriera e i film memorabili a cui ho partecipato – aggiunge -. Non ho sfruttato però la mia bellezza. Mi sono sempre sentita inadeguata". L’intervista è anche un modo per focalizzarsi su alcuni temi caldi della realtà di oggi, come il femminismo. "Il pubblico vuole e premia questo tipo di storie – rivela -. Se gli incassi funzionano è giusto che si esplori questo tipo di universo". Per Michelle Pfeiffer il film della Disney ha segnato inoltre il ritorno sula grande schermo dopo un breve periodo di assenza dalle scene. "Non ho sentito la mancanza. Mi sono dedicata alla pittura. Non ho mai avuto difficoltà a impegnare il mio tempo libero".
· Jennifer Aniston.
Jennifer Aniston sbarca su Instagram e "rompe internet". Jennifer Aniston è stata una delle poche dive a resistere finora senza Instagram ma finalmente anche lei ha ceduto e... "Ha rotto internet" con un selfie che ha momentaneamente mandato in down la piattaforma per il volume di interazioni eccessivo. Francesca Galici, Mercoledì 16/10/2019, su Il Giornale. Jennifer Aniston è una delle ultime star ad aver aperto il suo profilo Instagram. La diva di Hollywood ha aspettato anni per sbarcare sul popolare social network ma il suo arrivo può considerarsi da record. Complice il soggetto del primo post condiviso dall'attrice, il suo è stato davvero un debutto col botto, forse uno dei più grandiosi nella storia del social network. La fama di Jennifer Aniston si deve soprattutto al telefilm Friends, un vero cult tra gli anni Novanta e gli anni Duemila. E quale post migliore per approdare su Instagram se non uno scatto con la reunion del cast? Ecco che, quindi, la Aniston ha deciso di condividere un selfie insieme agli altri attori che hanno fatto la storia di una delle serie tv più amate di sempre. Phoebe, Chandler, Monica, Ross, Joey sbucano alle spalle di Rachel nella prima, vera, foto che ritrae tutto il cast insieme a 15 anni dalla fine della produzione. Probabilmente nemmeno l'attrice si aspettava un'accoglienza così calorosa. In meno di 24 ore ha superato quota 6 milioni di follower e viaggia spedita verso quota 7 milioni e oltre. Lo scatto, invece, nonostante la qualità lasci molto a desiderare e non faccia rimpiangere i gloriosi anni Duemila, ha superato gli 8 milioni di like ed è stato commentato oltre 360.000 volte. Numeri record per Jennifer Aniston al suo debutto, che hanno addirittura mandato in crush Instagram. Se Jennifer Aniston voleva condividere una foto che “rompesse l'internet” c'è riuscita. A pochi minuti dal suo arrivo su Instagram, infatti, gli utenti che cercavano di seguirla ricevevano messaggi di errore dal sistema. È stato un portavoce del popolare social network a chiarire l'accaduto al sito Page Six: “Siamo consapevoli che alcune persone hanno problemi a seguire la pagina di Jen: il volume di interesse è incredibile. Stiamo lavorando attivamente a una soluzione e speriamo di riaprire la pagina senza problemi a breve.” Tutto si è effettivamente risolto in pochi minuti e la pagina di Jennifer Aniston è tornata online, continuando a raccogliere migliaia di follower al minuto.
Roberto Pavanello per lastampa.it il 17 ottobre 2019. Oltre undici milioni di follower in meno di 48 ore, con una sola foto postata (nel frattempo ha aggiunto un breve video), che ha conquistato oltre 12 milioni di «Mi piace» e centinaia di migliaia di commenti. È stato questo l’incredibile debutto di Jennifer Aniston su Instagram, travolto dal selfie con tutti gli attori della sit-com Friends pubblicato dall’attrice. Una foto – recentissima – che ha emozionato tutti i fan di uno dei telefilm più amati della storia della tv. Bello vedere come dopo tanti anni Courteney Cox, Lisa Kudrow, Matt LeBlanc, Matthew Perry, David Schwimmer e Jennifer siano ancora amici. Alcune ore dopo, però, l’attenzione di una parte dell’audience americana è stata attirata da un dettaglio: sul tavolo, proprio vicino alla testa di Matthew Perry c’è oggetto nero – evidentemente uno smartphone – sui cui sembra essere presente della polvere bianca. «Cocaina!» hanno iniziato a dire in tanti su Twitter e Facebook, lasciando spazio a battute, battutacce e qualche cattiveria. C’è anche chi ci ha visto altro: è un’ecografia, Jennifer Aniston è incinta! Il dibattito si è aperto anche se un sito, Celebrity Kind, ha scritto di avere contattato l’entourage dell’attrice per chiedere un commento. Ed ecco la risposta: «Si tratta del riflesso di una lampada da soffitto». Ora, che la polvere bianca non sia così rara dalle parti di Hollywood è qualcosa di più di una certezza. Se anche questo è il caso, a voi giudicare. Un’osservazione però va ancora fatta: la qualità della foto è davvero molto bassa: ergo, a noi piace pensare che si sia trattato davvero di uno strano riflesso. Lunga vita agli amici di Friends.
· Benji & Fede.
Benji & Fede: «Non siamo solo bei faccini». Pubblicato venerdì, 18 ottobre 2019 su Corriere.it da Renato Franco. Il duo lancia il nuovo album «Good Vibes»: «Abbiamo risposto con la nostra musica a chi pensava che non ce l’avremmo fatta». «Hanno detto che eravamo solo due bei faccini. Hanno detto che saremmo stati una meteora. Hanno detto che non avremmo riempito i palazzetti». Le Good Vibes — come il titolo del nuovo album, il quarto — di Benji & Fede hanno il tremore luccicante della rivincita nei confronti di chi pensava fossero solo un fenomeno passeggero, un acquazzone estivo che asciuga subito: «Il nostro obbiettivo da sempre è far parlare la musica — spiega Fede —, è una leggenda che siano sufficienti solo due bei volti per avere successo. L’estetica nella società di oggi conta, ma il contenuto è ancora più importante». «È la dimostrazione che valiamo di più di quello che alcuni pensavano — aggiunge Benji —. Per entrare nel cuore delle persone ci vuole tempo: abbiamo risposto con la nostra musica e abbiamo allargato il nostro pubblico».
«Good Vibes» ha in scaletta 12 brani ed è intessuto anche di collaborazioni — con Nek, Rocco Hunt, Tormento e Shari. A voi cosa dà «vibrazioni positive»? «L’empatia che si crea tra noi due e con le persone con cui lavoriamo. La fase creativa è quella più bella e stimolante nel nostro lavoro, la sensazione che ti dà comporre una nuova canzone partendo da una parola è impagabile. Sembra di essere uno scultore che lavora una statua dal marmo grezzo. Ma le good vibes arrivano anche dal palco: quando canti una canzone e sei una cosa sola con il pubblico. In quel momento non hai pensieri e vivi nel presente». Le «bad vibes» per loro arrivano invece da dentro: «Dipende sempre da te, da come affronti le cose. Se di fronte a una difficoltà getti la spugna si accende subito un circolo vizioso negativo, dubiti di te stesso, alimenti le tue paranoie». Modelli in cui riconoscersi, volti in cui veder proiettati i propri sogni, specchi in cui contemplare le proprie aspirazioni: un’immagine pubblica con cui fare i conti. «Avere tanti occhi addosso è una responsabilità — riflettono Benji (26 anni) e Fede (25) —. Cerchiamo di far passare sempre messaggi positivi, senza che questo significhi fingere. Essere autentici vuol dire parlare anche dei nostri problemi, crescere porta una consapevolezza personale e artistica. Guardarsi dentro può far paura, ma in questo album abbiamo provato a scrivere quello che sentiamo. Siamo tutti uguali, abbiamo alti e bassi come succede a tutti. Siamo ragazzi, non automi». In Safari (qui c’è la collaborazione con Nek) raccontano di essere cresciuti in un mondo che cerca di ingabbiarci dentro confini che non ci appartengono veramente: «La società ti impone certe strade: pretende certe prestazioni, ha determinati codici estetici, i social ti restituiscono una visione distorta della realtà. Invece bisogna essere liberi, come animali. Capita a tutti, e capita anche a noi. Abbiamo tante persone intorno, ognuno ha la sua ricetta, i suoi consigli da darti. È giusto ascoltare gli altri, ma poi si torna sempre a se stessi. A volte siamo tutti troppo razionali, bisogna fare un passo indietro ed essere più istintivi». I social restituiscono un visione distorta della realtà, Instagram alimenta il narcisismo, Facebook la rabbia. Benji e Fede per un periodo hanno deciso di silenziare quello stesso mondo da cui vengono: grazie a Facebook sono diventati un duo, su YouTube hanno pubblicato le prime cover. Impossibile però chiudere il rubinetto del wifi nella società di oggi: «Prima passavamo al cellulare anche 7 ore al giorno, un po’ era lavoro, molto era perdita di tempo. Per comunicare con i fan i social sono fondamentali, ma bisogna imporsi dei paletti perché se no rischi di vivere in una bolla virtuale».
· Romina Mondello.
Romina Mondello, dalla «Piovra» al teatro: «La popolarità ti consuma». Pubblicato venerdì, 18 ottobre 2019 su Corriere.it daRenato Franco. In scena con «Medea» a Milano: «Sono schiva e riservata: il personaggio che interpreti in tv o a teatro è sempre una maschera che ti protegge». Gli inizi con Miss Italia, la partecipazione a Non è la Rai, la conduzione con Amadeus di Domenica in, le tantissime fiction con una predilezione per il poliziesco (da La piovra 7 a Ris - Delitti imperfetti). Romina Mondello dalle luci più frivole e luccicanti della tv, ora è approdata a quelle più intense e profonde del teatro. Dal 17 al 27 ottobre è a Milano, al Teatro Menotti, con Medea, uno dei personaggi immortali della letteratura tragica. Spaventata? «È un personaggio che un’attrice si augura di interpretare nella propria carriera — riflette Romina Mondello, 45 anni — ma ci vuole una certa dose di incoscienza ad affrontarla». Il successo per lei è arrivato subito, violento e improvviso, una popolarità sfacciata ad appena 21 anni: «La piovra faceva ascolti pazzeschi, numeri che oggi non esistono. Ma non sono mai stata attratta dalla popolarità, anzi ho sempre cercato di proteggermi, la celebrità ti consuma». Voleva fare il medico («per aiutare gli altri»), ma poi ci si è messo di mezzo il teatro (ha iniziato a 17 anni con i laboratori) e ha cominciato la carriera di attrice, lei che per natura si definisce «schiva e riservata». Un timido che sta sul palco è come un camaleonte esibizionista, non è una contraddizione? «Sul palco non porto in scena la mia vita, ma la vita di altri. Il personaggio che interpreti è sempre una maschera che ti protegge: non sono io a parlare, ma qualcuno lo fa attraverso di me: mi “espongo” ma con le parole e i sentimenti di altri» . Adesso dà voce alla Medea di Euripide (suo anche l’adattamento nello spettacolo diretto da Emilio Russo): «Sono partita dal tema dell’abbandono, che è ricorrente nella vita di Medea: prima lascia la sua patria — la Colchide — quindi subisce l’abbandono di Giasone: a quel punto si sente sola nel profondo, senza patria, senza famiglia, senza punti di riferimento, in bilico tra ragione e follia. In lei c’è qualcosa che tocca tutti, il vuoto che nasce da una separazione: anche io ho convissuto con la paura di venire abbandonata, mio papà ha sempre avuto problemi di salute, ho passato anni in uno stato perenne di precarietà. È morto 5 anni fa, ma continuo ancora oggi a sentire la sua mancanza. Duemila e cinquecento anni dopo Medea è ancora attuale: il tema dell’abbandono è universale e riguarda tutti».
· Daria Bignardi.
Daria Bignardi? Avrebbe bisogno di essere più nazional-popolare. Pubblicato giovedì, 17 ottobre 2019 su Corriere.iti da Aldo Grasso. Per fortuna il primo ospite è Beppe Sala, il beneamato sindaco di Milano, capace non solo di ridare vita alla nostra città ma anche di rianimare la scena. Fedele a se stessa. L’assedio, il nuovo programma di Daria Bignardi, non ha nulla di nuovo. È esattamente come Le invasioni barbariche, come L’ora glaciale, con quei titoli che incutono sempre un po’ di diffidenza. Dev’essere per via del suo karma pesante (Nove, ore 21,30 e altri canali Discovery). Nella prima puntata si presenta pettinata come l’istitutrice de Il Collegio e come tale si comporta, forse per via dell’emozione. Per fortuna il primo ospite è Beppe Sala, il beneamato sindaco di Milano, capace non solo di ridare vita alla nostra città ma anche di rianimare la scena. Si assiste a un curioso scambio di accuse che meriterebbe l’interpretazione di un Recalcati. Daria biasima il sindaco di essere radical chic, un «fighetto», lo vorrebbe più nazional-popolare. Qualcosa del genere era già successo con Mario Monti, cui Daria aveva inopinatamente regalato un cane. A Sala va meglio: è costretto a indossare un marsupio e degli occhiali truzzi. Ma con i grandi progetti che aspettano Milano (la questione degli stadi, per esempio) è proprio necessario occuparsi di Instagram o di fidanzate? In realtà è la Bignardi che avrebbe bisogno di essere più nazional-popolare come ai tempi del Grande Fratello (la sua migliore interpretazione). Gli autori (e il suo milieu di riferimento) la costringono invece ad assumere il ruolo della grande scrittrice che si concede alla tv, che si confronta solo con i valori, che manda uno scrittore vicario a fare il ganzo con il libro di Giulia De Lellis. E si vede benissimo che lei non conosce il mondo Discovery altrimenti avrebbe saputo sfruttare molto meglio Federico Fashion Style. Forse avrebbe bisogno non di citare Harold Bloom a un rapper ma di un ritiro spirituale nel Castello delle Cerimonie. Il ritmo del programma è lento, a tratti troppo compiaciuto, senza quella determinazione che in tv, a volte, permette alla grazia di assegnare un posto anche all’insignificante.
· Federico Paciotti.
