Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, calunnia o pazzia le accuse le provo con inchieste testuali tematiche e territoriali. Per chi non ha voglia di leggere ci sono i filmati tematici sul 1° canale, sul 2° canale, sul 3° canale Youtube. Non sono propalazioni o convinzioni personali. Le fonti autorevoli sono indicate.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
I GIUSTIZIALISTI ALLA RESA DEI CONTI
PROBLEMI DI MORALITA' DELL'ITALIA DEI VALORI
SOMMARIO
INTRODUZIONE.
PER UNA LETTURA UTILE E CONSAPEVOLE CONTRO L’ITALIA DEI GATTOPARDI.
POLITICA, GIUSTIZIA ED INFORMAZIONE. IN TEMPO DI VOTO SI PALESA L’ITALIETTA DELLE VERGINELLE.
I GIUSTIZIALISTI ALLA RESA DEI CONTI.
IL PARTITO DEI MAGISTRATI
IDV: IL PARTITO DEI VALORI IMMOBILIARI.
GRILLO E DI PIETRO: COME BERLUSCONI. (MA IMPUNITI).
L’IDV DIVERSA DAGLI ALTRI?
L'AUTO BLU AL MARE: FIGURACCIA DEL MORALISTA IDV.
IDV: GLI SFRUTTATI AL PARLAMENTO.
IDV ED IL SEX-GATE.
IDV E LA QUESTIONE MORALE.
COLPO ALLO STATO. LA LEGGE E' UGUALE PER TUTTI...SALVO ALCUNI.
DI PIETRO. LA STORIA VERA.
TUTTI GLI INTRALLAZZI DEL CLAN DI PIETRO: SE LI CONOSCI LI EVITI.
TUTTI GLI UOMINI DI ANTONIO DI PIETRO. BEPPE GRILLO E MARCO TRAVAGLIO E MICHELE SANTORO E GLI ALTRI.
IL DOSSIER SUL MORALIZZATORE ED I SUOI ACCOLITI.
INTRODUZIONE.
La mafia cos'è? La risposta in un aneddoto di Paolo Borsellino: "Sapete che cos'è la Mafia... faccia conto che ci sia un posto libero in tribunale..... e che si presentino 3 magistrati... il primo è bravissimo, il migliore, il più preparato.. un altro ha appoggi formidabili dalla politica... e il terzo è un fesso... sapete chi vincerà??? Il fesso. Ecco, mi disse il boss, questa è la MAFIA!"
Abbiamo una Costituzione catto-comunista predisposta e votata dagli apparati politici che rappresentavano la metà degli italiani, ossia coloro che furono i vincitori della guerra civile e che votarono per la Repubblica. Una Costituzione fondata sul lavoro (che oggi non c’è e per questo ci rende schiavi) e non sulla libertà (che ci dovrebbe sempre essere, ma oggi non c’è e per questo siamo schiavi). Un diritto all’uguaglianza inapplicato in virtù del fatto che il potere, anziché essere nelle mani del popolo che dovrebbe nominare i suoi rappresentanti politici, amministrativi e giudiziari, è in mano a mafie, caste, lobbies e massonerie.
Ognuno di noi antropologicamente ha un limite, non dovuto al sesso, od alla razza, od al credo religioso, ma bensì delimitato dall’istruzione ricevuta ed all’educazione appresa dalla famiglia e dalla società, esse stesse influenzate dall’ambiente, dalla cultura, dagli usi e dai costumi territoriali. A differenza degli animali la maggior parte degli umani non si cura del proprio limite e si avventura in atteggiamenti e giudizi non consoni al loro stato. Quando a causa dei loro limiti non arrivano ad avere ragione con il ragionamento, allora adottano la violenza (fisica o psicologica, ideologica o religiosa) e spesso con la violenza ottengono un effimero ed immeritato potere o risultato. I più intelligenti, conoscendo il proprio limite, cercano di ampliarlo per risultati più duraturi e poteri meritati. Con nuove conoscenze, con nuovi studi, con nuove esperienze arricchiscono il loro bagaglio culturale ed aprono la loro mente, affinché questa accetti nuovi concetti e nuovi orizzonti. Acquisizione impensabile in uno stato primordiale. In non omologati hanno empatia per i conformati. Mentre gli omologati sono mossi da viscerale egoismo dovuto all’istinto di sopravvivenza: voler essere ed avere più di quanto effettivamente si possa meritare di essere od avere. Loro ed i loro interessi come ombelico del mondo. Da qui la loro paura della morte e la ricerca di un dio assoluto e personale, finanche cattivo: hanno paura di perdere il niente che hanno e sono alla ricerca di un dio che dal niente che sono li elevi ad entità. L'empatia designa un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da un impegno di comprensione dell'altro, escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale, perché mettersi nei panni dell'altro per sapere cosa pensa e come reagirebbe costituisce un importante fattore di sopravvivenza in un mondo in cui l'uomo è in continua competizione con gli altri uomini. Fa niente se i dotti emancipati e non omologati saranno additati in patria loro come Gesù nella sua Nazareth: semplici figli di falegnami, perchè "non c'è nessun posto dove un profeta abbia meno valore che non nella sua patria e nella sua casa". Non c'è bisogno di essere cristiani per apprezzare Gesù Cristo: non per i suoi natali, ma per il suo insegnamento e, cosa più importante, per il suo esempio. Fa capire che alla fine è importante lasciar buona traccia di sè, allora sì che si diventa immortali nella rimembranza altrui.
Tutti vogliono avere ragione e tutti pretendono di imporre la loro verità agli altri. Chi impone ignora, millanta o manipola la verità. L'ignoranza degli altri non può discernere la verità dalla menzogna. Il saggio aspetta che la verità venga agli altri. La sapienza riconosce la verità e spesso ciò fa ricredere e cambiare opinione. Solo gli sciocchi e gli ignoranti non cambiano mai idea, per questo sono sempre sottomessi. La Verità rende liberi, per questo è importante far di tutto per conoscerla.
Tutti gli altri intendono “Tutte le Mafie” come un insieme orizzontale di entità patologiche criminali territoriali (Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra, Sacra Corona Unita, ecc.).
Io intendo “Tutte le Mafie” come un ordinamento criminale verticale di entità fisiologiche nazionali composte, partendo dal basso: dalle mafie (la manovalanza), dalle Lobbies, dalle Caste e dalle Massonerie (le menti).
La Legalità è il comportamento umano conforme al dettato della legge nel compimento di un atto o di un fatto. Se l'abito non fa il monaco, e la cronaca ce lo insegna, nè toghe, nè divise, nè poteri istituzionali o mediatici hanno la legittimazione a dare insegnamenti e/o patenti di legalità. Lor signori non si devono permettere di selezionare secondo loro discrezione la società civile in buoni e cattivi ed ovviamente si devono astenere dall'inserirsi loro stessi tra i buoni. Perchè secondo questa cernita il cattivo è sempre il povero cittadino, che oltretutto con le esose tasse li mantiene. Non dimentichiamoci che non ci sono dio in terra e fino a quando saremo in democrazia, il potere è solo prerogativa del popolo.
Non sono conformato ed omologato, per questo son fiero ed orgoglioso di essere diverso.
PER UNA LETTURA UTILE E CONSAPEVOLE CONTRO L’ITALIA DEI GATTOPARDI.
Recensione di un’opera editoriale osteggiata dalla destra e dalla sinistra. Perle di saggezza destinate al porcilaio.
I giornalisti della tv e stampa, sia quotidiana, sia periodica, da sempre sono tacciati di faziosità e mediocrità. Si dice che siano prezzolati e manipolati dal potere e che esprimano solo opinioni personali, non raccontando i fatti. Lo dice Beppe Grillo e forse ha ragione. Ma tra di loro vi sono anche eccellenze di gran valore. Questo vale per le maggiori testate progressiste (Il Corriere della Sera, L’Espresso, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano), ma anche per le testate liberali (Panorama, Oggi, Il Giornale, Libero Quotidiano). In una Italia, laddove alcuni magistrati tacitano con violenza le contro voci, questi eccelsi giornalisti, attraverso le loro coraggiose inchieste, sono fonte di prova incontestabile per raccontare l’Italia vera, ma sconosciuta. L’Italia dei gattopardi e dell’ipocrisia. L’Italia dell’illegalità e dell’utopia. Tramite loro, citando gli stessi e le loro inchieste scottanti, Antonio Giangrande ha raccolto in venti anni tutto quanto era utile per dimostrare che la mafia vien dall’alto. Pochi lupi e tante pecore. Una selezione di nomi e fatti articolati per argomento e per territorio. L’intento di Giangrande è rappresentare la realtà contemporanea, rapportandola al passato e proiettandola al futuro. Per non reiterare vecchi errori. Perché la massa dimentica o non conosce. Questa è sociologia storica, di cui il Giangrande è il massimo cultore. Questa è la collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata su www.controtuttelemafie.it ed altri canali web, su Amazon in E-Book e su Lulu in cartaceo. 40 libri scritti da Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” e scrittore-editore dissidente. Saggi pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. Opere che i media si astengono a dare loro la dovuta visibilità e le rassegne culturali ad ignorare. In occasione delle festività ed in concomitanza con le nuove elezioni legislative sarebbe cosa buona e utile presentare ai lettori una lettura alternativa che possa rendere più consapevole l’opinione dei cittadini. Un’idea regalo gratuita o con modica spesa, sicuramente gradita da chi la riceve. Non è pubblicità gratuita che si cerca per fini economici, né tanto meno è concorrenza sleale. Si chiede solo di divulgare la conoscenza di opere che già sul web sono conosciutissime e che possono anche esser lette gratuitamente. Evento editoriale esclusivo ed aggiornato periodicamente. Di sicuro interesse generale. Fa niente se dietro non ci sono grandi o piccoli gruppi editoriali. Ciò è garanzia di libertà.
Grazie per l’adesione e la partecipazione oltre che per la solidarietà.
POLITICA, GIUSTIZIA ED INFORMAZIONE. IN TEMPO DI VOTO SI PALESA L’ITALIETTA DELLE VERGINELLE.
Politica, giustizia ed informazione. In tempo di voto si palesa l’Italietta delle verginelle.
Da scrittore navigato, il cui sacco di 40 libri scritti sull’Italiopoli degli italioti lo sta a dimostrare, mi viene un rigurgito di vomito nel seguire tutto quanto viene detto da scatenate sgualdrine (in senso politico) di ogni schieramento politico. Sgualdrine che si atteggiano a verginelle e si presentano come aspiranti salvatori della patria in stampo elettorale.
In Italia dove non c’è libertà di stampa e vige la magistratocrazia è facile apparire verginelle sol perché si indossa l’abito bianco.
I nuovi politici non si presentano come preparati a risolvere i problemi, meglio se liberi da pressioni castali, ma si propongono, a chi non li conosce bene, solo per le loro presunti virtù, come verginelle illibate.
Ci si atteggia a migliore dell’altro in una Italia dove il migliore c’ha la rogna.
L’Italietta è incurante del fatto che Nicola Vendola a Bari sia stato assolto in modo legittimo dall’amica della sorella o Luigi De Magistris sia stato assolto a Salerno in modo legale dalla cognata di Michele Santoro, suo sponsor politico.
L’Italietta che non batte ciglio quando a Bari Massimo D’Alema in modo lecito esce pulito da un’inchiesta penale. Accogliendo la richiesta d’archiviazione avanzata dal pm, il gip Concetta Russi il 22 giugno ’95 decise per il proscioglimento, ritenendo superfluo ogni approfondimento: «Uno degli episodi di illecito finanziamento riferiti – scrisse nelle motivazioni - e cioè la corresponsione di un contributo di 20 milioni in favore del Pci, ha trovato sostanziale conferma, pur nella diversità di alcuni elementi marginali, nella leale dichiarazione dell’onorevole D’Alema, all’epoca dei fatti segretario regionale del Pci (...). L’onorevole D’Alema non ha escluso che la somma versata dal Cavallari fosse stata proprio dell’importo da quest’ultimo indicato». Chi era il titolare dell’inchiesta che sollecitò l’archiviazione? Il pm Alberto Maritati, eletto coi Ds e immediatamente nominato sottosegretario all’Interno durante il primo governo D’Alema, numero due del ministro Jervolino, poi ancora sottosegretario alla giustizia nel governo Prodi, emulo di un altro pm pugliese diventato sottosegretario con D’Alema: Giannicola Sinisi. E chi svolse insieme a Maritati gli accertamenti su Cavallari? Chi altro firmò la richiesta d’archiviazione per D’Alema? Semplice: l’amico e collega Giuseppe Scelsi, magistrato di punta della corrente di Magistratura democratica a Bari, poi titolare della segretissima indagine sulle ragazze reclutate per le feste a Palazzo Grazioli, indagine «anticipata» proprio da D’Alema.
L’Italietta non si scandalizza del fatto che sui Tribunali e nella scuole si spenda il nome e l’effige di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino da parte di chi, loro colleghi, li hanno traditi in vita, causandone la morte.
L’Italietta non si sconvolge del fatto che spesso gli incriminati risultano innocenti e ciononostante il 40% dei detenuti è in attesa di giudizio. E per questo gli avvocati in Parlamento, anziché emanar norme, scioperano nei tribunali, annacquando ancor di più la lungaggine dei processi.
L’Italietta che su giornali e tv foraggiate dallo Stato viene accusata da politici corrotti di essere evasore fiscale, nonostante sia spremuta come un limone senza ricevere niente in cambio.
L’Italietta, malgrado ciò, riesce ancora a discernere le vergini dalle sgualdrine, sotto l’influenza mediatica-giudiziaria.
Fa niente se proprio tutta la stampa ignava tace le ritorsioni per non aver taciuto le nefandezze dei magistrati, che loro sì decidono chi candidare al Parlamento per mantenere e tutelare i loro privilegi.
Da ultimo è la perquisizione ricevuta in casa dall’inviato de “La Repubblica”, o quella ricevuta dalla redazione del tg di Telenorba.
Il re è nudo: c’è qualcuno che lo dice. E’ la testimonianza di Carlo Vulpio sull’integrità morale di Nicola Vendola, detto Niki. L’Editto bulgaro e l’Editto di Roma (o di Bari). Il primo è un racconto che dura da anni. Del secondo invece non si deve parlare.
I giornalisti della tv e stampa, sia quotidiana, sia periodica, da sempre sono tacciati di faziosità e mediocrità. Si dice che siano prezzolati e manipolati dal potere e che esprimano solo opinioni personali, non raccontando i fatti. La verità è che sono solo codardi.
E cosa c’è altro da pensare. In una Italia, laddove alcuni magistrati tacitano con violenza le contro voci. L’Italia dei gattopardi e dell’ipocrisia. L’Italia dell’illegalità e dell’utopia.
Tutti hanno taciuto "Le mani nel cassetto. (e talvolta anche addosso...). I giornalisti perquisiti raccontano". Il libro, introdotto dal presidente nazionale dell’Ordine Enzo Jacopino, contiene le testimonianze, delicate e a volte ironiche, di ventuno giornalisti italiani, alcuni dei quali noti al grande pubblico, che hanno subito perquisizioni personali o ambientali, in casa o in redazione, nei computer e nelle agende, nei libri e nei dischetti cd o nelle chiavette usb, nella biancheria e nel frigorifero, “con il dichiarato scopo di scoprire la fonte confidenziale di una notizia: vera, ma, secondo il magistrato, non divulgabile”. Nel 99,9% dei casi le perquisizioni non hanno portato “ad alcun rinvenimento significativo”.
Cosa pensare se si è sgualdrina o verginella a secondo dell’umore mediatico. Tutti gli ipocriti si facciano avanti nel sentirsi offesi, ma che fiducia nell’informazione possiamo avere se questa è terrorizzata dalle querele sporte dai PM e poi giudicate dai loro colleghi Giudici.
Alla luce di quanto detto, è da considerare candidabile dai puritani nostrani il buon “pregiudicato” Alessandro Sallusti che ha la sol colpa di essere uno dei pochi coraggiosi a dire la verità?
Si badi che a ricever querela basta recensire il libro dell’Ordine Nazionale dei giornalisti, che racconta gli abusi ricevuti dal giornalista che scrive la verità, proprio per denunciare l'arma intimidatoria delle perquisizioni alla stampa.
Che giornalisti sono coloro che, non solo non raccontano la verità, ma tacciono anche tutto ciò che succede a loro?
E cosa ci si aspetta da questa informazione dove essa stessa è stata visitata nella loro sede istituzionale dalla polizia giudiziaria che ha voluto delle copie del volume e i dati identificativi di alcune persone, compreso il presidente che dell'Ordine è il rappresentante legale?
La Costituzione all’art. 104 afferma che “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere.”
Ne conviene che il dettato vuol significare non equiparare la Magistratura ad altro potere, ma differenziarne l’Ordine con il Potere che spetta al popolo. Ordine costituzionalizzato, sì, non Potere.
Magistrati. Ordine, non potere, come invece il più delle volte si scrive, probabilmente ricordando Montesquieu; il quale però aggiungeva che il potere giudiziario é “per così dire invisibile e nullo”. Solo il popolo è depositario della sovranità: per questo Togliatti alla Costituente avrebbe voluto addirittura che i magistrati fossero eletti dal popolo, per questo sostenne le giurie popolari. Ordine o potere che sia, in ogni caso è chiaro che di magistrati si parla.
Allora io ho deciso: al posto di chi si atteggia a verginella io voterei sempre un “pregiudicato” come Alessandro Sallusti, non invece chi incapace, invidioso e cattivo si mette l’abito bianco per apparir pulito.
I GIUSTIZIALISTI ALLA RESA DEI CONTI.
Berlusconi, Travaglio, Santoro. Reati e diffamatori. Quando la verità non è uguale per tutti.
Condannati, prescritti e diffamatori di professione. Si rischia meno se si è giornalisti di sinistra e dalla parte dei magistrati. A censurare le colpe ci pensano i colleghi giornalisti.
Tra Berlusconi e Travaglio scontro totale: dopo 20 anni il primo faccia a faccia in tv. Il 10 gennaio 2013 da Santoro.
L'editorialista del Fatto attacca, poi il Cavaliere prende il suo posto e legge il casellario giudiziario del giornalista. Santoro perde la testa
Ebollizione generale nello
studio, l'incontro con Travaglio dopo vent'anni di guerra a distanza non poteva
essere più spettacolare, con Santoro spalla ideale nel faccia a faccia. Le parti
si invertono, con Berlusconi che legge e Travaglio che ascolta l'elenco di
addebiti che il suo nemico eterno fa, nei panni di reporter, leggendo il
casellario di condanne civili e penali di Travaglio. Nella prima parte, quando
Berlusconi ricorda che Travaglio ha iniziato a fare il giornalista di
giudiziaria da Torino sul Giornale era proprio con lui come editore, il clima è
divertito. Anche quando Berlusconi dice che è colpa di Travaglio se poi
Montanelli ha litigato con lui, siamo in pieno show senza acredine. Poi però si
arriva alle condanne per diffamazione, che Berlusconi simulando Travaglio legge
spietatamente, prendendo dalla lettera preparata dal suo staff. E Santoro
comincia a innervosirsi, mentre Travaglio ascolta e annota le precisazioni che
farà subito dopo, fino allo scontro con Santoro che esplode e Berlusconi che
accusa Travaglio di essere un «diffamatore professionale». Prima di invitare,
sempre nel ribaltamento di ruoli, Santoro a lasciare lo studio se non gradisce.
Altre gag poi, quando Berlusconi riprende la sedia occupata momentaneamente da
Travaglio, e fa il gesto di pulirla, con Santoro che esplode una seconda volta e
Berlusconi che lo intrappola con un: «Ma non si può nemmeno scherzare».
Travaglio invece incassa meglio, e replica con un'altra battuta («Se le mie
condanne fossero penali lei mi avrebbe fatto presidente del Senato»), due «geni
del male». Anche se Travaglio, solo in privato, esprime opinioni piuttosto
positive su Berlusconi, la capacità di resistere, per vent'anni, ad attacchi che
avrebbero sfiancato un peso massimo, la capacità di conquistare le persone, cosa
che Berlusconi prova subito col pubblico, stringendo mani, mentre i fotografi
urlano «Presidente una foto con Travaglio!».
Marco Travaglio e la Giustizia
Processi per diffamazione (Fonte Wikipedia)
Nel corso della sua carriera è stato più volte querelato o citato in giudizio per quanto da lui scritto o dichiarato, ma nessun procedimento penale si è concluso con una sentenza definitiva di condanna. A seguito di alcune querele è stato celebrato un processo nel quale è stato assolto. In altri processi civili sono state pronunciate, in primo grado o in appello, sentenze di condanna. In un caso il procedimento si è concluso per remissione di querela e in uno per prescrizione. Di seguito sono descritti alcuni dei procedimenti più significativi che lo hanno coinvolto:
Sentenze favorevoli
Dopo aver scritto assieme a Elio Veltri il libro L’odore dei soldi era stato citato in giudizio da Silvio Berlusconi per diffamazione; il tribunale civile ha stabilito che il libro non è diffamatorio ed ha condannato Berlusconi a pagare le spese processuali.
In seguito all’intervista rilasciata al comico Daniele Luttazzi nel programma Satyrucon è stata avviata un'azione civile per danni da parte di Mediaset contro Travaglio, Luttazzi, Rai, il direttore di Rai Due, Carlo Freccero, e il produttore del programma Bibi Ballandi. Nel 2005 la causa si risolve in primo grado con la respinta della domanda e con la condanna per Mediaset a rinfondere le spese processuali. Nel 2011 la sentenza viene confermata in appello.
Nel 2005 Cesare Previti ha citato in giudizio Travaglio per una presunta diffamazione nei suoi confronti e nei confronti di Silvio Berlusconi nell'articolo comparso nella rubrica Bababas dell’Unità il 19 aprile 2005. Nel 2007 il tribunale civile di Roma ha rigettato la domanda di Previti e lo ha condannato a rifondere le spese processuali.
Il 6 febbraio 2009 Travaglio, Lucio Caracciolo e Paolo Flores d’Arcais ottengono dal Tribunale di Roma il risarcimento dei danni per la causa per diffamazione intentatagli dall'onorevole Cesare De Piccoli, per via di un intervento di Marco Travaglio al convegno Proposte per un arcobaleno di pulizia morale, tenutosi a Roma il 14 gennaio 2006 e anche per l'articolo I sommersi ed i salvati, pubblicato su Micromega del marzo 2006, in cui si rivelava che De Piccoli sarebbe stato in possesso di conti in Svizzera, sui quali gli sarebbe stata accreditata una somma di duecento milioni di lire da parte della Fiat.
Nel maggio 2009 la Cassazione conferma un proscioglimento sancito l'11 dicembre 2008 dal GIP di Roma, relativo ad un'indagine per presunta diffamazione ai danni di Fabrizio del Noce, attraverso la pubblicazione di un articolo su l’Unità del 6 marzo 2007, condannando il querelante al pagamento delle spese processuali e a 1500 euro di ammenda.
Il 9 dicembre 2009 il GIP di Roma ha disposto l'archiviazione della causa per diffamazione a mezzo stampa intentata da Cesare Geronzi contro Marco Travaglio, accusato di aver «fornito un'immagine del querelante come persona responsabile di molteplici reati» travalicando «ogni limite nella corretta informazione» e ponendo in essere un pesante attacco «mediante la prospettazione di notizie in parte false e in parte maliziosamente rappresentative», nel suo intervento alla trasmissione Annozero del 1° novembre 2007, nella puntata Arrivano i mostri.
Procedimenti estinti per remissione della querela
Dal 2004 è stato oggetto di un procedimento penale per il reato di diffamazione aggravata dal mezzo della stampa, a seguito degli articoli M'illumino d'incenso e Zitti e Vespa, pubblicati sul quotidiano l’Unità nei giorni 12 marzo e 6 marzo di quello stesso anno. Il procedimento ai danni del giornalista si è concluso nel 2008 dopo che la persona offesa, il giornalista Antonio Socci, ha deciso di rimettere la querela a seguito delle scuse pubbliche di Travaglio.
Procedimenti prescritti
Nel gennaio 2010 la Corte d'Appello penale di Roma lo ha condannato a 1000 euro di multa per il reato di diffamazione aggravato dall'uso del mezzo della stampa, ai danni di Cesare Previti. Il reato, secondo il giudice monocratico, era stato commesso mediante l'articolo Patto scellerato tra mafia e Forza Italia pubblicato sull'Espresso il 3 ottobre 2002. La sentenza d'appello riforma la condanna dell'ottobre 2008 in primo grado inflitta al giornalista ad 8 mesi di reclusione e 100 euro di multa. In sede civile, a causa del predetto reato, Travaglio era stato condannato in primo grado, in solido con l'allora direttore della rivista Daniela Hamaui, al pagamento di 20.000 euro a titolo di risarcimento del danno in favore della vittima del reato, Cesare Previti. Il 23 febbraio 2011 la condanna per diffamazione confermata in appello per il processo Previti cade in prescrizione.
Sentenze di condanna in sede penale
Il 28 aprile 2009 è stato condannato in primo grado dal Tribunale penale di Roma per il reato di diffamazione ai danni dell'allora direttore di Raiuno, Fabrizio Del Noce, perpetrato mediante un articolo pubblicato su L’Unità dell'11 maggio 2007. Il processo è, al 2012, pendente in Cassazione.
Sentenze di condanna in sede civile.
Nel 2000 è stato condannato in sede civile, dopo essere stato citato in giudizio da Cesare Previti a causa di un articolo su L’Indipendente, al risarcimento del danno quantificato in 79 milioni di lire.
Il 4 giugno 2004 è stato condannato dal Tribunale di Roma in sede civile a un totale di 85.000 euro (più 31.000 euro di spese processuali) per un errore contenuto nel libro «La Repubblica delle banane» scritto assieme a Peter Gomez e pubblicato nel 2001; in esso, a pagina 537, si attribuiva erroneamente all'allora neo-parlamentare di Forza Italia, Giuseppe Fallica, una condanna per false fatture che aveva invece colpito un omonimo funzionario di Publitalia. L'errore era poi stato trasposto anche su L’Espresso, Il Venerdì di Repubblica e La Rinascita della Sinistra, per cui la condanna in solido, oltreché la Editori Riuniti, è stata estesa anche al gruppo Editoriale L'Espresso. Nel 2009, dopo il ricorso in appello, la pena è stata ridotta a 15.000 euro.
Il 5 aprile 2005 è stato condannato dal Tribunale di Roma in sede civile, assieme all'allora direttore dell'Unità Furio Colombo, al pagamento di 12.000 euro più 4.000 di spese processuali a Fedele Confalonieri (Mediaset) dopo averne associato il nome ad alcune indagini per ricettazione e riciclaggio, reati per i quali, invece, non era risultato inquisito.
Il 20 febbraio 2008 il Tribunale di Torino in sede civile lo ha condannato a risarcire Fedele Confalonieri e Mediaset con 26 000 euro, a causa dell'articolo "Piazzale Loreto? Magari" pubblicato nella rubrica Uliwood Party su L’Unità il 16 luglio 2006.
Nel giugno 2008 è stato condannato dal Tribunale di Roma in sede civile, assieme al direttore dell'Unità Antonio Padellaro e a Nuova Iniziativa Editoriale, al pagamento di 12.000 euro più 6.000 di spese processuali per aver descritto la giornalista del TG1 Susanna Petruni come personaggio servile verso il potere e parziale nei suoi resoconti politici: «La pubblicazione», si leggeva nella sentenza, «difetta del requisito della continenza espressiva e pertanto ha contenuto diffamatorio».
Il 21 ottobre 2009 è stato condannato in Cassazione (Terza sezione civile, sentenza 22190) al risarcimento di 5.000 euro nei confronti del giudice Filippo Verde che era stato definito «più volte inquisito e condannato» nel libro Il manuale del perfetto inquisito, affermazioni giudicate diffamatorie dalla Corte in quanto riferite «in maniera incompleta e sostanzialmente alterata» visto il «mancato riferimento alla sentenza di prescrizione o, comunque, la mancata puntualizzazione del carattere non definitivo della sentenza di condanna, suscitando nel lettore l'idea che la condanna fosse definitiva (se non addirittura l'idea di una pluralità di condanne)».
Il 18 giugno 2010 è stato condannato[ dal Tribunale di Torino – VII sezione civile – a risarcire 16.000 € al Presidente del Senato Renato Schifani (che aveva chiesto un risarcimento di 1.750.000 €) per diffamazione avendo evocato la metafora del lombrico e della muffa a Che Tempo che Fa il 10 maggio 2008. Il Tribunale ha invece ritenuto che le richieste di chiarimenti, da parte di Travaglio, circa i rapporti di Schifani con esponenti della mafia siciliana rientrino nel diritto di cronaca, nel diritto di critica, nel e nel diritto di satira.
L'11 ottobre 2010 Travaglio è stato condannato in sede civile per diffamazione dal Tribunale di Marsala, per aver dato del figlioccio di un boss all'assessore regionale siciliano David Costa, arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e successivamente assolto in forma definitiva. Travaglio è stato condannato a pagare 15.000.
Una tegola giudiziaria che lo ha spinto a rinunciare alla candidatura per le prossime elezioni politiche. Franco Barbato, parlamentare dell’Idv, è indagato dalla Procura di Roma per tentato millantato credito. La vicenda si riferisce ad una presunta richiesta di 20 mila euro all’imprenditore Paolo Viscione per risolvere i problemi che la sua società di assicurazioni aveva con l’Isvap. Una indagine nata alcuni mesi fa a Napoli e trasferita a piazzale Clodio per competenza territoriale. Ad annunciare l’iscrizione nel registro degli indagati è stato lo stesso Barbato con un post sul suo blog nel quale l’esponente del parto fondato da Antonio Di Pietro annuncia che non prenderà parte alle prossima campagna elettorale. «Sono stato da poco destinatario - spiega Barbato - di un’informazione di garanzia da parte della Procura di Roma che `letteralmente´ mi sconvolge. Sono da questo momento una persona sottoposta ad indagini e la prima riflessione è: non posso candidarmi per le prossime elezioni». Il parlamentare deve, intanto, presentarsi in Procura il prossimo 17 gennaio 2013 perché convocato dal pm Mario Palazzi, titolare del procedimento a suo carico. Per gli inquirenti il deputato «abusando della propria funzione di componente della VI commissione permanente (Finanze) della Camera - è detto nel capo di imputazione -, competente tra l’altro della materia delle assicurazioni, consapevole delle difficoltà in cui versava la Eig Ltd, società di diritto maltese operante in Italia nel settore assicurativo e sottoposta ad attività ispettiva da parte dell’Isvap, ostentando le proprie conoscenze in tale istituto, millantando credito chiedeva a Viscione 20 mila euro». Ad accusare Barbato è lo stesso Viscione, ma anche altri due testimoni dei fatti, avvenuti in un bar del centro di Roma, sostengono la stessa versione dell’imprenditore. Barbato respinge le accuse e parla apertamente di «una montatura» ma «essendo io il primo a sostenere che chi sta nelle Istituzioni non deve essere neanche sfiorato dal sospetto, non posso candidarmi». Proprio nei giorni scorsi il deputato si era recato in Procura a Roma per depositare un esposto con cui chiedeva ai pm di allargare le indagini sui fondi pubblici gestiti dai gruppi parlamentari. «È il sistema marcio, nessuna «vergine» tra i gruppi parlamentari», aveva denunciato ai pubblici ministeri.
Se così fosse, cioè come l’indagato conferma, e stabilito che la sentenza definitiva viene emessa dopo tre gradi di giudizio nei tempi biblici della giustizia italiana, il paradosso dei talebani giustizialisti è che, in caso di non luogo a procedere o di proscioglimento, il cittadino sarebbe stato privato della tutela di chi ha dimostrato in modo esclusivo ed unico di essere veramente meritevole della fiducia dell’elettorato, battendosi da solo contro tutti in un Parlamento che non rappresenta gli interessi del cittadino.
Già dal gennaio 2003 il Presidente dell'Associazione Contro Tutte le Mafie, dr Antonio Giangrande, in una semideserta ed indifferente assemblea dell'IDV a Bari, in presenza di Antonio Di Pietro e di Carlo Madaro (il giudice del caso Di Bella) criticò il modo di fare nell'IDV. L'allora vice presidente provinciale di Taranto contestò alcuni punti, che furono causa del suo abbandono: Diritto di parola in pubblico e strategie politiche esclusiva di Di Pietro; dirigenti "Yes-man" scelti dal padre-padrone senza cultura politica, o transfughi da altri partiti, o addirittura con troppa scaltrezza politica, spesso allocati in territori non di competenza (in Puglia nominato commissario il lucano Felice Bellisario); IDV presentato come partito della legalità-moralità in realtà era ed è il partito dei magistrati, anche di quelli che delinquono impunemente; finanziamenti pubblici mai arrivati alla base.
IL PARTITO DEI MAGISTRATI
A fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro... che ti epura. (ammonimento ai giovani socialisti attribuito a Pietro Nenni da Ugo Intini). Un detto da applicare ai manettari di turno genuflessi a quel potere giudiziario in mano ai potentati occulti.
Il progetto di Grillo: uno Stato dei pm con Ingroia premier.
Dopo aver candidato Di Pietro al Colle, il magistrato entra nei piani del M5S. E lui non smentisce: "Ci saranno sempre cose da fare per me". Così le toghe vanno al potere, scrive Emanuela Fontana su “Il giornale”. Quando si dice le coincidenze. Antonio Ingroia si è trovato nello stesso giorno possibile candidato della coalizione del Movimento 5 stelle (con Di Pietro e la Fiom Cgil), secondo una ricostruzione del quotidiano Il Messaggero, e protagonista di un dibattito all'università di Pavia che avrebbe dovuto essere il suo addio all'Italia prima della trasferta di un anno in Guatemala, l'ultimo intervento pubblico sul suolo patrio. Chi pensava che il magistrato antimafia, sempre più appassionato alla vita politica, fosse già volato dall'altra parte dell'Oceano per l'incarico dell'Onu è rimasto deluso. I suoi sostenitori, invece, hanno seguito la diretta video dall'università, con la suspance dell'indiscrezione che lo vorrebbe candidato premier. Tra previsioni funeste per il futuro immediato («La seconda Repubblica è al tramonto, è peggio della prima. Le mafie faranno di tutto per trovare referenti stabili») e le rivendicazioni del lavoro svolto nell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, Ingroia non ha smentito niente. Solo alla fine, a domanda ha risposto. Si candida? Sorriso: «Sono scenari giornalistici, ci si esercita su tante cose, non mi sembra che sia realistico. A me non ha proposto niente nessuno. Anch'io leggendo ho detto: mah». Su Twitter intanto imperversava l'ironia: adesso entreremo nello «Stato dei pm», era una delle battute, in riferimento all'ipotesi assurda di avere due magistrati alla presidenza della Repubblica e a Palazzo Chigi, dopo che proprio Beppe Grillo ha lanciato Di Pietro per il Quirinale. Il procuratore aggiunto di Palermo dice che è concentrato sul Guatemala, dove andrà «per capire meglio le mafie, che sono sempre più network internazionali», ma «se non dovessi appassionarmi all'America Centrale tornerò in Italia, dove ci sarà sempre qualcosa da fare per me». Il biglietto di ritorno si può staccare in quattro e quattr'otto, insomma. Poco prima, aveva sottolineato come il momento attuale ricorda «molto quello che è avvenuto nel '92. La mafia si stia muovendo dietro le quinte per nuovi patti politici mafiosi di lunga durata». La «crisi d'identità dei partiti ricorda molto il viale del tramonto della prima Repubblica». C'è quindi bisogno di «una politica diversa. Abbiamo bisogno di cittadini che si appassionino alla politica in prima persona». E in effetti queste sono proprio le idee di Grillo, sul cui blog, del resto, Ingroia era già intervenuto la scorsa estate con un videomessaggio, che aveva trovato anche parecchi apprezzamenti dei grillini. Qualcuno, già allora, gli aveva proposto online di farsi avanti. La sua candidatura sarebbe un affronto esplicito al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che già sorveglia con apprensione la cavalcata di Grillo. Ingroia o non Ingroia, il problema della leadership comunque per il Movimento 5 stelle esiste. Il comico non si può candidare perché, paradosso, non ha i requisiti previsti dal non-statuto del Movimento. Ha subito infatti una condanna della Cassazione a quattordici mesi per omicidio colposo negli anni Ottanta. Formalmente non potrà essere quindi lui l'aspirante premier. Ha bisogno di un volto, di un nome credibile, che faccia volare il Movimento verso la campagna elettorale. Di Pietro è improponibile per il Movimento e infatti Grillo lo pensa al Quirinale. Le pedine da giocare rimangono poche. Per azzardo Roberto Saviano sarebbe il candidato perfetto, ma magari non piacerebbe al Fatto Quotidiano, che nell'ottica della coalizione sarebbe il quotidiano di riferimento (già lo è per l'Italia dei valori e Ingroia). Oppure si potrebbe pescare dalla Fiom Cgil, che paga però l'assenza di visibilità a livello mediatico. Il segretario generale Maurizio Landini era intervenuto, come Ingroia, sul blog di Grillo, ma in Italia, con tutto il rispetto, non lo conosce quasi nessuno. L'asse Grillo-Di Pietro è intanto confermato da un fedele di Tonino, il senatore Luigi Li Gotti: «Penso che il Movimento 5 stelle vuole fare politica. Questa opzione è la base principale utile per il futuro del Paese. Con questa gente noi parliamo». L'Idv, comunque, non sta morendo. Nascerà un partito nuovo: «È morto un certo modo di intendere il partito, serve un reclutamento diverso e l'allacciamento alla società civile. Ci apprestiamo a fare un partito nuovo con regole diverse», annuncia Li Gotti.
Vi svelo le manovre della lobby di Casaleggio.
Grillo, Di Pietro, Travaglio e De Magistris: ecco tutti i volti della cerchia. L'sms di Giggino a Travaglio: "Vulpio contro Santoro, io mi dissocio", scrive Carlo Vulpio su “Il Giornale”.