Federico Paciotti: «La mia infanzia sconvolta con i Gazosa tra il Papa e gli insegnanti privati con i Gazosa. E ora faccio il tenore». Pubblicato giovedì, 17 ottobre 2019 da Corriere.it. La rima non era delle più complicate, ma va anche detto che quando mezza Italia canticchiava la sua «www mipiacitu», Federico Paciotti aveva 13 anni. Certo, dal tormentone a Puccini c’è una discreta differenza, così come dalla lirica al rock. Eppure lui, che oggi di anni ne ha 32, è riuscito in tutte queste molteplici piroette musicali, diventando tenore e chitarrista rock. Il più delle volte, contemporaneamente. Facendosi interprete di uno stile tutto suo che lo ha portato fino in Corea, al fianco della soprano superstar Sumi Jo, che lo ha voluto in una tournée in cui si esibivano accompagnati da una orchestra sinfonica di 80 elementi. «La mia storia con la musica iniziata molto presto, quando avevo 5 anni — racconta Paciotti —. Già lì avevo un amore doppio: per la lirica e per il rock. Con mia nonna ascoltavo l’opera, con mio padre il rock e si è formata così in me un’anima divisa in due». Frequentando con il papà un negozio di strumenti musicali, assieme alla sorella Valentina(che già suonava le tastiere) conosce Jessica Morlacchi e, dopo poco, Vincenzo Siani. Bambini — avevano 11 anni — uniti da una passione comune, che da quel momento anziché incontrarsi per giocare lo fanno per suonare. «I Gazosa sono nati così — riprende —. Un autore della Disney, qualche tempo dopo, ci aveva notati in una delle nostre prove in studio e ci ha fatto partecipare a un programma: da lì sono arrivate le selezioni per Sanremo che nel 2001 abbiamo vinto nella sezione Nuove proposte con “Stai con me (Forever)”. Siamo stati i vincitori più giovani di sempre: anche più di Gigliola Cinquetti; avevamo 13 anni». La botta di popolarità è stata inaspettata e disarmante: «Per due o tre anni abbiamo avuto una esposizione mediatica pazzesca. Venivano a sentirci cantare anche 30, 40mila persone. Era assurdo, uscivamo sul palco e partiva il boato, la gente cantava i nostri ritornelli... ci aveva chiamato perfino il Papa per esibirci a San Pietro, durante la giornata mondiale della gioventù». Come è possibile gestire qualcosa di tanto enorme quando si è giovanissimi e non uscirne destabilizzati? Lui un’idea se l’è fatta. «Eravamo tutti concentrati sullo studio, anche della musica. Questo ha impedito che perdessimo la testa. Già quando ero alle elementari studiavo anche cinque ore sullo strumento e quello restava il mio impegno. Il successo sembrava a tutti noi più un gioco». Certo, se si fanno cantare 40mila persone il pensiero è che poi si desideri farlo, per dirla con parole loro, for ever... «Eppure io già mentre ero nei Gazosa mi chiedevo cosa avrei fatto dopo. Immaginavo già un dopo e i nostri genitori ci aiutavano a farlo: ci incoraggiavano a divertirci ricordandoci che tutto poteva finire velocemente. La mia testa era già nell’opera». Nel mentre però, la loro infanzia era stata di fatto sconvolta: «Non potevamo frequentare più la scuola, avevamo degli insegnanti privati. Se uscivamo la gente ci fermava... quando il progetto dei Gazosa si è esaurito mi è dispiaciuto, ma perché eravamo diventati quattro fratelli, sempre insieme e sapevamo che non sarebbe più stato così». Nonostante le loro vite abbiano preso strade differenti, però sono rimasti amici: «Ci sentiamo sempre». Archiviati i tormentoni, Paciotti ha deciso di concentrarsi sul canto lirico, laureandosi al Conservatorio Santa Cecilia: «Mentre studiavo, già mi rendevo conto che sulle partiture di certe opere potevano essere fatti comodamente degli innesti rock. Il risultato era particolare, non un crossover, che non pratico. La mia è proprio lirica con innesti rock». Da allora, ha continuato su questo percorso, collaborando con artisti come Ramòn Vargas e Carly Paoli, oltre a Sumi Jo: il disco che contiene un loro duetto è finito in vetta alle classifiche di vendita coreane. Oltre è il suo turno: «Sì, sto lavorando a un mio nuovo album proprio in questo periodo. Ci saranno delle arie napoletane e d’opera rivisitate e degli inediti scritti da me».
· Giorgio Poi.
Giorgio Poi: l'anello prezioso tra cantautorato e nuovo pop italiano. Pubblicato giovedì, 17 ottobre 2019 su Corriere.it da Giulia Cavaliere. La scoperta della canzone in italiano, l'itpop, la scrittura, il viaggio. La storia di Giorgio Poi, classe 1986, sembra contenere a un primo sguardo tutto l'iter di una precisa generazione italiana, quella dei nati a metà degli anni '80 che dalla provincia o dalla metropoli (nel suo caso entrambe: prima Novara e poi Roma), sono partiti alla conquista delle grandi città europee, anzi, di quelle due grandi città europee, Londra e Berlino, per poi magari fare ritorno qui in qualche realtà specifica come, proprio nel caso di Poi, Bologna. Di questa appartenenza generazionale apolide ed esemplare quest'autore fa melodie e canzoni che sono il perfetto anello di congiunzione tra la storia del cantautorato classico italiano e il nuovo pop, con cui pure collabora e che tra i molti include Calcutta, compagno di scuderia nell'ormai solida realtà alternativa di Bomba Dischi. Il suo secondo album si intitola "Smog" e da qualche giorno è disponibile il nuovo brano "Erica Cuore ad Elica", a completamento di un discorso musicale che si mostra autonomo, ricco, liricamente sapiente e insieme abbastanza vicino e abbastanza lontano dai grandi maestri della nostra canzone, come Lucio Dalla e Antonello Venditti. «Ho capito che alla fine comprendi davvero le cose solo quando non le hai più di fronte, io ho iniziato ad ascoltare musica italiana quando a vent'anni mi sono trasferito a Londra a studiare al conservatorio», racconta Poi, «un mio amico mi sarebbe venuto a trovare da Roma e gli chiesi di portarmi una copia di Colpa d'Alfredo. Prima c'erano stati i Nirvana di In Utero, i dischi jazz che mio zio comprava in edicola quand'ero ragazzino, soprattutto Lester Young e John Coltrane e gli Animal Collective che mi hanno stregato negli anni del liceo, e di cui ho tanto amato quella follia grottesca inclusa anche nel lavoro sugli arrangiamenti». Come per molti, mi dice, il tassello che ha condotto al cantautorato è stato Dylan: «a un certo punto è arrivato lui, ho scoperto che le parole avevano un suono anche loro molto preciso e che potevano quindi inserirsi nell'onda della canzone, quando ho quindi iniziato ad ascoltare Vasco e poi Lucio Dalla e gli altri italiani mi sono innamorato di un certo modo, con anche una certa inflessione, se vuoi, di usare il suono della parola nel suono della canzone e di restituire una certa autenticità». Il testo, per Giorgio Poi, e Smog lo dimostra in più momenti, è parte viva e integrante della musica e, proprio come dice Mogol, arriva e può arrivare all'autore solo dopo che è già nato un brano musicale che lo convince a fondo: «Penso che una grande musica abbia il potere di rendere speciali anche parole che lette da sole non lo sarebbero, io sono guidato dalla musica quando scrivo, anche lei viene con me a cercare le parole, a trovarsi le parole che riteniamo migliori». L'uso frammentario del testo, la lirica in versi tipica del nuovo pop italiano che tanto ricorda una comunicazione fatta di messaggistica istantanea e sintesi, in Poi trova un'interessante e speciale dimensione narrativa, che porta il frammento fuori da sé stesso, ricongiungendolo a un discorso più ampio, quasi visionario all'interno del brano e a volte oltre il singolo pezzo, nella compagine dell'album: «Torno sul testo molte volte perché non voglio che ci siano frammenti vacanti, versi che se ne stanno lì e non trovano il loro posto nel discorso, nel racconto che sto facendo: in qualche modo è questa scrittura verso dopo verso che mi rivela la canzone, me la mostra, mi dice di cosa sto raccontando». Nel riconoscere e interpretare una nuova pulsione naturale della musica in Italia, tutta nella direzione dell'uso della nostra lingua, non si sente però granché in confidenza con certe definizioni e se vogliamo parlare di Itpop fa un passo indietro: «questo itpop è un termine giornalistico, che non riguarda chi scrive, per me è qualcosa che significa solo musica pop in italiano, forse c’è stata una parentesi in cui l’italiano non funzionava, in cui sembrava non ci fosse l’esigenza né di farla né di ascoltarla, questa canzone italiana. Ora le cose stanno diversamente perché c’è il fortunato incontro tra qualcuno che ha il desiderio di farla, di ritrovarsi nella propria forma linguistica e musicale, e le orecchie di chi ha bisogno e voglia di ascoltarla, e quindi c’è una ricerca in atto, nuova, per cercare di scrivere testi e musiche che corrono insieme per diventare, semplicemente, nuove e belle canzoni».
· Michele Bravi e quell’incidente mortale.
Michele Bravi e quell’incidente mortale, l’avvocato: «Basta fake news, sta male». Pubblicato giovedì, 09 maggio 2019 da Chiara Maffioletti su Corriere.it. Dallo scorso novembre, Michele Bravi si è chiuso dentro un silenzio impenetrabile. Dal giorno dell’incidente stradale in cui, mentre lui era al volante, una motociclista di 58 anni ha perso la vita, ha cancellato ogni impegno e comunicazione. Solo a marzo, un breve messaggio affidato a Twitter, con scritto: «Sto cercando di costruire piano piano la realtà. Vi voglio bene». Poi, di nuovo, nulla. Ma a parlare sono stati molti altri. Sui social, dove il cantante spopolava. Ma anche su molti siti e testate, diffondendo informazioni distorte o anche completamente sbagliate, capaci però di aggiungere dolore al dolore. Per questo, il legale di Bravi, l’avvocato penalista Manuel Gabrielli, ha deciso di fare chiarezza. E a pochi giorni dalla notizia della chiusura delle indagini, vuole far sentire la sua voce. «Per prima cosa, bisogna ricordarsi che si sta parlando di una tragedia. Inutile girarci attorno. Una tragedia che ha colpito la vittima e la sua famiglia come Michele. Eppure in questi mesi ho letto attacchi immotivati a lui, fatti senza una conoscenza degli atti. È il motivo per cui ritengo ci sia un’esigenza, soprattutto da un punto di vista umano, di fare chiarezza». E dunque, per prima cosa, il legale precisa quello che è successo qualche giorno fa: «Semplicemente, ci è stato notificato da parte della Procura il termine delle indagini. Non c’è quindi nessun processo in atto. Noi abbiamo nominato un nostro consulente e posso dire che ci sono rilevanti elementi di innocenza, in grado di dimostrare la sua estraneità alla determinazione del delitto». La Procura ha anche indicato il capo di indagine: omicidio stradale. «Ora c’è un termine per depositare la nostra memoria. I media parlano di presunti patteggiamenti, ma è falso. Anche perché sono convinto degli elementi già raccolti finora». Il primo è che — contrariamente a quanto in molti hanno riportato — «Michele non stava facendo un’inversione a U, né una manovra vietata, ma una svolta a sinistra per entrare in un passo carraio. Un fatto confortato dalla Procura. Secondo: la moto veniva da dietro e ne stiamo analizzando la velocità; Michele nella svolta aveva già impegnato la linea di mezzeria e l’impatto è stato contro lo sportello posteriore dell’auto, lato guidatore. Inoltre, vi era spazio tra l’auto e il margine esterno stradale, in cui la moto avrebbe potuto superare», elementi che, uniti ai risultati degli esami tossicologici — «sono stati fatti anche quelli volontari» — a cui si è sottoposto Bravi, risultati negativi, spingono il legale a definire il comportamento alla guida del cantante come di una «azione di cui aveva piena legittimità». Il fatto che Bravi sia una persona famosa, però, «fa diventare tutto più difficile, proprio per l’attenzione dei media che diventa un carico in mesi già non semplici». E che potrebbero non finire a breve: «Nei prossimi giorni inizierò il dialogo con il pm. L’intenzione è chiedere l’archiviazione. Se non verrà accolta l’atto dovuto sarà iniziare il procedimento penale, e avendo questi seri elementi che dimostrano l’innocenza del mio assistito, non escludo che tutto possa essere un processo ordinario». Quello che Gabrielli spera già ora, è che smettano di circolare le fake news per le quali «tutto sembrava già deciso. Michele non ha nessuna misura cautelare da rispettare. È liberissimo e sarà sempre libero». Tranne che dal suo dolore: «Sta molto male e il suo silenzio è proprio per rispettare le persone coinvolte. Una cosa del genere segna moltissimo. Ma segna anche leggere che molti ti considerano già il responsabile di questo dramma».
Michele Bravi: «Per mesi non ho parlato. Ora sto cercando di tornare alla realtà». Pubblicato mercoledì, 22 maggio 2019 da Corriere.it. Quindi, da dove si riparte? Come si interrompe un silenzio che dura da mesi e che nasce da dentro? Michele Bravi proprio non lo sa, ma vuole provarci: «Le persone che mi sono state vicino in questo periodo mi hanno chiesto di tornare alla realtà. E io mi fido di loro». Così il cantante — la cui vita è stata stravolta lo scorso novembre, dopo un incidente stradale in cui è morta una donna — affronta una lunga conversazione in cui asciugherà le sue lacrime tante volte quante almeno sono quelle in cui ripeterà: «La mia paura è fare la vittima, davvero non voglio». Un respiro. Ce ne saranno tanti.
E dunque, da dove si inizia?
«Il rispetto per questa tragedia mi ha portato al silenzio. Tornare a parlare è strano: questa non è solo la mia storia. Non so. Sono sempre stato uno che parlava molto, il silenzio mi spaventava. Ho iniziato a scrivere canzoni proprio perché mi faceva così paura e preferivo riempirlo con le melodie che avevo in testa. Eppure sono stato mesi senza dire una parola».
Quella sera di novembre ha cambiato ogni cosa.
«Avevo appena finito di fare le prove dei concerti che ci sarebbero stati da lì a pochi giorni... Sì, è cambiato tutto perché è cambiato il mio modo di vedere le cose. Prima quello che mi capitava si divideva in modo binario: bene o male, bianco o nero, giusto o sbagliato. Ora è tutto diverso. Credo lo capisca chi ha vissuto una tragedia: le cose non le cataloghi, le accetti. Smetti di semplificare la realtà in due poli e vedi un mondo molto più complesso. Anche trovare un significato non ha più significato».
Davvero non lo ha?
«No. Una persona mi ha detto che cercare un significato al dolore è una forma pigra di sofferenza. E’ così. Non mi sono nemmeno mai chiesto perché è successo a me. È una visione troppo ego-riferita. Solo, impari a convivere con il male. È come se avessi qualcosa davanti gli occhi per cui non vedi più le cose come prima. Anzi, quasi non mi ricordo più come era prima. È un altro mondo, un altro sistema di affrontare quello che succede. È un nuovo vocabolario a cui mi sto abituando ma che ancora non so articolare bene. Ora anche il silenzio per me ha un altro suono».
Come ricorda l’incidente?
«Non vorrei parlarne, non voglio rendere questa tragedia un momento di opinione pubblica. Dico solo che sono state fatte intendere tante cose sbagliate. La tragedia non è certo un titolo sensazionalistico e molto di quello che si è scritto è stato già smentito. Il male rischiava di essere una macchia d’olio, ma ho avuto la fortuna di avere tante persone che mi hanno stretto forte la mano».
Non si è ritrovato solo?
«No ed è stato il miracolo più grande. Ho scoperto di avere tanti porti sicuri che ignoravo. Mi hanno stupito tante cose che prima non vedevo e non so come facessi (gli occhi, già gonfi di lacrime dall’inizio, lo diventano ancora di più e il pacchetto di fazzoletti che stringe in mano, a questo punto, è finito, ndr.). Quando dico che sono stato in silenzio è perché veramente non riuscivo... non parlavo ma nemmeno sentivo più gli altri. Ero in un posto che non so descrivere e che spero di non rivedere più. Queste persone mi hanno fatto alzare dal letto, mi hanno portato da mangiare, fatto uscire di casa. Sono tornato un bambino e loro mi hanno rieducato a vivere».
In quel posto terribile è più tornato, in seguito?
«Quel posto è la forma più alta della paura: non riuscivo a dire o sentire nulla. È stato orribile. Quel posto c’è e me lo ricordo bene, ma ho avuto la fortuna di essere portato per mano a fare psicoterapia. Senza quella, non sarei qua e se c’è un messaggio che posso dare è questo: non temere di farsi aiutare. Io ho avuto tanta luce attorno che mi ha spinto a mettere questo primo tassello per tornare al reale».
È in contatto con la famiglia della vittima?
«Preferirei non condividere questo, non per mancanza di fiducia, ma proprio perché questo è un mio modo per ritornare alla realtà, non per riaprire una ferita. E mi fa male possa succedere nel tentativo di ritrovare la mia voce: sto facendo attenzione per non rendere questo dolore circolare. Anche il mio condividere è cambiato: c’è una fetta di privato che è giusto rimanga tale. Una tragedia non può essere affrontata nei contesti sbagliati. Questa è la prima volta che torno a mettere la faccia in prima persona».
Che effetto le fa?
«In questi mesi avrò visto si e no venti persone. È come se avessi fatto un viaggio... Sto cercando di tornare, ma non so se ci riuscirò. È un primo mattoncino per ritrovare la mia realtà».
Ci sono momenti che ricorda più di altri di questi mesi?
«Molti, magari insignificanti, ma che hanno iniziato a risolvere qualcosa di tanto complesso. Ricordo un viaggio per tornare a casa mia, in Umbria. Chi era con me non mi ha detto niente e mi ha messo delle cuffiette. Per tutto il tempo, cinque ore, andava la stessa canzone, ma quel gesto mi ha fatto tornare la voglia di poter essere anche io, per altri, quello che era per me quel cantante mentre lo stavo ascoltando».
Quando è tornato a cantare?