Caro direttore,
era il 5 maggio 2009 e io - candidato indipendente con l'IdV al Parlamento
europeo - rilasciai al Giornale un'intervista in cui affermavo letteralmente che
l'Idv era un partito pieno di banditi, che andavano cacciati a pedate. Nota
bene: lo dicevo il 5 maggio, cioè «prima» del voto (6 e 7 giugno), consapevole
di farmi molti nemici non soltanto all'interno del partito con cui mi ero
candidato, ma anche in tutta l'area (stampa, magistratura, associazioni) a esso
«collaterale», in alcuni casi in buona fede, in molti altri no. Il giorno della
pubblicazione di quella intervista, ecco, puntuale, la telefonata. Non di Di
Pietro, ma di Grillo. Di Pietro mi chiamò, lamentandosi della «inopportunità»
delle mie parole, ma lo fece subito dopo il comico genovese. Grillo mi disse che
non avrei dovuto parlare di quegli argomenti, men che meno con il Giornale.
Ovviamente, come sa chi mi conosce un po', né Grillo né Di Pietro mi
impressionarono più di tanto. Anzi, diciamo che non mi fu difficile zittirli,
portando esempi concreti di «banditismo dei Valori» che i due conoscevano
benissimo e che dimostravano quanto fosse fondata la mia denuncia del
doppiopesismo e dell'ipocrisia sui quali essi lucravano moralmente,
politicamente ed elettoralmente. Non ce n'era bisogno - poiché la mia
stroncatura elettorale era stata decisa fin dall'inizio dalla premiata ditta
Casaleggio (che gestiva contemporaneamente forma e contenuti del blog di Grillo,
di Di Pietro e dell'Idv) - ma così facendo firmai la mia condanna. Non solo non
fui eletto per un paio di centinaia di voti, ma al momento delle «opzioni» il
duo Alfano Sonia-De Magistris Luigi, obbedendo al diktat del padrone, scelse in
maniera tale da tenermi fuori, così da far scattare il candidato sardo Uggias
(sì, uno dei Batman dell'Idv, oggi indagato per peculato), noto anche per essere
il difensore del fotografo Zappadu (quello delle foto rubate degli ospiti di
Berlusconi a Villa Certosa). Questo non è un racconto «vendicativo» di una
persona «tradita». Avrebbe potuto esserlo, se avessi detto queste cose solo
oggi. Invece le ho dette «prima», addirittura durante la campagna elettorale
(nessun «matto» ha fatto una cosa del genere dalle elezioni del 1948 a oggi) e
non una volta soltanto. Il 7 maggio 2009, per esempio, a Ferrara mi capitò una
cosa simile e ancor più singolare. Parlavo di libertà di stampa e con me c'erano
De Magistris e Nanni (sì, l'altro Batman dell'Idv dell'Emilia Romagna, anch'egli
indagato per peculato). Mi permisi di criticare Santoro e le finte battaglie dei
«paladini» della libera informazione. Nanni si agitava sulla seggiola, De
Magistris addirittura insorse. Io lo mandai al diavolo. Lui si giustificò così:
«È che poi Di Pietro, Grillo e Travaglio chiamano me e rompono le palle a me per
le cose che dici tu!». Incredibile, De Magistris mi stava dicendo che lo avevano
messo a fare il mio cane da guardia. Due giorni dopo, a Pescara, incontrai
Travaglio e gliene chiesi conto. Messo alle strette, Travaglio mi mostrò un sms
sul suo cellulare: era De Magistris che lo avvertiva: «Vulpio sta attaccando
Santoro, ma io mi sono dissociato». Potrei continuare. Su Vendola, per esempio,
del quale Grillo, Di Pietro e De Magistris sono diventati alleati nonostante ne
conoscessero le imprese di malgoverno. Ma credo che possa bastare, per ora.
Altrimenti il Giano bifronte Grillo/Casaleggio potrebbe rilanciare: Di Pietro
non più al Quirinale, ma direttamente al vertice dell'Onu.
Intanto l'IDV è nella bufera.
C'è anche Gabriele Cimadoro, parlamentare Idv nonché cognato di Antonio Di Pietro, tra le 54 persone indagate a Palazzago, riporta “Il Corriere della Sera”. Nel mirino della Procura di Bergamo, come riporta l'Eco, c'è il Pgt di Palazzago e i presunti favori di cui avrebbero goduto alcune licenze edilizie. Non solo: le indagini riguardano anche alcuni terreni che hanno cambiato destinazione d'uso all'interno del Piano di governo del territorio. I reati ipotizzati vanno dall'abuso d'ufficio al falso ideologico e materiale, sino alla tentata concussione. Al cognato di Di Pietro viene contestato il concorso nell'abuso d'ufficio. Per il pm Giancarlo Mancusi, avrebbe fatto pressioni in Comune per indirizzare alcune pratiche. Cimadoro, titolare di una società immobiliare, è di Palazzago e in passato è stato assessore e consigliere comunale. Ma le pressioni, secondo l'accusa, sarebbero avvenute quando non aveva cariche comunali.
"Delinquente chi dice che ho 56 case". Così il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, incalzato dal finto Bruno Vespa di Striscia la Notizia, su Canale 5, a proposito di quanto denunciato dalla trasmissione di Rai Tre Report. “Contro le calunnie semplicemente la verità”, scrive Antonio Di Pietro sul sito dell’Italia dei valori. “Hanno attribuito quindici appartamenti ai miei figli!”. Evitando di dire la fonte di quell’affermazione falsa, il gioco riconduce all’inchiesta di Report, nel corso della quale sono stati attribuiti (soltanto) tre appartamenti ai figli più piccoli (uno cointestato a Bergamo e uno a testa a Milano). Replicare con un falso alle “perle di disinformazione” e “scientifica opera di killeraggio politico” è un po’ come cadere nella casella probabilità del Monopoli. Probabile che l’abbia detto Report, al quale Di Pietro dice di replicare con la “carta che canta” dal suo sito. Appunto, carta canta, scrive Sabrina Giannini su “Il Corriere della Sera”. Alleghiamo le visure delle sue proprietà visto che dal sito Idv ne troviamo solo alcune. Di Pietro ci tiene a precisare che i suoi appartamenti sono 11 e non 56, “un equivoco che nasce dalla risposta ambigua di Massimo D’andrea, il consulente (di parte) di Elio Veltri nella causa contro Antonio Di Pietro, all’inviata di Report” (Il fatto quotidiano, 3 novembre). Sarebbe stato sufficiente rivedere la puntata “Gli insaziabili” per appurare che l’estensore della perizia (giurata) specifica che tra le proprietà della famiglia Di Pietro ci sono anche i terreni, che hanno un loro valore. Per evitare fraintendimenti, e a conferma di una impostazione garantista, la sottoscritta ha tolto dal dato complessivo le proprietà della moglie e del figlio più grande, Cristiano, e precisato che le proprietà dell’ex magistrato “sono 45, un dato che comprende anche i terreni, le cantine, i garage” . Giocare sui numeri delle proprietà distoglie l’attenzione dal loro valore, quantificato dal perito all’incirca in cinque milioni di euro, ma con una stima prudenziale. Se il valore di mercato dell’intero cespite della famiglia fosse davvero di quindici milioni potrebbe confermarlo un qualunque esperto esterno al quale Di Pietro potrebbe affidare una controperizia. Nell’intervista a Report emergono ben più gravi criticità sulle quali Di Pietro glissa, per esempio in merito all’appartamento di 180 metri quadri in via Merulana a Roma acquistato nel 2002. «Quando ho visto dalla sua inchiesta che Di Pietro si era ristrutturato l’appartamento di via Merulana con i soldi del partito sono saltato sulla sedia», afferma indignato il capogruppo alla camera Massimo Donadi, «e a me non risulta infatti che in quella casa ci sia mai stata una sede dell’Idv». D’altro canto è lo stesso Di Pietro a confermarlo in una dichiarazione al magistrato nella quale afferma che è domiciliato in via Merulana dal 2000. La carta che canta è stata mostrata da Report. Non risulta che i magistrati abbiano appurato se dietro quella fattura ci fosse o meno una sottrazione dei fondi del partito per uso privato. Potrebbe chiarirlo Di Pietro, allontanando così il sospetto di un’analogia con Bossi: per una faccenda analoga il leader della Lega Nord è sparito dalla scena politica. Val la pena di rimarcare che anche i suoi trentadue fedelissimi non si sono mai sentiti in obbligo verso gli elettori di chiedere più trasparenza e democrazia al loro leader, pur sapendo che gestiva la cassa del partito con la moglie e l’onorevole Silvana Mura. La stessa incredibilmente nominata dal socio unico Antonio Di Pietro nel Cda della sua società immobiliare Antocri, con la quale ha acquistato due appartamenti poi affittati al partito. Nel corso dell’intervista l’onorevole Di Pietro prima non ricorda che gli anni della gestione a tre della cassa è durata per ben nove anni. Poi non ricorda che in quel periodo i soldi del finanziamento pubblico riversati sul conto corrente sono stati quasi cinquanta milioni di euro, e non lo ricorda nemmeno la tesoriera Silvana Mura. Il presidente dell’Idv mostra a sua difesa i pronunciamenti della magistratura che lo scagionerebbero da ogni sospetto di appropriazione, arrivando addirittura a negare un dualismo tra partito e associazione a tre che invece proprio la magistratura ha più volte rilevato. La verità processuale sbandierata esclude però alcuni fatti (mai accertati e penalmente rilevanti come quello della ristrutturazione della casa di via Merulana a Roma) che attengono al piano dei comportamenti e dell’etica, che per un politico sono dirimenti. E lo sono ancor più nel suo caso, perché agli occhi dei suoi elettori, sensibili alla morale, si è sempre posto come moralizzatore. È proprio a loro che l’ex simbolo di mani pulite certamente non mancherà di mostrare l’unica carta che può davvero cantare dissipando ogni dubbio sull’uso a fini personali dei soldi pubblici erogati al partito: tutta la movimentazione bancaria del partito-associazione dal 2001 ad oggi. I bilanci e le rendicontazioni che mostra oggi, quelle che lui chiama “pezze d’appoggio”, valgono poco o niente, e Di Pietro lo sa da quando raccolse la deposizione di Bettino Craxi nel corso del processo Cusani: «I bilanci erano sistematicamente dei bilanci falsi, tutti lo sapevano ivi compreso coloro i quali avrebbero dovuto esercitare funzioni di controllo nominati dal presidente della camera, ma agli atti parlamentari non risulta». Il resto, appunto, è un gioco di parole e si sa che nel Monopoli ci sono molte caselle dell’imprevisto.
Chi ha 'ucciso' Antonio Di Pietro, il cultore della legalità ed amico intimo e tutore dei magistrati? La colpa non è di Report, ma dei suoi cortigiani che hanno premuto il grilletto (dopo la batosta in Sicilia), scrive David Parenzo su “Panorama”. Report ha davvero ucciso definitivamente il partito fondato da Antonio Di Pietro? Per individuare i veri assassini dell'Idv bisogna tornare sulla scena del delitto ed analizzare tutti i dettagli della vicenda. Ripercorrendo la storia di questo partito si scopre che anche per l'ex Pm di Mani Pulite la famiglia e' importante e quindi va in qualche modo inglobata nella gestione del suo stesso movimento. Del resto, quando si è fondatori e leader indiscussi, si pensa di poter fare tutto e infatti molto e' stato fatto per la grande famiglia allargata di Tonino. Tutto regolare ma se ci si chiama "Italia dei Valori" un bel giorno devi mettere in conto che su "quei valori" qualcuno ti chieda ragione. L'ex governatore della Sicilia Raffaele Lombardo tiene famiglia e candida il giovane Toti all'Ars, Tonino fece lo stesso con il 35 enne Cristiano Di Pietro, suo primogenito, al consiglio provinciale di Campobasso. Umberto Bossi faceva gestire i suoi affari legati alla casa di Gemonio alla moglie Manuela Marrone (il vero capo del fu "cerchio magico") e lui affida la gestione del bilancio del suo partito in Lombardia alla prima moglie Isabella Ferrara e per l'attuale moglie Susanna Mazzoleni c'è pronto un bel posto nella triade proprietaria dell'associazione Italia dei Valori. Nulla di irregolare, nulla di penalmente rilevante ma se per anni fondi la ragione sociale del tuo partito parlando contro i conflitti di interesse, certo qualche piccolo problema, prima o poi, potrebbe sorgere. Ma la colpa non è di Di Pietro ma di tutti quelli che lo hanno affiancato in questi anni. Come mai solo oggi uno dei suoi pretoriani più fedeli, Massimo Donati, lo scarica con parole di fuoco? "Tradito dal segretario, si comporta come Berlusconi e il suo declino sarà simile" . Il capogruppo dell'Idv dov'era in tutti questi anni? Forse non sapeva della gestione padronale del patrimonio del partito? Forse non aveva mai sentito parlare di un giovanotto chiamato Cristiano Di Pietro? I veri assassini dell'Idv sono i suoi stessi dirigenti, che oggi provano a capitalizzare la sconfitta del capo e a trasformare il partito nell'Italia dei Livori. Facile oggi, dopo lo sbertucciamento della Gabbanelli, sparare sul morto. Lo sapeva anche il trattore di Montenero di Bisaccia che l'onorevole Cimadoro e' il cognato di Di Pietro, eppure tutti zitti, tutti sotto coperta ad ossequiare il capo. Ora che Report - dopo il bagno di sangue delle elezioni in Sicilia - spara, si sappia che a premere il grilletto però sono stati altri. Tutti coloro che in questi anni hanno fatto gli struzzi per avere un piccolo strapuntino di potere. Del resto, come sosteneva il mitico Barone d'Holbach (amico di Diderot) “Un buon cortigiano non deve mai avere un’opinione personale, ma solamente quella del padrone o del ministro (… ) Un buon cortigiano non deve mai avere ragione, non è in nessun caso autorizzato ad essere più brillante del suo padrone (… ) deve tenere presente che il Sovrano e più in generale l’uomo che sta al comando non ha mai torto.” Questo hanno fatto gli uomini di Tonino, i suoi veri assassini. Trattasi di suicido assistito e i medici che hanno iniettato la dose letale si chiamano: Ivan Rota (cognato di Cimadoro), Silvana Mura, Fabio Evangelisti, Aniello Formisano, Sergio Piffari ecc..ecc..ecc...una vera equipe che in tutti questi anni ha contribuito al "suicidio assistito" del gabbiano dei Valori.
Ma Di Pietro ha un amico interessato. Beppe Grillo. Quando Grillo attaccava Di Pietro. "Ha fondato l'Idv in una sede sotto sequestro dalla Finanza" spiega un video su “Repubblica tv” e raccontato da Brunella Bolloli su “Libero Quotidiano”. L’uomo giusto per il Quirinale, l’uomo «onesto», l’unico che si è opposto al berlusconismo, insomma Antonio Di Pietro, il nuovo idolo di Beppe Grillo, l’altra metà della coppia politica del momento, è lo stesso Di Pietro di cui il comico-urlante parlava qualche tempo fa? Fenomenale lo show che circola in rete, datato marzo 1998, in cui l’arringatore genovese in una sala gremita di spettatori paganti attacca senza tregua l’ex pm. «Non so se posso dirvelo, ma che resti tra noi 8mila...», esordisce sornione. «Lui è un insegnante di procedura penale e fa le lezioni al Cepu: sarebbe già da vergognarsi solo per questo». Risate. «Ma la notizia clamorosa è che il Cepu ha 102 sezioni in Italia tutte sotto sequestro dalla Finanza». Grillo carica a testa bassa: «Il Cepu è imputato di associazione a delinquere, bancarotta, usura, riciclaggio, e lui ha fondato l’Italia dei Valori in una sede sotto sequestro dalla Finanza». Scattano gli applausi, il concetto di casta è ancora lontano da essere sviscerato, ma il comico di “Te la do io l’America” comincia già ad abbozzare i suoi «vaffa» contro i politici e la corruzione. Tonino, che proprio nel ’98 dà vita al suo partito puntando sulla legalità, è una delle prime vittime. Adesso, invece, è la persona giusta per il Colle. Ma in fatto di coerenza anche l’ex pm non scherza. Come ricorda Claudio Cerasa sul Foglio.it, solo il 26 aprile scorso Tonino prendeva le distanze dal comico. «Tra me e Grillo c’è una sola differenza: io critico, ma voglio costruire un’alternativa, lanciare un modello riformista e legalitario. Lui invece mira a sfasciare tutto e basta». Come dire: che c’azzecca lui con me? E del resto i grillini respingevano le avances dei dipietristi, scaricati dalla foto di Vasto, mollati da Bersani e compagni.
Quella sentenza su Di Pietro che il comico finge di ignorare. Le debolezze del leader Idv non sono una novità recente. Già nel '96 i giudici di Brescia accertarono i favori avuti da inquisiti e il denaro restituito prima di togliersi la toga, scrive Stefano Filippi su “Il Giornale”. Adesso, dopo le inchieste, le dimissioni e la Gabanelli, tutti scoprono chi è davvero Antonio Di Pietro, che peraltro il Giornale ha sempre raccontato: quello dei valori immobiliari, del partito che non ha mai fatto un congresso, del finanziamento pubblico «personale» (per statuto notarile l'Idv appartiene a Tonino e quindi anche i contributi statali). L'equilibrato magistrato che si offrì di interrogare Silvio Berlusconi con queste parole: «Io quello lo sfascio». L'uomo dei piccoli favori avuti da inquisiti, ritenuti privi di valenza penale sebbene accertati da varie sentenze giudiziarie. I 100 milioni di lire incassati, senza dover corrispondere interessi, dall'assicuratore inquisito Giancarlo Gorrini, successivamente restituiti con assegni circolari avvolti in carta di giornale prima di lasciare la magistratura. Altri 100 milioni sempre senza interessi e sempre da un imprenditore inquisito, Antonio D'Adamo, resi nel 1995 in una scatola da scarpe messa agli atti. Buste di contanti ancora da D'Adamo e centinaia di milioni da Gorrini, D'Adamo e Franco Maggiorelli per i debiti di gioco dell'amico Eleuterio Rea. Gorrini era in ottimi rapporti con Tonino benché fosse indagato per bancarotta fraudolenta e condannato per appropriazione indebita. E poi le auto. Una Mercedes da 65 milioni avuta da Gorrini (rivenduta all'amico avvocato Giuseppe Lucibello) e ripagata con altri assegni circolari incassati poco prima delle dimissioni, e una Lancia Dedra per la moglie da D'Adamo. Le case. Una garçonnière dietro piazza Duomo messa a disposizione da D'Adamo e riconsegnata all'inizio del 1994 (che, ricordiamo, è l'anno delle dimissioni dalla magistratura); l'utilizzo per un anno e mezzo di una suite al Residence Mayfair di Roma, dietro via Veneto, pagata da D'Adamo medesimo; un appartamento acquistato a Curno con denaro avuto da Gorrini; un appartamento per il collaboratore Rocco Stragapede fornito da D'Adamo a canone gratuito. I lavoretti per i familiari: per la moglie avvocato, le pratiche legali dalla Maa assicurazioni di Gorrini e le consulenze da D'Adamo; per il figlio, un doppio impiego alla Maa. E infine le piccole regalie: da D'Adamo abiti nelle boutique Tincati, Fimar e Hitman di Milano, telefonini, biglietti aerei Milano-Roma, un mobile-libreria; da Gorrini agende, penne, calze, ombrelli, passaggi su voli privati per battute di caccia. Ricorre questa strana coincidenza: Tonino Di Pietro ha restituito gran parte dei soldi avuti in prestito da inquisiti alla vigilia del grande gesto di togliersi la toga in aula. Perché lasciò la magistratura? Anche questa risposta è stata messa per iscritto in alcune sentenze. Per esempio nei proscioglimenti decretati dai gup di Brescia Roberto Spanò e Anna Di Martino nei primi mesi del 1996. Quest'ultima, che doveva decidere sul rinvio a giudizio di Di Pietro per le accuse di Gorrini, argomentò che l'ex magistrato sarebbe incorso in sanzioni disciplinari se non avesse lasciato l'ordine giudiziario. Ma la sentenza più importante è quella del 29 gennaio 1997 depositata il 10 marzo successivo dal giudice Francesco Maddalo del tribunale di Milano; in questo processo Di Pietro (era parte lesa) non rispose alle domande del pubblico ministero né interpose appello al pari delle altre parti. Ecco alcuni passaggi dalle 192 pagine della sentenza del giudice Maddalo. Pagina 151: «È indubbio che i fatti raccontati da Gorrini si erano realmente verificati». Pagina 152: «Ne viene fuori un quadro negativo dell'immagine di Di Pietro (...) fatti specifici che oggettivamente potevano presentare connotati di indubbia rilevanza disciplinare». Pagina 167: «Decisiva appare l'intenzione di Di Pietro di intraprendere l'attività politica ovvero di ottenere incarichi pubblici di maggior rilievo». Pagina 177: «Il desiderio di lasciare l'incarico giudiziario nel momento di massima popolarità non poteva non essere funzionale e strumentale ad un successivo sfruttamento di questa popolarità, proprio in vista di quella progettata attività politica». Di Pietro non lasciò la toga per difendersi, come ha cercato di far credere (del resto i fascicoli a suo carico furono aperti successivamente) ma per fare politica. L'Italia dei valori, mobiliari e immobiliari.
Antonio Di Pietro «è come Berlusconi io con lui ho rotto definitivamente». Il capogruppo dell'Idv Massimo Donadi dopo aver minacciato le dimissioni è furioso con Tonino che, spiega in una intervista all'Unità, «con noi parlava di rilancio del partito, di date del congresso, poi va al Fatto quotidiano e dichiara sciolto il partito». «Di Pietro - osserva - stava lavorando da tempo a un percorso di avvicinamento con Grillo che si è perfezionato dopo un lungo lavorio sotterraneo» perchè «Grillo non vuole l'Idv, vuole Di Pietro» e «Antonio» ha dimostrato un «cinismo sconvolgente». Donadi aggiunge poi di sentirsi «truffato e tradito» e spera che si possa lavorare a una «nuova Idv». Poi «se il partito deciderà di suicidarsi obbedendo al necrologio di Tonino ognuno sarà libero». In un'intervista a "Repubblica" Donadi sottolinea che «da politico navigato qual è Di Pietro ha chiuso un'operazione sulla pelle dell'Idv».
''Di Pietro? E' in campo ormai da vent'anni, un tempo lunghissimo per un politico. La fine di Berlusconi va insieme alla fine della carriera politica di Antonio Di Pietro. Lo sa anche lui, e' uomo dotato di senso critico. E' giusto uscire di scena in questo momento''. Lo ha detto Michele Emiliano, sindaco di Bari del Pd, al programma radiofonico 'La Zanzara' su Radio24. ''Il Quirinale? Ci ho parlato di recente - dice Emiliano - e non mi sembra predisposto a fare il presidente. Ora deve spiegare immobile per immobile come li ha ottenuti, deve fare una prestazione migliore di quella di Report. Con trasmissioni come quella o ci si prepara bene oppure si declina l'invito''.
E' come Berlusconi". Questa la secca e durissima replica di Federica Salsi all'attacco del leader del Movimento 5 Stelle arrivata dopo la partecipazione della consigliera comunale a Bologna a Ballarò. Tra le 5 Stelle, dopo il celebre fuorionda di Giovanni Favia e il "divincolarsi" del sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, c'è una nuova dissidente: la presa di posizione della Salsi è arrivata ad Affaritaliani.it. “La gente conosce il Movimento attraverso il messaggio di Grillo - ha aggiunto -, che si esprime in modo colorito. Lui fa bene perché deve dare la sveglia", ma "mi spiace che reagisca così. Siamo delle persone. Altre volte ha espresso apprezzamento per le mie presenze in tv. Vedo che adesso ha cambiato”.
Ed il sodale Travaglio. Mazzate di Facci: "Grillo, Bossi, Di Pietro. Ormai è una barzelletta umana". Marco fa il manettaro solo con Berlusconi, mentre difende Tonino come un Ghedini qualsiasi. Nessuna novità: non è mai stato credibile, scrive Filippo Facci su “Libero Quotidiano”. Che noia. C’è un tizio, Marco Travaglio, che vorrebbe in galera i giornalisti che «dicono il falso» ma che è stato condannato penalmente con «prova del dolo» e cioè sapendo di diffamare: sentenza del 15 ottobre 2008, confermata in Appello l’8 gennaio 2010, prescritta il 4 gennaio 2011 senza l’opposizione del condannato. Uno che però ha scritto un milione di volte che una prescrizione equivale a una condanna e che ha pure beccato un sacco di condanne civili. Uno che la mena con l’indipendenza dei giornalisti e però pubblica solo carte di magistrati coi quali peraltro va in vacanza. Uno che è andato pure in vacanza con con un tizio poi condannato per favoreggiamento di un prestanome di Bernardo Provenzano. Uno che la mena coi servi berlusconiani e che però ha pubblicato due libri con la Mondadori già berlusconiana. Uno che ha appena fatto un libro che deride chi credeva in Bossi ma che scriveva, con pseudonimo, sulla Padania. Uno che ha intervistato Grillo e alla fine aveva il naso marrone. Uno che ricatta i conduttori di talkshow dicendogli che, se c’è il sottoscritto, non ci sarà lui. Questo tizio, ieri, è riuscito a difendere Di Pietro scrivendo un articolo infarcito di omissioni e di balle: sembrava un ghedini minore. Ha detto che Di Pietro è un personaggio che non ha niente da nascondere: il suo scritto era una barzelletta. Questa sera ne racconta altre. Una è diventata lui.
"Polizia e carabinieri votano tutti per il Movimento 5 Stelle perché mi dicono che hanno due coglioni gonfi così di portare i politici a fare la spesa, accompagnarli ai concerti o a scopare le loro fighette ...". Lo ha detto Beppe Grillo nel suo ultimo comizio a Palermo.
L’IDV DIVERSA DAGLI ALTRI?
Le 56 case dei Di Pietro nel mirino di Report, scrive Ferma Restando su “Giornalettismo”. I soldi finiti nelle casse dei partiti sotto la lente della Gabanelli. Sotto la lente di Milena Gabanelli finisce Antonio Di Pietro. E il racconto di Sabrina Giannini parte proprio dal leader dell’Italia dei Valori, che prende atto “che a voi interessa più lo stuzzicadenti che la trave”. Poi, sempre durante l’intervista che Report manderà in onda stasera, Di Pietro afferra il telefono per chiamare V.nzo M.ruccio, all’epoca non ancora indagato. Ma sono gli altri a finire sotto la lente, come racconta oggi ilFatto: Prima grana bolognese, dice l’ex dirigente Idv Domenico Morace: “Feci una denuncia querela in Procura che riguardava l’intero partito Idv per il territorio di Bologna e chiedevo di essere sentito sui fondi regionali destinati al gruppo regionale. L’ho chiesto 2 anni fa e non ho avuto mai avuto la soddisfazione di essere chiamato se non in concomitanza, successivamente, alla mia intervista su Affari Italiani”. E aggiunge: “Le verifiche che io feci riguardarono le entità di queste somme che Nanni aveva a disposizione e scoprì che si stava parlando di circa 90 mila euro l’anno. A fronte di queste segnalazioni verificai anche che per la mole di denaro che veniva impegnata non c’era un’attività politica di riscontro all’utilizzo di queste somme, oggi con le indagini della magistratura in corso cominciamo a intuire che fine facevano questi denari pubblici”. Poi si passa alle proprietà immobiliari di Di Pietro, cresciute esponenzialmente negli anni, secondo l’ex magistrato anche per le vittorie in tribunale grazie alle querele: Report chiede un parere a un geometra che, per conto di Elio Veltri, ex vicepresidente dell’Idv, ha catalogato e stimato gli immobili e le proprietà della famiglia dell’ex pm: “Escludendo da questa lista le 9 proprietà della moglie e le 2 del figlio maggiore, ne restano 45 comprese di garage e cantine”. Spiega il geometra D’Andrea: “Abbiamo una movimentazione economica del 33% dal 1995 al 2001 e dal 2002 al 2009 che arriva al 67%, prima dei rimborsi elettorali e dopo i rimborsi elettorali, entrambe al netto delle vendite. Dopo il 2001 la famiglia inizia ad acquistare beni”. NEL 1995, racconta la Giannini, Maria Virginia Borletti, figlia del produttore milanese di macchine da cucire, decide di donare a Di Pietro e Romano Prodi una parte dell’eredità, quasi un miliardo di lire (che per l’ex pm non sono più di 500 milioni): “Eppure è lo stesso Di Pietro, nella nota memoria consegnata al magistrato, a dichiarare di avere usato la donazione Borletti per l’acquisto di immobili”. E lui ammette: “Certo che la parte che mi ha dato in donazione l’ho usata personalmente”. La giornalista insiste: “Solo a lei?”. E Di Pietro: “E certo che me l’ha data a livello personale”. Di Pietro annuncia querela: “Fino a ieri sera non sapevo di essere, addirittura, proprietario di una cinquantina di case. Anche se, continuando con queste ripetute diffamazioni, prima o poi, a quel numero potrei anche arrivarci, grazie ai risarcimenti di coloro che mi hanno diffamato e continuano a diffamarmi tutti i giorni”. Lo scrive sul suo blog il leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, replicando alle polemiche seguite alla trasmissione Report. Il leader Idv allega una documentata replica.
Report e la legalità della famigli Di Pietro, scrive Achille Saletti su “Il Fatto Quotidiano”. Di Pietro ha perso, di improvviso, la sua baldanza. Di fronte ad una giornalista vera di Report ha farfugliato alcune scuse risibili che, credo, abbiano mandato in bestia i suoi non pochi fan. La moglie non è la moglie ma un donna con una propria testa. Immagino che anche il figlio non sia un figlio ma un uomo con una testa. Lo stesso deve valere per il cognato e per i parenti fino al quarto grado. Si fa un partito, si fa una associazione, si fanno convogliare tutti i soldi del “ vituperato” finanziamento ai partiti, alla stessa associazione. La quale, tengo famiglia, è retta da Di Pietro, dalla di lui moglie (la stessa che non è moglie e ha una sua testa) e da una fedelissima della prima ora. Nessun altro, perché la democrazia è pericolosa. Ora, io ho perso da tempo l’interesse verso comportamenti penalmente rilevanti. Mantengo un certo attaccamento, per un concetto assai calpestato dalla classe dirigente di oggi, con modalità più variegate dello stesso rilievo penale, che è il concetto di opportunità umana e politica. Penso che tale concetto debba assorbire la stessa fattispecie penale. Ovvero che sia l’unico reale margine oltrepassato il quale si assiste alla degenerazione della classe dirigente. La coscienza della singola persona si fa stile comportamentale e riflette ciò che i cittadini vorrebbero accadesse nella gestione del danaro pubblico. O che si aspettano, accada. Il concetto di legalità gridato fino al parossismo ha comportato questa degenerazione per cui tutto ciò che non è illegale è possibile. Anche quei comportamenti che, nella vita comune di un cittadino, imporrebbero una seria riflessione sulla loro adozione. Che è quello che accade nei paesi la cui coscienza civile non è ordinata per decreti penali di condanna ma per senso di responsabilità e orgoglio di essere, nella forma e nella sostanza, una persona per bene. Anche Di Pietro entra nel mazzo; non in quello dei gaglioffi (i magistrati, bontà loro, hanno certificato che non lo è) ma in quello, più numeroso e pericoloso per questo paese, dei “furbetti“ che hanno progressivamente sostituito l’astuzia alla intelligenza. Una lotta politica ridotta ad una diatriba tra chi è astuto e chi è corrotto speriamo non rappresenti il futuro della terza repubblica.
Compromessa la credibilità di Di Pietro. L’ex pm deve giustificare spese e scelte. Domenica 29 ottobre 2012, "Report" ha sollevato una serie d'interrogativi sui fondi incamerati dal leader dell'Idv. Ma ci sono anche le elezioni perse in Sicilia (nemmeno un seggio) e le vicende di M.ruccio, il "pupillo" indagato per reati gravi. De Magistris e Donadi lo attaccano, Leoluca Orlando osserva...scrive Roberto Schena su “Il Vostro”. Esplodono le contraddizioni nell’Idv. Il risultato del voto in Sicilia, dove il partito non ha nemmeno raggiunto il 4%, è sconfortante. Dopo gli scandali sui fondi regionali nel Lazio che hanno travolto anche il partito di Antonio Di Pietro e dopo che lo stesso ex pm è finito sotto accusa per la gestione del patrimonio del partito, qualcuno pensa che la misura sia colma. Domenica, su Raitre “Report” ha sollevato dubbi sulla donazione Borletti, un miliardo di lire che sarebbe stato destinato all’ex pm in persona, secondo la versione dello stesso Di Pietro. Paradosso: nell’Idv è scoppiata la questione morale. Il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, ha invitato apertamente Di Pietro a farsi da parte e a togliere il suo nome dal simbolo. Il sindaco partenopeo è pronto a lanciare la “lista arancione” per le politiche del 2013. Si è quindi riunito l’ufficio di presidenza dell’Idv, su richiesta giunta da molti esponenti del partito di convocarlo. Il leader dell’Idv lavora a un dossier difensivo che prevede «la pubblicazione delle sentenze di condanna e il relativo risarcimento in denaro per le diffamazioni subite, anche per dimostrare la legittima provenienza del denaro di cui ha disposto». E starebbe preparando una difesa documentata per replicare alle accuse della trasmissione tv. Ma non basta a calmare gli animi. Fra i tre, i rapporti sono sempre stati molto tesi. La vittoria di de Magistris alle comunali di Napoli decretò una pace, rivelatasi presto molto fragile. Critico anche Massimo Donadi, capogruppo alla Camera, che su twitter invoca “un congresso straordinario per rinnovare e non morire”. Fortemente irritato, Di Pietro ha annunciato sul suo blog che “carte alla mano l’Idv dimostrerà la propria correttezza e trasparenza”. «Non dico niente», sono le sue uniche parole ai giornalisti che lo incrociano in Transatlantico alla Camera e gli chiedono un commento sulla puntata di Report. Il presidente dell’Idv allunga il passo e non risponde ai cronisti che insistono. Nel corso del summit dell’Ufficio di Presidenza, di 10 persone, durato otto ore, per la prima volta Di Pietro è stato apertamente criticato. Donadi, presidente dei deputati, ha chiesto la convocazione a breve di un congresso straordinario dell’Idv, evidentemente per rimuovere il suo attuale Capo, perché si accendesse una rissa verbale, con urla varie. Tonino ha ottenuto che si facesse quadrato attorno a lui e che il processo si spostasse verso Donadi. E il congresso si terrà per la primavera del 2013. D’altra parte, il vertice del partito è composto da persone che gli debbono l’esistenza come personaggi politici. Ma la crisi dell’Idv c’è, la si legge su siti e giornali amici, la credibiltà di Tonino è fortemente appannata. «Alle elezioni toglierò il nome dal simbolo», promette Di Pietro. «Comunque – aggiunge – se il Pd ci vuole, bene, altrimenti andremo da soli. Il 5% lo facciamo». Donadi non è d’accordo. E lo accusa di forzare la separazione dal Pd. Pesa il caso eclatante di V.enzo M.ruccio, ex suo avvocato, ex capogruppo alla Regione Lazio, il “cocco” che Tonino ha imposto come consigliere, da settimane indagato non soltanto per la presunta gestione privatistica dei fondi regionali, fatto di per sé gravissimo per un partito come l’Idv, ma anche su un presunto accordo elettorale con elementi della ‘ndrangheta, sui cui la magistratura calabrese sta indagando. Pesano poi le elezioni in Sicilia, con zero consiglieri, quando formalmente il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, è dell’Idv. Ma pesano soprattutto le immagini e le notizie trasmesse domenica da Report, su RaiTre. In un servizio molto accurato, mirato, spietato, preparato nel corso di più di un mese, sono emerse almeno tre vicende inattese, per chi vede in Di Pietro un paladino del rispetto delle regole. La prima storia riguarda la gestione dei rimborsi pubblici indirizzati all’Idv. Tra il 2000 e il 2007 decine di milioni di euro non sono stati trasmessi direttamente al partito, ma – caso unico – ad una Associazione parallela composta da tre sole persone, Tonino, sua moglie e Silvana Mura. Interrogato a sorpresa sul perché la moglie fosse sua socia nell’Associazione che controllava la cassa, Di Pietro ha risposto testualmente: «Ma guardi che mia moglie… non è, non è… mia moglie. È una signora che c’ha una sua testa, è… una sua politica e una sua esistenza». Ma il problema è l’intelligenza della signora? Quanto la giornalista di Report, Sabrina Giannini, ha cercato di intervistare la moglie di Tonino, le telecamere hanno immortalato la sua “fuga”, il rifiuto di rispondere. La seconda vicenda narrata da Report attiene invece ai soldi donati nel 1995 dalla signora Borletti a Romano Prodi e a Tonino Di Pietro per il progetto dell’Ulivo. Ma mentre il Professore risponde tranquillo: «Non ho mai pensato che li avesse dati a me, per la mia bella faccia», semmai al Movimento dell’Ulivo, Di Pietro alla giornalista di Report che gli chiedeva come abbia utilizzato il miliardo di lire ricevuto, ha risposto: «La parte che mi ha dato in donazione, l’ho usata… personale. Me l’ha data a livello personale». L’ha data a me… alla mia bella faccia. La terza questione riguarda il patrimonio immobiliare della famiglia Di Pietro che, secondo Report sarebbe aumentato a partire dal 2000. Alla riunione non si è presentato Leoluca Orlando, che evidentemente non vuole uno scontro aperto contro il leader, ma da Napoli De Magistris attacca Tonino senza remore: «Mi dispiace molto ma serve un cambiamento».
Idv, un partito a rischio estinzione? Viaggio nell'Idv, partito a rischio estinzione: dagli scandali sui fondi all'erosione del bacino elettorale. I sondaggi: Di Pietro al 4% scrive Domenico Ferrara su “Il Giornale”. "Vogliamo essere un partito di governo". Antonio Di Pietro lo ripete costantemente, con ostentazione e convinzione. Ma, allo stato attuale, l'Italia dei Valori rischia di non entrare nemmeno in Parlamento. Gli ultimi sondaggi Swg certificano un crollo dell'Idv (che ha perso, in solo due settimane, il 2% dei consensi) direttamente proporzionale all'ascesa del MoVimento 5 Stelle. Grillo e Di Pietro, due leader, due amici che sono diventati inevitabilmente concorrenti. Ma la ventata di antipolitica, gli scandali e le diaspore interne hanno favorito il primo e inabissato il secondo. Attualmente, il partito dell'ex pm si attesta al 4,3% e rischierebbe di rimanere alla porta del Transatlantico (sempre che non cambi la legge elettorale). Cosa ha pagato Di Pietro? Gli scandali all'interno del suo partito, i balletti relativi alle primarie e alle alleanze nel centrosinistra, i dissidi con la corrente più moderata. E altro ancora. L'indagine nei confronti del capogruppo dell'Idv alla Regione Lazio, S.lvatore M.ruccio (indagato per peculato e accusato di aver prelevato a suo favore fondi dai conti del gruppo) ha inciso e non poco. E ha eroso parte della credibilità di Di Pietro nella battaglia per la trasparenza e per la legalità. Ma il caso di M.ruccio è solo la punta dell'iceberg. Perché l'Idv non si può certo definire un partito "immacolato" e avulso da ogni sospetto. Anzi. Tralasciando la questione dei transfughi e dei cambi di casacca - ché su questo Di Pietro pare abbia avuto la calamita - la lotta contro gli inquisiti non arriva da un pulpito casto. Di recente, Marylin Fusco, vicepresidente della Regione Liguria, è stata indagata dalla procura di Sanremo per abuso d’ufficio e violazione delle norme in materia di tutela ambientale. Lo scorso giugno, il consigliere regionale della Campania, Dario Barbirotti è stato indagato per una presunta truffa nella gestione dei rifiuti (all'epoca dei fatti contestati era presidente del Consorzio Bacino Salerno 2). Il consigliere provinciale di Bologna, Paolo Nanni, è stato indagato a febbraio scorso per non aver restituito il pass invalidi della suocera, deceduta da due anni. Nell'ottobre 2011, a Bari, l'assessore al Contenzioso, contratti e appalti, Emanuele Pasculli, è stato indagato (in merito a presunte irregolarità di un appalto da 5 milioni di euro) e si è visto revocare l'incarico dal sindaco Emiliano. Come ha ricordato Filippo Facci su Libero, nel 2004, alle comunali di Foggia, Di Pietro ha appoggiato Riccardo Leone (Sdi) "che vantava condanne definitive per ricettazione, rapina continuata, resistenza a pubblico ufficiale, violenza privata, furto continuato e furto in concorso, evasione, danneggiamento continuato e violenza privata continuata, oltre ad aver passato due anni in un manicomio giudiziario". E Domenico Padalino, altro candidato appoggiato (a sua insaputa) da Di Pietro, "vantava due condanne definitive per furto, oltraggio a pubblico ufficiale, inosservanza dei provvedimenti dell'autorità e resistenza a pubblico ufficiale, oltre a essere indagato per porto abusivo d'armi". Paride Martella, ex presidente della Provincia di Latina, è stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta su appalti truccati. Gustavo Garifo, capogruppo provinciale dell’Idv di Genova, è finito in manette a ottobre per aver lucrato sugli incassi delle multe. Andrea Proto, consigliere comunale, reo confesso, ha incassato una condanna a un anno e nove mesi per aver raccolto la firma di un morto. Solo per citare alcuni casi che poco collimano con la vigorosa battaglia contro i condannati in Parlamento, ché la lista potrebbe continuare. Senza considerare poi il figlio di Di Pietro, Cristiano, consigliere regionale a Campobasso, indagato per corruzione, turbativa d’asta e abuso d’ufficio. Anche lo stesso Antonio Di Pietro è stato indagato in passato (la sua posizione è stata poi archiviata) per truffa in merito ai rimborsi elettorali all'Idv e per offesa al capo dello Stato. Ma l'ex magistrato, si sa, è politico animato di grande passione e spesso scivola nelle esagerazioni e nell'irruenza verbale. Basti ricordare i vari paragoni ed epiteti che utilizzò nei confronti di Berlusconi premier: da Hitler a Mussolini, passando per Gheddafi, Videla e Saddam Hussein. Un linguaggio offensivo che ha trovato validi emuli nel suo stesso partito, ché chi va con lo zoppo impara a zoppicare. Come quel Francesco Barbato che, pochi giorni fa alla Camera, auspicò il ritorno in campo di Formigoni e Scopelliti. Solo che il campo concepito dall'esponente dipietrista era quello di concentramento. E poi c'è la questione più politica e che ha visto mandare letteralmente in bambola il leader Idv. Che critica Bersani e poi lo corteggia. Che dice che non vuol rompere con lui ma allo stesso tempo attacca feralmente Monti. Che afferma di candidarsi a premier ma anche di partecipare alle primarie di coalizione. Che accusa Grillo di riproporre le sue idee salvo poi adularlo e avvertirlo che "se stai da solo questi ti fregano", dove per "questi" Di Pietro intende i partiti diversi dal suo. L'ex pm è riuscito pure a complicarsi la vita e a "creare" una corrente interna al suo partito. Una corrente moderata, che si oppone al machismo e all'ostruzionismo di Di Pietro e che vede in Massimo Donadi, capogruppo Idv alla Camera, uno dei principali capofila. Pochi mesi fa, Donadi ha accusato il suo leader di "scondinzolare dietro Grillo", di "mandare tutto al macero" e "di tradire la storia del partito". E oggi, la frattura non si è sanata, dal momento che al Fattoquotidiano Donadi ha dichiarato che "alle primarie andrà a votare per Bersani". Per risalire la china, a Di Pietro non resta che percorrere la strada da lui annunciata: togliere il suo nome dal simbolo del partito. Non si sa mai che così facendo qualcuno torni a votare Idv...
Case e terreni, ecco il tesoro del Batman Idv, scrive “Il Giornale”. Verifiche sui conti di M.ruccio, uomo del "cerchio magico" di Di Pietro. E il partito chiude in anticipo la festa di Roma. Sì, di peculato. Mai slogan fu più funesto di quello scelto dall'Idv per la sua manifestazione regionale, a Roma. La «festa» chiude oggi, in clima pessimo e in anticipo di dieci giorni, ma a quanto pare non per lo scandalo M.ruccio, l'ex capogruppo indagato per peculato per aver trasferito sui propri conti 700mila euro di fondi pubblici. Chiude prima, spiega la dirigenza Idv, perché la sovrintendenza non ha concesso la proroga per piazza Risorgimento, a pochi metri dalle mura vaticane. E pensare che «Noi, un'altra storia», l'aveva aperta proprio V.cenzo S.vatore M.ruccio, calabrese di Vibo Valentia, potente capo dell'Idv in Lazio e membro del ristretto «cerchio magico» di Di Pietro (che pur di fargli spazio ha fatto fuori da coordinatore del Lazio uno come il senatore Pedica, non certo l'ultimo arrivato nell'Idv), il 28 settembre, esultando per la decapitazione della Polverini, «un risultato della nostra opposizione dura in Regione Lazio». Parole di fuoco, che lette adesso, dopo che la Procura ha dettagliato i suoi movimenti bancari alla Batman, hanno il sapore amaro della beffa: «Non consento che si tenti di far passare l'idea che siamo tutti uguali!» tuonava il pupillo del leader Idv. «Noi coi soldi della Regione non abbiamo fatto festini o comprato ville! I nostri conti personali non hanno visto un euro dei soldi del gruppo!». Molto diversa l'opinione del procuratore aggiunto di Roma, Alberto Caperna, e del sostituto Stefano Pesci, che interrogheranno l'ex coordinatore Idv del Lazio (ora commissariato) settimana prossima. I magistrati, che hanno disposto le perquisizioni nelle case e nell'ufficio del dipietrista, trovano «anomali» i bonifici (500mila euro) e i prelievi (200mila euro) fatti da M.ruccio a partire dall'aprile 2011, dai due conti del gruppo Idv aperti presso Cariparma e Credito artigiano e gestiti esclusivamente da lui («unica persona fisica abilitata ad operare») verso sette conti correnti personali o cointestati con la moglie Raffaella Sturdà, anche lei avvocato. Operazioni sospette (importi molto elevati, causali generiche o assenti) che hanno insospettito Bankitalia che, come successe per Lusi, ha segnalato i movimenti alla Procura di Roma, e di lì l'inchiesta. Che finora riguarda solo M.ruccio, nell'Idv, ma potrebbe allargarsi.Possibile, infatti, che nessuno sapesse? Nessuno controllasse? In un'assemblea infuocata lunedì scorso, prima dell'indagine, il partito (che a Roma ha le casse quasi vuote) ha processato M.ruccio per non aver mai comunicato l'aumento dei fondi per i gruppi regionali, votato anche dall'Idv insieme a Fiorito. Possibile nessuno sapesse? Siamo a Roma, non in una sede periferica. E poi in un partito in cui la cassa è severamente controllata dal leader. Possibile che al segugio Di Pietro sfuggano così 700mila euro? Parliamo di complessivi 1.217.000 euro ricevuti dal gruppo consiliare Idv solo nel 2011. E di fatto interamente spesi, visto che l'avanzo della gestione è di soli 5mila euro. Un bilancio attendibile, quello presentato dal capogruppo M.ruccio? Falso? Dove sono stati spesi, veramente, quei soldi, visto che li gestiva lui? È quello che sta accertando la Gdf. Sotto la lente ci sono i redditi, i movimenti sui conti correnti anche comuni e le proprietà. La Bmw 530, le spese, gli immobili. Due case più terreni a Maierato, tre a Roma: lo studio, un appartamento alla Balduina e uno nel quartiere Prati, in via Duodo. Nove vani e mezzo con garage, intestato alla moglie e comprato l'anno scorso, per 1 milione di euro, in parte con mutuo di 3mila euro al mese, acceso sul conto comune. Uno dei sette su cui arrivavano i soldi pubblici.
Mariuolo M.ruccio, Di Pietro sapeva: "Tonino, quello ci ha svuotato le casse". Prima che il capogruppo nel Lazio fosse indagato, la base del partito aveva avvertito scoperto il buco e chiesto le sue dimissioni, scrive di Brunella Bolloli e Rita Cavallaro su “Libero Quotidiano”. Il consigliere regionale andrà dai pm. E assicura: "Chiarirò tutto". V.cenzo M.ruccio aspetta sereno di essere interrogato dai magistrati la prossima settimana. «Spiegherò tutto, non ho usato soldi per me, ma solo per il partito», continua a ripetere l’ex capogruppo Idv indagato per peculato. «Chiarirò ogni cosa nelle sedi opportune e ai magistrati inquirenti, ai quali ho già messo a disposizione la documentazione contabile. Non ho nulla da nascondere. Il mio non è un altro caso Fiorito». Precisazione non casuale, visto che il procuratore aggiunto Alberto Caperna e il sostituto Stefano Pesci, che indagano sulla gestione dei fondi regionali, hanno già mietuto un’altra vittima eccellente: l’ex capogruppo Pdl Franco Fiorito, attualmente in carcere. I pm romani, d’intesa con gli uomini della Guardia di Finanza, vogliono completare l’esame della contabilità dell’Idv e fare luce sulla movimentazione di denaro da parte di M.ruccio. In quanto capogruppo regionale e coordinatore del Lazio, ma soprattutto braccio destro del leader Di Pietro, M.ruccio aveva grande autonomia nel gestire i fondi del partito. Disponeva lui i versamenti e i prelievi sui tre conti intestati all’Italia dei Valori aperti presso la Banca delle Marche e naturalmente sui suoi personali (una decina). Al punto che, dopo alcuni movimenti poco chiari, gli uffici della Banca d’Italia hanno deciso di inviare la segnalazione alla Finanza che ha proceduto con le perquisizioni. Per ora all’ex segretario viene contestato il trasferimento di circa 700mila euro, 500mila dei quali con bonifici e il resto cash, dal conto dell’Idv aperto al Credito Artigiano.
"Spuntano altri Batman nell’Italia dei Valori. – scrive ancora “Libero Quotidiano” - Perché alla corte di Antonio Di Pietro non c’era solo V.cenzo M.ruccio, legale di fiducia del capo ed ex coordinatore del Lazio, oggi indagato per peculato al pari del pidiellino Franco Fiorito. Appena un anno fa le inchieste giudiziarie avevano travolto il predecessore di M.ruccio, l’allora tesoriere Norberto Spinucci. L’accusa, in questo caso, è riciclaggio, troppo anche per l’Idv tanto che il cassiere si è dovuto dimettere subito dopo l’avviso di garanzia ed è pure uscito di scena. Nel partito dicono che è «sparito da marzo scorso». Adesso però Spinucci deve ricomparire: i magistrati lo vogliono ascoltare a breve in qualità di persona informata sui fatti per la vicenda dei rimborsi regionali", spiegano Brunella Bolloli e Rita Cavallaro su Libero in edicola oggi. Già, nell'Italia dei Valori non c'è solo il mariuolo M.ruccio. Ora anche l'altro avvocato di Tonino Di Pietro rischia di essere processato: si sta parlando non di Spinucci, ma di Sergio Schicchitano, esponente dell'Idv, accusato di falsa fatturazione ed evasione. E, come detto, l'indagine coinvolge anche l'ex tesoriere del Lazio. Insomma, un bandito tira l'altro...
Gli amici scomodi di Di Pietro, nei guai per rapina ed evasione, scrive Filippo Facci.
Dalla Puglia alla Liguria, dalla Calabria alla Sardegna, l'ex pm ha appoggiato numerosi indagati e condannati. Come moralizzatore non è credibile.
Un visino d’angelo incastonato nella crapa di Al Capone: l’indagine su V.ncenzo S.vatore M.ruccio da una parte accredita le peggiori sciocchezze sulla fisiognomica della malapolitica si affianca ai vari Belsito e De Gregorio) e però dall’altra crea un disastro vero, perché M.ruccio non è solo ex assessore ai Lavori pubblici e capogruppo Idv nel Lazio, è l’avvocato di Antonio Di Pietro nello studio di Sergio Scicchitano - a sua volta indagato per false fatturazioni nel giugno 2011 - il quale esercita dove Tonino ha il suo domicilio professionale. Parentesi per i colleghi: gli avvocati calabresi M.ruccio e Scicchitano sono quelli che in questi anni vi hanno spedito le querele del molisano. Un disastro, perché il peso specifico di questa vicenda schiaccia l’Italia dei Valori verso il fondo di quella «vecchia politica» che Di Pietro cercava disperatamente di scansare per fiondarsi in direzione Grillo: solo che Grillo attraversa gli stretti a nuoto, Di Pietro intanto si dimena sull’arenile come un pescione appena pescato. Ora pure questa mazzata, a segnare una cesura definitiva: perché Grillo alla fine non prende soldi pubblici, Di Pietro sì; Grillo non ha figli e famigli in politica, Di Pietro sì; Grillo non ha candidato inquisiti, Di Pietro sì; Grillo non è candidato, Di Pietro ha già accumulato cinque mandati ed è in politica da 17 anni, si è pure avvalso dell’immunità europarlamentare: chiedere giusto ai suoi avvocati - quando saranno liberi - per informazioni.
L’auto blu al mare: figuraccia del moralista Idv.
Il capogruppo al Senato Belisario, sempre pronto a denunciare sprechi e ingiustizie, era a Roma mentre il suo autista sfrecciava al lido di Policoro col lampeggiante acceso e più persone a bordo. E scatta la denuncia per peculato. Questo riporta "Il Giornale".
«Le modifiche al codice della Strada devono servire per ridurre gli incidenti ed evitare le stragi che ogni anno avvengono sulle strade italiane. Per questo vanno introdotte norme che amplino la sicurezza e tra queste certamente non ci possono essere quelle che aumentano i limiti di velocità. Con la vita non si scherza, non si può scherzare, e tutti senza eccezione alcuna devono rispettare le regole: questo vale anche per le auto blu». Era giusto il 4 maggio dell’Anno Domini 2010, quando il senatore dell’Idv, Felice Belisario, così sentenziava dalle pagine virtuali del suo sito internet. Parole sante.
Valori veri, non quelli dell’Italia dei medesimi, ma quelli della prudenza e del rispetto della legge. Sempre e comunque uguale per tutti, come ci ricorda, ogni giorno, Antonio Di Pietro. Già. Ma se poi quelle parole ti tornano indietro come un boomerang due mesi dopo? Ma se un’auto blu, mettiamo proprio quella assegnata (chissà a quale titolo poi?) al senatore Belisario, viaggia talmente a velocità sostenuta da venir fermata da un pattuglia dei carabinieri? E se poi dentro quell’auto blu i militari scoprono che non c’è nemmeno il senatore Belisario ma altre persone? Beh, allora, qualche riga sui giornali questa curiosa vicenda, forse la merita.
È ciò che puntualmente ha fatto, denunciando l’accaduto, la Gazzetta del Mezzogiorno che scrive: «L’auto blu assegnata al senatore Felice Belisario, eletto in Basilicata e capogruppo al senato dell’Italia dei valori, era al lido di Policoro, in provincia di Matera, nel pomeriggio di qualche giorno fa. Ma con le due o tre persone a bordo, uomo al volante compreso, il senatore non c’era. La berlina, una Lancia, ha incuriosito una pattuglia dei carabinieri della Compagnia in fase di normale controllo del territorio poiché aveva il lampeggiante blu sul tetto e andava a velocità sostenuta. Da qui l’alt e la successiva verifica. Tutto in regola. A parte l’assenza del senatore Belisario a bordo. I carabinieri hanno inviato una segnalazione dell’accaduto all’autorità giudiziaria. L’ipotesi: peculato».
Pubblicando la notizia sul suo sito web il 14 luglio 2010, la Gazzetta del Mezzogiorno ha acceso l’indignazione di molti lettori. Leggiamo qualcuno dei commenti più teneri: «Questa è l’Itaglia dei valori - persi o trovati? - valutate!» scrive Paolo Miraglia da Matera. «Come mai un senatore qualsiasi ha un’auto blu e autista a disposizione? Che ci facevano l’autista e company sull’auto blu se il senatore non c’era?» si domanda, giustamente Anto68 da Bari. Mentre Antonio, da Potenza si sfoga: «Finalmente lo hanno fermato! Per le strade di Potenza, soprattutto Viale Marconi, l’autista in questione crede di essere su una pista di Formula1. E meno male che è al servizio di un autorevole esponente del partito de la giustizia è uguale per tutti. Chissà se varrà anche per lui?».
Imbarazzante, ammettiamolo. Sì perché Felice Belisario non è soltanto il capogruppo dei senatori dell’Idv è anche, assieme, naturalmente, a Tonino l’Immarcescibile, l’altro Grande Moralizzatore del partito della pulizia, l’uomo che non si lascia sfuggire un’occasione che è una per bacchettare Silvio Berlusconi e il suo governo. Per spiegare al popolo italiano come le cose andrebbero fatte per il loro bene, nel rispetto, appunto, delle regole della trasparenza e dell’onestà. Così dal suo sito ogni giorno è buono per fare un piccolo comizio: «Il governo Berlusconi - scrive, sconsolato, il 6 luglio 2010 - è in piedi solo perché, ad oggi, non c’è un’opposizione sufficientemente determinata e coesa capace di creare un’alternativa all’attuale maggioranza parlamentare.
Altrimenti il Caudillo di Arcore sarebbe a casa da un pezzo». E il 13 luglio: con questi «fior di galantuomini Idv non può e non deve collaborare, non ci sono governi di solidarietà nazionale che tengano. Nessuna riforma è possibile: sarebbe come consegnare i principi fondanti della nostra Patria nella mani del carnefice». Tornando all’imbarazzante episodio, l’autista di Belisario, Antonio Scavone, ha detto ai carabinieri che si stava recando dall’assessore regionale dell’Idv, Rosa Mastrosimone, ma i militari non gli hanno creduto e lo hanno denunciato. Dal canto suo Belisario dice di non saperne nulla e garantisce che mercoledì 7, quando dovrebbe essere avvenuto l’episodio, Scavone era con lui a Roma e non a Policoro.
C’è anche da dire che il capogruppo dipietrista di Palazzo Madama non è granché fortunato con gli autisti. Nel 1994, quando era nel Ppi, il suo collaboratore Numida Leonardo Stolfi, fu arrestato per sfruttamento della prostituzione, nel 2000 è stato condannato a nove anni e mezzo. E ora è di nuovo in cella come esecutore materiale di un omicidio. Mentre Antonio Scavone, descritto come un giovane molto focoso e dai modi piuttosto bruschi, è stato espulso dai carabinieri per motivi disciplinari. Ma, insomma, senatore Belisario ci pensi un attimo prima di predicare bene, altrimenti sono figuracce.
Da “L’Espresso” viene un colpo al moralizzatore per antonomasia e per il suo partito di riferimento. Noi sfruttati di Montecitorio. Portaborse vessati: ecco i casi di chi ha deciso di ribellarsi ai politici. Superlavoro, orari impossibili, vessazioni, pagamenti in nero. A volte il difficile rapporto tra parlamentari e portaborse finisce in liti fragorose sbarcando anche in tribunale. E' il caso di Liliana, addetta stampa di Francesco Barbato, il deputato-anticasta dell'Idv, famoso per avere registrato in aula le confessioni del collega Antonio Razzi. Liliana, licenziata l'estate 2011 per "carenza di attività politica", è riuscita alla fine a chiudere la questione con una transazione privata prima che l'intera faccenda finisse davanti al giudice del lavoro. Anche Vincenzo Pirillo, collaboratore di Domenico Scilipoti (ex Idv, ora nei Responsabili), "stufo di essere sfruttato", ha minacciato di recente di trascinare il suo parlamentare in tribunale. "Per un anno ho lavorato dalle nove del mattino alle undici di sera, sabato compreso", ha raccontato. "E la domenica c'erano i convegni e i comizi in Sicilia, senza pernottamento né rimborso spese. Prendevo 600 euro al mese, versati quasi sempre con assegno bancario firmato dal deputato e motivati come pagamento di contratti a progetto". Altro parlamentare balzato agli onori della cronaca, Antonio Razzi: anche lui ex Idv, anche lui come il suo amico Scilipoti pesantemente accusato dal proprio ex assistente. Massimo Pillera, ora giornalista a Trani, ha infatti chiesto al suo ex assistito Razzi (che respinge gli addebiti) la bella somma di centomila euro. A motivare la richiesta di rimborso e indennizzo, Pillera ha portato oltre 2 anni di lavoro in nero (dal 2006 al 2008), pagato in contanti sotto forma di rimborsi spese forfettari bimestrali: "Ho girato in lungo e in largo con Razzi", rivela, "ho lavorato sette giorni su sette, sempre con la promessa che nel 2008, dopo la sua rielezione nel partito di Di Pietro, sarebbe arrivato anche il contratto regolare". Invece, niente. A trionfare in tribunale è stata invece l'ex assistente di Gabriella Carlucci, deputata del Pdl da poco transitata nell'Udc, che dalla parlamentare ha ottenuto circa 10 mila euro a titolo di indennizzo. Lezione servita: la Carlucci ha adesso alle sue dipendenze due collaboratori in piena regola, con contratto a orario e paga concordati. Ancora peggio potrebbe andare a Giuseppe Lumia, senatore del partito democratico, che si è visto citato da un suo ex collaboratore, Davide Romano, al tribunale del lavoro di Palermo. Astronomica la richiesta di indennizzo chiesta all'ex presidente della commissione antimafia: 368 mila euro per 8 anni di mancate retribuzioni, per i danni morali e materiali e per i contributi non versati.
Ma non è nulla rispetto al filmato de “Le Iene” trasmesso il 9 febbraio 2012 nei confronti di Barbato. L’Onorevole Francesco Barbato dell’Italia dei Valori è diventato un moralizzatore della Casta con la sua microcamera all’interno del Parlamento, anche lui però ha la sua carcassa nell’armadio. Una affare risalente al 2009 in cui la sua collaboratrice ha denunciato di essere stata pagata in nero. Barbato ha certo un atteggiamento difforme nei confronti di Liliana. C’è stata un tira e molla finito con un accordo tra le parti in cui Barbato ha pagato diverse migliaia di Euro all’assistente Liliana con obbligo di discrezione e riservatezza tra le parti. Barbato cambia discorso all'insistenza incalzante di Filippo Roma.
Di Barbato si occupò la denuncia su “Il Giornale”: "Io, pagata in nero dai dipietristi". La denuncia di Liliana, collaboratrice del deputato Barbato: "Promise un contratto dopo un periodo di prova. Invece mi ha lasciata a casa. Metteva i soldi in una busta della Camera, senza buoni pasto né assicurazione". La replica: "Era un test andato male".
«Eeeh, mo’ non mi servi, non tengo molto da fare, è estate...». Clic. Fine della chiamata. Fine di un rapporto professionale, seppure coi contorni in chiaroscuro del lavoro nero. Il «principale» in questione, che scarica così il suo dipendente, è il deputato dell’Italia dei Valori Francesco Barbato, un tempo tra i più vicini ad Antonio Di Pietro, sempre tra i più attivi nel condannare la Casta e nel «rappresentare veramente le esigenze dei cittadini», come rivendica spesso in Aula; la «defenestrata», invece, è la sua collaboratrice Liliana. Che dopo quattro mesi da «fantasma» ha ricevuto il benservito. Alla faccia dei Valori e delle esigenze dei cittadini.
Liliana,
anche i dipietristi hanno il pessimo vizio di sfruttare i collaboratori?
«Io posso parlare di uno solo, Barbato. E lui questo vizio ce l’ha. Eppure io
non sono nata nella bambagia. Ho lavorato tre anni all'ufficio stampa dei
Radicali, so cosa vuol dire farmi un mazzo così. Ma almeno avevo un contratto
regolare».
Però ha
dovuto cambiare...
«Purtroppo sì. Un altro suo collaboratore esterno mi ha detto che l’onorevole
Barbato cercava una persona, quindi ci hanno presentati. Un colloquio senza
nemmeno parlare di lavoro e un “cominci mercoledì”. Così a febbraio è iniziato
il bailamme».
Qualche
promessa?
«Semplicemente un contratto dopo un periodo di prova. Ma alla Camera non ci sono
regole e quelle che valgono per tutti i lavoratori italiani lì sono ignorate
perché con l’autodichiarazione c’è sempre la scusa per mettere all’angolo i
principi costituzionali. Quindi passavano i mesi e il contratto non si vedeva.
Come del resto Barbato».
Desaparecido?
«In aula c’era, ma è sempre molto difficile parlare. Quando lo vedevo e gli
chiedevo notizie sul contratto mi diceva: “Vabbé, mo’ vediamo”».
Intanto lei
lavorava...
«Dalle 9.30 alle 19.30, dal lunedì al venerdì. Toh, a volte arrivavo alle 10,
ché non abito vicino a Montecitorio, io... Solitamente l’attività di
un’assistente è strettamente legata a quella del parlamentare in questione:
interrogazioni, appuntamenti, proposte di legge, rassegne stampa. E devo
riconoscere che il lavoro svolto per Barbato non era esattamente frenetico».
Nella
classifica di produttività dei deputati di Open Polis è 207° su 630. Comunque,
dice il saggio: lavoro è se principale paga. Sennò è volontariato. Lei almeno
era pagata?
«Puntualmente. Ma rigorosamente in nero. Andava a prelevare i contanti e li
metteva in una bella busta con la scritta “Camera dei Deputati”. Io trattenevo
la mia parte e poi lasciavo il resto dei soldi al mio collega».
Prassi
comune tra i politici...
«Zero assicurazione, zero buoni pasto. Ho speso un capitale in panini nei bar,
dato che io non pranzavo alla buvette con 4 euro come i parlamentari».
Epperò
questo incanto si è spezzato...
«E in modo davvero antipatico. Alla vigilia della settimana bianca della Camera,
giorni in cui è sospesa l’attività parlamentare, mi ha telefonato il mio collega
dicendo di aver “intuito” che non sarei stata confermata. Ho chiamato Barbato
che ha fatto il pilatesco: “Devi parlarne con lui, è stato lui che inizialmente
ti ha contattata... in estate, sai, non servono persone...”. Eppure il “capo”
era lui, era lui che mi pagava, però a decidere era il collega. Mah...».
E tanti
saluti.
«Esatto. Mai più sentito. Il 6 giugno mi ha fatto chiamare dal suo collaboratore
dicendo che mi lasciava a casa perché non ero all’altezza del compito. Ah,
giusto perché d’estate non serviva una figura come la mia, so che il mio posto è
già stato assegnato a un’altra. Magari senza contratto. Ma tanto la
giustificazione è la stessa: il periodo di prova...».
Cosa
chiederebbe a Di Pietro?
«In quest’esperienza gli unici “valori” che ho incontrato sono stati quelli in
nero e in busta chiusa. L’Idv parla di ripristino della legalità, trasparenza,
aiuto alle fasce deboli e alternativa di diritto: ecco però in concreto come
sono stata tutelata. Di Pietro non può tenere sotto controllo tutti i
parlamentari, ma deve sapere che ci sono cellule cancerogene nel suo partito».
La stessa
cosa che gli rimproverava Barbato a proposito dei membri campani di Idv...
«Appunto. Tralascio commenti».
Francesco
Comellini, presidente dell’associazione collaboratori parlamentari, si augura
che tutti seguano il suo esempio. Ma lei non teme di non lavorare più al
Parlamento?
«Non guardo al rischio ma al coraggio di denunciare ciò che non va. Se uno sta
zitto, come spesso i miei colleghi, subisce. Io nei Radicali ho imparato ad
agire piuttosto di lamentarmi».
IDV, spunta il sex-gate, inchiesta di Riccardo Bocca su “L’Espresso”.
Prestazioni sessuali in cambio di una promessa di lavoro in Parlamento. A Bari una denuncia contro il senatore Pedica e l'onorevole Zazzera. La donna parla apertamente di ricatti, ovviamente tutti da dimostrare.
Non bastavano le recenti amarezze elettorali, a guastare il trionfo dell'Italia dei Valori ai referendum. Adesso c'è anche la denuncia presentata il 14 giugno 2011 alla Procura di Bari da Michele Cagnazzo, esperto di criminalità organizzata ed ex responsabile per l'Idv dell'Osservatorio pugliese sulla legalità. La storia che emerge da queste pagine è un misto di sesso e politica, segreti e fragilità umane. Uno scenario tutto da dimostrare, naturalmente, al centro del quale si trova C. M., una donna di 31 anni, che Cagnazzo incontra nell'aprile 2010 negli uffici baresi dell'Italia dei Valori.
"Dopo alcune frequentazioni", scrive nella denuncia, "mi accorsi del fatto che versava in uno stato di non indifferente alterazione emotiva", tant'è che in seguito, acquisita maggiore familiarità, "mi confidava di essere stata vittima di insistenti avances e ricatti da parte del senatore della Repubblica Stefano Pedica e del deputato Pierfelice Zazzera, entrambi iscritti all'Idv". Personaggi non secondari. Zazzera, 43 anni, all'epoca dei fatti era parlamentare Idv e coordinatore regionale del partito in Puglia. Mentre il senatore Pedica, 53 anni, ha una storia che parte dalla Democrazia cristiana, continua nell'Udr di Francesco Cossiga, e sfocia dopo la fondazione del Movimento cristiano democratici europei nel partito dipietrista.
"La stessa M.", scrive Cagnazzo, "mi riferiva che, avendo partecipato in qualità di simpatizzante a diversi dibattiti e conferenze, aveva conosciuto entrambi gli esponenti". E che tutti e due avrebbero iniziato, in tempi diversi, "a compulsarla con insistenti inviti e richieste di appuntamenti al di fuori dell'ordinaria attività politica". L'intenzione della donna ("Laureata in giurisprudenza e inoccupata") nell'accettare una serie di inviti, è a detta di Cagnazzo "comprendere se ci fossero opportunità di lavoro". Tant'è che Zazzera, "avendone carpito lo stato di necessità (...) continuò a tempestarla di telefonate e sms con ripetuti inviti a incontri clandestini", svoltisi all'hotel A. di Massafra (Taranto) "dal maggio 2009 all'ottobre 2009". Circostanze, recita la denuncia, che "si possono evincere benissimo dai registripresenze del suddetto albergo", e che comprenderebbero la promessa di Zazzera a M. "di farle ottenere un posto di lavoro presso l'ufficio legislativo del Parlamento". In cambio, si legge, l'onorevole "chiedeva favori sessuali", e M., "per quanto mi ha riferito, proprio perché versava in gravi difficoltà (...) accettò di accondiscendere alle richieste". In questo contesto, dunque, va ambientata la seconda parte della vicenda.
A un certo punto, Cagnazzo racconta che Zazzera avrebbe invitato "M. a Roma presso il proprio alloggio privato dicendole che era necessaria la presenza di lei, sia perché consegnasse il curriculum, sia per sottoscrivere (...) documenti finalizzati a perfezionare un rapporto di lavoro". L'onorevole, anche in quei giorni, avrebbe chiesto alla donna "insistentemente prestazioni sessuali, promettendole in cambio il proprio definitivo interessamento per la stipula di un contratto". Dopodiché, scrive Cagnazzo, "M., per quanto mi ha riferito, accettò di avere ancora un rapporto sessuale". Sentendosi però precisare da Zazzera che, "se avesse voluto guadagnare definitivamente il ruolo, avrebbe dovuto dedicare le medesime attenzioni sessuali al senatore Pedica"; il quale, "secondo quanto disse Zazzera, avrebbe anche lui messo la buona parola". Il resto è presto sintetizzato.
Pedica, denuncia Cagnazzo, avrebbe raggiunto la donna all'hotel M. di Brindisi. Un incontro in cui "il senatore disse che per avere determinati benefici, avrebbe dovuto avere rapporti sessuali con lui". Da parte sua, si legge nella denuncia, "M. accettò ed ebbe, nel dicembre 2009, un rapporto sessuale con il senatore". E sarebbe stato il preludio di un ulteriore appuntamento, "sempre a fini sessuali, nel gennaio 2010". Finché, "constatando che nulla si muoveva sul fronte del lavoro, M. interruppe i rapporti anche telefonici con i due". Scoprendo in seguito, "con somma sorpresa, di risultare tra i candidati alle elezioni regionali 2010 per la Puglia, nella lista Idv, pur non avendo mai proposto né tantomento accettato la propria candidatura". Per quest'ultimo aspetto, riferisce Cagnazzo assistito dall'avvocato Renato Bucci, la signora "mi disse di essersi rivolta a un legale".
E sempre Cagnazzo, a seguito di questa vicenda, dichiara di essersi autosospeso da responsabile dell'Osservatorio Idv pugliese sulla legalità: "Cosa che avvenne nel maggio 2010". Ora tocca agli inquirenti il non facile compito di scoprire che cosa sia veritiero, e cosa eventualmente no, in questa brutta vicenda. Una verifica che, per evidenti ragioni, si spera avvenga al più presto.
In seguito alla questione morale nell'IDV sollevata dal Luigi De Magistris su “Libero-News” del 28/12/2010 è uscito un interessante articolo: La questione morale nell'IDV. Antonio di Pietro come Craxi, bersaglio delle monetine del pubblico inferocito. Cambia l'anno, non siamo nel 1993, e la location: il Tonino-bersaglio stava a Matera, e non all'hotel Raphael di Roma. Già, una questione morale nell'Italia dei Valori esiste. Eccome. Per ultimo, a ricordarlo al leader del movimento, è stato Antonio Razzi, il deputato che alla vigilia del voto di fiducia del 14 dicembre 2010 ha abbandonato l'Idv. Meta, la maggioranza di Silvio Berlusconi.
I RAPPORTI CON DE MAGISTRIS - La critica di Razzi coinvolge i rapporti tra Di Pietro e lo stesso De Magistris, "rinviato a giudizio per omissione di atti di ufficio perché non avrebbe indagato, nonostante l'ordine del Gip, su un caso di collusione tra magistrati di Lecce e magistrati di Potenza con ipotesi di reato gravissime", aggiunge Razzi, "che vanno dall'associazione per delinquere all'estorsione". (Probabilmente è l'insabbiamento, oggetto delle denunce del dr Antonio Giangrande, in cui si parlava di una sorta di consorteria mirata all'impunità tra i magistrati di Potenza per i reati commessi da quelli di Lecce). Insomma, si ribadisce che la questione morale c'è, eccome, e riguarda Di Pietro e gli stessi uomini che lui ha scelto e difeso. "De Magistris", conclude Razzi, "doveva autosospendersi dalla carica, volente o nolente, in quanto il codice etico del partito lo impone. Antonio Di Pietro lo ha difeso a spada tratta invece ponendo una deroga a quanto egli stesso prescrisse".
SUPER SCILIPOTI - Insieme a Razzi, a voltare le spalle a Tonino, è stato l'ormai celeberrimo Domenico Scilipoti. Anche in questo caso la "svolta" è arrivata poco prima che la Camera votasse la sfiducia bramata da Gianfranco Fini (sfiducia al Cavaliere che, puntualmente, non si è concretizzata). Scilipoti ha cercato di spiegare che la sua era stata una scelta "di responsabilità politica". Niente da fare, però. Prima ci si sono messi i suoi stessi compagni di partito - Scilipoti ha parlato di vere e proprie minacce ricevute dai vertici della "nomenklatura" -, poi è stato il turno dei media e dei parlamentari di opposizione ("venduto", "corrotto", "voltagabbana", "mezz'uomo" e via dicendo"). Infine non poteva mancare Santoro, che ha spedito la sua troupe a Barcellona Pozzo di Gotto per intervistare la madre - novantenne - del deputato. Il gesto ha scatenato la divertente (e divertita) ira di Scilipoti, che ha trovato massimo sfogo nell'indimenticabile show trasmesso dall'etere di Radio 1.