«E’ ancora come se non lo avessi fatto. Tutto ha un peso diverso: anche come percepisco la mia voce è diverso. Da quando ho indossato quelle cuffie la musica è tornata con me. Quella stessa persona mi ha regalato un pianoforte. Ma dire che ho ritrovato la mia voce è prematuro. Ho tanta voglia di ricostruire la realtà, quello sì».
Tornare alla realtà significa anche uscire di casa...
«E’ dura. A un certo punto ti dimentichi di come è il mondo, anche di come è essere leggeri su tante cose. Anche uscire di casa ha un peso diverso: le persone care ormai sono la mia casa. Non so se le cose torneranno mai come prima, in questo senso. Però mi mancano le persone, tantissimo. Mi manca la gente. La voglia di incontrarla è ancora tanta. Sto muovendo i primi passi».
Da quel giorno di novembre ha pianto tutti i giorni?
«Eh, è impegnativo per me. È una reazione che, mi spiace, ma non riesco a controllare. I brutti momenti ci sono sempre, è una convivenza che devi imparare e io devo ancora assorbire molto. Spero di farcela. Oggi non so come sto. Ho imparato ad affrontare le cose giorno per giorno. Per me già pensare a domani è un tempo lunghissimo».
Anche questa prospettiva è cambiata?
«L’imprevedibile ora ha un peso diverso nella mia vita: per me l’unica cosa è vivere il momento; è pericoloso parlare di quello che succederà. Ci sono tante cose che mi spaventano, ma anche delle persone con cui so di poter affrontare le paure».
Ha ripreso a guidare? Scuote la testa.
«Fa parte di un percorso medico e quel momento non è ancora arrivato».
Ora tornerà sui social?
«Cosa significa tornare? Il mio modo di comunicare sarà necessariamente diverso. Non è giusto parlare di cambiamento perché di solito quello ha un decorso temporale: per me è stato tutto improvviso. Per questo mi è difficile parlare di ritorno: io non sono sparito, sono solo rimasto in silenzio».
· Domenico Diele.
Domenico Diele. Candida Morvillo per il “Corriere della sera” il 6 giugno 2019. Gli hanno dato del «topo di fogna», gli hanno augurato di marcire in carcere senza acqua né cibo, gli hanno giurato «la faremo pagare, a te, ai tuoi avvocati e ai giudici». Hanno minacciato di sfregiarlo con l' acido. Agli insulti su Facebook, si sono accompagnati picchetti di persone in carne e ossa, con urla e cartelli, durante le udienze di primo grado. È anche per motivi di sicurezza che, nei giorni scorsi, il processo di Appello a Domenico Diele è stato celebrato a porte chiuse. L'attore che nella serie Sky 1992 e 1993 interpretava l'investigatore Luca Pastore, era stato arrestato il 24 giugno 2017 a un'uscita dell' A2, con l'accusa di omicidio stradale aggravato. Con la sua auto aveva investito una donna, Ilaria Dilillo, 48 anni, che tornava a casa in scooter. Diele aveva la patente sospesa e aveva assunto stupefacenti. Condannato in primo grado a 7 anni e 8 mesi, il 31 maggio la Corte d' Appello di Salerno ha ridotto la pena a 5 anni e 10 mesi e questo è bastato a riaccendere la rabbia sulla pagina Facebook «Diele in carcere-Assassino». Stavolta, almeno, non si è arrivati all' orrore toccato dopo la prima condanna, quando una donna aveva augurato alla giudice di perdere il figlio nello stesso modo in cui era morta Ilaria «perché solo così potrà capire». La pagina è amministrata da Soriana Mona, 42 anni, che però si tira fuori: «L'abbiamo fondata io e due amiche. Poi sono rimasta amministratrice unica e non ho tempo di cancellare commenti che non andrebbero scritti. Li rimuoverò presto». Racconta che i 749 iscritti «sono amici di Ilaria, a cui volevano bene in tanti». L' avvocato Ivan Nigro, uno dei tre legali che assiste l' attore, spiega: «Non abbiamo depositato una vera denuncia per rispetto dei familiari della vittima, che sono sempre stati composti nel loro dolore. Abbiamo fatto, però, una segnalazione, preoccupati non tanto dai leoni da tastiera, ma dai gruppi organizzati di donne che presidiavano l' aula con atteggiamenti violenti. Infatti, sono stati predisposti un servizio d' ordine e le porte chiuse, normali in seguito al rito abbreviato, ma qui utili anche a evitare incidenti». Il legale, che non commenta lo sconto di pena, annuncia però ricorso in Cassazione e chiarisce la linea difensiva: «La presenza di tracce di stupefacenti non significa essere sotto effetto di stupefacenti e infatti la perizia medica chiesta dalla Procura ha concluso che non c' è prova di un' alterazione dovuta a droghe». Di Diele, attualmente libero, dice: «Vive male non per l' odio che sente, ma perché è una persona perbene che sa di aver causato senza volerlo la perdita di una vita». Alla domanda su come passi le giornate, risponde: «Non lavora, ovviamente. Nel suo stato, non lo prenderebbero neanche per lo spot dei pannolini. In ogni caso, è devastato. Quella sera, non è morta solo una donna o la sua famiglia, ma anche Domenico Diele attore, Domenico Diele uomo».
· Sabrina Ferilli.
Tu si que vales, il microfono di Sabrina Ferilli resta aperto: "Quella cazzo di....", un disastroso fuorionda. Libero Quotidiano il 24 Novembre 2019. Un fuorionda da brividi, siparietto spaventoso a Tu si que vales. Nel format del sabato sera di Canale 5 si parlava di una seduta spiritica, tema che angosciava e non poco Sabrina Ferilli. E a quel punto la sedia dell'attrice ha iniziato a muoversi da sola: prima lo schienale che avanza e indietreggia, dunque la poltrona si solleva. E la Ferilli sbotta rivolgendosi a Maria De Filippi: "Abbiamo già dato con quella ca**o di casetta la scorsa settimana". Nel frattempo, Belen Rodriguez esce dallo studio, quindi cala il buio. Nella stanza, all'improvviso, appaiono una cassa con delle bambole e tre ragazze che sembrano arrivare dal mondo dei morti. "Porca vacca!", si lascia sfuggire la Ferilli. Poi, dopo essersi rimessa dallo spavento, Sabrina Ferilli si presta a fare da spalla al trio, seppur un poco reticente.
Una puntata decisamente sopra le righe, quella di Tu si que vales in onda su Canale 5 sabato 23 novembre. Le più scoppiettanti? Maria De Filippi e Sabrina Ferilli, legate anche da una lunga amicizia che rende spesso i loro discorsi televisivi molto meno posati e filtrati. Non a caso, quando in studio si sono presentati un ragazzo e una ragazza che si sono cimentati in uno sport in cui una corda viene sfruttata per prodursi in acrobazie, è scattato un siparietto... piccante. Teo Mammucari, infatti, ha voluto provare alcuni esercizi per dimostrare quanto questi fossero difficili alla Ferilli. Dunque la ha sfidata a fare altrettanto. A quel punto, però, l'intervento della De Filippi, la quale dopo aver notato che l'attrice indossava una gonna, le ha chiesto a bruciapelo: "Ma le hai le mutande?". E la Ferilli: "Non è che ha pensato: Ma te la senti...". Dunque la replica clamorosa: "Non ce l'ho Maria, quindi sono cazzi vostri". Risate del pubblico e di Mammucari, ma nessuna sorpresa a luci rosse...
· Mariana Rodriguez.
Mariana Rodriguez senza peli sulla lingua: "Cari miei, nulla è per sempre". La bellissima Mariana Rodriguez, modella ed ex concorrente del Grande Fratello Vip, continua a prendersi cura della sua famiglia rimasta in Venezuela mentre, tra uno shooting e qualche gossip infondato, cerca di costruirsi un futuro qui in Italia insieme a Simone Susinna. Ludovica Marchese, Domenica 24/11/2019, su Il Giornale. Dopo aver posato per calendari sexy e aver partecipando al Grande Fratello Vip, Mariana Rodriguez, modella e showgirl venezuelana 28enne arrivata in Italia nel 2010, sta vivendo il suo momento di ribalta. Infatti, dopo aver abbandonato il suo Paese e la città che tanto amava, Caracas, si è trasferita in Italia per fuggire da uno Stato ridotto allo stremo e qui, passo dopo passo, ha trovato il successo. Bella, intelligente e dalla grande simpatia, queste sono le armi con cui Mariana ha saputo stregare il suo pubblico e, forse, anche il suo attuale compagno, Simone Susinna. Tra un impegno lavorativo e l’altro, Mariana Rodriguez si confida su alcune vicende che la riguardano in prima persona e che, da tanto tempo, sono al centro del gossip spesso infondato.
Partecipando al Grande Fratello Vip, sei riuscita ad aiutare economicamente la tua famiglia?
“Sì, sono riuscita ad aiutare la mia famiglia. Oggi, c’è chi si è trasferito in Cile, chi in Argentina e chi in qualche altro Stato. Ammetto che ora come ora la mia famiglia è un po’ sparsa per il mondo, ma questo non mi ostacola nel modo più assoluto nel momento del bisogno. Ancora oggi, infatti, continuo a sostenere economicamente la mia famiglia”.
Come reagisci alle critiche di chi ti attaccava perché non ti recavi più spesso nel tuo Paese natale per mancanza di denaro quando, invece, ti sei rifatta il seno?
“Cosa rispondo? Dico che questa gente non sa ascoltare perché io non ho mai detto che non tornavo in Venezuela per una questione di soldi. Al contrario, non volevo tornare in Venezuela per una questione di politica, della dittatura di Maduro e delle condizioni in cui versava l’intero Paese. Una volta andato in onda il mio servizio a Le Iene, le stesse persone che mi criticavano si sono rese conto di che cosa stesse attraversando davvero il Venezuela e, così, si sono scusate. Si trattava di qualcosa che non dipendeva direttamente da me, era molto più grande di me”.
Nel suo libro “Non mi avete fatto niente”, Corona parla del vostro flirt, cosa c’è di vero?
“Madonna mia che personaggio… Vi assicuro che con Corona non c’è mai stato niente oltre a un bacio. Personalmente, non ho mai letto il suo libro, però mi è capitato spesso che la gente venisse da me a dirmi: 'Ah, ti sei fatta Corona!'. Questi erano i messaggi a non finire che ricevevo su Instagram, ma la realtà è che tutto questo non è mai successo, sono solo voci di corridoio, niente di più. Ripeto: ci siamo baciati ma è finita lì perché ho preferito non andare avanti, né come relazione né come amicizia. Nonostante ciò, gli auguro il meglio”.
Nel 2015 posavi per il calendario super hot di For Men, ma anche il tuo profilo Instagram oggi non è da meno. Possiamo dire che Instagram supera di gran lunga i calendari?
“No, nel modo più assoluto, sono due cose ben diverse. Gli scatti del calendario non c’entrano niente con quelle che condivido quotidianamente su Instagram. I primi, ammetto, sono abbastanza spinti, quelli di Instagram invece li trovo assolutamente normali”.
Una tua recente foto con il lato b in primo piano ha scatenato il putiferio su Instagram. Cosa rispondi agli hater?
“Si è trattato semplicemente di un autoscatto. Eravamo tra di noi, ci stavamo vivendo un momento tutto nostro e, con il telefono in mano, è capitato che partisse l’autoscatto. Appena ho visto la foto, l’ho trovata bellissima, adorabile. E poi mi son detta: 'Sì, anche io come tutte ho un sedere, un bel sedere, quando lo dovrei mostrare?!? Quando avrò 60 anni?!? No no, questo è il momento giusto per farlo!'. Così ho condiviso lo scatto su Instagram”.
A proposito del ritorno di fiamma con Simone Susinna, cosa è successo tra di voi?
“In realtà Simone e io non ci siamo mai lasciati, ma abbiamo semplicemente avuto una discussione molto accesa. A ridosso delle festività natalizie, avevo deciso di partire per l’Argentina perché mi mancava da morire la mia famiglia e volevo così trascorrere il capodanno con loro. Lui, però, aveva già pianificato tutto per andare in montagna e quando io l’ho salutato il 13 dicembre per prendere l’aereo è successo il finimondo, con tanto di minacce di lasciarci e simili. Il fatto è che sono rientrata dopo soli 5 giorni e, convivendo insieme, abbiamo fatto velocemente pace. Ad ogni modo, dopo questa esperienza, preferiamo non condividere più la nostra vita di coppia sui social e il fatto che i nostri follower non ci vedono più assieme li porta a pensare spesso che siamo in crisi o che, addirittura, ci siamo lasciati. Niente di tutto ciò, tant’è che anche quando abbiamo litigato eravamo sempre vicini, nonostante la distanza che ci divideva. Nessun addio, semplicemente una questione di privacy”.
Parteciperete mai a Temptation Island?
“No, credetemi, io e Simone non ci vogliamo più mostrare insieme su Instagram, figuriamoci su Temptation Island! Non è da noi, davvero, proprio perché verrebbe a intaccare la nostra privacy. E, sempre detto tra noi, se io partecipassi a un programma del genere, la gente mi darebbe della psicopatica perché sono gelosa oltre ogni limite!”.
Tu e Simone insieme per sempre?
“Insieme per sempre? Nulla cari miei è per sempre, oggi io ci sono e domani chi lo sa?!? Stiamo bene insieme e ci completiamo su tante cose, ma stiamo cercando anche di ritagliarci i nostri spazi. Infatti, lavoriamo insieme, viviamo insieme, condividiamo gli stessi amici, ecc. Capite che a un certo punto è anche giusto avere i propri spazi e rispettarsi a vicenda. Per sempre? Chi lo sa, forse sì, forse no…”.
Entrambi belli e famosi, chi dei due è più geloso?
“Entrambi siamo molto gelosi, ma si sa l’America Latina vince! Sono io, infatti, quella più gelosa dei due, ma sempre e solo quando lui mi dà un buon motivo per esserlo. Se un’altra donna dovesse mai provarci con Simone, fin quando lui non le dà filo non me ne preoccupo. Se, invece, lui dovesse interessarsi a lei in qualsiasi modo, allora sì, diventerei molto ma molto gelosa”.
Vi accomuna lo stesso cognome, come reggi il confronto con Belen?
“Non siamo rivali perché non lo siamo mai state. Non ci siamo mai rubate il lavoro o il fidanzato, non c’è mai stata alcuna rivalità tra di noi. Anzi, io le auguro tutto il bene di questo mondo e sono molto felice che lei abbia ritrovato la serenità a fianco di Stefano De Martino, anche per il bene del piccolo Santiago. Quindi non posso far altro che farle tanti auguri!”.
· Giusy Ferreri.