FLORES D'ARCAIS: "SONDAGGI TRUCCATI" - Facile puntare il dito, parlare di compravendita di parlamentari e mercato delle vacche. Ma guardiamo in casa Idv. Se non bastasse l'accusa lanciata in queste vacanze natalizie dall'intellettuale Paolo Flores D'Arcais (alfiere del partito, che però ha messo sotto accusa Tonino Di Pietro, tacciato di truccare un sondaggio sulla trasparenza nel suo partito), possiamo fare un tuffo nel passato per ricordare tutte le incongruenze che hanno animato il partito della legalità. Il cartello elettorale del padre-padrone che, però, viene abbandonato.
"INDEGNITA' MORALE" - Partiamo dal 2005, quando Beniamino Donnici si permise di dire che l'Idv avrebbe dovuto aderire subito al progetto riformista di Romano Prodi, prima tappa verso la nascita del Partito Democratico. Donnici contestò la decisione di Di Pietro di candidarsi alla primarie dell'Unione, e affermò di voler sostenere Prodi. Il democratico risultato fu l'espulsione - senza appello - di Donnici dall'Italia dei valori. Il motivo? "Indegnità morale".
INDULTO E DE GREGORIO - Torniamo poi al 2006, quando con il sostegno del centrodestra, al posto della rifondarola Lidia Menapace, fu eletto presidente della Commissione difesa Sergio De Gregorio. Il deputato accettò l'incarico, anche se l'Idv, in un vortice di controsensi, gli chiedeva di declinare l'offerta. Si trattava proprio di quel Sergio De Gregorio finito nell'inchiesta Telecom Sparkle. Certo, vero, l'Idv quando sono sbucati i fondi neri, De Gregorio lo aveva già abbandonato. Lo aveva fatto proprio nel 2006, pochi giorni dopo lo scontro sulla Commissione e pochi giorni dopo le plateali manifestazioni di Tonino sotto Palazzo Madama. Di Pietro cercava di boicottare l'indulto promosso dalla sua stessa coalizione, che all'epoca governava. Ma a favore di quell'indulto votò una deputata dell'Idv. E' Federica Rossi Gasparrini, e contro di lei si concentrò il fuoco incrociato dei pasdaran dipietristi. Morale, lei fa "ciao ciao" con la manina e va con Mastella. Per inciso, anche De Gregorio, sull'indulto, preferì astenersi. Come a dire, "noi nel partito del tiranno Di Pietro non ci vogliamo rimanere". Esattamente quello che pensano Razzi - in maniera - e l'ex fido alleato De Magistris - in modo meno esplicito.
FRANCA RAME - Andiamo avanti di un anno, siamo nel 2007. La defezione è di quelle pesanti. Si tratta di Franca Rame, la moglie di Dario Fò, portata in pompa magna dall'Idv in Senato. Franca non condivide alcune scelte del gruppo, in particolare quella di non votare a favore dello scioglimento della società per la costruzione del ponte sullo stretto di Messina. Insomma: Di Pietro ordina, il partito obbedisce. Ma il dissenso cresce, e le persone l'Idv possono anche abbandonarlo. Così fa la Rame, come un mese prima aveva abbandonato Salvatore Raiti. Meglio il Partito Democratico. Meglio evitare le bizze di Tonino.
Ancora nel 2007, il movimento Repubblicani Democratici guidato da Giuseppe Ossorio preferì rescindere l'accordo con l'Idv. Non per fare salti (politicamente) pindarici, ma per stringere un'alleanza con i nascenti Democratici. Esattamente come il deputato Salvatore Raiti, che lasciò La Rete per aderire al Pd. Sarà proprio vero che quelli di Scilipoti, Razzi e De Magistris (perchè no...) siano solo capricci, fregnacce e tradimenti?
Esce in edicola un libro che promette di svelare tutti i segreti di Antonio Di Pietro e dell’Idv. Ne parla Libero. Un libro bomba scritto da Mario Dì Domenico, ex amico di Di Pietro e cofondatore dell’Idv. Si chiama “Il "Colpo" allo Stato, la legge è uguale per tutti... salvo alcuni” e promette di esporre al pubblico ludibrio tutti i scheletri nell’armadio dell’Idv e del suo presidente. Dalla raccolta di firme false, agli avvistamenti ad Hong Kong dell’ex pm di Mani pulite in una banca con una pesante valigia, fino alle stravaganti operazioni immobiliari e a strani movimenti circa i rimborsi elettorali. Di Pietro prepara querele, e ha diffidato la pubblicazione del libro. Ma l’editore è andato avanti lo stesso. Ne parla Gianluigi Nuzzi dalle pagine di Libero in un articolo intitolato: “Di Pietro, un libro svela i suoi segreti”. «Già un anno fa – spiega Nuzzi - uscì una prima esplosiva anticipazione del volume. Il «Corriere della Sera» pubblicò in prima pagina la storia di una cena del 15 dicembre del 1992 con commensali d'eccezione. Tra i quali l'allora pubblico ministero, il Tonino nazionale, e l'ex numero tre dei servizi segreti Bruno Contrada, che sarà arrestato poco dopo». Una data non casuale: «quel 15 dicembre, a metà giornata, l'Ansa ha ufficializzato con un dispaccio l'avviso di garanzia contro Bettino Craxi per concorso in corruzione, ricettazione e violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti». Il provvedimento era firmato «con Saverio Borrelli e gli altri colleghi del pool di Milano proprio da Tonino Di Pietro la sera precedente, il 14. E, ventiquattro ore dopo, il giudice per il quale mezza Italia ormai tifa, sta lì a tavola, Contrada seduto accanto a lui, l'agente americano pronto con la targa premio».
Superati gli ostacoli legali che ne hanno impedito per mesi l’uscita, finalmente vede la luce l’autobiografia non autorizzata del leader dell’IdV Antonio Di Pietro (Colpo allo Stato. La legge è uguale per tutti…salvo alcuni, Edizioni Sì) scritta dall’avvocato Mario Di Domenico, tra i fondatori dell’IdV. Pubblicazione rilanciata in prima pagina in un articolo del quotidiano Libero di Gianluigi Nuzzi che ne anticipa i contenuti. Il libro, infatti, accusa Di Pietro di aver compiuto una nutrita serie di irregolarità, scorrettezze e persino reati. Tonino, manco a dirlo, non ci sta. E annuncia non una, ma 50 querele contro il suo ex collaboratore e amico. Panorama.it ha intervistato Di Domenico, che si toglie qualche sassolino dalla scarpa.
Avvocato, finalmente
è riuscito a pubblicarlo…
Oltre alle difficoltà che esistono in ogni lavoro di ricerca nel reperire i
documenti che non erano in mio possesso, per portare avanti un discorso di
verità, bisogna aggiungere le forti pressioni esercitate almeno da un anno
dall’onorevole Di Pietro ai miei editori (Di Domenico è stato costretto a
cambiare casa editrice, ndr) per bloccarne l’uscita: montagne di atti
spediti per spiegare che lui è il San Giorgio della liberazione e per
diffidarne la pubblicazione (Di Pietro di
diffide ne ha inviate ben
sei, ndr).
Ma è in edicola. Di
Pietro, tuttavia, dice che lei nel suo libro racconta balle. E annuncia una
montagna di querele.
Ho letto stamane che sarebbero 50. Ma io gli rispondo: caro Di Pietro, ne basta
una sola. Venga piuttosto in tribunale a rispondere delle pressioni che ha
esercitato in questi mesi sulle case editrici che avevano in mano il mio
manoscritto: sporgerò querela per violenza privata, intimidazione e
diffamazione. Di Pietro parla di una sentenza in cui sarei definito
“grafomane di professione”, ma dice il falso. La verità è che sono un
ricercatore accreditato al Cnr e, per mestiere, scrivo anche libri.
Di Pietro dice che lei
non ha pagato le spese processuali e che la sua casa sarebbe finita all’asta.
I debiti li ho pagati: 20.000 euro di tasca mia, come tutti i cittadini
onesti, e non con i soldi degli inquisiti…
Lei non è il solo ex
collaboratore ad attaccare il leader dell’IdV. Com’è che Di Pietro in tutti
questi anni si è creato così tanti nemici proprio tra i
suoi ex amici?
Perché lui vuole essere il Re Sole, il padrone assoluto del partito. Si finge
comunista, ma non lo è e
non lo è mai stato. E ora
si sta mangiando il Pd. Questo è l’uomo Di Pietro e nel mio libro ho fatto luce
su questo aspetto, scrivendo cose che poi già tutti sanno. Volevo affrontare la
questione morale di cui parlò Berlinguer e che non può essere trascurata oggi.
La verità non deve far paura.
Ed ora che farà?
Sto scrivendo un altro libro di più ampio respiro sulle ombre nella Seconda
Repubblica. Si chiamerà Archivio di Stato. E parlerà, ovviamente,
anche di Antonio Di Pietro e dei danni che ha recato alla magistratura
stessa. Ma non solo: metterò in rilievo altre contraddizioni. Per esempio, pur
avendo buoni rapporti con il Carroccio, di cui stimo la maggior parte dei suoi
esponenti e che anzi devo ringraziare per avermi aiutato nelle mie ricerche,
vorrei far notare che nell’articolo
1 dello Statuto della Lega si
parla tranquillamente di secessione. Lo scrissero anche gli indipendentisti
siciliani nel 1947 e finirono in galera. No, la legge non è uguale per tutti.
Di Pietro da parte sua risponde alle accuse del libro, rilanciate da Libero, direttamente dal suo blog, pubblicando una corposa documentazione “relativa alle accuse diffamanti e denigratorie del signor Di Domenico”.
QUANTO SEGUE E' IL SUNTO COORDINATO DI ARTICOLI DI STAMPA DI PUBBLICO DOMINIO E DI PUBBLICO INTERESSE. ESSO E' IL SUNTO DI TUTTO QUANTO PUBBLICATO SUI GIORNALI, DI CUI IN CALCE VI E' INDICATA LA FONTE. IL TUTTO RACCHIUSO IN:
"Di Pietro - La storia vera" di Filippo Facci (Mondadori): Tutto quello che pensate su Di Pietro è vero. Purtroppo. E qui lo si documenta.
La recensione del libro di Filippo Facci sul leader dell'Idv
La rassicurazione fu: «È amico nostro». Quando lo inviarono per la prima volta a intervistare Antonio Di Pietro, Filippo Facci, giovane cronista del quotidiano socialista l’Avanti!, sapeva di dover scrivere il genere di articolo da esibire quale «santino da parabrezza». La magistratura aveva indetto uno sciopero contro le parole del capo dello Stato Francesco Cossiga, e solo otto toghe non avevano aderito. Tra queste, appunto, Di Pietro, che sulla porta dell’ufficio aveva affisso il cartello “Qui si lavora” e che al cronista rilasciò dichiarazioni poco lusinghiere nei confronti dei colleghi. Era il 2 dicembre 1991 e Di Pietro «era un amico nostro».
"Antonio di Pietro. La storia vera" è la versione riveduta e ampliata di quella “biografia non autorizzata” che Facci aveva già scritto nel 1996 e che di quel libro conserva l’attacco fulminante: «Neppure la data di nascita di Antonio Di Pietro è del tutto chiara». È un saggio, un’inchiesta giornalistica, ma l’autore ha saputo trasformarla nel ritratto di un carattere, un tipo d’uomo, se si vuole anche assai italiano, leone coi conigli e coniglio coi leoni, che recita in pubblico una commedia su un canovaccio da farsa con finale da tragedia. Un carattere pronto ad ammantare di grandi idealità ciò che altro non è se non losco traffico, piccola miseria, infimo cabotaggio. È la storia di Antonio Di Pietro, uomo di umili natali, mandato a studiare nel seminario di Termoli, che in gioventù accudì pecore, galline e maiali («le mucche lo intimorivano») e che raggranellò i primi soldi come benzinaio, garagista e cameriere. Una vicenda coi suoi risvolti appannati («21 esami in 32 mesi: si laureò con 108, ma non lo disse a nessuno») e i suoi inevitabili insuccessi («l’8 ottobre 1984 la Corte d’appello di Brescia espresse parere negativo sulla sua nomina a magistrato di tribunale: “Fondati dubbi circa l’equilibrio, la diligenza, la riservatezza, lo scrupolo nello svolgimento del lavoro e l’adeguata preparazione professionale del magistrato”»).
E' la storia del pm sbeffeggiato dai giornalisti milanesi («Di Dietro») e che poi, da quegli stessi e da molti altri, fu paragonato alla Madonna o a padre Pio, che divenne persino pietra di paragone per stabilire il successo sulla forfora: «Dopo Mani pulite una bella lavata di testa, Shampoo Clear nuova formula risolve vecchi problemi e nuovi grattacapi». In quel pm si è materializzato il risentimento popolare disposto a tutto, anche ad esaltarsi per i suicidi “giudiziari”, per la ghigliottina degli avvisi di garanzia, per le monetine in testa a Bettino Craxi. Di Pietro è stato per anni il centro gravitazionale dei peggiori livori, sapientemente riciclati in consenso diffuso, addirittura in precetto evangelico: «Nel 1993 – scrive Facci – c’era un sol uomo senza peccato: e scagliava pietre». Poche le voci eretiche, tra queste, in quegli anni, quella del Sabato e il suo famoso dossier del luglio ’93 in cui, scrive Facci, «di vero c’era tutto».
Facci ripercorre la storia di un uomo e del suo partito formato famiglia, delle marachelle del figlio Cristiano, dei disonorevoli voltafaccia anche nei confronti degli amici d’infanzia, dei farlocchi cambi di casacca, dei numerosi accordi sottobanco anche coi politici più impresentabili. C’è tutto quel che c’è da sapere: le case, i soldi, le amicizie infrante, gli affari, le dichiarazioni studiate sulla base della più effimera convenienza, persino qualche curiosa rivelazione – invero non del tutto inedita – sul fatto che «alle politiche del 1994 Di Pietro aveva votato Forza Italia». C’è tutto l’Antonio nazionale dall’infanzia a oggi, passando per il partito, i girotondi, i pacinibattaglia, le grillate in piazza, le liti coi compagni scomodi e impiccioni. è un ritratto psicologico, i cui confini si ricavano dai mille e più episodi documentati con scrupolo quasi divertito. Perché, infine, la cifra principale di quest’anima è il grottesco raggiro per cui si vende per immacolato ciò che è spurio. Ci sarebbe da ridere, se non si trattasse di Di Pietro."
A fare la radiografia dell'attuale gruppo di comando di Idv con il metodo Di Pietro i risultati sono impietosi. Fedina penale immacolata, d'accordo. Fedina politica, molto meno. Nei gruppi parlamentari di Idv trasformisti, riciclati e capibastone sono ben rappresentati. Il senatore Aniello Di Nardo, per esempio, ha cominciato a fare politica a Castellammare di Stabia, nella Dc di Antonio Gava. Eletto deputato nel Ccd di Casini, ha traslocato nell'Udeur di Mastella, ottenendo in cambio la poltrona di sottosegretario all'Interno e la protezione civile in Campania con Antonio Bassolino. Stesso percorso del suo collega a palazzo Madama Giacinto Russo: assessore mastelliano all'Industria, lascia l'Udeur e passa con Di Pietro l'8 febbraio 2008, quando alle elezioni mancano poche settimane, ricompensato con un seggio al Senato. A personaggi così Di Pietro chiede di lasciare le giunte in Campania: gli affetti più cari.
Casi isolati? Macché. Alla Camera c'è Antonio Borghesi, l'uomo della commissione Bilancio, il Tremonti di Di Pietro, che da presidente della Provincia di Verona con la Lega si professava secessionista. Oppure l'eterno Aurelio Misiti, che per due anni mantenne il doppio incarico di assessore ai Lavori pubblici in Calabria nella giunta di destra di Chiaravallotti e di presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici nominato da Pietro Lunardi, alla faccia delle incompatibilità e dei conflitti di interesse. E poi il tarzan David Favia, deputato marchigiano. Un forzista della prima ora, un pasdaran berlusconiano. Al punto che nel 2000 nei suoi volantini chiede agli elettori: "Volete l'Italia di Berlusconi o quella di D'Alema e di Di Pietro?". Lui non ha dubbi, sta con il Cavaliere e viene eletto consigliere regionale. Fino al 2004, quando passa ai mastelliani. Il 27 febbraio di quest'anno, a poche ore dalla chiusura delle liste, altra conversione: Clemente addio, "Idv è il partito più vicino al mio modo di intendere i valori". E questa sì che è un'abiura, altro che Galileo.
"Non ci servono gli estremisti, dobbiamo rappresentare quei moderati che hanno a cuore la legalità. Un elettorato perbenista", teorizza il deputato barese Pino Pisicchio, uno che alla Camera per la prima volta è stato eletto più di vent'anni fa, nella Dc e che ha appena pubblicato un libro sull'Idv. Sarà. Ma non è esattamente il tipo di personale politico che gli elettori si aspettano di trovare. "Siamo un partito che non è ideologicamente ingabbiato, ma programmaticamente evoluto", si difende Tonino. Traduzione: prendere voti a tutto campo. Strapparli alla Lega al Nord, alle liste civiche, all'elettorato legalitario di An e soprattutto al Pd. Con qualche new entry mirata come lo storico Nicola Tranfaglia, nell'ultima legislatura deputato Pdci. E i nuovi dipartimenti affidati a figure di prestigio, tutte legate al Pd: l'ex senatore dell'Ulivo Paolo Brutti parlerà di infrastrutture, al sociologo Pino Arlacchi, esperto dell'Onu sulla droga, sarà affidato il dipartimento internazionale. E di riforma delle istituzioni si occuperà il giurista Stefano Passigli, ex repubblicano, ex senatore ulivista, tra i fondatori del Pd, deluso del partito veltroniano. Altri sono in arrivo.
Nomi che nei piani di Di Pietro dovrebbero consentire di fare il famoso salto, almeno di qualità. Per la quantità bisogna lavorare sulle fasce di elettorato più attratte dal verbo dell'ex pm: i ragazzi tra i 18 e i 34 anni sono al primo posto tra gli elettori potenziali, seguono le donne. I giovani si organizzano via Facebook, fanno i banchetti per raccogliere le firme contro il lodo Alfano davanti alle discoteche. Il coordinatore Massimo Romano è il prototipo del nuovo dipietrista: uomo di legge (studia da avvocato), ambizioso (sogna di fare il sindaco di Campobasso) e molisano come il leader. A reclutare le donne ci pensa la senatrice Patrizia Bugnano, rappresentante della sparuta quota rosa di Idv (due deputate su 28, due senatrici su 14). Con una modalità originale: dalle colonne di 'Gioia' Di Pietro ha chiesto di spedire un curriculum, l'idea è piaciuta, sono in corso i colloqui.
Obiettivo: conquistare l'Italia della protesta. Il monopolio dell'opposizione. E non solo sulla giustizia: la questione morale e il referendum sul lodo Alfano restano i cavalli di battaglia, ma serve anche rafforzare il messaggio sulle questioni economiche e sociali che sono al primo posto delle preoccupazioni degli elettori. Di Pietro studia: tabelle, grafici, carte, emendamenti. Passa da una trasmissione all'altra, infreddolito, febbricitante, combattivo. Con un sogno non confessato: il10 per cento alle elezioni europee. Per raggiungerlo è disposto anche al supremo sacrificio: cancellare il suo nome dal simbolo elettorale di Idv, per dare vita a "una grande lista civica nazionale". La leadership val bene un po' di umiltà. Anche per un uomo della Provvidenza come Antonio Di Pietro. * 1
Tutti gli intrallazzi del clan Di Pietro.
Giudicate voi.
1) Il 23 settembre il senatore Sergio De Gregorio dice al Velino che Cristiano Di Pietro, consigliere provinciale a Campobasso, risulta intercettato e coinvolto in un’inchiesta non ben definita.
2) Il 10 ottobre il settimanale La voce della Campania circostanzia le accuse: la magistratura sarebbe in possesso di intercettazioni dove Cristiano chiederebbe l’assunzione di amici suoi a Mario Mautone, ai tempi provveditore alle opere pubbliche di Molise e Campania.
3) Il 21 ottobre è invece il Giornale, in prima pagina, a riprendere la stessa notizia spiegando che fu Antonio Di Pietro, da ministro delle Infrastrutture, a nominare Mauro Mautone Direttore centrale del settore edilizia e poi presidente di una commissione tecnica sugli appalti autostradali; Di Pietro, genericamente, annuncia querele.
4) Il 3 dicembre il Giornale e il Mattino rivelano che il citato Mautone figura nell’informativa giudiziaria che darà il via alla Tangentopoli partenopea; Di Pietro allora dirama un comunicato dove spiega che in realtà, a metà del 2007, trasferì appositamente il provveditore Mautone «nel momento in cui ho appreso le prime avvisaglie di indagini». Nota: non è chiaro, rileva solo il Giornale, come Di Pietro già a metà del 2007 potesse essere a conoscenza di «indagini» ovviamente coperte da segreto istruttorio.
5) Il 4 dicembre comincia il soccorso di Repubblica: il vicedirettore Giuseppe D'Avanzo scrive che il Giornale ha dato «una notizia farlocca» e parla di un «venticello calunnioso» che si insinua su Di Pietro, persona che sue fonti anonime definiscono «di esemplare correttezza»; Repubblica definisce «sventurato» Cristiano Di Pietro, vittima solo di qualche incauto colloquio telefonico. Nota: la notizia, come visto, non è farlocca per niente; nota 2: Di Pietro, a quel punto, si difende dalle accuse del Giornale spiegando che «come qualsiasi cittadino» aveva saputo «dell’esistenza delle indagini dalle agenzie di stampa». Circostanza, questa, che risulta falsa: nessuna agenzia ne ha mai parlato.
6) Nega e rinega, si giunge a ieri: alcuni quotidiani pubblicano un’informativa della Dia che sbugiarda tutte le uscite precedenti di Di Pietro. Tutta roba che avrete già letto. È la Dia a scrivere di «fuga di notizie» (altro che agenzie) e di un Di Pietro che di colpo, il 29 luglio 2007, mangia la foglia e smette o quasi di parlare al telefono; è Cristiano Di Pietro, spiega la Dia, a chiedere assunzioni e favori a Mario Mautone salvo smettere improvvisamente, dalla stessa data, di chiamarlo o rispondergli al telefono; e Di Pietro, durante una riunione politica coi suoi, a giudicare d’un tratto «troppo esposto» suo figlio. L’informativa e le intercettazioni di Cristiano Di Pietro fanno capolino sulle prime pagine di molti giornali: sono notizie. Tra le tante telefonate ce n’è poi una, pubblicata anche dal Giornale, dove la moglie di Mario Mautone, alla notizia che verrà trasferito, cerca un po’ pateticamente di spronare il marito: «Buttala sul ricatto al figlio, ricattalo sul fatto che lui ha bisogno di te su tante cose». Una frase come un’altra, buttata lì da un’attrice senza parte: tanto che il marito neppure commenta. La Dia, in ogni caso, precisa che il ricatto neppure tentato è comunque «non riuscito».
7) Ed eccoci. Di Pietro dirama un comunicato titolato «Magistrati avanti tutta» che ha dell'incredibile. In precedenza aveva detto di sapere dell'indagine sin dal 2007, grazie a fantomatiche agenzie di stampa: «Non so nulla di più di quello che ho letto sui giornali circa le accuse che vengono mosse a questo dirigente ministeriale», dice ora. Poi: «Quando arrivai al ministero presi una decisione che ora, a ragion veduta, si è dimostrata davvero azzeccata: ho trasferito Mautone ad altro incarico e l’ho spostato di sede, togliendogli quindi ogni possibilità di fare danni».
Cioè: il trasferimento che portò Mautone alla direzione del settore edilizia pubblica e interventi speciali del ministero delle Infrastrutture, guidato da Di Pietro, sarebbe un luogo di espiazione dove non si possono far danni. Né favori. Ma sempre ieri, soprattutto, eccoti il capolavoro di Repubblica. Il soccorso finale. Le intercettazioni, quelle di Cristiano Di Pietro con Mautone, non compaiono. Mentre il rapporto della Dia, quello che evidenzia le contraddizioni e le bugie di Di Pietro, è affogato nel piombo di in un articolo che parla d'altro: la marginalissima telefonata della povera moglie di Mautone («Buttala sul ricatto») diventa il provvidenziale titolo a tutta pagina: «Dobbiamo ricattare il figlio di Di Pietro. Così volevano tenere sotto il ministro». «Così» come? Non lo spiegano. Nel richiamo di prima pagina diventa addirittura così: «Napoli, nelle carte spunta ricatto al figlio di Di Pietro». Nell’articolo, del ricatto, non c’è traccia. E non è tanto una forzatura, non è tanto una faziosità: è una barzelletta. La cui morale, terminato di ridere, è che Antonio Di Pietro resta l’uomo più protetto d'Italia. * 2
(Bolzano- 17 marzo 2002 - ......ha dichiarato Travaglio, ricordando infine, "i 54 procedimenti contro Antonio Di Pietro...... http://www.trentino.antoniodipietro.it/incontri/10ncontri.htm.
La prima grana giudiziaria è del 7 aprile 1995: a Brescia, Di Pietro, è iscritto nel registro degli indagati per le dichiarazioni del generale Cerciello, che racconta di avere appreso di pressioni esercitate su altri imputati, affinché lo coinvolgessero nelle indagini assieme a Silvio Berlusconi. L’inchiesta, condotta del PM Fabio Salamone, si conclude poco dopo con la richiesta di archiviazione, fatta dallo stesso magistrato che, nel frattempo, però, aveva indagato Di Pietro per varie altre vicende.
Il secondo e terzo proscioglimento arrivano tra il febbraio e il marzo 1996 per le accuse di concussione e abuso d’ufficio per l’informatizzazione degli uffici giudiziari.
Una quarta archiviazione per alcuni esposti di Sergio Cusani.
Il quinto proscioglimento per un’accusa di concussione ai danni dell’ex presidente della Maa assicurazioni Giancarlo Gorrini (prestito di 100 milioni, compravendita Mercedes) e per il reato di abuso d’ufficio per avere favorito l’amico Eleuterio Rea nella nomina a comandante dei vigili urbani di Milano.
Il 15 ottobre 1997 DI Pietro è prosciolto dall’accusa di falso ideologico in relazione alla firma dei verbali di alcuni interrogatori delegati ad ufficiali di polizia giudiziaria.
Il 10 dicembre 1998 è archiviata l’accusa di avere ottenuto l’uso di un appartamento in centro e per aver favorito il socialista Sergio Radaelli nell’inchiesta sulle tangenti Atm.
Il 18 febbraio 1999 Antonio Di Pietro è di nuovo prosciolto dall’accusa di corruzione per aver favorito, nelle sue inchieste, Pierfrancesco Pacini Battaglia. * 3
“Altro che apparentamento nel segno della legalità. Io credo che se Veltroni ha imbarcato Di Pietro lo ha fatto per annettersi tutte le clientele dell’Udc in Calabria e in altre regioni del Sud, visto che queste clientele stanno adesso tutte confluendo nell’Italia dei Valori”.
Le parole e il concetto sono espressi dall’avvocato Franco Romano, che dell’Italia dei Valori è stato responsabile proprio nella regione Calabria, e a raccoglierle solo qualche giorno fa è stato il corrispondente dal Senato di Radioradicale, Alessio Falconio.
Che in una serie di interviste radiofoniche, con la giornalista di “Panorama” Laura Maragnani, con l’ex amico di Di Pietro Elio Veltri e con l’ex socio di partito Achille Occhetto ha sviscerato nell’indifferenza generale dei grandi media il caso Di Pietro. In tutto questo, il prossimo 27 febbraio Antonio Di Pietro dovrà anche comparire in udienza camerale davanti al gip di Roma in veste di indagato per falso e truffa aggravata in relazione all’utilizzo dei soldi pubblici incamerati dall’Idv e dall’ex organo di partito. Insomma Veltroni ancora non lo sa ma la questione morale nel Pd fra poco potrebbe avere il volto, anzi il lato B, di Di Pietro.
Ma nel senso esattamente opposto a quello che crederebbero tutti i suoi ammiratori.
La giornalista Maragnani parla di un “metodo di Pietro” che ben poco sarebbe cambiato dall’epoca delle inchieste subite a Brescia e finite tutte con assoluzioni.
La definizione più bonaria che viene data all’unisono da tutti i testimoni sentiti è quella di un padre padrone che gestisce un patrimonio di ormai 22 milioni di euro.
Nelle interviste si parla di una società, la Antocri (Anna, Totò e Cristiano sono i nomi dei tre figli di Di Pietro) che possiede case a Roma, Milano, Bruxelles, Montenero di Bisacce e persino in Bulgaria e che quelle stesse case le dà poi in locazione al partito, alla sede del giornale, agli uffici.
Sia come sia, l’Italia dei valori è stata segnalata al Consiglio d’Europa perché ad approvarne i bilanci è di fatto un’unica persona, cioè Di Pietro stesso. Che nelle società si avvale anche della ex moglie Susanna Mazzoleni e di un’amica di Brescia, Silvana Mura. L’atto di nascita del sistema di Pietro e del suo partito personale ha anche una data, il 26 settembre 2000. E un luogo: via delle Province 37, Roma. E’ lì che prende forma la “Libera associazione Italia dei valori-Lista Di Pietro, in breve Idv”. L’oggetto sociale? “La valorizzazione, la diffusione e la piena affermazione della cultura della legalità, la difesa dello stato di diritto, la realizzazione di una prassi di trasparenza politica e amministrativa”.
Però adesso uno dei soci fondatori di allora, l’avvocato abruzzese Mario di Domenico, anche lui sentito da Radio radicale, ha fatto un esposto in cui Di Pietro viene accusato proprio di quelle cose che lui per anni ha rovesciato addosso ai politici per dimostrare che sono gli affaristi della politica.
Sulla base dell’esposto di Di Domenico è nata l’inchiesta sfociata nell’udienza camerale del prossimo 27 febbraio in cui di Pietro è formalmente indagato.
Di Domenico ha raccontato come dal 5 novembre 2003 l’associazione partito sia diventata una cosa privata di Di Pietro. Anche dal lato politico il metodo Di Pietro non ha nulla da invidiare a quello Mastella: prima si diceva delle clientele calabresi passate in blocco dall’Udeur all’Idv, ebbene non è da dimenticare che tra questi uomini ce ne sono alcuni che il Di Pietro non farebbe passare sotto silenzio qualora si trattasse di gente presente in altri partiti.
Però per se stesso fa una eccezione. Come nel caso dell’avvocato Armando Veneto, ex Udeur ora maggiorente Idv in Calabria, che nel 1979 aveva tenuto l’orazione funebre del boss Girolamo Piromalli, detto Momo. Di questo fatto ormai si parla persino nei libri di storia, come quello del professor Enzo Ciconte, uno dei massimi esperti della ‘ndrangheta esistenti in Italia e consulente della stessa commissione parlamentare antimafia. La notizia dei giorni scorsi era che Di Pietro aveva declinato l’invito del direttore di “Panorama”, Maurizio Belpietro, a presenziare a una puntata televisiva di “Panorama del giorno” su Canale 5. Magari l’italiano medio crederà che “il gran rifiuto” sia legato al fatto che Di Pietro non vuole andare nelle stesse tv che dichiara di volere chiudere. Qualcuno più smaliziato potrebbe ritenere che l’ex pm di “Mani pulite” avrà ritenuto di evitare qualche domanda scomoda su vicende personali. * 4
«Al giorno d’oggi la gente conosce il prezzo di tutto e il valore di niente». Che c’azzecca una delle più celebri citazioni di Oscar Wilde con quello che leggerete fra qualche riga? C’azzecca, fidatevi. Pensate che, prima o poi, sarà costretto anche lo stesso Antonio Di Pietro, vessillifero dei Valori d’Italia o dell’Italia dei Valori a riconoscere che quella massima c’azzecca. Perché quei suoi Valori conclamati e sbandierati, giorno dopo giorno stanno diventando sempre più Disvalori. Colpa di scivoloni, scandali e incidenti di percorso che hanno coinvolto soldati e militanti di quello che, così annunciò Di Pietro a suo tempo, sarebbe stato il partito più pulito del Paese. Peccato che nel partito della trasparenza il primo a incespicare più volte sia stato proprio il leader maximo.
(Così come dicono gli eurodeputati Achille Occhetto, Giulietto Chiesa e Elio Veltri (ex amici che ora ne dicono peste e corna ai microfoni di Radio radicale) i quali lo accusano di essersi intascato i cinque milioni di rimborso elettorale per le europee lasciando a secco il famoso “cantiere” http://www.loccidentale.it/node/13702).
Era il febbraio di quest’anno quando Di Pietro attirò l’attenzione della magistratura di Roma per appropriazione indebita, falso in atto pubblico e truffa aggravata ai danni dello Stato finalizzata al conseguimento dell'erogazione di fondi pubblici. Storie di presunte irregolarità commesse dall’ex pm nella gestione delle finanze nell'Italia dei Valori riguardo alle spese elettorali, alle movimentazioni dei conti del suo partito: in tutto, oltre 20 milioni di euro. Più l'antipatica questione di un assegno «non trasferibile» da 50mila euro destinato al partito ma ugualmente incassato da Di Pietro. Fatto sta che la Procura decise di rinviare a giudizio anche la deputata-tesoriera dell’Idv, Silvana Mura. Una bolla di sapone, qualcuno obietterà. Dissoltasi nell’aria all’arrivo dei prima caldi primaverili.
Eppure Di Pietro ci rimane male quando qualcuno, metti il Giornale, mette in piazza alcune sue debolezze. Per esempio il vizietto di giocare a Monopoli comprando case con soldi che non si capisce da quale parte e come arrivino. Tra il 2002 e il 2008 ha speso quattro milioni di euro per collezionare, assieme alla moglie Susanna Mazzoleni, immobili un po’ ovunque da Montenero, a Bergamo, a Milano, da Roma a Bruxelles. Lui non appare mai, fa tutto l’amministratore della sua società immobiliare An.to.cri (acronimo di Anna, Toto, Cristiano, i figli di Di Pietro) compagno di Silvana Mura. Siamo alle solite. Confusione di ruoli e ambiguità fra movimento e associazione con locazioni degli immobili di proprietà di Di Pietro al partito del medesimo. «Da noi c’è posto solo per candidati che oltre al certificato elettorale portano con sé anche il certificato penale», amava ripetere. Evidentemente si deve essere distratto in più d’una occasione se è vero come è vero che Paride Martella, ex presidente della Provincia di Latina, esponente Idv è stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta su appalti truccati della Acqua latina, un giro da 15 milioni di euro. In Liguria due suoi consiglieri su tre hanno avuto problemi giudiziari. Gustavo Garifo, capogruppo provinciale dell’Idv di Genova, è stato ammanettato in ottobre per aver lucrato sugli incassi delle multe. Andrea Proto, consigliere comunale, reo confesso, ha incassato una condanna a un anno e nove mesi per aver raccolto la firma di un morto. Giuliana Carlino, consigliere comunale Idv, indagata per aver falsificato migliaia di firme.
Per corruzione è finito in cella il segretario Idv di Santa Maria Capua Vetere, Gaetano Vatiero. Mentre Mario Buscaino, già sindaco di Trapani, nel Luglio del 1998 è stato accusato di concorso in associazione mafiosa per voto di scambio. Maurizio Feraudo, consigliere regionale calabrese, indagato per concussione (per anni avrebbe preteso un tot sullo stipendio da un suo autista) e truffa. A Foggia l’ex assessore ai Lavori pubblici e coordinatore provinciale del partito, Orazio Schiavone, è stato condannato a un mese e dieci giorni per esercizio abusivo della professione. Rudy D’Amico, un altro ex assessore dell’Idv, questa volta a Pescara, e rimasto coinvolto nell’inchiesta «Green Connection» sulla gestione del verde pubblico. E ancora per Aldo Michele Radice, portavoce Idv in Basilicata, consigliere del ministro Di Pietro il Pm ha chiesto 9 mesi per la raccomandazione di un manager sanitario.
Sorridete: perché c’è anche chi l’auto blu, pur non avendola assegnata, se la compra e utilizza lampeggiante e paletta in dotazione al Consiglio regionale. È Ciro Campana, fermato nei giorni scorsi a Napoli dai carabinieri. Campana non è un consigliere, ma un collaboratore esterno del capogruppo Idv, Cosimo Silvestro. Che abbia ancora una volta ragione Di Pietro? «Quando crescono le responsabilità, e la classe dirigente la devi trovare sul territorio - si difende - lo sa anche Gesù Cristo che ogni dodici c’è un Giuda». * 5
E allora, viene da chiedersi, che cos'è un conflitto d'interessi per Antonio Di Pietro allorché vi sia un rapporto di parentela, piuttosto che di amicizia o di legame professionale? Forse che il rapporto di parentela, al quale Antonio Di Pietro fa riferimento nel lanciare la sua solita populistica accusa nel suo ultimo post, non sia lo stesso che lo riguarda rispetto al di lui figlio Cristiano per l'appunto, per non parlare del rapporto di amicizia e/o professionale con riferimento al di lui avvocato, Scicchitano, membro del consiglio di amministrazione dell'Anas nominato, il 20 luglio 2006, dallo stesso ministro, Presidente Lazio Service S.p.a., Liquidatore Federconsorzi nonché eletto IDV nel Lazio come appariva sino a mesi fa sul sito dell'IDV? Le ovvie risposte che si possono dare strappano un amaro sorriso, siamo alla farsa!! * 6
La coltre di silenzio di Di Pietro sul crack Federconsorzi dopo l'arrivo di Scicchitano come liquidatore Federconsorzi dal 2003, e già nella procedura fallimentare della Cirio, nonché suo legale, eletto nel lazio per l'IDV come amministratore nel 2005, nonché presidente Lazio Service S.p.A.