Giusy Ferreri rivela di essere nata con una malformazione al cuore. Nella nuova puntata di Verissimo, Giusy Ferreri ha confidato di essersi sottoposta ad un delicato intervento chirurgico, per via di un problema al cuore. Serena Granato, Domenica 24/11/2019, su Il Giornale. "Siamo momenti perfetti" canta nel ritornello della sua nuova canzone Giusy Ferreri, la quale si è presentata tra gli ospiti in studio a Verissimo. Nella nuova puntata del talk-show condotto da Silvia Toffanin, trasmessa lo scorso 23 novembre, la Ferreri è diventata protagonista di un'intervista esclusiva, nella quale la stessa si è raccontata a ruota libera su vita e carriera. Giusy Ferreri si classificava al secondo posto tra i finalisti della prima edizione italiana di X Factor e ora è tornata sulle scene musicali con un nuovo album, per la gioia dei suoi fedeli sostenitori. E, in occasione della sua intervista rilasciata alla Toffanin, la popstar non ha nascosto di aver combattuto a lungo un problema di salute che le ha segnato la vita, dalla nascita fino all'età di 21 anni. "Sei super sexy! Momenti perfetti... è un momento perfetto questo per te?", esordisce così la Toffanin, rivolgendosi all'ospite in studio. "Sì, assolutamente sì. Sono soprattutto contenta che sia uscita questa mia nuova canzone -fa sapere la Ferreri-. Se sono una leonessa sul palco? Mi scateno parecchio, soprattutto quando sono con la mia band in tour". "Tu sei anche la donna dei record-prosegue nell'intervista la conduttrice-, sei stata più di 48 volte alla numero 1 nella classifica di vendita singoli, più di Madonna, e hai vinto un disco di diamante con Baby K per il singolo Roma Bangkok.". E alle ultime parole pronunciate sulla sua carriera da Silvia Toffanin, Giusy Ferreri non ha nascosto di sentirsi appagata per il successo raggiunto nel corso degli anni, in quanto cantante, e di essere grata ad un artista in particolare, che le ha fatto "il regalo più grande": "Anche dalle collaborazioni ci si scopre e in fase di apertura come queste scopro cose nuove di me, perché sono sempre stata introspettiva. Tiziano Ferro mi regalò il singolo Non ti scordar mai di me e fece da produttore anche del mio primo album Gaetana, che ha conseguito un disco di diamante e due dischi di platino". "Tra me e Giusy Ferreri c'è stata della chimica- faceva sapere agli esordi della Ferreri, il cantante Tiziano Ferro, che Giusy oggi ricorda come il suo mentore in musica-. Ci siamo dovuti conquistare tutto e per questo non insceniamo capricci da star". La vita di Giusy Ferreri è stata ad oggi costellata da molti successi e il sogno più importante, che è riuscita a coronare, è quello della maternità, raggiunta 2 anni fa con la nascita della primogenita Beatrice. Nel corso del suo intervento televisivo registratosi a Verissimo, la Ferreri ha confidato al pubblico di Canale 5 di essere nata con una malformazione congenita al cuore, per via della quale ha deciso di sottoporsi ad un delicato intervento chirurgico, all'età di 21 anni.“Sono nata con una malformazione al cuore, non potevo fare attività fisica“, ha raccontato Giusy Ferreri sul problema di salute che l'ha sospinta a farsi operare. L'operazione è ben riuscita e le ha cambiato radicalmente la vita, tanto da permetterle di fare attività fisica dopo 21 anni . “Adesso mi sto dando alla pazza gioia“, ha aggiunto la cantante con il sorriso sulle labbra. “Se potessi tornare indietro, cambieresti qualcosa?”, ha infine chiesto la conduttrice all'ospite intervenuta in studio. E la Ferreri non ha esitato a ribattere sugli anni vissuti imparando a convivere con la sua malformazione: “Della mia ‘vita precedente’ non vorrei niente. È rimasto tutto, ho solo aggiunto altre cose”.
· Elodie: "Sexy come Rihanna? Magari..."
Elodie svela come è nato l'amore con Marracash: "Con lui è una cosa viscerale". La cantante, resa famosa dal talent "Amici", ha raccontato in un'intervista a Vanity Fair l'amore travolgente che sta vivendo con il rapper Marracash. Tra feeling, sfide, difetti e passione, Elodie ha svelato particolari inediti del loro rapporto. Novella Toloni, Venerdì 01/11/2019, su Il Giornale. È un momento magico per Elodie Di Patrizi. Il 2019 è stato un anno ricco di successi dalla musica all'amore. Prima ha conquistato la vetta delle classifiche con il singolo "Pensare male", in coppia con i The Colors e poi con la hit estiva "Margarita", il duetto pop in cui canta insieme a Marracash. Infine, ha rubato il cuore proprio di quest'ultimo con cui fa coppia fissa da qualche mese. Galeotta fu la canzone cantata insieme al rapper. A raccontare come è scoccata la scintilla tra lei e e Fabio (questo il vero nome di Marracash) è proprio Elodie che, sulle pagine di Vanity Fair, ha confessato: "La musica ci ha permesso di conoscerci. Sul set del video ho capito che mi piaceva perché ero imbarazzata e io non mi imbarazzo mai. L’ho invitato a cena, senza pensieri, volevo solo conoscerlo meglio. Ora mi sento come un’adolescente". Elodie ha parla dell'amore con Marracash in modo aperto e senza freni, confessando il forte feeling che li lega: "Sono una che controlla tutto, ma con lui non riesco a essere distaccata. Con lui sono senza filtri discutiamo, ci sfidiamo, siamo già consapevoli dei nostri difetti. È una cosa onesta, viscerale". Lei, da sempre molto riservata, non ha nascosto il profondo sentimento verso il rapper neppure sui social network. Sono di pochi giorni fa le foto che la immortalano con Fabio sotto il caldo sole di Zanzibar mentre si baciano sulla spiaggia: "Non avevo mai pubblicato foto così in vita mia. Siamo stati in Africa, felici, era un modo per fargli capire che ci tenevo. Poi è il mio fidanzato, mi viene voglia di dirlo a tutti, mi sento giusta vicino a lui".
Elodie: "Sexy come Rihanna? Magari..." Con "Margarita" la cantante corre per il titolo di tormentone estivo 2019 assieme a Marracash. Libera, spensierata, conturbante e simpatica, Elodie svela di avere un ottimo rapporto col proprio corpo e di essere single: "C'è ancora tempo, no?" Andrea Conti, Venerdì 14/06/2019, su Il Giornale. Dopo il grande successo del singolo “Pensare male” assieme ai The Kolors, Elodie torna con un'altra collaborazione e stavolta è toccato al rapper Marracash. “Margarita” è in corsa per il titolo di tormentone estivo 2019. “Volevo che questa canzone mi rispecchiasse e raccontasse come vivo la mia vita – ci racconta Elodie -. Sono una ragazza che vive tranquillamente e senza problemi, che non pensa al giudizio della gente. Infatti sono determinata e di carattere e in questa canzone esce proprio tutto quello che sono. Poi Marra ha messo il suo testo che parla anche di attualità come l'incendio di Notre Dame e la foto del buco nero. Una collaborazione riuscita”.
Sei sempre circondata da uomini nel tuo percorso artistico da Michele Bravi fino a Gué Pequeno. Scelta voluta?
“Direi casualità. In realtà ho molte amiche donne nel mondo della musica. Per questo ho in mente un progetto, il prossimo, che sia tutto al femminile. Ci sono poche collaborazioni tra colleghe nel nostro Paese, cosa che invece è prassi all'estero. Anche quando ho avuto la fortuna di cantare al grande evento Amiche In Arena ho stretto amicizia... Insomma vedremo, ci sarà qualche sorpresa e il progetto sarà molto bello”.
Il fatto di essere libera, un po' un cane sciolto, ha in qualche modo influito nella tua carriera?
“Non ti nascondo che ci sono stati alti e bassi dall'inizio della mia carriera. Ai momenti di successi si sono alternate anche diverse porte chiuse in faccia. Ma questa è la vita. Io non mi lamento, sono stata anche fortunata, brava e ho trovato delle persone meravigliose con cui collaborare dalla discografica alla comunicazione”.
Quanto è cambiata Elodie da "Tutta colpa mia" cantata sul palco di Sanremo 2017?
“Quello è stato l'inizio della mia consapevolezza. Mi sono vista sul palco come una donna adulta, pronta a fare il salto nel buio e a rilanciarmi. Per questo mi piace mettermi in gioco. Vorrei che le persone che mi ascoltano, riescano a carpire tutte le mie sfaccettature, tutti i miei diversi colori...”.
Disco in arrivo?
“Diciamo che vogliamo proseguire con questi piccoli progetti, come si faceva una volta. Voglio toccare quanti più generi musicali a disposizione”.
Perché i giornali gossip ti vogliono sempre fidanzata?
“C'è ancora tempo dai, perché dovrei fidanzarmi ora? (ride, ndr)”
Si era parlato di un flirt con Balotelli...
“Ma va! Quella sera è stato gentile ed eravamo insieme a degli amici, mi ha accompagnata a casa e stop! Mi ha fatto sorridere quella storia, non c'erano nemmeno delle foto”.
Sui social sei molto sexy, segui le orme di Rihanna?
“Ma magari! Ma no dai... Di certo vivo molto bene con il mio corpo, ho lavorato anche come cubista in discoteca e secondo me la fisicità va di pari passo con la mia direzione artistica e con la mia voce. Perché limitarlo?”.
· Francesco Gabbani.
"Eccomi, dopo Sanremo sono un'altra cosa: un pop fuori dal coro". Il cantante stasera all'Arena di Verona: «Mi sono concesso un periodo di assenza». Paolo Giordano, Mercoledì 05/06/2019, su Il Giornale. Ma guardatelo qui, Francesco Gabbani, appena riemerso dalla quiete dopo la tempesta. Scatenato e gioioso, oltre che molto tatuato. Ha appena finito di provare il suo nuovo brano all'Arena di Verona e stasera andrà in onda su Raiuno durante i Seat Music Awards. E ha stupito tutti perché È un'altra cosa è un pop fuori dal coro, suonato come si deve e con un testo che - ogni tanto succede ancora! - non parla solo di lusso e sogni realizzati. Dopotutto mica capita spesso che un tormentone inizi con un verso come «la maggiorana dà sapore ma non sfama» aggiungendo che «la marijuana puritana non funziona». «Occhio che la maggiorana ha un altro significato, ma lo spiego dopo». Più livelli di lettura ossia il segreto del successo di un fuoriclasse che ha vinto due Sanremo di seguito e che con Occidentali's karma ha certificato le nuove regole del pop: cantare canzoni trasversali, ossia capaci di convincere pubblici diversi per età e gusti musicali. Ora ritorna con un brano che ha gli stessi carati e c'è da scommettere che lo ritroveremo il 9 settembre (giorno del suo compleanno) sempre qui all'Arena di Verona quando ai Power Hits Estate verrà incoronato il brano dell'estate 2019. «Vedremo, chissà», si schermisce in camerino.
Però, Gabbani, come mai è sparito dalle scene per così tanto tempo?
«Mi sono concesso un lungo periodo di assenza per capire in che modo avrei potuto andare avanti».
Si spieghi meglio.
«Da una parte il successo da ultratrentenne mi ha portato a pensare che finalmente tutte le mie fatiche avevano trovato un senso. Ma dall'altra mi sono chiesto: e adesso che faccio?».
Avrebbe potuto fare come quasi tutti: battere il ferro finché è caldo.
«E' vero. Se avessi voluto fare il mercenario, l'anno scorso sarei tornato con un brano compiacente e rimanere sulla stessa pista. Invece no».
Si è messo tra parentesi.
«E ho capito che se non rifacessi il botto di Occidentali's karma sarei sereno lo stesso. Per carità, è un obiettivo che voglio raggiungere ancora, ma la sventola di gloria che ho avuto dopo Sanremo mi ha reso più consapevole. E ho capito che sono qui per fare musica, soprattutto. Il resto è un'eventualità che viene dopo. Se è piacevole è meglio. Altrimenti va bene uguale».
Insomma Gabbani ora è «Un'altra cosa».
«Dopo averla composta, mi sono accorto che questa canzone è stata molto ispirata da A hard day's night dei Beatles. Tutti noi fatichiamo ogni giorno in una vita nella quale fatichiamo a riconoscerci. Ma la soluzione non è scappare ma imparare ad accettare un altro punto di vista. E' un passo avanti».
Però il brano si distingue da tutto ciò che passa in radio ora.
«Il bello è che rimane musicalmente semplice, come vorrei sempre essere. Semplice, non superficiale o approssimativo. E poi si distingue dai suoni reggaeton che, tra l'altro, secondo me è arrivato agli ultimi aliti, alle ultime fasi. Non perché non mi piaccia, ma perché ogni musica ha le proprie fasi».
A proposito, com'è stata la sua fase dopo Sanremo?
«L'ho vissuta fino in fondo ma sarei un'ipocrita a dire che non ci siano stati risvolti sia negativi che positivi».
Quelli positivi?
«La soddisfazione».
Quelli negativi?
«La mia situazione di persona ormai riconoscibile mi ha portato a consacrare i rapporti più veri e a lasciar perdere quelli meno profondi, anche in famiglia».
Sembra ci sia stata qualche delusione professionale.
«Qualcuno non ha capito bene che certe situazioni fanno parte del nostro lavoro. Ma va bene così».
E adesso?
«Il mio nuovo album è in fase di lucidatura, il grosso è stato fatto e, se tutto va bene, esce ad autunno».
Il titolo?
«Non posso ancora dirlo anche perché non l'ho ancora deciso e non ne sono convinto. Ma tutte le canzoni hanno un filo conduttore che si scoprirà a suo tempo».
A proposito: a cosa si riferisce la maggiorana del suo testo?
«Alla maggioranza, che dà sapore ma non sfama. E' uno degli interrogativi del nostro tempo...».
· Ermal Meta: «Così ho scoperto l’Italia».
«Così ho scoperto l’Italia». Pubblicato giovedì, 04 aprile 2019 da Corriere.it. Milano, zona Città studi. Ermal Meta scende le scale di uno scantinato. Gira il volantino della porta blindata. Eccoci nel suo rifugio musicale. «Era un bunker, la ventilazione è perfetta anche senza finestre. Senza la luce del sole qui perdo la cognizione del tempo... Purtroppo lo devo lasciare: serve al proprietario. Un altro segnale che si chiude un ciclo: tre anni zippati, sono sembrati una settimana». Il ciclo è quello della carriera solista di Ermal. Prima c’erano state delle band e l’attività di autore per Mengoni, Emma e altri. Nel 2016 il debutto a Sanremo Giovani con «Odio le favole». Nel 2017 il podio fra i Big con «Vietato morire» e l’anno dopo la vittoria con Fabrizio Moro. Ermal ha appena terminato un tour teatrale pieno di sold out e prima di prendersi una lunga pausa il 20 aprile saluterà i fan con un concerto al Forum.
Sarà il giorno del suo compleanno...
«Non ho mai amato festeggiare, l’idea del “tanti auguri a te” non mi piace... Per una volta faccio un’eccezione».
La sua prima canzone fu «Odio le favole». Ha cambiato idea ora che ne vive una?
«Questa non è una favola. C’è dietro un lungo lavoro. Ho iniziato presto, ma sono uscito tardi. Mi sono fatto la pelle dura. La prima band a 16 anni. Ci chiamavamo Shiva e facevamo pezzi nostri. Niente di che. Poi Ameba 4 e La fame di Camilla con cui sono stato a Sanremo Giovani. Quando sei un ragazzino vuoi stare in comitiva, quindi se fai musica cerchi una band. Oggi invece sembra che tutti vogliano fare i trapper e parlare di cash...».
La trap non la convince?
«Ci sono cose interessanti e altre che fanno rabbrividire Ghali è un mix di culture, “Cara Italia” è intelligente: abbiamo qualcosa in comune. Per il resto ogni brano poggia sulla cultura del genere cui appartiene. E nella trap ci sono sfumature poco utili ai teen».
Lei è nato in Albania, Mahmood in Italia. Quando lei ha vinto il Festival nessuno ha citato le sue origini.
«È stato brutto leggere quelle cose su Mahmood. I politici e i personaggiucoli che si sono avventati su questo tema sono agghiaccianti».
L’Italia è razzista?
«Già negli anni 90 c’era qualcosa, ma più che razzismo direi paura. La disperazione sociale e il vuoto culturale portano chi ha paura del futuro a prendersela con chi è additato come responsabile dei disastri del momento. Il problema dell’Italia non sono i migranti ma il malaffare».
Ricordi musicali?
«Ho masticato musica sin da bambino. Mamma era violinista classica, tutta casa e spartito. Dell’Albania ricordo solo cantanti di regime e musica popolare. Ascoltavo musica internazionale. Poi ho scoperto le canzoni italiane con “Almeno tu” di Mia Martini e “Mare mare” di Carboni. Arrivato a Bari la colonna sonora delle prime cotte è stato Venditti. Per imparare la lingua, scrivevo su un quaderno le parole che non capivo».
Prima che la musica fosse un lavoro?
«Lavapiatti, venditore di giornali ai semafori, operatore di call center».
Nel 2018 al Forum il suo primo palazzetto...
«Nei giorni prima mi ero infilato in un cul de sac emotivo: solo guardando il dvd mi sono reso conto quanto fosse stato bello. Questa volta me la voglio godere. Sarà un racconto cronologico che parte dal primo disco, con una band rock e lo Gnu Quartet».
E poi? Vacanze?
«Approfitterò di un concerto in Canada per girare il Nord America con mio fratello. Ho bisogno di cercare ispirazione e di dimenticarmi. Cito Totò: la felicità sono piccoli attimi di dimenticanza».
Fonti di ispirazione?
«C’è molta musica nei libri. Ho appena finito “Per chi suona la campana” e Hemingway mi ha portato nei boschi a combattere. Dietro molte mie canzoni c’è Bukowski. Mentre leggevo “Post Offic”e misi il libro in pausa e alla chitarra nacque “Scimmie”».
Il cinema?
«Da “La ricerca della felicità” di Muccino mi è nata “L’amore perfetto”. Sono stato male con quel film. Sono un frignone. Nei giorni scorsi mi ha commosso anche Lion».
Diventerà una canzone?
«Ne ho già pensate dodici».
· Magari Mika.
Mika: mi sento anche italiano, ho imparato molto da Fo. Pubblicato venerdì, 04 ottobre 2019 da Corriere.it. «Sto vivendo il momento più felice e più triste degli ultimi 10 anni». Un arcobaleno di emozioni e sentimenti che Mika ha riversato nel quinto album My name is Michael Holbrook, in uscita oggi. Tredici brani che racchiudono «turbolenze personali», ha raccontato il cantautore 36enne, come la malattia della madre (a cui l’album è dedicato), la complessa storia della sorella Paloma, diversi lutti e soprattutto il bisogno di fare i conti con se stesso: «Michael Holbrook è il mio nome legale, ma l’ho sempre odiato: mi sono chiesto perché. Ho fatto un reset personale e artistico e sono andato alla ricerca delle origini di mio padre per liberarmi dalla distanza che c’era con lui. Non è stato facile, ma mi è servito per mettere ordine e capire chi sono». Ma Mika affronta anche i temi più duri con una leggerezza tutta sua, trasformandoli in canzoni pop che sembrano uscite da un musical o dagli anni 80 di Prince e George Michael. «Scrivere ha avuto un effetto catartico e paradossalmente ho avuto voglia di recuperare la sensualità che nel pop degli ultimi anni si è persa, insieme al diritto di raccontare una sessualità libera e diversa». E non mancano omaggi all’Italia, fra il brano Sanremo («non parlo del Festival, ma delle vacanze che facevo da ragazzino con la famiglia») e ben 12 concerti con cui percorrerà lo Stivale dal 24 novembre: «Sarà un grande one man show, un pezzo del mio mondo. Avrò anche un pianoforte magico». Il legame con il nostro Paese, impresso nel suo italiano fluente e nel ricordo degli incontri con Dario Fo «che mi aveva insegnato tantissimo sull’Italia», è ancora molto forte: «Ho realizzato parte del disco nella mia casa in Toscana e sono diventato anche io un po’ toscano. Mi piace andare al mercato del pesce di Livorno e potare gli ulivi: ho cinque motoseghe». Lo rivedremo ancora in tv dopo le esperienze con X Factor e Stasera CasaMika? «Parlare in televisione mi ha liberato tantissimo, ma era il momento di smettere. Ci tornerò solo cambiando pelle: per il futuro avrei un’idea che spaccherà tutto, uno show dove tutto è possibile insieme a una persona, un enfant terrible che ho bene in mente...»
Mika: «Gay e 13enne, così cominciai a combattere. Il successo mi ha salvato». Pubblicato domenica, 22 settembre 2019 da Corriere.it. «Sono estremamente esigente con me stesso, uno stronzo». Lo hai detto di recente in un’intervista radiofonica. E tu, che pur essendo nato in Libano e cresciuto tra Parigi e Londra in una famiglia con radici mediorientali e americane, parli un magnifico italiano, scegli le parole con cura. Cosa intendi con questa immagine dura? Non te l’aspetti dalla pop star gentile entrata nelle case degli italiani anche grazie a tanta televisione. Mika risponde di getto.
«Stronzo. nel senso che in quello che faccio mi sento sempre obbligato a cercare la perfezione, fino a farmi male. Anche quando creo una canzone dai ritmi accattivanti, con testi apparentemente giocosi: dietro c’è un lavoro duro, ogni volta metto in gioco tutto me stesso. E mi infliggo la sofferenza di questa ricerca quasi maniacale della perfezione. Che, poi, è la chiave del mio successo: creatività ma anche credibilità. Ho fan in tutto il mondo, ma non sono una rockstar commerciale. Mi considero un artista di nicchia. Ampia, planetaria, ma pur sempre nicchia. Per conservarla la buona musica è essenziale ma non basta: servono credibilità e trasparenza». Una voglia di trasparenza che spinge Mika, alias Michael Holbrook (il suo vero nome all’anagrafe e il titolo del nuovo album che uscirà il 4 ottobre) a raccontarsi con una franchezza disarmante davanti a un’insalata di cereali esotici e a un giornalista che non ha mai visto prima. Col nuovo disco, il primo dopo quattro anni, e questo tour di concerti americani che lo anticipa, getti alle spalle l’esperienza televisiva che ti ha dato tanta popolarità. Si diceva che sarebbe stata la tua nuova fonte d’ispirazione e invece...«E invece era una gabbia. Mi è piaciuto fare televisione, mi ha dato molto. Ho potuto sviluppare un progetto occupandomi di tutto: testi, coreografie e costumi con mia sorella Jasmine. Ho fatto perfino il falegname. Un’esperienza che mi ha avvicinato al mio sogno nel cassetto: dirigere un teatro tutto mio. Ma la tv è anche una gabbia: regole, complessità, vincoli organizzativi che uccidono la creatività. Per questo ho deciso di bruciare la mia identità televisiva. E per cambiare, per ritrovare me stesso, non potevo che tornare indietro: riscoprire la mia famiglia, i profumi, le emozioni e anche gli incubi della mia adolescenza». La sensualità è sempre stata una cifra della tua musica, ma stavolta lo è molto di più, anche con la rivendicazione della tua identità gay. «È la mia reazione alla castrazione della musica pop degli ultimi 15 anni: traboccava sesso negli anni Settanta, Ottanta e Novanta. Poi è improvvisamente sparito dalla creazione artistica. È rimasto solo nei suoi aspetti commerciali, nei video. Ma qui torniamo anche alla ricerca di credibilità: la molla del successo di cui ti dicevo prima. Con Il mio nome è Michael Holbrook sono andato a cercare ispirazione — in un momento di crisi di creatività — nei miei anni giovanili. Tornando a immergermi nelle gioie ma anche negli incubi di un’infanzia comunque difficile. Lo scontro coi professori, l’espulsione da una scuola di Londra, il bullismo. La spinta al successo, la ricerca della perfezione è cominciata qui».
In che modo?
«Ricordo ancora il momento chiave. Avevo 13 anni. Ero in bagno, ormai consapevole della mia omosessualità. Era un gigante, un mostro chiuso nel mio armadio. Mi sono chiesto come avrei fatto a essere me stesso, a cercare quello che mi attrae nella vita, senza finire male. Mi sono guardato allo specchio e mi sono detto: o riesco a diventare uno di enorme successo o sono morto. E da quel giorno ho cominciato a combattere tenacemente per diventare un artista importante. Duro, perfino maniacale anche con me stesso, per conquistare un successo che per me significava libertà, salvezza. Così oggi posso parlarti di quel giorno in bagno e dei miei mostri nell’armadio senza vergogna».
E del bullismo.
«Un’altra molla. Quando ero vittima dei bulli resistevo grazie a un pensiero fisso: un giorno questi che adesso mi perseguitano verranno ad applaudirmi ai concerti. Beh, è successo».
Quanto è stata importante tua madre che ti ha ritirato dalle scuole e ti ha mandato a lavorare quando eri ancora un ragazzino?
«Un ruolo importante. Mi diceva che uno come me, se non riusciva a fare cose importanti, rischiava di finire in galera. Non so perché lo diceva. Certo mi stimolava, mi imponeva ogni giorno ore di prove di canto. A 14 anni ero già una voce della Royal Opera House di Londra. Guadagnavo, conquistavo rispetto e stima. E l’opera mi ha portato in un mondo affascinante di musica, voci, colori, costumi, scenografie».
Dal melodramma al pop sensuale e scatenato saltando da uno stile all’altro: ti hanno accostato a Prince, a George Michael, ti hanno definito un erede di Freddie Mercury.
«La mia identità l’affermo soprattutto con la voce e i testi delle canzoni: molto veri, spesso duri anche quando le musiche sono seducenti, ti fanno ballare. È vero, mi piace mescolare gli stili: nel nuovo album ripercorro quelli degli ultimi trent’anni del Novecento, da Tiny Love ad Ice Cream, giocosa, maliziosa e scatenata, alla rilassante Sanremo. Rilassante ma illustrata con un video tosto in bianco e nero, ispirato ai “ragazzi di vita” di Pasolini».
In che senso il sesso è sparito dal pop? Non dipenderà anche dal fatto che, nell’era digitale, anche il rapporto dei giovani col sesso, mediato dagli smartphone, è cambiato?
«Forse incide, anche se poi i sentimenti riesci a esprimerli pure via web. Credo che l’enorme carica sessuale della musica di trent’anni fa sia stata depotenziata per motivi commerciali, per costruire le megastar planetarie. Ha pesato anche l’Aids: prima il sesso era solo gioia, poi ha preso riflessi di sofferenza. Sì, io voglio tornare a Prince, a George Michael, a Hutchence».
Chi?
«Michael Hutchence. Australiano, un gigante del rock. Mi ha insegnato tanto. Non lo conosci? E come occuparsi di finanza e non sapere chi è George Soros».Eccolo Mika: aperto, trasparente e puntiglioso. Con sé stesso e col giornalista a corto di cultura musicale.
La mia identità è il mondo. Pubblicato sabato, 14 settembre 2019 su Corriere.it da Massimo Gaggi. A New York la presentazione del nuovo cd «My Name is Michael Holbrook». Pop e storie dure tra riscoperta delle origini e libertà sessuale. Mika brucia la sua immagine televisiva, fugge per reinventarsi e, completato il nuovo album che uscirà ai primi di ottobre, torna dopo quattro anni sul palcoscenico dei concerti partendo da New York. Dando alla sua personalissima conquista dell’America il sapore di un ritorno a casa e presentando in anteprima mondiale i brani di «My Name is Michael Holbrook». Per l’esordio di questo minitour americano — New York, Los Angeles, San Francisco, Montreal e Città del Messico — Mika non ha scelto un teatro di Manhattan ma Brooklyn Steel a Williamsburg, il borgo che da anni attrae come un magnete giovani e artisti della Mela. E sono soprattutto ragazzi — americani, tanti europei, moltissimi asiatici — quelli che si entusiasmano e ballano in questo capannone industriale trasformato in arena davanti a un cantante scatenato che fa esplodere sul palco energia, irriverenza e sensualità alternando a celebri successi come «Grace Kelly», «Origin of Love» e «Happy Ending,» i brani trascinanti del nuovo disco: «Tiny Love», «Tomorrow» o l’ammiccante «Ice Cream». Un mix di musiche gioiose e testi spesso duri: ritmi travolgenti per raccontare storie amare, memorie d’infanzia, lotte interiori per cercare e affermare la propria identità. Quella sessuale, a lungo repressa in gioventù e che ora vuole declinare nel modo più libero e trasparente possibile. Divertendosi a provocare e, addirittura, a cercare di scandalizzare il suo pubblico, ora che non si sente più frenato da vincoli, compresi quelli televisivi. Convinto che negli ultimi quindici anni la musica pop sia stata castrata, privata della sua ispirazione più sensuale, dell’energia del sesso, Mika, che si sente artista di nicchia anche se è seguito da fan adoranti in tutti i continenti, prova a scuotere questo establishment. Puntando sulla sessualità che, dice, è «sparita come provocazione sofisticata o elemento di dialogo per restare solo come fattore di sfruttamento commerciale». Lo stile di Mika lo trovi in questa narrativa sofferta, in una voce unica nei suoi repentini cambi di tonalità e in una creatività che spazia ben oltre la musica: il design (anche di orologi, occhiali, abiti) con la sorella Jasmine, le scenografie, i video musicali. Nel backstage dello Steel, Mika si prepara aiutato da Jasmine in un andirivieni di tecnici americani, hair stylist parigini, musicisti inglesi, olandesi e neozelandesi, cameramen che girano il film del concerto live, mentre il suo compagno, Andreas Dermanis, regista greco-inglese di documentari, controlla l’editing del video di «Sanremo»: per accompagnare, nel nuovo disco, questo brano fatto di memorie di gite d’infanzia (nulla a che vedere col festival), immagini in bianco e nero girate a Fiume, in Croazia. Ricostruiscono l’immaginario di un’Italia difficile, ormai sbiadita nella memoria: quella dei «ragazzi di vita» di Pasolini. Dopo «CasaMika», «X Factor» e sei edizioni di «The Voice» in Francia, l’artista si aggrappa a Mr Holbrook per bruciare — parole sue — l’identità televisiva degli ultimi anni: «Non la rinnego, mi ha arricchito, ma devo andare oltre, rinnovarmi. È la sfida che affronto di continuo nella mia vita, duro ed esigente con me stesso» perché obbligato a cercare sempre la perfezione. Nell’ultimo anno e mezzo tra le case di Miami, Londra, Parigi e il suo ritiro (con sala di registrazione) in Toscana, Mika ha ritrovato creatività e libertà. Ha composto brani nei quali — affermata la sua personalità con la voce e i testi — scandaglia la sua vasta cultura musicale e sfrutta la duttilità di artista eclettico: dopo contaminazioni come quelle operistiche del passato, stavolta salta da ritmi scatenati alle sonorità rilassanti di «Sanremo» ripercorrendo gli stili di 35 anni di musica pop, da Prince a George Michael, passando per David Bowie e Freddie Mercury. «Sono andato», dice, «alla ricerca di chi avrei potuto essere. Beyoncé, Bowie e altri si sono dati un alter ego artistico. Io faccio il contrario: cerco di scoprire l’uomo dietro l’artista». Un Michael Holbrook (vero cognome, quello del padre) che aggiunge flavour americano a un artista nato in Libano, con una madre di origine siriana, cresciuto tra Francia, Gran Bretagna e Italia. Il prototipo di un cittadino del mondo che, in tempi di risorgenti paure identitarie, rifiuta ogni ancoraggio rigido: «La mia identità è la mia creatività senza confini». Che, dopo i concerti americani e il lancio dell’album, lo porterà, da novembre, col suo «Revelation Tour», ovunque nel mondo: partenza da Londra per arrivare fino alla Corea, al Giappone e alla Cina (e di nuovo in America) passando anche per 12 concerti italiani: Milano, Torino, Roma ma anche piazze del Sud di rado battute dagli artisti come Bari e Reggio Calabria.
· Magari Moro.
MAGARI MORO. Nina Verdelli per vanityfair il 3 maggio 2019. Non ci vuole molto a capire che sotto la catena al collo e i pantaloni in pelle, sotto la durezza sbandierata, la pelle tatuata e il chewing-gum masticato con noia, si nasconde un uomo buono. Basta vedere come, alla fine del nostro servizio fotografico, abbraccia la stylist posandole la testa sulla spalla. Le chiede scusa cinquantamila volte per i venti minuti di ritardo con cui è arrivato sul set. «La mattina è sempre un problema», racconta Fabrizio Moro (Mobrici all’anagrafe) sistemandosi i capelli arruffati, spie di battaglie notturne.
«Vado a letto all’una e non prendo sonno. Nemmeno se sono stravolto. Devo per forza leggere o guardare un film. Ultimamente sono in fissa con Il trono di spade: mi fa staccare il cervello, mi porta in un altro mondo».
Il mondo reale per il 44enne romano è piuttosto affollato. Da quando l’anno scorso ha vinto il Festival di Sanremo in coppia con Ermal Meta, il cantautore non si è fermato un attimo: 130 concerti, tra cui l’Eurovision a Lisbona, una separazione, un trasloco, un disco uscito da poco, stampato da poco sul lato destro del collo. «Mia sorella Romina fa la tatuatrice, io sono la sua cavia preferita», confessa. Poi inclina leggermente la testa, sposta il cappuccio della felpa e mostra l’ultimo capolavoro: Figli di nessuno.
Chi sono oggi i «figli di nessuno»?
«Le persone che hanno sogni più grandi di quelli che potrebbero permettersi».
Per esempio?
«Me stesso. Rocky Balboa, il mio eroe. Ilaria Cucchi».
Anni fa aveva scritto una canzone sui maltrattamenti subiti da Stefano.