Scicchitano nell’ottobre 2003 è stato nominato dal Tribunale Civile di Roma Liquidatore Giudiziale della Federazione dei Consorzi Agrari Federconsorzi in Concordato Preventivo.
Esemplare è il fallimento della Federconsorzi. Caposaldo dello scandalo, la liquidazione di un ente che possedeva beni immobili e mobili valutabili oltre quattordicimila miliardi di lire per ripagare debiti di duemila miliardi. L’enormità della differenza avrebbe costituito la ragione di due processi, uno aperto a Perugia uno a Roma. La singolarità dello scandalo è costituita dall’assoluto silenzio della grande stampa, che ha ignorato entrambi i processi, favorendo, palesemente, chi ne disponeva l’insabbiamento.
Paolo Madron: È vero che molti
avvocati di parte civile erano aderenti all'Italia dei valori?
Pellegrino Capalbo: Sì, c'era anche Antonio Di Pietro che però a un certo punto
si defilò. * 7
Bel sistema all'italiana, quello escogitato dal ministro Antonio Di Pietro per sveltire i lavori delle autostrade: istituire commissioni speciali nominate da lui medesimo in persona. Peccato che finora questi nuovi organismi abbiano prodotto soltanto ritardi e aumenti di costi. Tempi allungati, perché il titolare delle Infrastrutture non è tempestivo nelle nomine. E maggiori spese, perché i commissari insediati sono autorizzati a chiedere parcelle astronomiche: anche il 2 per cento a testa dell'importo complessivo dei lavori.
La denuncia parte dal Friuli Venezia Giulia, dove l'urgenza di accelerare i lavori per alleggerire il sempre più inadeguato sistema autostradale è particolarmente sentita; ma potrebbe riguardare anche altre opere. È tutto scritto in un'interrogazione presentata in consiglio regionale dai capigruppo di Forza Italia, Isidoro Gottardo, e Alleanza nazionale, Luca Ciriani. Succede questo, per esempio: i tre commissari incaricati di valutare l'assegnazione del progetto esecutivo della terza corsia dell'autostrada A4 nella quindicina di chilometri fra Quarto d'Altino e San Donà di Piave hanno mandato un conto complessivo di circa 130mila euro.
La composizione di queste commissioni, infatti, tocca non genericamente al ministero «ma specificamente al gabinetto del ministro Di Pietro». Con il risultato, osservano ancora, di rendere «evidente il grave livello di interferenza politica nella composizione delle commissioni giudicatrici». «Dei tre commissari per il progetto della Quarto d'Altino-San Donà - dice Gottardo - uno era un ingegnere dello Iacp di Gorizia in pensione candidatosi per l'Italia dei Valori, e il secondo un dirigente delle opere pubbliche del Lazio nato a Montenero di Bisaccia. Il terzo è il direttore del dipartimento Anas. Due nomi su tre sono legati personalmente a Di Pietro». * 8
Ma per Di Pietro la famiglia è sacra. «Io sono sempre stato a difesa della legalità». Antonio Di Pietro ieri aveva un comizio a Perugia e in campagna elettorale si possono dire anche cose che rischiano di essere smentite dai fatti, in particolare da quella che Achille Occhetto ha di recente definito «la gestione padronale e autoritaria del suo partito». Se poi ci sono di mezzo i figli...
Anna Di Pietro è brillante, di bella presenza, studentessa all'università Bocconi e parla con quell'accento milanese che non ha mai intaccato la cadenza molisana del papà. Nel marzo 2006 viene assunta dalla Editrice Mediterranea, la società che pubblicava il giornale dell'Italia dei valori: nella redazione romana di via della Vite, una splendida traversa di via del Corso, raccontano però di non averla mai vista, nemmeno per ritirare le buste paga. Insomma, sulla carta è assunta a tutti gli effetti per svolgere il praticantato, che dà diritto a sostenere l'esame da professionista. Solo che non ha mai lavorato.
Al giornale, nel frattempo, avevano pensato che avesse cambiato idea, che di fare la cronista non avesse più alcuna intenzione. E però in mancanza di comunicazioni diverse continuano a darle lo stipendio, che non ha mai ritirato. Non è l'unica figlia eccellente affidata alle cure della direttrice Delia Cipullo. Tra i praticanti figura anche Antonio Formisano, figlio di Nello, capogruppo al Senato dell'Idv. Lui però lavora davvero, tant'è che nella lista dei praticanti ammessi a sostenere il prossimo esame figura iscritto al numero 83.
Di Anna Di Pietro, invece, al giornale del partito avevano perso le tracce. Anche perché nel frattempo, esattamente a luglio 2007, suo padre intima alla Editrice Mediterranea la dismissione della testata Italia dei valori e pone fine al rapporto che faceva del giornale l'organo del suo partito, con i relativi fondi per l'editoria.
L'editore dà seguito alle richieste dell'ex magistrato, restituendogli la titolarità della testata. Da allora di Di Pietro non hanno più notizie dirette. Incoraggiato dalla combattiva Cipullo, l'editore cerca però di andare avanti con il suo giornale che esce fino allo scorso 4 agosto sotto la testata Idea democratica. Ma il disconoscimento dell'Idv porta alla chiusura di «una redazione vera, di persone vere che facevano un giornale vero» spiega Delia Cipullo, «con più di dieci giornalisti». Insomma, ci tiene a precisare orgogliosa, «non uno di quei giornali finti che servono solo ad avere i soldi dell'editoria di partito». A gennaio la sorpresa, Antonio Di Pietro si ricorda del suo ex giornale, e così nella redazione ormai in via di dismissione, cominciano ad arrivare dal suo staff una serie di telefonate.
Alla direttrice viene chiesto di certificare l'avvenuto praticantato di Anna Di Pietro. A fronte di una situazione contributiva regolare, ci tiene a specificare la direzione del giornale, per far sì che la figlia del ministro possa sostenere l'esame da giornalista nella prima sessione utile occorre che Delia Cipullo certifichi ufficialmente l'apporto dato dalla ragazza alla redazione. La direttrice però da questo orecchio non ci sente e risponde alle insistenti richieste con un netto no: «Non firmo la certificazione perché non sussistono gli estremi per farlo. Il praticante deve stare in redazione e io Anna Di Pietro non l'ho mai vista nemmeno una volta. Non ha mai ritirato le buste paga. A tutt'oggi è ancora una dipendente della Editrice Mediterranea, malgrado tutto non l'abbiamo licenziata. Però fino ad ora non ha mai lavorato e quindi non posso firmare alcunché».
L'ultima telefonata
è di due giorni fa, giovedì 13 febbraio. Ma la Cipullo continua a non cedere.
Per la figlia del ministro Di Pietro niente esame da giornalista. Una questione
di rispetto della legge, in teoria lui dovrebbe capirlo.
I figli so'
piezz 'e core, si sa, ma un uomo che fonda le sue fortune politiche sulla fama
di rigoroso cultore delle regole non può farsi beccare in un plateale fallo di
nepotismo: va a finire che in privato sembra adottare esattamente quei metodi «mastelliani»
che ama criticare in pubblico. * 9
Comunque al peggio non c'è fine. L'Ordine degli avvocati sospende Di Pietro. Tre mesi di sospensione per l’avvocato Antonio Di Pietro. L’ex pm di Mani Pulite si è visto confermare dal Consiglio nazionale forense la «sanzione» del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Bergamo che aveva già stigmatizzato il «doppio ruolo» ricoperto nei confronti di un amico di Montenero coinvolto in un omicidio: prima il neo avvocato ne prese le difese, poi passò tra le parti civili che sostenevano la tesi dell’accusa. Una cosa che non si fa: «La condotta del professionista - si legge nelle motivazioni della decisione - integra certamente la violazione dei doveri di lealtà, correttezza e di fedeltà (articolo 5, 6, 7 del codice deontologico forense) nei confronti della parte assistita e integra altresì l’illecito deontologico». A seguito degli accertamenti svolti, e della sussistenza degli illeciti contestati, «non può che conseguire la sanzione disciplinare». Calcolata in tre mesi di sospensione dell’esercizio della funzione di avvocato in quanto «adeguata alla gravità dell’illecito compiuto». * 10
Ufficialmente indagato dalla Procura di Roma per concorso in abuso d’ufficio e interruzione di pubblico servizio. Ma anche ufficialmente candidato alle elezioni europee di giugno 2009 per l’Italia dei Valori.
È la posizione di Luigi De Magistris, l’ex pm di Catanzaro che martedì 17 marzo 2009 ha annunciato il suo ingresso in politica nel partito di Antonio Di Pietro. Partito che segue – o dovrebbe seguire – un codice etico interno: divieto di candidatura per chi è indagato e divieto di assumere o mantenere incarichi di governo per chi è rinviato a giudizio. «Noi ci siamo dati questo codice perché la questione morale riguarda chi è presente nelle istituzioni e approfitta di questo ruolo», ribadiva Di Pietro il 28 dicembre 2008 al termine degli incontri del suo partito in Sardegna.
Ora è De Magistris ad essere indagato, insieme ad altri sette pm di Salerno, nel filone dell’inchiesta Why Not. Il magistrato dovrà rispondere delle deposizioni rese alla procura di Salerno nel dicembre 2008: denunciava di essere stato vittima di una manovra dei colleghi di Catanzaro per delegittimare le sue indagini.
Ora che è indagato, però, dovrebbe andare ad allungare la lista degli “impresentabili” di Di Pietro. Che tace.
Parla, invece, De Magistris, ospite trasmissione “Omnibus” su “La 7” del 19 marzo 2009: «L’ipotesi di reato è del tutto infondata. È ridicola e grottesca». Non pare intenzionato a farsi da parte. Anzi. «Sarò indagato per i prossimi 30 anni. Su di me sono stati aperti più di 100 procedimenti, un numero superiore a quello che riguardò i pm di Mani Puliti», è la previsione tra il serio e il sarcastico dell’ex magistrato.
La notizia di una sua iscrizione nel registro degli indagati della Procura di Roma, insieme ad altri sette pm di Salerno, è arrivata poche ore dopo la conferenza stampa, in cui l'ex magistrato era stato presentato da Antonio Di Pietro come candidato indipendente con l'Idv. Il fascicolo nei suoi confronti era stato però aperto già a febbraio e riguarda la «guerra» tra le due Procure di Salerno e Catanzaro relativa all'inchiesta «Why not» — che provocò l'intervento addirittura di Giorgio Napolitano e quello del Csm — e nella quale si sono trovati invischiati e poi scagionati Romano Prodi e Clemente Mastella.
I reati ipotizzati sarebbero quelli di abuso d'ufficio — per aver eseguito una perquisizione che sarebbe andata oltre le necessità investigative e sarebbe stata realizzata in modi «anomali» — e interruzione di pubblico servizio, perché avendo realizzato una perquisizione abusando del proprio ufficio, in questo modo avrebbe anche interrotto l'attività della magistratura in modo non giustificato. Secondo le accuse ora al vaglio della procura capitolina, il sequestro del fascicolo dell'inchiesta Why Not eseguito dalla procura di di Salerno - e ispirato da De Magistris - alla procura generale di Catanzaro costituì — parole dell'ex pg Enzo Jannelli, indagato a Salerno — «un danno devastante per l'intera Magistratura italiana e disdoro anche per quella, pur complessivamente sana, magistratura inquirente salernitana».
Nonostante ciò, Luigi De Magistris è stato in Puglia due giorni per la campagna elettorale dell’Idv per le europee 2009 e non si è lasciata sfuggire l’occasione di attaccare il Pd per la scelta di alcuni candidati alle europee, a partire da Paolo De Castro quale capolista per il Sud, che «a quanto ho capito serve solo a dare la possibilità di mandare in parlamento Alberto Tedesco» (indagato) e, «al di là della vicenda giudiziaria, mi sembra il sintomo di un grave inquinamento della classe politica meridionale».
Quando si dice: il bue chiama cornuto l’asino! Ma non basta.
Antonio Di Pietro è sempre più organico alla casta che dice di combattere: dopo aver candidato l’inquisito De Magistris, dopo non aver eccepito a che il suo figlio mantenesse lo stipendio di consigliere provinciale benché inquisito, dopo aver cooptato mezza famiglia in politica, dopo essersi intestato la ricezione di tutto il finanziamento pubblico del partito, dopo tutto questo, ecco la nemesi definitiva a 17 anni da Mani pulite: l’ex pm si trincera dietro l’immunità parlamentare per non essere condannato in una causa per diffamazione che l’avrebbe sicuramente visto perdente. Il Parlamento europeo, con 654 sì e 11 no e 13 astenuti, ha deciso di non revocare l’immunità, che Di Pietro stesso aveva chiesto dopo averlo pubblicamente negato. E non si tratta neppure di un procedimento penale, ma di una causa civile: significa che Di Pietro l’ha fatto solo per non perdere soldi, proprio come i mostri della casta.
Di questo passo somiglierà sempre più all’imitazione che ne fa Neri Marcorè: dice una cosa, fa il suo contrario. Di Pietro si è fatto proteggere dall’immunità di eurodeputato per una causa civile di diffamazione, dopo aver pubblicamente detto che avrebbe rinunciato alle garanzie da eurodeputato (Ansa, 11 febbraio 2009), dopo aver detto che l’articolo 68 della Costituzione, per l’appunto l’immunità, va cancellato perché «aveva senso quando fu scritto, dopo la fine del fascismo. Ho sempre detto che l’articolo 68 andrebbe abrogato» (Ansa, 23 luglio 2007). Si protegge con l’immunità, ancora, dopo aver fatto sfoggio di eticità sulla pelle del senatore Luigi Grillo, Pdl, raggiunto da rinvio a giudizio nel maggio 2008: «Ora chiederà di non avvalersi dell’immunità parlamentare per farsi giudicare, come responsabilità istituzionale vorrebbe?», disse Di Pietro.
Chiede e ottiene la tutela parlamentare, dopo aver sfidato pubblicamente Silvio Berlusconi sul medesimo punto: «Se vuole querelarmi rinunci all’impunità» (Ansa, 12 aprile 2008); dopo aver tuonato pubblicamente, lo stesso giorno della sua immunità, contro quella del premier, che sarebbe invece segno di «paraculaggine». Qualcosa non torna. Se ne sono accorti pure i suoi elettori, che non nascondono un forte imbarazzo, sfociato persino sul blog del loro leader. * 11
Che c’azzecca Antonio Di Pietro con l’omicidio del giornalista Beppe Alfano assassinato da Cosa nostra nel 1993 a Barcellona Pozzo di Gotto? Ovviamente, nulla. Eppure c’è da chiedersi perché, in una memoria di 75 pagine presentata il 2 aprile 2004 alla Dda di Messina dalla figlia del collaboratore del quotidiano La Sicilia, Sonia Alfano - candidata di punta in tutte e cinque le circoscrizioni nel partito di Tonino - si tiri in ballo proprio l’attuale leader dell’Italia dei valori. E lo si fa accostando il nome dell’ex magistrato molisano a un giro di presunte coperture istituzionali e giudiziarie di cui avrebbero goduto personaggi mafiosi e paramafiosi, come Rosario Cattafi, il cui nome venne alla ribalta con la nota inchiesta sull’Autoparco di Milano, poi con una doppia storia di traffico d’armi, e infine con la divulgazione del cosiddetto «memoriale Cerciello» redatto dal generale della Guardia di finanza, grande accusatore dell’ex pm ai tempi di Mani pulite.
I riferimenti a Cattafi crearono qualche grattacapo a Tonino nel giugno del ’95 quando si sparse la notizia (poi risultata infondata) di una sua iscrizione sul registro degli indagati della procura di Reggio Calabria per aver rallentato, insieme al magistrato Giorgianni, alcune indagini su un traffico d’armi che riguardavano proprio questo Cattafi. Veleni, anonimi e corvi fecero da sfondo alle denunce dell’avvocato Carlo Taormina, difensore del generale Cerciello, che chiese alla procura di Brescia di ascoltare Di Pietro in merito ai suoi rapporti con Cattafi. Non se ne fece nulla. Di Pietro annunciò, e inoltrò, querele. La cosa morì lì. Adesso dai cassetti esce questa memoria nella quale l’attuale candidata dell’Idv, nel 2004, chiese alla procura di Messina di fare luce su una serie di indiscrezioni stampa che parlavano di Cattafi e anche di Tonino.
Ma andiamo per gradi. L’8 gennaio del ’93 Beppe Alfano viene ucciso nella sua auto da sicari di Cosa nostra. Per l’omicidio finiscono condannati, quale mandante, il capomafia di Barcellona Pozzo di Gotto, Giuseppe Gullotti, e come killer, Antonino Merlino. Le indagini sono affidate al pm Olindo Canali, magistrato per bene trapiantato in Sicilia dalla Brianza, una toga considerata molto vicina al giornalista ammazzato al punto da essere considerato suo confidente, e soprattutto suo amico. La famiglia Alfano continua a intrattenere buonissimi rapporti col pm almeno fino all’anno 2001, quando Sonia Alfano non decide di cambiare strategia e di affidarsi al battagliero avvocato Fabio Repici. Da quel momento, nonostante le condanne incassate al processo per la morte del papà, la giovane Alfano comincia a sostenere che l’inchiesta presenta evidenti lacune, che non si è toccato il terzo livello, che vi sarebbero stati depistaggi istituzionali. Da parte dei carabinieri, che avrebbero chiuso un occhio sulla presenza in zona del latitante capomafia catanese Benedetto “Nitto” Santapaola. Da parte, soprattutto, del pm non più amico di famiglia, Olindo Canali, “eterodiretto” dal defunto magistrato Francesco Di Maggio, un tempo magistrato inquirente a Milano, per anni trapiantato proprio a Barcellona Pozzo di Gotto.
Secondo le ricostruzioni giornalistiche (e difensive) riprese e rilanciate nel 2004 da Sonia Alfano, il giudice Di Maggio avrebbe intrecciato rapporti proprio con il noto Rosario Cattafi. Nell’ambito del procedimento poi avviato presso la Dda di Messina (numero 2886/02) utilizzando, e facendo proprie, con forma retorica, le considerazioni espresse il 2 marzo 1998 dal settimanale locale Centonove, Sonia Alfano richiamava l’attenzione della procura di Messina sui rapporti tra il mafioso Cattafi e Antonio Di Pietro, e tra quest’ultimo e tale Francesco Molino, altro mafioso barcellonese.
L’intreccio fra toghe (Canali, Di Maggio, Di Pietro) boss mafiosi (Santapaola e Gullotti) e frequentatori di ambienti e personaggi criminali (Cattafi su tutti) porta la Alfano ad affrontare il caso Di Pietro a partire da pagina 54 della memoria stilata dall’avvocato Repici. Letterale: «È da notare un’altra curiosa coincidenza: a metà degli anni ’80 mentre il dottor Di Maggio era titolare di alcune indagini su Cattafi e raccoglieva dichiarazioni di accusa contro quest’ultimo da Epaminonda, suo uditore giudiziario fu il dottor Olindo Canali». E di seguito. «Di questo curioso intreccio di inchieste, inquirenti e inquisiti, si sono ripetutamente occupati gli organi di informazione. Il settimanale Centonove - si legge nella memoria - in un articolo dal titolo "Un dossier porta ad Hammamet" e avente a oggetto un memoriale prodotto dal difensore del generale Cerciello all’autorità giudiziaria di Brescia contro Di Pietro, scrisse… » e giù varie considerazioni. Tra le quali, questa: «Cattafi a Milano, dove aveva iniziato un’attività nel campo dei farmaceutici e sanitari, rivede e frequenta il giudice Francesco Di Maggio, che ha passato la sua giovinezza fra Milazzo e Barcellona, dove ha frequentato le scuole, compreso il liceo (il padre era appuntato dei carabinieri) e dove ha conosciuto Cattafi di cui è coetaneo. Di Maggio introduce Cattafi nell’ambiente dei magistrati (il 3 aprile ’96 Cattafi ottenne in affitto a Taormina un’abitazione del magistrato in servizio alla procura generale di Milano, Luigi Martino), dove pare Cattafi abbia conosciuto Di Pietro (allora sconosciuto) e la sua donna, poi divenuta sua moglie. Cattafi ha necessità di coperture della magistratura. Conosce - continua la memoria-esposto - anche tale Molino, che è di origine siciliana, che poi diventerà anche amico di Di Pietro. Cattafi viene arrestato su ordine dei magistrati di Firenze per la questione dell’autoparco milanese. I giudici di Firenze intuiscono o vengono a sapere qualcosa sui legami passati fra i due magistrati e Cattafi e cercano di indagare. Scoppia la guerra fra le due procure - prosegue la memoria - e le indagini si interrompono. Di Pietro vola a Messina, dove incontra il pool Mani pulite, in testa il giudice Giorgianni, che più tardi si recherà ripetutamente a Milano da Di Pietro». Nella memoria si fa poi presente che il settimanale Centonove, il 28 febbraio ’98, intervista proprio Cattafi. Il quale conferma d’aver incontrato un paio di volte Di Maggio, mai Di Pietro («l’ho visto un paio di volte in un locale pubblico») e Giorgianni in occasione di un’inchiesta su un traffico d’armi. I riferimenti a Di Maggio sono importanti - prosegue la memoria - per capire la natura dei rapporti col pm Olindo Canali «di cui era certamente a conoscenza Beppe Alfano». E proprio per andare a fondo alla faccenda nella quale è citato Di Pietro, la Alfano chiede alla Dda di Messina di svolgere una lunga serie di atti istruttori, tra i quali «l’assunzione a sommarie informazioni del dottor Olindo Canali» (che verrà ascoltato come persona informata sui fatti) e del giornalista autore dell’articolo su Di Maggio e Di Pietro «per sapere quali siano state le sue fonti di prova e comunque, se prima della redazione di quell’articolo, egli avesse avuto contatti con Canali».
Questo scriveva la Alfano nel 2004. Della tesi Cattafi-Di Maggio-Di Pietro la ragazza continuava a parlare fino al 2006-2007. Da allora, però, Sonia Alfano non segue più quella pista concentrando l’attenzione - quale causale alla base dell’omicidio del padre - sulla latitanza del boss Nitto Santapaola nel barcellonese. La scoperta di Alfano padre del luogo ove a fine del 1992 era tenuto il boss, secondo la figlia, ne determinò l’eliminazione. Pressoché contemporaneamente all’abbandono della pista Cattafi-toghe lombarde iniziano i contatti con il politico di Montenero di Bisaccia che condurranno alla candidatura di Sonia Alfano alle Europee nella lista Italia dei valori. Nessuno, ovviamente, arriva a sospettare una ricompensa elettorale di Tonino all’abbandono della pista “milanese” da parte della Alfano. Ci mancherebbe. Fa riflettere, piuttosto, la decisione della Alfano di rispolverare, nel 2004, fatti vecchi e sepolti.* 12
Prima di entrare in politica, Antonio Di Pietro, ex magistrato, ex poliziotto, ex tecnico della Difesa ed ex trattorista, possedeva una villetta con giardino a Curno, nella bergamasca, che ampliava comprando un'altra villa adiacente di 8 locali.
Una volta entrato in politica fa il salto di qualità.
Nel 1995 comprava un'abitazione da 300 mq a Busto Arsizio che girava al suo partito dopo aver acceso un mutuo per l'80% del valore.
Quando viene eletto al parlamento europeo compra un bilocale di 80 mq a Bruxelles (cifra ignota) mentre, nel 2002, quando è ministro delle Infrastrutture, si accasa a Roma in via Merulana, acquistando una casa di 180 mq e 8 locali per 650.000 euro (mutuo Bnl di 400.000 euro).
Nel 2003 a Montenero di Bisaccia Antonio Di Pietro cede al figlio Cristiano un attico da 173 mq per valore di 300.000 euro in tutto sei vani e mezzo poi ampliati a otto e a 186 metri quadrati (più 16 di garage) il tutto grazie al condono del 2003. Nello stesso anno l'ex-pm compra un appartamento di 190 mq nel centro di Bergamo, mentre la moglie ne compra uno adiacente da 48 mq (valore 800.000 euro).
Nel 2004 se ne aggiunge uno in via Casati a Milano di 190 mq (620.000 euro) e uno di 190 mq a Roma (via Principe Eugenio, un milione e 50.000 euro) ambedue intestati alla An.to.cri, cioè la società da lui stesso creata con un capitale sociale iniziale di soli 50.000 euro. I due mutui contratti ammontano complessivamente a 660.000 euro circa, e in quest'ultima si trasferisce la sede dell'Italia dei Valori che versa l'affitto proprio alla An.to.cri. Non passano due mesi e alla fine di marzo, l'ex pm compra a Bergamo un bel quarto piano, per i figli Anna e Toto: 190 metri quadri in un signorile palazzetto liberty in via dei Partigiani. Lo stesso giorno, con lo stesso notaio, la moglie del segretrio politico dell'Italia dei valori fa suo un appartamento di 48 metri quadrati, sempre al quarto piano, oltre a due cantine e a un garage: si parla di una cifra oscillante intorno agli 800mila euro, ma non c'è conferma nemmeno su chi abbia provveduto all'esborso e in quale misura.
Il 2005 è alle porte, e il nuovo appartamento di 190 metri quadri acquistato per 620mila euro in via Felice Casati a Milano - come da rogito stipulato in aprile - Di Pietro lo intesta alla Srl An.to.cri. Poi per un milione e 50mila euro la medesima società immobiliare fa suoi dieci vani (190 metri quadri) in via Principe Eugenio a Roma, dove - stando al bilancio 2005 dell'Idv - trasloca la sede nazionale di rappresentanza politica del partito, fino al giorno prima ubicata in via dei Prefetti 17». Per i due locali Tonino si rivolge alla Bnl e si carica due mutui sulle spalle: 276mila euro da saldare entro il 2015 per la casa milanese, 385mila per quella romana (scadenza 2019). Le pesanti rate Di Pietro inizialmente le ricaverà (salvo poi ripensarci quando scoppia lo scandalo) dal pagamento dei canoni d'affitto versati all'Antocri da un inquilino eccellente: la sua Italia dei Valori. Non è finita. Alla vigilia di Natale del 2005, Susanna Mazzoleni, moglie di Di Pietro e madre dei tre figli, compra un piccolo appartamento in via del Pradello a Bergamo. Poche ore dopo acquista anche un ufficio di quattro vani nella stessa palazzina. Spesa approssimativa? Tra i 400 e 500mila euro.
L'anno successivo, come detto, Tonino compra all'asta con offerte segrete la casa di via Locatelli 29, sempre nella città orobica: 178 mq di superficie catastale, 9 vani, il tutto per una cifra molto bassa: 261.661.000 euro. Qualche mese prima si poteva acquistare solo a non meno di 500 mila euro. Mentre l'anno dopo ancora, per una spesa-lavori consistente (decine, se non centinaia, di migliaia di euro) inizia a ristrutturare la masseria di famiglia in quella Montenero di Bisaccia dove l'ex ministro delle Infrastrutture, a dar retta al «catasto dei terreni» possiede 33 «frazionamenti» pari a 16 ettari di proprietà, in parte ereditati, in altra parte acquistati da parenti e familiari. Secondo la Voce (ma ancora non c'è traccia nelle visure camerali) Di Pietro avrebbe acquistato anche un altro appartamento per la figlia, 60 metri in piazza Dergano a Milano. Di Pietro in aula ha spiegato d'essersi dato al mattone dopo aver venduto l'ufficio politico di Busto Arsizio (a 400mila euro, 100mila li ha dovuti restituire alla banca per il mutuo) e con il ricavato ha acquistato gli appartamenti affittati all'IdV: quello di via Felice Casati a Milano - acquistato dalla Iniziative Immobiliari di Gavirano, Gruppo Pirelli Re - e l'altro, in via Principe Eugenio a Roma (alienato nel 2007). Ha detto che se tornasse indietro non rifarebbe quello che ha fatto, anche se la sua passione per gli affari immobiliari ha travalicato i confini nazionali: Tonino possiede infatti il 50% della Suko, una srl bulgara con sede a Varna.
A fronte di quattro milioni di euro spesi per comperare immobili fra il 2002 e il 2008, l'ex pm ha incassato dalle vendite all'incirca un milione di euro, scremati dalle rimanenze calcolate per i mutui. Niente di penalmente rilevante, come dicono gli ex colleghi di Tonino, ma il conflitto d'interessi torna ora d'attualità per gli approfondimenti operati dal mensile «la Voce delle voci» in contemporanea al reportage del Giornale. Si scopre così che il 16 marzo 2006, in quel di Bergamo, il padre-padrone dell'Idv si aggiudica alle buste, in condizioni burrascose e rocambolesche, un signor appartamento a un prezzo scontatissimo dovuto alle cartolarizzazioni del patrimonio immobiliare dell'Inail. Roba da Svendopoli per vip. Lui non appare mai, fa tutto l'amministratore della sua società immobiliare An.to.cri (che però non agisce in questa veste), nonché compagno di Silvana Mura, deputata Idv, tesoriera del partito e socia dell'Associazione IdV. Visti i precedenti, le confusioni di ruoli, le ambiguità fra «movimento» e «associazione», le locazioni degli immobili di proprietà di Di Pietro al partito dello stesso Di Pietro (gli appartamenti di cui parleremo dopo in via Casati a Milano e in via Principe Eugenio a Roma) non è stata una sorpresa scoprire che anche su quest'ultimo immobile qualcosa non quadra: l'ha comprato Di Pietro, attraverso il convivente della Mura, la quale ha intestate le utenze di casa che corrispondono perfettamente a quelle un tempo in uso all'ex sede della tesoreria nazionale di via Taramelli 28.
Ma i conti non tornano lo stesso. «Anziché minacciare a destra e a manca, - dice Capezzone del PDL - Di Pietro dia un po' di spiegazioni, prima di tutto spiegazioni politiche. È vero o falso che esiste una società An.to.cri che gestisce gli immobili citati dal Giornale? È vero o falso che esiste una associazione formata da tre persone, ovvero lui stesso, la tesoriera del partito Silvana Mura e la moglie che di fatto è un'associazione di controllo rispetto al partito?». «Il problema è che Di Pietro - prosegue Capezzone - deve rendersi conto che se chiede il centoeuno di trasparenza agli altri dovrà garantire almeno il 15-20% di trasparenza su se stesso, sennò è tutta roba da ridere. Come mai tutti quelli che hanno fatto intese politiche con Di Pietro se ne sono andati o hanno fatto causa? Magari avranno torto, ma sarebbe interessante capire perché. Oppure sono tutti berlusconiani? Achille Occhetto, Elio Veltri... Insomma, faccia una bella piazza Navona». « Di Pietro vada a piazza Navona e renda note tutte queste risposte al suo pubblico. Vorrei che i moralisti che fanno le prediche facessero un po' di pulizia nel loro pulpito. Il suo amico Marco Travaglio, per esempio: che sta facendo? Si fosse trattato di un esponente del Pdl avrebbe già fatto 4 articoli sull'Unità più 2 videomessaggi. In quale piscina sta a mollo per non accorgersi di queste cose?».
Anche il Corriere della Sera scrive sugli investimenti dell' ex pm, «i conti non tornano». Un milione di entrate e quattro milioni di euro spesi dal 2002 al 2008. Una girandola di appartamenti e immobili tra Milano, Roma, Bergamo, Busto Arsizio, Curno, Montenero e Bruxelles riconducibili a Di Pietro, la famiglia e la società «An.to.cri.», acronimo Anna, Toto e Cristiano, i tre figli. E curiosità varie, tipo gli investimenti attraverso la Suko, una srl bulgara con sede a Varna che Tonino possiede al 50 per cento. O un appartamento di 178 metri quadri acquistato a Bergamo per 261 mila euro grazie alle cartolarizzazioni Inail e non direttamente, ma tramite il compagno della tesoriera dell' Idv Silvana Mura.
«Una campagna di veleni» del «giornale di famiglia» (Berlusconi) che «inventa un' inesistente connessione tra l' Idv e le mie proprietà», replica dal suo blog Di Pietro. «Gli immobili sono stati acquistati, oltre che con i soldi miei, di mia moglie o con i mutui, anche con soldi che Il Giornale ha già dovuto sborsare negli anni per le innumerevoli diffamazioni perpetrate ai miei danni». Così l' ex pm assicura che metterà «in rete copia degli assegni che mi hanno versato». Precisa: «Non prendo soldi dalle casse dell'Idv». E annuncia che «anche il prossimo appartamento lo comprerò col denaro che dovranno pagare per l' ennesima diffamazione».
C' è chi gli dà ragione, «mi sembra una delle tante porcate a suo danno», considera il giornalista Marco Travaglio: «Non mi pare d'aver letto nulla di nuovo, del resto da quindici anni è l' uomo più diffamato d' Europa, con le decine di cause che ha vinto non mi stupisco dei proventi. Che poi l' accusa arrivi dal quotidiano di proprietà di un immobiliarista che con le case ne ha combinate di tutti i colori, mi pare singolare».
C'è chi si morde la lingua, come Achille Occhetto: «Non parlo di Di Pietro. Noi del "Cantiere" abbiamo già querelato il suo partito che ha preso i soldi nostri in campagna elettorale». L' uomo della Bolognina sbotta contro i mass media: «Avete mandato a casa la gente migliore, e questo è il ceto politico che c'è ora in Italia. Tenetevelo».
E poi c' è Elio Veltri, anche lui del Cantiere, un fiume in piena. «Che ha detto Di Pietro?» Nel blog ha scritto... «Nel blog? Ma stiamo scherzando? Perché una società bulgara? Perché una casa comprata da un prestanome che gliela vende in segreto? In qualsiasi Paese europeo un politico che facesse come lui andrebbe a casa domani. Convochi una conferenza stampa, si sottoponga alle domande dei giornalisti. Ci andrò anch'io». A domandare cosa? «Nel '98 fondammo l'Idv. E due anni più tardi Di Pietro creò clandestinamente, all'insaputa del partito - io, vicepresidente, lo ignoravo - un' associazione con lo stesso nome composta da lui, dalla moglie e da Silvana Mura. Ed è l' associazione "Italia dei valori" a incassare il finanziamento pubblico, non il partito dichiarato "contumace" al processo di Roma». La causa sui finanziamenti contesi è ancora in corso a Milano. «Io ne uscii, ma nel Psi di Craxi c'erano più garanzie, i probiviri! Perché ha fatto quell'associazione? Come può prendere soldi pubblici? Perché in Parlamento nessuno dice niente? E poi dicono che Di Pietro attacca la Casta. Un cacchio. La Casta sta zitta. Perché?».
Ma quante case ha l'onorevole Di Pietro? E con quali soldi le ha acquistate? E' vero che il gip di Roma ha messo nero su bianco che Tonino non ha usato un euro del partito, ma rimane il fatto che sono tante case e tanti soldi. Lui dice che le ha acquistate con le querele ai giornalisti, ma noi restiamo trasecolati da tutto questo giro di denaro e di case intestate a moglie, e a figli e a se stesso. L'imponibile di Di Pietro del 2008? Euro 218 mila, poi c'è la casa dei genitori a Montenero di Bisaccia, dove Di Pietro ha anche una casa colonica e un'azienda agricola. Il leader Idv è poi proprietario del 100% della An.To.Cri. spa, proprietaria di un altro appartamento a Milano. C'è poi un pacchetto azionario Enel da 17.500 azioni. La macchina è una Hyunday Santafè.
L'imponibile di Di Pietro nel 2002 era di 463 milioni di lire, nel 2005 era solo di 175 mila euro, nel 2006 di 189 mila euro e nel 2007 di 218 mila euro. Non abbiamo parole. Siamo basiti. Siamo esterefatti. Ha ragione Capezzone (PDL) il signor Di Pietro prima di fare il grande moralizzatore deve agli italiani una risposta esauriente ed esaustiva su case di proprietà e denaro contante per acquistare, visto che il suo imponibile oscilla da anni intorno ai 200 mila euro soldi con cui a Milano compri solo un bilocale più servizi in zona semicentrale.
Anche a proposito del richiamo ai risarcimenti per diffamazione a mezzo stampa c’è qualcosa che non quadra. Come ha salmodiato Marco Travaglio ad Annozero, «negli Usa un giornalista deve controllare una cosa sola, che la notizia sia vera. In Italia ci sono denunce civili e penali ed esposti all’Ordine...». È il caso di Antonio Di Pietro, uno dei primi ad appoggiare la manifestazione di Roma del 3 ottobre 2009 sulla libertà di stampa. Un vero recordman della querela con oltre 300 cause (357 secondo Repubblica) contro la stampa e ben 700mila euro incassati. Con buona pace del diritto di critica.* 13
Su “Panorama” del 30 marzo 2010 esce un’inchiesta sconvolgente sulle frequentazioni di Di Pietro.
In Bulgaria le chiamano Zlatni Piasazi, Sabbie d’oro: chilometri di spiagge larghe e affollate, nella località balneare più chic del Mar Nero. Ogni estate, negli eleganti alberghi della riviera si ritrovano i più facoltosi uomini d’affari del paese. È la sera del 19 agosto 2002: sono passate da poco le 10 di sera. La leggera brezza marina non smorza l’afa: il termometro segna più di 30 gradi. Al primo piano del Grand hotel International, un grattacielo di vetro alto 40 piani, i bocchettoni dell’aria condizionata sparano aria gelida. Ma nel resort a cinque stelle il clima si sta comunque surriscaldando: su una passerella sfilano aspiranti miss, piuttosto discinte. A osservarle dall’alto, nella sala riservata ai vip, c’è Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei valori, a quei tempi europarlamentare. Viene sorpreso da un paparazzo bulgaro: indossa camicia bianca a maniche corte e pantaloni color kaki.