«Nel 2011, ma l’hanno censurata perché dicevo la verità sulla sua morte».
Ora, però, il film Sulla mia pelle ha dato una spinta per riaprire il caso.
«È la dimostrazione che, se fatta con coraggio, l’arte può cambiare le cose».
C’è mai stata una sua canzone che ha contribuito a cambiare le cose?
«Sarei presuntuoso a dirlo».
Lo sia, solo per questa risposta.
«Pensa, con cui ho vinto Sanremo Giovani nel 2007. L’ho scritta dopo aver visto la miniserie televisiva Paolo Borsellino, con Giorgio Tirabassi nel ruolo del giudice. Il testo è stato inserito nei libri di scuola: se oggi i bambini sanno qualcosa in più sulle stragi di mafia è anche un po’ merito mio».
La passione civile è presente anche nel suo ultimo disco: Me’ nnamoravo de teè un inno all’Italia di Berlinguer, Pasolini e Pertini.
«Erano persone credibili, che hanno fatto del bene al nostro Paese. Infatti erano rispettati anche da esponenti del fronte opposto. Alla camera ardente per Berlinguer c’era persino un uomo di estrema destra come Almirante. Al contrario, i politici di oggi sembrano personaggi usciti da un talent show».
Deluso da questo governo?
«Deluso dalla politica: manca un’idea di collettività. Ognuno di noi avrebbe l’impulso di combattere, ma poi non agisce perché si guarda intorno e vede che nessun altro lo fa. Siamo tanti Don Chisciotte arresisi ancora prima di iniziare la battaglia».
Alle elezioni europee voterà?
«Certo, è l’unico modo che ci è rimasto per cambiare le cose».
Un tempo si scendeva in piazza.
«L’ho fatto anch’io. Alle superiori partecipavo spesso alle manifestazioni. Mica per saltare la scuola: protestavo per rabbia».
Rabbia verso cosa?
«Mi sentivo incompreso. Ero un ragazzino troppo sensibile e troppo ambizioso. Puntavo in alto ma non avevo i mezzi per concretizzare i miei sogni. Padre operaio, madre casalinga, non potevo neanche dedicarmi interamente alla musica: dovevo lavorare. Ero frustrato: non avevo nulla».
Ora che ha tutto, si è placata la rabbia?
«Si è trasformata. In grinta, credo. Un po’ di inquietudine rimane ma, in questo momento, sono abbastanza felice».
Che cosa occorre per eliminare quell’«abbastanza»?
«Impossibile per me: mi tengo sempre a un centimetro dalla felicità, altrimenti ho paura di perdere gli stimoli».
Altre paure?
«Le malattie: sono un vero ipocondriaco. Faccio gli esami del sangue prima di ogni concerto. Chiamo il medico continuamente, anche di notte se avverto qualcosa di strano».
Cerca i sintomi su Internet?
«Per carità: se googlo “febbre, mal di testa, raffreddore” esce che sto per morire. Ho affrontato questo problema con vari psicoanalisti. Non è servito a niente».
Mai provata la meditazione?
«Inutile: per meditare devi svuotare la testa. Appena ci provo mi si affolla ancora di più. Per questo faccio fatica ad addormentarmi».
A che ora si sveglia?
«Alle otto. Poi rimango nel letto fino alle 9.30».
Quindi non accompagna i suoi figli a scuola.
«Non spessissimo. Ora, poi, che non vivo con Libero, Anita e la loro mamma è più difficile».
In Arresto cardiaco canta: «Se avessi saputo sarei migliorato e mi sarei anche andato a sposare». Tornasse indietro si sposerebbe?
«Assolutamente no: per me il matrimonio ha senso solo da vecchi, come culmine di una vita insieme. Con la mia ex compagna non ero sposato, ma mi sentivo ugualmente legato a lei».
Che cosa è andato storto?
«Il lavoro per me è importantissimo, ma non riesco a rendere partecipe la persona che mi sta accanto. Non sono quello che scrive una canzone e corre a farla ascoltare alla fidanzata. Non sono quello che scende dal palco e le racconta le emozioni provate lassù».
Le va di raccontarle a noi?
«È un grande momento di collettività, come una bellissima cena tra amici. Mi pesa stare lontano dal palco. Infatti sono già preoccupato perché questa sarà la prima estate in undici anni in cui non canterò. Riprendo il tour a ottobre. Credo che, fino ad allora, sprofonderò nella depressione».
Dove andrà a deprimersi?
«In Sardegna».
Con una nuova compagna?
«No, sono single».
Single in pace o single in cerca?
«È complicato: quando una donna è carina con me non so mai se sia perché le interesso o perché sono famoso».
A lei che tipo di donna interessa?
«Una forte, che sappia prendersi cura di me».
Ha mai cantato in privato a una ragazza per fare colpo?
«Mai».
Perché?
«Perché mi imbarazzo. Ora per fortuna non capita più ma, quando in passato mi trovavo a suonare in locali con solo 80 spettatori, andavo in panico. Salivo sul palco e facevo finta di trovarmi di fronte a 5 mila persone, almeno mi saliva l’adrenalina».
Ansioso fin da bambino?
«Fragile, come mia madre».
Suo padre, invece?
«Era un uomo chiuso. A otto anni ha lasciato la Calabria per andare a lavorare a Roma. Ma la mentalità provinciale non l’ha mai abbandonato. Lui era il padre, noi i figli: interazione zero».
Parla al passato perché non c’è più?
«No, perché da quando è diventato nonno è cambiato. Con i miei bambini si scioglie. Libero ha 10 anni ed è un fan sfegatato di Cristiano Ronaldo: guardano insieme i video dei suoi goal. Anita ne ha 6 e ama la musica: lui la ammira ballare e cantare».
È cambiato anche con lei?
«No, non è ancora riuscito a dirmi “bravo”. Nel contempo, però, sono cambiato io».
Come?
«Alle medie ero bullizzato. Ora sono un duro».
Che cosa ha innescato la trasformazione?
«Le sconfitte».
Tra queste rientra l’«alcolismo adolescenziale» di cui canta in Figli di nessuno?
«Sì, non mi vergogno ad ammetterlo».
In Per me troviamo anche allusioni esplicite all’eroina, quando parla di «ago spiazzato, sorriso di gioia coi buchi fra i denti». Autobiografico pure questo?
«No, però diciamo che, in quegli anni, non ho curato abbastanza il mio corpo. In ogni caso, uscire dal tunnel delle dipendenze è stata una delle due molle che mi hanno fatto scoprire quanta forza avessi dentro».
L’altra molla?
«Nel 2000 partecipo a Sanremo. Ero assolutamente inconsapevole di dove fossi e di cosa accadesse intorno a me. Arrivo tra gli ultimi. La Ricordi rompe il contratto. Comincio un lungo pellegrinaggio di casa discografica in casa discografica portando le mie nuove canzoni. Mi ripetono tutti la stessa cosa: sei finito».
Come ha reagito?
«Mi sono ribellato alla sconfitta. Non ho mollato. E ho vinto».
· Meglio Mora.
Lele Mora: «Ho comprato i centralini per vincere i reality». Pubblicato sabato, 08 giugno 2019 da Teresa Ciabatti su Corriere.it. Pubblichiamo in anteprima una parte dell’incontro tra la scrittrice Teresa Ciabatti e Lele Mora. L’agente dei vip ripercorre le tappe più importanti della sua vita e della sua carriera. L’infanzia povera, il riscatto, gli eccessi negli anni del successo. Potete leggere l’intervista integrale sul numero 23 di 7 in edicola da venerdì 6 giugno (e fino a giovedì 13) oppure in Pdf sulla Digital Edition del Corriere della Sera. «Se devo pensare alla mia giovinezza, dico Porto Cervo». Estate 2005, dal cielo piovono colombe, Dario Gabriele Mora detto Lele ha cinquantun anni. Esattamente questa è la sua giovinezza. Non l’infanzia a Bagnolo di Po (Rovigo), nella casa colonica con mamma e papà, i bambini infilati nei tini a schiacciare l’uva, e Lele impaurito di rimanere imprigionato, cosa che sogna di notte, a quattro, cinque anni, lui piccolo, sempre più piccolo - nel sogno rimpicciolisce - a sprofondare nell’uva, annaspare, senonché a otto anni è abbastanza grande per uscire dal tino, e salvarsi da solo. Lele Mora è proprietario di negozi di giocattoli(a domanda «quanti ne hai?», risposta «non ricordo»), investimento concretizzato a seguito del viaggio in Inghilterra, quando scopre un maialino rosa di cui intuisce il potenziale, segnalandolo a Giochi Preziosi. È Lele Mora a portare in Italia Peppa Pig. Ma torniamo alla gioventù, al tempo per arrivarci («hai presente quel film con Brad Pitt o Johnny Depp, lui che nasce vecchio e diventa giovane dopo»). Non è giovinezza Verona, 1975, l’epoca del Lele Club, primo locale gay d’Italia (malgrado a controllare la storia esisteva già il Tabasco di Firenze, noi però seguiamo Lele, crediamo a lui, perché questo non è il racconto di ciò che è stato davvero, ma di ciò che Lele ricorda). Dunque Lele Club, aperto dalle 18 a mezzanotte, orario di rientro in caserma dei militari. «Venivano monsignori, politici», ricorda Lele. «La sera tornavo a casa coi sacconi neri della spazzatura pieni di soldi». Lele Mora è proprietario di negozi di giocattoli. «In carcere mi appare Padre Pio». Lele racconta di essersi addormentato mentre vedeva uno speciale di Massimo Giletti proprio su Padre Pio. Notte, d’improvviso una luce accecante, e si materializza il frate. «Ce la farai» dice con voce roca, esattamente la sua. Padre Pio lo incoraggia a resistere, prevedendo l’imminente scarcerazione. Parla di prove terrene, solo prove terrene per meritarsi il Paradiso. E all’idea di Paradiso Lele si commuove, come si commuove passando di fronte alla casa in Sardegna, dove è tornato di recente con Enrico Lucci al quale dice: «No, non fermarti (...). C’ho messo una vita per farmela, e me l’hanno portata via».
Lele Mora: “L’Unità? L’avrei fatta nera!” Marco Lomonaco il 07/05/2019 su Il Giornale Off. Lele Mora, 64 anni, ex re degli agenti VIP, personaggio televisivo, manager, uomo dai molti volti e dalle mille sfaccettature. Lo abbiamo incontrato poco prima della sua partenza in Stazione Centrale a Milano per farci raccontare gli episodi più OFF della sua vita e della sua carriera…
Lei è stato uno degli uomini più potenti del mondo dello spettacolo italiano e, per diversi anni, considerato il re degli agenti VIP. Da dove ha cominciato e com’è arrivato a essere il migliore?
«Nel mondo dello spettacolo ho iniziato per gioco. Vengo da una famiglia di contadini, sono nato nel Polesine, tra l’Adige e il Po. Non era il mio mestiere lavorare la terra, così mi sono iscritto alla scuola alberghiera, dove una volta finito ho insegnato per tre anni. Dopodiché ho studiato economia e commercio pur sapendo che non sarebbe stata quella la mia vita: il mio mondo era quello dello spettacolo. Allora ho cominciato piano piano, riuscendo ad entrare passo dopo passo in questo mondo, partendo – pensa un po’ – rappresentando le stelle del calcio. Il primo contratto vero che ho avuto con una grande stella dello spettacolo è stato quello con Loredana Bertè, ma prima ancora, nel mondo dello sport, ho lavorato diversi anni con Diego Armando Maradona. Con Giannina Facio – oggi moglie di Ridley Scott – sono approdato anche a Hollywood, entrando a far parte di un meccanismo veramente particolare. Poi nell’85 ho iniziato a collaborare con Berlusconi…»
Che ricordo ha del Maradona calciatore?
«Maradona a quei tempi era un personaggio semplice, tranquillo, il circolo che aveva intorno era vizioso a dir poco e lo ha influenzato negativamente. Diego è un uomo con un cuore meraviglioso, generoso, a volte spariva da Napoli e veniva a stare da me a Verona perché si sentiva a casa sua e si rilassava. Ancora oggi coltiviamo uno splendido rapporto di lavoro e di amicizia sincera».
Quanti rapporti ha perso negli ultimi anni invece?
«Con le persone vere, come Diego, come Ornella Muti, Sabrina Ferilli, i rapporti sono rimasti. Anche tante altre persone con cui ho lavorato le vedo ancora, come Iva Zanicchi, Orietta Berti; anche Moira Orfei e Nilla Pizza sono donne che mi hanno dato molto umanamente e professionalmente, arricchendo la mia vita. Con le persone finte invece, i rapporti si sono interrotti; in tanti hanno avuto convenienza ad avere la mia amicizia in passato e, ora, nessuno li sente più: personaggi che a mio parere, lasciano il tempo che trovano. Poi sai, quando una nave sta affondando, tutti cercano di salvarsi. Così vanno le cose in questo lavoro: quando sei considerato il numero uno fai comodo e tutti i cercano, poi quando hai qualche problema spariscono tutti. Nella mia vita ho pagato fino in fondo per le mie colpe – che mi sono assunto dalla prima all’ultima, ma ho pagato anche per colpe non mie e anche troppo forse. Ho scelto di essere uomo fino in fondo e assumermi le mie responsabilità, senza mai chiedere riconoscenza a nessuno; anche perché, in questo mondo, la riconoscenza la conoscono in pochi e, quelli che la conoscono, se ne ricordano spesso solo quando devono venire a chiederti qualcos’altro. Nella mia vita io ho sempre dato e non ho mai fatto del male a nessuno, nemmeno a chi una tirata di orecchie se la meritava per davvero. Non è da uomini fare cose del genere».
C’è un agente bravo come lei in circolazione in questo momento?
«Uno come me non esiste semplicemente perché io ho dato l’anima per il mio lavoro. Chi veniva a lavorare con me entrava in una “grande famiglia”. Casa mia era un convitto e alle ore 13 quando si pranzava c’era posto per decine di persone, anche per chi non meritava di stare alla mia tavola. Abbiamo sempre dato da mangiare a tutti a prescindere. Parlando del lato professionale invece, io un artista lo preparavo a 360 gradi e cercavo di lanciarlo e plasmarlo secondo le sue caratteristiche; dal nulla mi sono inventato personaggi che divertivano la gente a casa davanti alla tv. Oggi il mio lavoro sarebbe diverso, anche perché gli artisti veri sono delle mosche bianche. Il mio metodo di lavoro era, ed è ancora, quello del “faccia a faccia”. Io amo incontrare le persone, vederle in faccia, perché le persone ti arricchiscono e qualcosa, nel bene e nel male, ti lasciano sempre».
Che momento è per la televisione italiana?
«Certamente un momento di difficoltà, visti i numeri che stanno collezionando le piattaforme in streaming come Netflix. Inoltre in tv c’è sempre più gente che urla: ecco, io non amo questi talk in cui si fa la tv urlata. Proprio non è il mio genere. Sono stato a Non è la D’Urso dopo 6-7 anni che non comparivo a Mediaset volutamente e l’ho fatto solo perché Barbara è una donna molto intelligente che stimo. E’ praticamente una donna bionica perché da la sua vita al lavoro, riuscendo a portare avanti contemporaneamente una serie di programmi che fanno numeri stellari. Ad oggi in Italia abbiamo solo un’altra donna strepitosa come Barbara D’Urso sul piccolo schermo: Maria De Filippi».
Cos’ha significato Silvio Berlusconi nella sua vita?
«Berlusconi è un grande uomo, che io stimo come comunicatore e come imprenditore; come politico un po’ meno, anche se ho sempre riconosciuto la sua capacità di creare da zero un partito che ha dominato la scena politica e gli ha portato grandi fortune. Al di là di questo, reputo Silvio Berlusconi uno degli uomini più intelligenti che io abbia mai conosciuto e, ancora oggi, anche se abbiamo voltato pagina e non ci sentiamo ne vediamo più, lo considero uno dei più grandi amici avuti nella mia vita».
Le piace qualcosa del governo giallo-verde?