Il fotografo coglie il suo sguardo sorpreso. Sembra preoccupato, Tonino. La sua espressione è probabilmente legata alla «qualità» dei commensali. Davanti a lui, in giacca mattone e maglietta bianca, siede Ilia Pavlov, 42 anni: un multimilionario che sette mesi dopo, il 7 marzo 2003, viene assassinato a Sofia. Un cecchino, nascosto fra i cespugli, lo centra da 70 metri: un solo colpo, dritto al cuore. Ucciso come un boss. Trud, il primo quotidiano bulgaro, annota: «L’omicidio è dovuto a interessi inconciliabili tra gruppi mafiosi». Mai condannato in patria, Pavlov viene considerato un tipo poco raccomandabile dalle polizie di mezzo mondo. Comprese l’Fbi e la Cia.
I sospetti trovano conferma in un dossier del 1998: l’ambasciata americana a Sofia lo invia in via riservata all’Uscis, l’ufficio immigrazione degli Stati Uniti. E si parla di Pavlov in questi termini: «Le società dell’imprenditore sono sospettate di riciclaggio, furti e omicidi».
Anche gli altri convitati hanno un passato oscuro. A capotavola, in camicia a quadretti e giacca color tortora, c’è Ahmed Dogan: 48 anni, leader del Movimento per i diritti e le libertà (Dps), il partito che rappresenta i turchi in Bulgaria. È un personaggio molto discusso. Nel 1986 viene arrestato per attività terroristiche. A quell’epoca è a capo di un gruppo estremista, considerato responsabile di diversi attentati. Il più grave è quello del 9 marzo del 1985 alla stazione di Bunovo, minuscolo paesino a est di Sofia: muoiono sette persone, tra cui due bambini.
Dogan resta in carcere sei mesi e 15 giorni. Viene condannato a 10 anni. Ma nel 1989, dopo la caduta del comunismo in Bulgaria, gli concedono l’amnistia. E Dogan comincia la sua ascesa. Fonda il Dps, che diventa l’ago della bilancia nella politica bulgara. Spesso in totale spregio delle regole elettorali. Nel 2007 Dogan dichiara candidamente: «Comprare voti è una pratica europea, diffusa dalla Seconda guerra mondiale». Tanta disinvoltura costringe la Corte costituzionale bulgara a intervenire. Le elezioni parlamentari del giugno 2009 sono falsate: i giudici annullano migliaia di voti nelle sezioni all’estero. I brogli si concentrano nelle roccheforti del partito di Dogan. I 23 seggi incriminati sono tutti in Turchia e qui il Dps ha ottenuto un plebiscito: 18.140 preferenze su 18.358.
Dogan era fraterno amico di Pavlov. Giornali e politici sottolineano spesso il sodalizio. Lo spiega a Panorama l’europarlamentare bulgaro Dimitar Stojanov: «Il partito di Dogan è il volto politico della nostra mafia. E Pavlov è sempre stato sospettato di essere il braccio economico della criminalità organizzata».
Certamente il leader del partito turco non ha mai avuto problemi di finanziamento. Nel giugno del 2005 dichiara in tv: «Il mio partito è circondato da una serie di imprese. Loro ci danno soldi e noi le aiutiamo». Dove finiscano i fondi resta un mistero. Di certo, e alla luce del sole, Dogan sguazza nel lusso più sfrenato: in Bulgaria vive in residenze da favola. Per i giornali di Sofia, una sarebbe intestata a due prestanome: un ex manovale e un’ex parrucchiera. Ma sono almeno cinque le ville e gli alberghi riconducibili a lui, scrive la stampa.
La sera del 19 agosto 2002, in quella sala esclusiva del Grand hotel International, seduto a fianco di Di Pietro c’è un altro uomo: ha la camicia bianca e i pantaloni blu. Viene immortalato di spalle, ma un’altra foto scattata durante la serata non lascia dubbi. Il signore si chiama Ivan Slavkov: è un assistente di Dogan, poi diventerà assessore del Dps a Varna, a pochi chilometri dalle Sabbie d’oro.
Il 17 ottobre 2008 viene arrestato: «Sfruttamento della prostituzione, riciclaggio e traffico di droga». Per i magistrati è il capo di un’organizzazione criminale di 80 persone. Le sue prime prodezze risalgono al 1996: sei anni prima dell’incontro con Di Pietro. Slavkov è tuttora in carcere.
Il quinto commensale è una distinta donna di mezza età: Tania Tzvetanova Zhelyazkova. Vive tra Sofia e Vigevano, dove ha sposato un italiano. La signora compare anche in altre immagini con il fondatore dell’Italia dei valori: incontri che, a Sofia, Tonino ha con diversi politici e uomini d’affari bulgari. Viaggi istituzionali, perlopiù: dal 2001 al 2006 l’ex pm di Mani pulite è europarlamentare.
Va in missione nel paese balcanico almeno tre volte solo nel 2002: tra aprile e novembre. Mentre in agosto, quando viene sorpreso al concorso di bellezza, Di Pietro è in vacanza. Lo rivela a Panorama la stessa Zhelyazkova. È lei a far conoscere Pavlov al leader dell’Italia dei valori. E perché? «Erano entrambi miei amici» spiega al telefono da Sofia, dove è proprietaria di due aziende. «Conosco Di Pietro da tanti anni: me lo ha presentato il mio dentista, Carmelo Tindiglia».
Il medico è consigliere comunale dell’Idv a Vigevano. E Tania Zhelyazkova è la persona che assiste Di Pietro nelle sue trasferte in Bulgaria. Interpellata sulle frequentazioni sospette dell’ex magistrato, la donna prima chiede a Panorama di inviarle le domande per email: «Risponderò entro mezzogiorno di domani» promette. Salvo poi fare marcia indietro, appena letti i quesiti. Nelle telefonate precedenti con Panorama, Zhelyazkova accenna però anche a un incontro fra Pavlov e Di Pietro: «Si sono visti all’hotel Excelsior di via Veneto» ricorda. «Una cena di lavoro: c’erano anche 30 imprenditori italiani interessati a investire in Bulgaria». E c’era anche Sergio De Gregorio, fondatore dell’Associazione italiani nel mondo. La sua presenza viene confermata dalla stessa Zhelyazkova.
Poi De Gregorio è divenuto senatore del Popolo della libertà. Quell’incontro a Roma lo ha raccontato il 5 febbraio 2010 al quotidiano di Sofia 24 Chasa: «Pavlov mi disse di essere l’incarnazione del potere politico ed economico della Bulgaria. Si vantava: “Nel mio paese comandano persone come me”» ha ricordato De Gregorio nell’intervista. «Spiegai a Di Pietro che Pavlov non mi piaceva: parlava e si comportava come un mafioso. Mi rispose che era un grande imprenditore».
Il senatore non lesina dettagli: «Di Pietro aveva intenzione di portare in Bulgaria alcuni imprenditori italiani. Proprio attraverso Pavlov e la sua Multigroup».
La società era la holding del finanziere: la più grande della Bulgaria. All’apice della sua espansione, controlla 120 imprese. Sono attive in tutti i settori, dal turismo all’estrazione mineraria. Un impero costruito dal nulla. Pavlov in gioventù è un campione di lotta: come gran parte dei criminali che spadroneggiano nel paese dopo la fine del comunismo. Ex pugili, pesisti e combattenti ribattezzati dalla stampa bulgara «mutri»: brutti musi. La scalata inizia prima della caduta del regime. È ancora uno studente universitario quando sposa Antoaneta, figlia di Peter Cherghilanov, dal 1973 al 1988 capo dei servizi segreti militari bulgari. È il 1981. Il matrimonio dura solo due anni. Però il legame del rampante finanziere con gli 007 dura tutta la vita. Tanto che affida alcuni posti chiave delle sue aziende a ex agenti.
Un commensale scomodo, per Di Pietro. Che conferma la sua tendenza a intrattenere rapporti conviviali con uomini legati ai servizi segreti. Meno di due mesi prima il Corriere della sera pubblica una foto del 15 dicembre 1992: una cena con carabinieri e uomini dei servizi. L’ex magistrato è accanto a Bruno Contrada, numero tre del Sisde, arrestato nove giorni dopo e poi condannato a 10 anni per «concorso esterno in associazione mafiosa». Di Pietro si è giustificato: «Per me era un funzionario dello Stato, nemmeno lo conoscevo». Ma nel dicembre 1992 la notizia dell’arresto di Contrada circolava da settimane negli ambienti investigativi.
Dieci anni più tardi, in uno sfarzoso hotel di Zlatni Piasazi, l’altra istantanea. Di Pietro siede davanti a Pavlov: un imprenditore in odore di mafia che ha costruito la sua fortuna anche grazie ai legami con gli 007 del regime comunista. Informazioni, stavolta, di pubblico dominio. Contattato più volte da Panorama, Di Pietro non ha voluto commentare le sue frequentazioni bulgare. La mattina di martedì 23 marzo il suo ufficio stampa ha solo fatto sapere che il leader dell’Idv «probabilmente ricorrerà alle vie legali». Senza entrare nel merito dei suoi incontri con Pavlov, né su ogni altro aspetto dell’inchiesta di Panorama.
Dopo il matrimonio con la figlia di Cherghilanov, nel 1988 il magnate conosce l’attrice Darina Gheorghieva, 25 anni. Per le cronache rosa è la «ragazza più bella di Sofia». Sono gli anni in cui Pavlov diventa l’uomo più ricco e potente della Bulgaria: alla sua morte ha un patrimonio di 1,5 miliardi di dollari. La presunta illiceità dei suoi affari è sulla bocca di tutti. L’unico inconveniente giudiziario gli capita nel 1998: il premier Ivan Kostov tenta di incastrarlo per contrabbando. Una delle sue società, la Barteks Trading, è sospettata di avere importato illegalmente 305.914 tonnellate di zucchero. L’azienda paga una multa esorbitante. Ma il finanziere evita il processo per un motivo che sa di beffa. L’inchiesta è archiviata: nessun danno per la concorrenza. Buona parte dello zucchero si sarebbe sciolta con le piogge.
La fama di Pavlov travalica i confini nazionali. Gli Stati Uniti gli negano la cittadinanza per due volte di seguito. Il rapporto dell’ambasciata americana a Sofia parla di riciclaggio, furti e omicidi. È il 1998. Un anno dopo anche la moglie Darina incappa in un incidente diplomatico. Il 22 ottobre 1999 Hillary Clinton, in corsa per diventare senatrice del Congresso, organizza una festa per raccogliere fondi. Alla serata partecipa pure Pavlova, da poco cittadina americana. La donna stacca un assegno di 1.000 dollari per la first lady. Ma il 31 ottobre la donazione viene rispedita al mittente. «Ci sono forti sospetti sulla provenienza dei fondi» dichiara Howard Wolfson, portavoce di Clinton. La notizia fa scalpore: viene ripresa da molti quotidiani e agenzie americane. La signora sconta la poco lusinghiera fama del marito.
L’incontenibile ascesa di Ilia Pavlov termina però il 7 marzo 2003. Sono le 19.50 di un venerdì sera: il finanziere esce dal suo ufficio, nel centro di Sofia. La macchina lo aspetta fuori. L’autista ha già avviato il motore. Pavlov viene trafitto da una pallottola al cuore: muore 20 minuti dopo. Il giorno prima aveva testimoniato al processo per l’assassinio di Andrej Lukanov, l’ex premier bulgaro ucciso nel 1996. Anche lui freddato da un cecchino: un colpo alla testa e uno al petto. Un omicidio per cui viene sospettata la mafia russa. Lukanov era considerato l’artefice della fortuna di Pavlov. Poco prima della morte del primo ministro i rapporti però si erano incrinati. I quotidiani riferiscono di un burrascoso incontro fra i due, avvenuto a Mosca il 30 settembre 1996, due giorni prima dell’uccisione di Lukanov. Il politico sbotta: «Ti ho creato e posso distruggerti». Pavlov risponde a tono: «Non dimenticarti che sono io ora a guidare il treno».
I rapporti tra il finanziere assassinato e Di Pietro vengono confermati a Panorama dall’ex braccio destro di Pavlov, Stojan Denchev, vicepresidente della Multigroup fino a gennaio 2002: «So che si conoscevano. Anzi, erano amici» assicura. Il manager non aggiunge dettagli. Ma le agenzie di stampa bulgare testimoniano che fu proprio Denchev a invitare Di Pietro a Sofia nel novembre del 2002.
È un periodo in cui l’ex magistrato bazzica la Bulgaria non solo in veste istituzionale, ma anche per interessi personali. Il 28 dicembre 2002 a Varna, a pochi chilometri dalle Sabbie d’oro, viene iscritta nel registro bulgaro delle imprese la Suko: una società immobiliare di cui Tonino ha metà delle quote. Un affaire raccontato da Panorama nel novembre del 2007. L’altro 50 per cento è dell’imprenditore Tristano Testa. Di lui si sa poco o nulla. Tranne una sospetta coincidenza: il 26 marzo 2007 diventa consigliere d’amministrazione della Brebemi, l’autostrada Brescia-Bergamo-Milano.
Nello stesso periodo Di Pietro è ministro delle Infrastrutture nel governo guidato da Romano Prodi. Panorama ha cercato di contattare Testa tramite la Brebemi, una società pubblica. Ricevendo però sempre cortesi dinieghi.
Le attività immobiliari di Di Pietro lasciano sorpreso Nicolaj Kamov, un ex parlamentare bulgaro. Uno di quelli che rimase affascinato dalla fama d’integrità dell’ex pm di Mani pulite. Tanto da invitarlo a Sofia nel giugno 2002. «Non sapevo che avesse interessi economici nel nostro paese» dice Kamov a Panorama. «E nemmeno che frequentasse gente come Pavlov. Non sono un magistrato, però la mia opinione su di lui è chiara: era parte della criminalità organizzata. E la sua Multigroup era uno stato nello stato». Anche su Dogan, l’altro commensale di Tonino, il giudizio di Kamov è categorico: «Da vent’anni il suo partito fa brogli elettorali» accusa. «I turchi che non votano per lui sono minacciati. L’ho visto con i miei occhi. L’ho denunciato in parlamento. Ma non è servito a niente».
Le frequentazioni pericolose di Tonino non si limitano però a quelle immortalate la sera dell’elezione di Miss Grand hotel International. A Sofia, Di Pietro incontra anche il deputato Alexander Tomov. L’occasione è una tavola rotonda sulla giustizia. E sei anni dopo, nel 2008, anche Tomov finisce nei guai. In luglio viene indagato come presidente della squadra di calcio del Cska Sofia: avrebbe distratto fondi per 3,5 milioni di euro. La stessa accusa che gli contestano quattro mesi dopo: 15 milioni sottratti dalle casse della Kremikovtzi, la più grande industria metallurgica del paese di cui Tomov era manager. Ora rischia 15 anni di carcere. «Sono una vittima della piovra politica che stritola la Bulgaria» si difende Tomov. E racconta a Panorama dei suoi rendez-vous con Di Pietro: «L’ho visto molte volte, anche all’estero. Sono un suo grande ammiratore e condivido le sue battaglie».
Giudizi lusinghieri. Condivisi anche da Anton Stankov, ex ministro della Giustizia: «Per noi era il simbolo della battaglia contro la criminalità» ricorda. «Tanto che gli ho chiesto consigli per il nostro nuovo codice penale». Tra la primavera e l’estate del 2002, anche Stankov vede Di Pietro un paio di volte. Il 3 giugno 2002 l’ex magistrato è addirittura l’ospite d’onore di un convegno sulla «lotta alla corruzione»: il suo pane quotidiano. Passano due mesi: l’uomo simbolo di Mani pulite si trova a banchettare amabilmente con Pavlov e compagni. Tra i ficus di un lussuoso resort affacciato sul Mar Nero.* 14
http://www.libero-news.it/news/558294/Il_padre_padrone_Di_Pietro_si_scopre_un_uomo_solo.html
* 1 http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Come-sexy-Di-Pietro/2054127&ref=hpsp
* 2 http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=316697
* 3 http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/dipietr.htm
* 4 http://www.opinione.it/pages.php?dir=naz&act=art&edi=37&id_art=1563&aa=2008
* 5 http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=316687
* 6 http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Doppio-gioco/1563287&ref=hpstr1
* 7 http://archivio.panorama.it/home/articolo/idA020001037339.art
* 8 http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=217296
* 9 http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=241605
* 10 http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=333367
* 11 http://159.149.15.22/lasestina/posts/de-magistris-candidato-indagato-nel-partito-di-di-pietro/
http://iltempo.ilsole24ore.com/2009/03/19/1003261-magistris_indagato_pietro_finta_niente.shtml
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/GdM_dallapuglia_NOTIZIA_01.php?IDNotizia=238820&IDCategoria=1
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=345827
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=346057
* 12 http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=348354
* 13 http://www.imgpress.it/stampanotizia.asp?idnotizia=45748
* 14 http://blog.panorama.it/italia/2010/03/30/di-pietro-e-il-boss-ilia-pavlov/
ALTRO
http://blog.panorama.it/italia/2008/02/22/tonino-il-grano-e-le-grane-per-veltroni/
http://www.lavocedellacampania.splinder.com/tag/articoli_pennarola
http://liberoblog.libero.it/attualita/bl6859.phtml
http://www.lavocedellacampania.it/detteditoriale.asp?tipo=inchiesta1&id=59
http://staging.volocom.it/dedalo/Content.aspx?Reference=178760
http://fr.camera.it/_dati/leg14/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/004qua/035/relazione.htm
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200801articoli/29351girata.asp
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=217296
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Colpo-Fortunato/1531452
Panorama 25 ottobre 2007 http://www.cittadiniattivi.it/testo.asp?id=1360
http://beppegrillo.meetup.com/boards/view/viewthread?thread=3988773&pager.offset=0
http://beppegrillo.meetup.com/boards/view/viewthread?thread=3988773&pager.offset=10
http://beppegrillo.meetup.com/boards/view/viewthread?thread=3988773&pager.offset=20
TUTTI GLI UOMINI DI ANTONIO DI PIETRO
BEPPE GRILLO
MARCO CHIOCCI: TRA “VAFFA” E CONDANNE, CAMERE TABU’ PER GRILLO
«Vecchia putt...». C’era andato un tantino pesante Beppe Grillo, nel 2001, nell’apostrofare Rita Levi Montalcini durante uno spettacolo a Fossano, nell’hinterland cuneese. Non contento insinuò anche che la scienziata torinese avesse ottenuto il Nobel grazie a una ditta farmaceutica amica che materialmente le aveva comprato il premio. L’azienda tirata in ballo dal comico genovese era la Fida, della quale la Levi Montalcini era stata testimonial per il lancio di un prodotto farmaceutico (il Croniassial) dagli effetti neurotossici.
Era una sera di luglio del 2001 quando, di fronte a migliaia di spettatori, dalla piazza della città degli Acaja, Grillo scandì quelle parole, ritenute «gravemente offensive» dalla senatrice a vita che di lì a poco ordinò ai suoi avvocati di sporgere querela per diffamazione aggravata. Ne scaturì un processo dai risvolti imbarazzanti che si concluse anzitempo poiché Grillo, nell’udienza del marzo 2003 al tribunale di Cuneo, preferì non rischiare una condanna e patteggiò davanti al giudice Luca Solerio, la multa di 4mila euro. Grillo pagò ma poi fece ricorso in Cassazione per quanto concerne la liquidazione e le spese legali che il pubblico ministero di Cuneo - Guido Bissoni - aveva fissato in seimila e 100 euro. Le spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di primo grado, da porre a carico dell’imputato Grillo, furono quindi calcolate «in complessivi 4mila e 400 euro più Iva». Dare della «vecchia putt..» alla Levi Moltalcini è costato al Masaniello ligure oltre 8mila e 400 euro. I legali della senatrice preannunciarono anche la richiesta, davanti al tribunale civile, di 500 mila euro quale risarcimento dei danni subiti.
Andrà a sentenza solo nel 2010, invece, la causa civile intentata dall’ex sindaco di Asti, Giorgio Galvagno. Il primo cittadino se la prese con Grillo perché, durante un’altra serata, lo tacciò di essere un tangentista. Era il 2004, il luogo del misfatto, il Teatro Alfieri. Galvagno era in sala, provò a replicare in diretta, chiese di salire sul palco, ma Grillo preferì proseguire oltre senza soddisfare la richiesta. Così, al pari della Montalcini, l’ex sindaco ordinò ai suoi avvocati di trascinare Grillo in tribunale chiedendo 500mila euro di risarcimento. Col tempo si arrivò, da parte di Galvagno, a un tentativo di transazione: «Non voglio niente per me, chiedo che almeno l’incasso della serata sia devoluto in beneficenza». Grillo si oppose sostenendo di non aver mai detto una cosa simile. A smentirlo, secondo Galvagno, centinaia di testimoni.
Il tribunale di Cuneo ha processato Grillo anche per un episodio che certamente gli ha segnato la vita. Era il 1981 quando su un tratto sterrato di montagna a Limone, il suo Chevrolet scuro, finì in un burrone. Lui riuscì a salvarsi gettandosi fuori dall’auto mentre tre dei quattro amici che viaggiavano con lui (tra cui un bambino di 9 anni) morirono sul colpo. In primo grado Grillo venne assolto con formula dubitativa, ossia per mancanza di prove. Il 13 marzo 1985 la sentenza venne ribaltata in appello e il comico fu condannato a un anno e 4 mesi per omicidio colposo plurimo, il risarcimento del danno e sospensione della patente.
Nelle motivazioni della condanna i giudici dissero che era «dimostrato, al di là di ogni possibile dubbio, che l’imputato risalendo la strada da valle, poteva percepire tempestivamente la presenza del manto di ghiaccio (...). L’esistenza del pericolo era evidente e percepibile da parecchi metri, almeno quattro o cinque, e così non è sostenibile che l’imputato non potesse evitare di finirci sopra». Se, dunque, Grillo «disponeva di tutto lo spazio necessario per arrestarsi senza difficoltà» e non lo ha fatto, ciò significa «che ha deciso consapevolmente di affrontare il pericolo e di compiere il tentativo di superare il manto ghiacciato (...). Farlo con quel veicolo costituisce una macroscopica imprudenza che non costituisce oggetto di discussione». L’8 aprile 1988 la Cassazione rese definitiva questa condanna che - seguendo il ragionamento antipolitico ribadito dal comico prima e dopo il V-day - in teoria precluderebbe allo stesso Grillo la sua discesa in campo e la sua eventuale ascesa in Parlamento.
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=210856&START=0&2col=
FRANCESCO MARIA DEL VIGO: DI PIETRO – GRILLO, UNICA REGIA, STESSA STRATEGIA
Beppe Grillo e Antonio Di Pietro, due percorsi diversi che finiscono per incrociarsi. Nelle piazze, sui palchi, sotto le bandiere dell’antiberlusconismo ma anche, e soprattutto, in rete. E non si parla del partito che fu di Leoluca Orlando, ma della rete delle reti: internet. Balcone mediatico da cui si affaccia quotidianamente Beppe Grillo, vate incontrastato della blogger generation, e che ultimamente ha iniziato a bazzicare anche l’ex pm molisano.
L’uomo che ha convertito Grillo Ma facciamo un passo indietro. Era appena iniziato il nuovo millennio e, se i computer erano sopravvissuti al millenium bug, poco potevano contro la furia luddista di Grillo che, armato di ascia, sventrava pc durante i suoi spettacoli. Poi la catarsi. Incontra Gianroberto Casaleggio, guru delle strategie di comunicazione sul web, e si converte alla banda larga. Casaleggio, nel 2004 a Milano, fonda con alcuni soci la Casaleggio associati. “L'obiettivo della società – recita il sito dell’azienda-, è di sviluppare in Italia una cultura della Rete attraverso studi originali, consulenza strategica, articoli, libri, newsletter, seminari sulla Rete”.
Guru del web Gianroberto Casaleggio ha le physique du role del “santone” 2.0. Capelli riccioli, occhialini tondi, pochissime foto in circolazione e un alone leggendario che lo segue. Non concede interviste, ama Asimov e McLuhan, appassionato del mondo cavalleresco e della leggenda di Camelot, si narra che gli incontri della sua precedente società, la Webegg, si tenessero attorno a una tavola rotonda nel castello di Belgioioso, vicino a Pavia. Poi, nel 2006 l’incontro con Antonio Di Pietro e l’ennesima conversione.
Di Pietro Anche Tonino capitola e si innamora del web. Apre un blog, assistito dalla Casaleggio associati, che dalla grafica alle tematiche appare a immagine e somiglianza di quello del comico genovese. Vicini in rete e vicini nelle piazze. Quasi che il mezzo di comunicazione abbia influito ad avvicinarli nel panorama politico.
Antipolitica d’affari Quello della Casaleggio associati è un business a 360 gradi. E gli affari vanno sempre meglio. Nel 2006 il fatturato dell’azienda è stato pari a 2,5 milioni di euro, con aumento del 94,6 per cento rispetto al 2005. Nel 2007 si stanzia sui 2,5 milioni. Fra il 2005 e il 2006 l’utile netto dell’azienda è aumentato del 125,8 per cento, pari a 600 mila euro, l’anno scorso si è assestato oltre il milione di euro. Fra le varie attività dell’azienda risulta anche la vendita e la distribuzione on line dei dvd degli spettacoli e dei libri di Beppe Grillo. Rimane un dubbio. Ma perché una società, leader di settore, che “ha la missione di sviluppare consulenza strategica di Rete per le aziende e di realizzare Rapporti sull’economia digitale” ha deciso di investire buona parte delle sue energie su Grillo e Di Pietro?
Politica 2.0 Una risposta la dà di sponda Casaleggio stesso in un commento al volume “The social logic of politics” del politologo Alan Zuckerman, in cui sostiene l’importanza dell’influenza della comunità di riferimento nella scelta politica. Insomma blog, community e social network possono creare senso di appartenenza e identificazione, diventando ottimi strumenti di aggregazione e propaganda, specialmente sulle generazioni più giovani, quelle che smanettano più con la tastiera che col telecomando. Come dire: se Di Pietro non riesce a entrare in casa dal televisore ci entrerà da Facebook o da Myspace. La seconda risposta, in bilico fra il serio e il faceto, è un video fantascientifico e ansiogeno prodotto dalla Casaleggio e gettato come una bottiglia nel mare magnum di Youtube. Si chiama: “La nostra visione del futuro dei media descritto attraverso un video” e alla fine della clip, rimane un po’di inquietudine.
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=275125
MARCO TRAVAGLIO
"SE LI CONOSCI LI EVITI" di Marco Travaglio e Peter Gomez. Peccato si siano dimenticati di scrivere su di loro e i loro amici.
FILIPPO FACCI: A TRAVAGLIO 8 MESI DI CARCERE, LO SALVA L'INDULTO.
Roma – 16 ottobre 2008 - Il presunto collega Marco Travaglio è stato condannato a 8 mesi di prigione e 100 euro di multa perché diffamò Cesare Previti, al quale andrà anche un risarcimento di 20mila euro che sarà probabilmente sborsato dall’Espresso. Il settimanale, infatti, il 3 ottobre 2002 ospitò un articolo diffamatorio sicché la direttrice Daniela Hamaui, a ruota, è stata condannata a 5 mesi e 75 euro che è una pena piuttosto elevata, se rapportata al di lei cosiddetto «omesso controllo». Ma siamo solo al primo grado, e la pena in ogni caso è stata sospesa per entrambi.
La diffamazione è il reato a mezzo stampa per eccellenza, spesso fisiologico a chi scrive di cose giudiziarie: nel caso di Travaglio, tuttavia, la condanna lo trasforma in un classico bersaglio del suo stesso metodo. Il reato è del 2002, ma giudicato nel 2008, dunque è presumibile che andrà in prescrizione prima del giudicato; il reato, inoltre, ricade tra quelli coperti dall’indulto approvato nel 2006; il reato, infine, stando al suo gergo da film con Thomas Milian, trasforma Travaglio in un «pregiudicato» poiché in precedenza era stato condannato sì come diffamatore, ma solo in sede civile. Condannato, oltretutto, sempre per azione di Previti: nel 2000, per un suo articolo pubblicato sull’Indipendente nel 1995, il tribunale l’aveva già condannato al pagamento di 79 milioni che gli furono progressivamente decurtati dal reddito mensile.
Nel febbraio scorso, poi, nella sua Torino, Travaglio è stato condannato a risarcire Mediaset e Fedele Confalonieri per alcune ingiurie pubblicate sull’Unità del 16 luglio 2006; la notizia di questa condanna registrò tra l’altro un curioso episodio: un collaboratore dell’Espresso, Daniele Mastellarini, scrisse sul suo blog che «Travaglio, che è sempre molto preciso sulle condanne altrui, scrive che “dovrò pagare 10mila euro più le spese al dottor Fedele Confalonieri”, mentre in realtà sono 12.000 e dimentica la pubblicazione dell’estratto sul Corriere della Sera, che ha un costo non indifferente. Travaglio non riporta anche la condanna a risarcire Mediaset per 14.000 euro, e soprattutto non dice che davanti al giudice ha definito la propria rubrica “di carattere satirico”». Questo scrisse Mastellarini prima che il suo rapporto con l’Espresso, senza nessuna spiegazione, avesse a interrompersi. Altre querele, come una di Antonio Socci, Travaglio le ha scansate chiedendo pubblicamente scusa.
Ma torniamo a ciò che in una botta sola trasformerebbe Travaglio in pregiudicato o prescritto o indultato. L’articolo del 2002 era sottotitolato così: «Patto scellerato tra mafia e Forza Italia. Un uomo d’onore parla a un colonnello dei rapporti di Cosa Nostra e politica. E viene ucciso prima di pentirsi». E già qui il cosiddetto «sottinteso sapiente» pare chiaro. Lo sviluppo, poi, è ignobile: classico copia & incolla a tesi dove un pentito mafioso spiega che Forza Italia fu regista di varie stragi e fece un patto elettorale con Cosa Nostra. Il pezzo di Travaglio farebbe schifo già così, ma la sua disonestà intellettuale deve ancora dare il meglio. Vediamo. Il pentito del caso, Luigi Ilardo, raccontò queste cose che finirono in un rapporto redatto nel 1993. Ma Ilardo venne freddato da due killer nel 1996, talché «quello che avrebbe potuto diventare un altro Buscetta non parlerà più. Una fuga di notizie, quasi certamente di provenienza “istituzionale”, ha avvertito Cosa Nostra del pericolo incombente». Chi ha raccolto le confidenze del pentito, si legge, è il colonnello dei carabinieri Michele Riccio, in seguito coinvolto in un processo su presunti blitz antidroga pilotati. Riccio, nel 2001, viene convocato nello studio del suo avvocato Carlo Taormina assieme a Marcello Dell’Utri e al tenente Carmelo Canale, entrambi imputati per concorso esterno in associazione mafiosa. Taormina negherà, ma secondo Riccio in quello studio si predisposero cose losche: aggiustare deposizioni, scagionare Dell’Utri, cose del genere. Poi l’infamia. Travaglio cita un verbale reso da Riccio, sempre nel 2001: «In quell’occasione, come in altre, presso lo studio dell’avv. Taormina era presente anche l’onorevole Previti». E praticamente finisce l’articolo: l’ombra di Previti si allunga dunque su traffici giudiziari, patti con Cosa Nostra, regie superiori e occulte.
Il dettaglio, l’infamia, è che Travaglio non mette il seguito della frase. Eccola per intero: «In quell’occasione, come in altre, presso lo studio dell’avv. Taormina era presente anche l’onorevole Previti. Il Previti però era convenuto per altri motivi, legati alla comune attività politica con il Taormina, e non era presente al momento dei discorsi inerenti la posizione giudiziaria di Dell’Utri». Questo è il presunto collega che questa sera arringherà le folle ad Annozero. Questo è Travaglio.
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=298321
Attacca Vespa: «Marco Travaglio mi scarica addosso la consueta serie di insulti che fanno godere chi dell'antiberlusconismo ha fatto una ragione di vita, ma che costituiscono per il Cavaliere una polizza formidabile per fargli superare il record di durata di Giolitti e Mussolini». Contrattacca Travaglio: «Nel salutare il "dottor Fede", in arte Vespa, mi complimento con lui per essere riuscito a sponsorizzare il suo nuovo libro anche sull'unico giornale che ancora non gli aveva dedicato le consuete raffiche di anticipazioni e recensioni encomiastiche». Schermaglie di contorno in un duro botta e risposta pubblicato sulle pagine dei commenti dell'Unità. Motivo della lite tra i due giornalisti: i processi a Silvio Berlusconi.
Non finisce qui. «Travaglio ricorda che mia moglie era "vicina a Squillante". Mi permetto di ricordare che Renato Squillante era presidente della Sezione Gip di Roma di cui mia moglie era giudice. Travaglio è andato per un paio d’anni in vacanza con Giuseppe Ciuro, maresciallo della Finanza distaccato all’Antimafia (...): sarà poi condannato per violazione del sistema informatico della Procura di Palermo e per favoreggiamento del "re delle cliniche" Michele Aiello, condannato a sua volta (...) per associazione mafiosa. Il legale di Aiello ha detto che il suo cliente, su segnalazione del maresciallo, pagò un soggiorno in albergo di Travaglio. Travaglio ha smentito. Ma alla fine della fiera, giudichi il lettore qual è la situazione più imbarazzante». Risposta: «Quelle vacanze le ho pagate di tasca mia», tanto che ho pubblicato «la ricevuta della carta di credito e i due assegni. Se ho ricordato che la signora Vespa era vicina a Squillante, comunque, non è perché io dubiti dell’onestà della signora Iannini: è perché dubito della serenità di Vespa quando si occupa con grande indulgenza di Previti, Squillante & C., e soprattutto quando invita a «Porta a Porta» i tre Guardasigilli (Castelli, Mastella, Alfano) che hanno nominato sua moglie direttore generale del ministero della Giustizia e, ultimamente, capo dell'ufficio legislativo. Quando Vespa difende le leggi ad personam o nega addirittura che siano ad personam, sta parlando anche del lavoro della sua signora. Il che, in un altro Paese, potrebbe persino configurare un lievissimo conflitto d'interessi».
MICHELE SANTORO
Non bastavano Berlusconi e Mastella, a mettere sotto accusa Michele Santoro. Ci si è messo anche il tribunale di Varese, che ha condannato per diffamazione con il mezzo televisivo, il popolare giornalista, in un processo in cui aveva come controparte una associazione vicina alla Lega e i suoi aderenti. Santoro ha rimediato mille euro di multa, e un risarcimento stimato in 10mila euro per ognuna delle tre parti civili, l’associazione leghista “Terra insubre” , il suo fondatore Andrea Mascetti (difeso dall’avvocato Attilio Fontana) e l’ideologo del carroccio Gilberto Oneto (difeso all’avvocato Alberto Zanzi). Oltre a questo, 2500 euro di risarcimento per le spese processuali, a testa.
http://www3.varesenews.it/varese/articolo.php?id=84338
GLI ALTRI
La rivista di Paolo Flores investiga sull'amico Tonino: nel partito stanno vincendo i gattopardi ex dc.
Tuttora Tonino Di Pietro, quando gli ricordano il voltafaccia di Sergio De Gregorio, se la cava così: «Lo ha spiegato anche Gesù Cristo: ogni dodici, uno tradisce. Visto che io una volta ho già sbagliato, significa che non sbaglierò più». Il problema è che nell’Italia dei valori la media è stata leggermente superata.
Lo denuncia non un’infoiata polemica della destra, ma una documentata inchiesta sul numero di MicroMega in edicola. Avete letto bene. MicroMega, la rivista diretta da Paolo Flores D’Arcais, accusata dai nemici di giustizialismo e dipietrismo, che ospita gli interventi dei magistrati impegnati, gli atti d’accusa antiberlusconiani di Marco Travaglio, che per prima ha aperto al grillismo.
Il saggio s’intitola C’è del marcio in Danimarca. L’Italia dei Valori regione per regione, consta di cinquanta pagine, è stato scritto da Marco Zerbino e farà discutere. Tesi di fondo: «Esistono due anime di Idv, quella ideal-movimentista da un lato, e quella inciucista e politicante dall’altro», una situazione che «crea spesso a livello locale situazioni di stallo», e di frequente «si risolve a favore della seconda».
Non troverete allora in queste pagine l’intelligente campagna elettorale di Tonino per conquistare il voto d’opinione antiberlusconiano, sedurre intellettuali importanti (da Gianni Vattimo a Giorgio Pressburger, candidati, al simpatizzante Claudio Magris), per schierare nomi impegnati della società civile (da Luigi de Magistris al simbolo antimafia Sonia Alfano). No, accusa MicroMega: «A livello locale, le ali del gabbiano arcobaleno sembrano troppo spesso zavorrate dal peso della sua contiguità a un ceto politico dai modi di fare discutibili, in molti casi approdato all’Idv dopo svariati cambi di casacca, alcuni dei quali acrobatici, e in seguito a ponderatissimi calcoli di convenienza personale. Non proprio quello che si aspetterebbe da un partito che aspira a incarnare un nuovo modo di fare politica».
Se l’origine dei mali è nel partito personale («una forma di autocrazia legalizzata» nella quale «la partecipazione degli iscritti era di fatto impedita ex lege»), il primo male è che questo è diventato il partito record dei commissariamenti. In Piemonte gli ultimi congressi risalgono al 2005. In Veneto è commissariata Treviso. In Friuli sono state a lungo commissariate Udine e Pordenone. In Liguria il capo Paladini in un anno ha allestito un congresso moltiplicando le tessere (da 700 a 7000, roba che neanche il Pd). In Toscana è commissariata Lucca. In Umbria c’è un «garante» (Leoluca Orlando). Nelle Marche tutte le sezioni provinciali sono commissariate. In Campania non si fa congresso dal 2005, come in Puglia. In Calabria spopolava fino a poche settimane fa Aurelio Misiti, ex sindaco comunista di Melicucco, ex assessore della giunta Carraro a Roma, presidente (di nomina berlusconiana) del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Tonino lo ha alfin sostituito con Ignazio Messina, capo degli enti locali dell’Idv, che ha ruoli di rilievo anche in Sicilia. Piccolo particolare, Messina, per nove anni sindaco a Sciacca, è uno degli antesignani del trasversalismo: nel 2004 sostenne laggiù il candidato sindaco di Forza Italia, Mario Turturici. Tonino con Silvio, che orrore. Ma accade, e pure spesso, in Italia.