«Direi di no, i 5 stelle non mi piacciono perché sono nati per gioco e sono diventati una cosa comica, nata da un comico per l’appunto: infatti credo che in Europa dimezzeranno ancora i loro consensi. Matteo Salvini è un buon politico che secondo me ha delle doti e lo ha dimostrato; credo che insieme a Giorgia Meloni potrebbe fare cose buone. Dovrebbe però pensare di staccarsi quanto prima da questa cordata di governo che procede “a giorni alterni”».
Chi vedrebbe bene a guidare il paese?
«Ora come ora, solamente Mario Draghi».
Ci racconti di quella volta in cui stava per comprare l’Unità.
«Un mio amico ha avuto l’occasione di acquistare l’Unità e mi ha proposto di buttarmi in quest’avventura con lui. Io sono di idee di destra – anche se non ho mai votato nella mia vita – e quel giornale è un marchio forte della sinistra. Volevo stravolgerlo e non nascondo che mi sarebbe piaciuto fare un giornale nuovo tenendo come base l’archivio fotografico formidabile dell’Unità. Poi, per una serie di motivi la trattativa si è interrotta».
Ha detto che avrebbe fatto rivoltare Gramsci nella tomba…
«Probabilmente sarebbe successo. Perché da rosso, quel giornale, lo avrei fatto diventare nero!»
Due parole su una persona che lei ha amato e che ora sembra smarrita, Fabrizio Corona.
«Sono molto dispiaciuto per questo suo ultimo arresto, con il quale ha perso definitivamente tutti i privilegi che gli erano stati concessi da una magistratura clemente. La galera è la cosa più brutta che possa capitare ad un essere umano e io non la auguro a nessuno. La libertà è la cosa più bella e Fabrizio non è riuscito a capirlo in tempo, venendo sopraffatto dal suo modo di essere. Nell’ultimo periodo viveva per guadagnare e questo lo ha portato a commettere anche degli errori che alla fine ha pagato. Io quando ero in affidamento se non potevo andare fuori Milano non mi permettevo di uscire dalla città; se dovevo rientrare alle 11 a casa alle 11 meno 5 ero a letto; se dovevo chiedere un permesso lo chiedevo. Chiariamo una cosa però, Fabrizio ha commesso degli errori perché si drogava di lavoro. Non ha mai usato sostanze stupefacenti, come qualcuno ha falsamente diffuso. Purtroppo è diventato negli anni vittima del suo stesso personaggio e ho paura che non cambierà mai».
Le è piaciuto il film Loro di Paolo Sorrentino?
«Non molto. Mi era anche stato chiesto di interpretare me stesso, ma ho rifiutato. L’ho trovato un po’ finto, esagerato, gonfiato. La rappresentazione di Berlusconi è assolutamente sopra le righe. Io ho vissuto personalmente quella storia e posso assicurare che è stato tutto esasperato; poi la faccenda della droga è inventata, non è mai circolata cocaina a Villa Certosa. Io stesso non ho mai fatto un tiro di coca o di canna nella mia vita, sono sempre stato contrario per principio. Faccio però un plauso a Elena Sofia Ricci, l’attrice che ha interpretato Veronica Lario, perché ha saputo cogliere nel dettaglio le sfumature del suo personaggio. Mi è piaciuto anche Riccardo Scamarcio che ha ben interpretato il ruolo ispirato a Tarantini».
Che vita conduce oggi Lele Mora?
«Una vita molto casta e serena. Ora do tutto me stesso alla famiglia che per trent’anni ho abbandonato a discapito del lavoro. Vivo per far star bene le persone che ho vicino».
Un incontro che le ha cambiato la vita?
«Nel 1982 mi trovavo a Cuba con una grande star per fare una campagna pubblicitaria di costumi da bagno. Una sera con un’amica vado ad una cena di beneficenza organizzata da Fidel Castro. Ci siamo accomodati al tavolo della presidenza e a mezzanotte è arrivato Castro, circondato da guardie che devo dire, mi incutevano un po’ di timore. Io non ho paura di niente e di nessuno ma vederlo lì davanti a me mi ha un po’ destabilizzato; poi parlandoci e scoprendo la persona gentile che era nonostante il suo grande potere mi ha molto impressionato. Grazie a quella conversazione ho visto l’uomo e non il presidente e da quell’anno sono sempre andato a Cuba per organizzare quell’evento per lui gratuitamente, portandogli sempre tanta gente di spessore – da Bruce Willis a Leonardo DiCaprio, fino a Zucchero – che potesse contribuire alla causa: raccogliere fondi per la ricerca medica».
Ci racconti un episodio OFF della sua carriera.
«Erano i primi anni novanta e mi trovavo a Modena per aiutare Nicoletta Mantovani ad organizzare il Pavarotti & Friends. Una sera a cena, mi sono trovato seduto di fianco nientemeno che a Lady Diana. Sono rimasto molto colpito dalla sofferenza che aveva negli occhi e dalla sua grande dignità; dietro alla patina di regalità, dietro alla principessa, c’era una donna malinconica e dentro ai suoi occhi si intravedeva un’anima profondamente inquieta».
Chi è l’uomo più potente che ha incontrato nella sua vita?
«Dei tanti che ho incontrato, sicuramente Vladimir Putin. E’ un uomo potentissimo, con gli occhi azzurri, di ghiaccio, impenetrabili, che rendono impossibile capire che cos’ha veramente infondo al cuore».
Live Non è la D’Urso”, Lele Mora racconta di avere un tumore maligno. Lasciando tutti senza parole Lele Mora racconta a "Live non è la D'Urso" come ha scoperto e cosa dovrà affrontare per combattere il tumore maligno che lo ha colpito. Roberta Damiata, Lunedì 30/09/2019, su Il Giornale. Ha scelto “Live Non è la D’Urso” Lele Mora per raccontare di aver scoperto solo pochi giorni fa di avere un tumore maligno tra rene e polmone. In studio con lui sua figlia Diana con le lacrime agli occhi preoccupata per la salute del padre. "Io credo - racconta Lele Mora - che questo male mi è arrivato per i tanti dispiaceri: il carcere, la morte di mio papà, poi mia mamma e ripartire non è facile. "Come hai scoperto questa cosa?" le chiede Barbara. "Un giorno viene un fisioterapista a casa e mi fa un massaggio perché ero davvero molto stanco e mi trova un bozzo sulla schiena. io non me ne ero mai accorto prima". Partono le ricerche e si scopre che questo è un tumore, e che Lele deve sottoporsi a 25 sedute di radioterapia per ridurre la massa che è molto profonda e lunga 8 centimetri e poi poter operare". Tutto questo Lele lo ha scoperto durante un’intervista quando il suo medico lo chiama per avvertirlo di questa tragica vicenda.“Io sono convinta che andrà tutto bene - racconta Diana - dopo tutto quello che è successo”, e ne è convinta anche Barbara che per risollevare l’umore scherzosamente racconta “Questa cosa andrà benissimo, ma a te chi ti ammazza”. Quale è stata la prima cosa che hai pensato: “Un pensiero proprio brutto, è andato in carcere Enzo Tortora e anche lui è morto di tumore, non è che succede anche a me?”. Barbara lo rassicura, e le mostra una sorpresa, sua nipote che le manda un video di incoraggiamento dicendo che è convinta che supererà anche questa” .
Lele Mora scopre di avere un tumore durante un'intervista: "È maligno". Lele Mora ha un tumore maligno: la scoperta da parte dell'agente avviene durante un'intervista per il quotidiano Libero, quando il suo medico lo chiama per riferirgli i risultati delle analisi. Francesca Galici, Venerdì 27/09/2019, su Il Giornale. Lele Mora è da tanti anni una delle figure più complesse dello spettacolo italiano. Arrivato all'apice è precipitato, è stato in carcere e ha pagato per i suoi errori ma oggi, da uomo libero, non riesce comunque a trovare la serenità che la sua età richiederebbe. L'ultimo episodio è accaduto ieri, quando durante un'intervista per il quotidiano Libero ha ricevuto la chiamata del medico: ha un tumore maligno. Sarebbe dovuta essere un'intervista come tante altre, in cui l'agente dei vip raccontava la sua vita tra luci e ombre, vissuta sempre spingendo il piede al massimo sul pedale dell'acceleratore fino alla brusca frenata. Uno stop lungo 407 giorni per pagare gli errori commessi in passato prima di tornare in pista, con una diversa coscienza e una diversa percezione del mondo, che lo ha portato ad allontanarsi molto dal mondo dello spettacolo italiano. Azzurra Barbato, che ha raccolto le parole di Lele Mora per Libero, racconta di un uomo riconciliato e in pace col mondo. Oggi, seppure in maniera defilata, continua a svolgere questo mestiere anche se sono lontani i fasti dei primi anni Duemila, quando era il re incontrastato. Nel suo carnet di artisti ce ne sono rimasti pochi di volti noti e tra questi c'è Marco Carta, attualmente implicato nello scandalo del presunto furto a Milano, presente anche durante l'intervista a casa dell'agente. Lele Mora lavora attualmente prevalentemente all'estero: in Albania è direttore generale dell'emittente Top Channel mentre in Bulgaria e in Georgia lavora per la tv di Stato. Come racconta la giornalista di Libero, durante l'intervista il telefono di Lele Mora ha squillato incessantemente, forse non come ai vecchi tempi ma di sicuro non come quello di una persona che non è più “nel giro.” L'agente non risponde alle chiamate che animano il suo cellulare, solo a una: è quella del dottore. “Sì, il cancro è maligno ed è situato tra i polmoni ed i reni”, dice Lele Mora al giornalista, con gli occhi rigonfi di lacrime. “Adesso farò quel che c'è da fare. Ma non avrei voluto dare questo nuovo dispiacere ai miei figli, non se lo meritano. Adesso farò quel che c'è da fare. Ma non avrei voluto dare questo nuovo dispiacere ai miei figli, non se lo meritano”, prosegue l'agente, visibilmente turbato dalla notizia.
Lele Mora si racconta a Libero, la nuova vita dopo il carcere e la diagnosi sulla terribile malattia. Azzurra Barbuto su Libero Quotidiano il 25 Settembre 2019. Se non conoscessi i suoi luccicanti e gaudenti trascorsi, giurerei che l' uomo di nero vestito che mi attende davanti al portone per accompagnarmi cortesemente in casa sia un rassicurante e pio sacerdote. Sul suo viso non vi è proprio quello che potrei definire un sorriso, si tratta piuttosto di un' espressione permanente di placida serenità. La sensazione di essere al cospetto del prelato non mi abbandona neanche quando Lele Mora, agente dei vip più famoso d' Italia, mi fa accomodare nel soggiorno dell' appartamento di sua figlia, Diana, dove Lele è solito trascorrere parecchio tempo, insieme ad una ciurma di cani salvati dalla strada e al nipotino. Non siamo soli. Il televisore è acceso, sebbene resti muto. Rilassato sul divano c' è il cantante Marco Carta, che di recente è stato coinvolto in una faccenda giudiziaria relativa ad un furto di magliette alla Rinascente di Milano, refurtiva trovata nella borsa di una signora che quel dì era con lui. Regna nella stanza il sentimento della pace. Nessuno sembra essere turbato da angosce terrene, tranne un cagnolino che davanti alla vetrata mugola perché desideroso di raggiungere i suoi compagni in giardino, cosa che gli viene permessa. Continuano ad arrivare telefonate, Lele fornisce consigli, prende appuntamenti. Non sembra affatto, come si vocifera, fuori dal giro. Semmai è fuori dal Bel Paese. «Sto lavorando in Albania, dove ricopro il ruolo di direttore generale di Top Channel, in Bulgaria e in Georgia, dove curo le tv di Stato sia come autore che come agente. Mi sono arrivate queste proposte e le ho accettate. In Italia continuo a rappresentare qualche artista, come Marco Carta», spiega Mora, il quale, notando che il cantante emette una tosse quasi impercettibile, subito raggiunge la cucina per poi consegnargli un barattolo di miele messo da parte per lui. «Questo lo ha prodotto mio fratello, me lo regala ogni settimana», rimarca il manager nell' insospettabile veste di Nonna Papera. La vita di Lele è una parabola. Nato e cresciuto in una famiglia di contadini veneti, a Bagnolo di Po, in provincia di Rovigo, Mora studiò per lavorare nell' ambito della ristorazione e completò la sua formazione in un monastero di gesuiti. Il suo primo impiego fu come cuoco. Conduceva un' esistenza ordinaria: una moglie, due figli, un maschio ed una femmina, un casa modesta ma dignitosa. Negli anni Ottanta la svolta: Lele, da assistente di Loredana Bertè e Mia Martini, sue grandi amiche, divenne agente e talent scout di successo, arrivando a curare l' immagine e gli interessi di centinaia di personaggi televisivi, molti dei quali devono la popolarità proprio a lui. «Riconosco il talento dalla prima occhiata. È qualcosa che si percepisce. Non mi sono mai sbagliato», sottolinea l' uomo senza falsa modestia. Tuttavia, la grandezza di Lele sta anche nell' avere fatto di persone qualunque, prive di qualsiasi sorprendente dote, delle star. Fino a qualche anno fa chi ambiva ad inserirsi nel mondo dello spettacolo si rivolgeva a Mora. «Sotto il mio ufficio c' era la fila di ragazzi e ragazze. Ne arrivavano circa trecento al dì da tutte le parti della penisola ed io mi negavo, non avevo il tempo di vedere tutti», specifica. Se Beppe Grillo è riuscito a portare in politica il giovane della porta accanto, senza arte né parte, senza competenze né esperienza, Lele Mora, ben prima, è riuscito a portarlo nel piccolo schermo, segnando la rivincita del cittadino comune che finalmente si pone sotto le luci della ribalta. Mentre il manager mi racconta i lustri dorati, alla tv appare il premier Giuseppe Conte, alle cui spalle si intravede Rocco Casalino, il suo portavoce. Sono a New York. Pure Rocco faceva parte della scuderia di Mora. «Lo conobbi negli studi di Mediaset, aveva da poco partecipato al Grande Fratello, mi accorsi che il tipo aveva delle potenzialità, non era un idiota. Infatti, eccolo lì. Non ha un ruolo da poco e so che Conte lo stima molto e per promuovere la propria immagine si affida a Rocco, il quale di comunicazione se ne intende», osserva Lele. Intanto il cellulare continua a squillare, qualche volta l' agente dei vip rifiuta le chiamate e prosegue nel suo racconto, altre volte si scusa e risponde. «Sto aspettando una telefonata importante, quella del medico, a breve saprò se sono affetto da un tumore maligno o meno», mi dice Lele. Pronunciare quelle parole non turba la sua stoica calma, sembra quasi che non stia parlando di se stesso. Tuttavia i suoi occhi appaiono lucidi. Con lo stesso distacco Mora ricorda i 407 giorni trascorsi dietro le sbarre, in regime di isolamento. Nell' istituto penitenziario di Opera la sua cella era accanto a quella di Olindo Romano, condannato all' ergastolo per i delitti relativi alla strage di Erba. «Il cappellano mi rivelò di essere certo dell' innocenza di Olindo e di sua moglie Rosa. Non ho mai conversato con Romano, sebbene le nostre celle fossero adiacenti. Lo vedevo pulire il corridoio ogni pomeriggio. Poiché era rimasto al verde, gli veniva permesso di svolgere piccoli lavoretti per mantenersi. Lo aiutavo dandogli il mio pasto. In gattabuia persi l' appetito e pure 60 kg». Numero di matricola BB391100059, cella 25, condanna per bancarotta fraudolenta, all' improvviso i riflettori si spensero, il mondo aureo di Mora che sembrava non avesse fine si sgretolò, ed egli passò dai party e dal lusso sfrenato all' austerità tetra e spoglia della prigione. «Tutte le mie cose erano chiuse in una sacco nero di plastica. Mi fu consentito di tenere soltanto l' essenziale. La prima notte non mi pareva vero di trovarmi lì, su quel materasso vecchio, coperto da un lenzuolo ruvido come carta vetrata». «Ho fatto tanti errori, come tutti. Eppure non ho rimpianti», sospira Mora. «Il peccato più grande è l' arroganza. Ne ho avuta, mi sono sentito invincibile», ammette il manager, che attribuisce la stessa colpa a Fabrizio Corona. «La detenzione lo ha peggiorato, ha sviluppato una rabbia che lo sta consumando», afferma a proposito del re dei paparazzi, che un tempo fu il suo segretario. Poi parliamo di Vladimir Putin, «nonostante la freddezza apparente, lo considero un amico affidabile», di Mara Carfagna, «fui io a spingerla ad accettare la proposta di Berlusconi di entrare in politica», di Matteo Renzi, «l' ho incontrato più volte, sa il fatto suo», di Fidel Castro, «lui e sua moglie sono stati come fratelli per me, persone semplici e gioviali. Che magnifiche serate trascorse insieme!». Il telefonino trilla ancora, stavolta è il dottore. È l' ora del verdetto. «Sì, il cancro è maligno ed è situato tra i polmoni ed i reni», mi comunica Lele con gli occhi tremolanti di lacrime che tuttavia non vengono giù. «Adesso farò quel che c' è da fare. Ma non avrei voluto dare questo nuovo dispiacere ai miei figli, non se lo meritano», sussurra l' imperturbabile omone. Abbandono l' abitazione con il medesimo spirito con cui si esce da una chiesa, è un senso di riconciliazione con il mondo intero, di armonia profonda, di consapevolezza. Mai diavolo fu più angelico di Lele Mora, penso. Azzurra Barbuto
· Fabio Concato.