In Liguria Giovanni Paladini, ex Ppi, poliziotto e segretario del Sap (uno di quelli che votarono «per affossare l’inchiesta parlamentare sul G8») tra le tante altre cose, accusa MicroMega, ha inserito in lista alle europee Marylin Fusco, «sua fiamma» (la neodipietrista, in un dibattito tv su Odeon, ebbe cuore di dire «nei confronti di Silvio Berlusconi è in atto una persecuzione»). C’è chi, in quell’entourage, è stato al centro di attenzioni dei pm per rapporti con famiglie calabresi.
Zerbino racconta vita e miracoli di Nello Formisano, capo in Campania. «Insieme all’ex dc potentino Felice Belisario incarna l’ala “pragmatica”, per così dire, dell’Idv: entrambi hanno riempito il partito delle mani pulite di faccendieri e arrivisti, in larga misura di provenienza democristiana».
Grazie a Formisano - scrive - sono entrati Mimmo Porfidia (ex Udeur che verrà indagato dalla Dda di Napoli per il 416 bis), Nicola Marrazzo (attualmente capogruppo in consiglio regionale, «la sua famiglia possiede diverse imprese impegnate nel settore dei rifiuti, quattro delle quali si son viste ritirare dalla Prefettura il certificato antimafia»). È entrato il leggendario Sergio De Gregorio. È Formisano, in posti come Torre del Greco, San Giorgio a Cremano, Qualiano, ad aver reso normali operazioni di «Grosse Koalition alla pummarola», facendo entrare sistematicamente l’Idv in giunte di destra.
Di Belisario MicroMega ricorda che ha lo stesso, diciamo così, talento trasversale; o che ha fatto arrivare al partito uomini del calibro di Orazio Schiavone, ex Udeur, condannato per esercizio abusivo della professione odontoiatrica.
Nelle Marche tutto è in mano a Davide Favia: l’ex fondatore di Forza Italia in quella regione! Ma tra i cambiatori di casacca si potrebbero citare Salvatore Cosma, Ciro Borriello, ovviamente Pino Pisicchio (ex dc, ppi, Rinnovamento italiano, Udeur), e il mastelliano Nello Di Nardo. Fa sobbalzare che, oltre ai tanti funzionari con guai giudiziari, ci sia stata anche la candidatura Idv alla Camera di un iscritto alla P2, Pino Aleffi.
Chi leggerà MicroMega troverà tutti i nomi. Scrive Paolo Flores nell’editoriale che accompagna l’inchiesta: «C’è del marcio in Danimarca, questo si sa (almeno dal 1604). Ma se la Danimarca resta l’ultima terra di speranza per una società civile democratica, raccontare il marcio che razzola in essa, raccontarlo tutto e senza le cautele (cioè autocensure) del “cui prodest?”, diventa un dovere verso la democrazia, e quasi un gesto d’amore». Lo capirà l’altra faccia, quella ideal-movimentista, dell’Italia dei Valori di Tonino?
MicroMega attacca Belisario e Di Pietro: «Basta faccendieri nel Pd». La Stampa di Torino riportando un inchiesta della rivista diretta da Flores Darcais, MicroMega disegna la mappa delle anime presenti nell’Italia dei valori cercando di svelare i punti deboli del partito di Antonio Di Pietro. Quella di MIcromega è un’inchiesta che non fa sconti ai dipietristi.
Già dal titolo: «C’è del marcio in Danimarca. L’Italia dei valori regione per regione».
Il giornalista della Stampa, Jacopo Iacoboni ha sintetizzato l’inchiesta di 50 pagine della rivista di Filosofia e politica di Paolo Flores D’Arcais mettendo in evidenza la tesi di fondo che «esistono due anime di Idv, quella ideal - movimentista da una lato e quella inciucista e politicante dall’altra». Tesi per cui a livello locale lo scontro di queste due anime «crea spesso situazioni di stallo che si risolvono a favore della seconda».
Nella schiera degli “inciucisti” Micromega mette a primo livello Nello Formisani e il capogruppo al Senato, il lucano Felice Belisario. Dall’altro lato, nell’anima definita “Alta” ci sono Sonia Alfano e Gianni Vattimo.
Insomma quello che viene dipinto è un partito che vive di sfide fratricide e di lotte “all’ultimo sangue”.
Il particolare è che mentre sulla Stampa usciva questo articolo che dipingeva scenari da inciuci e spaccature, sul Quotidiano della Basilicata è stata pubblicata un’intervista al segretario regionale dell’Italia dei valori di Basilicata, Michele Radice che attaccava a sua volta il senatore Felice Belisario, reo secondo lo stesso Radice di aver tentato di «defenestrarlo dal partito».
Rimanendo all’intervista di Radice, si comprende che in Basilicata l’Idv non è semplicemente divisa in due anime, la “movimentista” e la “inciucista” ma c’è anche una terza forza che è quella che spinge il partito verso una strutturazione più omogenea ai partiti tradizionali: fatta di tesserati, di sezioni e di voti congressuali senza regie nazionali».
E’ stato un esecutivo movimentato, con liti furiose, quello che ha dovuto affrontare Antonio Di Pietro. Lo scontro c’è stato sia sulla cosiddetta “questione morale” in Campania sia sulla legge elettorale europea (sono più di una decina i parlamentari che si sono espressi contro lo sbarramento del 4%). Ma tensione è salita quando Francesco Barbato ha avuto un violento alterco con Silvana Mura, che ha cercato di strappargli di mano una cartella con su scritto «dossier sulla questione morale nell’Idv». Barbato da tempo chiede a Di Pietro di fare pulizia nel partito in Campania: ieri ha puntato il dito soprattutto su quelle che lui considera «amicizie pericolose con ambienti camorristici» di Nello Formisano (coordinatore regionale) e di Nicola Marrazzo (capogruppo al consiglio regionale). Entrambi presunti all’incontro. Tutta roba da dimostrare, sia chiaro, ma Barbato sostiene che c’è tutto scritto nel suo dossier («ho parlato per tabula, con tanto di documenti giudiziari»).
Ma quando gli è stato chiesto di mostrare le prove, lui si è rifiutato. E’ intervenuta la Mura inferocita: si è alzata, ha cercato di impossessarsi della cartella, le è «sfuggita» nella concitazione qualche parola di troppo («dacci queste carte, stronzo»). A quel punto Barbato se n’è andato, sbattendo la porta. «Mi sono incavolata - racconta Mura - perché lui continua ad accusare esponenti del partito senza avere le prove. Accuse gratuite dicendo di avere documenti, ma non ce li fa vedere. Abbiamo visto come è finita la vicenda di Porfidio, accusato di associazione a delinquere. Non c’è niente...». In tutto questo Di Pietro non ha mosso un dito. Di fronte al j’accuse del deputato ribelle ha preso appunti. Poco prima aveva detto che «i nostri nemici li abbiamo di fronte, non seduti accanto: dobbiamo restare uniti e non beccarci tra di noi». Gli «imputati» Marrazzo e Formisano si sono difesi contrattaccando. Hanno detto che Barbato è un «esibizionista», «un professionista dell’anticamorra», capace solo di coltivare «la cultura del sospetto», che tira fuori roba vecchia di 20 anni. Barbato ha lasciato la riunione ed è andato a sedersi in sala stampa per sentire cosa avrebbe detto Di Pietro. Nell’attesa ha continuato a lanciare i suoi strali contro Di Pietro: «Lui mescola merda e cioccolato». Ora, ha aggiunto, «temo per la mia vita dopo le denunce fatte sulle “relazioni pericolose” con certi clan camorristici». Parole da prendere con le molle. Rimane il fatto che in Campania sta succedendo che molti amministratori dell’Idv si sono autosospesi dal partito. Tra questi i consiglieri comunali di Napoli, Scala e Migliaccio. Anche a Caserta c’è stato un esodo.
In fibrillazione gli amministratori di Salerno. Scala e Migliaccio non hanno presentato la mozione di sfiducia alla Iervolino e sono stati messi alla porta. Ma entrambi chiedono perché Marrazzo (presidente della commissione bilancio) non si è dimesso nonostante il leader dell’Idv abbia chiesto a tutti di abbandonare i posti di responsabilità. Eppure, precisa Migliaccio, la settimana scorsa, «Marrazzo ha portato a casa due nomine di persone a lui vicine. E’ così che si porta avanti un’operazione di sfiducia?». Nella conferenza stampa Di Pietro non è entrato nel merito delle questioni. Ha però detto che bisogna staccare la spina a Bassolino e Iervolino: «L’Idv non accetterà compromessi con il centrodestra. Non ci faremo abbindolare dalle ipocrisie del centrodestra, che adesso presenta mozioni di sfiducia dopo avere preso accordi sottobanco». Si riferiva anche alla mozione (dovrebbe essere votata in settimana) presentata dall’onorevole di An Amedeo Labocetta che impegna il governo a inviare a Napoli una commissione ministeriale «con ampi poteri di indagine su ogni atto amministrativo». Per Di Pietro ci sarà l’autosospensione e decadenza dal partito per chiunque si trovi coinvolto nella questione morale: non bisogna aspettare la sentenza passata in giudicato. «Mio figlio Cristiano - ha detto Di Pietro - che con Romeo c’entra come i cavoli a merenda, pur non avendo ricevuto nessun avviso di garanzia, si è autosospeso dal partito».
Il mondo, forse, lo ricorderà così. Con la camicia bianca ampiamente sbottonata, la pochette e il vestito grigio mentre agita l'agenda rossa di Paolo Borsellino e, nell'altra mano, un cartello con scritto «La mafia ringrazia - Riciclaggio liberalizzato». Ma chi è Francesco Barbato il deputato Idv che ieri alla Camera ha accusato il premier e la maggioranza di essere «mafiosi e criminali»?
Chi è l'uomo che ha scatenato la bagarre in Aula costringendo il presidente di turno Rosy Bindi a sospendere la seduta e Gianfranco Fini a portare il caso davanti all'ufficio di presidenza? La biografia presa dal suo sito dice che è nato a Camposano, paesino della provincia di Napoli, 53 anni fa (su internet è ancora fermo a 51). È stato primo cittadino della sua città e nel 2003 ha fondato, assieme a Roberto Alagna, il Governo Civico, una sorta di rete di tutte le liste civiche presenti sul territorio nazionale. Da lì è nata, nel 2007, la Lista Civica Nazionale e la candidatura da «indipendente» alle politiche del 2008 nelle file dell'Idv. Il suo curriculum ufficioso, però, lo qualifica come una vera spina nel fianco di Antonio Di Pietro.
È stato lui, ad esempio, a sollevare per primo la questione morale dell'Italia dei valori in Campania scagliandosi contro il segretario regionale del partito il deputato Nello Formisano. E anche per questo, oggi, in molti pensano ci sia lui dietro il numero speciale che Micromega ha recentemente dedicato all'Idv mettendone in mostra gli aspetti più oscuri. Ma in verità anche lui ha qualche scheletro nell'armadio. Si tratta di una vicenda risalente al giugno del 2008. Il 5 ottobre 2009 la Camera sta esaminando il decreto Alitalia e Barbato, senza nominarlo, si scaglia contro l'ex ministro delle Comunicazioni Mario Landolfi accusandolo di «armeggiare con i camorristi».
«Ciò risulta da atti giudiziari - accusa -, dove un Gip di Napoli ha trasmesso a questo Parlamento la richiesta di autorizzazione a procedere. Qui, con il Pdl, probabilmente, vi è chi fa praticantato con la camorra». Due giorni dopo la scena si ripete. Il deputato Idv chiede l'estensione del lodo Alfano anche a Landolfi che «ho letto infatti sul Mattino di Napoli sarebbe stato eletto con i voti della camorra...» A gennaio di quest'anno il terzo round: Barbato cita Americo Porfidia, deputato Idv accusato di associazione mafiosa, e ricorda di come questi abbia più volte preso le difese dell'esponente del Pdl «accusato di avere rapporti con la camorra». Stavolta, però, il giudice diventa imputato.
Landolfi, infatti, rispondendo alle accuse ricorda che a ottobre Barbato ha presentato un'interrogazione al ministro dell'Interno per chiedere «provvedimenti urgenti» a tutela di Gaetano Manna presidente dell'associazione anticamorra Acli Terra Campania per la Legalità che gestisce i beni confiscati al clan dei Nuvoletta. Un piccolo problema, dopo l'interrogazione Manna è finito nel mirino della polizia al punto che, il 31 marzo 2009, viene arrestato per truffa. L'accusa è di essersi arricchito vendendo a commercianti falsi diplomi per corsi di aggiornamento obbligatori mai frequentati.
Spunta anche una sua foto con il boss di Pignataro Maggiore Raffaele Ligato (condannato all'ergastolo per l'omicidio del sindacalista Franco Imposimato) mentre il demanio decide di revocare il provvedimento con cui aveva affidato unilateralmente all'associazione la gestione dei beni confiscati. Il pressing su Barbato si fa piuttosto intenso e lui si difende: «Questo Manna non lo conoscevo neppure quando ho presentato l'interrogazione parlamentare. Mi è stato segnalato dalle Acli di Napoli. Non mi appartiene politicamente perché mi risulta essere vicino ad Ana. Tant'è che ho delle foto che lo ritraggono insieme a Landolfi».
Ma mentre le Acli smentiscono legami con l'associazione, il sindaco di Pignataro Giorgio Magliocca offre un'altra versione: «Un parlamentare non dovrebbe mentire mai. Anche quando gli è stato detto che Manna era un personaggio ambiguo, Barbato ha continuato a difenderlo».
20.03.2007 - dossier sul moralizzatore: Fatti concreti vs Parole svuotate. Ecco qualcosa in più su Di Pietro & C di S.Castiglion
Antonio Di Pietro ha detto che il suo sguardo è puntato sullo stesso obiettivo dell’Udeur. L’Udeur con la Nuova di DC di Rotondi, insieme al UDC, vuole ricreare la DC. Indi per cui dovremmo trarre la somma che Di Pietro vuole costruire di nuovo la DC. Ma noi non siamo abituati a scrivere di interpretazioni, abbiamo un modus operandi coerente: guardare ai fatti. Ed allora guardiamo a questi, la conclusione potrebbe non essere così tanto difforme dall’interpretazione.
Antonio Di Pietro, la “zavorra morale” secondo Mastella, ed il paladino della legalità secondo se stesso. Il cosiddetto ed auto-detto “simbolo della questione morale”, ha difficoltà nel dimostrare coerenza, però, tra il dire ed il fare. La questione Etica per le sue parole è una bandiera irrinunciabile. La questione Etica a guardare i fatti da lui compiuti è un optional a cui rinunciare costantemente. Poteva costruire un grande movimento, credibile, con uomini e donne credibili, capace di dare risposta alla rivolta morale crescente nel Paese, ed invece ha scelto un’altra strada: usare la rivolta morale del paese per costruirsi il suo partito, coi suoi vice-re. Ha cacciato e tradito quanti hanno iniziato quel percorso dando fiducia a lui, l’ex pm di Mani Pulite. Ha scelto di avocare a se, anziché il meglio della società civile, come lo esortava (“per l’ultima volta”) Paolo Flores d’Arcais dopo la frattura con il Governo Amato nel 2000, espressioni di quel “peggio” che la rivolta morale avrebbe voluto spazzare via. Così si è visto abbandonare da quanti credevano nella possibilità di un cambiamento, partendo da Elio Veltri.
Ma abbiamo detto che guardiamo i fatti. Ed allora ecco una dettagliata, purtroppo lunga e pesante, rassegna di fatti.
Gli irresistibili “cappuccini” di Di Pietro
Di Pietro, vista la pervicacia, ha un debole per i “cappucci”, non quelli del bar e nemmeno quelli dei conventi. Quelli che sembra proprio prediligere sono i frequentatori dei “templi coperti”. Dopo quelli riscoperti dal Polo, e dai DS, volete che lui mancasse di spalancare le porte dell’Italia dei “Valori” ai massoni e piduisti? Giammai! E così dopo Filippo De Jorio nel 2001 (Roma, tessera P2 n° 511) ha portato nel 2006 alla soglia del parlamento (primo dei non eletti in Sardegna) un altro piduista: Giuseppe Alessi detto Pino (Pisa, tessera P2 n° 762). La storia di questi due baldi giovini della loggia di Licio Gelli (la stessa di Berlusconi, come amava ricordare il Di Pietro d’un tempo) la dice lunga:
De Jorio, fedelissimo di Licio Gelli, da sempre vicino agli ambienti militari e dei Servizi, consigliere politico dell'onorevole Andreotti, è stato anche latitante per il golpe Borghese del 1970 (fu assolto poi su richiesta del pm, Claudio Vitalone, altro uomo di fiducia, da sempre, di Giulio Andreotti, come comprovato storicamente).
Giuseppe Alessi, noto come “Pino”, è stato comandante del nucleo CC a Pisa. Già eletto in Parlamento con Forza Italia nella XIII legislatura.
Ma lui li ha voluti con se, e solo una rivolta a Genova nel 2001 lo fece separare dal fedele De Jorio, che ci rimase male, quando Di Pietro, sull’onda dell’opposizione a quella candidatura di tutta Genova e di D’Arcais, “congelo” la candidatura. Gli è andata meglio nel sodalizio con l’Alessi, che se tutto va bene potrebbe entrare in parlamento già in questa legislatura, e soprattutto con l’elezione a Montecitorio di Giuseppe Ossorio, nominato anche Presidente della Commissione Bilancio della Camera, degno incoronamento per i lunghi anni nel Pentapartito nella Napoli di Vito e Cirino Pomicino (negli anni ottanta al Comune) e poi nei Repubblicani con il Centro- Sinistra in Regione nel 2000 e 2005. Giuseppe Ossorio, oltre che paracadutato dal Pentapartito partenopeo è anche notorio massone del Grande Oriente d’Italia.
Qualche altro fedele del Tonino
Stefano Pedica, per Tonino “il mio Chiti”, capo segreteria politica dell’Italia dei “Valori”. Eletto alla Camera nel 2006, nato a Roma ma eletto in Lombardia 1, a coronamento di una pervicace militanza democraticocristiana in piena Tangentopoli (e lungo tempo ancora). Dal 1987 al 1996 segretario e consigliere di Francesco D’Onofrio (ora dell’UDC), amico di Francesco Cossiga (quel Francesco Cossiga!), nel 1994 quando muore la DC , segue D’Onofrio nel CCD. Nel 1998 fonda insieme a Cossiga l’UDR. Nel 1999 fonda il Movimento Cristiano Democratici Europei, con il quale nel 2003 aderisce al Patto Segni, e nel 2004 si candida alle Europee. Nel 2005 si avvicina alla Nuova DC di Rotondi e, quindi, nel 2006 porta il CDE nell’Italia dei “Valori”.
Luigi Li Gotti, nasce a Crotone, anche politicamente. E’ nell’estrema destra calabrese che inizia a militare l’avvocato. Dagli anni sessanta è un fedele camerata nell’MSI e poi continua in AN. E’ solo nel 2003 che abbandona Gianfranco Fini per aderire all’Italia dei “Valori” di Di Pietro, d’altronde se in AN c’era Publio Fiori, anche qui di massoni e P2 ce ne sono e si sente come a casa. Eletto con l’IdV è stato nominato sottosegretario alla Giustizia del dicastero di Clemente Mastella. E la Giustizia era un cavallo di battaglia…(appunto: era!).
Porfidia Americo, già sindaco di Recale ed amante del “canto”, inteso per quello che voleva fare da bambino, riuscendoci anche in un coro sul modello dello “Zecchino d’oro”, come ama ricordare lui stesso. Ma a Recale, piccolo centro del Casertano, dove la Camorra è di casa con uno dei più forti clan, quello dei Casalesi, la sua Giunta è stata sotto attacco costante per una “quisquiglia”. Un conflitto di interessi che da Sindaco non ha mai voluto risolvere (tanto che la casa di riposo non ha ancora visto ad oggi la cessione delle sue quote, visto che dalla Visura Camerale risulta ancora in società). Inoltre l’opposizione dell’Ulivo chiedeva costantemente di poter visionare la documentazione originale allegata a delibere e bilancio, ma ad oggi risulta “non pervenuta”. La campagna elettorale che lo ha portato alla Camera è stata caratterizzata da un episodio “sgradevole”. L’iniziativa nel vicino comune di Santa Maria di Capua Vetere, con Antonio Di Pietro, è stata promossa (con tanto di firma sui manifesti) da Gaetano Vatiero, arrestato per corruzione nell’aprile 2006 (giustizia ad orologeria?!) non per l’attività di Segretario dell’Italia dei “Valori” del Comune, ma per aver commesso il reato quale Dirigente del Comune di Santa Maria Capua Vetere. Naturalmente sia Di Pietro che Porfidia, dopo aver tuonato all’espulsione, affermavano di non sapere chi fosse quell’uomo e di non averlo mai incontrato. L’espulsione, per la cronaca, non c’è stata. E’ stato adottato una sospensione sino a che la magistratura non avrà chiarito, almeno questo è quanto risulta pubblicamente.
Aniello Formisano, eletto al Senato in Umbria, nato a Torre del Greco – NA, avvocato, dipendente della ASL di Napoli. Proviene dalla Margherita. E’ tra i sottoscrittori dell’emendamento alla Finanziaria 2006, il cui primo firmatario è il Sen. Fuda (del Partito Democratico Meridionale di Agazio Loiero e già stra-noto agli Uffici distrettuali antimafia). Questo emendamento è il famoso comma “ 1346” che prevedeva la drastica riduzione dei tempi di prescrizione dei reati contabili (tra cui quelli contestati, per esempio, al Fuda e a Berlusconi). Il Procuratore della Corte dei Conti ha tuonato contro il provvedimento adottato del Centro-Sinistra, perché con quel comma la prescrizione scattava non più dal momento della scoperta e contestazione del reato, bensì nel momento della commissione del reato. A quel punto, Di Pietro tuonò allo scandalo di quel “comma”, come se non lo avesse notato prima. Ma non si cancella il “comma”, il Governo lo fa approvare dal Parlamento (e vota anche l’IDV) e poi approva un Decreto per annullarne l’effetto devastante. Logico no?
Giuseppe Caforio, eletto al Senato in Puglia, nato in Puglia, è tecnico ortopedico. Con l’Italia dei “Valori” diviene Vice Presidente della Commissione Sanità-Igiene e, folgorando il Parlamento in pochi mesi, diventa anche Vice Presidente della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale, oltre che componente della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sui Rifiuti.
Fabio Giambrone, eletto al Senato in Sicilia, è l’uomo ex Margherita che è considerato un ponte non solo con il “giuda” Sergio De Gregorio (poi perché “giuda” non si è capito, visto che il passato di De Gregorio era ben chiaro: prima craxiano poi berlusconiano, vicino alla destra; aveva già i manifesti pronti per candidarsi con FI quando Di Pietro gli ha proposto una candidatura sicura e questi ha colto l’occasione, tra l’altro se uno è abituato a tirare in barca a destra e a manca non può stupirsi se poi chi sale sceglie altre rotte!), ma soprattutto con gli uomini dell’UDC siciliana (quella di Totò Vasa Vasa) e di FI siciliana (quella di La Loggia e Dell’Utri), con cui sta tessendo, pubblicamente, rapporti per portare un allargamento del fronte a sostegno di Leoluca Orlando, in corsa per tornare alla poltrona di Sindaco di Palermo. Che sia per questo suo ruolo di “ponte” che è stato nominato nella “Giunta delle Immunità Parlamentari”? (per interderci la stessa che avrebbe dovuto accompagnare alla porta di Montecitorio Cesare Previti, ma ha perso la strada!)
Egidio Enrico Pedrini. Eletto alla Camera in Piemonte, ex democristiano di lungo corso, già candidato e uomo ligure di Sergio D’Antoni. E’ membro della Commissione Trasporti di Montecitorio. In effetti ama il Trasporto, per lui è una vera passione. Nato a Massa in Toscana e trasferitosi in Liguria, è proprietario, insieme alla figlia, di alcune quote della Società che gestisce l’Aeroporto di Pantelleria. Naturalmente questo non è l’unico interesse di Pedrini, visto che proprio a Roma è Presidente del Consiglio di Amministrazione di società di un’altra passione di Di Pietro, l’Informatica. La Sira srl di Liguori Marco e Sofina srl (socio di maggioranza e amministratore unico Liguori Marco), che fa parte del Consorzio Sky Data Management, in sigla Consorzio SDM.
Aurelio Salvatore Misiti. Eletto alla Camera in Calabria, sua terra d‘origine, è componente della Commissione d’Inchiesta sui Rifiuti. Da anni il suo impegno è al centro di pesantissime contestazioni e critiche da parte degli ambientalisti. E’ considerato il “cementificatore”. Inizia l’attività di “rappresentanza” con il Pci negli anni sessanta (sindaco di Melicucco), diviene anche segretario nazionale della CGIL Scuole. Lo si ritroverà poi in Giunta al Comune di Roma con il Sindaco Carraio (PSI). Con il primo governo Berlusconi nel 1994 raggiunge finalmente l’elezione a Roma. In Calabria è assessore regionale con il centro-destra e con il centro-sinistra, a prescindere. Significativo è l’operato svolto da Assessore ai Lavori Pubblici in Calabria, nella Giunta Chiaravallotti del Centro Destra, su cui le indagini della magistratura ancora si susseguono. Ma Silvio Berlusconi lo chiama e nomina Presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, considerata la sua grande convizione-passione: il Ponte sullo Stretto s’a da fare! Sua la grande difesa della grande opera amata da Cosa Nostra ed ‘Ndrangheta anche a Report di Rai 3, dove ha anche annunciato che: “Intorno al 2010 dovrebbe esserci l’inaugurazione”. Sua la “constatazione” che la Calabria non corre alcun rischio idrogeologico, peccato che natura ed ambiente non si sono adeguate ed i disastri siano arrivati puntuali. Le protezioni e l’appoggio di lobby potentissime in Calabria per lui è scontata.
Giorgio Calò. E’ sottosegretario alle Comunicazioni del Governo Prodi. Di lui si può dire che è l’ombra di Di Pietro. Già assessore provinciale a Milano e già Europarlamentare. Ha sempre ostentato l’odio ed il bisogno di rompere il monopolio imprenditoriale di Berlusconi, mina vagante permanente dell’economia italiana. Tra le contestazioni sempre mosse da Calò, proprietario della Directa, nota e quotata agenzia nazionale di sondaggi, a Berlusconi quella di essere “il più grande inquinatore del mercato dei sondaggi d'opinione”. Indi per cui ha deciso, per combatterlo meglio, di vendergli la sua Directa! Oggi, sappiamo, che il ministero delle Comunicazioni ha assunto la proposta Frattini (Berlusconiano doc) come faro, “punto di riferimento”, per affrontare il Conflitto di Interessi di Berlusconi.
Queste sono notizie, tranquillamente reperibili in rete.
Non siamo andati a vedere altro, non siamo andati a vedere chi sono i singoli candidati alle ultime elezioni politiche, l’unico citato infatti è l’ex piduista in Sardegna, semplicemente perché ha rivelare il suo passato è stato uno dei MeetUp di Beppe Grillo.
Ma come abbiamo detto non andiamo a vedere le questioni particolari, ma puramente quelle Etiche e Morali del partito che vuole essere quello dell’Etica e della Questione Morale, della nuova politica. Ed allora ci si rende conto che la vecchia politica della lottizzazione, della spartizione, di “un ceto politico arroccato come in un feudo che chiede e pretende nomine di governo ed ancor più nei Consigli di Amministrazione, perché portano gettoni di presenza e permettono di gestire meglio le proprie clientele” (come denunciato ‘testualmente’ anche dalla trasmissione W l’Italia di Rai 3 il 18.03.2007) non è finita.
Questo è lo stesso pane della politica effettivamente attuata da Antonio Di Pietro, con la sua “nuova” Italia dei “Valori”.
Di Pietro alla trasmissione “Pane e Politica” ha affermato, e qui la ‘confessione’ è inequivocabile, che “l’Italia dei Valori ha solo un ministro e due sottosegretari nonostante sia il Terzo partito dell’Unione”. A parte il coraggio (e ce ne vuole!) per giustificare la composizione (e le spese conseguenti!) del più pesante Governo della storia Repubblicana (102 tra ministri e sottosegretari), ha superato se stesso, visto che il “Terzo partito dell’Unione”, l’Italia dei Valori, ha meno del 2,3% (nel 2001, quando ancora aveva un po’ di credibilità, aveva il 3.9%).
Ma Antonio Di Pietro ha un aspetto positivo: fa le stesse cose degli altri e lo noti subito (forse perché da lui non ti saresti mai aspettato certi decadimenti etico-morali!).
Ad esempio le nomine nei Consigli di Amministrazione che tutti vogliono perché portano gettoni di presenza e alimentano le clientele, nella classica logica pre-Tangentopoli, sono per lui elemento essenziale, ma d’altronde l’ha detto “Siamo il terzo partito dell’Unione”.
E quindi non ci si può stupire se per lui gli eletti sono sia quelli nelle istituzioni (ed abbiamo visto la “crema” che ha portato in Parlamento, alla faccia del Parlamento Pulito!) ma sono anche quelli che ha fatto nominare per gestire gli affari nei Consigli di Amministrazione dal nord al sud Italia. Sì, per lui sono la stessa cosa, tanto da averli inseriti (non proprio tutti e poi vediamo chi si è dimenticato, sic!) nelle pagine degli eletti dell’Italia dei “Valori”, sul sito ufficiale del partito che ha, ricordiamo, come unico socio titolato a decidere, lui, Antonio Di Pietro. Vediamo.
Gli "eletti" per gli affari nei CDA
Mario Bonomo. Indicato come “eletto” nel CDA dell’Aeroporto di Catania. Un siciliano con un “coraggio” imprenditoriale unico. Tra Siracusa e Ragusa non ha fatto altro in questi anni che aprire e chiudere e riaprire diverse società di gestione del Bingo. Quanti uomini hanno avuto il coraggio di “sfidare” Cosa Nostra su uno dei terreni che questa ha sempre controllato (il gioco!) e soprattutto chi ha mai avuto il coraggio di farlo in territori poveri e controllati da Cosa Nostra? C’è un solo nome, quello di Mario Bonomo (unitamente ai suoi soci che si ritrovano nella stessa sfida!).
Giuseppe Caliaro. Indicato come “eletto” all’IPAB di Vicenza quale Vice Presidente. Qualcuno potrà domandare cosa sia l’Ipab, ed allora ecco che è: Istituto Pubblico Assistenza Beneficenza. Gestiscono un patrimonio immane di beni mobili e immobili, ma anche i fondi per gli orfani della seconda guerra mondiale (non più erogabili, ma loro li tengono bene!), oltre che le donazioni spontanee. A Vicenza si dice che la presidenza dell’IPAB sia l’anticamera per un posto a Roma, visto che è “tradizione”, perché non entrarci?.
Ivan Rota. Indicato come “eletto” nel CDA Infrastrutture spa, di Bergamo. Ivan Rota già candidato in diverse tornate elettorali dalla Lista Di Pietro dopo una militanza nella Democrazia Cristiana, un po’ come tanti in questa lunga lista.
Domenico Cangelli. Indicato come “eletto” nel CDA Mercati Spa di Bergamo.
Giampiero Costantini. Indicato come “eletto” al Museo Naturale Civico di Bergamo quale Presidente.
Dario Domeneghini. Indicato come “eletto” nel CDA della SO.LI.COR, Bergamo.
Sergio Piffari. Indicato come “eletto” come Presidente del GAL, Bergamo.
Vincenzo Signorino. Indicato come “eletto” nel CDA Consorzio Formazione Professionale Provincia di Milano.
Tiziana Tosi. Indicata come “eletto” nel CDA Consorzio Formazione Professionale Provincia di Milano.
Paolo Pagi. Indicato come “eletto” nella Commissione Elettorale della Provincia di Milano.
Giuseppe Calanni. Indicato come “eletto” nel CDA Aziende Farmacie di Cinisello Balsamo.
Riccardo Martucci. Indicato come “eletto” nel CDA Milano Mare.
Giuliano De Palma. Indicato come “eletto” Revisore dei Conti della Milano Ristorazione.
Mariano Giordano. Indicato come “eletto” Revisore dei Conti della Farmacie Milano.
Maria Luisa Ricco Paxi. Indicata come “eletto” Revisore dei Conti della AMSA, Milano
Marco Tosi. Indicato come “eletto” nel CDA Sintes spa collegata ASM, Brescia.
Piergiorgio Gazich. Indicato come “eletto” nel CDA San Filippo Spa, Brescia.
Giuseppe Gardoni. Indicato come “eletto” Revisore dei Conti Aprica spa, Brescia.
Giuseppe Capitani. Indicata come “eletto” Presidente Biblioteca Valle Camonica, Brescia.
Claudio Ferrante. Indicato come “eletto” nel CDA Municipalizzata GAS, Lodi.
Giuseppe Mastrogiorgio. Indicato come “eletto” nella Commissione Elettorale Provinciale, Lecco.
Renato Valsecchi. Indicato come “eletto” nel CDA Polo Logistico SPA, Lecco.
Lorenzo Mazzera. Indicato come “eletto” nel CDA Fondazione Cremona. (A Cremona di eletti dal popolo nemmeno uno! – sic).
Mario Frattarelli. Indicato come “eletto” Presidente Ente Regionale Abruzzo.
Bruno Di
Bartolo. Indicato come “eletto” Revisore dei Conti dell’Ente Regionale
Abruzzo.
(in Abruzzo, uno fa l’altro controlla! - sic).
Giovanni De Gasperis. Indicato come “eletto” nel CDA Parco Scientifico e Tecnologico dell’Abruzzo.
Rinado Mariani. Indicato come “eletto” Presidente Ente Provincia L’Aquila.
Bruno Chelli. Indicato come “eletto” Presidente del Consorzio Industriale de L’Aquila.
Antonio Giordano. Indicato come “eletto” nel CDA Acqua Spa, Matera.
Carmelo Pierro. Indicato come “eletto” nel CDA Agropis, Matera.
Anna Maria Coletti. Indicata come “eletto” nel CDA ? (non si sa!?), Potenza.
Luigi Passariello. Indicato come “eletto” nel CDA ACSH, Caserta.
Cosimo Boemio. Indicato come “eletto” nel CDA Arzano Multiservizi, Napoli.
Nicola De Vizio. Indicato come “eletto” nel CDA Agenzia Provinciale Energia di Benevento.
Maura Frazzi. Indicata come “eletto” nel CDA Casa di Riposo di Cotignola, Ravenna.
Domenico Capuozzo. Indicato come “eletto” nel CDA Istituzione Castelfranco, Modena.
Giampiero Ferrara. Indicato come “eletto” nel CDA Agenzia dei Trasporti, Modena.
Renato Rondinella. Indicato come “eletto” nel CDA Istituti Educativi, Bologna.
Antonino Calabrese. Indicato come “eletto” nel CDA Università degli Studi, Parma.
Liana Barbati. Indicata come “eletto” nel CDA Istituzione Rete, Reggio Emilia.
Antonio Maggiore. Indicato come “eletto” nel CDA Ente Fiera, Reggio Emilia.
Giuliano Egidi. Indicato come “eletto” nel CDA Agenzia Regionale del Lazio.
Gino Canale. Indicato come “eletto” Presidente Consorzio Turistico, Frosinone.
Raffaele Petrarulo. Indicato come “eletto” Vice Presidente del CDA Ente Diritto allo Studio, Torino.
Antonio Mainardi. Indicato come “eletto” Revisore dei Conti ASL 8, Torino.
Mario Moiso. Indicato come “eletto” Revisore dei Conti CTO, Torino.
Giuseppina Marcella Rago. Indicata come “eletto” nel CDA ASM, Torino.
Nadia Pastorino. Indicata come “eletto” nel CDA Energia e Territorio, Alessandria.
Nadia Pastorino. Indicata come “eletto” Consigliere Ente Parco, Alessandria.
Alessandro Scarrone. Indicato come “eletto” Consigliere Ente Manifestazioni, Alessandria.
Giuseppe Impallomeni. Indicato come “eletto” Presidente della Siracusa Risorse.
Claudio La Pegna. Indicato come “eletto” nel CDA Amiu, Ragusa.
Patrizia Zavataro. Indicata come “eletto” Presidente SILFI, Firenze.
Nevio Tonelli. Indicato come “eletto” nel CDA Provincia Livorno Sviluppo.
Luca Bogi. Indicato come “eletto” nel CDA EALP, Livorno.
Vladimiro Benedetti. Indicato come “eletto” nel CDA SPIL, Livorno.
Cristiano Tondelli. Indicato come “eletto” nel CDA A.AMPS, Livorno.
Aurelio Donzella. Indicato come “eletto” nel CDA Consorzio Bonifica Ombrone Pistoiese e Bisenzio. (ma anche Consigliere Comunale, così che il controllore ed il controllato lavorino insieme…si semplifica, sic!).
Giorgio Cappellini. Indicato come “eletto” nel CDA Pratofarma.
Con risultano, ad esempio, nella lista on line (come mai?):
Sergio Nicola Aldo Scicchitano, legale di fiducia di Antonio Di Pietro e del Ministro Antonio Di Pietro, già candidato dell’IdV nel 2001 (ma poi ne parliamo dopo) nominato nel CDA ANAS spa.
Enrico Della Gatta, gia responsabile nazionale dipartimento Infrastrutture e Trasporti dell’IdV ma anche già nominato, durante il Ministero di Lunardi (Governo Berlusconi) nel Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, dal 2002 al 2004, nominato nel CDA ANAS spa.
Niente male dunque, per chi rifiutava le lottizzazioni ed il marcato delle nomine per gettoni e comitati d’affari, indispensabile strumento per sorreggere e consolidare le clientele e quindi il peso elettorale, in una spirale in cui competenze ed autonomia delle società partecipate o speciali continuano a cadere, inesorabili, per il prezzo della politica. Così passiamo dagli Enti Regionali, ai Consorzi che gestiscono i fondi regionali, nazionali o europei, per arrivare alle municipali e aziende speciali locali come quelle che operano nel caos e nello scandalo dei rifiuti in Campania. (Per ragioni di spazio, abbiamo omesso, la lista degli “eletti” nelle Comunità Montane).
La passione degli affari è coinvolgente.
Se Di Pietro ha una passione per collocare nei Consiglio di Amministrazione, luoghi di gestione finanziaria, d’affari e assunzioni, non è certo l’unico ad amarli nell’Italia dei Valori. Abbiamo già visto il parlamentare Pedrini. Ma tra gli eletti dell’Italia dei “Valori” nelle istituzioni ve ne sono altri. Non abbiamo approfondito troppo. Abbiamo guardato solo gli Eletti di una Regione dove non vi erano nomine nei CDA, la Liguria. Ed abbiamo scoperto che erano già impegnati tra il Molise di Di Pietro e Roma.
Carmen Patrizia Muratore. Nata a Trapani, cancelliere al Tribunale di Chiavari in aspettativa, già candidata nel 2001 e già assessore a Chiavari nel 2002 è poi stata eletta in Consiglio Regionale della Liguria (quella del vice re Claudio Burlando!), dove è stata nominata segretaria del Consiglio.
E’ Amministratore Delegato (con tutti i poteri di gestione) della GEST.COM (aperta nel 2005 a Isernia, nel Molise di Di Pietro e poi trasferita a Roma nel 2006). La società è stata fondata con Atto Notarile in Genova e di qui sono stati seguiti tutti i passaggi. La Gest.Com è di proprietà della Pimarfin Srl, Bisag srl e conta la propria partecipazione nella Alfa.com srl. Presidente del CdA è Marti Vito Paolo, nato a Barletta e residente a Roma. Consiglieri: Repetto Claudio, nato e residente in Alessandria; Arata Franco (altro dirigente dell’IdV) nato a La Spezia e residente a Chiavari con un passato nella Finanza. Nel Collegio Sindacale: Tassi Giorgio, presidente, è nato e residente a Sondrio; Calissano Federico, sindaco effettivo, è nato e residente a Genova; Mercaldo Luca, sindaco effettivo, nato e residente a Milano; Galardi Giovanna, sindaco supplente, nata e residente a Genova; Scarmiglia Antonio, sindaco supplente, è nato e residente a Taranto. La Società ha come oggetto sociale la gestione, l’accertamento e la riscossione dei tributi per conto di enti pubblici sia in Italia che all’estero nonché la gestione, liquidazione, accertamento e riscossione di tutte le entrate tributarie comunali, provinciali e regionali; tutte le entrate e/o attività dei Consorzi, società o aziende consortili; tutte le entrate patrimoniali comunali, provinciali e regionali, nonché di aziende consortili, compresa la gestione dei parcheggi auto; tutti i diritti, canoni, tariffe, sanzioni amministrative di competenza degli enti sopraccitati; tutte le entrate derivanti dalla gestione della rete gas e della rete idrica; la postalizzazione delle sanzioni amministrative comprese quelle relative alla violazione del codice della strada. Inoltre la Gest.com può effettuare autonomamente e/o disgiuntamente dal rapporto di concessione, per conto degli enti pubblici e per conto terzi, i censimenti tributari e patrimoniali, le rilevazioni tributarie e patrimoniali, l’aggiornamento ed il controllo dei ruoli inerenti imposte, tasse, tributi, diritti, canoni patrimoniali, canoni ricognitori, canoni non ricognitori, tariffe e quant’altro può formare oggetto di entrata a favore degli enti stessi. Ma non è finita qui: la Gest.com può compiere qualsiasi operazione commerciale, industriale, immobiliare, mobiliare e finanziaria atta al raggiungimento dello scopo sociale, compresa la facoltà di rilasciare avalli, fideiussioni, ipoteche ed in genere garanzie reali e personali.
Ma Carmen Patrizia Muratore è anche Amministratore Delegato della GEST.NET srl (aperta nel 2006 a Isernia, nel Molise di Di Pietro e poi trasferita a Roma nel 2006). La società è stata fondata con Atto Notarile in Genova e di qui sono stati seguiti tutti i passaggi. La Gest.Net è di proprietà della Giura srl, Pimarfin srl e conta la propria partecipazione nella Omega.net srl. Presidente del CdA è Marzo Giuseppe, nato e residente in Lecce. Consiglieri: Marti Vito Paolo, nato a Barletta e residente a Roma; Pisani Giovanni Graziano, nato a Catanzaro e residente a Genova. Nel Collegio Sindacale: Bovi Giorgio, presidente, è nato a Lecce e residente a Roma; Tassi Giorgio, sindaco effettivo, è nato e residente a Sondrio; De Matteis Giovanni, sindaco effettivo, nato e residente a Lecce; Campita Ermanno, sindaco supplente, nata e residente a Roma; Scarmiglia Antonio, sindaco supplente, è nato e residente a Taranto. La Società ha come oggetto sociale l’identico della Gest.com: la gestione, l’accertamento e la riscossione dei tributi per conto di enti pubblici sia in Italia che all’estero nonché la gestione, liquidazione, accertamento e riscossione di tutte le entrate tributarie comunali, provinciali e regionali; tutte le entrate e/o attività dei Consorzi, società o aziende consortili; tutte le entrate patrimoniali comunali, provinciali e regionali, nonché di aziende consortili, compresa la gestione dei parcheggi auto; tutti i diritti, canoni, tariffe, sanzioni amministrative di competenza degli enti sopraccitati; tutte le entrate derivanti dalla gestione della rete gas e della rete idrica; la postalizzazione delle sanzioni amministrative comprese quelle relative alla violazione del codice della strada. Inoltre la Gest.com può effettuare autonomamente e/o disgiuntamente dal rapporto di concessione, per conto degli enti pubblici e per conto terzi, i censimenti tributari e patrimoniali, le rilevazioni tributarie e patrimoniali, l’aggiornamento ed il controllo dei ruoli inerenti imposte, tasse, tributi, diritti, canoni patrimoniali, canoni ricognitori, canoni non ricognitori, tariffe e quant’altro può formare oggetto di entrata a favore degli enti stessi. Ma non è finita qui: la Gest.com può compiere qualsiasi operazione commerciale, industriale, immobiliare, mobiliare e finanziaria atta al raggiungimento dello scopo sociale, compresa la facoltà di rilasciare avalli, fideiussioni, ipoteche ed in genere garanzie reali e personali.
(Anche a Genova è attiva una società con identiche finalità, si chiama Gest-Line ed è al centro di pesanti contestazioni, arrivano a pignorarti la casa de non ha pagato una multa che magari non ti era mai stata recapitata o non avevi per nulla preso)
L’immobiliare Antocri di Di Pietro.
La “Voce della Campania” ha reso noto un fatto pubblico. Un’indagine avviata dalla Magistratura a seguito di un dettagliato esposto dell’Avv. Di Domenico (uno dei molti che aveva creduto in Di Pietro e nell’Italia dei Valori), sulla società di Antonio Di Pietro, l’immobiliare ANTOCRI (da Anna, Toto e Cristiano, i figli), l’acquisizione con mutuo da parte di questa di due immobili che sono poi stati affittati all’Italia dei Valori (il cui unico titolare a decidere è Antonio Di Pietro). Rendere nota un indagine in corso è dovere d’informazione! Rendere nota un’indagine in corso su un Ministro della Repubblica è, come sino a qualche tempo fa sottolineava Di Pietro, un dovere perché i cittadini devono sapere. Ma, dai toni e dal marito della missiva dell’Avvocato di Antonio Di Pietro alla Voce della Campania, sembra proprio che il principio dell’informazione e della trasparenza valga per gli altri ma non per lui. Non gli piace proprio, sembra, aprire le sue agende e i suoi fascicoli (alla faccia della trasparenza!) Il legale dell’ex pm afferma che vi è la richiesta di archiviazione, ma come ricorda Elio Veltri (clicca qui), il GIP potrebbe non disporla e decidere diversamente. Ma noi, come DemocraziaLegalità e come la Voce della Campania, non ci poniamo il problema sull’innocenza o meno di Antonio Di Pietro, stabilirlo è compito esclusivo della Magistratura. Quello che ci siamo posti è il problema etico e morale. E qui, davvero, la “difesa” non regge. Vi è un conflitto di interessi enorme, ed è grave che anziché risolverlo, come in parte hanno fatto altri, lui minacci querela, richieste di danni, non affrontando il merito della questione. Ma, come abbiamo detto e sempre fatto, vediamo i fatti.
La ANTOCRI srl è stata costituita in Bergamo nel 2003. Ha come Amministratore Unico Belotti Claudio, nato e residente a Chieri (BS), “Compagno di vita o coniuge di Silvana Mura”. Socio Unico è Antonio Di Pietro. Nel 2004 entra nel CDA Mura Silvana, che lo lascerà nel luglio 2006.
La Antocri srl con un mutuo acquista due immobili, uno a Milano ed uno a Roma. L’Antocri ha come uniche entrata quelle dei canoni di affitto degli immobili acquistati.
L’Italia dei Valori inizia a ricevere i rimborsi elettorali (sulla base della legge approvata dal Parlamento per garantire ai partiti il finanziamento pubblico che era stato abolito con un Referendum). Giungono quindi a ruota i fondi relativi alle elezioni politiche del 2001 (quando l’Italia dei Valori sfiorò il 4% ed elesse un senatore, il bergamasco Valerio Carrara, che appena insediate le Camere passo con Forza Italia), e via via a seguire quelli relativi alle elezioni amministrative, regionali, europee e nazionali.
Antonio Di Pietro, forte dell’Atto Notarile, ha uno Statuto reale dell’Italia dei Valori che gli conferisce pieni ed unici poteri. Di fatto è l’unico titolare, unico socio. La decisione su ogni cosa compete a lui. Tesoriere dell’IdV è Silvana Mura, eletta anche lei alla Camera dei Deputati.
L’Italia dei Valori prende in affitto due immobili, uno a Milano ed uno a Roma. Entrambi gli immobili sono affittati dalla Antocri.
L’Italia dei Valori (Antonio Di Pietro) stipula un contratto con la Antocri (Antonio Di Pietro) La Antocri (Antonio Di Pietro) riceve regolari pagamenti dei canoni di affitto dall’Italia dei Valori (Antonio Di Pietro). La Antocri (Antonio Di Pietro) paga regolarmente le rate del mutuo dei propri immobili con gli introiti derivanti dall’affittuario Italia dei Valori (Antonio Di Pietro).
L’aspetto di regolarità giudiziaria, torniamo a ripetere, non è di nostra competenza, spetta solo alla magistratura, ma quello etico si, ancora di più visto che Di Pietro si presenta come il simbolo della “Questione Morale”. Non è poi accettabile una risposta sul modello Silvio Berlusconi: l’amministratore dell’Azienda non sono io, quindi non c’è alcun conflitto. Curioso è che Antonio Di Pietro era il principale accusatore di Berlusconi per il Conflitto di Interessi ed ora usa le parole del Cavaliere per rispondere ad un quesito sulla sua persona.
Ma su questo rimandiamo all’inchiesta giornalistica della Voce della Campania che spiega nel dettaglio il tutto.
Ma prima di andare oltre occorre segnalare un’altra “coincidenza” (capitano proprio tutte a lui - sic!). Il giornale dell’Italia dei “Valori”, si chiama “Orizzonti Nuovi”. Deve essere un nome che ha folgorato Silvana Mura e consorte.
Vediamo perché: in Milano, nel 2005, viene costituita una società denominata “Progetto Orizzonti srl”. Soci della stessa sono Silvana Mura e Belotti Claudio, consorte/compagno della Mura e amministratore unico anche qui, come per l’immobiliare Antocri di Antonio Di Pietro. La società ha come oggetto sociale: l’attività editoriale esercitata attraverso qualunque mezzo e con qualunque supporto anche elettronico e pertanto in particolare l’attività di edizione, pubblicazione, promozione e commercializzazione di giornali, quotidiani, periodici, illustrati, saggi, monografie di carattere economico, sociale, politico e culturale, nonché l’esercizio di attività di edizione di testata giornalistiche – anche telematiche – proprie o altri, la produzione di informazione attraverso la gestione di mezzi a stampa, informatici, anche su supporti magnetici e/o elettronici e attraverso quant’altro reso disponibile dalle attuali e future tecnologie, la realizzazione di servizi giornalistici e attività di comunicazione per conto di terzi.
Chissà se questa realtà può essere (o sia già stata) utile per “non disperdere” i contributi pubblici che lo Stato riconosce ai Partiti e Movimenti politici presenti in Parlamento per promuovere i propri giornali (quotidiani o periodici, cartacei o telematici). Le intenzioni ci sono tutte e vista la frattura con “il Giuda” Sergio De Gregorio, esperto in materia, questa società casca a fagiolo.
Prima di passare al legale di Tonino, affrontiamo un altro aspetto della “coerenza” di Di Pietro, che, sempre, la Voce della Campania mette in evidenza.
Di Pietro, tra Pomicino e Patriciello.
Anche qui è una questione Etica, perché come avevamo già ricordato, siamo ostinatamente convinti della veridicità di quanto affermava Paolo Borsellino. Nel 1989, in un incontro con gli Studenti in Veneto, affermava: “Vi è stata una delega totale e inammissibile nei confronti della magistratura e delle forze dell’ordine a occuparsi esse solo del problema della mafia (…). E c’è un equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, che quel politico era stato accusato di avere interessi convergenti con la mafia, però la magistratura, non potendone accertare le prove, non l’ha condannato, ergo quell’uomo è onesto…E no! (…) Questo discorso non va, perché la magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire, be’ ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quest’uomo è un mafioso. Però i Consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenza da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest’uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto!”.
Ecco perché certe scelte di Di Pietro, su uomini, candidati ed eletti, personaggi vicini a lui ed al movimento sono gravissime. Per una questione Etica (lui diceva che la Questione Morale è pre-politica, che viene prima di tutto, ma nei fatti è come gli altri nel calpestarla, con l’aggravante per lui, rispetto agli altri, che questi non si erano (sono) fatti paladini dell’Etica). Perché diciamo questo?
In parte abbiamo già risposto. Leggendo chi sono i candidati ed alcuni degli eletti, che abbiamo riportato, dovrebbe essere già chiaro. Ma vi è di più, come evidenziato, appunto, dalla Voce della Campania.
Antonio Di Pietro, in difficoltà per la presentazione delle liste, chiede aiuto a Cirino Pomicino. Ora, non ricorda chi è costui? Non ricorda che è un pregiudicato, con gli altri, al centro della campagna “Parlamento Pulito” di Beppe Grillo, che lui aveva sottoscritto? Ma soprattutto non ricorda che fu proprio lui, ancora con la toga, a farlo condannare a Milano? Probabilmente non ricorda o non vuole ricordare e Cirino Pomicino, nel suo ultimo libro, lo sbeffeggia tranquillamente.
Cirino Pomicino indica a Di Pietro uno dei suoi pupilli: Aldo Patriciello. Di Pietro, di conseguenza, si rivolge a Patriciello. Uomo degli affari, dalla sanità al cemento, più volte eletto a furor di popolo, un passato nella DC e nel UDC.
”Matton d’oro, quelli del Patriciello. Ma pericolosi. Se ne era resa conto la Procura di Roma che a fine anni 90 aveva confezionato un’inchiesta terremoto che ha visto indagati vertici imprenditoriali (in prima fila la pomiciniana ICLA e la PIZZATOTTI [di cui ci siamo già occupati approfonditamente e di cui si era già occupato anche Di Pietro, e che è legata allo stesso mondo di molti degli ambienti (p2 e pentapartito) già indicati sopra, e che ha a tutt’oggi incarichi e appalti per infrastrutture in Italia – clicca qui] ), politici (l’ex presidente della Regione Campania Antonio Rastrelli e altri camerati), bancari e ministeriali. Una sfilza di appalti in tutta Italia, ma soprattutto nell’area campana, sarebbero stati al centro di una vera e propria cupola affaristica. L’inchiesta – come sovente capita a Roma – è finita tra le nebbie degli stralci & delle prescrizioni.”
”Un rilievo a parte meritano gli accertati rapporti – scriveva il Gip Otello Lupacchini nel 1999 – tra la ICLA spa e le imprese riconducibili a Patriciello Aldo, socio della SO.GE.CA, destinataria di una fornitura per l’ICLA dell’importo di 24,300 miliardi. La predetta società veniva raggiunta da Comunicazioni della Prefettura di Caserta in data 23 luglio 1996, laddove di evidenziava la sussistenza di tentativi in corso di infiltrazione mafiosa, tendenti ad indirizzare le scelte della società. Di fatto, ad un controllo nel cantiere di Mignano Montelungo della SO.GE.CA., in data 17 gennaio 1997, emergeva che le attività in corso si avvalevano di automezzi riconducibili al CO.V.IN., consorzio volontario inerti di Casagiove, collegato all’organizzazione mafiosa dei Casalesi, secondo le dichiarazioni di Carmine Schiavone”. “Patriciello Aldo – veniva aggiunto nel documento – in qualità di Assessore della Regione Molise, costituisce il fondamentale riferimento per Chianese Vincenzo (ispettore capo al ministero del Tesoro e presidente del collegio sindacale TAV spa, ndr) nella trattazione degli affari che costui gestisce in favore della società S.E.TEC., nella quale risultano interessati lui stesso e il genero, per il conseguimento di lavori relativi alla costruzione di un aeroporto regionale in Molise.”
Ma di questo si occupa anche la Commissione Antimafia , con un rapporto del gennaio 1996 sulla SO.GE.CA.: “Significativa si delinea la situazione della ICLA spa, soggetto che attribuisce lavori all’impresa SO.GE.GA., incaricata della fornitura di materiali per 64 miliardi, dei quali circa 41 mediante forniture da realizzarsi in collaborazione con la CALCESTRUZZI”.
Sui rapporti ICLA – SO.GE.CA. esiste anche un rapporto della Digos di Frosinone, marzo 1997, oltre ad un rapporto dei Ros di Roma del novembre 1998.
La cosa curiosa è che fu proprio Antonio Di Pietro ad indagare sui rapporti intercorsi tra la pomiciniana ICLA e la CALCESTRUZZI del gruppo FERRUZZI.
L’indagine vide anche il lavoro di Giovanni Falcone ad inizio 1991 a seguito di un rapporto su “Mafia e Appalti”.
Nel rapporto veniva dettagliatamente evidenziati i collegamenti di alcune società del mattone nazionali (fra cui la napoletana FONDEDILE, poi passata sotto il controllo dell’ICLA), con alcuni politici e cosche mafiose potenti per il controllo di appalti in mezza Italia e riciclaggio di denaro sporco. Il “ministro dei lavori pubblici” di Cosa Nostra, Angelo Siino, farà riferimento ai lavori per l’Alta Velocità.
Sia Giovanni Falcone che Paolo Borsellino, saltarono in aria pochi mesi dopo, per mano di Cosa Nostra. Si apriva la stagione stragista di Cosa Nostra, conclusasi con la “trattativa” e l’insabbiamento della mafia siciliana, sempre più attiva ma sempre meno visibile e ben protetta (da Corleone al Parlamento, come ben evidenziato nel libro “I Complici” di Abbate e Gomez).
Qualche altro interesse di Patriciello, coincide prontamente con le indagini della magistratura.
La famiglia Patriciello ha forti interessi anche nella Sanità da anni. Tutto ruota alla loro creatura, la NEUROMED , nata come struttura per malattie neurologiche e poi ritrovatasi convenzionata, a suon di milioni, per oculistica, cardiologia e riabilitazione. L’amministratore delegato, prima le ultime elezioni regionali del Molise, è Mario Pietracupa, eletto nell’UDC. Ed ecco un altro bel conflitto di Interessi miliardario di questa Italia. La NEUROMED può contare su un grande amico di Patriciello, Giovanni Di Renzo, direttore generale della Sanità, della Regione Molise, poi rimosso per inchieste giudiziarie.
Nel 2002 il Tar del Molise blocca la convenzione della ASL 2 di ISERNIA, alla NEUROMED, per l’utilizzo di laboratori di cardiologia e oculistica. Nel 2003 la Regione Molise restituisce questi laboratori e avoca a se la competenza. “La cosa scandalosa – denunciano alla ASL di Isernia – è che la Regione ha dapprima occultato la delibera di Giunta sul bollettino regionale pubblicando un solo rigo con la dicitura ‘trasferimento attività ambulatoriali’, quindi ha omesso di comunicare la decisione proprio alla ASL, che lo è venuta a sapere per caso nel gennaio 2004 quando un suo dirigente parlò con una impiegata di NEUROMED. E fatto ancora più vergognoso è che nonostante lo stop dichiarato dal Tar per le prestazioni non previste dal contratto con la Regione , NEUROMED abbia tranquillamente continuato ad erogarle, ben convinta che la Regione avrebbe poi risolto il tutto”.
Continuano alla ASL di Isernia: “Un altro grosso regalo per NEUROMED è arrivato il 20 settembre 2003, sotto forma di determina, la numero 93, siglata dal Direttore Generale e amico Di Rienzo. (…) In sostanza Di Renzo ha attribuito senza uno straccio di istruttoria l’applicazione del codice di disciplina ospedaliera n. 75, ossia l’alta specialità per l’attività riabilitativa. Perché possa essere concesso questo codice, che consente di triplicare i rimborsi per i 56 posti letto che NEUROMED assegna a questa branca, l’istituto interessato dovrebbe essere dotato di un reparto di ortopedia, cosa di cui NERUOMED non dispone. Oppure dovrebbe stipulare un contratto con un ospedale vicino fornito di tale reparto, cosa che la clinica dei Patriciello non ha mai fatto”. Di qui l’apertura dell’inchiesta da parte della magistratura.
Anche la ASL 3 di CAMPOBASSO non è così lontana. Due casi emblematici.
Siamo nel
2004, quando due medici sono stati “comandati” da una struttura privata,
NEUROMED, presso la ASL. All ’Agenzia Sanitaria Regionale, ARAN, commentano
così: “Una cosa inaudita e fino ad oggi mai verificatasi!”.
, la cui famiglia è potente soprattutto nella terra d’origine, nel casertano, a
Santa Maria di Capua Vetere (ne avevamo già parlato per un eletto in parlamento
(Americo Porfidia).
Chi sono questi due medici “inseriti” dalla ASL dalla società dei Patriciello? Vediamo.
Florindo Magnifico. Ha un fratello che è dirigente della Regione Molise, un cognato è fra i tre firmatari per conto della ASL del famoso “comando”. A dirigere la ASL 2 allora era Sergio Florio, numero uno al Pascale di Napoli da cui è stato allontanato dopo polemiche. Adesso il Florio, legato al presidente della Giunta Regionale molisana, Iorio, è al vertice dell’ASL UNICA del Molise.
Qui, anche, sono diverse le inchieste ed i rinvii a giudizio della Procura di Campobasso, da quelle per alcuni interventi chirurgici in day hospital ma registrati (e pagati) come ricoveri ordinari, a quelli per truffa, malversazione ai danni dello Stato, abuso d’Ufficio a carico del Di Renzo, del presidente di NEUROMED Erberto Melaragno, di Mario Pietracupa – ex amministratore delegato – e di Aldo Patriciello. Nella richiesta di rinvio a giudizio di Patriciello, il PM Fabio Papa, afferma tra l’altro: “Aveva intravisto nella struttura, realizzata con un corposo finanziamento della collettività, un goloso obiettivo sia per confermare ed espandere l’ascesa a polo sanitario privato del suo istituto, (NEUROMED, ndr) sia per confermare, grazie alla popolarità di queste iniziative, evidentemente sempre contrabbandate come possibilità di posti di lavoro e di sviluppo locale, la propria ascesa di politico molto votato, sia per l’ovvio lucro che poteva derivare”.
I tre, Patricello – Di Renzo – Pietracupa -, sono in attesa dell’esito di un altro rinvio a giudizio per il pagamento privilegiato a NEUROMED per 4 milioni di euro.
Ma i Patriciello non si fermano e tornano nella terra che gli portò le prime fortune con le cave, il Casertano. Qui acquistano la VILLA DEI PINI di Piedimonte Matese. Anche su questo affare la Procura di Santa Maria Capua Vetere, sembra aver aperto già un nuovo fascicolo.
…e l’Avvocato di Di Pietro
Sergio Nicola Aldo Scicchitano, calabrese di peso, oltre che legale di Antonio Di Pietro (per cui nel 2001 si era già candidato al Senato) è anche Consigliere di Amministrazione dell’ANAS spa (quella con cui lavora il Ministero retto da Antonio Di Pietro), liquidatore giudiziale C.P. FEDERCONSORZI, presidente della LAZIO SERVICE spa e coadiutore giudiziario Amministrazione straordinaria GRUPPO CIRIO. Così si legge nella sua carta intestata della missiva inviata, via fax, alla Voce della Campania (clicca qui), a cui però non è seguita la fornitura pubblica della documentazione citata dal legale di Tonino.
Nella carta intestata l’Avvocato si è dimenticato di indicare qualche cosa. Anche lui come molti dell’Italia dei “Valori” ama gli affari. Ed ecco che si riempiono questi vuoti. Anche qui, come per il resto delle notizie riportate nel presente “dossier” volto solo a raccontare fatti!, lo studio è tratto dalle Visure Camerali pubbliche. Ed allora…
Sergio Nicola Aldo Scicchitano si è dimenticato di citare la sua importante società VIP SPORTING CLUB srl. Società in cui divide la proprietà con Del Pasqua Paola, Nistico’ Sostene, Tarizzo Mario. L’amministratore è Nistico’ Sostene. La Società , costituita nel 1998 e registrata nel 1999, ha partecipazioni nel CONSORZIO PER IL PROGRAMMA TURISTICO DEL SOVERATESE E DELLE SERRE CATANZARESI.
Questo CONSORZIO, dove si contano moltissime partecipazioni, oltre alle agevolazioni previste e concesse, i finanziamenti pubblici.
Ecco quanto risulta dalla Visura tra i soci e altri titolari: Strangis Giuseppe (1944), IES EC snc, IMIS srl, FLORA srl, IGEA srl, Paparo Francesco (1965), GAL Serre Calabresi soc.cons. arl, Potente Franco (1959), TEKNES EUROPA srl, Fusto Domenico (1963), EDEN TURIST sas di Russo Maria Teresa e Giusepe & C, Iamello Francesco (1978), Iamello Santina (1976), Migisano Giovanni (1958), Confraternita SS Rosario, Migliarese Serafino (1963), Spadea Roberto (1947), Parrocchia S.Maria Catt. Maggiore, Lentini Francesco (1948), Russomanno Teresina (1950), Santoro Francesco (1967), Staglianò Giuseppe (1953), LOBARDO COSTRUZIONI srl, Campa Thomas John (1969 cittadinanza statunitense), IOZZO srl, Battaglia Antonio (1951), Ranieri Maria Giovanna (1959), Fraietta Antonio (1974), Pileggi Alfredo (1958), Chiesa S.Rocco, Migliaccio Franca (1956), Candiloro Giampaolo (1963), Morello Elisabetta (1923), SALAPADU’ srl, Barbieri Pietro (1952), Epifani Andrea (1937), Sgotto Luciana (1964), Procopio Antonella (1957), MAXEN srl, Cirillo Gerlinden Patricia (1966 cittadinanza tedesca), Valeo Giovanni (1965), Blandini Alfonso (1931), Danieli Luciano (1949), Ranieri Carmelo (1958), Anellino Concetta (1962), GINPOLIS di Pisano Maria Anna & C sas, Pizzi Domenico (1960), Smeraldi Achille (1973), GEFIS srl, Tinello Atonia (1936), DIAGNOSTICA NAUSICAA srl, Sinopoli Saverio (1958), TERRE ALTE srl, GA.LA. sas di Citraro Maurizio & C, Regenass Anita (1964 cittadinanza svizzera), Samà Pasquale (1944), Sgrò Orlando (1973), Pascali Luigi (1913), TOURINVEST srl, Sgrò Sergio (1970), Sgrò Giovanni (1964), SOCIETA’ MERIDIONALE AZIENDALE (SMA) di Guido Paola – Guido Simona & C sas, NETTUNO WIND & SAIL CHARTER di Guido Vera & C sas, ATTIVITA’ TURISTICHE CALABRESI, Gallelli Domenico (1964), ASSOCIAZIONE SVILUPPO TERRITORIO, Staglianò Antonio (1951), Denarda Salvatore (1959), Galati Manuel (1974), Grassi Paolo (1942), Proganò Rocco (1961), SERVICE FOOD srl, Mammone Aldo Natale (1947), Giorgio Teresa (1958), CALABRIA PRODUCE sas di Bova Carlo, Truglia Antonio (1977), Buttiglieri Romualdo (1956), Pelaggi Anna (1949), Bova Giovanni (1971), Lentini Vittorio Antonio (1964), Rosanò Angela (1972), Tropeano Domenico (1950), SNC IL VELIERO di Corosiniti Grazioso e Corosiniti Giuseppe, Pascali Sandra (1966), LA CASA DELLA PASA FRESCA di Palcido Migali sas, M.P.K. di Roverati Tommaso & C sas, Galati Nicola (1958), Bova Rosa Maria (1966), TA.CO sas di Concetta Tavano & C, Bova Paolo (1969), Chiesa Maria S.della Grazia, Fabiano Vincenzo (1981, cittadinanza svizzera), ZAGARE sas di Sestito Francesco & C, COOP CONCA D’ORO srl, Circosta Irene (1974), BONTA’ DELLE SERRE CALABRESI soc.coop.consort. arl, Vitaliano Pietro Salvatore (1967), Macrina Giovanni Bosco (1953), Quaranta Giuseppe (1974), POLDO soc. coop, Piattelli Giovanni (1949), Montesano Giuseppe (1929), VERDEORO soc. coop. Agricola, STELLAMARIS soc. coop, Commodoro Antonio (1961), Gatto Maria Speranza (1930), Samà Vittoria (1947), MAURIZIO RUBINO sas, PETRUSO DI BIASE MARIA TERESA, GIANNINI NICOLA & C snc, Laugelli Pietro (1963), CARELLO snc di Maida Dott. Antonio & C, LA GIARA snc di Iamello R. e Rosanò M. & C, Fiumara Francesco (1969), AZIMUTH di Giorla G. & C sas, Ruffolo Rita (1958), LA PALAPA di Vacca Armando & C sas, PIRAMIDE snc dei fratelli Riccio Nicola e Franco, PEGASO di Nicola Riccio & C sas, Battaglia Barbara (1947), PASQUINO CALCESTRUZZI di Passante Domenico & C sas, Ranieri Umberto (1958), Palleria Rocco (1975), AZZURRA srl, Roverati Tommaso (1966), OVERSEAS srl, Troiano Vincenzo (1950), Ferri Maria Barbara (1963), INV.I.TUR. snc di Ferrara Italo e Sacchi Maria Giovina, SADA srl, Richetta Maria (1951), Fodaro Domenico Antonio (1947), Manni Federico (1957), Manni Annunziata (1959), BOTTERIO 2001 srl, HOTEL IL PESCATORE d’Aiello Giuseppe &C sas, PAGUS srl, LA PERGOLA srl, Barbuto Francesco (1958) Costa Domenico (1958), De Barberis Francesco (1953), FINVEST FINANZIARIA IMMOBILIARE D’INVESTIMENTO srl, PELINGA srl, Pirro Salvatore (1950), Esposito Giovanni (1930), Ritocco Roberta (1967), Mungo Anna Maria (1969), AZIENDA AGRICOLA DEI FRATELLI PIRRITANO snc, LA S.M .E.D. di Perronace Davide & C a.s., LA TAZZA D ’ORO di Monea Lorenzo & C sas, ESTATE srl, POGGIO DE’ NORMANNI srl in LIQUIDAZIONE, BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI MONTEPAONE, TURINVEST srl, Passafaro Giulio (1968), GESTIONI MARE srl, VIP SPORTING CLUB srl.
IL CONSORZIO per il TURISMO che vede tra i partecipanti (beneficiari delle agevolazioni e dei finanziamenti) soggetti tra i più disparati come ad esempio quella per la Fecondazione Assistita (idea vacanza?), e molte che avevano già ricevuto i finanziamenti della 488, vede come Amministratore il Presidente del Consoglio Direttivo MUZZI’ Mario di Catanzaro (1943), come Vice Presidente SAINATO Pietro di Locri (1949), gli altri Consiglieri sono: PAPARO Francesco di Catanzaro (1965), MAZZA Domenico di Catanzaro (1949), IOZZO Mario di Catanzaro (1941).
Il primo dei soci (abbiamo rispettato l’ordine della Visura), Giuseppe Strangis, è stato rinviato a Giudizio a Catanzaro, quale presidente di altro Consorzio, Corasoll, insieme a Giovanni Dima (ex assessore all’agricoltura in Regione, di AN), al termine di un indagine del GICO per appropriazione indebita di fondi pubblici e voto di scambio.
Crediamo che l’Avvocato Scicchitano abbia, quindi, molto impegno in questa attività, visto che in terra di Calabria e della Basilicata è difficile poter competere con certi “gruppi di potere” che vedono uniti politici-imprenditori-mafia ma anche avvocati e magistrati, proprio nel settore dei finanziamenti nazionali ed europei e per i villaggi turistici, ed in generale nella promozione e nelle strutture turistiche, come evidenziato dalle recenti indagini, con arresti eccellenti e rinvii a giudizio a Vibo e Potenza-Matera.
Questo, sicuramente gli da molto da fare. Come ad esempio gestire la più grande azienda di precariato del Lazio, la Lazio Service , di cui è Presidente. (Ma Di Pietro non era contro il precariato?, mah).
Certamente con la sua esperienza nell’ANAS conosce bene certi meccanismi di infiltrazione mafiosa e quindi possiamo stare tranquilli. Va sempre tutto bene! In questa nuova Italia, di “Valori“ e “nuova politica”.
PS 1
Qualcuno potrebbe dimenticare che l’Italia dei Valori, con i suoi gruppi Parlamentari, ha assunto una posizione “in difesa delle prerogative dei deputati condannati e indagati per mafia”. Infatti ha votato contro sia alla proposta di legge dell’On. Angela Napoli sia dell’Emendamento dei Comunisti Italiani che volevano proibire l’accesso in Commissione Antimafia a condannati ed indagati per reati contro la pubblica amministrazione e reati di mafia. L’avreste mai detto?
E secondo voi può essere vero che in Calabria, la “terra prediletta” di Prodi ma anche di Di Pietro (oltre che del suo legale Scicchitano che è stato ripetute volte negli anni chiamato come legale dalla Regione Calabria – con quella siciliana - responsabile dell’intasamento degli uffici giudiziari) viste le sue numerose visite “guidate” dall’Aurelio Misiti, l’Italia dei Valori, con il suo Consigliere Regionale Maurizio Feraudo, anche membro della Commissione Regionale sulla Mafia, NON ha mai chiesto le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio Regionale con una maggioranza (trasversale) di eletti inquisiti-imputati-rinviatiagiudizio-condannati-prescritti-oagliarresti?
Certamente che si!
Non solo non ha mai chiesto le dimissioni, ma si è organizzato benissimo per lavorare al meglio, assumendo un componente del Coordinamento Regionale dell’IDV in Regione, Lizzano Alessio (1965) e chiedendo, dopo la litigata tra Tonino e Beniamino, di sostituire l’Assessore Donnici che non rappresentava più l’Italia dei “Valori” in quella “limpida” giunta. Ma non è tutto, l’impegno per la legalità del Consigliere Regionale calabrese Feraudo è strepitosa, forse perché è anche membro della Commissione Regionale sulla Mafia. Non solo continua a votare a sostegno della Giunta Loiero, ma con una sanità controllata dalla ‘ndrangheta (esempi? Asl di Locri e Asl di Vibo – sembra in arrivo anche una pesantissima Relazione anche su quella di Melito Porto Salvo!) e lui, l’esponente locale del “moralizzatore” ha tuonato, nell’aprile 2006, quando la Relazione Basilone era conosciuta solo per qualche piccola indiscrezione: “Occorre andare in fondo”. Peccato che da allora non ne abbia più parlato! Sulla Sanità a Vibo Valentia, diceva nel 2006, che “laddove dovesse confermarsi l'impianto accusatorio… preoccupano e destano sconcerto” aggiungendo “Il quadro che ne sta venendo fuori…conferma che l'azione dell'esecutivo regionale, improntata sul rigore e sull'affermazione della legalita' ad ogni livello, e' il presupposto ineludibile per garantire alla Calabria quello sviluppo che in passato e' stato negativamente compromesso e condizionato da simili episodi" (AGI 23.05.2006).
I risultati raggiunti dalla Regione li vede solo lui, noi ne avevamo già parlato e se vuole può darci un occhio.
Infatti: la Asl di Locri è stata Commissariata dal Governo Centrale (non dalla Regione che approvava puntualmente i Bilanci che non esistevano o erano tarrocati!) ed è di pochi giorni fa la notizia che a Vibo Valentia la ‘ndrangheta controllava, come a Locri, la Asl. Notizia contenuta in un ennesima Relazione dei reparti investigativi dello Stato.
La Regione dove era? E poi non gli hanno detto che il 90% delle strutture sanitarie pubbliche della sua regione sono state trovate, pochi mesi fa, con gravissime irregolarità dai NAS? Probabilmente nessuno gli ha detto nulla, e probabilmente, quindi, non sa nemmeno che ogni anno approva stanziamenti di fondi (quest’anno un aumento di stanziamento di oltre 100milioni di euro) che vengono mangiati dalla ‘ndrangheta anziché servire per le cure e la tutela della salute dei suoi concittadini?
Nessuno gli ha spiegato che è la Regione l’Ente che nomina i Dirigenti delle ASL e che controlla Bilanci e le gestioni? Ma chi lo ha mandato? Ahh, scusate, Di Pietro.