Dagospia il 13 ottobre 2019. ESTRATTI INTERVISTA DI PIERLUIGI DIACO A FABIO CONCATO - IO E TE DI NOTTE - RAI UNO.
DIACO: La forza delle tue canzoni, dei tuoi testi sta anche molto nella forza della tua voce, tu hai una voce rassicurante… È un dono incredibile.
CONCATO: Sì anche se parlando con dei tuoi collaboratori un paio di loro mi hanno detto: sei bravissimo però io non ti posso ascoltare perché piango tutte le volte.
DIACO: Ti hanno detto questo? Volevano dire che si commuovono…
CONCATO: Sì la commozione, per carità nel senso positivo. Però mi ha fatto un po’ effetto, anche se la musica serve anche a quello. Deve emozionare fino al punto di… Però da lì a non ascoltarmi per evitare di commuoversi…
DIACO: A differenza di molti tuoi colleghi una cosa che apprezzo tantissimo di te è che raramente rilasci interviste, non sei uno sgomitante, sei uno che fa il suo, che si sottrae che va in giro per l’Italia a fare concerti.
CONCATO: Sì posso dire che a volte faccio meno del mio. Sono talmente schivo che poi si paga pegno come ben sai. Va bene la riservatezza ma qualcuno mi chiede quando mi vede in giro: “fai ancora questo mestiere?” che però è giusto perché siccome ormai è vero soltanto quello che passa in televisione se non ti vedono in tv sono autorizzati a pensare che tu abbia cambiato mestiere. Ma non lo dico polemicamente, è esattamente così. In questi anni è così.
DIACO: Quanto sono importanti le parole in un momento storico come questo, dove tutto viene consumato velocemente senza dare valore né alle cose né alle persone?
CONCATO: Spesso vengono usate anche a sproposito, dovremmo stare attenti a quello che diciamo a quello che raccontiamo. Mi sembra che non sia così ultimamente. Comunque dipende dalle circostanze ci sono delle situazioni in cui uno riesce ad esprimere esattamente il proprio stato d’animo, ci sono situazioni in cui non si riesce, si riesce solo in parte… Sono anni molto duri se posso dire, almeno dal mio punto di vista. Questo non significa che io sia un pessimista, sono un realista. Non trovo che sia sufficiente dire: “facciamo pensieri positivi perché poi avvenga nella nostra realtà”. Non dobbiamo soltanto pensare positivo dobbiamo agire, dobbiamo fare qualche cosa se no “ciccia”…
DIACO: La positività di cui stai parlando quando eri piccino, ti faccio vedere una foto con tua mamma Giorgina, ti attraversava, eri un bambino disincanto?
CONCATO: No no assolutamente. Ero disincantato proprio per niente, non lo sono neanche adesso se posso essere sincero. Un bambino non timido ma molto riflessivo anche fin troppo probabilmente, lo sono ancora… Poi io soffro di empatia patologica nei confronti delle altre persone e questa non è una cosa necessariamente positiva, può essere un limite. Cioè io mi metto molto nei panni degli altri al punto che… Che poi quasi quasi sto male come quell’altro.
DIACO: questo però per il mestiere che fai penso sia un fatto positivo.
CONCATO: si dovrebbe essere una caratteristica che ci contraddistingue, anche se poi non è sempre così. Ma anche lì è un fatto di misura: quanto sei empatico, quanto ti metti nei panni degli altri? Perché può anche essere non dico pericoloso ma doloroso, doloroso sicuro… Doloroso senz’altro.
DIACO: Poche persone che fanno il tuo mestiere hanno dedicato in maniera così sentita un brano al proprio papà. Tu l’hai fatto con papà Luigi detto Gigi. Un rapporto immagino molto speciale perché tu hai respirato musica in casa grazie al papà, grazie alla mamma, grazie ai nonni, alla famiglia intera.
CONCATO: sì anche se poi mio padre faceva tutt’altro, faceva il rappresentante per cui… Però era un grande talento musicale e amava molto la musica e quindi ne ascoltavamo tantissima. Per fortuna alla famiglia piaceva ciò che lui ascoltava tranne in occasioni stranissime in cui non so metteva delle cose di Coltrane che noi non eravamo in grado neanche di ascoltare, non di discutere ma di ascoltare. Però ascoltava musica jazz abbordabile e molta musica brasiliana che a noi piaceva molto in famiglia. Quindi lui facendo il rappresentante era spesso via ma quando tornava se ne accorgeva tutto il condominio perché cominciava a smanettare con i registratori cominciava a suonare la chitarra la fisarmonica. C’era un casino magnifico a casa mia.
DIACO: Qual è lo stato di salute del tuo rapporto con la malinconia, oggi.
CONCATO: Sai non è facilissimo risponderti perché io sono nato malinconico. Davvero. È vero adesso probabilmente la musica mi ha esasperato questo aspetto della mia sensibilità, però io ricordo che ero piccolino e già da piccolino avevo nostalgia e malinconia di qualcosa che mi era accaduto prima. Non vorrei trasformare questa cosa in una seduta analitica però credo che abbia a che vedere con questa empatia di cui ti parlavo prima…
DIACO: è un modo molto cristiano… Al netto del fatto che uno possa avere fede o meno. Questa cosa di essere contagiati dal mondo degli altri.
CONCATO: Sì beh puo’essere cristiano può essere marxista, dipende dai punti di vista… Però comunque in ogni caso positivo penso io. Riuscire a mettersi nei panni di qualcuno che sta meno bene di noi…
Diaco fa ascoltare integralmete a Concato la sua canzone “E ti ricordo ancora”.
DIACO: mi piacerebbe che raccontassi al pubblico che ci sta seguendo e al pubblico in studio, com’è nata questa canzone...
CONCATO: E’ tanto per cambiare un ricordo di prima o seconda elementare in cui ad un certo punto io avevo familiarizzato molto con un compagno di classe, che poi è una cosa che accade spessissimo…lui mi ha fatto una carezza o gliel’ho fatta io… Anche se poi naturalmente quando è uscita la canzone è stata subito scambiata per un’altra cosa che a me andava benissimo, mi va benissimo anche adesso, di più di allora… Però in realtà si trattava di una carezza di un compagno di classe di prima elementare. È una cosa che accade assolutamente non so come dire… Poi ad un certo punto sono stato quasi in difficoltà perché invece sembrava che avessi fatto questa cosa per difendere… Questo mi ha procurato anche degli imbarazzi ma non perché la gente pensasse che io… Non era quello il problema, il problema è stato far capire che invece era un’altra cosa diversa da quella. Fu quello il paradosso.
DIACO: Sono contento che hai avuto l’occasione di spiegarlo anche perché il racconto che hai fatto è molto tenero…
CONCATO: però non è un grande problema nel senso che uno se la vive come gli pare…
Pigi fa ascoltare a Concato solo la voce di Pino Daniele, che parla di musica e rapporto con il tempo.
CONCATO: Pino…
DIACO: Pino che ha scritto una canzone per te…
CONCATO: Sì abbiamo fatto una cosa insieme, erano anni che pensavamo di farla e alla fine ce l’abbiamo fatta nel ’92. Mi ha scritto un testo in napoletano, quindi in dialetto su una canzone, su una mia musica: Canzone di Laura. Lui è stato molto paziente, mi ha anche seguito un po’ per la dizione perché io sono un milanese quasi autentico per cui… E il napoletano tu sai bene è una lingua. Quando alla fine gli ho detto: “Pino è una schifezza questa cosa?” ha detto: “No no, va bene… Può andare”. Io ho solo un grande rimpianto, di non averlo frequentato di più Pino. Ci sono state poche occasioni, ci siamo visti e ci siamo fatti delle grandissime risate, un uomo micidiale di un’ironia spaventosa, tagliente. Le occasioni per fare musica, per scambiarci delle cose a livello nostro professionale sono state davvero molto poche. Questa cosa mi dispiace molto però sarà per la prossima volta…
· Niccolò Fabi.
Niccolò Fabi: "Tradizione e Tradimento" è una riuscita evoluzione. I nove brani del nuovo album del cantautore sono poetici e ricchi di urgenza espressiva, impreziositi da inediti tappeti elettronici. Gabriele Antonucci l'11 ottobre 2019 su Panorama. "Sussurrando non arrivi a grande distanza, puoi solo fare avvicinare la gente con calma". Questa dichiarazione di Niccolò Fabi spiega perfettamente il suo modo di intendere l'arte della parola al servizio della musica, che gli ha permesso, in oltre 20 anni di attività, di ritagliarsi un ruolo di primo piano prima nella seconda scuola cantautorale romana, accanto ai colleghi-amici Daniele Silvestri e Max Gazzè, e poi in quella italiana tout court. Le sue canzoni poetiche e intimiste, in cui l'artista romano racconta sentimenti personali e temi sociali all'interno di una cornice musicale ricca di sfumature, con un avvicinamento sempre più evidente alle sonorità d'oltreoceano, gli hanno fatto vincere diversi premi (ricordiamo la Targa Tenco 2016 per Una somma di piccole cose), il più importante dei quali, forse, è la fedeltà del suo pubblico, che lo segue con affetto fin dagli esordi. Un pubblico che via via si è sempre più allargato, come conferma il successo del suo ultimo fortunato tour nei palazzetti dello sport all'insegna del sold out, ma non è mai cambiato quel senso di comunanza e di vicinanza emotiva che l'artista ha instaurato nel tempo con i suoi ascoltatori. Dopo aver inciso 90 canzoni, 8 dischi di inediti, 1 raccolta ufficiale, 1 progetto sperimentale come produttore e 1 disco di inediti con la super band FabiSilvestriGazzè ed aver vinto 2 Targhe Tenco come “Miglior Disco in Assoluto” per gli ultimi due album, il cantautore romano si è preso un periodo di riflessione di oltre un anno. "Mi regalerò del tempo - ha dichiarato Fabi in una recente intervista a Panorama d'Italia- Negli ultimi anni ho costruito molto e adesso trovo che la mia posizione sia solida. Mi sono ritagliato uno spicchio di pubblico che continuerà ad apprezzarmi anche se per un quindici mesi dovessi occuparmi di altro. Per chi ne ha la possibilità è quasi un dovere cercare di godere senza rimandare sempre a dopo, come se la vita fosse un'eterna preparazione a qualcosa che un giorno, forse, arriverà". Quel giorno è arrivato finalmente oggi, con l'uscita del suo nono album, l'eccellente Tradizione e Tradimento, un disco "più estroverso del solito, ma a modo mio" (come dichiarato dal cantautore), che segna una riuscita evoluzione del suo sound, pur senza snaturare il suo caratteristico stile elegante e confidenziale, arricchito ora, in alcuni brani, da una godibile componente electro-ambient. Merito, quest'ultimi, di Costanza Francavilla, producer e fotografa romana trapiantata a Ibiza, che ha messo la sua firma sonora, a base di arpeggiatori e synth modulari, nei brani Amori con le ali,Nel blu e A prescindere da me, tre highlights del disco. Gli altri brani sono co-prodotti da Fabi con i sodali di sempre Pier Cortese e Roberto "Bob" Angelini, che ha sfidato a uscire dalla loro comfort zone, ispirandosi "a un certo neofolk un po’ alla James Blake, ma senza giocare troppo sulle armonizzazioni. Però abbiamo lasciato spazio a interferenze digitali che erano spesso fondamentali per accentuare il senso dei testi. Ad esempio in Scotta quelle interferenze rendono le mie parole più agitate e scottanti. Sembrano scintille, fiammelle». Seguendo più o meno inconsapevolmente il precetto nietzschiano "diventa ciò che sei", Fabi, dopo aver accarezzato l'idea di un progetto interamente votato all'elettronica, è tornato artisticamente a casa, con brani in cui le parole occupano un ruolo enfatico, anche se i testi e la musica sono sempre perfettamente complementari, con qualche tappeto elettronico in più rispetto al passato. "L'idea era di staccarmi da quanto fatto in precedenza dedicandomi anche a sonorità elettroniche. Ci ho provato davvero, ma il risultato non è stato quello che mi ero aspettato. Alla fine ho girato in tondo fino a tornare dal punto da cui sono partito e sono uscite le canzoni di questo album", ha dichiarato Fabi, aggiungendo che "non ho doti musicali particolari e se mi mettessi a fare qualcosa che non mi appartiene sarei uno dei tanti. Nel mio modo di fare canzoni, magari, ho invece qualcosa di speciale da dire e raccontare". Io sono l'altro, scelto come singolo di lancio, è il brano più testualmente esplicito e caratterizzato da una maggiore urgenza espressiva, che pone al centro il desiderio di capire gli altri per poi capire noi stessi». "Non è una canzone sull’accettazione del diverso inteso come colui che viene da un altro Paese. Volevo raccontare come chiunque occupi un ruolo nella tua vita e possa entrare in dialettica con te può metterti in difficoltà. E come ciascuno di noi possa fare lo stesso con gli altri in maniera speculare". Amori con le ali è un intenso affresco sonoro, una sorta di ringraziamento ai mezzi di trasporto che ci fanno volare anche con la fantasia, accomunati dall'elemento emotivo dell'amore in eterno movimento. A prescindere da me è un inno dichiaratamente pacifista, quasi una Imagine 4.0: «Comandanti fateci il piacere / se prendete decisioni decisive sulle nostre vite / fatelo soltanto nel momento successivo a un vostro orgasmo / Grazie a quell’attimo di pace avremo un mondo senza rabbia / un mondo senza guerra». Ne I Giorni Dello Smarrimento convivono felicemente disillusione e speranza, mentre Scotta è uno dei brani più tipicamente "fabiani", con il folgorante verso “L’arte non è una posa, ma resistenza alla mano che ci affoga”. Notevole anche Migrazioni, una composizione breve il cui significato trascende la cronaca dei giorni nostri, per sottolineare come sia impossibile la sopravvivenza senza il movimento e che non c'è rischio maggiore che rimanere ancorati ai propri schemi di vita. L'abum si chiude con la title track Tradizione e tradimento, che esplica il senso della ricerca per il cantautore ma, più in generale, per ogni uomo: "Certe volte le ambizioni si confondono / ed il nuovo non è sempre il meglio / cosa conservare e cosa cedere / dopo ogni scelta arriva il conto / guardo fisso avanti il filo e sono in bilico / nelle insidie di ogni cambiamento / tra le forze che da sempre mi dividono / tradizione e tradimento”. Canzoni che invitano all'ascolto e al movimento (sia fisico ma, soprattutto, interiore), probabili architravi del prossimo tour nei teatri italiani, con una data zero il 27 novembre a La Città del Teatro di Cascina (Pistoia) e un esordio l'1 dicembre a Ravenna (qui trovate tutte le date). Un tour che, promette Fabi, riserverà diverse sorprese. «I concerti saranno più vicini a una performance artistica che a un'esibizione tradizionale in cui il pubblico è partecipe. Chiedo al pubblico un salto in più, senza rituali live del tipo su le mani, ma con un ascolto attento. Alternerò ovviamente sorpresa e rassicurazione, perché se dài solo la prima crei stanchezza, se dài solo la seconda crei noia».